abatā. progetto di materializzazione della musica digitale.

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abatÄ progetto di materializzazione della musica digitale.

Politecnico di Bari FacoltĂ di Architettura CdL Disegno Industriale A.A. 2010/2011 Tesi di laurea in Progettazione Grafica studentessa Maria Roberta Cramarossa relatore Nino Perrone


finito di stampare nel mese di luglio 2011 testi redatti in: Consolas Museo


indice introduzione 1) analogico e digitale

pg.10

2) la questione della musica

pg.26

3) il progetto bibliografia

pg.63 pg.149



Introduzione La riflessione di base è quella che vede contrapposti due mondi, due sfere, due dimensioni, che caratterizzano ormai la vita di ogni uomo: da un lato ciò che è tangibile, il mondo fisico, dall’altro l’inafferrabile universo dell’informazione digitale, a cui non si può rinunciare e che rappresenta un bisogno oramai primario. Volendo sintetizzare questa dualità, si parla di analogico vs digitale. Ecco, partiamo proprio da vs, che sta per versus e presuppone una condizione di scontro, opposizione vicendevole. Interpretare questo binomio in maniera negativa, come se un termine annullasse l’altro, vorrebbe dire disconoscere il forte legame che, proprio negli anni zero (quelli in cui viviamo), unisce la sfera del mondo reale alla nube digitale che ci avvolge 24 ore su 24. L’aspetto che andrebbe guardato con più timore e sospetto è piuttosto l’utilizzo scorretto degli strumenti che si hanno a disposizione, soprattutto se si parla di quelli informatici. Il nodo della possibile convivenza tra queste due realtà esiste, ma deve partire da una presa di coscienza del soggetto. In entrambe le dimensioni troviamo servizi, prodotti, relazioni, informazione. Non ci si deve dimenticare, però, che quello che è internet, se con questo termine si intende la condivisione e la circolazione liquida di informazione, si potrebbe vedere come imitazione e amplificazione di ciò che avviene nella vita reale. D’accordo, estrema amplificazione. Ciò che prima era fisico ora è rimasto fisico, ma ha anche un alter-ego liquido. E i liquidi hanno maggior capacità di propagazione ed infiltrazione. Ma non si tratta di chi vince su chi, la questione è che il digitale è sì un canale molto potente, ma rimane pur sempre un mezzo, un qualcosa che ti porta da A a B, uno strumento, che come tale deve essere utilizzato nel modo migliore, senza abusarne o diventarne schiavi. Allo stesso modo, soprattutto per le generazioni meno “digitalizzate”, non conviene guardare in cagnesco qualsiasi forma di tecnologia o comunicazione d’avanguardia solo perché appare diversa dalle proprie abitudini. Bisognerebbe indagarne le potenzialità, capirne i pregi (ovviamente, qualora ce ne siano), comprenderne il possibile utilizzo e gli eventuali risultati che ne potrebbero scaturire. Si tratta di una questione di sopravvivenza, anche. Sapersi rapportare al mezzo informatico è una condizione necessaria oggi, poiché è il principale strumento di lavoro e di comunicazione. Non innamorarti né dell’uno, né dell’altro, in sostanza. Ma sfrutta entrambi con consapevolezza. (Come si dice in genere, la verità sta nel mezzo.) I contesti in cui è possibile trovare cenni di questo dibattito sono infiniti. La rivoluzione digitale ha investito praticamente tutti i settori della vita quotidiana, tra i quali i più importanti, la comunicazione, il lavoro, le relazioni. Dieci anni fa uno studente di architettura non avrebbe immaginato che possedere un pc portatile rappresentasse un dato scontato al momento dell’ingresso all’università, o che per immatricolarsi avrebbe dovuto affrontare non (solo) una lunga fila agli sportelli della segreteria, ma odissee informatiche su portali web dedicati all’operazione.


O ancora, sarebbe apparso strano pensare di poter captare un frammento di brano musicale con un telefono e ottenerne immediatamente titolo, artista, traccia originale e altre informazioni. O sfogliare un libro non su carta, ma vetro. O assistere al progressivo rimpicciolimento dei nuovi supporti elettronici, con in parallelo un apparentemente inspiegabile aumento delle prestazioni. Muovere un popolo con l’utilizzo di blog e servizi di comunicazione come Skype. Influenzare l’opinione pubblica con un semplice link YouTube. Eccetera eccetera. Il rischio è quello di venir divorati dalla prepotenza dei mezzi digitali (prepotenza che non esisterebbe se non gliela si fosse consegnata su un piatto d’argento). In mestieri come quello del designer, ad esempio, che è abituato a schizzare, appuntare, modellare, maneggiare, avere un approccio in sostanza attivo/creativo con un materiale, è ormai impensabile tralasciare il computer dal processo di progettazione. Ed è ovvio, poiché come in passato il drammaturgo e la segretaria scrivevano con la Lettera 22, oggi i loro successori moderni usano magari un MacBook o un Asus. E se il tipografo per comporre una pagina impiegava molto più tempo, materiale e sforzo fisico, ora InDesign ti fornisce comandi che con semplici clic di mouse e combinazioni di tasti, ti danno lo stesso risultato, previa presa di coscienza di come il software funziona.

[…] Le “tecniche miste” diventano il campo ormai maturo dove si mettono in gioco tecniche diverse in alternanze feconde. I “linguaggi ibridi” sono dalle origini alla base della progettazione grafica come delle sperimentazioni artistiche che l’hanno accompagnata nel tempo; oggi sono tecnicamente agevolati e hanno dunque una ragione in più. […] […] Senza disconoscere il mondo dei “pixel” o il fascino delle immagini autogenerate, quella visione ingenua guidata dallo strapotere delle “macchine” ha toccato un limite che non può andare oltre. È un passaggio che, abbassata la retorica della tecnologia, apre il campo allo “spirito” postdigitale, a nuove aree di sperimentazione, ad un atteggiamento che riporta in primo piano il progetto rispetto al predominio tecnologico. La nuova grammatica del progetto nella condizione postdigitale sposta ma non ribalta, amplia ma non sovverte il paradigma del produrre immagini e del fare comunicazione. […] La figura del giovane designer di oggi si trova, consapevolmente o meno, in mezzo ad una quantità enorme di possibilità e modalità di approccio al progetto, molte più di quelle messe a disposizione dai mezzi odierni, il computer e la rete. L’interesse verso le tecniche analogiche, meglio ancora se messo in pratica, gioverebbe non solo alla formazione di base, chiamiamola “accademica”, del designer fanciullo, ma anche ad una più aperta ed elastica considerazione di ciò che è la comunicazione in genere. Per chi crede che il mestiere del grafico fosse più complesso in passato e ora più semplificato, si potrebbe rispondere semplicemente sottolineando la dualità di fondo che caratterizza la nostra epoca (analogico/digitale),

alla quale siamo chiamati a rispondere. Ma la soluzione non è preferire l’uno o l’altro. Si tratta di ragionare in maniera ibrida, perchè ibrido è il tempo in cui viviamo. La complessità sta piuttosto nel far propria questa asserzione. Il nocciolo della questione è riuscire ad adottare un metodo flessibile verso mezzi di diversa natura. Se è il punto di partenza ad essere ben definito ma allo stesso tempo versatile nelle sue possibili applicazioni, i risultati avranno in qualunque caso una propria coerenza di fondo.

[…] Assumere il riequilibrio tra analogico e digitale e porlo al centro della pratica del progetto vuol dire far proprio fino in fondo lo statuto della transizione - transizione che diventa la nostra condizione stabile - e aggiungere un riferimento in più per la cultura di progetto. […]


1 analogico e digitale



La presa di possesso del mondo esige una sorta di fiuto tattile. La vista scivola sulla superficie dell’universo. La mano sa che l’oggetto implica un peso,

che può essere liscio o rugoso, che non è inscindibile dallo sfondo di cielo o di terra con il quale sembra far corpo.

sullo sfondo: sequenza video dell’opera “origamis without paper”, di Etienne Cliquet

Lo spazio non si misura con lo sguardo, ma con la mano e il passo. Il tatto colma la natura di forme misteriose. Se il tatto non esistesse, infatti,

la natura apparirebbe simile ai deliziosi paesaggi della camera oscura, lievi, piatti e chimerici. “Elogio della mano”, Henri Focillon


magic box: craft and the computer A lungo sottovalutato e ridotto a semplice sintesi tra arte e design, l’artigianato è centrale ancora una volta, come nuovo modo per i designers di riaffermare l’importanza delle abilità individuali e della conoscenza.

Slinky typeface da Type & Code

di David Crow, tratto dalla rivista “eye” n°70

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La scatola magica: l’arte manufatturiera e i computer Durante i miei giorni da studente a Manchester esisteva una profonda rivalità tra gli studenti di design e quelli delle cosiddette arti maggiori, ed eravamo consapevoli delle nostre differenze. Ma ciò che ci accomunava era il rifiuto verso il descrivere noi stessi come degli artigiani. L’artigianato, associato all’arte popolare, la tradizione ed il passato, erano considerati con disdegno. Sono passati molti anni da allora e mi ritrovo a capo del settore design nella stessa scuola d’arte. Sono ora consapevole della storia e delle caratteristiche della Scuola D’Arte di Manchester, fondata sui valori del movimento delle Arts and Crafts, messo a punto da Walter Crane. I vent’anni trascorsi da allora hanno radicato in me convinzioni più “artigianali”. Con questo intendo dire produrre mantenendo il marchio di chi produce, considerando i prodotti del passato come parte del viaggio odierno del lavoratore. In alcune aree della cultura visiva il termine “artigianato” è ancora usato in senso peggiorativo. In un mondo dove le idee

sono la prima necessità e le abilità pratiche possono essere apprese, artigianato e concetto sono visti come mutuamente esclusivi e gli artigiani riescono ad essere supportati nel loro lavoro solo se si definiscono “artisti” o “designers”. Un’area di valore del processo creativo rischia di essere dimenticata. A meno che non si combattano queste convinzioni sviluppando un nuovo dibattito intorno alla questione, potremmo riporre tutto ciò che l’artigianato significa (e rappresenta), in archivio, per sempre.

Pregiudizio Meccanico L’artigianato ha un problema di immagine. Questo è stato compreso già a partire dal diciottesimo secolo. L’Enciclopedia di Diderot (1751-80), riporta il basso rispetto verso gli artigiani e lo spiazzamento dell’autore in queste righe:

“Artigianato. Questo nome è dato a tutte quelle professioni che richiedono l’uso delle mani, ed è limitato ad un certo numero di operazioni meccaniche finalizzate alla produzione di una stessa opera, ripetuta più e più volte. Non so perché la gente abbia un’opinione così bassa rispetto a ciò che questa parola rappresenta; poiché dipendiamo dall’artigianato per tutti gli oggetti di cui necessitiamo nella vita… Lascio a coloro che hanno un minimo di principio di equità giudicare se questa è una ragione di pregiudizio che ci fa guardare con occhi così sdegnanti a questa categoria indispensabile di uomini.”

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In questi termini, l’artigianato non è più un’attività pratica; nonostante le Arts and Crafts inneggiassero alla contemporanea funzionalità e bellezza degli oggetti, l’artigianato era raramente accettato come una disciplina seria. Prima dell’industria organizzata, tutto era artigianato. Le corporazioni medievali conferirono uno status agli artigiani e le città erano costruite sul commercio che loro generavano. Poi il Rinascimento introdusse la separazione intellettuale tra belle arti e artigianato; e gli artigiani cominciarono ad essere guardati come praticanti lavoratori manuali, mentre gli artisti divennero i professionisti “culturali”. Ma nell’epoca della macchina, quando l’industrializzazione iniziò a predominare durante il XIX secolo, ci fu sempre meno spazio per la mano. Invenzioni come la macchina per ricami Schiffli trasformò il lavoro manuale in un processo meccanizzato, producendo copie simultanee di disegni che l’artista aveva creato. Il motto della famiglia Hewetson (i primi possessori della macchina Schiffli attualmente utilizzata nella scuola d’arte di Manchester), era io non ho paura della luce - ma nonostante il loro ottimismo, le nuove tecnologie portarono anche inquinamento, povertà e disagi. Nel XIX secolo la meccanizzazione era molto criticata, probabilmente in maniera più vigorosa dal movimento delle Arts and Crafts (1860-1915). La produzione industriale e la macchina erano denunciate come tiranniche, sostenendo invece le produzioni individuali, le abilità artigiane ed il salutare sforzo umano - essenzialmente si trattava di una crociata contro il commercio, il gusto e l’egualitarismo. Il revival medievale del movimento romantico era fondato in ciò che era visto come verità dei materiali naturali e, in misura più importante, nella “bellezza e verità” dell’individuo. Se William Morris era la figura a capo del movimento, John Ruskin fu la sua ispirazione:

prezzamento dell’arte stava diventando più un esercizio intellettuale che sensuale. Nell’era dell’informazione, ciò che vedi è ciò che puoi avere. Nelle fabbriche d’arte di artisti come Warhol, Koons e Hirst, le mani - essenziali nei processi gerarchicamente inferiori - sembravano quasi irrilevanti. Dove il significato è primario, gli strumenti e i processi associati all’artigianato rappresentano poco più che nostalgia. L’artigianato è stato radicato in particolari processi e relative tecniche, ognuna definente la sua rispettiva pratica, come le discipline del design e buona parte dell’arte: pittura, disegno, fotografia, tipografia ecc.

Ma oggi ognuno di noi autodefinendosi graphic designer o artista, può assumere un vasto range di strumenti e mezzi e possibilmente impiegare le idee che stanno attorno ad ogni pratica artigianale. Nonostante le influenze tra le varie produzioni culturali - o a causa di questo - l’abitudine di definire la pratica in termini di utilizzo di strumenti non è di aiuto nell’era dell’informazione. Questo è mirato ad un discorso che si è mantenuto fermo sin dalla nascita delle Arts and Crafts, un centinaio di anni fa. Non riconosce nemmeno la natura multidisciplinare della pratica contemporanea.

“Perchè non è il materiale, ma l’assenza dello sforzo umano, che rende l’oggetto peggiore” (Seven Lamps of Architecture, 1849). Un principio del movimento che persiste è la rivendicazione del fatto che l’arte ha un suo spazio al di fuori della galleria; che l’arte può essere trovata in oggetti dotati di utilità. L’industria era una “bestia senza mani” che rendeva gli oggetti noiosi e monotoni (e, come Marx suggerì in seguito, fautrice di un danno silenzioso all’esperienza umana). Le mani erano celebrate come capaci di esplorare il mondo, portatrici di unità di lavoro e crescita. Nessuna macchina avrebbe potuto rimpiazzare la sensibilità delle mani. L’artigianato diventava sinonimo di integrità ed individualismo. A partire dai primi del ventesimo secolo, questa istanza comiciò ad essere ribaltata. Il mondo industriale venne sempre più associato al cambiamento politico radicale, la fabbrica identificata con il futuro. L’artigianato venne progressivamente considerato dipendente dalla tradizione, e gli artigiani come respingenti il cambiamento. Il Modernismo individuò l’artigianato come “altro” dall’arte, come nota Sue Rowley (Reinventing Textiles, 2004). Dalla seconda metà del ventesimo secolo l’ap-

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Funzionamento della macchina Schiffli: Vi è un designer che realizza la bozza del ricamo, la quale viene ingrandita 6 volte la dimensione originale e ricalcata a mano. Successivamente, il risultato viene aperto con un software CAD che converte i tracciati in punti. Nel momento in cui il contorno delle forme è stato digitalizzato, la macchina traduce le informazioni in dati leggibili dalla macchina e li esporta su un floppy disk. Questo processo è fondamentale per determinare la qualità del disegno. In seguito il floppy viene inserito nella macchina da prorotipazione, di lunghezza variabile tra 1 e 4 metri. Al momento della realizzazione su ordine entra in scena la schiffli vera e propria, lunga fino a 18 metri, alta 4 metri e mezzo e comprendente più di 1000 aghi. Il processo descritto dalle immagini è quello manuale, in cui l'operatore muove la puntina sul ricamo, che nel frattempo è riprodotto in serie dalla macchina. Oggi il sistema a controllo numerico permette una maggior automazione e, di conseguenza, rapidità di esecuzione.

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Un’opera imprevedibile Gli artigiani, come quelli di cui parla Alice Kettle a proposito di “performance” e di religioso stato di apprendimento da parte di assistenti e tirocinanti - non relativo ad input meccanici, ma funzionali alla definizione di parametri e al permettere all’inaspettato di emergere in superficie. Artisti e designers si sono sempre approcciati alla tecnologia con questa propensione verso l’accidentale: testimonianza di ciò, l’opera di Vaughan Oliver con una macchina fotografica a trasferimento fotometrico e antiche sostanze chimiche. Questo approccio ha il suo contemporaneo equivalente nell’uso che Robert Hodgin fa di Processing. Hodgin porta degli elementi programmati ad interagire in modi inaspettati, pur mantenendo il controllo sul caos che risulta dal lavoro multidimensionale con parametri multipli. Il suo “Solar” (2008), un lavoro autoprodotto accompagnante la canzone dei Goldfrapp “Lovely head”, unisce saggiamente i dati del file audio, quelli del testo e del ritmo, in un’opera di eleganza e movenza sensibile, ricca per quanto riguarda texture e atmosfera.Quando la tecnologia digitale è arrivata negli anni 80, i disegnatori di caratteri hanno compiuto il primo passo verso nuovi approcci. Alcuni, divenuti più esperti della nuova tecnologia, hanno cominciato ad intervenire nel linguaggio codificato dei computer. Per le loro Python Fonts, LettError (Erik van Blokland e Just van Rossum), hanno messo a punto un software su misura che genera fonts con degli elementi casuali integrati nel design. L’apprendistato virtuale offre suggerimenti; i designers scelgono cosa tenere e cosa scartare. Come scrivono nella frase promozionale della Font Python,

immagine di sfondo: frame dell’applicazione “Solar” di Robert Hodgin.

“il potere creativo viene dalla scrittura del codice - decidendo come esso funzionerà non dal suo utilizzo”, LettError ha pionieristicamente adottato l’uso dei codici come strumento di progettazione. Con il carattere Beowulf (1991), divennero i primi designers ad usare i codici per randomizzare la tipografia. La loro estetica celebra chiaramente il “fatto a mano” e il “fisico”, LettError sfrutta la tecnologia digitale per creare forme attraverso la regìa delle multiple possibilità programmate nei loro software ad hoc. La loro ultima creazione è una nuova versione della classica font Trixie.

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la font generativa Beowulf, opera di Letterror.

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gital we get� �is� ���l�g. mi�s an�log, digital gets imulation.

Trixie Hd è un carattere altamente dettagliato catturante la ruvidità e l’irregolarità delle vecchie macchine da scrivere. Trae molto vantaggio dalla tecnologia OpenType, l’ultimo sviluppo nei software di tipografia. Van Blokland ha scritto un codice per generare piccoli punti che fungono da chiaroscuro e smussi nel momento in cui interagiscono con l’anti-aliasing dello schermo o con l’inchiostro delle stampanti laser. L’enorme numero di punti necessari per una così alta risoluzione non era mai stato raggiunto prima manualmente. Trixie HD Pro Heavy, per esempio, ha più di 6.7 milioni di punti. Ogni carattere ha sette alternative, ognuna con il suo peso e livello di ruvidità. Opentype permette di cambiarli in modo da rivalorizzare le font monospaziate simil-macchina da scrivere come mai è successo nella tipografia digitale. I caratteri variano in peso, ballando sulla linea di base, un effetto a mò di “striscia di inchiostro”.

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sequenza delle animazioni generative dell’opera “Forever”, progettata da Pyke e Schmidt per il Victoria & Albert Museum di Londra, nel 2008.

“We developed bespoke audio-visual software using generative processes to ‘grow’ an ever-changing artwork; a continuous upward movement of forms and colours dances to an evolving soundtrack. Inspired by and in contrast to the artefacts and sculptures of the museum, the artwork was ever-changing. From minute-to-minute, day-to-day it brought a life of its own - from minimal, quiet shyness to wild playfulness.” Universal Everything

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(the CTF Novelty proof press)

“we make tools, and as we evolved our tools made us.� Steven Pinker

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Bersagli digitali Curiosamente, l’arte del programmare è di aiuto al miglioramento dell’estetica tradizionale e della produzione della cultura attuale. Mimetic Butterflies (2007), un’installazione per la residenza McLeod a Seattle, creata da Hodgin e i suoi partner nel Barbarian Group, combina la programmazione con l’arte del ritagliare la carta. Karsten Schmidt di PostSpectacular, un artigiano-programmatore autodidatta, ha creato un modello ingegnoso (delle parole “Type & form”), per la copertina di Agosto della rivista Print. Per questa opera ha lavorato sulla reazione biochimica usando la tipografia vettoriale, passando i risultati attraverso la visualizzazione MRI e creando il “mostro” finale con una stampante 3D. Matt Pyke di Universal Everything ha creato delle stampe realizzate in grande scala per il Lovebytes Festival, nel 2007. Ha collaborato con Schmidt per disegnare una creatura generativa che produce migliaia di stampe su carta. Pyke e Schmidt hanno recentemente lavorato insieme ancora su grande scala per una installazione digitale per il Victoria & Albert Museum di Londra, dal 21 Nov 2008 al 1 Febbraio 2009. Questa filosofia collaborativa è anch’esso un tema dell’artigianato digitale. Intitolata “Forever”, questa proiezione video usa un codice su misura per generare animazioni senza fine - basata sulla simulazione fisica di una stringa - che risponde ad un audio autorigenerante basato su dei campioni creati da Simon Pyke. Schmidt e Matt Pyke sono i praticanti di riferimento in una nuova corrente di artigiani digitali i cui programmi creano macchine che a loro volta generano elevate possibilità basandosi su parametri prefissati. Ciò che conferisce personalità al loro lavoro è l’associazione di questi parametri, le combinazioni che loro costruiscono e le scelte che compiono rappresentano metaforicamente il marchio dell’artigiano. Schmidt vede questa esplorazione del potenzialmente infinito range di possibilità come la ricerca del bersaglio.

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La sperimentazione e l’operare sono vitali nella pratica artigianale. Operare ti permette di imparare, ed è il motivo per cui tale questione sta ancora al cuore dell’educazione all’arte e al design. Il computer può effettivamente introdurre all’operatività; i media digitali, con la loro instantanea reversibilità e la loro abilità a simulare, possono far resistere e sostenere la sperimentazione dove altri strumenti si disintegrerebbero. Inoltre, il contesto digitale può essere proprio il suo mondo, oltre il bisogno di una mimica realtà fisica o di una struttura. Esso supporta strutture generative basate su processi naturali, ma può anche evolverne di nuovi. Sperimentando liberamente con il processo, questa nuova generazione di designers sta prospettando un futuro per il design grafico dove l’abilità artigianale - e la centrale domanda “e se..?” è integrata anch’essa nel codificare. Essi stanno rassicurantemente condividendo le loro idee nel web, in modo che gli altri possano usare questi piccoli elementi di codice e incollarli insieme in un altro modo, così da creare nuove maniere di manipolare il materiale digitale. Un articolo del 2005 dell’educatore Michael Mateas, Letteratura procedurale: educare il praticante dei nuovi media, consiglia di introdurre i bambini alla programmazione computazionale sin dalla tenera età. Sconsiglia però tale approccio ad un livello elevato - scrivere storie sofisticate mentre si impara una nuova grammatica e un nuovo vocabolario è una sfida troppo grande.

to da se o lasciato alla semplice pratica. Ma tale prospettiva trascura la sofisticatezza richiesta per acquisire l’interazione tra controllo tecnico e produzione di senso. La struttura multidisciplinare può essere una soluzione, con designers e programmatori che lavorano insieme. In contrasto con l’antica impostazione “maestro e apprendista”, il computer incoraggia una struttura più democratica. Mateas sostiene che designers e programmatori dovrebbero essere piazzati in organizzazioni solo nel momento in cui ognuno ha una coscienza di ciò di cui l’altra area si occupa - ciò che descriveva Malcolm Garret, cioè “essere una pedina di tutte le pratiche ma maestro di una”.

“Chiunque è coinvolto nella produzione culturale, sul, nel o a proposito del computer”, dice Mateas, “dovrebbe sapere come leggere, scrivere e pensare ai programmi”. Armati della propria “letteratura procedurale”, i designers non tratterebbero più il computer come una misteriosa “scatola nera”; avremo l’autorità e una crescente relazione con il codificare ed il progettare, ed il dibattito si svilupperà. In termini di “pratica astratta”, molti educatori si preoccupano del fatto che gli studenti possano fare ciò che gli strumenti predefiniti rendono facile. La “prigione dei confortevoli strumenti per l’arte” presenta ciò che Van Blokland chiama “illusione di completezza” - l’idea che tutto sia raggiungibile utilizzando i menu a tendina della barra degli strumenti. Vi è anche la preoccupazione che la letteratura in notazioni definite danneggi la letteratura visuale. Nelle istituzioni, la pressione nell’aggiungere contenuti inutili nei curriculum si risolve di solito nel prestare più attenzione all’aspetto visivo. Ciò è basato sull’asserzione che l’alfabetismo visuale richiede educazione, mentre quello procedurale può essere impara-

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Esempi di rilevanza includono il gruppo di John Maeda al MIT Media Lab, che ha generato “Design by Numbers” e “Processing”. All’interno di una recente conferenza a Londra, il cui tema riguardava il futuro (incerto), della pratica artigianale nella Gran Bretagna, i delegati hanno espresso la loro preoccupazione rispetto alla definizione di artigianato come una serie di discipline “lontane” dai mezzi digitali. Chiaramente, l’uso dei media è essenziale per la sopravvivenza dell’artigianato. La chiave per raggiungere una strada percorribile nel operare con i computer, è riconoscere che la programmazione - nonostante la sua natura astratta - ha le proprietà di una concreta pratica artigianale. Sospetto che nel momento in cui i curriculum verranno messi a punto da educatori che sono cresciuti programmando, il computer diventerà più accessibile nelle nostre scuole di arte e design. Ciò che rende l’artigianato virtuale positivo non è la qualità della tecnologia ma l’applicazione delle nostre abilità percettive nel generare sorprese - combinando motivazione, pensiero, coscienza dello strumento e la nostra esperienza dei mezzi.

Aprire la scatola

Code Tree da Type & Code

L’artigianato è spesso descritto come una pratica riguardante uno specifico set di materiali. Ma in realtà è il materiale che definisce le pratiche come processo di esecuzione, sperimentazione, correzione, giudizio individuale e l’amore verso il materiale - qualsiasi esso sia. Esplorando l’artigianato attraverso la codificazione, questi nuovi artigiani digitali condividono l’amore per il mezzo come se si trattasse della ceramica, del vetro o del tessuto. La loro meraviglia di fronte alle possibilità è infettiva e ispirante. L’educazione dovrebbe far riferimento a queste personalità per aiutare a ridefinire la relazione con il computer, e anche prestare attenzione agli importanti valori nell’artigianato tradizionale. Con l’aiuto della comunità della programmazione possiamo basare le nostre competenze sul linguaggio sia fisico e astratto che materiale, smettendo di trattare il computer come una misteriosa “scatola nera” e considerandolo come la scatola della magia, ciò che è realmente.

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Da Processing. A programming handbook for visual designer and artists. di C.Reas e B.Fry

Processing non rappresenta una scissione radicale nei confronti dell’attuale corrente di programmazione. Esso riposiziona l’atto del programmare in modo che sia accessibile a persone che sono interessate all’argomento, ma sono intimorite o non interessate ad un livello di approfondimento al pari di quello che ci si può aspettare da un dipartimento di informatica. Il computer era originariamente uno strumento utile per i calcoli veloci e si è evoluto a mezzo di espressione. L’idea di un alfabetismo del software è stata discussa sin dai primi anni ‘70. Nel 1974 Ted Nelson scrisse a proposito dei minicomputer dell’epoca in Computer Lib / Dream machines. Spiegava che:

“più sai a proposito dei computer… più la tua immaginazione può navigare tra le questioni tecniche, riesce ad individuare le parti separate, può distinguere la forma di ciò che vorresti esse facessero.” In questo libro, Nelson discute le potenzialità future del computer come mezzo e sottolinea chiaramente le idee dell’ipertesto (il testo collegato ad altri testi, che sta alla base del concetto di web), e dell’ipergrafo (disegni interattivi). Gli sviluppi effetuati allo Xerox PARC hanno condotto al Dynabook, un prototipo degli odierni personal computer. L’idea del Dynabook includeva più di semplici pezzi meccanici. Venne scritto un linguaggio di programmazione che permetteva, per esempio, ai bambini di scrivere storie e programmi ed ai musicisti di scrivere software di composizione. In tale prospettiva non vi era distinzione tra il semplice utilizzatore di computer ed il programmatore. Trent’anni dopo queste idee ottimistiche, ci troviamo in un contesto diverso. Si è verificata una rivoluzione tecnica e culturale durante l’introduzione del personal computer e di internet ad un’utenza più ampia, tuttavia le persone

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continuano ad usare prevalentemente strumenti progettati da programmatori professionali invece di crearne di propri. Questa condizione è spiegata molto bene da John Maeda, nel suo libro Creative Code:

“Per usare uno strumento su un computer, hai bisogno di fare qualcosa in più rispetto al puntare e cliccare; per creare uno strumento devi comprendere l’arcano dell’arte della programmazione informatica.” Gli aspetti negativi di questa situazione sono le costrizioni imposte dagli strumenti informatici. Per esplorare a fondo il computer come materiale artistico è importante svelare questo “arcano della programmazione”. Processing si sforza di rendere possibile e vantaggioso, per gli interessati alle arti visive, imparare a costruire i propri strumenti, in modo da divenire dei “letterati” del software. Alan Kay, un pioniere dello Xerox PARC e di Apple, spiega cosa significa l’alfabetismo del software:

L’abilità di “leggere” un mezzo significa che puoi avere accesso a materiali e strumenti creati da altri. La capacità di “scrivere” su un mezzo vuol dire che puoi generare materiali e strumenti per altri. Dovresti acquisire entrambe le attitudini per poterti definire alfabettizato. Nella scrittura stampata gli strumenti a cui dai origine sono retorici; questi dimostrano e convincono. Nella scrittura informatica gli strumenti che generi sono processi; essi simulano e decidono. Realizzare processi che simulano e decidono richiede l’atto della programmazione.


2 la questione della musica


dall’esecuzione alla traccia La diffusione della musica dalla performance al disco

La performance, intesa come atto secondario e derivativo, cessa di essere il modello adatto a descrivere le pratiche della popular music: si passa all’idea di uno strato di eventi sonori, svincolato dalla partitura e da riferimenti di tipo spazio-temporale, reperibile unicamente su disco. Esecuzione e registrazione diventano così un testo unico che si dà come l’originale. Se esiste un originale o un autentico, questo risiede solo su supporto tecnico e non altrove. Lucio spaziante, “Replicabilità sonora”, da “Remix, remake. Pratiche di replicabilità”

26| la questione della musica


Il suono e la sua variazione melodica, la “musica”, sono da sempre stati utilizzati come esternazione di concetti e di principi, dall’uomo verso gli altri uomini e dall’uomo verso entità superiori. Si tratta di una vera e propria forma di comunicazione, non solo di natura artistica, ma anche mossa dalla necessità (nelle tribù africane, ad esempio, il suono dei tamburi fungeva da mezzo di interlocuzione tra individui posti a distanza fra di loro). Dal paleolitico al I secolo circa, l’evento musicale, di qualsivoglia natura fosse, è rimasto circoscritto ad un determinato tempo e luogo. L’unica forma di diffusione era l’esecuzione dal vivo, insieme alla pratica di insegnamento/apprendimento di padre in figlio. Non si poteva concepire la musica come qualcosa di scisso dalla persona e dallo strumento. La musica aveva un vero e proprio corpo, una sorgente vivente. Da sempre, l’esistenza di questa forma d’arte è stata mossa dal desiderio di comunicare con l’ignoto, sin dalle realtà tribali antiche, fino ad arrivare ai canti religiosi occidentali (dai canti gregoriani al “blues” degli schiavi d’America), attraversando una graduale evoluzione formale. Sin dall’antica Grecia considerata arte mista a scienza, basata su regole matematiche e relazioni tra tempo e suono, la musica sarebbe poi diventata una vera e propria forma culturale. Proprio a causa della sua natura progressivamente complessa, il bisogno di catturarla, registrarla in qualche modo, per evitare di perderla, avrebbe portato alla definizione di regole di codifica e decodifica in grado di conservarla e diffonderla più agevolmente. Nel Medioevo, con la riforma gregoriana, si cominciarono ad applicare le conversioni tra suono e segno grafico, pratica che lentamente portò più in là alla nascita del tetragramma, del pentagramma e della notazione musicale. I primi segni furono i neumi, dei simboli grafici che si associavano alle sillabe dei canti, ad indicare l’andamento, la direzione della melodia, e la loro forma era ispirata ai movimenti del direttore di coro. L’astrazione grafica della musica portava in se anche la volontà di rendere “seriale” la riproduzione di un evento musicale, abbandonando così lo spirito di improvvisazione e la necessità di trasmettere i canti per via orale.

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Sarà poi intorno all’anno 1000 che verrà introdotta la vera e propria notazione musicale, operata da Guido D’Arezzo, il quale oltre ad evolvere i sistemi neumatici (e simili), indicando nel tetragramma l’altezza delle note, fu il padre dell’ancora oggi utilizzata notazione musicale. Dalle 4 righe ed i 3 spazi frapposti ricavò 7 altezze, ossia le odierne 7 note, i nomi di esse hanno origine dalle sillabe iniziali di un inno dedicato a San Giovanni Battista. La mano guidoniana, un sistema di astrazione della musica nato per facilitare la memorizzazione delle note, è associata alla figura di Guido D'Arezzo, sebbene esistesse già in epoca precedente. Secondo questo metodo, ogni porzione della mano rappresenta una nota dell'esacordo. L'insegnante indicava un'area sulla sua stessa mano e la rivolgeva all'allievo, invitandolo ad eseguire la nota corrispondente. Quello che si può definire come primo mezzo utilizzato per ancorare la musica ad un supporto fisico aveva però dei limiti oggettivi, poichè il codice adottato era realmente utilizzabile come canale di diffusione solo qualora l’utente ne conoscesse le regole di decodifica. Lo studio della musica e la sua evoluzione iniziano perciò a rappresentare un’arte destinata a pochi, conoscendo periodi di perfezionamento formale che hanno segnato vere e proprie epoche, fino ai massimi sviluppi tra il 1700 ed il 1800. La svolta arriverà nella seconda metà del 1800, quando farà la sua comparsa il fonografo di Edison. Per la prima volta si riesce a “imbottigliare” la musica in un oggetto fisico, l’esecuzione non è più legata ad un preciso spazio e ad un determinato lasso temporale, ma è trasportabile in contesti diversi, raggiungendo più persone e ampliando la sua risonanza artistica e culturale. Lo spartito rimane il mezzo di diffusione a scopo didattico, la registrazione permette a chiunque di godere dell’esperienza musicale, democratizzando l’educazione all’ascolto.

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Nella pagina a fianco, diverse rappresentazioni della mano guidoniana e i versi dell'inno dedicato a S. Giovanni Battista da cui furono ricavati i nomi delle 7 note.

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«Ut queant laxis, Resonare fibris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum, Sancte Iohannes.» « Affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato, o santo Giovanni, dalle loro labbra indegne »

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Schematizzazione della relazione mezzo di diffusione / pubblico

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1) Esecuzione dal vivo I nuclei sono contestualizzati e limitati ad un determinato luogo e momento; 2) Spartito il livello culturale richiesto per leggere e studiare la musica è piÚ elevato, le esibizioni sono circoscritte a luoghi ed eventi ritenuti adeguati per la diffusione, come teatri, sale; 3) Disco registrato la diffusione di massa permette una risonanza che tocca tutte le categorie di ascoltatori, dai piÚ colti agli inesperti.


1

2

3

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infografica: l’evoluzione dei supporti per l’ascolto della musica cinque parametri per analizzare il percorso di smaterializzazione della musica, dai supporti analogici a quelli digitali


1980

1970

1990

1960

2000

1950

78 giri gommalacca 25,4 cm 3 minuti per facciata Il grammofono elettrico, o giradischi, anticipa di poco l’introduzione del 78 giri. Prima di questo formato veniva utilizzata una piastra circolare che riproduceva i suoni ad una frequenza vicina ai 70 giri al minuto. Gli antenati del giradischi sono il grammofono a tromba e l’ancor più vecchio fonografo.Inizialmente i 78 giri erano incisi su un solo lato, il passaggio alla doppia facciata è merito della Columbia.

1940

resistenza 1930

portabilità

jukebox

qualità sonora 1925

duplicabilità tempo

78 giri

1918

1920

grammofono elettrico


1980

1970

1990

1960

2000

1950 1948 vinile

33 giri vinile 30 cm 25/30 minuti per facciata (LP) 15 minuti per facciata (EP) Il 33 giri, o LP (Long Playing), è il supporto con il miglior compromesso tra qualità sonora e minutaggio. Rispetto al 78 giri presenta una maggior resistenza, dovuta al passaggio dalla gommalacca, decisamente più fragile, al vinile (PVC, cloruro di polivinile). In questo tipo di supporto troviamo anche un miglioramento tecnologico rappresentato dal “passo variabile”, che prevede un ingombro della traccia variabile in base alle modulazioni del suono registrato, comportando un risparmio di superficie incisa e un conseguente aumento di capacità. Nei 78 giri i solchi erano invece equidistanti, perciò presentavano un minutaggio inferiore.

1940

resistenza 1930

portabilità

jukebox

qualità sonora duplicabilità tempo

1918

1920

grammofono elettrico


1980

1970

1990

1960

‘50 mangiadischi

2000

1950 1948 vinile

45 giri vinile 17,8 cm 4/7 minuti per facciata I primi jukebox nascono negli anni ‘30 prendendo le mosse dai pianoforti automatici a gettone, ma la loro diffusione esplosiva arriverà negli anni ‘60. Il supporto che più deve la sua fortuna al jukebox è il 45 giri, il formato dei singoli, che contribuì pesantemente al processo di massificazione della musica.Con l’enorme diffusione del mangiadischi per i 45 giri (apparso negli anni ‘50, ma utilizzatissimo solo negli anni ‘70), la musica entra in una nuova dimensione, quella della portabilità. L’ascolto non è più relegato al contesto domestico, ma può avvenire anche en plein air.

1940

resistenza 1930

portabilità

jukebox

qualità sonora duplicabilità tempo

1918

1920

grammofono elettrico


1979

1980

walkman

1970

1963

musicassetta/mangianastri

1990

1960

2000

1950

musicassetta plastica e nastro magnetico 10,5 x 7 cm fino ai 240 minuti in totale La musicassetta (introdotta ufficialmente dalla Philips), rappresenta la fase di passaggio tra la dimensione analogica dei supporti e quella digitale. Anticipa la rivoluzione “democratica” che con il CD e l’mp3 vedrà l’utente non più solo come ascoltatore ma anche come agente attivo, data l’estrema libertà concessa dalla possibilità di duplicare autonomamente le tracce. Gli stereo con doppio alloggio permettevano di registrare e duplicare i nastri a livello domestico, mentre il walkman estremizzò il concetto di musica portabile introdotto dal mangiadischi anni ‘70. Con questo nuovo mezzo di riproduzione e la maggiore maneggevolezza delle musicassette infatti, fu possibile avere letteralmente la musica in tasca.

1940

resistenza 1930

portabilità qualità sonora duplicabilità tempo

1920


1982 1984

1980

1970

CD

lettore cd

1990

1960

2000

1950

Compact Disc policarbonato 12 cm 74/99 minuti in totale (650/870 MegaByte) Il Compact Disc sancisce il passaggio da supporti analogici a supporti digitali. Le tracce audio vengono tradotte in 0 e 1 dai lettori, i solchi sono oramai invisibili ad occhio nudo. La memoria del “disco” è rintracciabile nella forma circolare, ma il meccanismo è totalmente differente. Come nel caso della musicassetta, agli strumenti di riproduzione domestica si affianca il lettore portatile. Terzo polo di questa relazione è il computer, che man mano viene sempre più utilizzato per ascoltare la musica e, soprattutto, duplicarla e condividerla.

1940

resistenza 1930

portabilità qualità sonora duplicabilità tempo

1920


1980

1970

1990

1960

1995 MP3

1998

lettore MP3

2000 2001 iPod

Mp3 5 minuti (3/5 MegaByte) L’mp3 porta ad un rapido stravolgimento per quanto riguarda l’ascolto, la fruizione ed il possesso della musica. Una volta estrapolata come file dal supporto del CD, la traccia audio perde completamente la sua fisicità ed è libera di navigare nella dimensione digitale. I lettori mp3 prima e l’iPod dopo, rappresentano gli strumenti per ascoltare la musica in movimento e subiscono una progressiva diminuzione a livello di dimensioni. Il computer ha oramai sostituito definitivamente gli altri mezzi prima utilizzati per l’ascolto.

1950

01001101 01010000 00110011

1940

resistenza 1930

portabilità qualità sonora duplicabilità tempo

1920



zero verso lo

sempre meno spazio fisico per l’identità visiva degli album 42| la questione della musica


1) 30x30

Nella pagina a fianco, Sergent Pepper's lonely hearts club band dei Beatles, EMI, 1967.

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Dal momento in cui i supporti in gommalacca e vinile (dapprima il 78, poi il 33 ed infine il 45 giri), cominciarono ad essere oggetto di diffusione e scambio di musica, il loro contenitore, un quadrato di carta o cartone con la principale funzione di proteggere il supporto, acquistò un ruolo molto importante per quanto riguarda la comunicazione con l’acquirente, poichè rappresentava il livello più superficiale e visibile dell’oggetto.Dagli anni ‘50 le custodie dei 33 giri, di dimensione 30x30 cm, diventarono l’emblema della musica e il riferimento visivo nel momento dell’ascolto. La generosità di questo formato consentiva molta libertà nel progettare la grafica delle copertine, che potevano ospitare complesse illustrazioni, fotografie a tutta pagina o interventi tipografici come il logotipo dell’artista o della band. Ancora oggi quello che viene chiamato fenomeno vintage trascina orde di collezionisti e amatori alla ricerca delle edizioni originali (e non) dei loro LP preferiti, sia per la superiore qualità sonora che il supporto vinilico garantisce, sia per la bellezza delle copertine, spesso venerate come opere d’arte ed esposte fieramente nelle proprie case. Importanza minore in questo senso la ricoprono i 45 giri, di diametro 18 cm (7 pollici). Essendo più piccoli e presentando una capacità inferiore in quanto a minutaggio del suono, vennero utilizzati per la diffusione dei singoli (pur consentendo l’incisione di due brani, uno per lato), in più trovarono molta fortuna nei jukebox.


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il grammofono a tromba, utilizzato per la riproduzione dei dischi in gommalacca e vinile, a partire dagli anni '20 in poi. Sullo sfondo, Kind of Blue di Miles Davis, Columbia, 1959.


il mangiadischi, primo vero strumento portatile per l'ascolto della musica. Consentiva di leggere i 45 giri in vinile. Dagli anni '50 in poi. SUllo sfondo, In the court of Crimson King dei King Crimson, Island Records, 1969.

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2) 10,5x7 L’icona della copertina come formato quadrato entra in crisi nel momento in cui fa ingresso la musicassetta, immessa nel mercato nel 1963 dalla Philips. Il supporto non è più il vinile, ma un nastro magnetico che si snoda all’interno di un contenitore in plastica. L’involucro, in questo caso, perde il suo grande valore comunicativo che riusciva a giocare sulle grandi dimensioni, riducendosi ad un libretto, tra l’altro contenuto a sua volta in una custodia anche stavolta di plastica, con formato chiuso di dimensioni 10,5x7 cm circa. Inoltre la musicassetta presenta una certa complessità di struttura: il nastro è all’interno, il procedimento di lettura non è più diretto come nel caso della testina, ma avviene in maniera meccanica attraverso il movimento delle rotelle. Il tutto è protetto dal corpo in plastica della MC stessa, perciò la funzione di un secondo contenitore è del tutto inutile. Rimanda solo simbolicamente alle vecchie copertine. Gli unici aspetti interessanti riguardo l’apparizione di questo supporto sono riscontrabili nella maggior praticità d’uso, aspetto che verrà sfruttato con l’introduzione dei walkman (Sony, 1979), e nei primi cenni di quella che diventerà più tardi la pratica della duplicazione domestica, bestia nera del mercato discografico.

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47| la questione della musica copertina e booklet del doppio album dei Led Zeppelin, Remasters, Atlantic, 1990.


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hometaping is killing music La musicassetta fu un supporto tutto sommato molto sfruttato, ma oltre al suo scopo di riproduttore di musica o comunque di suoni preregistrati, la sua particolare predisposizione a poter essere duplicata anche con un semplice stereo a due alloggi permise all’utente di poter per la prima volta intervenire sul supporto e non esserne solo fruitore passivo. Da un certo punto di vista l’interattività in tal modo guadagnata ha avvicinato maggiormente l’individuo all’oggetto, gli ha consentito un approccio al mezzo di tipo creativo, si pensi alle prime compilation messe insieme proprio su musicassetta, talvolta rispettando rigidi schemi compositivi. Tutto ciò non poteva però accadere senza che ci fossero ripercussioni. Negli anni '80 fu messa in piedi una vera e propria campagna contro la pirateria musicale e la duplicazione domestica, embrione e presagio del dibattito che dall’avvento del formato mp3 a Napster non avrebbe più dato tregua alle major discografiche. Con l’immissione del Compact Disc sul mercato (da parte di Sony e Philips), e la successiva diffusione del personal computer, questi rischi si aplificarono a macchia d’olio.

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3) 12.5x12.5 Nel 1980 arriva il Compact Disc e si ritorna alle copertine quadrate, anche se di dimensioni ridotte rispetto al vinile, 12.5x12.5 cm. Il mondo dell’analogico è oramai abbandonato, il formato delle tracce audio dei CD è digitale, non vi è più la testina che scorre sui solchi, ma un diodo laser che legge le microincisioni presenti sulla faccia riflettente del disco. Le dimensioni ridotte del Compact Disc e del suo contenitore comportano una particolare attenzione del progettista grafico non solo verso la copertina, ma anche nei confronti del booklet, ovvero il libricino che di solito si “cela” dietro la cover e si scopre solo nel momento in cui l’involucro viene aperto. Il vantaggio è la maggior propensione di questo formato ad ospitare contenuti aggiuntivi, come testi ed informazioni più dettagliate sull’album e l’artista in questione. Pratica comune, specialmente oggi, dal momento che si cerca in tutti i modi di recuperare anche una minima fetta di mercato proponendo oggetti dotati di un presunto “valore aggiunto”

copertina e booklet di Nevermind dei Nirvana, Geffen Records, 1991.

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e dunque più appetibili, è quella di confezionare i compact disc in packaging anticonvenzionali, ricercati e costosi, oggetti bramati più dai veri appassionati che dal pubblico di massa. Quella pretesa artistica presente nelle cover dei 78 e 33 giri, libera di esprimersi in lungo e largo sulle superfici di esse, non ha più molto spazio per emergere, creare un contatto visivo con l’osservatore e identificare l’artista. Per ovviare a questa limitazione si sperimentano dunque diversi materiali e modi di presentare e far scoprire l’oggetto all’utente. In egual modo nel caso dei cofanetti, preziose miniere d’oro in cui di solito si raccolgono le discografie audio o i dvd in edizione speciale, si mira in particolar modo alla confezione ed alla grafica delle custodie e dei CD stessi, con il tentativo di recuperare quel legame tra l’acquirente ed il bene fisico (dotato di rilevante valore estetico), che sancisce l’affezione all’opera musicale.


immagini di copertine in coverflow, sul software iTunes

4) 0x0 Il Compact Disc è stato di fatto il primo supporto di tipo digitale, in cui le informazioni venivano codificate e successivamente decodificate da macchine. La larga disponibilità di mezzi in grado di leggere questi dati, gli stereo dotati di lettore CD e successivamente i computer, permise al consumatore di elevarsi gradualmente dal rango di semplice “spettatore uditivo”, specialmente dal momento in cui fu possibile estrapolare le tracce audio dal supporto, svincolando una volta per tutte il suono dal supporto. Nel 1995 fece la sua comparsa il formato mp3 (mpeg-1 Audio Layer 3), evento che rappresenta sicuramente un punto di svolta decisivo, in quanto favorì l’ottimizzazione di un fattore che sarà poi fondamentale per il mondo del web, il peso in kb. Nel formato .wav, il primo ad essere utilizzato sui cd, vi era una quantità di informazioni tutto sommato inutile, poichè alcune frequenze non erano udibili dall’orecchio umano e contribuivano solo ad appesantire il file. Attraverso un processo di riduzione, si arrivò al fantomatico formato mp3, frutto del lavoro di vari gruppi di ricerca, da quello del tedesco K.Brandeburg a quello italiano di Leonardo Chiariglione. Dal momento in cui si è compreso il reale potenziale della dimensione liquida della musica è come se d’un tratto la realtà sonora fosse stata liberata dal legame che la subordinava al supporto, arrivando a coglierne l’essenza primaria, il suono, che per definizione si propaga nell’aria, in modo intangibile. L’aspetto che tende ad aggravare questa nuova concezione, che tutto sommato può essere accettata, è che alla smaterializzazione della musica corrisponde l’alto grado di replicabilità e diffusione della stessa, fenomeno che matematicamente porta ad una svalutazione del “prodotto”, chiamiamolo così, in questione.

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Anche se esistono molti modi per acquistare musica digitale legalmente, l’abnorme disponibilità di metodi di consumo “alternativo” li rende casi marginali. All’epoca dei 33 giri oltre all’artista ritratto in copertina ricopriva un grande ruolo anche la casa discografica, maggior detentrice dei ricavi delle vendite. L’oggetto quindi si poteva definire importante in quanto corrispettivo fisico di un dato sonoro, ma anche facilmente riducibile a mezzo con cui l’industria discografica mercificava l’opera degli artisti. Adesso l’alter-ego fisico della musica è quasi scomparso e con lui i suoi pro e contro. Le etichette discografiche sono in crisi, le vendite calano e solo di recente si è capito che non ha più alcun senso bruciare energie nella lotta alla pirateria, ma bisogna piuttosto cercare di cavalcare l’onda del digitale e trarne risultati quantomeno soddisfacenti. Il giradischi il mangiacassette, gli stereo, insieme ai vinili, le musicassette ed i cd, hanno perso la loro funzione e il loro valore. Se l’atto di comprare la musica aveva un significato non tanto commerciale quanto di rispetto nei confronti dell’artista e dell’oggetto (mi dai che ti dò), ora la situazione è ben più complessa. In qualche caso marginale si tenta ancora di mantenere in piedi l’orgoglio analogico, incidendo su vinile o musicassetta, ma bisogna ammettere che i supporti analogici sono diventati futili motivi di vanto o icone vintage con spesso il solo scopo di rimpiangere il passato. Se non è così, allora vengono sfruttati per costruirci sedie, orologi e altri soprammobili che smitizzano e ridicolizzano un po’ il loro valore ormai perduto.


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«Se 1nternet stava crescend0 c0me una rete d1 c0mun1caz10ne 1n grad0 d1 sp0stare grand1 quant1tà d1  1nf0rmaz10n1 d1g1tal1  da un c0mputer all’altr0, tra quest1 dat1 n0n p0teva esserc1 anche qualche canz0ne? Una parte d1 strada era g1à stata fatta: negl1 ult1m1 qu1nd1c1 ann1, 1l passagg10 da1 v1n1l1 e dalle mus1cassette a1 c0mpact d1sc aveva g1à avv1at0 la trans1z10ne dall’anal0g1c0 a1 d1g1tale. La mus1ca c0n0sceva ben1ss1m0 1l l1nguagg10 degl1 zer0 e degl1 un0. B1s0gnava s0l0 tr0vare 1l m0d0 d1 farla c1rc0lare 0nl1ne.» Luca Castelli, “La musica liberata”


«Hello everyone. Well, the new album is finished, and it's coming out in 10 days; we've called it IN RAINBOWS. Love from us all, Jonny.» « ciao a tutti. bene, il nostro nuovo album è pronto e uscirà tra 10 giorni; l'abbiamo chiamato IN RAINBOWS. Con amore, Jonny »

Con queste parole pubblicate sul loro sito l'1 ottobre 2007, Jonny, Thom, Ed, Colin e Phil, i Radiohead, hanno annunciato la pubblicazione del loro nuovo album, sconvolgendo i tradizionali schemi del mercato discografico, che in genere prevedono campagne promozionali con mesi di anticipo e l'intermediazione dei manager e delle etichette. Sul sito, invece, parlano i Radiohead in persona, che comunicano direttamente con i loro fan. Al momento della pubblicazione online dell'attesissimo disco, è ancor più palese la volontà di ignorare tutti i meccanismi commerciali convenzionali, per lasciarsi invece trasportare dalla liquidità ed immediatezza di internet. Gli utenti possono acquistare infatti l'album ad un prezzo indefinito, che sta a loro fissare. Con un margine di libertà che va da zero a infinito. L'apparente spirito autodistruttivo di questa operazione si è in realtà rivelato un modo intelligente di confrontarsi con la dimensione digitale, non suscettibile a regole e standard predefiniti, in cui vige uno status a metà tra l'estrema democrazia e l'anarchia totale. Non ha alcun senso rifiutare la rete, anche perchè la musica circola ugualmente su questo canale, che i musicisti ne siano consapevoli o meno. Quello che i Radiohead hanno fatto è stato prendere di petto la situazione ed essere loro stessi i manovratori della circolazione digitale del loro materiale sonoro, contando comunque

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su una buona fetta di fan pre-affezionati, disposti in una certa percentuale a versare effettivamente del contributo monetario in cambio del download (in ogni caso una buona parte degli utenti che si sono connessi con la pa del download ha colto l'occasione di pagare 0 sterline per ricevere le tracce). Ad affiancare questa generosa offerta del prodotto digitale, vi è l'alternativa analogica, un cofanetto di 40 sterline, indirizzata ai fan più fedeli. Il cofanetto è comunque un oggetto di lusso, rispondente alle esigenze "fisiche" dei collezionisti e degli amatori, in esso sono infatti compresi CD, vinili e libretti illustrati. La scelta compiuta dal manager del gruppo, svincolata da qualsiasi politica aziendale (I Radiohead hanno sciolto i contratti con la EMI già da qualche anno), si è rivelata un vero successo, sia in termini di entrate che di rapporto con i fan. Il processo alternativo di promozione e vendita è stato volutamente seguito da un tour che ha contato un incremento sostanziale di spettatori, dimostrazione del fatto che dare fiducia al pubblico realmente affezionato, anche attraverso l'ingestibile mezzo virtuale, può portare a risultati più che positivi.


Reznor ed i Nine Inch Nails Trent Reznor è il componente fisso del gruppo Nine Inch Nails ed è anche il protagonista di un altro episodio che vede il musicista relazionarsi in prima persona con internet per diffondere le proprie opere. Subito dopo il fenomeno IN RAINBOWS, a febbraio 2008, i NIN annunciano sul loro sito web che l'ultima opera della band è terminata. Si tratto di un disco quadruplo, chiamato Ghost I-IV (i brani sono trattati come tracce "fantasma", si chiamano infatti ghost-1, ghost 2, ecc.), la cui diffusione online prevede diverse opzioni: 1) La possibilità di scaricare gratuitamente il primo dei quattro dischi (il cui ascolto è garantito anche semplicemente online), più una cartella zip con foto ad alta risoluzione, wallpaper e avatar; 2) pagare 5 dollari per avere tutti e 4 gli album in versione digitale; 3) versare 10 dollari per ricevere il disco in versione CD doppio; 4) acquistare per 75 dollari un cofanetto di lusso con CD, DVD e Blu-ray; 5) la massima offerta, 300 dollari, per un super-cofanetto di lusso, con, in aggiunta all'opzione 4, vinili, un libro di foto e varie stampe.

In pochissimo tempo, un paio di giorni, l'opzione 5 portava scritto SOLD-OUT. Le vendite complessive furono esorbitanti, tanto sconvolgenti che l'album successivo, qualche mese dopo, venne pubblicato sul sito e scaricabile in forma completamente gratuita. Anche in questo caso, non vi è un'etichetta discografica che da un lato promuove il lavoro dei musicisti in maniera anacronistica e dall'altro intasca i proventi, comunque scarsi, dell'operazione di diffusione e vendita. Si tratta di artisti indipendenti, che sono liberi dalle regole che vigono nel mercato musicale e allo stesso tempo padroni delle potenzialità che i canali virtuali propongono. La comunicazione con il pubblico è dunque il punto cardine, per questo è coerente l'utilizzo dei media che contribuiscono ad avvicinare utente ed artista in maniera rapida ed efficiente.

foto di Phillip Graybill and Rob Sheridan, dal pdf gratuito scaricato con l'album Ghost I.

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screenshot del sito ufficiale, dal quale è possibile accedere ad una delle alternative d'acquisto descritte, oppure ascoltare gratuitamente online il primo dei quattro dischi. inserendo l'indirizzo email è possibile ricevere inoltre il pdf con gli scatti fotografici ad alta risoluzione che corredano l'album quadriplo.

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Il nuovo paradigma della rock star Il successo, nel buisness della musica, non si rispecchia più nelle vendite degli album. Il cantante e portavoce degli Ok Go spiega come farcela senza un’etichetta discografica (puntando sull’efficacia dei videoclip). di Damian Kulash, tratto dal Wall Street Journal, 17 dicembre 2010

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La mia rock band ha saltato attraverso mole rotanti, si è mimetizzata con carte da parati, ha suonato con la Notre Dame marching band, ballato con dozzine di cani, ha costruito un’animazione con 2300 fette di toast, compresso una ripresa continua lunga un giorno in 4 minuti e mezzo e costruito la prima macchina Rube Goldberg in assoluto - almeno a quanto ne sappiamo per operare sul tempo nella musica. Siamo conosciuti grazie ai nostri video, per la realizzazione dei quali dedichiamo la stessa passione e perseveranza che riversiamo nello scrivere le nostre canzoni. I nostri video hanno registrato solo su YouTube 120 milioni di visualizzazioni, oltre a innumerevoli milioni di condivisioni e pubblicazioni su internet e televisione. Per molte persone la domanda ovvia è: tutto questo ha aiutato le vendite? La risposta immediata è sì. Abbiamo venduto più di 600 mila dischi nell’ultimo decennio. Ma la risposta ancor più importante è che non importa poi così tanto. Mezzo milione di dischi non sono concretamente quantificabili, ma sono le statistiche online ad indicare l’andamento del nostro buisness e, in ultima istanza, la taglia delle nostre entrate. Una volta contavamo sugli investimenti e sul supporto di un’etichetta discografica. Ora registriamo una comparabile entrata di denaro proveniente direttamente dai fan e sfruttando le licenze e gli sponsor. I nostri conti bancari non possono competere con quelli di Lady Gaga, ma in compenso abbiamo più libertà creativa.

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Per dieci anni gli analisti hanno sofferto di iperventilazione costante a causa del declino dell’industria musicale. Ma la musica non è andata via. Noi ci siamo fatti da parte nel momento in cui abbiamo capito che un artista può realizzare e vendere dei dischi da solo. La musica è antica quanto l’umanità intera ed è difficile definirla. È un’esperienza effimera, temporale e soggettiva. Per molto tempo, dalla seconda guerra mondiale fino agli ultimi dieci anni, l’industria musicale ha condotto ad una stabile e circolare definizione di “musica”, secondo la quale “la musica è il disco”. Questi oggetti permettevano agli artisti non solo di mettersi in comunicazione con gli ascoltatori in qualsiasi luogo e momento, ma offrivano anche un discreto pacchetto di servizi. Era il perfetto imbottigliamento della luce: un’esperienza estremamente potente poteva essere contenuta, trasportata e venduta come ogni altro prodotto commerciale. 60| la questione della musica


Poi arrivò Internet e, in meno di una decina d’anni, il sistema crollò. Con l’incontrollabile ed infinita duplicazione e distribuzione di album, vendere musica diventò un po’ come vendere mele a persone che vivono in un frutteto. Nel 1999 si incassarono in totale 26,9 miliardi di dollari; nel 2009 quella cifra, includendo le vendite digitali che ora rappresentano il 25% degli acquisti (quasi il 50% negli USA), è precipitata a 17 miliardi. Per otto degli ultimi dieci anni il declino dei redditi derivato dalla vendita di dischi è diventato più drastico, vale a dire che il mercato sta implodendo con maggior vigore. Risulta quindi nuovamente difficile definire la musica. Sta diventando più un’esperienza e meno un oggetto. Senza i dischi che rappresentano un chiaro recipiente del loro valore, le regole del secolo scorso - sia industriali che creative - sono finite fuori dalla finestra. 61| la questione della musica


“Quando le persone visitano il sito e scaricano la musica, ci stanno donando il loro tempo, il loro bene più prezioso”. Di recente Mr. Smith ha iniziato una collaborazione con una piccola compagnia musicale, ma a differenza del tradizionale funzionamento delle etichette, questo programma gli permetterà di guadagnare il 50% di ogni entrata. Il successo dei tour di Mr.Smith purtroppo non è un fenomeno indicativo per le pratiche dell’industria musicale. Le performance dal vivo, prima considerate come l’ultima speranza del buisness musicale, ora non sembrano rappresentare che semplici esibizioni. Live Nation, il più grande promoter di concerti negli USA ha recentemente documentato che le entrate dei concerti sono calate del 14.5% dall’anno scorso. Un report di Edison Research rivela che nel 2010 la fascia d’età che va dai 12 ai 24 anni ha assistito a meno della metà dei concerti a cui aveva preso parte nel 2000; quasi due terzi non ne ha visto nessuno. Quindi, se gli introiti della vendita di dischi non sono stati rimpiazzati dalle entrate provenienti dai tour, come fanno i musicisti a portare il pane in tavola? Per gli artisti moderatamente benestanti la risposta sta nell’incentivare la sfera degli sponsor e delle licenze - un ritorno, in un certo senso, all’antico metodo secolare del patrocinio. Nel 1995 era raro per i musicisti godere della partnership delle corporazioni; in molti ambiti dell’industria musicale era vista come l’ultima chance di vendita. Con le difficoltà di investimento da parte delle etichette, tuttavia, l’atteggiamento verso le collaborazioni con i partner esterni è cambiato. Al giorno d’oggi il denaro proveniente dalle case disco-

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grafiche spesso giunge con, inglobate, più restrizioni creative rispetto agli investimenti impiegati da altri tipi di industrie. Un’etichetta discografica misura di solito il suo successo in base al numero di dischi venduti. Gli sponsor esterni, al contrario, tendono ad avere una visione più allargata. Le unità di misura possono essere le menzioni della stampa, il traffico di un sito web, la quantità di indirizzi email raccolti o le visualizzazioni dei video online.

Gli artisti hanno un contatto molto più significativo, diretto ed emozionale con i loro fan, e in un tempo in cui guadagnare l’attenzione del pubblico è sempre più difficoltoso a causa dell’armata dei marketer in competizione, quel tipo di accesso è un grande vantaggio. La mia band si è allontanata dall’etichetta discografica EMI poco meno di un anno fa. Mentre noi rappresentavamo un profitto per loro, le nostre possibilità erano inferiori a quelle delle altre tradizionali band di successo, poichè le visualizzazioni sul nostro canale youtube non generavano direttamente profitto quanto le vendite di dischi. La nostra idea di cosa costituisce il successo, e di come guadagnare da esso, eventualmente non era in accordo con le linee di principio della EMI. Ora, quando abbiamo bisogno di fondi per un grande progetto, cerchiamo degli sponsor. Un paio di settimane fa, la mia band ha trascinato una parata per 8 miglia lungo le strade di Los Angeles, grazie allo sponsor Range Rover. Non hanno portato macchine, merchandise o altro; hanno solo chiesto di nominarli nella documentazione dell’evento. Poche settimane prima abbiamo realizzato un video musicale in partnership con Samsung e in Febbraio un altro è stato sottoscritto da State Farm. Abbiamo il completo controllo creativo nella produzione. Alla fine di ogni clip ringraziamo le compagnie coinvolte, in modo genuino, poichè siamo loro realmente grati. Abbiamo il denaro di cui necessitiamo per fare ciò che vogliamo, i nostri fan gradiscono i videoclip, che sono gratis, e i nostri associati Medicis hanno quello che i loro dipartimenti di marketing cercano: milioni di fan che li stimano. Mentre molte band lottano per realizzare video modesti con le loro etichette discografiche, le quali li considerano mezzi inefficaci, i nostri hanno fatto levitare i nostri profitti.

nella pagina a fronte: frame dal video degli Ok go! This too shall pass

Per quelli che riescono a trovare un pubblico e un riscontro economico fuori dal sistema tradizionale, questo potrebbe voler dire liberarsi dalle grinfie delle case discografiche. Il cantautore georgiano Corey Smith non ha mai firmato un contratto discografico, eppure nel 2008 ha incassato circa 4 milioni di dollari grazie a tour, merchandise ed altre entrate, raccogliendo quasi 2 milioni di dollari da reinvestire nel buisness dell’artista, secondo il suo manager Marty Winsch. Mr.Smith mette a disposizione i suoi brani tramite il download gratuito e Mr.Winsch tiene a sottolineare che fungono da promozione per gli show dal vivo. “Non consideriamo questa operazione come gratis”, spiega.


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Non siamo i soli a collaborare con i brand. Gli sponsor associati agli eventi musicali e all’industria discografica nel Nord America hanno totalizzato 1 miliardo di dollari nel 2010, contro i 575 milioni del 2003, secondo William Chipps, autore dello IEG Sponsorship Report, un bollettino residente a Chicago che riporta ed analizza l’andamento delle sponsorship. A confronto, l’organizzazione PPL per le licenze musicali britanniche afferma che le compagnie discografiche, in quanto a investimenti sulla promozione e marketing degli artisti, hanno incassato 5 miliardi di dollari. I numeri misurano solo diverse parti dell’industria, ma dal punto di vista dell’artista una cosa è certa: gli investimenti delle corporazioni esterne al mercato musicale stanno rapidamente scavalcando la portata delle etichette tradizionali. Ancora adesso questo modello non è abbastanza utilizzato dalle band emergenti, dal momento che le compagnie tendono a scommettere i loro fondi su artisti già inseriti. Questo ci porta ad una parte della vecchia industria discografica che nessuno sembra saper rimpiazzare: la banca. Anche in tempi sereni, le etichette profittevoli potevano considerarsi di successo anche solo con il 5% dei loro artisti. I contratti vennero pesantemente intaccati in favore delle etichette, in modo che i profitti maggiori, anche se di pochi successi, potessero controbilanciare i più numerosi fallimenti.

L’insieme delle case discografiche hanno portato alti rischi all’industria musicale. Anche se nell’era digitale ci sono nuovi e più efficienti modelli di distribuzione e promozione, non ci son molti nuovi modelli per investimenti di partenza. “Questa è la domanda da un miliardo di dollari”, dice Ed Donnelly dell’Aderra Inc., una compagnia che segue le band in tour, registra i loro show e, proprio lì, nel luogo dedicato al concerto, vende le registrazioni agli spettatori confezionate sottoforma di dispositivi USB personalizzati (gli Ok Go sono loro clienti).

“Certo, lavoro con molti gruppi giovani ed emergenti”, dice il sig. Donnelly, “ma non sono un imprenditore capitalista e non ho interesse nel tentare di sostituirmi alle infrastrutture che le etichette promuovevano. Sto cercando di dare alle nuove band gli srumenti per fare le cose a proprio modo. Quello che le industrie vendono sono dischi, quello che noi vendiamo sono esperienze e collegamenti emozionali con l’artista.” Nonostante questo sistema non riesca a garantire gli incassi a sei cifre di cui i gruppi emergenti godevano negli anni '90, può essere comunque considerato il pezzo mancante nel puzzle che riguarda la voce “ricavo”.

la penna USB che la band Killola distribuisce in seguito alle esibizioni live e alcuni screenshot del portale a cui si ha accesso attraverso la chiavetta.

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La band Killola, di Los Angeles, priva di contratto e management, ha tenuto un tour l’estate scorsa e ha offerto edizioni speciali di penne USB che includevano album interi, registrazioni dal vivo e l’accesso a due futuri concerti privati online, per 40 dollari al pezzo. I Killola hanno incassato 18 mila dollari e raggiunto un sicuro equilibrio monetario. Il sig. Donnelly dice “Non posso immaginare che stiano per investire i loro primi guadagni in uno yacht quando solitamente le band al loro stadio di carriera non riescono nemmeno ad affrontare i costi di un tour.”

Quello che i Killola stanno imparando è che vivere da musicista non vuol dire più solamente vendere dischi. Riguarda invece l’offrire l’intero pacchetto: se stessi. E vi sono molti altri pionieri che stanno seguendo questa strada. Il batterista Josh Freese ha venduto il suo album online con un ventaglio di opzioni extra. Per 250 dollari i fan avrebbero potuto pranzare con lui al P.F. Chang’s; secondo quanto dice, i 25 pezzi messi a disposizione sono stati venduti in un giorno. Un fan ha scelto l’opzione da 20 mila dollari, che includeva una giornata di minigolf con Mr.Freese e i suoi amici. La cantante Amanda Palmer ha incassato 6 mila dollari in tre

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ore, senza lasciare il suo appartamento, vendendo all’asta souvenir e riprese video. La rock band di New Orleans di nome Bonerama ha pubblicamente dichiarato che terrebbe un concerto in casa degli interessati per 10 mila dollari. Non tutti i musicisti hanno il progetto di vendere letteralmente se stessi, ma si può dire che la personalità e le vite private dei musicisti, ora, rappresentano fattori molto più riconosciuti come possibili fonti di vantaggio. L’account Twitter del cantante 50 Cent si può dire che abbia molta più risonanza rispetto a quella ottenuta con il suo ultimo album, e Kanye West ha creato una forma d’arte al di fuori di quelle conosciute dall’occhio del pubblico, pubblicando spontaneamente conferenze stampa online e aggiornando il suo blog. Non è un’idea così rivoluzionaria. La musica pop ha sempre goduto di una quantità di modalità di comunicazione che vanno oltre i soli suoni, gli accordi ed i testi. Agli albori, le anche di Elvis erano famose quanto la sua voce, e i lighter fluid di Jimi Hendrix memorabili al pari dei suoi riff, ma allora l’unico parametro per quantificare il successo erano le classifiche del Billboard. Ora invece siamo più svincolati rispetto alla registrazione in studio come unico mezzo e possiamo misurare il successo in base ai fan di Facebook, classifiche di siti web e, fortunatamente per me, le visualizzazioni YouTube.


«Questo è il grande regalo che la rete può fare a chi fa il mio mestiere, un amplificatore della propria voce gestito in totale autonomia.» Francesco De Gregori, luglio 2011

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abatā. Il progetto Una volta inquadrato il dibattito analogico/digitale nel campo della progettazione grafica e messo in relazione con il medesimo binomio esistente nel ramo della musica (dall’evoluzione dei supporti alla smaterializzazione della traccia), la fase successiva è l’applicazione di questi presupposti teorici ad un progetto di graphic design. Essendo la relazione tra analogico e digitale il nucleo di tutto il discorso, il progetto stesso deve contenere e rispettare in ogni momento i due termini messi a fuoco. Dunque, l’analogico, nella musica, è un fattore ormai completamente privo di valore, perciò urge ridargli una forma, un alter-ego tangibile, che non sia il supporto. Ma se quest ultimo viene meno, la domanda sorge spontanea: come ascoltare? Qui entra in gioco il digitale. Che lo si riconosca, accetti, o meno, la musica viaggia sugli zero e gli uno, il formato mp3 è il più comodo e leggero, è facilissimo da caricare e scaricare sul/dal proprio computer e proprio il PC è il principale mezzo di riproduzione dei file musicali, gli stereo e i giradischi sono diventati semplici oggetti di arredamento. Di conseguenza, l’oggetto che dovrebbe rappresentare l’opera musicale e fornirne un riferimento tattile e visivo, deve poter in qualche modo dialogare con la macchina che riproduce il suono. Come se si tratti di un link fisico ad un indirizzo web. Con il QR code, il codice a barre di ultima generazione, è possibile che tale operazione abbia effettivamente luogo. Ultimo punto da definire è come devono essere questi oggetti. Di che materiale, grandezza, forma. Nel mestiere del graphic designer l’elemento con cui si ha più a che fare, per progetti che spaziano dalla comunicazione in generale, all’immagine coordinata, alle pubblicazioni, opere di editoria etc., è la carta. Si tratterebbe dunque di progettare degli oggetti di carta. E di fare in modo che: 1) diano identità alla musica, ossia ad un artista, ad un album, o ad un brano; 2) possano “parlare” con la dimensione digitale, attraverso il QR code, in modo che sia effettivamente possibile l’ascolto della musica digitale. È così che nascono gli abatā.

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A. riferimenti


Riferimenti progettuali. Gli origami Se si parla di oggetti di carta, il riferimento immediato cade sulla tecnica origami. Nella cultura giapponese la pratica di realizzare oggetti per mezzo di pieghe (ori sta per “piegare”), ma anche di tagli (si parla in questo caso di kirikami, kiri: “talgiare”), risale ai tempi dei monaci Shintoisti, i cui Dei prendevano proprio il nome di Kami, lo stesso termine utilizzato per indicare la carta. Non a caso gli origami nascono come doni che i monaci offrivano alle divinità presso i templi. Un’indicazione alternativa riguardo le origini dell’origami può considerarsi la pratica del noshi-awabi (durante l’epoca Muromachi, 1392-1573), una cerimonia in cui veniva consegnato ai samurai un particolare mollusco (che rappresentava l’immortalità), all’interno di un foglio piegato. Questa confezione di carta cominciò ad assumere conformazioni sempre più complesse, fino ad arrivare presumibilmente alle raffigurazioni di oggi, che ben conosciamo. In genere si utilizzano semplici pieghe e tagli, in modo da conformare l’oggetto finale con il minimo intervento sul materiale. Il raggiungimento di questo grado di essenzialità è il principio fondamentale della tecnica origami, talmente assoluto che si potrebbe astrarre ed applicare a qualsiasi altro campo della vita. Anche parlando di design, il processo di eliminazione del superfluo e di ciò che si presenta come abbellimento scisso dalla funzione e non intrinseco ad essa, è il punto da cui la progettazione dovrebbe partire. Dagli anni ‘60 in poi la sperimentazione nel campo degli origami si indirizza verso la concezione di assemblaggio modulare. Piegando allo stesso più matrici di carta e successivamente concatenandole, sono nati gli origami modulari, dei quali gli esemplari più rappresentativi sono le costruzioni dei diversi solidi geometrici. Si tratta dunque di un livello successivo alla iniziale costruzione attraverso pieghe generate su un singolo foglio. Il procedimento di montaggio acquisisce in questo modo un ulteriore valore semantico di costruzione, creazione, presa di coscienza dello spazio, nonchè di variabilità progettuale, poichè a partire da uno stesso modulo i risultati possibili sono diversi. Con i decenni la tecnica è andata diffondendosi in tutto il mondo, urgeva dunque definire un codice che permettesse a tutti di studiarla e apprenderla. Nei primi anni '50, il maestro origami Akira Yoshizawa introdusse un sistema di notazione, basato su linee continue, puntinate e tratteggiate, per rappresentare i procedimenti di piega. In seguito, con l’americano Sam Randlett, completò il linguaggio inserendo i simboli relativi alle azioni da compiere per realizzare l’origami. Il sistema Yoshizawa-Randlett è diventato uno standard e viene ancora oggi utilizzato.

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La gru (crane, in inglese), è il più conosciuto esempio di origami ed è simbolo di pace.

Quella degli origami è dunque una pratica che continua ad esistere, continua ad essere appresa e migliorata dagli Yoshizawa moderni. Vi è un particolare caso, quello di un’artista francese, Etienne Cliquet, il quale ha sviluppato, con l’aiuto di un programmatore, un software che permette di visualizzare virtualmente le pieghe su un modulo iniziale quadrato, il quale simula il foglio di partenza dell’origami, e di ricevere immediatamente la configurazione che esso ha una volta piegato. Cambiando l’orientamento e la lunghezza delle linee di piega è possibile notare come il modello finale assume diverse conformazioni.

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piega nella direzione indicata

apri la piega nella direzione indicata.

piega e apri, relativamente secondo la freccia normale e quella chiusa.

piega verso il retro, crea una piega a monte.

piega e apri, creando una linea di piega.

piega verso il retro e riapri, creando una piega a monte.

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linea continua: bordo del foglio; linea tratteggiata: piega a valle; linea tratto punto: piega a monte; linea puntinata: bordo non visibile; superficie bianca: fronte del foglio; superficie grigia: retro. Questo linguaggio grafico, insieme ad un sistema di simboli di cui vi è un esempio nella pagina a fianco, sono utilizzati nella notazione Yoshizawa-Randlett.

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Riferimenti progettuali. Munari e le sculture da viaggio Gli studi topologici di Bruno Munari (1907-1998), abbracciano tematiche che spaziano dal disegno, alla grafica, al design del prodotto, e partono tutti da una base sperimentale, in cui non è il risultato che guida il progetto, ma il processo. Sia nel campo del segno e dunque della bidimensionalità, che in quello dello spazio 3D, le matrici degli studi sono costituite da elementi estremamente semplificati, adatti ad essere poi combinati progressivamente fino a raggiungere risultati complessi. In tal modo, così come a partire da segni concavi e convessi vengono esplorate le proprietà di pieno e vuoto per studiare la percezione visiva, la profondità, la riconoscibilità delle forme e la loro destrutturazione, è possibile estrapolare il medesimo ragionamento per quanto riguarda le forme nello spazio tridimensionale. Negli studi topologici di questo genere Munari sfrutta le proprietà intrinseche della carta, ma anche di materiali come il metallo, sperimentando le conformazioni possibili che si possono ottenere da un modulo quadrato o rettangolare e successivamente operando semplici tagli e pieghe. É nel 1951 che nascono le prime Sculture da viaggio, battezzate ufficialmente con questo nome solo nel 1958. Le prime prendono le mosse da delle sperimentazioni che Munari stava portando avanti utilizzando un foglio quadrato di lamiera. Successivamente la semplicità della loro strutturazione viene applicata ad un materiale ancor più facilmente reperibile, la carta. La scelta di questo supporto eleva gli studi ad un livello ancor più alto di praticità, riproducibilità e trasportabilità.

negativo-positivo a forme curve, 1948, coll. Angelo e Silvia Calmarini Forma sinuosa (negativopositivo) 1940, tempera su carta, cm 17 x 25, courtesy Miroslava Hajek

negativo-positivo a forme curve, 1950, olio su tavola cm 50 x 50, courtesy Miroslava Hajek

Forme topologiche ricavate da forme bidimensionali. Queste forme non hanno più le caratteristiche delle normali forme plastiche in cui esistono ben definite una zona anteriore, una zona posteriore oppure un dentro e un fuori. In queste figure la superficie interna resta collegata con quella esterna dando luogo ad una continuità.

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«La scultura si presenta piegata in una busta. Si apre la busta e si estrae la scultura. Appoggiate la scultura su di un piano orizzontale (sui piani inclinati scivola) e prima di spegnere la luce osservate come questa illumina le varie parti sporgenti o rientranti, le parti piene e quelle vuote. Voltatela dall’altra parte, cambia aspetto, i vostri pensieri da pratici diventeranno lentamente estetici (la velocità dipende da voi), non vi domanderete più “cusa l’è chel rob ki” e vi addormenterete felici. Buona notte.» [Bruno Munari, Codice ovvio, Einaudi]

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I Quick Response Code nascono come evoluzione dei codici a barre tradizionali, con il vantaggio di inglobare una quantità maggiore di informazioni. Quando lo standard venne brevettato nel 2002, da parte della Denso Corporation, il principale scopo era quello di identificare gli articoli commerciali in maniera più rapida e allo stesso tempo precisa. Il metodo di lettura era programmato per avvenire tramite dei nastri trasportatori (sui quali il prodotto confezionato poteva scorrere), ed un dispositivo luminoso che, colpendo la superficie del packaging, leggeva il codice estrapolandone i dati. Negli ultimi due anni questi paper-based hyperlink (collegamenti ipertestuali cartacei), hanno trovato applicazioni in diversi contesti, soprattutto in quello pubblicitario e commerciale, ed hanno subìto manipolazioni estreme che li hanno persino volti a forma d’arte. Se prima il mezzo di decodifica era un macchinario di notevoli dimensioni come quelli utilizzati nei magazzini, adesso si utilizzano gli smartphone, che con semplici applicazioni sono in grado di catturare il codice attraverso fotocamera e di estrapolarne le informazioni. Il QR code si presenta come una griglia basata sul quadrato, come se si trattasse di uno schermo e dei suoi pixel. Alcuni moduli sono pieni, neri, altri sono vuoti, bianchi. In corrispondenza di tre dei quattro vertici vi sono dei pattern differenti che servono ad identificare l’ingombro e la posizione del codice, e permette di riconoscerlo anche se viene letto da angolazioni imprecise. In altri punti si possono individuare delle aree simili ai nodi angolari, che servono a determinare l’allineamento generale del codice. I dati veri e propri sono contenuti nella zona “pixelata”, in cui ogni cella indica un elemento del codice binario, 0 o 1. Molti brand hanno sfruttato questa parte del codice per inserire immagini o segni in grado di personalizzare il codice. Ciò è possibile entro un certo limite, grazie all’algoritmo di Solomon-Reed, che ricostruisce il codice delle aree su cui l’apposizione delle immagini ne impedisce la decodifica. Più è alto il livello di correzione di questi errori, meno spazio è disponibile per i dati veri e propri. Un QR code può contenere fino a 4296 caratteri alfanumerici, 7089 caratteri numerici, o un totale di 2953 bytes. A seconda della quantità di informazioni, si possono avere i code Small, Medium o Large. Il principale vantaggio di questa tecnologia è l’alto grado di riproducibilità attraverso diverse tecniche, da quelle analogiche come la stampa o lo stencil, a quelle digitali come la proiezione su monitor LED.

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Il manifesto della campagna lanciata da Twitter, nel settembre 2010, per celebrare i 50 anni dalla campagna presidenziale del presidente John Fitgerald Kennedy. Gli utenti potevano tenersi aggiornati sui contenuti pubblicati sul feed, fotografando il QR code e collegandosi direttamente al canale Twitter.

Riferimenti progettuali. I QR code


JFK, up close, 50 years later. Follow the campaign live on Twitter. Use your QR code reader to directly access the JFK Twitter feed or visit Twitter.com/Kennedy1960 THE JFK PRESIDENTIAL LIBRARY & MUSEUM

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B. presupposti


La costante: il quadrato Esaminando l'evoluzione dei supporti, la smaterializzazione di questi ultimi e il riflesso che questo percorso ha avuto nella comunicazione visiva attraverso l'involucro, l'archetipo del quadrato come forma perfetta che racchiude quella del disco, rimane un riferimento molto forte anche oggi. Sebbene i Compact Disc siano in netto calo di vendite tranne sporadici casi, persino nei software per l'ascolto della musica digitale si utilizzano le sempreverdi copertine quadrate appartenenti in alcuni casi ai CD, in altri alle edizioni originali in vinile. Come detto in precedenza, la dimensione della fantomatica cover 30x30 cm dei 33 giri, ha sempre consentito una grande libertà di espressione a coloro che si occupavano della veste grafica del supporto. Allo stesso tempo l'oggetto poteva essere fruito non solo come supporto di informazioni sonore, ma anche come veicolo di valore espresso attraverso il canale visivo. Punto di partenza è dunque il materiale carta e il formato quadrato, 30x30 cm. L'intento progettuale è quello di restituire fisicità alla musica, facendo in modo che gli oggetti in questione rappresentino un valore aggiunto rispetto a quello della copertina. Quest'ultima poteva sì godere di un particolare livello estetico/comunicativo, ma nasceva pur sempre come contenitore di un oggetto, il supporto. Dato che questo aspetto, con la musica digitale, ha perso totalmente valore, si tratta di affidare l'intera identità visiva a questi oggetti di carta. Questi sono gli abatā. Il termine indica la traduzione in giapponese di avatar, termine utilizzato in gergo per indicare l'immagine virtuale che si utilizza sui social network o servizi di comunicazione tramite web. Essa dovrebbe rappresentare un alter-ego dell'utente. In realtà il concetto deriva dalla religione induista, nel quale avatar indica il corrispettivo in carne e ossa di una divinità scesa in terra. Gli abatā rispettano effettivamente questo processo di materializzazione di entità o concetti astratti, in questo caso, della musica.

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Gli interventi sulla carta Dopo aver chiarito i primi punti fermi del progetto, sono passata alla sperimentazione delle varie possibilità che il materiale è in grado di offrire una volta effettuate su di esso operazioni di lieve modifica, come pieghe e tagli. Per i paper sketches è stato utilizzato un modulo quadrato variabile tra i 7 e i 10 cm, di carta opaca, grammatura 90 g/m³. Le forme ottenute sono state raggruppate in: 1) tagli e pieghe, forme leggere. In questi casi le pieghe non generano figure spezzate, ma sono utilizzate solo per far sì che l'oggetto possa mantenersi. I lembi di carta rimangono svolazzanti o semi-arrotolati, creando figure aeree. 2) tagli e pieghe, forme statiche. A differenza del gruppo 1, questi schizzi hanno una base più lineare, non vi sono parti tese ma solo pieghe, che combinate a minimi interventi di taglio, risultano sia espressive che funzionali per la staticità dell'oggetto. 3) solo pieghe, forme convergenti. si trovano sia esempi con porzioni di carta tesa-semiarrotolata, sia casi con lembi totalmente piegati. In tutte le varianti rimane costante l'andamento convergente delle figure, spesso richiamante il triangolo, singolo o in serie. 4) solo pieghe, forme su assi e diagonali. I risultati sono tutti incentrati su griglie derivanti da quella di base del quadrato, per cui le configurazioni rispettano un fattore comune di geometricità e regolarità. 5) tagli e accartocci, forme casuali. Non vi è una regola di base tranne quella di basarsi sul disordine. Le forme sono asimmetriche, irregolari, estremamente astratte.

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gruppo 1: tagli e pieghe forme leggere

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gruppo 1: tagli e pieghe forme leggere

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gruppo 1: tagli e pieghe forme leggere

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gruppo 2: tagli e pieghe forme statiche

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gruppo 2: tagli e pieghe forme statiche

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gruppo 2: tagli e pieghe forme statiche

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gruppo 2: tagli e pieghe forme statiche

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gruppo 3: solo pieghe forme convergenti

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gruppo 3: solo pieghe forme convergenti

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gruppo 4: solo pieghe forme su assi e diagonali

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gruppo 4: solo pieghe forme su assi e diagonali

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gruppo 5: tagli e accartocci forme casuali

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gruppo 5: tagli e accartocci forme casuali

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Le variabili In seguito alle sperimentazioni su prototipi quadrati di dimensione inferiore ai 30x30 cm, sono state fissate delle variabili in grado di caratterizzare i generi e definire un percorso che li colleghi dalla loro dimensione astratta a quella fisica dell'esperienza cartacea. Tra le tante categorie e sottocategorie musicali ne sono state individuate tre rappresentative, la musica classica, i cantautori ed il punk. A partire dalle parole chiave relative agli aspetti di ciascun genere si passa gradualmente alla sfera dei contenuti e del riflesso che queste variabili possono avere direttamente sulla carta. Questo grafo mette a confronto i parametri individuati ed i tre generi, successivamente sarĂ meglio spiegata l'operazione di traduzione di questi concetti astratti in interventi sui moduli quadrati di riferimento.

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punk cantautori classica

aggressività

racconto

ricordo

ansia

armonia

dolore

quiete

equilibrio

rifiuto

key words complessità formale

ritmo

voce

rumore

testo articolato

dinamismo

staticità

solennità

linearità

composizione grezza

parola

rozzezza

canali testo

grafi

icone

immagini

contenuti sans

serif

slab

script

mono

font leggerezza

rigidità

delicatezza

modellabilità

ruvidità

irregolarità

staticità

dinamismo

curve

linee

configurazione

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C. artisti selezionati


Le variazioni di Goldberg Johann Sebastian Bach Musica Classica 1741/1745 L'opera è stata concepita come un'architettura modulare di 32 brani, disposti seguendo schemi matematici e simmetrie che le conferiscono tanta coesione e continuità da non avere eguali nella storia della musica. Insieme all'Arte della fuga può essere considerata il vertice delle sperimentazioni di Bach nella creazione di musica per strumenti a tastiera, sia dal punto di vista tecnico-esecutivo, sia per lo stile che combina insieme ricerche di alto livello musicali e matematiche. Sebbene in passato le Variazioni Goldberg fossero considerate soltanto un esercizio tecnico piuttosto ripetitivo, nel XX secolo il contenuto emotivo e la portata dell'intera composizione sono stati ampiamente valorizzati, anche grazie ad analisi critiche e tecniche piuttosto estese. Le Variazioni Goldberg offrono il migliore esempio di una musica concepita per la ricreazione di uno spirito competente ed esigente. Il grande valore strutturale, l'irraggiungibile tecnica compositiva, l'abilità di toccare ogni possibilità espressiva del clavicembalo e la tecnica esecutiva richiesta fanno delle Variazioni Goldberg un vero monumento all'intelligenza del grande compositore. Sono molte le incisioni disponibili in tutto il mondo, insieme a libri e studi: ciò ha contribuito a renderlo uno dei pezzi più apprezzati da molti appassionati di musica classica ed eseguite su una varietà di strumenti musicali.

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Suor Angelica Giacomo Puccini Musica Classica 1918 L'azione si svolge verso la fine del XVII secolo, tra le mura di un monastero. Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un peccato d'amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo più nulla del bambino nato da quell'amore, che le era stato strappato a forza subito dopo la nascita. L'attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del monastero Angelica è attesa a colloquio dalla zia principessa. Ma la vecchia signora, algida e distante, non è venuta a concederle il sospirato perdono, bensì a chiederle un formale atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio familiare, allo scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola, prossima ad andare sposa. Il ricordo di eventi lontani ma mai cancellati dalla memoria e la possibilità di avvicinare una persona di famiglia spingono Angelica a chiedere con insistenza notizie del bambino. Ma con implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è morto, consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta di schianto a terra, la vecchia non sa porgere altro conforto che una muta preghiera. Il pianto di Angelica continua, soffocato e straziante, anche dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si fa strada l'idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui per sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca nell'orto del monastero: raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara una bevanda mortale. D'improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del distillato, Angelica è assalita da un angoscioso terrore: conscia di essere caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un segno di grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e, con gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della morente.

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Non al denaro non all'amore nè al cielo Fabrizio De Andrè Cantautori 1971 Ogni uomo è segnato di virtù e vizi, delle prime Fabrizio De Andrè non s’interessa, piuttosto smembra i vizi, per comprenderne l’entità. In Non al denaro, non all'amore né al cielo c’è tutto quello che è De Andrè, il menestrello aulico dal linguaggio forbito, sapiente e popolano, capace di utilizzare storie di vita quotidiana, sporche e neorealiste, e farne veri e propri insegnamenti morali dal simbolismo poetico. Ispirato dalle Antologie di Spoon River, romanzo di Edgar Lee Masters (con traduzione di Fernanda Pivano), e arrangiato da Nicola Piovani, questo concept album racconta la storia di una collina, dove uomini e donne riposano, confortati e maledetti dai propri ricordi, ognuno narrando la propria vita, la propria morte. Si apre con, appunto, La Collina, il teatro dove gli attori mettono in scena il loro spettacolo, esattamente come il libro, De Andrè, come la tradizione del menestrello vuole, fa una presentazione del non-luogo e del non-spazio dove ci stiamo per addentrare, il cimitero di Spoon River, di queste anime perdute, che vagano, morte accidentalmente, per un incidente, per un vizio, per l’invidia o per amore. Il secondo brano è Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio), colui che fu preso in giro in vita, e che s’imparò la Treccani a memoria, per sentirsi accettato dagli altri, vincendo per vendetta nel finale, avvalendo il suo ruolo, in un vivere dove si stenta a riconoscere chi è l’ipotetico normale. Un giudice è la storia di un nano che fu deriso per la propria statura, e si fece giudice per potersi sentire più alto degli altri e poterli condannare, ma, come chi decide di vendicarsi diventando egli stesso carogna, subì il giudizio di chi è più alto di chiunque altro, Dio.

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Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato), ballata sincretica, contestualizza l’uomo dinanzi alla Verità misteriosa quale viene posta da Dio all’uomo, e quest’ultimo scettico del divino creato; probabilmente il giardino incantato esiste nel momento stesso in cui ci si chiede della sua esistenza, dietro un semplice blasfemo, colui che pone il dubbio. Un malato di cuore, è una dedica d’amore verso l’amore stesso, colui che ha vissuto a stento la propria vita, non riuscendo a viverla davvero, muore nel momento in cui sfiora le labbra della donna che ama, la sua vendetta coincide con il sentimento, quel palpito, sconfiggendo l’invidia grazie a quell’attimo di felicità prima di spirare. Un medico è la storia di un dottore che, per ingordigia di successo, vende pozioni e medicine fittizie, preso per ciarlatano, muore solo nella vergogna e nella tristezza. Un chimico è l’allegoria di chi non vuol comprendere l’amore, l’unione di due persone, il chimico che ama invece la congiunzione degli elementi e infine muore per un esplosione, proprio come gli idioti che muoiono d’amore. Un ottico, metafora probabilmente di un venditore ambulante di droghe allucinogene, l’ottico che creava occhiali per poter vedere cose che gli altri non potevano vedere, il mondo offre la bellezza di cui abbiamo bisogno, morale finale. E infine il Suonatore Jones, brano intimo e appassionato, dove riaffiora qualcosa di autobiografico, in quello che morì alcolizzato amando non altro che il proprio suonare e mai un pensiero non all’amore, non al denaro, né al cielo.


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Ballad of a thin man Bob Dylan Cantautori 1965 Canzone oscura e minacciosa, Ballad of a Thin Man parla di un fantomatico "Mr. Jones", che entra in una stanza piena zeppa di tipi strani e alternativi e "non capisce cosa stia succedendo" (don't know what's happening). È smarrito come sarebbe potuto essere Nick Charles, il personaggio principale del celebre film del 1934 The Thin Man, se avesse incontrato Allen Ginsberg e Peter Orlovsky. A parte tutte le interpretazioni possibili, il termine "Mr. Jones" è diventato nel tempo sinonimo di mediocrità, del borghese medio perbenista, refrattario o semplicemente allibito davanti alle stranezze della controcultura underground. La prima strofa della canzone, You walk into the room, with your pencil in your hand (Entri nella stanza, con la tua penna in mano), sembra confermare la supposizione che il "Mr. Jones" della canzone possa essere un giornalista. In una intervista di metà anni ottanta alla rivista Q magazine, Dylan sembrò identificare Mr. Jones in Max Jones, un ex critico musicale del Melody Maker, avvalorando la tesi che "Mr. Jones" era semplicemente uno di quei critici a cui non piacevano o che non capivano le canzoni del Dylan "criptico" e psichedelico di metà anni sessanta. Un'altra ipotesi è che il Jones in questione fosse Jeffrey Owen Jones (in seguito docente di cinematografia al Rochester Institute of Technology). Come giornalista collaboratore del Time Magazine, Jones aveva intervistato Dylan il giorno prima della leggendaria esibizione del cantante al Newport Folk Festival del 1965. Il brano è contenuto nel celebre LP Highway 61, del 1964, considerato uno dei capolavori di Bob Dylan e l'album che sancisce la nascita del folk rock. In questo disco si trovano inoltre altre pietre miliari come Like a rolling stone, Desolation Row e Highway 61 Revisited.

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Never mind the bollocks The sex pistols Punk 1977 Molto probabilmente il disco che, per antonomasia, ha saputo simboleggiare il mutamento di un’epoca, Never Mind The Bollocks… Here's The Sex Pistols, unico vero LP dei Sex Pistols; il fiuto di una piccola casa discografica da poco fondata, la Virgin Records, che è riuscita a raccogliere questi quattro ragazzetti di strada in un momento preciso sociale e storico, facendone bandiera del rock, fulcro embrionale e vera è propria chiave di volta rivoluzionaria. I testi sono nichilisti e incoscienti, come il modo di “violentare” la chitarra o la batteria, dalle scarse capacità tecniche i Sex Pistols sono un uragano che ti travolge, fatto di pietre e parolacce, colpisce, scandalizza, racconta che il mondo è un letamaio incollatoci lercio addosso e che la salvezza è scrollarcelo via, scatenando l’inferno; il disco può non piacere, ma non credo fosse quello l’intento, intanto è necessario ascoltarlo, bene o male bisogna passarci per forza. La Gran Bretagna, dalla seconda metà degli anni '70, metteva in scena un teatro triste e atipico, dove i giovani vagano nella crisi, morale ed economica, senza riferimenti, senza miti illusori, senza alcun eroe. Musicalmente, salvo eccezioni, il 1976 non proponeva che rifacimenti passati, i generi sfumavano via, come colori ad olio che si scioglievano depotenziato dalla sconfitta del flower power. L’hard rock, oramai era diventato legnoso e monotono, il folk invecchiato ed il pop ridotto a soundtrack per discoteche imborghesite. In questo scenario, dove ogni cosa raggrinziva, la proposta fu assolutamente il nulla, il non-riconoscerci, il rifiuto,

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il disgusto, l'esigenza pura di urlare, gridare la realtà e abbattere quello stato di cose, con rabbia, anarchia, punk: The Sex Pistols. Portabandiera di un movimento senza più bandiere, viene sbattuto in faccia al mondo un NO generale, il disco raccoglie in ogni suo pezzo, una compattezza e lucidità, una coerenza incoerente, dai testi, agli assolo di chitarra, ridotti a ciò che serve, per poi tornare alla batteria mitragliante di Vicious, e alle strofe storpiate e sarcastiche di Rotten; una perla livida e isterica, partendo da Holidays in the Sun, vera e propria corsa asmatica verso il nulla, No fellings, God Save the queen, che oltre a dare della deficiente (a maron), alla regina in persona, rappresenta una critica seria al sistema monarchico inglese, Anarchy in U.K, inno viscerale diventato sinonimo del punk, cori scordati e pazzoidi in Bodies, sfottò nei confronti della disoccupazione Pretty Vacant.Disco anti-eroico, fatto da eroi coraggiosi, come spirito e vene calde, ambiziose e disilluse, vera e propria pietra miliare, capace di far esplodere il fenomeno punk in tutto il mondo e dal quale nasce la musica anni '80, la new wave, l’hardcore. Unico disco dei Sex Pistols, che bruciarono in fretta come le loro canzoni, come lo stesso punk 1977 duro e puro, e anche in questo sono stati esemplari del fenomeno, una violenta scintilla dalla breve vita.Talvolta la musica non si ferma a semplice musica, qui si tratta di un fenomeno generazionale e sociale, e per chi non comprende, loro: "Never Mind the bollocks".


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D. elaborazione


punk

contenuto

forma

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sito web

QR code

analogico

digitale


Il processo La costante del progetto, un foglio di partenza dal formato 30x30 cm, le variabili specifiche per ogni genere scelto ed infine la necessità di introdurre contenuti relativi all'opera musicale selezionata, portano alla progettazione effettiva degli abatā. Ognuno di essi deve permettere la comunicazione con la sfera digitale, attraverso il QR code, introducendo una seconda costante di progetto che porta al completamento effettivo del percorso analogico/digitale e viceversa. Una volta individuate le differenze formali tra gli abatā dei vari generi, la conformazione ottenuta in seguito agli interventi sulla carta ha guidato l'impaginazione dei contenuti grafici (in alcuni casi testi, in altri schematizzazioni astratte o collage di immagini). Si è scelto di utilizzare per tutte le operazioni di stampa il nero su bianco, evitando la bicromia o la quadricromia, agendo dunque per contrasto con il colore naturale della carta e rispettando la sintesi cromatica adottata, per ragioni di funzionalità, dai codici a barre. Gli abatā contengono inoltre le istruzioni grafiche per il montaggio, qualora vengano distribuiti non allestiti. Anche in questo caso si tratta di disegni estremamente puliti e sintetici, che prendono spunto dalla tradizione origami e dalla notazione Yoshizawa-Randlett. I presupposti che stanno alla base di questa sperimentazione progettuale potrebbero declinarsi in maniera generativa dando origini a molteplici possibilità. Quelli proposti sono solo alcune applicazioni del ragionamento di partenza.

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Le prove I tentativi che precedono i risultati finali sono stati effettuati su carta di grammatura 90 g/m³, le pieghe venivano man mano segnate e disegnate sui moduli provvisori, per poi essere tradotte in tracciati definitivi con software digitali. Le pieghe sono state inizialmente effettuate a mano con il supporto di strumenti incidenti o taglierini, solcando leggermente la superficie cartacea senza tagliarla. Una volta raggiunte le configurazioni finali è stata utilizzata una cordonatrice per definire le pieghe in maniera precisa. Nel corso della sperimentazioni sono state utilizzate anche carte diverse da quelle scelte per gli elaborati conclusivi.

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Prove di piega con cordonatrice

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Prove di piega con cordonatrice

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Pieghe risultanti (esempio su Ballad of a thin man)

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Pieghe risultanti (esempio su Variazioni Goldberg)

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Pieghe risultanti (esempio su Non al denaro non all'amore nè al cielo)

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Prove di strappo (esempio su Never mind the bollocks)

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Prova di taglio (esempio su Suor Angelica)

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Seguono le schede degli elaborati finali, con una piccola descrizione, delle immagini esemplificative e gli schemi di piega e taglio. in coda si troveranno i prototipi aperti degli oggetti.

istruzioni per il montaggio

piega verso

arrotola verso

mantieni tra indice e pollice

interventi sulla carta piega a valle piega a monte ritaglia strappa

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Le variazioni di Goldberg Johann Sebastian Bach tag: equilibrio armonia complessità formale solennità grafi serif leggerezza delicatezza staticità piegare stampare arrotolare I concetti di simmetria, sintesi, equilibrio, solennità sono tradotti nell'utilizzo dell'arco di circonferenza come curva tracciante il vuoto nel modulo iniziale, il quale attraverso questo intervento di semi-asportazione e le successive pieghe, assume la configurazione finale: una forma astratta, incentrata sul circolo, le cui curve conferiscono un andamento sia leggero che immobile. L'intaglio generante la forma finale corrisponde all'orologio interno, traduzione grafica della tracklist dell'opera. Ogni tre variazioni cambia l'intervallo di esecuzione del canone, dal primo, all'unisono fino al n.27, alla nona. In questo caso, non vi sono testi di riferimento come contenuto dell'opera, perciò l'intervento di stampa si riduce all'intestazione, al grafo interno e agli interventi di completamento quali QR code e istruzioni di montaggio.

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J.S. Bach The Goldberg Variations

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abatÄ di Bach aperto, prima del taglio, particolare.

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abatÄ di Bach chiuso, retro, particolare.

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Suor Angelica Giacomo Puccini tag: equilibrio armonia complessità formale voce solennità grafi serif leggerezza delicatezza staticità piegare stampare arrotolare Coerentemente con l'altro esempio di abatā di musica classica, anche in questo viene utilizzato un taglio semicircolare e pieghe sia ortogonali all'asse del quadrato, sia oblique. La forma finale richiama il copricapo di una suora, protagonista dell'Opera in questione. Similmente al caso di Bach, l'arrotolare il foglio su se stesso genera una configurazione immobile e contemporaneamente leggera, quasi aerea. All'interno dell'abatā si trova la restituzione grafica del testo del brano finale dell'opera, climax della drammaticità, Senza mamma. Il testo è impaginato estrapolando le due parole chiave mamma e bimbo, attorno a cui si snodano le strofe. In questo caso il taglio circolare, oltre a restituire i concetti di equilibrio e simmetria, richiama il ventre materno, legame centrale nella trama del brano e dell'intera opera.

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Senza

bimbo tu sei morto!

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Le tue labbra, senza i baci miei, scoloriron fredde, fredde. E chiudesti, o

o

gli occhi belli.

Ora che sei un angelo del cielo, ora tu puoi vederla la tua

Dillo alla

creatura bella, con un leggero scintillar di stella… Parlami, amore…, amore!

Tu puoi scendere giù pel firmamente ed aleggiare intorno a me,… ti sento… sei qui… mi baci… m'accarezzi. Ah, dimmi quando in cielo potrò vederti, quando potrò baciarti! Oh, dolce fine di ogni mio dolore! Quando in cielo con te potrò salire? Quando potrò morire?

Non potendo carezzarmi, le manine componesti in croce… E tu sei morto senza sapere quanto t'amava questa tua


abatÄ di Puccini montato, vista dall'alto.

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abatÄ di Puccini aperto, particolare.

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Non al denaro non all'amore nè al cielo Fabrizio De Andrè tag: racconto armonia ricordo voce testo articolato linearità parola testo slab rigidità staticità piegare stampare Questo abatā si presenta come una sorta di totem, che una volta aperto rivela la simbolizzazione cartacea del cimitero di Spoon River, in cui ogni lembo di carta, corrisponde alla lapide dei personaggi: il matto, il giudice, il blasfemo, il malato di cuore, l'ottico, il medico e il suonatore Jones, ognuno protagonista delle relative tracce dell'album. Per ogni lapide è riportato un doppio testo, quello della corrispondente canzone dell'album e la poesia in lingua originale di Edgar Lee Masters da cui De Andrè ha preso spunto. Per identificare i brani sono state realizzate anche delle icone, costruite con i glifi del carattere scelto per la categoria cantautori, l'Archer. Principale differenza rispetto alle configurazioni della musica classica è sicuramente il tipo di intervento sulla carta. Il contenuto, per questo genere musicale, è privilegiato rispetto alla forma, per cui le pieghe, intaccando al minimo la superficie cartacea, si sono rivelate l'operazione più consona.

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2 2

In I co m ul Fo an d r S n o h s ca ot oo ot Un he rle Ca d ru d I t t -fe al co n or by pa ve ul p F ma a d l r tre r se le a on ay i cr es ft n lato ly n m Ki c b Th , an Th et n s y i ss s T di he N ip t oyh er d a ere on in e ar o he oo g o rb is e b u c t he o a n Y u d t d c d. r r u g t s r ne uor h a t M et is r p i w a t a swe rde ar I li eas nk- , ith r e C f te et n o y k e h ed. m p om B rn wi f a no ere tI y s D oi l inc ud sou y M oon th v cac ws: i al a r ’an iai i d l u e p ar in ne a, n e rit aga im a ly on y's Ju s-ch ti v mo zz a d sog to m sid ne o e e ien ba o s ’im na k y li e-co ti t cos e l lo pia pro re fl p i g s D m ien a t a v rdo re i vv anc h t. a a u e d i la i m og de ra iso h’i e far om iav vo an lia l tu gaz pr o in m ma ti n o a olo gl ca p di o c zi ese si e a a i p arr vv fa ia, e er usc uo gio il em m ma pi ote are ert nn ri co ire re ca vo e a E a a i p cco r b la ire o a ma rre e p ma re lo. lor o e ppu pi ote li ere vi il t rip ni re a ro lat q an re cco r b sor al ta d em ren a p l p var o a uan cor un li ere si i la c ag po de en rat e N con do a r so sor al nte op li o sp re sar o, n on ta io itor rri si i la c rro pa cc rec fiat e q on cre rle la na so nte op tti d’u hi ato o. n se uan mi do i ca gui in io l’ rro pa , fia c p d o h tt d E f d s e g ’ a o i u o to u h e n d il c tro il mb e c lli i o ni re . fia E a q uo pp cuo ra hie con fui sua gal to fr fra ual re o s re che si le for es ato q a lu lo e o imp go sto sc pro m se tat ri uel ng sp riz az me rd els m an gu e M ma le s he ett zon zì e nt ì e i il ess i su ida co a c ser ue ca aco te o o o ora sil e a da to m l c he o f co rez lo sfu ra n tro no enz l su te. e a c uo la ors sce ze dol ma o n pp no io o s E il m he re o bac e u co fin ce ss on o f n o la gu m l’a io la rm ia n fi lor ite de e la ri elic rico vo ard no a n nim cu bac ai i qu ore m sul ll’er lu cor e. rdo ce o, , , no on a d ore iai, sull est no adre vol ba ce. do n mi ’im le pe e l o s n pe to, m s p re r ab ì l co rl i e r s D o l a r i n o tò i br r to e sc to d vvis su o, sì a, ico . rd e i s o lle lo di o p o l r s o gn res ab ico g na are e il bra rdo re co vo . , c n lo o n lor lo o ro .

Th e e A The art n W d re h k O Th r a W hy, if t in eep Il e me ha fid he you s s su wi a t d d pe r o l m d n h e o o o F F Li d's ow y y pl ea e o o ke id na r o u e r v th O bee in t to w u se m fin t, an ibra d e r e ve he a e, us d y d ti le tore O gi l s l o rJ J Th r w rls se he cor k th a h t, fo ou tha n g ey hir T w yo re n; ro arv r a ca t is oi on on lo lin o C he u h aft you ug es ll y n fi yo ng W h t e ok g oo n es es ith da ear r re ru to of our ddl u. l e e n a St d to ave ey nci the ady b yo the clov life e, In m P s n e . e g un H pp me me ott g a rus for ur h rive er? A Stir dle a li al vo e o i t nd re y m tr r N w c ng like ant r a t Lit le o ma and r? o l d a e i t f th i o it R r p t f rk s h o in go ric ved ice Th An e c n m orn t to uld off, ed uin illa le G ski et; nn or e di u d o S r r r s H r y t t n A at I ea b s, p I t o v u o o s A nd s n k v ent b a d dav an po nd r b ea il "T ea s d f d ve er ibra ivo allo i Je a sic lver ta om eve of a ain ass k o l m oo d S rou us . a a re la d n ke e o r s w b oo f g y f r- am t t br ci e e i i n tà ok m ne tar in y c ns et ort a-L m h; co allo l m di s mia tan y , en I ro an tin y oo y e d t i d m e o r u t a L te i a a o la end I e wa id d t mi ws d g m acr r." i e c b pe uo ni rr n n ug e n y no o ll- a pi p e e a ni h, d u de to t s plo -on nd cco ore s a ei c rtà ens rch re fa an p d u a to w ly ro lo , a cie am l’ho arl é c , . ci lo p d wi p da p i in th bin s a o p el e i c vi m lti a th w nc n m e s r o st ig va o A th a ith e th y se L o d t a nd ou b o e l ? o ibe etta ed ena ltiv d lio rla no sa rok fort r pi roa ife pe gni rtà da am ro, ati orm re. an t a nd en y a cn d o co l r ire a u vo ’h u re ra si me fid cre ic. p un n lta o v n fi , ng m d s , E er u bal frus che ista lo s le or le- ; p l p i n c re es e o s o h i i v o c n gr , su la g i se om di o su eg ato et ra on liar . . p on en la pa ga a si e er t are te l ge gn zz to t u n o o i F te u e p tt ti fin inì c iac a la toc sa c sa bri , e c h a e ì c on la vi a e c o sa . e un on i sc ta is e rico rid un cam iar uo ne r er fl p ti d n m i e r au i a as ar m ta au to lle co e, en nt c s l o i o pe ort tare un zz ich . at e rim o pi an to .

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abatÄ di De Andrè montato.

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abatÄ di De Andrè, interno, particolare.

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Ballad of a thin man Bob Dylan tag: racconto armonia ricordo voce testo articolato linearità parola testo slab rigidità staticità piegare stampare Come in Suor Angelica, anche in questo caso l'abatā non rappresenta un intero album, ma un singolo brano. Il Mr.Jones a cui Dylan si rivolge costantemente durante ogni ritornello è, tra le interpretazioni esistenti, il prototipo del tipico giornalista bigotto degli anni '60, personificazione di una più ampia categoria di uomini, caratterizzati dalla predisposizione al pregiudizio e dalla mentalità poco elastica. I concetti di compostezza e perbenismo sono tradotti nell'immagine cartacea di un colletto perfettamente piegato ed abbottonato. Le pieghe a fisarmonica e a zigzag hanno guidato la disposizione del testo, le cui strofe sono disposte lateralmente, seguendo l'andamento spezzato delle linee intermedie e convergendo in direzione dell'area centrale del foglio, in cui è riportato una sola volta il ritornello.

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You walk into the room With your pencil in your hand You see somebody naked And you say, “Who is that man?” You try so hard But you don’t understand Just what you’ll say When you get home

...You’ve been with the professors And they’ve all liked your looks With great lawyers you have Discussed lepers and crooks You’ve been through all of F. Scott Fitzgerald’s books You’re very well read It’s well known

You raise up your head And you ask, “Is this where it is?” And somebody points to you and says “It’s his” And you say, “What’s mine?” And somebody else says, “Where what is?” And you say, “Oh my God Am I here all alone?”

DO YOU,

Well, the sword swallower, he comes up to you And then he kneels He crosses himself And then he clicks his high heels And without further notice He asks you how it feels And he says, “Here is your throat back Thanks for the loan”

You hand in your ticket And you go watch the geek Who immediately walks up to you When he hears you speak And says, “How does it feel To be such a freak?” And you say, “Impossible” As he hands you a bone Now you see this one-eyed midget Shouting the word “NOW” And you say, “For what reason?” And he says, “How?” And you say, “What does this mean?” And he screams back, “You’re a cow Give me some milk Or else go home” You have many contacts Among the lumberjacks To get you facts When someone attacks your imagination But nobody has any respect Anyway they already expect you To just give a check To tax-deductible charity organizations...

Well, you walk into the room Like a camel and then you frown You put your eyes in your pocket And your nose on the ground There ought to be a law Against you comin’ around You should be made To wear earphones

abatā 143| il progetto


abatÄ di Dylan aperto, particolare delle pieghe.

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abatÄ di Dylan chiuso.

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Never mind the bollocks The Sex Pistols tag: aggressività rifiuto ritmo voce rumore rozzezza composizione grezza testo immagini sans serif modellabilità irregolarità dinamismo stampare arrotolare L'intervento cartaceo in questo abatā si manifesta con l'atto dello strappo. Il foglio aperto richiama l'impaginazione di un quotidiano, mezzo rappresentativo ed identificativo della società, quella contro cui i Sex Pistols si oppongono, quella che rifiutano senza però offrire alternativa. Il movimento di contrasto verso qualsiasi regola o convenzione sfocia nel totale nulla, il punk finisce per rappresentare più una moda che uno status, diviene stile e non più azione rabbiosa e motivata, scadendo nel mero spirito commerciale degli stilisti, che dagli anni '70 in poi hanno fatto fortuna assumendone le caratteristiche principali e riversandole nell'abbigliamento. La doppia faccia del punk si rivela sul retro della pagina di giornale, in cui vi sono delle immagini dell'epoca che sottolineano i particolari del look punk, di cui i Sex Pistols erano fieri esponenti. La ribellione punk, così come una notizia su un quotidiano, lascia il tempo che trova. In particolare, nasce e muore nel giro di un anno, il 1977.

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NEVER MIND THE BOLLOCKS oct 28, 1977

United Kingdom

A cheap holiday in other peoples misery! i don’t wanna holiday in the sun i wanna go to new belsen i wanna see some history ‘cause now i got a reasonable economy now i got a reason, now i got a reason now i got a reason and i’m still waiting now i got a reason now i got reason to be waiting the berlin wall sensurround sound in a two inch wall well i was waiting for the communist call i didn’t ask for sunshine and i got world war three i’m looking over the wall and they’re looking at me now i got a reason, now i got a reason now i got a reason and i’m still waiting now i got a reason, now i got a reason to be waiting the berlin wall well they’re staring all night and they’re staring all day i had no reason to be here at all but now i gotta reason it’s no real reason and i’m waiting at the berlin wall gotta go over the berlin wall i don’t understand it.... i gotta go over the wall i don’t understand this bit at all.... claustropfobia there’s too much paranoia there’s too many closets i went in before and now i gotta reason, it’s no real reason to be waiting the berlin wall gotta go over the berlin wall i don’t understand it.... i gotta go over the wall i don’t understand this bit at all... please don’t be waiting for me. She was a girl from birmingham she just had an abortion she was case of insanity her name was pauline she lived in a tree she was a no one who killed her baby she sent her letter from the country she was an animal she was a bloody disgrase body bodies i’m not an animal body i’m not an animal dragged on a table in factory illegitimate place to be in a packet in a lavatory die little baby screaming body screaming fucking bloody mess not an animal it’s an abortion body i’m not animal mummy i’m not an abortion throbbing squirm, gurgling bloody mess i’m not an discharge i’m not a loss in protein i’m not a throbbing squirm fuck this and fuck that fuck it all and fuck the fucking brat she don’t wanna baby that looks like that i don’t wanna baby that looks like that body i’m not an animal body an abortion body i’m not an animal an animal i’m not an animal..... i’m not an abortion..... mummy! ugh!

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Virgin Records

I’ve seen you in the mirror when the story began and i fell in love with you i love yer mortal sin yer brains are locked away but i love your company i only leave you when you got no money i got no emotions for anybody else you better understand i’m in love with my self my beatiful self a no feelings a no feelings a no feelings for anybody else hello and goodbye in a run around sue you follow me around like a pretty pot of glue i kick you in the head you got nothing to say get out of the way ‘cos i gotta get away you never realise i take the piss out of you you come up and see me and i’ll beat you black and blue okay i’ll send you away i got no feelings a no feelings no feelings for anybody else except for my self my beatiful self dear there aint no moonlight after midnight i see you stupid people out looking for delight well i’m so happy i’m feeling so ne i’m watching all the rubbish you’re wasting my time i look around your house and there’s nothing to steal i kick you in the brains when you get down to kneel and pray you pray to your god no feelings a no feelings no feelings for anybody else except for my self your daddy’s gone away be back another day see his picture hanging on your wall. Lie lie lie lie liar you lie lie lie lie tell me why tell me why why d’you have to lie should’ve realised that should’ve told the truth should’ve realised you know what i’ll do you’re in suspension you’re a liar now i wanna know know know know i wanna know why you never look me in the face broke a con dence just to please your ego should’ve realised you know what i know you’re in suspension you’re a liar i know where you go everybody you know i know everything that do or say so when you tell lies i’ll always be in your way i’m nobody’s fool and i know all ‘cos i know what i know you’re in suspension you’re a liar you’re a liar you’re a liar lie lie lie lie lie lie lie lie lie lie lie lie liar you lie lie lie lie i think you’re funny you’re funny ha ha i don’t need it don’t need your blah blah should’ve realised i know what you are you’re in suspension

here’s the Sex Pistols

you’re in suspension you’re in suspension you’re a liar you’re a liar you’re a liar lie lie Too many problems oh why am i here i don’t need to be me ‘cos you’re all too clear well i can see there’s something wrong with you but what do you excepth me to do? at least i gotta know what i wanna be don’t come to me if you need pitty are you lonely you got no one you get your body in suspension that’s no problem problem problem the problem is you eat your heart out on a plastic tray you don’t do what you want then you’ll fade away you won’t nd me working nine to ve it’s too much fun a being alive i’m using my feet for my human machine you wan’t nd me living for the screen are you lonely all your needs catered you got your brains dehydrated problem problem problem the problems is you what you gonna do problem problem problem the problems is you what you gonna do with your problem in a death trip i ain’t automatic you won’t nd me just staying static don’t give me any orders for people like me there is no order bet you thought you had it all worked out bet you thought you knew what i was about bet you thought you’d solved all your problems but you are the problem problem problem problem the problem is you what you gonna do with your problem i’ll leave it to you problem their problem is you you got a problem oh what you gonna do they know a doctor gonna take you away they take you away and throw away the key they don’t want you and they don’t want me you got a problem the problem is you problem the problem is you what you gonna do problem problem problem problem problem problem problem problem problem problem problem problem.

God save the Queen the fascist

regime they made you a moron potential h-bomb god save the queen she aint no human being there is no future in england’s dreaming don’t be told what you want don’t be told what you need there’s no future no future no future for you god save the queen we mean it man we love

our queen god saves god save the queen ‘cos tourists are money our gures head is not what she seems oh god save history god save your mad parade oh lord god have mercy all crimes are paid when there’s no future how can there be sin we’re the owers in the dustbin we’re the poison in your human machine we’re the future you’re future god save the queen we mean it man we love our queen god saves god save the queen we mean it man and there is no future in england’s dreaming no future no future no future for you no future no future no future for me no future no future no future for you no future no future no future for you no future no future for you. You’re only 29 got a lot to learn but when your mummy dies she will not return we like noise it’s our choice it’s what we wanna do we don’t care about long hairs i don’t wear ares see my face not a trace no reality i don’t work i just speed that’s all i need i’m a lazy sod, i’m lazy sod i’m a lazy sod i’m so lazy i’m a lazy sod i’m lazy sod i’m a lazy sod i’m so lazy i can’t even be bothered lazy y lazy.

(Seventeen)

Right! now ha, ha, i am an antichrist i am an anarchist don’t know what i want but i know how to get it i wanna destroy the passerby ‘cause i wanna be anarchyy no dogs body anarchy for the uk it’s coming sometime and maybe i give a wrong time stop a traffic line your future dream is a shopping scheme ‘cause i wanna be anarchy in the city how many ways to get what you want i use the best i use the rest i use the enemy i use anarchy ‘cause i wanna be anarchy it’s the only way to be is this the m.p.l.a or is this the u.d.a or is this the i.r.a i thought it was the uk or just another country another council tenancy i wanna be anarchy i wanna be anarchy oh what a name i wanna be anarchy know what i mean? and i wanna be an anarchist get pissed destroy! I’m on a submarine mission for you baby i feel the way you were going i

with the courtesy of Malcolm McLaren

picked you up on my tv screen i feel your undercurrent owing submission going down down dragging me down submission i can’t tell ya what i’ve found you’ve got me pretty deep baby i can’t gure out your watery love i gotta solve your mystery your sitting it out in heaven above submission going down down dragging me down submission i can’t tell you what i’ve found for there’s a mystery under the sea under a water come share it submission going down down dragging me down submission i can’t tell ya what i’ve found ‘cos it’s a secret under the water under the sea octopus rock got me pretty deep baby i can’t gure out your watery love i gotta solve your mystery your sitting it out in heaven above submission going down down dragging me down submission i can’t tell ya what i’ve found submission submission going down down under the sea i wanna drown drown under the water going down down under the sea. There’s no point in asking you’ll get no reply oh just remember i don’t decide i got no reason it’s too all much you’ll always nd us out to lunch oh we’re so pretty oh so pretty we’re vacant oh we’re so pretty oh so pretty a vacant don’t ask us to attend ‘cos we’re not all there oh don’t pretend ‘cos i don’t care i don’t believe illusions ‘cos too much is real so stop you’re cheap comment ‘cos we know what we feel oh we’re so pretty oh so pretty we’re vacant oh we’re so pretty oh so pretty we’re vacant ah but now and we don’t care there’s no point in asking you’ll get no reply oh just remember a don’t decide i got no reason it’s too all much you’ll always nd me out to lunch we’re out on lunch oh we’re so pretty oh so pretty we’re vacant oh we’re so pretty oh so pretty we’re vacant oh we’re so pretty oh so pretty ah but now and we don’t care we’re pretty a pretty vacant we’re pretty a pretty vacant we’re pretty a pretty vacant we’re pretty a pretty vacant and we don’t care. An immitation from new york you’re made in japan from cheese and chalk you’re hipy tarts hero

‘cos you put on bad show oh don’t it show still oh out on those pills oh do you remember think it is well playing max’s kansas you’re looking bored and you’re acting ash with nothing in your gut you better keep yer mouth shut you better keep yer mouth shut in a rut still oh out on those pills do the sambo you four years on you still look the same i think about time you changed your brain you’re just a pile of shit you’re coming to this ya poor litlle faggot you’re sealed with a kiss kiss me think it’s well playing in japan when everybody knows japan is a dishpan you’re just a pile of shit you’re coming to this ya poor litlle faggot you’re sealed with a kiss still oh out on those pills cheap thrills anadins aspros anything you’re condemned to eternal bullshit you’re sealed with a kiss kiss me a kiss a kiss you’re sealed with a kiss a looking for a kiss you’re coming to this i wanna kiss anything oh kiss this eh boy There’s unlimited supply and there is no reason why i tell you it was all a frame theyy only did it ‘cos of fame who? e.m.i. e.m.i. e.m.i. too many people had the suss too many people support us un unlimited amount too many outlets in and out who? e.m.i e.m.i e.m.i and sir and friends are cruci ed a day they wished that we had died we are an addition we are ruled by none never ever never and you thought that we were faking that we were all just money making you do not believe we’re for real or you would lose your cheap appeal? don’t judge a book just by the cover unless you cover just another a stupid fools who stand in line like e.m.i e.m.i e.m.i unlimted edition with an unlimited supply that was the only reason we all had to say goodbye unlimited supply (e.m.i) there is no reason why (e.m.i) i tell you it was all a frame (e.m.i) they only did it ‘cos of fame (e.m.i) i do not need the pressure (e.m.i) i can’t stand the useless fools (e.m.i) unlimited supply (e.m.i) hallo e.m.i goodbye a & m


abatÄ dei Sex Pistols aperto, particolare dello strappo.

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abatÄ dei Sex Pistols in fase di montaggio.

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Il sito web Il QR code stampato su ogni abatā collega al sito web del progetto, in cui sono presenti tante pagine quanti sono gli abatā, più contenuti aggiuntivi riguardo al percorso di ricerca che ha portato alla realizzazione degli stessi. Su ogni pagina si può trovare la prima traccia dell'album in questione, le foto e le istruzioni di montaggio, una breve sinossi e dei link per acquistare legalmente il disco e per scaricare lo schema di montaggio così da stampare e montare l'abatā comodamente a casa propria.

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Nelle pagine seguenti sono stati inseriti gli abatÄ aperti. Fotografa il QR code per accedere al sito.


bibliografia/sitografia Culture visive-contributi per il design della comunicazione Giovanni Baule, Valeria Bucchetti, Daniela Anna Calabi, Giovanni Lussu, Dina Riccò, Alberto Veca Edizioni Poli.design, 2007

Design e comunicazione visiva Bruno Munari Edizioni Laterza, 2008

La musica liberata Luca Castelli Arcana, 2009

Le leggi della semplicità John Maeda Mondadori, 2006

Come scegliere e usare la carta Mark Hampshire, Keith Stephenson Logos, 2008

Personal Impressions Elizabeth M.Harris Godine, 2004

http://www.eyemagazine.com/ http://www.musicaememoria.com/

La musica sveglia il tempo Daniel Barenboim Feltrinelli, 2007

http://www.universaleverything.com/ http://it.wikipedia.org/

Remix-Remake, pratiche di replicabilità Lucio Spaziante, Nicola Dusi Meltemi, 2006

http://europe.wsj.com/ http://ordigami.net/ http://en.oru-kami.net/

REFF Roma Europa Fake Factory Cary Hendrickson, Salvatore Iaconesi, Oriana Persico, Federico Ruberti, Luca Simeone Fake Press, 2010

http://mitani.cs.tsukuba.ac.jp/ http://www.ondarock.it/ http://www.storiadellamusica.it/

Prototipi, farsi una stamperia Claude Marzotto Caotorta Stampa Alternativa & Graffiti, 2007

http://marksprague.wordpress.com/ http://www.munart.org/

Processing, a programming handbook for visual designers and artists Casey Reas, Ben Fry MIT Press, 2010

The art of looking sideways Alan Fletcher Phaidon, 2001

Vita delle forme - Elogio della mano Henri Focillon Einaudi, 2002

155| bibliografia



grazie ad i miei genitori, per l'incoraggiamento e la fiducia costanti. ad i compagni di corso, i veri protagonisti di questi anni, in particolare, Marialuisa, Francesco, Paola, Valerio, Gianpiero. a tutti i miei amici, specialmente Matteo, Massimo, Mariagrazia, Sergio.



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