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Anno XXIV n. 5/207 - Giugno 2011 Editore: Coop. Radio Terlizzi Stereo - Direttore Responsabile: Maria Teresa De Scisciolo n. 239 reg. stampa Tribunale di Trani - Spedizione in Abbonamento Postale 70% autoriz. Filiale di Bari
Il Garofano d’oro: musica ed emozioni in Piazza Cavour editoriale/Maria Teresa De Scisciolo
Una città non è fatta solo di case e cose ed ancora strade, monumenti, simboli… Se così fosse, si tratterebbe di una città inanimata, senza cuore, né linfa vitale. La città è fatta di uomini, donne, bambini, che sprizzano gioia, emanano luce, producono sviluppo e crescita, attraverso la creatività, il lavoro, l’intelligenza. Le iniziative culturali che una città tiene a battesimo, sono l’espressione concreta di una concezione del vivere, che emana bellezza, attraverso i mille volti dell’arte. Tra pochi giorni Terlizzi ospiterà la manifestazione canora Il Garofano d’oro. Piazza Cavour farà da cassa di risonanza a musica dal vivo, con esibizione di giovani artisti, che vivono la gara con lo spirito di chi ama la musica, e vuole viverne intensamente le emozioni. La musica, come tutti i prodotti dell’arte, fa eccezione alle leggi del mercato. E’ un prodotto che non in-
vecchia, che non perde la sua efficacia ed il suo valore nel tempo. Al contrario, accade che più si ascolti un brano e più lo si apprezzi. Le canzoni del passato riescono ad evocare stati d’animo e ricordi, nei quali è bello perdersi. La musica accompagna i momenti migliori della vita di ogni uomo: il compleanno, il matrimonio, il primo ballo e molto altro ancora. Organiz-
zare quindi un evento musicale, significa offrire alla città emozioni straordinarie. La musica ha il potere di catturare, coinvolgere, entusiasmare o semplicemente rilassare. Pensate alla musicoterapia, proposta in gravidanza e non solo. I benefici sono scientificamente comprovati. Ebbene, questa introduzione per dire che Terlizzi è fortunata, perché il 2 e 3 luglio avrà la possibilità di ascoltare buona musica dal vivo. Torna infatti Il Garofano d’oro. La manifestazione canora è nata su iniziativa del Cav. Vincenzo Colasanto e dell’on. Gero Grassi, che 30 anni fa pensarono di organizzare un evento culturale, che mettesse insieme note e fiori. L’intuizione ha portato i suoi frutti, generando entusiasmo e vitalità. Oggi l’organizzazione del concorso canoro è a cura del Cav. Vincenzo Colasanto, Presidente della Cooperativa Culturale R.T.S. e dell’Associasegue a pag. 5
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Nuove frontiere per l’odontoiatria In questo numero, in allegato, uno Speciale Salute a cura del dott. Nino Giangregorio, già Primario e Specialista in Odontoiatria e Stomatologia. Il tema trattato, con il solito garbo e la professionalità del dott. Giangregorio, è di straordinaria attualità: “La nuova frontiera dell’odontoiatria, l’implantologia dentale. Studio pilota”. Ringraziamo il dott. Giangregorio per aver scelto di pubblicare il suo studio sul Confronto delle Idee. Siamo certi che i lettori apprezzeranno. M.T.D.S.
Franco: 348.5123152 Armando: 347.1946350 Agenzia: Piazza IV Novembre, 20 - Tel. 080.3517049 Abitazione: Via Genova, 26 - Tel. 080.3517932 T E R L I Z Z I (Bari)
ilmensile confronto delle idee di informazione fondato nel 1988 da Gerolamo Grassi Corso Dante, 31 - Tel. 080.3513871 (c/o Studio Berardi) - Registro Stampa n. 239 del Tribunale di Trani
Anno XXIV - numero 5/207 - Giugno 2011 Società Editoriale: Cooperativa Culturale R.T.S. fondata nel 1978 e titolare: · di Testata Giornalistica “Paese vivrai” - Locorotondo, · di Testata Giornalistica Radiofonica registrata al n. 221 del Tribunale di Trani, anno 1978.
Direttore Responsabile: Maria Teresa De Scisciolo Caporedazione: Antonio Gattulli Presidente: Cav. Vincenzo Colasanto Consiglio di Amministrazione: Michele Grassi, Renato Berardi Cultura: Paolo De Ruvo, Giuseppe Grassi, Pietro Porfilio, Adriana Gesmundo, Michelangelo Bellomo, Giacomo Angarano, Vincenza Urbano, Giorgia Tricarico, Sara De Bartolo, Klara Valente.
Politica: Nicolò Ceci, Barbara De Robertis, Paolo Alessandro Grieco Sanità: Pasquale De Palma, Giuseppe Gragnaniello Sesto San Giovanni: Michele Vino Sport: Antonio Gattulli Sociale: Brigida Saltarelli Architettura: Francesco Marzulli Servizi fotografici: Michelangelo Vino, Vincenzo Vino Grafica e Impaginazione: CREO adv di Nicola Cantatore (www.creoadv.com) Fotolito e Stampa: Centro Stampa - Litografica La collaborazione al giornale è gratuita. Articoli e fotografie, anche se non pubblicati, non si resti-tuiscono. Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli pubblicati riflettono il pensiero dei singoli autori e non vincolano in alcun modo la linea di condotta della società editrice e del direttore respon-sabile di questo periodico. La direzione si riserva la facoltà di condensare e modificare, se-condo le esigenze e senza alterarne la sostanza, gli scritti a sua disposizione. Per eventuali recensioni, inviare i volumi in duplice copia. Senza il consenso scritto dell’Editore è vietato riprodurre, con qualsiasi mezzo, il giornale o sue parti.
cultura ed economia
giugno 2011
/Maria Teresa De Scisciolo Tra Terlizzi e Piazza San Pietro c’è un legame sempre più forte, più bello. Lo abbiamo constatato in occasione della festività delle Palme, apprezzando l’allestimento floreale curato dalla Cooperativa Progetto 2000 di Terlizzi e dai fioristi di Puglia. Li abbiamo apprezzati, anche un po’ invidiati, in occasione delle celebrazioni per la Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Per saperne di più, abbiamo intervistato Michelangelo De Palma, giovane imprenditore terlizzese, presidente della Cooperativa Progetto 2000. Che legame c’è tra i fiori di Terlizzi ed il Vaticano? Ne sentiamo parlare spesso in TV. È un legame intenso, che si arricchisce di anno in anno. L’eco televisiva è il frutto di un lavoro di valorizzazione del nostro operato che strutturiamo con l’Ufficio Stampa dello Stato Città del Vaticano e che si è andato affinando dal giorno in cui Padre Pio, nel giugno 2002, veniva proclamato Santo. La Cooperativa Progetto, anche sulla base della credibilità acquisita, si onora di valorizzare i fiori e le professionalità locali, simbolo di una Terlizzi che ha una gran voglia di riaffermare le sue vocazioni territoriali e il suo ruolo nell’ambito del panorama florovivaistico internazionale. In che anno avete cominciato ad abbellire, con i vostri addobbi floreali, Piazza San Pietro? Nel 2002, appunto, quando per la prima volta, grazie alla lungimiranza di alcuni di noi, ci siamo cimentati ad allestire contestualmente i due luoghi principali della vita del Santo di Pietrelcina e quello che per noi, sino ad allora, era un immenso luogo di culto e una testimonianza di pregio, nota a tutti, del patrimonio storico ed architettonico del nostro Paese, nel quale l’armonia delle forme diviene una sfida creativa per i fioristi che ci hanno sempre affiancato negli ultimi nove anni. Non solo fiori di Terlizzi a Roma. In occasione della festività delle Palme, lo scorso anno sono stati posizionati, addirittura, ulivi. Ne parliamo? La scelta di questo meraviglioso albero non è certo casuale. Oltre ad essere il simbolo della cultura mediterranea è l’elemento costitutivo dell’orto del Getsemani di Gerusalemme, nel quale Gesù si ritira in preghiera dopo la cena
con i suoi apostoli. Ed è il luogo nel quale Egli accetta la passione. L’ulivo, quindi è un simbolo forte sia per la chiesa, che per la nostra terra. L’albero campeggia, infatti, nello stemma pugliese quale simbolo di pace e fratellanza ed è, a nostro parere, l’emblema di una tradizione agricola a cui sentiamo di appartenere. Negli anni è divenuto il fil rouge dei progetti di allestimento della piazza. Oggi tutti gli alberi d’ulivo, utilizzati nel corso degli anni sono piantati nei giardini vaticani, segno indelebile di un popolo capace di una pace durevole. Il mese scorso in Roma si è tenuto il rito della beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. L’allestimento floreale è stato curato dalla Cooperativa Progetto 2000. Quanta soddisfazione c’è per questa ciclopica impresa? A distanza di tempo suscita in noi immenso piacere rivedere le immagini degli allestimenti e sapere di aver contribuito a realizzare qualcosa che agli occhi di tutti i fedeli è apparso come la suggestiva cornice di un evento tanto atteso con partecipazione e commozione. La cosa che riempie di maggior soddisfazione è sicuramente, oltre agli apprezzamenti ricevuti
dai fioristi olandesi, storicamente presenti negli allestimenti pasquali di Piazza San Pietro, ricevere i complimenti della gente comune. È bello infatti, rincasando a tarda sera dopo una giornata di febbrile lavoro, passeggiare nei dintorni della Piazza e rispondere alle domande di tante persone che, curiose, si soffermano ad osservare il tuo lavoro e ad esprimere il loro apprezzamento in tante lingue spesso nuove alle tue orecchie. Quanti e quali fiori sono stati utilizzati? I numeri parlano di una vera e propria esplosione di colori e profumi; la piazza è stata letteralmente inondata da fiori e piante del nostro territorio. Abbiamo portato a Roma 1.700 piante di lavanda in fiore, 400 piante di bosso, 30.000 rose di diverse tonalità cromatiche e lentisco, miroclaudius, ruscus, molucella, gipsophila in fiore e steli di solidago. Oltre ai fioristi hanno lavorato nel progetto anche architetti del verde. Possiamo fare i nomi dello staff al completo? Elencare tutti coloro i quali hanno preso parte al lavoro comporterebbe il rischio di dimenticare qualcuno. Il gruppo era, per la circostanza, strutturato in modo da fronteggiare tutte le esigenze tec-
niche e professionali emergenti. C’erano fioristi giunti da cinque regioni italiane coordinati da Fabio Vecchiato e Mario De Palma, che hanno sapientemente realizzato quello che sino a sei mesi prima era rendering progettuale realizzato con grande spinta creativa da dallo studio tecnico di Ettore Tricarico e Antonio Chiapperini. Grande supporto è stato fornito poi dalla Interflora Italia e dall’Associazione Vivaisti Pistoiesi e soprattutto dal contributo dei tanti giovani che ci hanno offerto il loro tempo nelle pubbliche relazioni e nella gestione logistica dell’intero evento. Un progetto così ambizioso prevede collaborazioni con Enti regionali o tutto è affidato all’iniziativa privata? Un evento del genere non sarebbe pensabile senza l’aiuto ed il sostegno di vari enti. La Cooperativa ha ricevuto il patrocinio della Regione Puglia - Assessorato alle Risorse Agroalimentari ed il contributo della Camera di Commercio di Bari. Che cosa avete voluto rappresentare con il vostro allestimento? L’utilizzo esclusivo delle essenze mediterranee nell’allestimento del sagrato di San Pietro, dell’altare maggiore, dello scranno papale, del loggione al quale è stata esposta l’effige di Papa Giovanni Paolo II e del colonnato berniniano, ha voluto riprodurre la tipica configurazione del Giardino Rinascimentale all’italiana, omaggio pugliese all’idea di una Italia che, speriamo, sia sempre più unita. Ad allestimento concluso, come si è espresso il Vaticano? I commenti sono stati davvero entusiastici. Come detto, anche le più alte gerarchie vaticane, con le quali abbiamo condiviso i principali contenuti del progetto, hanno espresso approvazione per il lavoro realizzato. Non nascondiamo che ricevere questo tipo di attenzione ci ha riempiti di orgoglio. Ora torniamo a Terlizzi. Perché non si percepisce dalle piccole cose che è la città dei fiori? Terlizzi è una cittadina che sa esprimere grandi eccellenze produttive e professionali nel settore del florovivaismo. Certo, l’impegno profuso nel quotidiano dai tanti operatori del settore dovrebbe trovare nella sfera pubblica locale un interlocutore attento e propositivo. Atterrando all’aeroporto di Palese, Terlizzi la si riconosce dalle strutture serricole visibili dall’alto, ma una volta giunti in città i segnale di tale eccellenza segue a pag. 5
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produttiva sono poco presenti e difficilmente fruibili dai cittadini e dai visitatori. Secondo lei è necessaria una riprogettazione del verde urbano con sostituzione di piante e fiori? Credo che sia assolutamente necessario, ma probabilmente ci sono persone più qualificate di me e preposte a tale ruolo per rispondere alla domanda. In un’ottica nella quale l’arredo urbano e la manutenzione dl verde pubblico sono percepite come semplici voci di costo del bilancio pubblico è del tutto evidente che non siano ricercate professionalità capaci di progettare e costruire alternative paesaggisticamente piacevoli e soprattutto economicamente sostenibili. Uno dei criteri attraverso cui oggi si misura la qualità della vita urbana è la dotazione di spazi verdi
pubblici. È sufficiente, secondo lei, per la “Città dei Fiori” la qualità e la quantità del verde cittadino? Potrebbe essere, a mio parere, il cardine di un vero progetto di riqualificazione urbana a cui anche le aziende florovivaistiche locali parteciperebbero costruttivamente, facendo di Terlizzi la loro vetrina permanente. Da qualche anno è rinata la sfilata dei carri floreali. Quale la sua opinione in proposito? Iniziativa meritevole di apprezzamento, ripresa saggiamente dal passato da un folto gruppo di “colleghi” caparbi. Come loro sanno, per il futuro, l’iniziativa andrebbe rivista in chiave moderna e dovrebbe riguardare l’intera città. Mi piacerebbe molto sperimentare iniziative innovative di flash mob floreali con allestimenti estemporanei e permanenti, che interessino i luoghi della vita quotidiana dei cittadini terlizzesi, capaci in poche ore di
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zione culturale Il Garofano d’Oro. L’iniziava si avvale del patrocinio di: Regione Puglia, Provincia di Bari e Comune di Terlizzi. L’edizione di quest'anno, il 30° dal primo concorso canoro, prevede per sabato 2 luglio, l'esibizione dei partecipanti selezionati. Si tratta di una sfida canora riservata a 16 nuovi talenti: 8 in età compresa tra i 5 e gli 11 anni, ed 8 compresi tra i 12 e i 15 anni. Domenica 3 luglio con inizio alle 20,30 si esibiranno, invece, solamente i 6 finalisti, 3 per ogni categoria. Sabato 3 luglio la serata sarà allietata dal comico Gianni Ciardo, mentre domenica 3 Luglio è prevista la partecipazione, diretta-
mente da Zelig , di Leonardo Manera. La direzione artistica è stata affidata ancora una volta a Francesco Scagliola, mentre la conduzione è stata affidata ad Alfredo Guastamacchia e Maria Rita Minoia, voci storiche radiofoniche. Ricco il cast dei personaggi del mondo giornalistico, musicale e televisivo che interverranno nel corso della due giorni: Luciano Tarricone, Editore di ‘RADIO SELENE’ e Presidente di Giuria - Patrizia Camassa, telegiornalista di TELEREGIONE - Dino Rubini, bassista e componente del famoso gruppo ‘LA FAME DI CAMILLA’ Luigi Loperfido, conduttore e presentatore ‘RAI INTERNATIONAL’.
cambiare la veste della città. Stiamo lavorando a tante idee con designer e giovani creativi e speriamo di realizzarle nel prossimo futuro. Nuovo Mercato dei fiori. Ha dato slancio al commercio floricolo? Se dovessi rispondere sulla base di quello che mi riferiscono alcuni operatori e collaboratori, dovrei dire subito di no. Nel merito era assolutamente necessario riordinare il sistema della vendita all’ingrosso dei prodotti florovivaistici, facendo ricorso, però, all’indispensabile coinvolgimento di chi nel settore ci opera. L’odierno risultato è una struttura irrigidita dalle stringenti norme di accesso, un progressivo allontanamento di grosse fette di domanda e la nascita di strutture “alternative” di vendita lontane dallo sguardo di chi vigila. Per concludere, se dovesse lanciare un’idea per trasformare Terlizzi nella città dei fiori,
tanto da attirare turisti, cosa proporrebbe? Il binomio floricoltura-turismo rappresenta una interessante sfida per il futuro della città e attualmente esistono anche interessanti strumenti per renderla attuabile. Proporrei un piano strategico fondato sulla floricoltura e più in generale sull’attenzione alla qualità degli spazi collettivi di vita dei suoi cittadini. Doterei le scuole di spazi per imparare sin da piccoli ad avere cura del verde, destinerei ampi spazi agli orti urbani...abbiamo tante cose in mente capaci di fare di Terlizzi quello che è nell’immaginario collettivo del resto d’Italia: un luogo nel quale si percepisce la poesia del vivere. Per realizzare tutto questo c’è bisogno di donne e uomini capaci di esprimere un modo nuovo e condiviso di amministrare la res publica.
Giovedì 12 maggio all’ultimo piano della Pinacoteca Michele De Napoli si è svolto il convegno dal titolo ‘Liberi di…’, nell’ambito del Pon C3 “Le(g)ali al Sud” del I Circolo Didattico Statale Don Pietro Pappagallo. Con il Patrocinio del Comune di Terlizzi e in partenariato con l’Associazione ‘Libera contro le mafie’. Ospite d’eccezione del Pon e atteso testimone dell’evento è stato Renzo Caponetti – Presidente dell’Associazione ‘Gaetano Giordano’ di Gela (Cl). La sua pregevole testimonianza è stata preceduta dalla lettura di questa lettera, a firma delle sue due figlie – Laura e Paola – per raccontare ai piccoli studenti del I Circolo Pappagallo cosa significhi l’impegno quotidiano di una vita dedicata a combattere la mafia. Avendo alle spalle una famiglia come tante, ma sempre sulla corda e innamorata come poche. Ve la proponiamo integralmente.
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Le sue figlie raccontano…
Da sinistra Marisa Minafra, Renzo Caponetti ed altre due insegnanti della scuola elementare don Pietro Pappagallo.
“Carissimi bambini, chi vi scrive conosce bene Renzo e vuole raccontarvi un po’ della sua vita da un punto di vista differente. Vi scrive qualcuno per cui Renzo, prima di esser il sig. Caponetti è il nostro papà! Vedete, le giornate di Renzo iniziano sempre allo stesso modo: se Renzo decide di uscire la mattina alle 9, deve avvisare gli uomini della scorta la sera prima, poi chiamare la mattina verso le 8 in commissariato e sperare che nessun idiota abbia deciso che il parcheggio sotto casa, tutto transennato e pieno di cartelli di divieto di sosta, sia stato tenuto libero appositamente per lui. A questo
sociale/città
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Pon ‘Le(g)ali al Sud’
/Nicolò Marino Ceci punto Renzo non potrà muoversi da casa finché l’automezzo non sarà stato rimosso o finché l’idiota che ha parcheggiato dove non poteva, non abbia finito di prendere il caffè nel bar accanto. Così succede che il più delle volte si sono fatte le 11 e Renzo ha già fatto 300 telefonate per spostare tutti i suoi appuntamenti. Inoltre non è facile per lui fare dei viaggi, anche brevi - come quelli fuori porta, magari una gita – ed è assolutamente impossibile improvvisarne una, perché prima deve essere compilata la famosa “scheda viaggio”, che deve contenere itinerario e orari di partenza e di arrivo; e se Renzo sarà o meno accompagnato dalla moglie o dalle figlie. Questa scheda deve essere consegnata almeno 2 giorni prima, in modo che gli spostamenti di Renzo siano sempre
prima comunicati al Commissariato di Gela, che li comunicherà a sua volta al Commissariato della città che dovrà raggiungere. Diciamo che questa cosa stressa di più la moglie di Renzo, che vorrebbe andare a trovare più spesso la sua figliola che ha da poco avuto un bimbo e che abita fuori Gela, senza per questo doverlo programmare con largo anticipo. Da quando è sotto scorta poi Renzo non guida proprio più; ciò significa che sono 5 anni che non porta la macchina: diciamo che a questo punto nessuno accetterebbe più un passaggio da lui…. Una cosa che Renzo non può fare è andare al mare, come dovrebbe
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/Nicolò Marino Ceci “Io, se fossi dio, griderei che in questo momento son proprio loro il nostro sgomento: uomini seri; uomini rispettati, così normali e al tempo stesso spudorati, che se li guardi bene ti sembrano persone, persone buone che quotidianamente ammazzano la gente con una freddezza che Hitler a confronto, mi fa tenerezza.” (Giorgio Gaber) Spiegare a bambini di 8 anni cos’è la mafia significa ammettere che il Male esiste. E che sa mimetizzarsi talmente bene nel quotidiano, da apparire “banale”. I piccoli studenti - oltre 100 in due giorni, l’11 e 12 maggio scorsi - del I Circolo Don Pietro Pappagallo coinvolti nel Pon C3 ‘Le(g)ali al Sud’ hanno però dimostrato grande capacità di ascolto e di comprensione delle ‘lezioni’ tenute da Renzo Caponetti – Presidente Associazione Antiracket ‘Gaetano Giordano’ di Gela (Cl) – esperto esterno del progetto. “Chi sono i mafiosi?” Nei cartoni animati i malvagi - sadici e di brutto aspetto - sono immediafare? Dire ai suoi poliziotti “forza spogliatevi che si va al mare!”, poliziotti in servizio in costume!!! Non si può proprio fare, e poi con la pistola in bella vista!!!? Perciò va in piscina, si mette tranquillo sotto l’ombrellone a leggere il giornale e non si abbronza mai! E anche quando a fine stagione ha finalmente preso un po’ di colorito, ci pensa il cloro della piscina a farglielo sparire. Quando l’anno scorso, la figlia grande di Renzo ha partorito un bimbo, ad aspettarla fuori dalla sala parto c’era il suo papà più i due agenti di scorta che ahinoi, avevano fatto un turno di 12 ore ed erano quasi più distrutti della partoriente. Un’ultima cosa dobbiamo proprio dirvela: quando Renzo decide di andare al cinema, i poveri poliziotti che gli fanno da scorta devono sorbirsi il film scelto da lui e noi non vorremmo mai trovarci nei loro panni!!!! Insomma, vi abbiamo parlato delle tante piccole difficoltà che
tamente riconoscibili perché predicato della funzione pedagogica del cartone stesso, che deve insegnare a distinguere il buono dal cattivo - che per natura è spinto da un istinto malvagio nel far soffrire gli altri. Ma nella vita il bianco e nero sono rarissimi: la difficoltà delle lezioni del sig. Caponetti è consistita nel far capire ai piccoli discepoli che esistono persone che fanno del male perché dal supplizio causato agli altri, traggono del bene per sé stessi. Pare un paradosso, ma è la mesta realtà che uomini come Renzo Caponetti cercano di combattere ogni giorno, anche a costo della propria vita. Imprenditore; figlio di mamma leccese e di ufficiale dell’Aeronautica gelese, sin da piccolo impara ad amare le regole e a rispettarle. Impara anche che la libertà è un bene che si ottiene solo combattendo strenuamente. Così nel 2005 Caponetti fonda a Gela l’Associazione Antiracket. Il giorno prima di diventarne Presegue a pag. 6
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Renzo deve affrontare quotidianamente, ma non vi abbiamo detto che il pregio enorme di Renzo è quello di affrontarle sempre con un grande sorriso; infatti non lo vedrete mai scendere da casa imbronciato, anche se ha aspettato per ore di poter uscire. Non lo vedrete mai demoralizzato o afflitto, ma sempre combattivo e ostinato, perché la battaglia, Renzo, deve vincerla ogni giorno contro quelli che sperano che prima o poi si stufi e lasci perdere tutto. E poi se avesse l’aria triste come potrebbe convincere commercianti e imprenditori e denunciare i cattivi che vogliono approfittarsi dei più deboli? Cari bambini, ascolterete un uomo coraggioso e anche simpatico; noi siamo molto fiere di lui e lo siamo da prima che diventasse il Presidente dell’associazione Antiracket. Vi auguriamo buon lavoro e soprattutto vi auguriamo una Buona vita all’insegna dell’onestà e della verità. E sorridete!!!” Laura e Paola Caponetti
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Renato De Scisciolo risponde
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sociale
/Nicolò Marino Ceci L’11 maggio scorso nel Centro Studi ‘Aldo Moro’ si è tenuto il convegno dal titolo ‘legalità come impegno civile’. Sono intervenuti Ernesto De Robertis – Presidente del Centro Studi, Renato De Scisciolo – Presidente Regionale dell’Associazione Antiracket, Michele Grassi – Consigliere Comunale e Renzo Caponetti – Presidente dell’Associazione Antiracket di Gela (Cl). De Scisciolo ha offerto una testimonianza piuttosto lucida e critica, parlando di racket e di usura, che attualmente interessa direttamente anche la nostra Terlizzi. Lo abbiamo intervistato. Ha parlato di 3 processi di usura, attualmente in corso, a Terlizzi. Sono tre processi estremamente significativi sia per lo spessore cri-
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sidente, subisce il primo attentato: catenata nel costato mentre era in moto. Costole rotte; e la scorta rifiutata, per ‘rimanere libero’. Appena guarito, un nuovo attentato, sempre mentre era in moto: un ragazzo cerca di ucciderlo. Caponetti cade con la moto e le costole si riaprono. Solo allora costui comprende che vivere sotto scorta non sarebbe più stata un’opportunità ma una necessità. In cinque anni quasi mille mafiosi arrestati grazie alle denunce di oltre cento imprenditori-soci dell’associazione Antiracket. Con il risultato che nel 2005 il 98% dei commercianti gelesi pagava il pizzo,
minale degli imputati, sia per l'incidenza sulla piccola economia locale, che gli stessi riuscivano a condizionare con attività di estorsione e di usura sugli operatori commerciali. Un segnale importante soprattutto dopo tanti anni di parole e pochi fatti. In due dei tre processi inoltre l'Associazione si è già costituita parte civile. La sua proposta all’Amministrazione Comunale? Sarebbe auspicabile che l'Amministrazione comunale partecipasse attivamente alla nostra Associazione, come del resto altri Comuni hanno già fatto. Un plauso va al Comune di Molfetta che ha aderito attivamente al nostro impegno, mettendo a disposizione l'attuale. Sede, ormai strategica a livello regionale. mentre adesso solo il 23%. Una bottiglia di benzina lasciata accanto all’automobile della signora Caponetti, fa comprendere all’alacre imprenditore antimafia la portata del suo operato, la responsabilità e il rischio – estesosi a macchia d’olio anche sulla sua famiglia. Una moglie che rifiuta la scorta, due figlie – esortate dal papà ad andar via da Gela perché non più sicura per loro. Una casabunker con telecamere a circuito chiuso per ventimila euro. La scorta dal mattino alla sera, impossibile per il sig. Caponetti una tranquilla passeggiata per la città. Le ingiurie dei pregiudicati; la caparbietà dell’uomo che ammonisce: “questo è un momento; passerà. Arriverà il giorno in cui anche loro
Renzo Caponetti con i ragazzi della scuola elementare don Pietro Pappagallo
Da sinistra: Nicolò Ceci, Renato De Scisciolo, Renzo Caponetti
Perché è importante che il Comune si costituisca parte civile? Per l'imprenditore danneggiato è fondamentale sentire vicine le Istituzione che rappresentano l'interesse comune per la lotta a fenomeni tanto dannosi e diffusi come quelli dell'estorsione e dell'usura. I Comuni non possono ignorare questa esigenza di legalità. Quali attività l’Associazione sta promuovendo al momento? Siamo in procinto di attivare un nuovo sportello antiracket nel territorio ‘caldo’ di Altamura ed è in progetto l'organizzazione di una non ci saranno più.” “Ma io non sono un eroe” – ha esclamato più volte Caponetti. Chiosando: “io sono un normale cittadino che ha rispetto per gli altri e che fa il suo dovere. La paura? E’ un sentimento che rispetto: rispetto molto la paura degli altri, anche se non sempre la capisco.” Brecht diceva: “povera quella terra che ha bisogno di eroi”; ma il punto è proprio questo: occorre esser eroi per essere liberi? Bisogna esser eroi per amare la propria terra come la propria stessa vita? Si tratta di interrogativi destinati a rimanere senza risposta, ma che racchiudono in sè il mistero tellurico e il fascino sulfureo di un uomo controcorrente che a 60 anni ha negli occhi l’entusiasmo di un bambino, la forza di un baldanzoso giovanotto e l’anima incorrotta. Sig. Caponetti, si sente mai solo? Prima di partire per Terlizzi, è venuto a mancare mio suocero; ma la prima a invogliarmi a venire qui da voi è stata proprio mia moglie. Ogni volta che mi volto indietro sento la mia famiglia vicina che mi incoraggia continuamente, con le mie figlie sempre a fare il tifo per me… cosa posso chieder di più?
nuova sede a Bari. Continuiamo nella campagna di informazione attivata quest'anno “io denuncio”, che ha visto e vede il costante supporto delle Forze dell'Ordine, della Magistratura, delle Provincie di Bari e Foggia, nonché della Regione Puglia. Chi è Renzo Caponetti? Renzo Caponetti è un collega che si occupa di racket nel territorio di Gela, nota area critica per la massiccia presenza del fenomeno mafioso che recentemente, insieme al sottoscritto è stato riconfermato ai vertici della Federazione Antiracket Italiana. Perché non tenere un gemellaggio con la sua Associazione Antiracket? Il gemellaggio è fondamentale per scambiarsi le proprie esperienze e rendere sempre più efficace la nostra azione. La Puglia non è la Sicilia; quali sono le cifre del fenomeno nella nostra regione? L'usura è in forte incremento, in conseguenza della crisi economica. Fortunatamente non abbiamo una situazione tanto critica come quella siciliana. E Terlizzi come si colloca in questo scenario? E' presente a Terlizzi il fenomeno dell'usura e del ‘cavallo di ritorno’. I cittadini devono comprendere l'importanza della denuncia come responsabilità personale nella attuazione del senso civico che ciascuno deve esprimere collaborando con le istituzioni e le forze dell'ordine che, per fortuna, nel nostro territorio sono estremamente competenti, disponibili e efficaci. Se un imprenditore vuole rivolgersi alla vostra associazione per denunciare, cosa deve fare? Deve chiamare il numero 3293616000 o contattarci all’indirizzo mail: info@antiracketpuglia.it, o visitare il sito wwantiracketpuglia.it . Può inoltre rivolgersi al nostro sportello il martedì e il giovedì dalle 16,30 alle 18,00, in piazza Vittorio Emanuele 9/10 Molfetta
cultura
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Cuore’ e i gruppi avvicendatisi sul palco questa volta sono due. La serata è stata aperta da un ‘Duo’ formato da Rosita Lorusso al violino e Paola Durante alla chitarra, che hanno proposto all’attenzione del pubblico alcune musiche di Molino, Gragnani e Paganini. Nella seconda parte le sonorità tenui e romantiche del violino e della chitarra, hanno lasciato spazio all’esplosività e alla maestosità degli ottoni del ‘Millico Brass Quintett’ formato da Domenico Pellegrini e Aldo Di Tommaso alle trombe, Giacomo Angarano al trombone, Giacinto Caldarola al corno e Giuseppe Pellegrini alla tuba, che hanno coinvolto il pubblico con un repertorio partito dalla musica barocca con la Sonata di Charpentier, per arrivare al Novecento con Mayer, Don Gills, Rota e Beatles; il gruppo era alla sua prima esibizione ed il pubblico è parso quasi sorpreso dall’insolita formazione, così difficile da ascoltare dal vivo che ha dato vita a sonorità particolari, ora morbide e suadenti, ora imperiose, profonde o briose, capaci di rispecchiarsi in suoni di antica provenienza, o in un ‘sound’ assolutamente moderno. La terza serata è stata probabilmente la più seguita: il 29 maggio ancora nella “Sala Eventi” si sono esibite due formazioni profondamente diverse tra loro. La prima parte è stata affidata a Isabella Fortunato e Stefania Loforese in un concerto a quattro mani al pianoforte, con musiche
Una piccola donna forte, nei trent'anni della dipartita
Il 7 maggio 2011 presso il Centro Culturale Auditorium di Molfetta si è tenuta la presentazione del 19° volume della serie Quaderni della Biblioteca Centro Culturale ‘Auditorium’, edito secondo i tipi ‘La nuova Mezzina’. Il titolo del volume in questione restituisce con chiarezza da epigramma l'oggetto del testo presentato : MARIA GRITTANI. Una piccola donna forte, nei trent'anni della dipartita. L' autrice, Rosa Tarantini Grittani, che ha già pubblicato alcuni resoconti biografici su Don Ambrogio Grittani, suo zio, fondatore dell'Opera pia S. Benedetto Giuseppe
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Anche quest’anno i giovani della nostra città e non, hanno avuto l’opportunità di esibirsi con i propri gruppi musicali di fronte ad un pubblico silenzioso e particolarmente attento, grazie all’Associazione culturale ‘Sovero’, che ha organizzato per il 9° anno consecutivo la rassegna musicale ‘900 Giovani. L’evento, che nel corso degli anni ha visto un crescendo di qualità musicale ed interesse da parte del pubblico, sempre più numeroso giunto anche da fuori, è organizzato dal Presidente dell’Associazione il prof. Luigi Dello Russo e dal M.° Giampaolo Caldarola come coordinatore e Direttore Artistico. L’inaugurazione di questa edizione è avvenuta presso la “Sala Eventi” di via Aminale, nella calda serata di Sabato 14 Maggio con il concerto dell’orchestra di fiati della banda “V. G. Millico” diretta egregiamente dal M.° Salvatore Campanale e dei Cori “Millico” di Terlizzi e “Cantatore” di Ruvo, incentrato esclusivamente sulla celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, attraverso le travolgenti e patriottiche note di sinfonie e cori di Giuseppe Verdi, ma anche di altri indimenticati nomi del panorama musicale risorgimentale come Mercantini, Giorza, Cordigliani, Novaro, senza voler tralasciare l’impeto di “Guerra guerra!” dalla Norma di Bellini o alcune pagine del nostro conterraneo Saverio Mercadante. Il 21 Maggio la cornice diventa quella dell’Auditorium ‘Sacro
/Francesco Bonaduce Labre per l'eliminazione dell'accattonaggio, presenta stavolta un'accurata ricostruzione del percorso spirituale di Maria, sorella di Don Ambrogio, affine al fratello nelle scelte di vita e nell'impegno sociale. Dopo la morte di Don Grittani, Maria vende tutte le sue proprietà per salvare l'Opera, destinata al fallimento, e prende in mano le redini del progetto diventandone direttrice. Continua le pubblicazioni di Amare, settimanale lanciato per la prima volta da Don Grittani nel '44.
di due pietre miliari di questo straordinario strumento come Rachmaninoff e Debussy. Il concerto si è poi concluso con il travolgente trio composto in primis proprio dal Direttore Artistico della manifestazione Giampaolo Caldarola ai sassofoni (soprano, contralto e baritono), da Teresa Dangelico al violino e ancora Stefania Loforese al piano proponendo, tra gli altri, alcune pagine di importanti compositori del Novecento quali Korsakov, Shostakovich, Piazzolla e Morricone. Alla mia domanda sul perché di una rassegna musicale composta prevalentemente da giovani e pensata esclusivamente per essi, il Prof. Dello Russo mi risponde in modo chiaro, specchio anche della sua visione di completezza e assimilazione di tutto il panorama musicale da parte del pubblico: “ideai , a suo tempo, un percorso triplice per avvicinare la cittadinanza terlizzese alla musica colta e di qualità: Il ‘Millico Festival’ per la musica barocca, '900 Giovani per la musica 'ostica' del '900, infine un ‘Sovero Jazz’, appunto di jazz, nel cortile antistante la chiesa di Sovereto. Insomma si trattava di coprire così tutta, o quasi, la storia della musica. La seconda scelta aveva anche una funzione sociale; venire cioè incontro ai giovani usciti, o sul punto di uscire, da un conservatorio per dare loro un iniziale palcoscenico per i loro bisogni di affermazione in una possibile carriera musicale e di soddisfazione personale dopo anni di studio. La
Sotto la sua guida, per la Casa molfettese s'avvia un processo d'espansione sul territorio, prima a Seclì nel leccese, poi a Castellaneta nel tarantino, a Corsano, Maruggio, Toritto e anche nella nostra città, Terlizzi. L'Opera attraverso la sua azione quotidiana ha salvato molte vita dalla disperazione della strada, dalla solitudine, dalla morte. All'evento era presente tra i relatori anche il terlizzese Renato Brucoli in qualità di editore associato al progetto e studioso locale di storia ecclesiastica, il quale richiama tutti, lettori e studiosi, a ri-
/Giacomo Angarano scelta della letteratura musicale del '900 era una forma di provocazione per verificarne le capacità, tenuto conto di una certa difficoltà di esecuzione rispetto a quella più tradizionale romantica”. Il professore non nasconde però anche ostacoli di natura economica a cui l’Associazione è andata incontro nell’organizzazione di tali eventi, che hanno ad esempio annullato del tutto il ‘Sovero Jazz’, ma che rischierebbero di compromettere anche l’importantissimo evento quale il ‘Millico Festival’ o la manifestazione di cui ho affrontato, proprio a causa della precaria situazione economica che riguarda le spese, non supportate da sponsor né pubblici, né privati, ma per di più da un pubblico spesso troppo poco attento e insensibile a una cultura musicale forse ritenuta elitaria. Ha chiuso poi facendo un bilancio della rassegna che, anche a mio parere e del Direttore Artistico, non poteva che essere positivo: “la presenza del pubblico, in particolar modo nella prima e nella terza serata, è stata molto consistente, partecipazione anche di gente di paesi limitrofi o di quelli dei giovani musicisti. L'entusiasmo si vedeva e si sentiva...mi dispiacerebbe se una iniziativa del genere dopo ben nove edizioni andrebbe perduta, ma questo si verificherebbe purtroppo se non ci saranno apporti di forze giovani nella organizzazione e soprattutto economiche nella gestione delle spese”.
flettere sul messaggio di fede e di vita che emerge come marmo dalla storia di queste due vite : “Anziché scalmanarci a interpellare un Dio troppo spesso considerato assente ingiustificato nelle storie personali e comunitarie, è preferibile testimoniarlo nel cammino doloroso e festoso della vita, con attenzione preferenziale agli ultimi. E' questo la grande lezione di Ambrogio Grittani, fatta propria da Maria attraverso il percorso di accompagnamento del fratello prete e di quanti lui ha voluto incontrare nell'espressione della carità cristiana”.
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Il 27 Maggio l’Associazione Culturale e Scacchistica ’La torre del tempo’, con il patrocinio del Comune di Terlizzi, ha tenuto il convegno “Un mare di veleni” presso il Salone de Paù della Biblioteca Comunale. ‘Inquinamento e avvelenamento della flora e della fauna marittima a causa di ordigni e residuati bellici a contenuto chimico, nel mare Adriatico e in particolare sulle coste molfettesi. Distruzione della vita nei fondali interessati, danni genetici, malattie degenerative, morte delle specie viventi.’ Parole queste che fanno vacillare la terra sotto i piedi? La proiezione del filmato N.A.T.O. “Red Code”, i documenti messi a disposizione degli ospiti e le argomentazioni addotte, da chi è intervenuto nel corso dell’evento, hanno reso noto quanto effettivamente sia in pericolo il nostro territorio. Il mare Adriatico nello specifico, ma poi il Mediterraneo tutto, si presenta “pattumiera” nonché “discarica bellica”dal momento che è ricettacolo di sostanze altamente tossiche, sprigionate soprattutto dai gas scaturenti da bombe risalenti ai due conflitti mondiali, ma anche da quelle di scontri più recenti. Si annovera che dal 1943 al 1946 siano stati inabissati davanti alle coste pugliesi enormi quantità di dispositivi bellici a caricamento convenzionale e speciale conte-
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La torre del Tempo induce Terlizzi a riflettere
/Vincenza Urbano nenti 26 tipi di veleni diversi tra cui yprite, adamsite , arsenico, cianuro e molto altro. Ancora oggi se ne avvertono le conseguenze infauste: in primis chi viene a contatto con esse riscontra gravissimi problemi di salute; in secundis è progressivamente scomparso il pesce autoctono del litorale pugliese e quello che ne è rimasto presenta delle anomalie genetiche; in tertiis le alghe tipiche dei fondali pugliesi sono state spazzate via del tutto. Per far fronte ad una situazione così allarmante si è proceduto ad una bonifica e un ripristino dell’ambiente naturale ma spesso i costi troppo alti, le apparecchiature troppo dispendiose per poter prendere in esamina congegni di guerra a gran profondità nel mare, hanno posticipato la risoluzione del problema a data, forse, da destinarsi. Dinanzi ad una realtà così complessa, occorre prenderne coscienza e valutare accuratamente quali sono i rischi cui la salute nostra e del paesaggio è esposta; dopodiché ciascun cittadino ha il diritto di sollecitare le istituzioni pubbliche affinché prendano seri e concreti provvedimenti per la tutela di noi tutti.
Le testate giornalistiche locali La Nuova Città e Il Confronto delle idee rilanciano, anche questo mese, la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni, rispetto al desiderio di Antonio Volpe di donare alcune sue opere al Comune di Terlizzi. Avendo raccolto, diverse opinioni spontanee a riguardo, abbiamo pensato di raccogliere per iscritto tutte le sollecitazioni che vorrete inviarci. Le pubblicheremo sui nostri giornali. Vi invitiamo a scriverci, corredando il testo di generalità, facendo riferimento agli indirizzi e-mail: • lauragiovine@lanuovacitta.it • mt.descisciolo@libero.it Oppure inviando le vostre lettere agli indirizzi: Il Confronto delle Idee c/o studio Berardi, Corso Dante, 31 Terlizzi La nuova città Provinciale Terlizzi Mariotto, 33 Terlizzi
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Il punto di vista del giornalista Rai Vito Marinelli
Storico addetto stampa del Presidente Nichi Vendola; appassionato giornalista Rai, aria distinta, giacca scura, pantaloni chiari, mocassini. Lo si vede poco a Terlizzi, sgusciare fugace tra vicoli e archi la mattina o passeggiare piacevolmente su Corso Dante nelle fresche serate. Dopo il M° Visaggi e il Prof. Dello Russo, questo mese abbiamo ascoltato una nuova personalità di spicco della cultura terlizzese in merito al Teatro ‘Vito Giuseppe Millico’: Vito Marinelli. È mai entrato nel teatro Millico? Quando era un cinema certo ci sono entrato. Dopo la chiusura no. L’Amministrazione vuole inaugurarlo quest’anno: ci riuscirà? Se lo dice vuol dire che può farlo. Che rischio c’è che si tratti di una mera inaugurazione e non di un’effettiva apertura? Se si apre un teatro, non è solo per celebrarne l’inaugurazione, ma per consentirne la fruizione a tutti i cittadini. Spero che si apra al più presto. Se lei ne fosse il Direttore, come lo gestirebbe? Stilerei un programma polivalente – che comprenda prosa e danza ad esempio -, che possa accontentare tutti i gusti e le esigenze di un pubblico che non sia solo quello terlizzese: si dovrebbe infatti anche cercare di guardare ad un’utenza che sia transcomunale. Non dobbiamo infatti ragionare da “pollaio” locale, ma anzi dobbiamo considerare che il teatro è espressione di ricchezza culturale di una comunità allargata. Sono per una gestio-
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cultura
/Nicolò Marino Ceci ne di qualità, affidata a persone che siano del mestiere. I comuni non gestiscono mai i teatri, che sono infatti gestiti sempre da operatori culturali ad hoc. Che bilancio ha un teatro di media caratura? Dipende dal cartellone delle iniziative che si vogliono fare. E il teatro terlizzese che bilancio potrebbe avere? Almeno 150 mila euro all’anno. Il punto di forza del Teatro Millico. Il circondario – intendendo paesi come Corato, Molfetta e Ruvo, dove c’è un piccolo teatro - è sprovvisto di contenitori di questo tipo: quindi ritengo intelligente guardare ad un bacino di utenza così ampio. Molti terlizzesi vanno spesso al Kismet a Bari: perché non riproporre tutto questo al contrario, cioè attirando gente da fuori ai nostri spettacoli? E una fragilità.. E un teatro piccolo, quindi sarebbe difficile proporre grosse produzioni. A proposito, chi vedrebbe come Direttore Artistico della struttura? Una persona abituata a frequentare teatri. Non servono personalità ma persone certamente competenti in materia. A conti fatti, quando secondo lei entrerà in funzione questa bellissima struttura? Mi auguro che stiano già lavorando per il cartellone del 2012. Vuole fare un appello all’Amministrazione Comunale? Fate presto perché abbiamo aspettato tanti anni; ci sono giovani che questo teatro non l’hanno mai visto.
religione
giugno 2011
/Michele Cipriani
E' una parola composta da “ad” preposizione di moto e “scàndere”, dalla radice sanscrita “skand; skandati”, che significa saltare, cadere, discendere. Puoi confrontare il dizionario etimologico di O. Parmigiani; il dizionario Devoto-Olli, al verbo “ascendere” annota: verbo intransitivo (coniugato come scendere). C'è poco da dire: ogni parola ha la sua storia individuale, che merita attenzione e conoscenza per ... non parlare e scrivere a sproposito! E allora si capisce che è fatica salire ed anche scendere, e che per salire molto in alto, devi scendere proprio in basso, nel più profondo. Si potrebbe compiere una verifica nella storia; per brevità, decido di verificarlo nell'archetipo, così diventa chiaro che ogni “derivato” deve seguire la stessa traiettoria. Gesù di Nazareth è asceso al cielo, 40 giorni dalla sua resurrezione, e siede alla destra del Padre, perchè pur essendo Dio, in tutto uguale al Padre e allo Spirito Santo, decise di diventare uomo per salvare l'uomo: un salto in discesa, infinito. Quasi non bastasse, si è fatto uomo obbediente fino alla morte; di più, alla morte di croce: una morte davvero infamante, indegna di un uomo appartenente ad un paese civile. Per un ebreo, e Cristo lo è fino in fondo, è anche un maledetto, perfino da Dio (secondo il diritto e la cultura ebraica)! Questo tuttavia non è il gradino più basso toccato da Cristo. Decidendo di rimanere vivo e vero e tutto intero, cioè corpo, sangue, anima e divinità nell'Eucarestia, ha perduto ogni tutela giuridica. Per essere schiodato morto dalla croce, ci volle l'autorizzazione di Pilato; violare la tomba e/o i cadaveri, è reato e disonora chiunque e dovunque: e questa è civiltà. Gettare, calpestare, strapazzare il pane (e ogni ostia eucaristica è di frumento, è pane certo) a piacimento, gettarlo nel cassonetto tra i rifiuti, non è soggetto a colpa alcuna, tutt'al più è mancanza di buon gusto, di rispetto verso il creato e il Creatore, di offesa per gli affamati.
A questo punto diventa un po' più chiaro di quale gloria immensa è stato coronato Gesù di Nazareth, il figlio di Dio che si fa anche uomo, crocifisso, Risorto, asceso al cielo, e seduto alla destra del Padre Dio. E' chiaro che non è andato a sedersi in qualche galassia o in un pianeta vicino a noi per gettare ogni tanto un'occhiatina sul nostro piccolo mondo. Glielo hanno chiesto a Valentina Tereskova, la prima astronauta a solcare il cielo, ha risposto a chi glielo chiedeva: Non ho incrociato nessun Dio in cielo! Ma è la domanda che è, scegli, bovina o asinina! Il cielo non è un luogo e Dio non è oggetto ma è spirito come la tua anima; il Risorto entra a porte chiuse, abita nel tuo cuore se lo ami. “Ascese al cielo” vuol dire semplicemente che Gesù di Nazareth, per essere disceso fino a farsi pane, è stato glorificato come nessun'altra creatura mai sarà glorificata; dinanzi a Lui si curvano ad ossequiarlo gli spiriti più alti del cielo, della terra e degli inferi. Bisogna pure aggiungere che Cristo, con la sua ascensione al cielo, non ha inteso dire: torno dove ero prima e ... pace e bene; arrangiatevi; fatti vostri. Tutt'altro. Dopo la traiettoria da lui stesso tracciata: “Son uscito dal Padre, sono venuto nel mondo, lascio il mondo e torno al Padre”, ha rassicurato i suoi primi discepoli e i presenti: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Prima di morire aveva detto ai suoi discepoli per confortarli: “Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio, verremo a Lui, e porremo la nostra dimora dentro di lui”. C'è di più, sempre per consolare gli stessi, ha spiegato che Egli va avanti per preparare un posto ad ognuno, per restare insieme felici per sempre! E' davvero splendida la festa dell'Ascensione, della glorificazione; non solo di Cristo, ma di ogni uomo. Insieme a Lui che sale al cielo, sale anche un pezzo di ciascuno di noi: Lui è noi e noi siamo Lui. La conclusione della vita dell'uomo non è la morte, ma salire al cielo, avendo seguito in vita Lui. Doverosa la festa del 1° maggio: la dignità del lavoro; doverosa la festa del 2 giugno: la dignità di cittadino; sarebbe doverosa la festa, anche civile, dell'Ascensione di Cristo: rivela la dignità della donna e dell'uomo, e il senso del vivere e la sua destinazione definitiva.
scuola
“Scuola Don Bosco” il 150° dell’Unità d’Italia entusiasma i bambini
Il Dirigente Scolastico Giovanni De Nicolo ed alcune insegnanti della Don Bosco
La scuola elementare San Giovanni Bosco, venerdì 3 giugno, ha organizzato un mega evento, presso la sala conferenze di Casa Betania, dal titolo Terlizzi/Italia insieme da 150 anni. Uno spettacolo multidisciplinare che ha dato vita ad un recital in cui sono confluite: narrazioni, poesie, canti…, il tutto a tema patriottico. Non è mancata l’interpretazione in chiave moderna dell’Inno di Terlizzi,che ha fatto da colonna sonora ad un ballo Rap. Nell’occasione i ragazzi hanno approfondito i temi del celebre quadro di Raffaele De Lucia dell’800 che ritrae la Piazza di Terlizzi che festeggia l’Italia unita. L’iniziativa promossa dalla scuola San Giovanni Bosco ha mostrato ai ragazzi come la macro storia e la microstoria si intrecciano. Terlizzi è parte dell’Italia. La sua storia si fonde con quella della Nazione. Per il 150° dell’Unità d’Italia, si sono esibiti 150 ragazzi, appartenenti ad 8 classi, precisamente le classi 4^ A, B, C, E, G, H e 5^ C, D.
/Maria Teresa De Scisciolo Non sono mancate le riflessioni sul tricolore, attraverso canti e poesie. Ci si è soffermati sulla figura di Garibaldi, ma anche di Giuseppe Verdi, che attraverso la musica è stato interprete autentico dello spirito patriottico. Sono state inoltre proiettate immagini sul tema del’Unità d’Italia. Non poteva mancare l’accenno alle famose camice rosse, indossate ed interpretate magistralmente dagli alunni della scuola. L’iniziativa è risultata di grande impatto e coinvolgente. Il merito è certamente dei bambini, che vi hanno partecipato con grande entusiasmo e sincero spirito patriottico. Sono stati guidati nell’organizzazione dal Dirigente Scolastico dott. Giovani De Nicolo e dalle insegnanti: Avella Anna, Albanese Annamaria, Galeota Marilena, Larocca Rosa, Mastrorilli Luigia, Ventola Carmela, Volpe Maria, Rigotti Rosaria.
Due momenti della manifestazione/Foto di Michele De Scisciolo
il sottile filo dei ricordi
giugno 2011
/Maria Teresa De Scisciolo e Gero Grassi Vito Giuseppe Millico nasce a Terlizzi il 19 gennaio 1737 da Francesco e Angela Domenica Di Chirico. I genitori sono di umile estrazione. Accettano di destinare il figlio allo studio del canto. Acconsentendo che a tal fine gli venga praticata l’evirazione in età prepuberale (sarà un cantante castrato soprano). Secondo quanto affermato dallo stesso Millico, nella prefazione a La pietà d’amore (Napoli 1782), egli lascia la famiglia in gioventù, per trasferirsi a Napoli, dove studia musica presso uno dei quattro conservatori della città. Conclusi gli studi, ventenne, debutta a Roma come contralto nel dramma per musica Il Creso di N. Jommelli (1757; Teatro di Torre Argentina). Riscuote successo e ottiene un rinnovo dell’ingaggio per l’anno seguente nel dramma giocoso La diavolessa di B. Galuppi. In questi anni, come lui stesso afferma, ha problemi vocali, dovuti ad una cattiva impostazione tecnica, che col tempo riesce a superare passando al registro di soprano. Tra il 1758 ed il 1765 presta servizio presso la Corte Imperiale Russa, periodo durante il quale si guadagna il soprannome di Moscovita. In Russia collabora con il compositore V. Manfredini, all’epoca direttore del Teatro Italiano a San Pietroburgo. Nel 1760 interpreta il ruolo del soprano Mirteo nella Semiramide di Manfredini, messa in scena nella residenza imperiale di Oranienbaum. Tra il 1762 e il 1763, si alterna tra San Pietroburgo e Mosca, per partecipare alla produzione di alcune opere serie di Manfredini: La pace de gli eroi, L’Olimpiade e Carlo Magno. Nel 1768 torna in Italia, per cantare a Palermo nel Demofoonte di Galuppi, Teatro di S. Cecilia, e a Colorno, nei pressi di Parma, in Licida e Mopso di G. Colla. A partire da questi anni, Vito Giuseppe Millico riscuote sempre maggiore successo, fino a diventare nel decennio seguente, uno dei soprani italiani più apprezzati a livello internazionale. Nel 1769 partecipa a Parma, alla messa in scena nel Teatro di Corte de Le feste d’Apollo di Chr.W. Gluck su testo di Calzabigi, in occasione delle nozze tra il duca Ferdinando di Borbone e la figlia dell’imperatore austriaco, arciduchessa Maria Amalia d’Asburgo Lorena. Millico interpreta Anfrisio nel Prologo e Orfeo in un estratto dell’opera Orfeo e Euridice. Originariamente scritto per contralto, il ruolo viene adattato da Gluck alla vocalità del sopranista terlizzese. Tra i due, compositore e cantante, nasce un sodalizio artistico e personale, destinato a durare nel tempo. Nel maggio del 1770 Gluck chiama Millico a Vienna, per fargli interpretare una nuova versione di Orfeo e Euridice, affidandogli, poi, ruolo da protagonista nella ripresa di Alceste e nella prima esecuzione di Paride e Elena. Tra il 1772 e il 1774 il Millico si trasferisce a Londra, presentandosi al pubblico del King’s Theatre Haymarket nell’ormai collaudato Orfeo e Euridice di Gluck. Deve faticare per affermarsi a Londra, dove, insieme con Sacchini, è avversato dai fanatici ammiratori di G.F. Tenducci e Guadagni, M. Vento e P. Guglielmi. Pur facendo base a Londra, nel 1772 canta a Milano l’Armida di Sacchini su libretto di G. de Gamerra, e Il gran Tamerlano di J. Mysliveček, testo di A. Piovene. Tra la fine dell’anno e l’inizio del 1773 torna a Vienna, per prendersi cura dell’educazione musicale di Marianna, nipote tredicenne di Gluck. Durante il periodo londinese Millico comincia a dedicarsi alla composizione, pubblicando per la prima volta alcuni brani da camera. Presso l’editore Welker vengono pubblicate due raccolte di arie, con accompagnamento di clavicembalo, che riscuotono un discreto successo. Solitario bosco ombroso la più celebre, che nel tempo, diventa un classico della musica da salotto. Il 1774 è per il Millico, particolarmente denso d’impegni. Partecipa agli ultimi spettacoli a Londra. Torna in Italia a Venezia, dove al teatro S. Benedetto canta ne L’Olimpiade di P. Anfossi. Raggiunge poi Gluck a Parigi, impegnato nella messa a punto della versione francese dell’Orphée et Eurydice. Nel 1775 Millico torna a frequentare i teatri italiani, ingaggiato al Teatro della Pergola di Firenze per Il gran Cid di G. Paisiello e per Andromeda di G. Gazzaniga. Da Firenze si sposta a Venezia, per esibirsi al Teatro S. Benedetto in Demetrio di Guglielmi e in Demofoonte di Paisiello.
A giugno esegue la cantata Venere al tempio, musica di Galuppi, in occasione delle nozze di Alvise e Giustiniana Pisani. Tra il 1775 ed il 1776 canta al Teatro Ducale di Milano. Nel 1776 è nuovamente a Firenze, dove riscuote successo, accompagnandosi da solo all’arpa, strumento di cui è virtuoso. Nel 1777 è a Roma al Teatro di Torre Argentina. Intorno al 1780 il Millico si stabilisce a Napoli, diradando sempre più le apparizioni pubbliche come esecutore. Si esibisce, qualche volta, in alcune accademie offerte all’aristocrazia partenopea e, un’ultima volta, canta nel 1783, nella cappella privata di don M. Pernotti. La decisione di ritirarsi a Napoli, all’epoca uno dei centri operistici più attivi a livello europeo, sembra coincidere con l’abbandono definitivo del palcoscenico. Si dedica alla composizione e all’insegnamento. Diventa maestro di contrappunto e composizione di L. Capotorti e di canto della futura lady Emma Hamilton. Nel 1782 scrive il dramma La pietà d’amore, eseguito per la prima volta a Napoli in forma di cantata a cinque voci, al teatro dei Fiorentini e messo in scena l’anno seguente a Lisbona. Nuovamente rappresentato come esecuzione privata a Napoli nel 1784 a Palazzo Reale e nel Palazzo dell’ambasciatore russo, il principe A.K. Razumovskij, oltre che, nello stesso anno, come accademia privata, a Padova. A Napoli il Millico ritrova il Calzabigi. Si rinsalda l’amicizia. Tra il 1783 e il 1784, scrivono insieme la tragedia in musica Ipermestra o Le Danaidi e il componimento drammatico Gli Elisi, o sia L’ombre de gli eroi. Quando viene rappresentata l’Ipermestra calzabigiana, tra gli spettatori ci sono: il re di Svezia Gustavo III e il principe Razumovskij Lo riferisce lo stesso Calzabigi nella celebre «lettre» al Mércure de France del 1784. Il pubblico napoletano è discordante sull’arte di Millico e Calzabigi. Non è facile riuscire ad incontrare il gusto esuberante dei napoletani più tradizionalisti. Il Millico si guadagna l’ammirazione degli esponenti più elevati dell’élite intellettuale, che ne apprezza la raffinatezza dello stile musicale. Il 27 giugno 1786 Vito Giuseppe Millico è nominato ‘maestro di canto delle infante’, con lo stipendio di 50 ducati mensili. Nel dicembre del 1787 viene assunto come soprano della Reale Cappella con 30 ducati al mese. Nel 1791 scrive The princess of Tarent, un’opera buffa in forma di pasticcio, pubblicata a Londra, e nel 1797 L’avventura benefica, su libretto di G.S. Poli. Si tratta dell’ultima creazione del Millico, che nello stesso anno, 1797, perde completamente la vista. Va ricordato che oltre alle composizioni più note, il Millico porta in stampa anche composizioni minori quali: Nonna, per far dormire i bambini, (Napoli circa 1792); A fourth set of six canzonets with accompaniment for pedal, or small harp, pianoforte or harpsichord, London ; 30 canzoni per canto, arpa e pianoforte. Inoltre, ricordiamo brani giunti a noi, in copia manoscritta: diverse raccolte di arie, tra cui canzoni, notturni, con accompagnamento d’arpa, di cembalo, o in trascrizione per piccoli organici strumentali, un Salve Regina a voce sola con più strumenti, Scale e solfeggi per soprano, le cantate La morte di Clorinda, La nutrice di Ubald, 12 canzonette per pianoforte e violino (databili al 1777), 2 sonatine per arpa e una raccolta di brani per clavicembalo (confluiti nella raccolta a stampa dei Musical Trifles, London 1791), oltre a un Inno del patriarca s. Giuseppe. Nonostante la cecità, Vito Giuseppe Millico continua a lavorare a lungo, onorando i suoi incarichi di maestro di canto delle altezze reali e di maestro della Reale Camera e della Reale Cappella palatina. Nell’ultimo periodo si occupa soprattutto di insegnare a suonare l’arpa alla principessa reale Maria Cristina. A questa attività affianca quella di maestro di musica di ragazzi indigenti di talento. Nel 1802 decide di ritirarsi, avanzando la richiesta di una pensione, pari allo stipendio pieno, per tutti gli incarichi di sua competenza. In virtù dell’elevata considerazione dei suoi meriti artistici, gli viene eccezionalmente concessa. Vito Giuseppe Millico muore a Napoli il 2 ottobre 1802. E’ seppellito, per sua volontà, nella chiesa dell’Ecce Homo ai Banchi nuovi legata alla Congregazione dei musici di S. Cecilia, di cui è benefattore. Il Millico lascia in eredità ai familiari un ragguardevole patrimonio, consistente in: beni immobili, contanti, gioielli e argenteria. Nega espressamente nel testamento, la volontà di lasciare alcuna beneficenza a istituzioni ecclesiastiche.
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…don Ferdinando Fiore sul palcoscenico della Moro-Fiore
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scuola
/Giorgia Tricarico
Non siamo la generazione delle passioni tristi
I ragazzi durante la recitazione/Foto di Francesco Fiore
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Ferdinando Fiore, nato a Terlizzi il 22 Marzo del 1838, all’età di 16 anni vestì l’abito talare dopo aver svolto i suoi studi dai Gesuiti a Napoli. Il Vescovo Gaetano Rossini lo destinò per le sue grandi qualità intellettive e morali a canonico parroco della Chiesa di Terlizzi in Santa Maria di Sovereto, in un periodo storico particolare in cui vi era grande esubero di chierici. Il passato, le radici, le tradizioni ritornano sempre carichi di messaggi : ci si stupisce quando le cose dette, i messaggi proferiti, i consigli suggeriti, come in questo caso circa 173 anni fa, risuonano senza retorica attuali ed illuminanti. Nella prima metà del 1800, questo nostro concittadino parlava di scuola, di metodi di insegnamento in maniera così innovativa che scrivere oggi di Ferdinando Fiore ci permette di disquisire di scuola, cultura, progresso e giovani,considerati dallo stesso “l’unica leva che innalzerebbe il mondo” in un momento storico, quale il nostro, in cui questi argomenti sono minati da politiche governative miopi che non finanziano a dovere la cultura e la ricerca. Promuovere e sostenere la scuola rappresenta il primo gradino per costruire un mondo migliore; per questo ho trovato molto interessante la rappresentazione teatrale “Una storia: la storia” portata in scena dagli alunni di 1^ e 3^ C della scuola secondaria di primo grado “Moro-Fiore” a cura della professoressa Clara Andriani pres-
so il Centro Sociale ‘Sacro Cuore di Gesù’. Il testo teatrale, tratto dall’opera “Ferdinando Fiore Sacerdote, Maestro, Patriota” di Francesco Fiore e Angelo D’Ambrosio, è stato scritto da Michele Santeramo, il quale ha saputo dirigere con sapienza, ironia e profondità tale performance regalandoci un’opportunità per riflettere, per emozionarci e per ricordare l’esempio di questo grande uomo, un po’ dimenticato. Sul palco i ragazzi, vestiti di nero, seduti uno accanto all’altro raccontano la vita di F. Fiore in un puzzle di tempi comici perfetti, verità storica ed innocenza tali da catturare le menti ed i cuori degli spettatori attenti ad ascoltare. “Qui si è persa la memoria di tutto” ammoniscono i giovani attori . Grazie a loro, recuperiamo il filo della nostra memoria alle soglie dei 150 anni dall’Unità d’Italia, tocchiamo con mano la ”rivoluzione che aveva in testa don Ferdinando Fiore” . Frugando nella nostra realtà locale, in una Terlizzi prettamente agricola, rude e molto religiosa scopriamo la figura di quest’uomo che incarna il culto di Dio, la lealtà di patria e un’intensa affinità con i giovani. Nel 1876 fu pronunciato, e poi dato alle stampe, il discorso fatto da F. Fiore nell’occasione della cerimonia conclusiva dell’attività scolastica, ovvero ”Nella solenne distribuzione dei premi agli alunni delle scuole elementari” in cui il prete incoraggiò i genitori a man-
dare i figli a scuola perché l’istituzione sociale della scuola doveva misurarsi con la coscienza dei fanciulli per costruire il futuro. Inoltre, F. Fiore nel suo discorso spiega che: ”L’egoismo del fanciullo è un egoismo innocente e paziente, un egoismo necessario e provvidenziale, un’aspirazione ad un bene che non conosce, un istinto sublime della dignità del suo essere, una rivelazione paradisiaca di sua futura grandezza. Il fanciullo egoista, il fanciullo che s’ama, è un piccol uomo, che si afferma, che vi dice : badatemi, riconoscete la mia ragione, la mia personalità, apritemi le porte alla vita, additatemi lo scopo, infioratemene le vie, fornitemi la forza per conseguirlo ” . Ecco perché il metodo di insegnamento basato sui premi piuttosto che quello basato su ”i
bastoni e le carote” è considerato da Ferdinando Fiore, già nel 1876, adatto a condurre per mano i fanciulli in un percorso di crescita più consapevole. Il premio inteso come tributo di giustizia al merito, all’impegno e al dovere. Ma Ferdinando Fiore, forse troppo scomodo per quei tempi, fu calunniato e morì in esilio, infatti i giovani attori sulla scena denotano che ”nei paesi piccoli bisogna morire per poter capire il valore prezioso delle persone”. Tuttavia, questa volta per riflettere sul valore di F. Fiore non è servito morire, è bastato portarlo sul palcoscenico. Occorre riportare le argomentazioni pedagogiche del suo discorso a favore del “sistema dei premi” per percepire senza additivi l’altezza del suo pensiero e per comprendere la prospettiva di un uomo che ha saputo guardare l’orizzonte senza limitarsi ai confini della sua epoca. “Nel premio (i fanciulli) trovano se stessi e perciò trovano tutto.(…)A questo punto, comincia la metamorfosi dello spirito. Egli((il fanciullo) si convince che non gli basta appagare se stesso, ma che gli è d’uopo rispondere all’aspettativa d’altri; e già si accinge ad operare con maggiore serietà di scopo, uscendo dall’io, e ponendo il fuor di se , che gli apparisce con tutto l’imperativo di una legge. In tal guisa il concetto dell’onore cede la sua gran parte al concetto del dovere, ed allora nel fanciullo istintivo lampeggia l’uomo ragionevole. Aggiungete il crescente sviluppo delle sue facoltà mentali, la convinzione pratica della loro imitata potenza, l’esercizio sempre più laborioso della vita, i desideri sfruttati, i disinganni precoci, e la metamorfosi è già compiuta. Il fanciullo si è conosciuto, ha fatta la sua confessione di fede, ha rovesciato il suo idolo, e sui ruderi dell’amor proprio ha collocata la statua del dovere, a cui sacrificherà per tutta la vita. Io non faccio, che una storia vera”.
Da sinistra: Michele Santeramo e Clara Andriani/Foto di Francesco Fiore
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Una risorsa in più per qualificare la scuola primaria Don G. Bosco
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giugno 2011
scuola
I DIRITTI A SCUOLA sono una realtà
Potenziamento dell’azione didattico-educativa per prevenire la dispersione scolastica Favorire lo sviluppo delle capacità cognitive, linguistiche, espressive e relazionali dei giovani allievi e migliorarne l’autostima, il senso di responsabilità, per raggiungere quel ‘BENESSERE SOCIALE’ per affrontare con successo i problemi della vita reale. E’ uno degli obiettivi formativi concretizzati dalla scuola primaria “San Giovanni Bosco” di Terlizzi, che il giorno 6 giugno, dalle 9.30 alle 11.30, ha dato il via della manifestazione conclusiva del progetto CI SONO ANCH’IO, nell’ambito del progetto regionale DIRITTI A SCUOLA – Anno Scolastico 2010/2011, mirato a qualificare il sistema scolastico e prevenire la dispersione favorendo il successo scolastico. Il progetto, finanziato per il 50% dal Fondo Sociale europeo, per il 40% dal Fondo di Rotazione e per il 10% dalla Regione Puglia, si pone come obbiettivo strategico l’innalzamento dei livelli di istruzione inteso come volano per la crescita economica e sociale della Regione. Le attività educativo-didattiche sono state finalizzate a rinforzare la costruzione di competenze non del tutto raggiunte dal singolo alunno, attraverso unità disciplinari che hanno visto quell’alunno protagonista di fronte ad un problema che ha avuto nel suo apparato empirico il centro d’interesse. Nel momento in cui ha lavorato in modo attivo ad un progetto concreto, perché ha soddisfatto i suoi reali bisogni formativi, egli é diventato il protagonista di un’attività, scelta come progetto personale atto a trasformare le conoscenze acquisite in competenze indispensabili per affrontare con successo i problemi della vita reale. Il progetto ‘Ci sono anch’io’ è stato espletato in orario curricolare in affiancamento al docente titolare in organico, di ambito linguistico, per cinque ore settimanali. Ogni unità disciplinare è stata realizzata da un gruppo minimo di dieci alunni, individuati
all’interno della stessa classe. Il clima cooperativo e collaborativo che si è creato con l’ingresso delle sei unità aggiuntive nel corpo docente e di tre collaboratori scolastici aggiuntivi, nonché la crescente sensibilità verso tutte le problematiche che ostacolano la realizzazione del diritto allo studio del bambini, si è tradotto nella realizzazione di un SERPENTONE DELLA PACE E DEI DIRITTI, composto da 600 alunni di scuola primaria e 150 alunni della scuola dell’Infanzia de Napoli, dal Dirigente Scolastico, docenti e genitori. Il serpentone ha preso forma nel piazzale antistante la scuola San Giovanni Bosco e si è snodato per le vie principali del Paese, Corso Garibaldi e Corso Dante. Durante il percorso i bambini hanno cantato canzoni e inneggiato frasi e pensieri sulla pace e sui diritti dei bambini. Sotto la Torre dell’Orologio il serpentone avvolgendosi su se stesso ha assistito all’esibizione del gruppo degli sbandieratori e delle mayorettes, fiore all’occhiello della scuola San Giovanni Bosco. Il progetto CI SONO ANCH’IO ha rappresentato il riscatto degli alunni con maggiori carenze; l’opportunità di vivere concretamente i propri diritti evitando fenomeni di dispersione scolastica, così come casi di frequenza scolastica irregolare che incidono negativamente sui processi di apprendimento. La comunità scolastica si rammarica per la totale l’assenza delle autorità politiche terlizzesi invitate, compreso l’on. Nichi Vendola, impossibilitato a parteciparvi per una convocazione urgente a Roma. Si ringraziano tutti coloro che hanno creduto, collaborato e partecipato alla realizzazione del Progetto “Diritti a Scuola 20102011”. Ins. Angela Giangaspero
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EQUILIBRIO diario di un camionista Giovedì 19 maggio 2011 presso la biblioteca comunale di Terlizzi è stato presentato il libro: Equlibrio – diario di un camionista di Antonio Sarcina. Alla presentazione hanno partecipato: il Sindaco di Terlizzi ing. Vincenzo di Tria e l’assessore alle politiche culturali Mimmo Paparella. Il volume è stato presentato dal dott. Domenico Lobascio formatore e pubblicista.
scuola
/Sara De Bartolo Nicolò Ceci
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Alla colorata e storica parata che ha visto sfilare gli alunni dell’Istituto durante il Carnevale terlizzese, rivisitando usi e costumi dei grandi personaggi del Risorgimento, è seguito un momento di riflessione e di analisi più capillare degli eventi e delle gesta che portarono alla nascita della nazione italiana, annullando la triste profezia di chi, nell’ Italia, aveva visto solo “un’espressione geografica”. E’ nata in questo contesto, la celebrazione commemorativa per i 150 anni dell’Unità d’Italia, organizzata dalla Scuola secondaria di I° grado “Moro-Fiore” di Terlizzi. La rappresentazione si è svolta all’aperto, presso l’anfiteatro scolastico, in una calda e piacevole serata imbibita di sapore estivo e di toccanti memorie. In un crescendo di emozioni e di trepidanti attese, si è alzato il sipario su una delle rappresentazioni più belle e significative che docenti e alunni, non senza impegno e fatica, sono riusciti a far splendidamente decollare. Dapprima c’è stato il saluto del Dirigente scolastico, dott. Giuseppe Tedeschi, a tutti i convenuti: al Sindaco, ing. Di Tria, all’assessore alla Cultura, prof. Paparella, ai dirigenti, ai genitori e ai tanti curiosi che hanno gremito gli spalti del novello teatro adibito ad ospitare lo spettacolo risorgimentale. Questo macroprogetto, finalizzato ad avvicinare gli alunni alla storia della propria nazione, ha voluto avviarli verso una ricerca concreta delle proprie “Radici” dalle quali spiccare il volo sulle “Ali” di una più matura identità di cittadini consapevoli. “La libertà e l’Unità di un popolo sono un dono che viene dal passato ma vive di futuro. Quello che abbiamo è ciò che gli altri hanno dato per noi, quello che i nostri figli avranno è ciò che noi daremo per gli altri”. E’ stata questa la chiave di lettura dell’excursus storico del Risorgimento libertario e liberale con cui, attraverso l’impegno di Tanti e la volontà di Tutti, docenti e discenti hanno cercato di rinverdire l’opaca memoria di quei Pochi che avevano dimenticato il complesso scenario in cui maturò l’Unità del nostro Paese. Splendidi i quadri viventi creati dagli alunni perfetta-
mente a loro agio negli abiti storici pertinenti ai tempi rappresentati. Vere e proprie pennellate d’autore tra colore e sentimento sono apparse le esibizioni che così si sono succedute: • il mesto sacrificio consumato per la “Patria bella” dai 300 giovani eroi interpretato dalla Spigolatrice di Sapri; • la verosimile rivisitazione di una riunione della Carboneria attraverso il doveroso ricordo del concittadino La Ginestra; • il recupero storico del primo Parlamento Italiano presieduto da Sua Maestà Vittorio Emanuele II sulle emozionanti note di violino del melanconico “Va’ pensiero”; • il furore clandestino, il temerario coraggio e le frante illusioni dei briganti capeggiati da Carmine Crocco; • la rimembranza lieve e dolente dell’amaro destino del terlizzese don Ferdinando Fiore; • il disperato appello di Garibaldi ai Mille che sigilla, nell’incontro a Teano, la sofferta consapevolezza di una gloria ormai esausta ed esaurita; • il travaglio infinito dell’Italia meridionale che, dinanzi all’Unità, continua ad essere spaccata tra potenti decaduti e la paura del cambiamento in un remake di un celebre episodio del Gattopardo. La serata è stata allietata dal coro della scuola che, attraverso i più noti brani risorgimentali, ha costituito l’ideale cornice canora all’evento. Una coreografica Tarantella, danza simbolo dell’Italia, ha concluso le esibizioni tra iridescenti colori verdi-bianchi-rossi unendo tutti intorno all’amato Tricolore. Al termine della manifestazione, che ha egregiamente concluso un anno di intenso lavoro, l’inno nazionale “Fratelli d’Italia” ha coinvolto tutti in un empatico rapporto di fraterna complicità, a testimoniare che la Patria è, è stata e sarà sempre capace di unire gli uomini in un autentico abbraccio di “affinità elettive” oltre ogni tempo, oltre ogni luogo. Assunta De Leo, Giovanna De Palma, Maria Tempesta
A conclusione dell’anno scolastico 2010-2011 il liceo classico C. Sylos di Terlizzi ha proposto al pubblico, presso il monastero delle Clarisse, il risultato del lavoro di alcune attività didattiche e dei PON. I temi intorno ai quali si è annodata l’attività scolastica hanno riguardato: la tutela dei diritti umani, la difesa dell’ambiente e l’Unità d’Italia. Il 1° Giugno, alle ore 18:30, si è avviata la manifestazione alla presenza del dirigente scolastico, prof.ssa Speranza, del Sindaco, ing. Vincenzo di Tria, e dell Dott. Antonio di Muro, rappresentante regionale dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati UNHCR Italia. Dal rappresentante d’Istituto è stato consegnato un assegno di solidarietà di 600 euro che i ragazzi hanno guadagnato nel giorno della consueta festa di San Martino, celebrata anche quest’anno con grande successo. Verso le ore 20:00 si sono esibiti i ragazzi delle classi III A e IV B guidati dall’attrice Maria Elena Germinario, la prof.ssa Cafagna e il professore Altamura sul tema “Volere l’Italia futura. L’Unità dopo l’Unità.” Il percorso proposto dai ragazzi della IV B ricordava l’attacco e il massacro, nel giugno 1857, di Pisacane e i suoi uomini per la spedizione nel Cilento da parte delle autorità borboniche supportate dalle masse contadine. Così i ragazzi hanno coinvolto il pubblico con i seguenti testi: ‘Testamento politico’ di Carlo Pisacane, rivolto al “volgo, sempre disposto ad applaudire i vincitori e a maledire i vinti”; sentenze di condanna a “morte ignominiosa” di Garibaldi e Mazzini; “Lettera ai giovani” scritta nel 1859 da Mazzini. Si è chiuso questo percorso con la Premessa di Giuseppe Garibaldi alle proprie ‘Memorie’, scritta nel 1872. L’Unità d’Italia avvenuta nel 1861, non fu una conquista definitiva. E’ questo il messaggio che hanno voluto comunicarci i “fuoriusciti” del ventennio fascista, disposti ad accettare l’esilio pur di poter organizzare l’avvento del nuovo stato. Tra verosimili ricostruzioni storiche i ragazzi della III A, hanno recuperato quel periodo attraverso la
sentenza emessa dal giudice Crispo nei confronti del sindaco Giuseppe La Ginestra, accusato di aver organizzato una sommossa popolare. Sono state interpretate: le riflessioni di Salvemini sul possibile “Risorgimento tradito”; una Lettera di Gobetti ad Ada del 7 agosto 1922 ed infine lo storico atto di accusa “Odio gli Indifferenti” di Antonio Gramsci dell’11 febbraio 1917. Come sottofondo, per sottolineare il grande valore della libertà e dell’amor patrio, sono state proposte musiche e canzoni come ‘Bella Ciao’, ‘Venceremos’ e “Io non mi sento italiano” di G: Gaber. Infine, così come da programma, è stato dedicato un ampio spazio musicale al delicato e quanto mai attuale tema dell’acqua. Questo argomento infatti è stato il fulcro del progetto PON sotto la guida dell’esperto, prof. Zinni e del docente tutor, professore Brandi . Gli alunni sono stati guidati nella stesura ed elaborazione di cinque testi che, successivamente, sono divenuti vere e proprie canzoni armoniosamente eseguite dalla band nata durante questa esperienza. Un’ ode all’acqua, come presenza universale e indispensabile alla vita, l’acqua come forza inesauribile, come quel bene comune e di tutti che diversi secoli fa permise al precursore della letteratura italiana, S. Francesco, di appellarla “sor Aqua,molto utile et humile et pretiosa et casta”. La serata è stata allietata anche dalle canzoni dai temi diversificati del gruppo musicale del prof. Zinni. Ecco , dunque, il valore aggiunto della scuola che, da luogo di conoscenza e di erudizione, è andata trasformandosi in una fucina educativo-culturale atta a guidare il percorso formativo dei suoi discenti e, ne siamo certi, pur tra tanto diffuso pessimismo, sarà in grado di plasmarli come cittadini colti, onesti, responsabili e attivi costruttori di una migliore “Italia futura”. Noi alunni del Liceo classico di Terlizzi ci crediamo.
scuola/città
giugno 2011
/Anna Dicanio
Insegnanti e bambini della scuola dell’infanzia Viale Pacecco – Secondo Circolo Didattico Terlizzi. Foto tratta dalla pubblicazione realizzata dalla scuola con la Fidapa.
La Convenzione Internazionale dei diritti dell’infanzia approvata dall’ONU nel 1989 rappresenta un documento importante in riferimento alla tutela dei diritti dell’infanzia. Per favorire la conoscenza dei diritti dei bambini gli insegnanti della Scuola dell’Infanzia Viale Pacecco – 2 Circolo Didattico Terlizzi, in collaborazione con la Fidapa – Sezione di Terlizzi hanno promosso due giornate di studio in cui i bambini hanno parlato di diritti dell’infanzia, hanno mostrato l’opuscolo “L’albero dei sogni” in cui i
bambini parlano dei loro diritti. Ognuno ha espresso la sua idea di “diritto”, c’è chi la ritiene “ una parola importante!...è quella degli uomini che fanno le riunioni perché i bambini non devono avere paura…”, “sono delle immagini che stanno su un libricino... dove sta scritto che i bambini devono nascere, crescere... giocare, andare a scuola... come facciamo noi...” ”Tutti dobbiamo avere i diritti e per chi non ce li ha li dobbiamo volere... perchè non è giusto!”. Disegni, riflessioni, colori, emozioni, così i piccoli ci hanno racconta-
to i loro diritti: Diritto alla vita, diritto alla famiglia, diritto all’istruzione, diritto al gioco, diritto ad avere degli amici... diversi, diritto alla salute… Un plauso particolare ai bambini che hanno partecipato all’iniziativa per la loro capacità di saper tradurre in modo chiaro la profondità del “diritto al diritto” che sembra un gioco di parole ma in realtà è ciò che rende l’infanzia il ricordo più bello o meno bello della propria vita. Ottima è stata la regia delle maestre che hanno fortemente voluto
realizzare questo progetto dando voce ai diritti spesso inespressi dei bambini in collaborazione con le famiglie. Le giornate di studio sono state organizzate dalla Fidapa di Terlizzi, rappresentata dalla sig.ra Paola Rutigliano e dalla dott.ssa Nicla Marangella, responsabile delle commissione “Carta dei diritti delle bambine”, distretto sud – est. Ci fa piacere osservare come anche la Fidapa manifesti una così grande sensibilità rispetto ai diritti delle piccole e dei piccoli cittadini.
NUMERI UTILI Carabinieri : 112-3510152 Polizia Municipale: 3516014 Comune: 3517099 Enel: 5414009 Acquedotto: 3516973 Guasti Gas Metano: 3518574 Stazione Ferroviaria Bari-Nord: 3512424 SANITÀ Pronto Soccorso: 3516024 Guardia Medica: 3510042 Pubblica Assistenza: 3513838 Protezione Civile: 3513838 VIGILANZA NOTTURNO Centralino: 3517139 Pronto Intervento: 340.9778861 Vigilanza Campestre: 3516197
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città/politica
/Michelangelo Bellomo
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Finalità generale a cui un Comune deve puntare, per la realizzazione di una pista ciclabile è, tra le altre, quella di favorire e promuovere un elevato grado di mobilità ciclistica (e pedonale), alternativa all'uso dei veicoli a motore nelle aree urbane e nei collegamenti con il territorio circostante (Decreto Ministeriale 30 novembre 1999, n. 557 ) . È evidente che questa finalità , a Terlizzi, non è stata raggiunta. Perchè? Col fine di identificare i problemi per cui la pista ciclabile non funziona, senza però impelagarci in pesanti analisi tecniche e giuridiche, ci siamo affidati alla “vox populi”: vero, diretto ed inopinabile strumento di misura per una situazione di pubblico interesse come questa. A tal proposito abbiamo posto la seguente domanda: Per come la pista ciclabile è strutturata ed utilizzata, è funzionale al suo scopo? Ecco cosa ci hanno risposto: Il problema non è la pista ciclabile strutturalmente, sebbene ci siano alcuni punti non proprio funzionali, ma la mentalità delle persone. Terlizzi non ha la cultura della pista ciclabile , infatti si parcheggiano le macchine e diventa impossibile sfruttare la pista ciclabile, per il motivo per cui è stata creata. Porzia de Candia, 43 anni, casalinga No perché le macchine non la rispettano, parcheggiandosi sopra, impedendo a chi vuole farsi una
passeggiata di utilizzare la pista ciclabile. La Polizia Municipale fa poche multe, inoltre è poco protetta dagli automobilisti, non essendoci una parte della strada completamente separata dalle corsie per automobilisti, inoltre la sua collocazione è in alcuni punti di difficile utilizzo, perché le strade sono strette e scomode da percorrere in bicicletta. Pasquale Barile, 39 anni, commerciante Credo che sia positivo il fatto che a Terlizzi ci sia una pista ciclabile, perchè è un segno di apertura da parte del Comune. Forse l'unico problema è la poca educazione dei cittadini nei confronti di questa infrastruttura, soprattutto per chi confonde la pista ciclabile per un parcheggio, mancando di rispetto ai veri destinatari. Quindi credo che la pista ciclabile possa essere utile e funzionale ma utilizzandola in modo appropriato. Francesco volpe, 22 anni, studente Non viene utilizzata come dovrebbe, perché non è stata costruita bene, perché non è comoda da utilizzare, perché il percorso non è lineare e la corsia è stretta, e in ogni caso ci passano le macchine e ci si parcheggiano, rendendola inutilizzabile. Gaetano Tesoro, 14 anni, studente No. Per due distinti ma collegati elementi . Il Primo è che: è assente sia la segnaletica orizzontale, sia un cordolo che per separare
/Giuseppe Gragnaniello Avete notato che nella nostra città di politica seria da parecchio tempo purtroppo non se ne parla? Gli stessi fogli locali preferiscono trattare d’altro. Sarà un caso? Indubbiamente non c’è molto su cui confrontarsi e discutere. Quello cui si assiste è, di tanto in tanto, qualche scaramuccia all’interno della stessa maggioranza, figlia forse di quella litigiosità che pare proprio connaturale al centrosinistra. Talvolta sembra che chi governa stia lì lì per tirar le cuoia, ma subito dopo si riprende, e così continua a vivacchiare più che a fare. Certo che se la legislatura finisse in anticipo sarebbe un gran male, considerata la tranquillità e il grande spazio di manovra che l’attuale legge elettorale garantisce a chi vince. Che però do-
vrebbe sempre ricordarsi delle tante speranze che in quella vittoria erano state riposte, proprio come segno di discontinuità con il passato. Per cui sarebbe stato logico attendersi, non dico uno sforzo sovrumano, ma almeno un modesto tentativo di avviare l’atteso cambiamento. Dal canto loro quelli dell’opposizione stanno alla finestra, com’è inevitabile sempre per le stesse regole elettorali, indubbiamente attenti a ciò che accade, ma pronti solo a criticare or questo or quello, secondo l’ormai invalsa brutta abitudine italica che quanto decide o solo dice la parte avversa sia da considerare sbagliato o vada comunque demonizzato. A meno che non attendano sulla riva del fiume che prima o poi passi il cadavere dell’odiato nemico…
fisicamente la pista ciclabile dalla corsia per automobilisti .Il risultato è che le auto non solo sostano sulla medesima, ma transitano continuamente, non garantendo ai ciclisti la sicurezza e la tranquillità che la pista ciclabile dovrebbe assicurare. In secondo luogo: c’è comunque una forte mancanza di senso civico tra cittadini, che utilizzano il percorso ciclabile come zona di fermata, di sosta, ma addirittura come zona adibita al carico e scarico merce, occupandola anche per ore. Penso che una pista ciclabile ben fatta e funzionale possa essere quella di Trani, peraltro fornita di un’adeguata pavimentazione . Domenico De Sario, 26 anni, studente L’idea della pista ciclabile è ottima, ma purtroppo poco funzionale , si può racchiudere il tutto in questo. La funzionalità non esiste più allo stato attuale perché parcheggiano, non viene custodita da chi è addetto al controllo, non viene mantenuta efficiente a livello strutturale. Per quanto riguarda la parte di Sovereto per esempio avrebbe potuto destinare, con le dovute eccezioni e quant’altro, la via “vecchia” a zona ciclabile, invece che costruirla sulla strada principale , tant’è che i ciclisti utilizzano nonostante la pista ciclabile la via vecchia. Gioacchino Altavilla, 55 anni, pensionato Queste sono alcune considerazioni
forniteci dai cittadini. I “guai” della struttura sono evidenti: percorsi, stato delle strada , segnaletica… Ma la cosa che forse più è evidente e più grave è la diseducazione e il menefreghismo abbastanza spudorato, dei gestori , controllori e degli stessi destinatari che non permettono l’utilizzo del percorso ciclabile o comunque non fanno niente per renderla anche se per un minimo più utilizzabile. Questa situazione di “basso profilo” credo rispecchi una situazione di fondo ancor più triste dato che è da considerarsi pressoché utopistico ,con questi presupposti, uno sviluppo della città, anche nei più semplici servizi . Concludendo, credo la mancanza di stimoli provenienti sia dall’alto che dal basso porti a pensare ad una situazione abbastanza grottesca che identifica come problema principale di Terlizzi i terlizzesi stessi, dagli amministratori, ai cittadini.
Di solito si dice - e anch’io più volte l’ho sottolineato - che nel primo mandato un’Amministrazione non riesce a far granché proprio per la brevità del periodo a disposizione, mentre continuano a farsi sentire gli effetti, talvolta nefasti, delle decisioni precedenti. Però, con un secondo mandato, c’erano sia il tempo sia la possibilità per lasciare un segno tangibile del proprio passaggio. Cosa è cambiato invece a Terlizzi? Davvero poco! Non è il caso di fare un elenco. Ma nemmeno al Sindaco, che l’ha annunciato, credo convenga. A breve, comunque, sarà troppo tardi per far qualcosa di concreto. Anche per non scontentare - altro storico assillo che non viene mai sottovalutato - gli elettori. Soprattutto se qualcuno ha in mente il gran salto verso cieli più alti, diciamo nell’empireo parlamentare. Trascurando però il piccolo particolare che lo scontento per quanto non realizzato può portare ad
un inversione del consenso, molto più facile a livello locale, proprio com’è già avvenuto due volte fa. Tutto questo nel panorama di estrema confusione che ormai da tempo caratterizza la politica a livello nazionale. Dove qualsiasi benpensante ha quotidianamente un buon motivo per inorridire, giorno dopo giorno. Passando dall’arroganza di chi comanda all’insipienza dell’opposizione. Tanto che ha fatto benissimo il Capo dello Stato a bacchettare sia gli uni, per i troppi e interessati imbrogli, sia gli altri, perché poco credibili, affidabili e praticabili. Ma un cambio di rotta lo si vuole davvero? I numeri, con una maggioranza rabberciata quanto risicata, ci dicono che sarebbe stato possibile in più di un’occasione. Eppure tutto resta come prima. Sarà solo un caso?
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Il Centro di Addestramento Professionale di Terlizzi
Ut nihil non iisdem verbis redderetur auditum Così che, nulla di ciò che è stato ascoltato potrà essere raccontato con le stesse parole. La gettata del solaio dei laboratori era iniziata tre giorni prima; mancava il pietrisco e bisognava trovare assolutamente il modo di approvvigionarlo. Si riuscì a recuperare un traino per il trasporto ma non bastava, qualcuno si inventò un piccolo mezzo d’assalto, una vespa che trainava un cassonetto capace di appena mezzo metro cubo di pietrisco. Con questi mezzi si riuscì a scongiurare il rischio di restare senza la materia occorrente per effettuare il getto dei solai. Né era possibile dilatare i tempi: alcuni operai prestati per l’esecuzione dell’opera sarebbero dovuti rientrare al lavoro presso le loro sedi. Bisognava assolutamente terminare il lavoro entro i tempi stabiliti. Il terzo giorno gli operai erano stremati. Ci si rese conto che con quei ritmi non sarebbe stato possibile terminare il lavoro. Bisognava chiedere aiuto. Ma a chi? la voce iniziò a correre nel paese, un passaparola tra gli allievi del Centro che corsero al cantiere per mettersi a disposizione; iniziarono a trasportare ordinatamente il pesante impasto per la gettata. In fila dalla betoniera su per la rampa fino alla copertura dei laboratori. All’inizio quasi tutti in silenzio ascoltavano ed eseguivano gli ordini. La tensione era palpabile. Poi le prime battute di spirito, alcune risate. Ci si rendeva conto che il ritmo che si era stabilito avrebbe consentito di terminare l’opera. Il lavoro durò fino al giorno dopo. Erano le 14,15 del quinto giorno dall’inizio del getto. Gli ultimi pesanti secchi pieni d’impasto cementizio praticamente volarono quasi senza essere toccati dalle molte mani che se li passavano fino alla copertura dell’edificio. L’operaio su in alto si girò verso la fila dei giovani sudati, alzò le braccia al cielo con le mani aperte incrociandole tre, quattro volte. Il lavoro era completato; ci fu un attimo di silenzio e subito dopo scoppiò un fragoroso applauso; poche lacrime di gioia non trattenute segnarono le guance di alcuni ragazzi. Non è la sceneggiatura di un film neorealista. È quello che accadde il 18 settembre del 1959 a Terlizzi quando fu completato il getto dei solai dei laboratori del Centro di Addestramento Professionale. Cos’era il Centro? Il Centro di Addestramento Professionale, gestito dall’Ente Meridionale di Educazione Popolare e di Cultura Professio-
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giugno 2011
nale, operava a Terlizzi dalla prima metà degli anni Venti del ‘900. Il suo carattere era quello di una scuola superiore: la Scuola per Maestranze. La vecchia gloriosa Scuola per Maestranze, che formava artigiani di ottimo livello, stava subendo sul finire degli anni ’50 una trasformazione. Non più qualcosa di simile alla bottega rinascimentale con stucchi, spatole, stecche, pennelli. Diventava più simile ad un’officina con tornii scintille ferri. I gravissimi problemi economici in cui versava soprattutto quest’area del Paese rendevano necessaria una conversione dell’istruzione professionale. Si dovevano formare operai qualificati. La situazione economica di Terlizzi in quegli anni, così come nella gran parte dell’Italia meridionale, è tragica. L’agricoltura è l’unico sbocco occupazionale. La disoccupazione devastante, il lavoro minorile una regola. Il censimento del novembre ‘51 registra che sette terlizzesi su dieci sono impegnati in agricoltura; dati relativi al livello di istruzione dicono che un cittadino ogni quattro è analfabeta, uno ogni quattro sa leggere e firmare, meno della metà dei cittadini ha la licenza elementare, quattro ogni cento hanno la licenza media inferiore, meno di due ogni cento cittadini la media superiore. 76 cittadini su poco più di ventimila hanno una laurea. Il Centro che, prima della guerra, operava all’interno del vecchio Seminario, fu trasferito in alcuni locali della Pinacoteca De Napoli. Presto questa destinazione si rivelò insufficiente ad accogliere gli allievi che avrebbero voluto frequentarne i corsi: i 110 metri quadrati di superficie a disposizione del Centro erano troppo pochi, scarsa l’illuminazione e mancavano i servizi igienici. Era pertanto indispensabile costruire un nuovo edificio destinato alla scuola. Impresa nient’affatto semplice poiché mancavano del tutto i fondi necessari alla costruzione dell’edificio. Il nuovo direttore del Centro, Paolo De Leo, mise in campo il suo entusiasmo, il suo coraggio, la sua tenacia ed il suo senso civico capace di vivere la politica come arte del possibile, come dialettica del reale. Conosceva uno per uno i suoi ragazzi, le loro famiglie, le enormi difficoltà che gravavano sulla loro vita quotidiana; tutto questo divenne lo stimolo indispensabile per affrontare le difficoltà che si sarebbero presentate. La realizzazione del Centro, iniziata con lo scavo per le fondazioni dell’edificio eseguito dagli allievi del Corso Carpentieri per adulti disoc-
città e storia
/Graziano De Leo - architetto
cupati, si protrasse per circa sei anni e si rivelò un’avventura formidabile resa possibile grazie alla collaborazione di tutti coloro che avevano visto nella creazione della scuola la possibilità di un futuro. Un futuro fatto di lavoro, lavoro qualificato, e quindi di dignità. La creazione del Centro fu un’emozionante opera collettiva dura e faticosa di enorme importanza per Terlizzi. Permise a tanti di affrontare il mondo del lavoro a testa alta. Anche coloro che dovettero emigrare lo fecero non più come semplici manovali ma come operai qualificati. La storia del Centro è un pezzo della storia di Terlizzi. Maurice Halbwachs nel suo “ La Memoire collective” scrive: “ Quando un gruppo è inserito in una parte dello spazio, la trasforma a sua immagine, ma al tempo stesso si piega e si adatta a dei fatti materiali che gli resistono. L’immagine dell’ambiente esterno e dei rapporti che ha stabilmente con esso, acquista un ruolo essenziale nell’idea che il gruppo si forma di sè.” È probabile che questo valore della storia, come memoria collettiva, intesa quindi come rapporto della collettività con il luogo e con l’idea di esso, ci dia o ci aiuti a capire il significato della nostra individualità. La quale individualità risulta così legata al fatto originario, al principio che è evento ed è forma. E così l’unione tra il passato ed il futuro è nell’idea stessa della città che percorriamo, come la memoria percorre la vita delle persone, e che sempre per concretarsi deve conformare ma anche conformarsi alla realtà. E questa conformazione permane nei suoi fatti unici, nell’idea che di essi abbiamo. Il progetto elaborato dall’ufficio tecnico comunale nell’ambito del Programma Integrato di Rigenerazione Urbana prevede la demolizione del Centro di addestramento professionale progettato gratuitamente dall’architetto Michele Gargano nel 1956. Per una strana coincidenza, lo stesso Comune di Terlizzi indice un concorso di progettazione per la valorizzazione di piazzetta Amendolagine, a due passi dal Centro, indicando le linee guida da seguire per sviluppare il progetto; al primo punto si chiede di riqualificare l’area e di prevederne una ricomposizione architettonica in previsione dell’installazione nella stessa area del monumento bronzeo “Memoria e Identità”. Al secondo punto si richiede, tra le altre cose, la valorizzazione delle qualità storiche dell’a-
rea. È chiara la contraddizione tra il progetto che demolisce un edificio non riconoscendone le valenze storiche e identitarie (e non ci soffermiamo qui sul valore architettonico) e la decisione di installare, a pochi metri di distanza dall’edificio da demolire, il monumento bronzeo “Memoria e Identità” insieme alla richiesta della valorizzazione delle qualità storiche dell’area. Nelle intenzioni degli amministratori, il progetto si attiene alla logica operativa della Legge Regionale n.21, rigenerando il contesto con l’obiettivo di stimolare la crescita sociale e culturale della comunità. È bene qui sottolineare che l’articolo 2 della citata legge recita al primo comma: “I programmi integrati di rigenerazione urbana sono strumenti volti a promuovere la riqualificazione di parti significative di città e sistemi urbani mediante interventi organici di interesse pubblico. I programmi si fondano su un’idea-guida di rigenerazione legata ai caratteri ambientali e storico-culturali dell’ambito territoriale interessato, alla sua identità e ai bisogni e alle istanze degli abitanti. Essi comportano un insieme coordinato d’interventi in grado di affrontare in modo integrato problemi di degrado fisico e disagio socio-economico che, in relazione alle specificità del contesto interessato, includono: a) la riqualificazione dell’ambiente costruito, attraverso il risanamento del patrimonio edilizio e degli spazi pubblici, garantendo la tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio storico-culturale, paesaggistico, ambientale; b)…. “. Sarà compito dei cittadini terlizzesi, se vorranno riconoscersi nei valori storici, civici ed identitari del Centro, condizionare le scelte dell’Amministrazione che li rappresenta partecipando attivamente alla definizione di un progetto alternativo che preveda il risanamento del Centro, inserendolo all’interno del progetto di riqualificazione dell’area. Rivitalizzarlo con nuove attività di ricerca in collaborazione con l’EPCPEP d’intesa con gli amministratori regionali, che permettano nuove sperimentazioni per tornare a risolvere i gravi problemi che stanno interessando il lavoro delle nuove generazioni esprimendone tutte le reali potenzialità. È soltanto la capacità di legare il nostro passato alla realtà che consentirà la costruzione di un futuro migliore per le giovani generazioni. Ne saremo capaci? é ancora in noi la scelta che ci permetta di non dover pronunciare le parole: ora tutto questo è perduto.
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città
/Maria Teresa De Scisciolo Cristina Tajani entra a far parte della Giunta Pisapia al Comune di Milano. E’ assessore alle politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca. Nata a Terlizzi nel 1978, vive da anni a Milano. Nel 2003 ha conseguito la laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Commerciale “L. Bocconi”, discutendo una tesi in economia politica. Nel 2007 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Scienze del Lavoro, presso l’Università Statale di Milano. Ha partecipato a diverse ricerche, facenti capo ad Università e centri di ricerca (Università di Mi-
lano, Università Bicocca, Istituto di Ricerca Sociale, IRS). Oltre all’attività accademica e di studio è impegnata in politica e nel sindacato. Dal 2003 è funzionaria della Camera del Lavoro di Milano, con incarichi di studio e ricerca. In questa funzione ha curato i 5 rapporti intitolati "Il lavoro a Milano" dell'osservatorio congiunto Assolombarda-Cgil-Cisl-Uil. Attualmente è membro della segretaria della FLC-Cgil di Milano, il sindacato dei lavoratori della conoscenza, con delega all'università. A Lei i migliori auguri di buon lavoro dalla redazione del Il Confronto.
Giunta Pisapia al Comune di Milano. In basso da destra, la seconda è Cristina Tajani. Foto tratta da: “Corriere della Sera” di sabato 11 giugno 2011
A Napoli un busto per l’on. Domenico Colasanto 18
L’on. Domenico Colasanto
Venerdì 8 Giugno a Napoli, in occasione del convegno organizzato dalla Cisl: “Un nuovo Welfare a misura di cittadino” è stato inaugurato un busto del concittadino on. Domenico Colasanto. Uno dei padri fondatori della Cisl. E’ intervenuto tra gli altri, il segretario nazionale Cisl Raffaele Bonanni.
/Nicolò Marino Ceci Un augurio speciale ad Antonello De Robertis, che l’8 Marzo scorso, nella "Sala della Caccia" del Castello del Valentino - sede della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino - ha conseguito la Laurea in Scienze dell'Architettura. Ha discusso la tesi storica sulla Chiesa di San Ferraolo di Agrosso (TO). Relatore della tesi è stato il prof. Carlo Mario Tosco. Un gioioso augurio che speriamo non abbia il sapore di un malinconico addio - con il romantico fazzoletto di seta bianco al vento - ad un nuovo giovane terlizzese emigrato al Nord in cerca di fortuna – e di lavoro!
Antonello De Robertis, con il papà, la mamma e la sorellina, festeggia la laurea, appena conseguita.
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Traguardo storico al termine di una cavalcata trionfale. Solo uno stop in trasferta
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giugno 2011
Barile Flowers Service Terlizzi festeggia la serie C
/Adriana Gesmundo
Fine delle trasmissioni. La Barile Flowers Service Nike Terlizzi è in C Regionale. La squadra del presidente Vito Altieri entra nella prima serie pugliese della pallacanestro dopo aver dominato in lungo e in largo i playoff a chiusura di una vera e propria cavalcata trionfale. Solo una sconfitta in trasferta in tutta la stagione poi gli ostacoli nei giochi per la vittoria finale, Cisternino ai quarti e Basket Lecce in semifinale, superati con un secco 2-0. Una Barile Flowers Service Nike Terlizzi im-
Decessi Il giorno 15 maggio 2011 è venuto a mancare il Giudice Michele Scagliola. Lo ricordiamo a quanti lo hanno conosciuto e formuliamo sincere condoglianze alla famiglia.
peccabile lontano dal parquet del palaChicoli. Solo una sconfitta in trasferta. Proprio lontano da casa la Nike Terlizzi ha costruito la promozione in C segno di un gruppo con carattere e determinazione. Finalmente Bruno De Nicolo, un passato con la casacca della Nike Terlizzi e quest’anno artefice di un traguardo così prestigioso per il club della città dei fiori che non era mai arrivata così lontana, si lascia andare alla gioia per la promozione. “Come terlizzese ed ex giocatore della Polisportiva Nike del presidente Vito Altieri sono soddisfatto per quello che ab-
sport biamo ottenuto. La nostra vittoria è l’esempio di quella che si chiama forza del gruppo bravo nel girone di ritorno a non far sentire le assenze di Rinaldi e Sicolo e reso ancor più competitivo con l’arrivo di Pretto”. La promozione sfumata all’ultima giornata della regoular season per soli quattro punti nonostante il colpo sul campo della corazzata Lucera non ha per nulla influito sulla voglia di arrivare sino in fondo della Barile Flowers Service Nike Terlizzi. “Ho lavorato con gente motivata che aveva chiaro in mente l’obiettivo di tagliare un traguardo importante. La vittoria
di Lucera ci ha reso consapevoli di avere in mezzi per affrontare qualsiasi avversario anche lontano da casa e i playoff lo hanno confermato”. La Barile Flowers Service Nike Terlizzi si gode la festa per la storica promozione in C ma il domani è già alle porte e la voglia di pianificare la prossima stagione è forte. “Mi auguro che l’entusiasmo che si è creato intorno alla squadra cresca sempre di più. Vorrei vedere sempre più persone al palazzetto. Questo è uno dei primi obiettivi che ci siamo prefissati in vista del prossimo campionato”.
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politica
Anno XXIV n. 5/207 - Giugno 2011
8 198 nel ato d n Fo
Editore: Coop. Radio Terlizzi Stereo - Direttore Responsabile: Maria Teresa De Scisciolo n. 239 reg. stampa Tribunale di Trani - Spedizione in Abbonamento Postale 70% autoriz. Filiale di Bari Allegato del numero Ottobre
SSI GRA MO A L ERO da G
Allegato de “Il Confronto delle Idee” Giugno 2011
/Nino Giangregorio già Primario e Specialista in Odontoiatria e Stomatologia Una premessa. Le tradizionali protesi mobili, più prosaicamente chiamate “dentiere” nel linguaggio comune, hanno ormai fatto il loro tempo: in un passato per la verità non tanto lontano, esse hanno rappresentato, nel bene e nel male, una necessità, ma anche un supplizio, un’angoscia, una vera ossessione per chi sfortunatamente non ne poteva fare a meno. In effetti quelle protesi avevano grossi limiti funzionali, masticatori e fonatori, che incidevano profondamente sia nella vita di relazione che nel vissuto psico-emozionale dei pazienti. Un’autentica tortura, un bel grattacapo, si diceva, una sofferenza ed una frustrazione ascrivibili, dal punto di vista psichiatrico, ai disturbi “ossessivocompulsivi” che poi, molto spesso, degeneravano in una forma di depressione cosiddetta da “disadattamento”: ed era questa l’amara sorte di chi era affetto dalla “sindrome geriatrica” (leggi vecchiaia). Dal punto di vista dinamico, infatti, le “dentiere” erano grandi, ingombranti e scomode, per cui risultavano poco accette e tanto poco gratificanti da essere scarsamente tollerate: da ciò un rapporto conflittuale fatto di tensione, di insofferenza, di amarezza, di delusione, di disagio e di disabilità che travolgevano anche le migliori intenzioni. Insomma un meccanismo perverso di impotenza, un nervo scoperto, un tormentato rapporto “dentistapaziente”, un basso livello di autostima che danneggiava la salute psico-fisica della gente comune, portandola alla esasperazione. Il problema principale era la stabilità della protesi e la infiltrazione del cibo che ristagnava sotto la protesi stessa: la dentiera “balla”, “si muove” era il grido disperato e drammatico quando si superava la soglia della sopportazione, mentre sul piano biologico il danno maggiore era causato dalla sofferenza delle gengive, i cosiddetti “decubiti”, ossia le irritazioni dolorose dovute all’attrito della protesi contro le gengive.
Che tristezza! Spesso poi questi disturbi erano anche la causa di molti nostri “fallimenti” professionali, nel senso che le protesi, anche se confezionate a regola d’arte, venivano malinconicamente relegate nel dimenticatoio, nel fondo del cassetto dei ricordi, praticamente mai utilizzate! Da sapere. Ma i tempi cambiano, è
quindi l’ora di aprire una riflessione su questo problema: senza fare ulteriore dietrologia, si intuisce che l’impiego della classica dentiera poteva essere vissuta come una sorta di invalidità permanente, collegata fatalmente al decadimento fisico dell’anziano. Si capisce anche da queste brevi, ma necessarie, considerazioni quanto sia stata deva-
stante, comunque sgradevole e mortificante, questa dolorosa esperienza che comprometteva i riflessi antropologici più antichi ed ancestrali quali quelli della nutrizione e della formazione: per dirla tutta un vero calvario, un tormento ed una preoccupazione latente, un senso di inadeguatezza chiamata dagli esperti anche “psiconevrosi fobica”
speciale salute che non abbandonava mai l’utente e ne comprometteva la salute fisica e mentale. Altri tempi, si dirà, tempi ormai lontani: in effetti serviva un cambio di rotta, un cambiamento legato al progresso. Infatti oggi, per fortuna, lo scenario è cambiato in modo positivo ed esponenziale per cui muta la prospettiva e si può “investire” nelle nuove tecnologie; praticamente è la fine della rassegnazione e della passività, è la consacrazione di una nuova “era”, oltre ogni ragionevole dubbio. Infatti negli ultimi anni la tecnologia ha messo a disposizione degli odontoiatri una grande evoluzione: gli impianti, per cui possiamo dire che è finita un’epoca sotto una spinta innovatrice. Un occhio, dunque, alle nuove tecniche che sono un valore aggiunto proprio perché hanno rivoluzionato l’approccio “dentista-paziente”, e che stanno diventando ormai l’emblema di un nuovo “status” esistenziale, un nuovo marchio di conforto, di sicurezza e di gradimento: un argomento, quindi, che riteniamo interessante e molto sentito, che vogliamo sottoporre all’attenzione di chi legge, specie per i “matusa”, come si diceva un tempo. Si tratta, infatti – quella dell’implantologia – di una innovazione che può certamente cambiare la qualità e lo stile di vita, proprio dell’anziano, una nuova filosofia del benessere che può migliorare le cose più semplici e primitive dell’esistenza umana: la masticazione e la fonazione. Buone notizie, dunque, che segnano la fine di una grande mortificazione: scusate se è poco! È facile immaginare i vecchi portatori di protesi mobili curvi sotto il peso degli anni e delle malattie senili, a rischio di una vita grama fatta di isolamento, di emarginazione, di ipocondria per non essersi mai adattati alle vecchie protesi e, finalmente, tirare un sospiro di sollievo e adeguarsi alle nuove terapie incentrate sugli impianti; una soluzione che ha dato alla nostra Specializzazione una dimensione umana e sociale. Nella nostra società, infatti, l’edentulismo, cioè la perdita dei denti sia parziale che totale e la conseguente richiesta di sostituzione, è molto elevato, come dimostrano recenti studi epidemiologici condotti sia nelle zone rurali che urbane; le cifre sono veramente alte ed impietose. A ciò si aggiunga che l’allungamento della vita e il miglioramento della salute sono ormai beni irrinunciabili per cui il dentista deve attendersi una proporzionale richiesta di riabilitazioni sempre più moderne ed efficaci da parte di una clientela sempre più esigente ed insofferente alle protesi tradizionali. In questo contesto, come vedremo, gli impianti rivestono oggi un ruolo di primaria importanza perché rappresentano un simbolo del rinno-
vamento tecnologico, della voglia di cambiare in meglio e dell’emancipazione socio-culturale. Il punto sugli impianti: un tema che sta a cuore soprattutto agli anziani, i veri destinatari del nostro messaggio. Entrando nel merito, si tratta di una pratica emergente, ma consolidata, una valida risposta ai problemi protesici della gente comune, una nuova realtà che è entrata “pleno jure” nella casistica e nelle prerogative di molti dentisti che si sono adeguati ed attrezzati per le nuove esigenze. Va subito chiarito che, dal punto di vista applicativo, gli impianti vengono applicati nelle ossa dei mascellari, sia superiori che inferiori (mandibole) e sono finalizzati alla sostituzione dei denti mancanti. La loro caratteristica principale, una volta inseriti, è quella di poter essere utilizzati sia come pilastri di protesi fisse, sia come supporti per le protesi mobili per le quali agiscono come ancoraggi per rendere i denti più stabili: proprio quello che la gente desidera. In sintesi, rappresentano, senza “se” e senza “ma”, lo specchio dei tempi, una innovazione ed una alternativa alle vecchie ed ormai obsolete dentiere; si tratta di una conquista della nostra professione più specialistica e meno generalista. A questo riguardo c’è da dire che è ormai in via di estinzione il dentista “generalista”, mentre assume maggior riconoscimento lo specialista in senso stretto, chi, cioè, si occupa di un particolare settore della nostra disciplina come, ad esempio, i restauri conservativi (la cura e la conversazione dei denti), la exodonzia (l’estrazione dei denti, ormai in declino), l’ortodonzia (il raddrizzamento dei denti stessi) e l’implantologia, la metodica, appunto, emergente ed innovativa, in grande crescita esponenziale, non una seconda scelta, ma una priorità. Evidentemente si tratta di un passo avanti della nostra professione, un risveglio dopo anni di deprimente anonimato e di oscurantismo culturale, per un mestiere a torto ritenuto strettamente tecnico-meccanico, senza considerare tutte le sue declinazioni. Ora le nuove conquiste tecnologiche, gli impianti in particolare, sono già ampiamente considerati un oggetto del desiderio, soprattutto, lo ripetiamo, da parte degli anziani, una risorsa che sta conquistando nuovi spazi nella nostra pratica, e che sta modificando profondamente l’ “ars odontoiatrica”. Non solo: queste metodologie sono ragionevolmente sicure, offrono ottimi risultati anche dal punto di vista estetico e da quello funzionale, permettendo di recuperare il senso della normalità masticatoria e fonetica. Nel tempo poi, c’è da dire, si sono progressivamente sviluppate nuove strategie che rendono la terapia operatoria più
sicura, più semplice e più attrattiva, specie per quei soggetti affetti da edentulia totale, cioè della totale mancanza dei denti, un retaggio – ahimè – dell’età matura. Infatti si stima che la richiesta di questa nuova chirurgia protesica sia in rapida ascesa ed orientata verso il futuro con la scoperta di nuovi materiali che hanno ormai raggiunto elevati livelli di sicurezza e di affidabilità; per semplificare, si può dire che gli impianti, in campo odontoiatrico, rappresentano un’esigenza insopprimibile della nostra epoca, al punto che si può dire: grazie di esistere! Da ultimo va sottolineato che oggi, rispetto al passato, è possibile praticare questi interventi anche negli studi privati, una prerogativa che ha contribuito a divulgarli non solo, ma anche ad affinare le tecniche grazie anche ai cosiddetti “bio materiali”, cioè compatibili biologicamente con i tessuti osteo-gengivali ove vengono impiantati, ragion per cui non provocano reazioni di incompatibilità e di rigetto. Si realizza, cos’, il cosiddetto “gold standard” degli Autori americani, vale a dire il pieno recupero ed il ripristino dei parametri fisiologici dell’apparato fonetico e masticatorio. Pertanto si è liberi di mordere, di masticare correttamente, liberi di sorridere e di parlare con una corretta formulazione dei suoni e delle parole che non vengono distorte: il risultato finale è che la protesi su impianti è psicologicamente rassicurante e ben tollerata: in definitiva, è cambiato il rapporto dell’uomo con la “dentiera”! Bocca e narcisismo. È arcinoto che la bocca è un organo di senso che eccita le fantasie sessuali e perciò va conservata e tutelata nella sua integrità biologica così come nella sua efficienza e attrattiva per gli aspetti legati all’estetica. Ed è questo il motivo per cui gli psicologi difendono la sua “sacralità” e gli esteti la sua bellezza e il candore dei denti; ormai la cultura del corpo è strisciante, non si fa altro che parlare di diete e botulismo, in altre parole il mondo celebra oggi l’apparire più dell’essere. Un tempo si nasceva con un corpo e quello rimaneva a vita e a nessuno veniva in mente di cambiarselo come – si fa per dire – per un cappotto o un’auto; invece oggi molti, uomini e donne, vogliono “rifarsi” ed a questa regola non sfugge appunto la bocca con i suoi annessi. Un bell’aspetto, con un sorriso smagliante, è quasi un imperativo per tutti, senza distinzione di sesso o di classe sociale, visto che la bocca stessa è il biglietto da visita con cui ci relazioniamo con gli altri, insomma per piacersi e piacere! È interessante anche notare che, dal punto di vista evoluzionistico, la bocca è un organo in grado di assicurare la sopravvivenza dell’uomo grazie agli stimoli primitivi come mangiare, masticare, nutrirsi e di-
gerire meglio. Come ben si vede, il termine “sacralità” è appropriato: infatti nella concezione “taoista” la bocca è considerata la “sorgente della vita”. Bisognerebbe aggiungere che, sul piano psico-dinamico, con la bocca comunichiamo sorrisi, emozioni, felicità, passioni per cui – questo è certo – deve essere sempre fresca, attraente e seduttiva; per farla breve, bisogna sottoporsi periodicamente, è importante sottolinearlo, ad un “tagliando” di controllo professionale per mantenerla efficiente. Infatti anche nel regno della seduzione la bocca ha un ruolo centrale: baciarsi, ad esempio, è il principale indicatore del “feeling”erotico-sentimentale di una coppia, ancor più del desiderio sessuale, per quanto ne sia difficilmente separato. Il bacio, si sa, è radicato da sempre, nella nostra cultura amorosa, con esso inviamo al cervello messaggi eccitanti e gratificanti che scatenano, o modulano, sensazioni uniche di piacere, di soddisfazione e di appagamento. È anche utile ricordare che nella storia dell’umanità il bacio ha assunto connotazioni diverse: a parte il bacio “infame” di Giuda, quello associativo dei mafiosi, il “lesbo kiss”, ossia il bacio saffico, il riverente baciamano ai superpotenti come atto di contrizione o il baciamano alle signore per galanteria, dal sapore antico e ormai “demodé”, parliamo qui del bacio amoroso. Un bassorilievo nel tempio indiano di Khajuradi, da noi visitato, attesta, ad esempio, che nel 2500 a. C. già ci si baciava; successivamente la “vis poetica” dei Latini definì il bacio “linguae longe mellitum”, cioè dolce come il miele…! Per Cyrano de Bergerac – lo sanno tutti – è “l’apostrofo rosa tra le parole ti amo”, mentre per Cementano, più prosaicamente, “il bacio è come un rock…!”. Comunque, sia esso frivolo, esaltante, amichevole, appassionato, il bacio rimane un fenomeno estremamente diffuso, specie tra i giovani molto sensibili a queste dinamiche. Non solo: si pensi che proprio dal punto di vista dinamico un bacio intenso, prolungato, penetrante e gratificante, cosiddetto “alla francese”, coinvolge 150 muscoli facciali, e scusate se è poco! Di questa rivisitazione del bacio e di questo excursus il motivo è presto detto: un messaggio propositivo per sensibilizzare chi ci legge a quella che gli antichi chiamavano “salus oris”, cioè lo stato di salute e di conservazione della bocca, per evitare anche gli “odori” sgradevoli, un eufemismo per citare “l’alitosi” delle bocche…trascurate. E, giacché ci siamo, vogliamo sottolineare che anche le labbra hanno un alto tasso attrattivo e di sensualità; oggi, infatti, per accentuarne il fascino ed il sex appeal, vengono spesso ritoccate. Classica, ad esempio, l’accentuazione dell’ “arco di Cupido”, cioè
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il sollevamento al centro del labbro superiore per coniugare – si fa per dire – il fascino con la sensualità…! Altro esempio del fascino legato alla bocca: Marilyn Monroe, la “pop star” americana, era considerata un “sex symbol” non solo per la prorompente sensualità che emanava il suo forte ancheggiamento, ma anche per la tendenza a tenere la bocca semi aperta, testimonianza di una disponibilità “sensuale” di cui hanno parlato i pubblicitari e gli operatori della moda. Su queste basi il dentista di oggi è diventato un “estetista”, cioè non si occupa solo della cura dei denti, ma anche del loro miglioramento estetico per far apparire più belli e in forma. È risaputo che, una volta, ad occuparsi dei canoni estetici erano i poeti, gli esteti, gli animi sensibili, i pittori, ecc.; ora, invece, se ne occupano soprattutto i medici, tra i quali, ad esempio, i chirurghi plastici, che con i loro ritocchino a base di collagene, di silicone e di acido iarulonico migliorano l’estetica del viso, delle labbra e, più in generale, del corpo umano con risultati ritenuti eccellenti. Per noi odontoiatri ci sarebbe da dire che il “top” della professionalità l’abbiamo raggiunta con pieno diritto – questo è certo! – con i ben noti trattamenti correttivi: una disciplina chiamata “ortodonzia” che si occupa dell’allineamento dei denti quando sono accavallati oppure molto storti. In tempi più recenti, la chirurgia implantologica, con l’integrazione dei denti mancanti, ha procurato benessere e benefici per la salute, determinando un netto miglioramento della qualità della vita. Gli impianti, infatti, si stanno gradatamente sostituendo alle vituperate protesi mobili che sino ad oggi hanno regalato più delusioni che soddisfazioni, ed è per questo che questi nuovi impianti vanno di moda. A questo riguardo le neuroscienze insegnano che una protesi fissa che si avvantaggia della sostituzione dei denti con impianti, oppure con protesi mobili stesse, ma ben ancorate a pilastri di sostegno a base di impianti stessi, hanno buone probabilità di essere risolutive; secondo gli analisti, si incentiva l’autostima degli utenti, si placano l’ansia ed il nervosismo di chi ha perduto la calma interiore, si acquisisce sempre più padronanza della propria immagine corporea, si acquista più visibilità e sicurezza nella vita di relazione, si stimola, inoltre, la secrezione di “endorfine”, sostanze che a livello cerebrale hanno un comprovato effetto euforizzante ed antidepressivo, una strategia che aiuta a combattere le “neurodegenerazione”, in primis l’Alzheimer, il terribile morbo che annulla il passato! Per ultimo, ma non per importanza, si riacquistano la soddisfazione ed il buonumore legati alla certezza, o
quanto meno all’ottimismo e alla speranza, di migliorare la masticazione e digerire meglio. Tutto giusto, dunque: in pratica si reagisce e si accetta la vita con maggiore serenità, con meno tensioni e più rilassati; in parallelo, come già accennato, si riducono l’impatto emotivo e le fibrillazioni umorali legate alla vecchiaia. Perciò ben si addice agli anziani il motto “non si è mai troppo vecchi per sentirsi giovani”; viceversa, quando l’approccio con la vecchia dentiera era sbagliato, non soddisfacente ed inadeguato, si generava spesso una bufera ormonale che, in sostanza, provocava nel sangue un aumento del “cortisolo”, ossia l’ormone detto dello “stress” che, nel nostro caso, era da disadattamento con il conseguente rifiuto della protesi stessa. In questo senso il nostro messaggio, questa nostra “lectio magistralis” sugli impianti si ultima generazione acquista anche una importante valenza sociale, istruttiva e pedagogica: può, ce lo auguriamo, stimolare l’interesse vero questa nuova pratica che interessa soprattutto gli anziani motivati dalla necessità. Comunque, per rifarci all’impiego di queste procedure oggetto del nostro studio, è importante sapere che ne esistono diverse tipologie: un carattere comune a tutti gli impianti è che hanno bisogno di osso sufficiente – in medichese “cresta” ossea, per poterli ben posizionare nell’osso sottostante. In parole povere è come far germogliare una pianta in un comune vaso di terracotta: il seme attecchirà e si svilupperà meglio se il contenitore sarà sufficientemente capiente. La semplificazione è approssimativa, ma rende l’idea. Un altro elemento di successo è l’utilizzo di materiali non “biodegradabili”: in genere si adopera il titanio, un materiale di natura inerte che ha la capacità di “legarsi” biologicamente con la struttura ossea. Questo fenomeno, come ben sanno gli esperti, si chiama “osteogenesi” o “osteointegrazione”, paragonabile, per certi versi, al callo osseo che consolida le comuni fratture. Un altro parametro da tener presente è che gli impianti di qualsiasi tipo, essendo dispositivi medici, per essere sicuri e ben tollerati, richiedono una igiene accurata ed una periodicità delle visite di controllo; con la nuova diagnostica radiologica, poi, è possibile valutare preliminarmente la fattibilità stessa di un impianto. Infine, è estremamente importante il controllo dell’articolazione, cioè il rapporto tra l’arcata mascellare superiore e quella inferiore al fine di ridurre i contatti occlusali eccessivi: se questi “rialzi” non vengono eliminati, ne derivano danni alle articolazioni temporo-mandibolari che possono compromettere l’intera operazioneCiò premesso, per fare chiarezza e
avvicinare i possibili utenti a questa pratica che, come si vedrà, non è un’utopia, ma una realtà, ci occuperemo “in extenso” soltanto degli impianti di ultima generazione, cosiddetti “mini invasivi” per il loro calibro ridotto, che hanno molti vantaggi rispetto agli impianti tradizionali, cioè sono di facile esecuzione e più sicuri; sono assolutamente convenienti e confortanti non solo, ma sono alla portata di qualsiasi tasca e che consentono di dire addio alla vecchia dentiera. Praticamente, andare dal dentista senza spendere un patrimonio, “low cost”, cioè a prezzi calmierati. Dal punto di vista operativo alcuni cenni che serviranno a chiarire le idee. L’intera procedura consiste effettivamente nel posizionare l’impianto a forma di sfera e dal diametro ridotto nello spessore della “corticale” dell’osso alveolare: questo spessore si ottiene non incidendo la gengiva, ma perforandola con una fresa, dello stesso diametro dell’impianto, montata in uno strumento che in gergo viene chiamato “manipolo”. Appena inseriti, questi impianti possono essere utilizzati come pilastri di sostegno e di supporto alle protesi mobili confezionate, come si usa, in resina siliconoica opportunamente adattata, ribassata e ridotta nello spessore: vale a dire un conforto ed una stabilità maggiore. Tali sostegni sono principalmente sono principalmente indicati per le protasi mobili inferiori che, nella generalità dei casi, sono instabili, “ballerine” come suol dirsi, praticamente scarsamente funzionali a causa dei micro spostamenti che subiscono durante la masticazione. È anche noto che nella parte superiore della bocca la protesi mobile aderisce al palato come una “ventosa” che assicura una tenuta maggiore e, conseguentemente, una maggiore adattabilità. È evidente, così, che i “micro impianti” sono particolarmente indicati per quei pazienti abitualmente considerati “difficili”, insofferenti o demotivati. Ma le potenzialità dei suddetti impianti non finiscono qui: il protocollo operatorio, infatti, non prevede, per i motivi già accennati, alcuna incisione o tagli o scollamenti della gengiva per cui vi è minor sanguinamento, niente punti di sutura, minor gonfiore post operatorio, scarsità del dolore, minor rischio di trombosi vasale che può, in alcuni casi, pregiudicare o aggravare le precarie condizioni generali dell’anziano. Oggi, poi, con la chirurgia “computer guidata” e la TAC, la precisione dell’intervento è millimetrica – “chirurgica”, si suol dire – soprattutto nel collocare gli impianti in “situ”: una tecnica che gli esperti chiamano “flapp less”, cioè senza ricorrere appunto ad estese incisioni gengivali per cui, come insegna una
norma della chirurgia classica, “meno tagli, mano fai male!”. Anche il pericolo delle infezioni si riduce quasi a zero ed è per questo che gli impianti sono detti “mini invasivi”. Un altro dato confortante è che si possono applicare in un’unica seduta, evitando, così, le storiche, lunghe sedute dal dentista. Ma c’è di più: è sufficiente solo una leggera anestesia locale e una sedazione cosciente per ottenere un buon rilassamento del paziente; inoltre un altro aspetto di notevole importanza è legato al cosiddetto “carico immediato” che, praticamente, vuol dire che si può masticare anche subito, senza lunghi tempi d’attesa. Ma attenzione: per usare una locuzione latina “minus non est minor” gli impianti, cioè, pur essendo di piccole dimensioni, offrono ugualmente una forte resistenza ai traumi masticatori: infatti sono realizzati con un materiale, il “titanio” o, ancor meglio, lo “zirconio”, un metallo duro come l’acciaio e bio compatibile come il titanio: l’acidità del cavo orale e la saliva non li intaccano e non ne minano la stabilità. Un altro elemento di spessore e decisivo per la riuscita di questa procedura innovativa è che i micro impianti, al contrario degli impianti convenzionali, si possono applicare anche in condizioni di atrofia ossea o – come diciamo noi – con creste molto sottili; detto con parole più comprensibili, quando l’osso dei mascellari è carente: è questa la performance più convincente e basilare per coinvolgere le persone e segnatamente gli anziani, notoriamente affetti da una notevole ed irreversibile recessione ossea. E va chiarito anche un altro “bonus”: la fine di quel tormentone costituito dagli “adesivi”, cioè i collanti sotto forma di cuscinetti o di pomate che facilitano e prolungano la stabilità e l’adesività delle protesi mobili ai tessuti gengivali, e che aiutano anche a prevenire l’infiltrazione del cibo, fastidiosi sfregamenti e dolorose irritazioni. Ebbene, per decenni intere generazioni di pazienti hanno utilizzato questi prodotti farmaceutici di cui non potevano proprio fare a meno, pur essendo causa di sofferenza unita al disgusto. È innegabile, quindi, che l’avvento degli impianti e l’esperienza a livello psicologico risultano confortanti e “anti age”, cioè fanno sentire meno il peso degli anni, e non è poco! Certo bisogna vincere una certa diffidenza, ma questo è un altro capitolo: si sa che la “paura” ha radici antiche, antropologiche, è considerata una costante che da sempre rende conflittuale il rapporto dentista-paziente. Secondo gli psicanalisti la paura del dentista è un riflesso condizionato di autodifesa con il quale ci difendiamo dagli stimoli esterni che minacciano la nostra sa-
speciale salute lute e la nostra integrità psico-fisica; di come vincerla o, quanto meno, di come dominarla si parlerà nel capitolo che segue! Infine i costi: lo zoccolo duro, la “magna quaestio” e la meno “attraente” delle cure odontoiatriche. C’è subito da dire che in base ad una legge di mercato, la grande diffusione e l’autentica esplosione di consensi hanno determinato un calo dei costi degli impianti in generale e dei micro impianti in particolare, che così si sono resi accessibili alla gente comune, praticamente a tutti; non più un lusso metropolitano, appannaggio di un ristretto ceto elitario, ma una scelta per tutte le categorie sociali, la cosiddetta “popolazione rurale” a basso reddito, i “minus habentes”! Naturalmente con qualche sacrificio economico, perché, come insegna la Bibbia, “non si vive di solo pane”. Tuttavia quello che si spende è compensato dai risultati che, come ampiamente chiarito, sono estremamente interessanti, finalizzati alla eliminazione delle vecchie dentiere, croce e delizia di tempi ormai sorpassati, con il ritorno ad una normalità che mancava da anni. La (quasi) mancanza di dolore acuisce l’interesse e la disponibilità: dicevano, infatti, i filosofi greci che “bisogna curare senza nuocere e guarire senza soffrire”, una massima che oggi fa parte dei concetti fondamentali delle Scienza umane e sociali, una corrente di pensiero di cui siamo stati – detto per inciso – modesti cultori: la nostra esperienza è stata questa! A queste problematiche etico-morali, che dovrebbero essere il corredo di ogni medico, si aggiungono, per motivi di completezza, anche gli aspetti medico-legali dell’implantologia, vale a dire il cosiddetto “consenso informato”, la consapevolezza, la condivisione e il consenso del paziente all’atto medico che non è solo un obbligo cartaceo o un atto puramente formale e burocratico, ma è un impegno deontologico richiesto dalla legge. Data l’importanza dell’argomento, ricordiamo – per chi ha memoria scolastica – che la parola “consenso” deriva dal latino “consensus” e dal corrispondente verbo “consentire” che, dal punto di vista etimologico significa “essere d’accordo”, approvare un atto (medico nel nostro caso), insomma il diritto del paziente all’autodeterminazione o libero arbitrio, una risorsa disponibile per migliorare il rapporto di fiducia con il proprio medico. Il consenso all’atto medico come è concepito dal legislatore per quanto riguarda la sua valenza “etico-filosofica” ha interessato la Medicina sin dagli albori: infatti già Platone (427-347 a. C.) nelle “Leggi” ne sottolineava l’importanza quale elemento fondamentale della buona “ars medica”. Ritornando agli impianti nella loro generalità, per esperienza personale di vecchio “mestierante” acquisita
a suo tempo frequentando “stages” di apprendimento e di perfezionamento in Italia e all’estero, corsi considerati per convenzione i più accreditati dell’epoca, possiamo testimoniare e confermare la validità, la sicurezza e la versatilità degli impianti nel risolvere molte situazioni di precarietà per la mancanza parziale o totale dei denti. Naturalmente in quei tempi il contesto storico, sociale, culturale ed economico (bassi redditi) non era certamente roseo e per nulla paragonabile ai tempi attuali; ma da allora, per fortuna, molta acqua, è passata sotto i ponti dell’informazione, della divulgazione e della disponibilità economica, per cui c’è stata una vera “attrazione” verso l’implantologia da parte di committenti più competenti, informati e disponibili al cambiamento. Il perché è presto detto: un’emancipazione individuale e generalizzata della società attuale capace di scuotere le coscienze dal disinteresse, dall’immobilismo, dal qualunquismo vecchia maniera, dal populismo e quant’altro, che sono fuorvianti e dannosi perché alimentano nel tessuto sociale paure, incertezze, fibrillazioni, fenomeni di rigetto a qualsiasi cura, anche la più ordinaria. Come recita uno spot pubblicitario, si è, oggi, “liberi di mordere, liberi di sorridere”. Su queste basi niente pregiudizi ideologici sommari, niente terrorismo psicologico, niente drammatizzazioni e distorsioni di una realtà incontestabile perché ormai la chirurgia impiantare nel suo complesso e i micro-impianti in particolare, dal punto di vista eugenetico ed applicativo, offrono veramente le migliori aspettative, per vincere la instabilità e l’intolleranza delle protesi mobili, una pratica, se ci è consentito, che ha trovato in chi scrive, che ama i contatti umani, un convinto anticipatore, un fautore ed un motivatore. Le radici della paura: il fattore psicologico: è questo il vero autentico problema, un altro parametro fondamentale del rapporto dentista-paziente. Una paura “ontologica”, la più antica, la più arcaica, la più incontrollabile che si annida nell’immaginario più profondo dell’essere umano. Premesso, quindi, che non è mai facile gestire un paziente odontoiatrico e che convincere un soggetto fobico o ansioso è sempre un’impresa, in chirurgia impiantare la componente emotiva assume un’importanza determinante. Un parametro che è alla base di qualsiasi trattamento, come si sa, è la cosiddetta “ansia anticipatoria”, quella sindrome compulsiva e conflittuale che in psichiatria viene anche definita “odontofobia” o “dental auxiety” degli autori anglosassoni, una emotività che carica di negatività sia l’ambiente che la figura del dentista. Questa sindrome genera, appunto, ansia, nervosismo, preoccupazione,
insofferenza maniacale, intolleranza a sedersi per qualche tempo sulla poltrona dell’operatore, praticamente una “chiusura” ossessiva alle cure: pertanto si ha la sensazione sgradevole di sentirsi prigionieri della poltrona stessa ed in balia degli eventi, una “postura” molto sofferta, ma obbligata ed inevitabile, uno stato d’animo che altera la percezione stessa del dolore, ingigantendolo. Tuttavia, ad onor del vero, i progressi legati all’anestesia ed alla sedazione cosciente riescono in parte ad attenuare questo stato di allerta, inibendo i fattori negativi come l’ansia e la paura. Pertanto i pregiudizi ideologici, le riserve mentali, le insofferenze non sono, a nostro avviso, più tollerabili oltre una certa misura, anche perché spesso sono “scuse” o fanno comodo per sottrarsi alle cure. In questi casi, per demitizzare la paura e fidelizzare il paziente, è necessario agire sul “sommerso” psicologico con il cosiddetto “mental training” o “approccio psicologico motivazionale” che agisce direttamente sulla struttura della personalità di ogni singolo soggetto. Come? Incrementando le dinamiche relazionali con il sorriso, con i colloqui informativi, con il dialogo, mostrando materiale illustrativo con parole suadenti e rassicuranti: insomma una “full immersion” nel subconscio del paziente per informare e motivare. Se poi il clima dello studio è distensivo, ancor meglio. Da ultimo, per avere successo sul piano squisitamente tecnico, l’implantologia – è necessario ribadirlo – si basa sul binomio: qualità dei materiali e capacità, perizia, professionalità ed esperienza di chi opera, il dentista. Sui materiali si è già fatto cenno; per quanto riguarda chi opera, è bene sottolineare che l’implantologia è una tecnica chirurgica e come tale può essere usata bene o male, dipende da coloro che la praticano, dalla loro preparazione e dal loro percorso formativo. In generale dovrebbe essere un personaggio di spicco, un peso specifico di esperienza superiore a quello di altri colleghi, se si vuole essere competitivi. Considerato, poi, che la “pressione” emotiva è negativa ed altissima, sono necessari cautela, un approccio psicologico integrato, cioè un rapporto simbiotico con il paziente, tendente a ridurre quella che gli psicologi chiamano “percezione selettiva”, cioè la percezione negativa di tutto ciò che si teme possa arrecare danno o paura, al limite dell’ossessione. In altri termini un approccio attrattivo, la cosiddetta “captatio simpatiae” di cui parla Orazio, il famoso poeta latino. Sul versante tecnico vale il motto altrettanto significativo ed esplicito “non multa, sed multum”, praticamente più qualità che quantità; oggi, purtroppo, dilaga la cultura, il fanatismo il “delirium tremens” di saper fare tutto e subito, per cui
molti si improvvisano esperti per pura imitazione, senza alcuna preparazione di base o senza aver frequentato corsi di perfezionamento. Il requisito essenziale, dunque, è non andare oltre le proprie capacità, la propria competenza e rispettare sempre quell’ “etica della responsabilità” di cui parla il sociologo Max Weber, ovvero prudenza e cautela, tenendo sempre conto delle possibili conseguenze negative che comportano tutti gli interventi chirurgici, anche quelli più semplici e meno invasivi. Non sono i nostri suggerimenti discriminatori verso chiunque – il codice etico ce lo impedisce – ma semplicemente un invito alla trasparenza ed alla consapevolezza dei propri limiti di tutti gli odontoiatri. Perciò, cari lettori, “en garde”, come dicono i Francesi, fate attenzione e scegliete figure di alto livello professionale, con un pédigrée collaudato di affidabilità, esperienza e simpatia, e, per intenderci, senza la voglia di strafare e senza manie di protagonismo, perché – scriveva San Tommaso – “la prudenza è la prima delle virtù”: in altre parole senza tradire il “Giuramento di Ippocrate” che ammonisce di curare sempre secondo scienza e coscienza…! Morale. E siamo così giunti ai titoli di coda e al giudizio finale per legittimare – almeno abbiamo provato! – questa nuova risorsa più moderna, innovativa, più sicura, la più pratica e alla portata di tutti: i microimpianti. Un argomento interessante che non tutti conoscono e che merita di essere approfondito. Per concludere, abbiamo cercato di combattere lo scetticismo, la disinformazione, le prevaricazioni, il relativismo culturale, il nichilismo esasperato esponendo i fatti, le procedure, le metodologie come realmente sono, con parole semplici, essenziali, pragmatiche, comprensibili, responsabili, insomma “pro veritate”, con lo scopo precipuo di sdoganare la “paura”, questo autentico “totem” che rende sempre e comunque estremamente difficile ed esasperato il nostro lavoro. La chiave di lettura del metodo mini-invasivo ha, a nostro avviso, una matrice psico-sociale – il che non guasta – per convincere i ritrosi, i timorosi, gli incerti sulla possibilità effettiva di eliminare finalmente il disagio e l’intolleranza alla dentiera ormai “dépassé” per cui, come esperti di “psico-odontoiatria” il nostro interesse è, come sempre è stato, il benessere psicologico dei pazienti. Ed è stato questo il fine ultimo e lo scopo di questo contributo: come ammoniva Platone, il padre della Logica, “conoscere per capire”, ovvero più si conoscono le cose e meno si temono. Capito? Passaparola!