Grafis* il magazine del graphic design

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*MAGAZINE TRIMESTRALE - MARZO 2020 - ITALIA 5€



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Magazine Layout #1

EDITORIALE In un mondo sempre più digitalizzato, dove qualsiasi cosa è alla portata di un click, vi chiederete perché realizzare proprio un magazine cartaceo? La risposta, a questa che può sembrare una semplice domanda, la troverete intrinseca in ogni pagina, in ogni articolo e in ogni inserto del magazine. Con la grafica, difatti, si parla tanto di tipi di carte, formati, modelli, packaging e non solo, che possiamo, attraverso siti web, ricercare avendo solo un’esperienza visiva e il più delle volte non completa e soddisfacente. Con la rivista cartacea invece è possibile avere un’esperienza sensoriale a tutto tondo, sfruttando tutti i nostri sensi concentrandoci in particolar modo su quello del tatto. Per un grafico, soprattutto alle prime armi, è utile, se non necessario, avere un’esperienza totale che coinvolga tutti i sensi, in modo che possa sperimentare e conoscere questo vasto mondo non solo attraverso uno schermo piatto. Questa rivista adotterà nei vari numeri diversi tipi di carte con differenti grammature. Gli inserti, in particolar modo, offriranno una grande quantità di grafiche sperimentali. Con ogni numero della rivista vi sarà l’uscita di un inserto dedicato di volta in volta ad un tema differente per mostrare i diversi campi della grafica pubblicitaria. A cura di Cristina Bellonia

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CONCETTI CREATIVI L’annuncio pubblicitario

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Le strategie di comunicazione: Tradizionale vs digitale

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Wired la riprogettazione

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QR code art

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Headline Attraverso i manifesti di Alex Trochut

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Colori Pantone

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PRODOTTI CREATIVI Color of the year 2020

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Layout: Le composizioni grafiche delle riviste

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I volantini

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The wedding graphic

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Le partecipazioni: Gli elementi

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Packaging

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Manuale immagine coordinata

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Mountain clothing brand

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TIPOGRAFIA CREATIVA Le categorie dei caratteri tipografici

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Serif: Le quattro categorie

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Bodoni

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Sans serif: Le sue categorie

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Helvetica

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I VOLTI DELLA CREATIVITÀ I volti del graphic design

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Alex Trochut

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Bruno Munari

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Noma Bar

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Neville Brody

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CONTENUTI DIGITALI

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L’ ANNUNCIO PUBBLICITARIO

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U

n annuncio stampa è costituito da 5 elementi: il visual (immagine), l’headline (titolo), il bodycopy (testo), una baseline o pay-off (frase riassuntiva), un format (assetto generale pagine). E a questi si aggiunge il logotipo. In un annuncio ad avere maggiore importanza sono il visual e l’headline. Quest’ultimo è la scritta più visibile, quella che sicuramente verrà letta da un vasto pubblico. Quando si vuole lanciare sul mercato un nuovo prodotto, è importante capire quello che è il suo posizionamento. Il posizionamento è quindi l’area di mercato che un prodotto intende occupare in termini di caratteristiche differenzianti rispetto ai concorrenti. È molto difficile che una campagna pubblicitaria riesca ad attirare l’attenzione per più di qualche secondo. Solitamente ci si ferma solo a guardare il visual e a leggere il titolo, mentre il bodycopy lo leggerà solo una piccola percentuale di persone realmente interessate al prodotto. Per scrivere un bodycopy, è necessario saper scrivere in modo professionale. Ogni copywriter, inevitabilmente, realizzerà titoli o testi che in qualche modo gli somigliano, però il suo intervento dovrà essere cauto e nascosto. Il testo va riletto più e più volte per capire se proprio quelle parole sono adatte a quello che si vuole comunicare. Vanno inoltre utilizzate parole del parlato comune senza commettere ripetizioni. Un’alternativa al testo lungo, sono le caption, brevi spiegazioni che illustrano un dettaglio dell’immagine e sono collegate ad esse con un trattino. Molto spesso gli annunci si concludono con una breve descrizione scritta che viene detta

baseline o pay-off. Vi è differenza però tra questi due termini; il primo si riferisce ad una frase che ha a che fare con l’headline, mentre la seconda, è una dichiarazione secca che può affiancare il logotipo dell’azienda anche per molti anni. Il format non è altro che l’aspetto grafico di un annuncio, il modo in cui si organizzano e interagiscono gli elementi visivi e verbali all’interno di esso. Per individuare un format bisogna stabilire connessioni e gerarchie tra gli elementi che costituiscono un annuncio (Headline, bodycopy, visual), bisogna scegliere delle immagini coerenti al tono di voce dell’headline e viceversa. Dunque, il format è qualcosa che non riguarda solo la grafica, ma tutti gli elementi che compongono un annuncio. In una campagna pubblicitaria bisogna mantenere un format coerente per ogni annuncio proprio per ricondurli alla stessa. Più il format è forte e originale, più rimane riconoscibile nelle successive rielaborazioni. Creare un format è imprescindibile quando si mette a punto una campagna pubblicitaria che è differente da quello che è un annuncio.



Si parla di campagna pubblicitaria quando il messaggio si articola su più soggetti e mezzi e la comunicazione è pensata in modo tale da potersi sviluppare nel tempo, mentre si parla di annuncio per l’uscita periodica di un solo messaggio. Una delle tecniche utilizzate nella campagna pubblicitaria, è quella di mettere un doppio titolo. Ne è un esempio la campagna realizzata per il periodico “Panorama mese” nella quale in una serie di stampe con lo stesso format, vi sono due headline in questo caso contraddittori. Un altro esempio è la campagna pubblicitaria della Illy, una serie di stampe periodiche con lo stesso format: da un lato ciò che è falso dall’atro ciò che è vero. Per realizzare al meglio una campagna pubblicitaria, oltre a tener conto del prodotto e del suo pubblico, bisogna anche confrontarsi su quelli che sono i mezzi che veicoleranno il messaggio. Le caratteristiche fisiche del mezzo influiscono su quelle che sono le soluzioni formali. Un cliente che commissiona un piano-media, cioè un progetto di acquisto degli spazi che veicoleranno la sua campagna pubblicitaria, deve dichiarare quanto vuole spendere e il pubblico che vuole raggiungere. Un piano media viene redatto impiegando diversi parametri: il costocontatto utile a capire quanto bisogna spendere per raggiungere una volta l’individuo attraverso il medium scelto, la copertura che non è altro

che percentuale di target che si può raggiungere e, infine, la frequenza ovvero quante volte un individuo vedrà quel messaggio. Quest’ultimi due elementi moltiplicati insieme danno origine al GRP un indice che misura la pressione pubblicitaria sui target. Per quanto riguarda la stampa periodica, per motivi di affollamento, non conviene comprare spazi piccoli. Per le affissioni, si ragiona su poster lunghi 6 mt. Dagli anni 80, le aziende maggiori hanno iniziato a comprare sempre più spazi, doppie pagine su quotidiani, inserti speciali e secondi in televisione proprio per sottolineare la loro importanza sul mercato, ma a lungo andare questo atteggiamento è diventato invasivo irritando i consumatori. Dunque, in base alle risorse economiche del cliente si decide quanto sarà grande uno spazio e in base ad esso i progettisti devono adattarsi. Ad esempio, se uno spazio è piccolo, è inutile inserire dieci concetti, non si leggerebbero, infatti, in questi casi bisogna adottare un format semplice e un headline breve. Uno dei mezzi che non interrompe qualcos’altro è l’affissione che, però, attira l’attenzione solo per qualche frazione di secondo. Proprio per tale motivo le immagini devono essere forti e chiare e i titoli brevi. Deve catturare l’attenzione dello spettatore in modo che torni a guardare il manifesto in tutte le diverse varianti proposte riconoscendo il format.


LE STRATEGIE DI COMUNICAZIONE TRADIZIONALE VS DIGITALE

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el mondo del marketing, le strategie di comunicazione possono essere di due tipi: la comunicazione tradizionale detta anche offline che comprende spot pubblicitari televisivi e radiofonici, la stampa cartacea rappresentata dalle brochure, dépliant, cartellonistica, le inserzioni sui giornali, ecc. ma comprende anche il classico telemarketing con le telefonate a freddo, lo spam di e-mail e i venditori porta a porta che si presentano con appuntamenti improvvisati. Vi è poi la comunicazione digitale che utilizza invece strumenti online come siti web, social network, e-commerce, i banner pubblicitari, le inserzioni pay per click nei motori di ricerca, blog, podcast, video, ebooks, whitepaper, webinar e tutorial. E ancora, l’e-mail marketing per inviare messaggi commerciali creati ad hoc per un dato target di utenti, o l’inbound marketing che invece di cercare i clienti, li attrae naturalmente incuriosendoli e interessandoli con vari contenuti. In tutto ciò il digital marketing offre indubbi benefici: economici, di tempo e di gestione, permettendo d’investire budget limitati, con possibilità di ottimizzazione dei costi tenendo monitorati in tempo reale le performance della campagna pubblicitaria e permettendo di fare degli aggiustamenti in corso d’opera. Assicura un’alta visibilità dei contenuti e un livello d’interazione con il cliente che non ha precedenti. Inoltre, grazie ai mezzi digitali, il potenziale cliente è sempre raggiungibile in ogni momento e ovunque si trovi. D’altra parte, però l’azienda deve essere in grado di comunicare, accogliere e gestire le critiche che possono arrivare da una conversazione che, può capitare, sfugga al controllo della stessa azienda e prenda pieghe inaspettate. Ti


sarai accorto che è in corso un cambiamento radicale nel modo d’instaurare relazioni tra azienda e consumatore. È cambiato il modo di creare, trasmettere e fruire dei contenuti grazie all’alto livello di interattività offerto dai media digitali. L’azienda che prima deteneva il potere di veicolare la comunicazione e scegliere quali informazioni far arrivare all’utente passivo finale, oggi si trova a competere con quello stesso utente divenuto protagonista della creazione e della diffusione di quelle stesse informazioni. Questo ha decretato la necessità del passaggio da uno stile comunicativo one to all, tipico delle tecniche tradizionali, che utilizza canali unidirezionali che non permettono all’utente finale di fornire il proprio feedback all’azienda, verso l’odierno one to one, che prevede invece un elevato scambio d’interazioni e la nascita di contenuti creati per essere fruiti da uno specifico buyer e non dalla massa indistinta di utenti. Dunque, quale strategia adottare? Quella migliore per il tuo business, la più economica e che veicoli al meglio il tuo messaggio, portandoti ad ottenere risultati concreti. Quindi la scelta finale sarà innanzitutto legata al tipo di obiettivi che l’azienda intende raggiungere, in particolare dal mercato e dal target. Molto spesso un mix tra le due modalità di marketing rappresenta un’ottima combinazione. Ad esempio, nel caso di una piccola impresa orientata al mercato locale, una possibile soluzione potrebbe essere quella di utilizzare un’inserzione acquistata su un giornale, integrandola con una call to action che rimanda ad una landing page creata ad hoc per l’occasione, oppure alle proprie pagine social.

Molto spesso un mix tra le due modalità di marketing rappresenta un’ottima combinazione.


LA RIPROGETTAZIONE

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ired UK ha ridisegnato la sua rivista di stampa, con una nuova serie di documenti di identità dello studio Sawdust. In un’intervista esclusiva, parliamo con il direttore creativo Andrew Diprose in merito alla revisione grafica. Quindi, prima di tutto, perché la riprogettazione? Sono passati anni da quando abbiamo riprogettato e in quel momento il nostro atteggiamento nei confronti della gestione dello spazio e il ritmo della rivista sono cambiati. Personalmente è come una boccata d’aria fresca! Abbiamo anche un nuovo editore, Greg Williams, che ha apportato alcune modifiche all’architettura della rivista. E abbiamo riconsiderato il conteggio delle parole per pezzi, tenendo presente come funzioneranno su altre piattaforme: non è bene avere una recensione di 65 parole stampata che sembra ridicolmente breve online. Volevamo costruire quella flessibilità. Quali sono i cambiamenti e le idee alla base? Mi piace sempre tornare alle origini con la griglia durante la riprogettazione: non c’è niente di peggio di una riprogettazione lucida e superficiale. Ora siamo su una griglia a 15 colonne che fa sanguinare il naso, l’idea è che abbiamo la flessibilità della nostra griglia a 14 colonne precedente, ma con una tripla colonna leggermente più ampia per eseguire didascalie estese (come nella nostra sezione Gear) la stretta colonna “mobile” ci ha dato una lunghezza della linea troppo corta. Stiamo anche giocando con una griglia verticale a sei colonne. Non sono sicuro di come andrà a finire, ma è interessante avere una griglia verticale che attraversa sezioni. Inoltre, ora tutto si blocca sulla griglia di base. Sembra abbastanza ovvio, ma adoro il dettaglio

di avere tutto da didascalie, body copy e regole che colpiscono la griglia. È così importante per Wired adattarsi ed evolversi, sia nel modo in cui raccontiamo storie con il testo sia con le immagini. Voglio chiamare la nostra estetica “tech-chic” ma, giustamente, nessuno mi sta prendendo sul serio! Scherzi a parte, l’aspetto è più pulito, le storie durano più a lungo e le nostre immagini sono leggermente più parsimoniose e generose. Cosa c’è di diverso in termini di approccio agli spread e di equilibrio tra immagini e testo? C’è sempre una danza che abbiamo con gli editori per quanto riguarda lo spazio e le lunghezze delle copie. Detesto le riviste che sono claustrofobiche, non mi fa venir voglia di sistemarmi e coinvolgermi con i pezzi. Detto


questo, i lettori sanno quando non stiamo dando loro un rapporto qualità-prezzo sulla pagina, speriamo di aver trovato questo equilibrio con questa iterazione. Oggigiorno si pensa tanto a cosa significhi acquistare una rivista in formato cartaceo e leggere storie su carta anziché online. Sono impaziente di rendere Wired ancora più lussuoso nella stampa, con valori di produzione più elevati, carta e finiture eccezionali, qualcosa di prezioso nella mano, qualcosa da assaporare, tutto ciò che è fantastico nella stampa. Un buon esempio è il divertimento che abbiamo avuto con il pacchetto Russian Hacking anche in questo numero. È una lettura approfondita e importante che spero di aver semplificato la digestione visiva con il nostro trattamento: 16 pagine di supporti non patinati con solo colori speciali (rosso fluoro PMS 805, argento PMS 877, menta PMS 3375 e PMS 541 Navy). È la prima volta che dobbiamo svuotare completamente le unità di inchiostro CMYK dalle stampanti! E in un momento in cui la fotografia media è ovunque online, avere qualcosa di qualità, in cui le immagini sono apprezzate, è così importante. Se riusciamo ad attirare i migliori talenti nell’illustrazione e nella fotografia, farò del mio meglio per rendergli giustizia. Come sono cambiati i caratteri tipografici? A b b i a m o m a n t e n u t o i c a ra t t e r i tipografici che abbiamo apportato alle nostre piattaforme digitali dall’ultima riprogettazione completa, come la nuova famiglia Grottesca di tipo A2, quindi Wired in print, online e digital ora condividono una suite di caratteri tipografici di base. Abbiamo anche aggiunto alcuni dei nostri preferiti, tra cui: Noe Display di Shick Toikka e la lastra stretta di Blakey di Matt Willey. Non volevamo gettarli via come roba vecchia - abbiamo mantenuto il nostro laborioso lavoro di copia dei caratteri del corpo, solo modificato le impostazioni sotto il cofano. Sono ansioso di avere un set versatile e stretto di caratteri tipografici di visualizzazione, dallo stretto e incisivo New Grotesque e Blakey che possiamo potenzialmente correre enormi, al Noe ampio, nitido e spigoloso, al geometrico, moderno

e, brutalmente, brutale dall’aspetto brutale, dalla fonderia russa Brownfox. La progettazione del carattere - com’è stato realizzato? Eravamo ansiosi di aggiornare le intestazioni di sezione, commissionando un carattere tipografico variabile da utilizzare come speciali drop-cap e per i vari numeri in uscita in modo da adattarsi alla grafica e ai colori di un qualsiasi numero. Inoltre, adesso abbiamo qualcosa che possiamo posizionare più scherzosamente intorno ad una ipotetica pagina, su un’immagine o posizionato in un modo più tradizionale su una casella bianca. Siamo più severi con il design della pagina nella parte anteriore della rivista, il più delle volte disposto in bianco e nero, e un po‘ più contenuto rispetto a tutto il resto. Con questo carattere tipografico abbiamo aggiunto un po’ di divertimento e personalità. Per carità, non vogliamo prenderlo troppo sul serio, vero?!


QR CODE ART


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l codice QR è l’unico strumento di c o m u n i c a z i o n e i n g ra d o d i c r e a r e collegamenti ipertestuali tra il mondo online e quello offline. Con il QR code la tecnologia virtuale incontra la carta stampata: giornali, riviste e biglietti da visita diventano strumenti di informazione integrati a link e pagine web. Cos’è un QR code? Un codice a barre bidimensionale di forma quadrata, composto da diversi moduli di colore nero inseriti all’interno di uno schema a sfondo bianco. La funzione principale del codice QR è l’archiviazione di informazioni e dati. Un solo codice può arrivare a contenere fino a 7.089 caratteri numerici e 4.296 caratteri alfanumerici. Il codice QR deve il suo nome al termine inglese “Quick Response Code”, letteralmente “Codice a risposta rapida”. Questa espressione viene utilizzata per evidenziare la velocità attraverso cui il codice è in grado di fornire informazioni. Tutte le informazioni contenute all’interno di un codice 2D sono, infatti, pensate per essere decodificate in maniera rapida mediante dispositivi mobili. Smartphone e tablet sono i portali d’accesso all’informazione via QR. Per poter leggere un codice bidimensionale sarà sufficiente inquadrare il codice con la fotocamera del proprio smartphone. In pochi secondi l’utente verrà reindirizzato alla pagina di informazione desiderata. Alcuni smartphone – in particolare i modelli meno moderni – non supportano nelle proprie impostazioni di default la funzionalità di lettura QR code. In questo caso sarà necessario scaricare un’App specifica gratuita che funziona da lettore QR code per avere accesso alle informazioni. Qual è la caratteristica innovativa del QR code? Semplice, la possibilità di rendere l’utente fruitore attivo delle informazioni. Il consumatore non subisce in modo passivo la comunicazione, bensì partecipa attivamente al processo informativo inquadrando il codice QR e decidendo quali informazioni raggiungere. Nato nel 1994 con lo scopo di tracciare i pezzi di automobili


nelle fabbriche di Toyota, il QR code è stato sviluppato dalla compagnia giapponese Denso Wave. La capacità del codice 2D di contenere un numero d’informazioni maggiore rispetto al codice a barre lo ha reso in breve tempo un congegno utilizzato da numerose fabbriche per una più semplice gestione delle scorte industriali. Fin da subito il codice QR si mostra in grado di contenere una quantità di dati più elevata rispetto al codice a barre tradizionale. Per questo motivo il codice 2D inizia ad essere ampiamente utilizzato nella gestione dei magazzini industriali. Nel 1999 la decisione della Denso Wave di distribuire i codici QR code sotto licenza libera ne ha facilitato la diffusione in tutto il paese del Sol Levante. Nello stesso anno NTT docomo, il più importante operatore telefonico giapponese nel campo della telefonia mobile, lancia sul mercato i-mode il servizio che consente il

collegamento degli smarpthone alla rete internet. La conseguenza è lo sviluppo delle prime applicazioni per cellulari che hanno visto la luce agli inizi degli anni 2000, periodo nel quale i codici bidimensionali vengono utilizzati su carta stampata per veicolare URL e pagine web. In Giappone nella seconda metà degli anni duemila i codici QR code sono stati utilizzati principalmente nella cartellonistica pubblicitaria e nelle pubblicità contenute all’interno di giornali e riviste. In Europa e negli Stati Uniti la tecnologia 2D inizia a diffondersi solo verso la fine degli anni duemila come effetto dell’espansione del mercato degli smartphone. I nuovi telefoni cellulari, grazie alle funzionalità tecnologiche e alla presenza di applicazioni specifiche, sono gli strumenti perfetti per veicolare le informazioni smart dei QR code, che permette di contenere una quantità particolarmente elevata di dati.



ATTRAVERSO I MANIFESTI DI ALEX TROCHUT

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mostrare buoni esempi di headline è proprio il giovane grafico Alex Trochut. Prima di analizzare una parte dei suoi numerosi manifesti, è necessario capire cos’è un headline e perché è così importante. In un annuncio ad avere maggiore importanza sono il visual e l’headline. Quest’ultimo, è la scritta più visibile e il più delle volte termina con un punto fermo, infatti, la punteggiatura in questi casi è un valido strumento per accentuare i significati. È sconsigliato l’uso dei puntini di sospensione e del punto esclamativo perché è considerato un segno enfatico, infatti, un’affermazione può perdere forza nel momento in cui l’intenzione di stupire viene sottolineata in maniera evidente. Le headline possono essere molto brevi ma anche molto lunghe e ciò dipende non solo dalla quantità di informazioni che bisogna dare, ma anche dal meccanismo

retorico scelto per comunicare. Tra questi meccanismi vi è quello della accumulazione, un metodo di scrittura che spinge a leggere il messaggio fino alla fine. Esso è una variante del metodo negative approach ovvero un metodo strategico che porta a far vedere tutti gli aspetti negativi sperando così di far apparire l’azienda umile, seria, onesta, interessante e perfino simpatica. Quando si va a scrivere un titolo pubblicitario, bisogna capire qual è la cosa più importante da dire per poi farlo successivamente interagire con ciò che si vede. Il ritmo è importante per l’headline in quanto se è armonica e suona bene, si legge ben volentieri e si ricorderà meglio. Una volta scritto un titolo, si deve ben concordare con l’art director se è necessario che una parola vada messa a capo per scandire meglio la frase; però, l’art director a sua volta potrebbe richiedere dei cambiamenti se vi è un “brutto




effetto”. Per far si che un headline funzioni, bisogna capire che esso è un concetto più un emozione espressi in modo non casuale. La non causalità è proprio la scelta, significa che si vuole comunicare proprio quella cosa lì. Un metodo semplice per strutturare un titolo è costruirlo con figure retoriche come ad esempio è l’iperbole, spesso utilizzata in pubblicità, infatti, chi vuole vendere, tende ad esaltare la propria merce correndo, però, il rischio che il consumatore faccia una lettura critica del prodotto ridimensionando il suo valore. In una comunicazione pubblicitaria si può anche adottare l’ironia, però, si tratta di

una tecnica non facile da applicare in quanto il consumatore potrebbe non capire che si vuole intendere qualcosa di diverso da ciò che si è detto. Un’altra tecnica utilizzata in una comunicazione pubblicitaria è quella dello straniamento, cioè, quando un oggetto o un fenomeno viene percepito non scontato e non banale perché inserito in un contesto insolito. Si verifica anche nel momento in cui parole e immagini si scontrano ad esempio l’immagine lavora in termini emozionali ed è la parola a ricontestualizzare il tutto. Può avvenire anche l’opposto, infatti, l’immagine rimane nel suo contesto ed è il testo a straniarsi.


Colori Quando si parla di colori per stampa uno dei punti di riferimento è lo standard Pantone. Si tratta di un sistema che prevede l’utilizzo di codici per identificare univocamente i colori, impiegato per semplificare i processi di creazione, esportazione e stampa. Ma, in dettaglio, cosa sono i colori Pantone e perché sono così importanti nel lavoro del tipografo? I tradizionali sistemi di identificazione dei colori utilizzati in grafica prevedono l’utilizzo di tre o quattro tonalità di base, il cui differente dosaggio determina le più diverse sfumature: si tratta, in dettaglio, dei colori RGB e CMYK. Il primo trova impiego soprattutto nei progetti grafici sul web, mentre il secondo è quello normalmente impiegato in tipografia. Tuttavia, entrambi questi sistemi presentano un elevato livello di incompatibilità reciproca: questo significa che se un progetto viene disegnato con il formato RGB nel momento in cui viene avviato alla stampa in quadricromia può subire delle variazioni a causa della conversione. Fortunatamente, per ovviare a questo tipo di inconvenienti, esiste il sistema Pantone. Quest’ultimo è un catalogo di codici elaborato a partire dagli anni Cinquanta dall’omonima azienda americana, specializzata nell’elaborazione e definizione di tinte. Considerata l’elevata accuratezza dei colori Pantone, la gamma di colori cui attingere aumenta di anno in anno. Nel tempo, questi cataloghi si sono imposti come uno standard di riferimento, grazie al vantaggio rappresentato dall’essere uguali ovunque e per qualsiasi tipologia di impiego. Per fare un esempio, attualmente il numero di tonalità disponibili supera le 1.900 ed è in costante crescita. Ma qual è il segreto dietro al successo e alla diffusione di questo sistema? In realtà, si tratta di un’intuizione tanto semplice quanto geniale: per ogni tipologia di tinta, Pantone stabilisce un codice univoco che vale ad identificarla e riprodurla in tutte le

occasioni richieste. Questo codice è composto da due parti ben distinte: la prima, espressa in cifre o in lettere, identifica la macro area cromatica di riferimento a cui appartiene la tinta (verde, giallo, blu, ecc.); con la seconda, invece, si aggiunge una cifra che individua specificamente il colore.Pertanto, pur essendoci dei nomi specifici per le diverse tonalità (“rosa quarzo”, “marsala”, e così via), ciascun colore ha un identificativo predefinito indipendente dall’origine della tinta. Ciò significa che non si utilizza il dosaggio di colori base per creare una certa tonalità, come avviene nella quadricromia, ma una vernice specifica per ogni colore (non a caso, in gergo si definiscono i colori Pantoni come “tinte piatte”). Alcune tinte non possono essere stampate in Pantone ed è preferibile rivolgersi ai sistemi tradizionali per non diminuire la fedeltà dello stampato all’originale.



COLOR OF THE YEAR 2020

19-4052

Classic Blue

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nfondendo calma, fiducia e un senso di connessione, questa intramontabile tonalità di blu mette in evidenza il nostro desiderio di una base stabile e affidabile da cui partire mentre ci apprestiamo a varcare la soglia di una nuova era. Sfumatura di blu intramontabile e senza tempo, PANTONE 19-4052 Classic Blue è elegante nella sua semplicità. Rievocando il cielo all’imbrunire, le qualità rassicuranti di questo colore stimolante mettono in evidenza il nostro desiderio di una base stabile da cui partire mentre ci apprestiamo a varcare la soglia di una nuova era. Imprimendosi nella nostra mente come un colore rilassante, PANTONE 19-4052 Classic Blue offre rifugio e infonde nell’animo umano un senso di pace e tranquillità. Esso consente di rifocalizzare i nostri pensieri facilitando la concentrazione e fornendo un’eccellente chiarezza. Sfumatura di blu che invita alla riflessione, Classic Blue favorisce la resilienza. I colori sono una strategia di design e sono scelti in base alla potenza, la psicologia e l’emozione di un determinato colore. Dal momento che l’abilità umana fatica a tenere il passo con la tecnologia, non stupisce che siamo attratti da colori onesti che offrono un senso di protezione. Tonalità non aggressiva con cui ci si identifica facilmente, l’affidabile PANTONE 19-4052 Classic Blue si presta a un’interazione rilassata. Questo colore universalmente prediletto associato all’avvento di un nuovo giorno è accolto senza indugi. Da oltre 20 anni, il Pantone Color of the Year influenza lo sviluppo dei prodotti e le decisioni in materia di acquisti in svariati

settori, tra cui moda, arredamento di interni, design industriale, imballaggio dei prodotti e graphic design. La scelta del colore dell’anno è frutto di un’attenta valutazione e dell’analisi delle tendenze. In effetti, per effettuare tale selezione, ogni anno gli esperti del Pantone Color Institute perlustrano ogni angolo della terra alla ricerca delle nuove influenze in fatto di colore. Parliamo di influssi che possono provenire dagli ambiti più svariati, dal mondo dello spettacolo e della produzione cinematografica, le collezioni d’arte e i nuovi artisti, la moda, tutte le sfere del design, le mete turistiche più gettonate, così come i nuovi stili di vita, di gioco e le condizioni socioeconomiche. Le influenze possono derivare anche da nuove tecnologie, materiali, testure ed effetti che hanno un impatto sul colore, dalle più importanti piattaforme di social media e persino da eventi sportivi che catturano l’attenzione internazionale. Il Pantone Color Institute è la divisione commerciale di Pantone che mette in evidenza i principali colori stagionali delle passerelle, prevede le tendenze cromatiche mondiali e fornisce consulenza alle aziende in merito al colore nell’identità visiva del marchio e dei prodotti. Il Pantone Color Institute collabora con marchi di livello mondiale mediante previsioni sulle tendenze stagionali, ricerche sulla psicologia del colore e consulenza, per integrare nella loro strategia tutta la potenza e l’emozione del colore.



Layout LE COMPOSIZIONI GRAFICHE DELLE RIVISTE

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ebbene le tecnologie digitali e di Rete abbiano di fatto già da qualche anno aperto la strada all’editoria online, ancora oggi i giornali cartacei possono vantare a livello planetario una produzione alquanto estesa. La realizzazione di magazine tradizionali presuppone una progettazione a monte tutt’altro che semplice e scontata: la creazione del layout e l’impaginazione di riviste richiede molta attenzione e soprattutto una conoscenza profonda delle pratiche di design, oltre che della strumentazione tecnologica preposta alla loro realizzazione. In questo articolo vi proponiamo una serie di esempi davvero illuminati in tal senso, estratti da alcuni dei giornali più famosi al mondo. Il layout della rivista è una delle cose che distingue una rivista dalle altre pubblicazioni. Le riviste devono essere lette, ma sono anche un’esperienza visiva. Potresti non notare tutto il lavoro che serve per creare un layout di rivista che sembra fantastico, ma puoi sicuramente notare se è stato fatto male. L’ultima cosa che vuoi è perdere i lettori perché il tuo design non è all’altezza. Ci sono molte pagine che vanno in una rivista e progettare ognuna di esse una per una sarebbe uno spreco di tempo. Invece, è utile creare pagine mastro che aiuteranno a determinare il layout generale e la sensazione della rivista. È possibile creare più pagine mastro in modo da non far avere lo stesso aspetto ad ogni pagina. Esse non dovrebbero essere troppo uniformi o sarà noioso guardare la rivista. Le pagine mastro dovrebbero includere elementi come i numeri di pagina, lo sfondo che si desidera utilizzare e qualsiasi bordo o disegno sui bordi delle pagine. Questo aiuta anche ad assicurare che non ci siano incoerenze nella rivista.


Una volta impostate le pagine mastro, si può iniziare a renderle più coinvolgenti. Pensa a qualsiasi rivista sugli scaffali di un minimarket. Se ne prendi una a caso e la sfogli, vedrai principalmente bianco o verrai accolto con un’esplosione di colori? Il colore ha una grande influenza sull’aspetto della rivista, può anche aiutare a stabilire il tono di articoli specifici che si includono all’interno di ciascun numero. Mentre si progetta il layout della rivista, bisogna assicurarsi di pensare ai diversi modi in cui può essere utilizzato il colore. Non tutti gli sfondi delle pagine, ad esempio, dovrebbero essere

bianchi. Forse la pagina delle caratteristiche ha uno sfondo a motivi o una fotografia dietro di essa per aggiungere un certo interesse visivo. Il colore può essere aggiunto in diversi modi. Si potrebbe rendere il testo del titolo di un colore diverso rispetto al corpo o cambiare i colori dei bordi delle fotografie per adattarle a un tema generale. L’aggiunta di contrasto ai layout delle riviste aiuta a renderli visivamente interessanti anziché troppo noiosi o stonanti. La chiave sta nel trovare caratteri che si mettono in risalto l’un l’altro, ma non sembrano lottare per lo spazio sulla pagina. Con il colore si può


anche aggiungere contrasto. Prima che il layout della rivista possa essere definito finito, bisogna assicurarti di leggere tutto e controllare il tuo lavoro. Quando si crea un layout per riviste, si desidera mantenere un buon equilibrio tra lo spazio bianco, le immagini e il testo. Una buona tecnica è quella di utilizzare un’immagine con un sacco di spazio ‘vuoto’, lo spazio intorno al soggetto ha la stessa funzione dello spazio bianco. La sillabazione è molto importante per il testo giustificato. Rompe parole lunghe alla fine di una colonna in modo che la colonna abbia un bordo diritto invece di contenere una grande quantità di spazi vuoti. Le impostazioni di sillabazione predefinite in InDesign richiedono alcune regolazioni per migliorare l’aspetto del testo. Cambiamo le impostazioni per utilizzare la sillabazione solo per le parole con almeno 6 lettere, e dopo la prima e le ultime 3 lettere. Il limite del trattino imposta quante linee in una riga possono avere un trattino alla fine. Penso che 3 sia troppo e un massimo di 1 sembra molto meglio. Inoltre, è necessario disattivare le caselle di controllo per le parole maiuscole e l’ultima parola. Di base, le impostazioni di giustificazione sono un po’ blande ma la spaziatura delle parole potrebbe essere messa ad un minimo di 85% e un massimo di 105%. In questo modo le parole non hanno grandi o piccoli spazi vuoti tra di loro.



VOLANTINI

LA GERARCHIA DELLE INFORMAZIONI

Il volantino è ancora oggi un prezioso strumento di comunicazione. Serve per far conoscere al pubblico un evento musicale, una mostra, una promozione speciale di un negozio oppure per rendere partecipe qualcuno di una causa sociale o politica.

Come per molti lavori grafici, anche quando si tratta di creare un volantino bisogna aver ben chiara una cosa: il messaggio che si vuole comunicare. Prima di mettere mano alla nostra composizione, bisogna innanzitutto organizzare il contenuto su tre livelli: titolo, sottotitolo, descrizione. È utile per chiarire la gerarchia delle informazioni e impaginarle successivamente nella grafica del flyer. Ad esempio, se vuole creare un volantino per una mostra, il titolo sarà composto dal nome della mostra e l’autore. Nel sottotitolo vanno inserite le informazioni utili come il luogo e le date e infine la descrizione sarà necessaria per inquadrare meglio il genere di mostra che si sta pubblicizzando. Dopo aver capito tutte le informazioni da inserire è bene concentrarsi su quali elementi grafici utilizzare. È possibile dunque scegliere tra un’immagine fotografica, un’illustrazione o un pattern grafico. Un’unica immagine di grandi dimensioni colpisce l’attenzione rispetto a molte immagini piccole, infatti, l’immagine deve essere facilmente leggibile dal nostro occhio. Un’immagine di sfondo o un pattern grafico potrebbe invece aiutare a convogliare l’attenzione di chi guarda verso un altro elemento: il titolo. In questo caso si può giocare sui contrasti e i colori per indirizzare l’attenzione verso la zona del volantino che contiene il titolo. Attenzione a utilizzare immagini ad alta risoluzione e con buona qualità che sia di almeno 300 dpi. Prima di pensare alla grafica del flyer, bisogna lavorare bene sul contenuto facendo in modo che il messaggio sia chiaro, sexy e sintetico.

Meno parole si usano, più potrete ingrandire il titolo e farlo risaltare ancora di più. Dopo aver individuato il visual e il titolo, inizia la fase di posizionamento degli elementi nel volantino. Il font utilizzato per il titolo del volantino è molto importante, infatti, insieme alla grafica del flyer, andrà a parlare alle emozioni del pubblico. Deve essere ben leggibile, quindi si consiglia di evitare font troppo ornati. Deve inoltre accordarsi bene con gli altri elementi come l’immagine o l’illustrazione. I professionisti consigliano di non usare più di due font diversi nello stesso volantino. Dunque, il titolo del volantino deve essere leggibile e quindi deve essere usato anche un colore che contrasti con lo sfondo o con l’immagine scelta. Prima di procedere con la stampa del tuo volantino, devi sottoporre la bozza a un’attenta analisi, per correggere eventuali errori o aggiungere informazioni mancanti. Di solito, è necessario rivedere testi e grafiche almeno un paio di volte, lasciando passare qualche giorno tra un controllo e l’altro, in modo da rileggere il tutto con uno sguardo più attento. Per quanto riguarda il tipo di carta e la grammatura, si deve valutare la destinazione d’uso del flyer: deve durare giusto il tempo di una promozione, o verrà usato per un periodo più lungo? Sarebbe bene optare per una grammatura compresa tra 150 e 170gr. Altri fattori da considerare sono le modalità di distribuzione del volantino e il tipo di messaggio che vuoi trasmettere. Un hotel di lusso, ad esempio, dovrà scegliere un tipo di carta raffinata, in linea con la sua immagine.


The graphic Parlando di nozze, una delle cose più importanti a cui si deve pensare è la grafica. Gli elementi grafici, che saranno ovviamente coordinati tra loro, accompagneranno tutti i momenti di un matrimonio. Per cominciare le partecipazioni di matrimonio sono il “biglietto da visita” dell’evento, è il primo elemento con cui gli invitati verranno a contatto con la cerimonia ed è per questo motivo che oltre ad essere bella e di gusto, è soggetta a regole più o meno rigide. Gli elementi di una partecipazione sono diversi: l’invito ha lo scopo appunto di invitare qualcuno ad essere presente solo ed esclusivamente alla cerimonia, infatti, se non si hanno tali intenzioni, esso verrà affiancato dall’invito al ricevimento. Altri elementi utili, ma non indispensabili, sono sicuramente il Save the date che potrebbe essere una sorta di calendario che mette in evidenza la data delle nozze. Vi è poi R.S.V.P. sigla che sta per Répondez, s’il vous plaît, che in italiano significa “Rispondete, per favore” dove si dà una scadenza entro il quale l’invitato deve confermare la sua presenza all’evento. Infine un altro elemento è la lista di nozze nel quale gli sposi possono aiutare con idee gli invitati a scegliere il regalo giusto ed utile per loro. Negli ultimi anni è sempre più comune inserire nella lista di nozze il codice iban per ricevere soldi. A seguire vi saranno tutti gli elementi grafici della cerimonia, che possono essere svariati come ad esempio la decorazione dei fazzoletti “Lacrime di gioia” o i conetti per il riso; ma l’elemento fondamentale resta sicuramente il libretto della cerimonia e

dei canti. Per il ricevimento, gli elementi grafici saranno sia decorativi che funzionali; Tra quelli funzionali troviamo sicuramente il menù che sarà coordinato a tutte le altre decorazioni della tavola come i segnaposto, il tableau e i tag per la confettata. Ultima ma non meno importante sarà la bomboniera, che conterrà al suo interno un tag in ricordo degli sposi.

Le partecipazioni di matrimonio sono il biglietto da visita della cerimonia: il primo elemento con cui gli invitati verranno a contatto con l'evento




Le gli elementi

Invito: l’invito di nozze, che può essere rivolto anche a chi non è invitato al ricevimento, deve contenere obbligatoriamente diversi elementi. Tra questi vi è sicuramente l’annuncio del matrimonio con i nomi degli sposi, la data, l’orario e il luogo dell’evento. Se si desidera, si possono aggiungere le decorazioni grafiche come loghi, clip art e molto altro anche in base alle richieste degli sposi e alla fantasia del grafico. Ricevimento: il ricevimento di nozze è rivolto esclusivamente a coloro che sono invitati al banchetto. Gli elementi che deve contenere sono l’invito degli sposi e l’indirizzo preciso di dove si terrà l’evento. R.S.V.P: il Répondez, s’il vous plaît è rivolto a coloro che sono stati invitati al ricevimento. Gli elementi che deve contenere quest’ultimo sono i nomi degli sposi, i loro indirizzi di residenza e l’elemento più importante: la data entro la quale confermare la loro presenza alle nozze. Lista di nozze: anche la lista di nozze è indirizzata esclusivamente a coloro che prenderanno parte al ricevimento. Qui gli elementi che vanno inseriti sono sicuramente un ringraziamento agli ospiti e la richiesta di un determinato regalo. Save the date: è un elemento non obbligatorio, ma potrebbe essere utile per gli invitati un pò più distratti a ricordare la data dell’evento.


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Packaging

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ackaging: confezione di un prodotto e, più propriamente, l’insieme delle attività messe in atto per la sua realizzazione. Il packaging è quella branca del marketing che svolge attività di studio, progettazione e realizzazione di confezioni in grado di differenziare i prodotti e renderli facilmente riconoscibili agli occhi dei consumatori. Oltre a costituire una risposta funzionale alle esigenze di imballaggio e protezione del prodotto, il package serve a identificare chiaramente la marca e il prodotto stesso e a dare informazioni circa le sue principali caratteristiche di produzione e d’uso. II suo ruolo è andato aumentando di pari passo alla diffusione della distribuzione a libero servizio, perché è uno strumento per comunicare stimoli al consumatore proprio sul punto vendita dove la percezione dello stimolo può portare all’acquisto di impulso; il package, peraltro, può anche essere veicolo di operazioni di carattere promozionale come la distribuzione di buoni sconto e di omaggi. Il packaging, inoltre, consente una politica di marca. Come evidenziato da Kellernel suo libro “la gestione del brand” pubblicato nel 2003, esso è l’elemento costitutivo dell’identità di marca più tangibile a cui si fa riferimento per la costruzione della marca stessa; esso contribuisce, inoltre, ad

aumentarne la notorietà e l’immagine. Il packaging è, dunque, un elemento molto importante per la presentazione e per l’estetica del prodotto: un pack ben realizzato deve contribuire a far emergere il prodotto sugli altri, per cogliere l’attenzione o il desiderio del cliente e assicurarsi più facilmente l’acquisto. Non si può essere certi che il package ottenga il gradimento unanime dei consumatori, per quanto concerne gli aspetti estetici; occorre garantire, invece, che esso non abbia punti deboli legati alla praticità di trasporto, mantenimento, esposizione e uso. Per queste ragioni, lo studio e la realizzazione del package è solitamente affidata, oltre che ai pubblicitari, agli specialisti di packaging, che hanno il compito di considerare la funzionalità vera e propria della confezione: per esempio, la possibilità di un uso e riuso razionale del prodotto, la facilità di apertura, la presenza di materiali sicuri ed ecologici, favorevoli ad un mondo sempre più inquinato e pervaso da rifiuti di ogni genere, ma soprattutto pieno di plastiche. Oltre alla bellezza dunque, vi è il rispetto che bisogna avere per il pianeta per renderlo più pulito. È doveroso per ogni essere umano, nel suo piccolo contribuire con un piccolo, grande gesto al rispetto del pianeta.


Gli esperti di marketing e di vendite sostengono che la maggioranza delle decisioni d’acquisto vengono prese in pochi istanti lungo le corsie del supermercato. Il potenziale acquirente infatti è attirato innanzitutto da ciò che vede nel preciso istante in cui si accinge a scegliere, ricollegando nella propria mente la confenzione colorata di un prodotto pubblicizzato in tv. Questo significa che la grafica per packaging, ad esempio, gioca un ruolo determinante nella scelta del potenziale compratore e quindi impone uno studio approfondito sul brand e in particolare su quei principi di product design

in grado di influenzarne i comportamenti. Un acquisto ha una forte componente emozionale e irrazionale, perciò la grafica del packaging deve essere coerente con il prodotto e con i valori del brand, deve rispecchiare i gusti e le aspettative del target e avere un impatto positivo. Tale risultato si può ottenere solo con un lavoro di analisi e studio preliminare del mercato, del target e dei competitors. In questo articolo vediamo in maniera estramemente sintetica quali sono i principi basilari nella progettazione di un buon product design e nella realizzazione di grafica per packaging: Visibilità: Per poter


essere notato ed eventualemente acquistato il prodotto deve essere ben visibile e questo certamente non è semplice negli scaffali affollati e spesso confusionari dei supermercati. Differenziazione: Per essere sempre ben visibili occore dunque puntare su una confezione originale e non scontata e comunque differente rispetto ai competitors diretti. Adattabilità: Una volta individuato il concept grafico occorre cercare di capire come realizzare un product design scalabile ovvero addattabile a tutte le diverse versioni in commercio. Coerenza: Chi acquista è rassicurato dalla riconoscibilità del messaggio e quindi dalla coerenza e dalla continuità tra ciò che vede in pubblicità e l’aspetto grafico del prodotto. Aspettativa: La confezione non deve deludere le aspettative del cliente. Quindi se l’advertising punta a creare un’emozione, questa deve trovare concreta realizzazione nel progetto di grafica per packaging che si intende adottare. Quindi la grafica del packaging è una discriminante molto potente nelle scelte del consumatore e lo spinge a fare un determinato acquisto. Vi sono però alcune eccezioni: il consumatore comprerà il prodotto non badando al packaging quando è un bene di cui non si può fare a meno o anche se il prezzo è meno caro rispetto agli altri.



ome si costruisce un’immagine coordinata? Come si progettano gli elementi di una “brand identity” in modo che funzionino e comunichino come un tutt’uno? Quando si progetta un logo, si va a costruire quella che deve essere la parte sommitale di un’immagine coordinata. Si va creare un simbolo o segno grafico che deve infatti rappresentare e raccontare un’intera azienda e il suo brand. E per raccontare un intero brand non basta il logo, c’è bisogno che quel logo sia inserito all’interno di un sistema visivo, all’interno di un’immagine coordinata. Anzitutto, che cosa si intende per immagine coordinata? Wikipedia dà questa definizione: “l’immagine diventa coordinata quando i diversi fenomeni comunicativi risultano coerenti l’uno con l’altro.” In sostanza, parliamo di immagine coordinata quando i singoli elementi grafici o visivi che compongono la nostra immagine vengono percepiti come un’unica cosa. Tanti elementi diversi che comunicano allo stesso modo, in modo coordinato e coerente. Quando pensiamo, ad esempio, al brand Ferrari, non pensiamo soltanto al logo del Cavallino.Pensiamo anche al rosso, il Rosso Ferrari, ad esempio. Ma non solo! Pensiamo alle Ferrari vere e proprie,

cioè le macchine e al rombo dei motori, che è una parte integrante del brand. Sono tutte cose che comunicano in modo coordinato e coerente. Andando a costruire il brand, ovvero un concetto che abbiamo nella nostra mente e che associamo ad altri concetti come “lusso”, “velocità”, “ricchezza”, eccetera. Insomma, un’immagine coordinata efficace non soltanto racconta il brand ma è proprio quello che ne crea l’immagine all’interno della mente delle persone. Un’immagine coordinata non è composta solo da cose come biglietti da visita, colori e font. È composta anche da suoni, prodotti, packaging, pubblicità, divise lavorative, personale, sito web, assistenza clienti, dipendenti, eccetera. Questo articolo però è dedicato ai graphic designer e quindi andremo ad affrontare solamente quegli aspetti che riguardano la grafica. La realizzazione di un’immagine coordinata non è che l’ultimo step del processo creativo di costruzione di un logo. Per creare un logo efficace a tutti gli effetti, e adatto a costruire un’immagine coordinata,



è necessario sapersi approcciare al processo creativo come se fosse un flusso di lavoro composto da fasi ben distinte. È fondamentale, ad esempio, partire dal design brief, affrontare lo sketching, costruire il logo al computer e solo poi lavorare all’immagine coordinata. Anche la scelta di font e di colori andrebbe lasciata sempre all’ultimo. All’interno della fase di costruzione di un’immagine coordinata, infatti, credo che si possano distinguere due fasi cruciali. Una volta che si è costruito il logo, sia che sia un pittogramma o un logotipo, si iniziano a costruire gli elementi fondanti di ogni immagine coordinata che si rispetti: colori,

font, pattern e altre forme varie (tipo le icone). Laddove font e colori sono sempre fondamentali, pattern e altre forme possono esserci oppure no a seconda del tipo di progetto. i colori sono cruciali per un’immagine coordinata e, spesso, diventano la pietra fondante di un intero brand. Altrettanto importante è il font. Utilizzare un unico carattere tipografico (o massimo 2 o 3) per tutta l’immagine coordinata e la comunicazione aziendale è uno degli strumenti più potenti per trasmettere coerenza visiva. A migliorare la qualità percepita di un determinato brand hanno un ruolo fondamentale i pattern che possono essere applicati dove si vuole.


LE CATEGORIE DEI CARATTERI TIPOGRAFICI

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I

l dizionario definisce tipografia come “l’insieme delle attività e delle tecniche di stampa, in particolare mediante l’uso di caratteri mobili in rilievo che vengono bagnati di inchiostro e applicati alla carta bianca, su cui lasciano l’impronta”. Questa definizione di tipografia ti sembra vecchia? Beh, in effetti la moderna tipografia risale al XV secolo, in particolare al 1456, anno in cui Johann Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Essa consisteva, sostanzialmente, nell’allineare i singoli caratteri metallici, precedentemente costruiti, fino a formare una pagina, cospargerli di inchiostro e poi pressarli su di un foglio di carta. Questa macchina ebbe una rapidissima diffusione in tutta Europa fino al 1814 quando Friedrich Koenig, a Londra, costruì la prima macchina piano cilindrica che permise, tramite l’utilizzo dell’energia a vapore di triplicare la velocità di stampa e iniziare a creare i primi automatismi di stampa. Altro capitolo di innovazione fu l’invenzione delle macchine Linotype (1886) e Monotype (1894) che furono le prime vere macchine di composizione tipografica automatica. La vera digitalizzazione della tipografia avvenne infatti a partire dal 1985 grazie al lavoro di poche aziende. Aziende come Adobe, Aldus ed Apple, infatti, sono state pioneristiche nel settore e hanno permesso,

tramite una serie di innovazioni e tecniche, la digitalizzazione dei font. Con la diffusione della grafica digitale i font sono diventati di uso comune per chiunque utilizzi un computer. Cosa c’è di più immediato che scegliere il font da utilizzare per un documento, un progetto, una mail, scorrendo la famosa tendina dei font? Quando si scorre quella tendina, si vedono moltissimi caratteri tipografici completamente diversi l’uno dall’altro. Spesso, si può essere portati a pensare che quei caratteri siano così diversi perché, chi li aveva progettati, semplicemente voleva fare qualcosa di diverso dagli altri. La verità però è un’altra: ci sono così tanti caratteri diversi perché appartengono ad epoche diverse, nelle quali si avevano diverse necessità stilistiche e diverse possibilità tecnologiche. Ad esempio, i font “bastoni”, cioè quelli senza grazie praticamente non esistevano fino a circa un secolo fa. Anche all’interno dei font “graziati” ci sono numerose categorie in cui l’aspetto estetico è dipendente dal periodo storico in cui sono stati creati. Ogni font è composto in modo diverso, ha diverse caratteristiche, ha diverse dimensioni, ha diverse forme ed esprime diverse sensazioni. E quindi? E quindi si può partire innanzitutto dal cercare di categorizzare i vari font in varie famiglie, o gruppi, o classi. Insomma, in varie categorie.


SERIF Le quattro categorie

“Serif” significa “grazia” ovvero quegli allungamenti, solitamente ortogonali, alle estremità del carattere. Vengono utilizzate per rendere il carattere più elegante, più “aggraziato”.

L

e grazie nascono dal cosiddetto carattere lapidario romano, una forma di scrittura di epoca latina in cui le grazie erano funzionali a una più facile incisione del carattere sulla pietra. Gli Old Style sono la prima categoria di caratteri serif, procedendo in ordine storico. Questa categoria è a sua volta divisa tra i Veneziani o Umanisti e i Garalde o Romani antichi (come il Garamond). La prima sotto-categoria dei font Veneziani aveva altezza dell’occhio del font relativamente piccola, un basso contrasto tra linee spesse e sottili, aste trasversali inclinate nella “e” minuscola e un “colore” molto scuro, inteso come l’effetto generato dalla densità di inchiostro stampato su una pagina. I Transizionali, dei quali il capostipite è stato il Baskerville nel 1757, è una categoria che raggruppa font molto popolari come il Times New Roman, il Cheltenham e il Georgia. I font Transizionali furono fortemente caratterizzati dall’approccio Illuminista di rigoroso ordine. Infatti, si cercò di allontanarsi dalla scrittura manuale dando maggior precisione ai segni grafici. I Transizionali, chiamati così perché situati storicamente tra i Romani antichi e i Romani moderni, si differenziano dai romani antichi grazie a forme più geometriche, a un contrasto maggiore tra aste verticali e orizzontali, da grazie più appiattite e da un allineamento più verticale negli occhielli delle lettere. Successivamente, tra fine ‘700 ed inizio ‘800, arrivarono i “Bodoni”. In

inglese e francese vengono detti anche Didoniani (dal font Didot) e un po’ dappertutto sono chiamati anche Romani moderni. Proseguono nella ricerca di geometricità iniziata dai font transizionali e dal Baskerville. Hanno un passaggio molto marcato tra aste verticali e orizzontali e possiedono grazie molto fini e sottili che formano angoli retti con le aste. Successivamente, con il diffondersi delle tecniche di stampa, i font iniziarono ad aumentare vertiginosamente e arrivarono gli Slab Serif o Egiziani o anche Square Serif. Sono stati definiti Egiziani per un motivo piuttosto stupido: all’epoca in cui inizialmente apparvero (i primi decenni dell’800) l’antico Egitto era parecchio di moda. Fin dalla pubblicazione nel 1809 del Description de l’Égypt in seguito alle esplorazioni e scoperte di Napoleone e del suo esercito. I tipografi decisero quindi, molto semplicemente, di utilizzare un termine che all’epoca era sulla bocca di tutti. La pubblicità ha moltissimo a che fare con gli Slab Serif (o Egiziani): si sono infatti diffusi grazie alle crescenti necessità creative dell’advertising, il quale si stava sviluppando proprio in quegli anni. Sono caratterizzati da un utilizzo estremo del contrasto e dall’utilizzo di grazie perpendicolari e molto sottili, ovvero caratteristiche volte solamente a catturare l’attenzione e non a garantire leggibilità. Proprio per questi motivi furono molto criticati in quel periodo storico per aver contribuito a rovinare la buona tipografia.



Bodoni è un tipo di carattere con grazie disegnato da Giovanni Battista Bodoni vissuto nel diciottesimo secolo, caratterizzato da un alto contrasto tra le linee spesse e quelle sottili e da lunghe grazie esili. È il classico esempio di carattere con grazie moderno apparso negli anni Novanta del 1700, quando il progresso delle tecniche di stampa e il miglioramento nella qualità della carta consentirono ai punzonisti tratti assai più fini senza il rischio che questi si incrinassero o scomparissero nella pagina. Se poi si aggiungeva un pallino alla J oppure si affilava la A, si era certi che le lettere non si sarebbero spuntate. Le grazie del Bodoni, oltre ad essere molto sottili, sono anche quasi perpendicolari al tratto principale, in contrasto con le grazie che si curvano dolcemente dei cosiddetti tipi “vecchio stile” o rinascimentali. Inoltre, l’enfasi è sui tratti verticali, dando al carattere un aspetto pulito ed elegante, anche se un po’ freddo. Lo stile originale del Bodoni è periodicamente ripreso da altri caratteri. Durante l’epoca della composizione a piombo, ogni casa produttrice di caratteri aveva la propria versione del


Bodoni. Anche oggi il Bodoni non è un carattere definito, ma una famiglia di versioni leggermente differenti l’una dall’altra, ciascuna con le proprie particolarità. Alcune di queste versioni, come il Bauer Bodoni, mettono in evidenza il contrasto estremo fra le linee sottili e quelle principali, che può essere reso oggi assai più pronunciato grazie alle tecniche digitali, un risultato ritenuto impossibile prima della nascita dei computer anche per i migliori cesellatori del diciottesimo secolo. Tuttavia, quando il carattere viene usato per il testo principale, e dunque a dimensioni piccole, le sottilissime grazie di questa variante diventano quasi invisibili, riducendo così la sua leggibilità. Altre versioni, come l’ATF Bodoni disegnato da Morris Fuller Benton, catturano il gusto essenziale del Bodoni, dando maggiore importanza alla leggibilità piuttosto che portare all’estremo le possibilità tecniche. Tutte le versioni moderne del Bodoni soffrono di un problema di leggibilità detto dazzle, che significa abbagliamento, dovuto alla continua alternanza di linee spesse e sottili nella riga. La maggior parte dei sistemi di disegno dei caratteri genera

le varie dimensioni di un carattere da un singolo disegno, usando proporzioni matematicamente precise, mentre i tipografi che lavoravano con i tipi metallici invariabilmente correggevano leggermente il disegno del carattere per le varie dimensioni, ad esempio espandendoli in larghezza alle dimensioni più piccole. I tipi di carattere della famiglia Bodoni tendono ad accentuare questa differenza. Molti caratteri digitali sono basati sulle dimensioni più grandi, e questo rende le linee più sottili ancora più sottili. Alcune tipografie digitali stanno riscoprendo le vecchie tradizioni della “scalatura ottica”, e si può sperare che in futuro i caratteri saranno progettati per soddisfare l’occhio più dei principi matematici. Il Bodoni è stato usato da varie multinazionali come parte della loro marca o per definire la loro identità societaria, per esempio dalla IBM, la Lancia, per il logo di testata Vogue e persino per il logo Valentino. I romani moderni nacquero principalmente come caratteri da testo, e possono fare colpo se composti con un’interlinea generosa. Se vengono utilizzati a scopo pubblicitario risultano molto eleganti.


SANS SERIF Le sue categorie

Per capire bene quali sono le categorie dei font senza grazie, bisogna, anche qui, capire come si sono evoluti a livello storico.

I

sans serif, in italiano detti caratteri a bastoni o lineari, nascono in Inghilterra durante l’Ottocento. Nacquero proprio in parallelo ai font Egiziani e inizialmente vennero usati con gli stessi scopi: pubblicità, industria e “per distinguersi”. Inizialmente c’era grande confusione attorno a questa nuova tipologia di font. Tra chi li chiamava Egiziani, chi Grotesque, chi Gotici, non ci si capiva più niente. Il termine “sans serif” pare esser stato coniato dal tipografo Vincent Figgins al quale, tra l’altro, viene anche attribuita la creazione del primo font Slab Serif, l’Antique, nel 1815. I caratteri sans serif creati tra il Diciannovesimo secolo e i primi due decenni del Ventesimo prendono il nome, nelle classificazioni moderne, di Grotesque. Il motivo di questa denominazione è derivante proprio dalla parola italiana “grottesco”, che all’epoca veniva utilizzata per indicare qualcosa di mostruoso o di aberrante, legato alle grotte e quindi all’assenza di civiltà. Questi caratteri Grotteschi, sono caratterizzati, oltre che dall’assenza di grazie, da alcune significative peculiarità: asse verticale delle lettere e forma tendenzialmente squadrata delle curve; Scarso (ma presente) contrasto visivo; Molti caratteri grotteschi hanno una G maiuscola caratterizzata da uno spuntone che genera la forma di una freccia, una g minuscola caratterizzata dalla presenza dell’occhiello inferiore e/o una R con la gamba incurvata. Alcuni font Grotteschi possono essere considerati il Franklin Gothic, il Johnston Sans e il Gill Sans (1926). Gli ultimi due vengono spesso categorizzati anche come

font Neo-Tradizionalisti o Neo-Umanisti, perché ispirati alle forme degli antichi font Umanisti, ritenuti più naturali e leggibili. I neo-grotteschi sono quei font che hanno le stesse caratteristiche dei font grotteschi di fine ‘800 ma sono sviluppati a partire dal Secondo Dopoguerra, rispondendo alle esigenze del moderno graphic design e del crescente mondo digitale. Gli esempi più famosi sono l’Univers e l’Helvetica. Questi font si distinguono dai classici Grotteschi per alcuni dettagli come una maggior geometricità, una g minuscola senza l’occhiello inferiore e la presenza di numerose varianti di peso, strutturate all’interno di una vasta famiglia. In quegli stessi anni (anni ’20 e ’30 del Novecento), assieme a quei caratteri sans serif “Neo tradizionalisti”, come il Gill Sans e il Johnston Sans, nascono anche i sans serif “Geometrici”, spinti dalle rivoluzioni artistiche nate attorno alla scuola del Bauhaus e a movimenti come il De Stijl olandese. Tra tutti i caratteri geometrici, non si può non citare il più famoso di tutti, quello che, ancora oggi, è tra i caratteri più amati: il Futura, del tedesco Paul Renner. Il Futura viene creato nel 1928 ed è considerato il capostipite dei caratteri sans serif geometrici. Infatti, è basato sulle tre forme geometriche di base: il cerchio, il quadrato e il triangolo. Questo carattere geometrico è stato utilizzato da grandi marchi come Ikea che però lo abbandonò per il Verdana e dagli astronauti dell’Apollo 11 che lo utilizzarono per una targa. Viene utilizzato ancora oggi dalla casa automobilistica Volkswagen che non rinuncia a questo font nelle sue pubblicità.



Il font Helvetica nasce in Svizzera nel 1957 grazie a un’intuizione del direttore della fonderia la Haas di Muenchenstein. L’inventore si chiama Eduard Hoffmann, anche se il disegno è stato opera e frutto di Max Miedinger. Inizialmente, era stato progettato soltanto nelle versioni light e medium, e solo successivamente furono aggiunte altre versioni. Nel momento in cui ci fu l’aggiunta di italic, bold e numerosi altri pesi, iniziò a colonizzare il mondo. L’Helvetica, un font estremamente versatile ed oggettivamente bello, ottenne da subito un successo strepitoso, complice anche il trend rivoluzionario che in quel periodo stava interessando il settore del lettering. Il carattere svizzero si guadagnò sin dal primo momento una popolarità eccezionale, risultando gradito alle agenzie di pubblicità che scelsero di venderlo ai propri clienti. Nel giro di breve tempo, numerosi marchi aziendali furono caratterizzati da questo font, negli ambiti più disparati, dalla comunicazione d’impresa alle stampe d’arte. A partire dagli anni Sessanta divenne onnipresente nel mondo occidentale e si trasformò addirittura in un fenomeno di culto, nel 1989 divenne il font ufficiale per tutti i cartelli e le indicazioni stradali Newyorkesi, dalla metropolitana ai treni, dai cartelli stradali alle mappe della città, vincendo la sfida contro l’allora preferito Standard Akzidenz Grotesk. L’inclusione, nel 1984, nei caratteri di sistema Macintosh confermò la sua diffusione anche nella grafica digitale. L’Helvetica ha riscontrato un particolare successo nel mondo della grafica degli anni Settanta. Caratteristica di questo carattere è la sua eleganza, unita ad un elevato grado di neutralità e di tecnicismo molto apprezzati dai grafici della scuola svizzera per le sue essenzialità, alta leggibilità e risolutezza formale. Una vasta serie di aziende multinazionali e di marchi internazionali utilizzano l’Helvetica come carattere nel proprio logo aggiungendo, in alcuni casi, lievi variazioni. Tra queste troviamo sicuramente la Fiat, la Microsoft, la Parmalat, la Jeep e l’Oral-B. Viene inoltre largamente impiegato nell’industria chimica e farmaceutica, ed è stato scelto anche dalla NASA per la dicitura “United States” sullo Space Shuttle e


dalle Forze dell’Ordine italiane per le diciture “Polizia” sulle divise e “Carabinieri” sulle divise e sugli automezzi. Ha ispirato il grafico italiano Bob Noorda per la realizzazione del suo carattere con l’omonimo nome utilizzato per la Segnaletica e allestimento della Metropolitana Milanese. La Monotype Corporation ha presentato per i 60 anni dalla nascita di Helvetica il nuovo carattere Helvetica Now, una nuova famiglia di caratteri accuratamente ridisegnata per l’era moderna. È composto da 48 font e tre dimensioni ottiche, ed è stato prodotto a partire da disegni “size-specific”, cioè variabili in base alla dimensione di utilizzo. Si tratta del primo redesign in 35 anni di quello che molti sostengono sia il font più diffuso al mondo. Il precedente redesign del font era l’Helvetica Neue del 1983, mentre l’Helvetica è del 1957. Ogni carattere è stato ridisegnato e riadattato e sono stati aggiunti una serie di utili alternative stilistiche per aiutare i marchi ad affrontare le sfide del branding moderno. Sfruttando la semplicità, la chiarezza, l’atemporalità e l’appeal globale della tradizione storica del carattere tipografico, il design di Helvetica Now vuole

essere più sofisticato e aggraziato dei suoi predecessori. “Helvetica Now è il lifting facciale e il riempitivo per labbra che volevamo, ma che avevamo troppa paura di chiedere”, ha detto Abbott Miller, partner di Pentagram. “Offre alternanze splendidamente disegnate ad alcuni dei momenti più imbarazzanti di Helvetica, conferendogli un carattere sorprendentemente contemporaneo ed emozionante”. Il carattere Helvetica Now è disponibile in tre dimensioni ottiche: Micro, Text e Display. Helvetica Now Micro risolve i difetti decennali di spaziatura e leggibilità delle versioni monomaster della famiglia nelle dimensioni più piccole, da 4 a 7 punti. Offre inoltre aperture più aperte, forme più ampie, un’altezza maggiore della x, spaziatura più ampia, accenti più grandi, regolazioni ottiche per le forme più complesse, e una serie di altre modifiche al fine di creare un font altamente leggibile in dimensioni molto piccole. Helvetica Now Display, invece, fornisce una gamma di pesi che vanno da Hairline a Extra Black, con spaziatura appropriata, da 14 punti in su. Helvetica non richiede più il taglio dei caratteri, la regolazione manuale della spaziatura



e della crenatura, o il ridimensionamento e il riposizionamento della punteggiatura necessaria con le versioni precedenti. Helvetica Now Text è il vero cavallo di battaglia, ed è disponibile in una gamma di pesi da Thin a Black con spaziatura e crenatura accuratamente rifinite. Helvetica Now Text è facile e piacevole da leggere, e un’ampia tavolozza per ambienti di progettazione ricchi di informazioni esigenti. Sono stati affrontati problemi ricorrenti, come la I maiuscola facilmente confondibile e la l minuscola, con una versione ad uncino della l minuscola che aumenta la leggibilità a dimensioni più piccole. Altri nuovi glifi includono una punteggiatura arrotondata, una G arrotondata, una R a gamba dritta, e tanto altro. Ovviamente si tratta di un font premium, a pagamento e pensato per grandi brand ed agenzie, ma sul sito Monotype si può scaricare in modo gratuito per uso personale. Un carattere “a bastone” (così come vengono anche chiamati i “sans serif”), lineare, essenziale, semplice, pulito, elegante, potremmo dire completamente senza fronzoli, dall’alta leggibilità, che in poco tempo ha conquistato il mondo della grafica e che dagli anni Sessanta va per la maggiore, tant’è vero che, con un intervento del graphic design Massimo Vignelli, l’Helvetica nel 1989 viene utilizzato per realizzare tutta la segnaletica

di New York ed è oggetto di un vero e proprio film-documentario, “Helvetica”, uscito negli Stati Uniti nel 2007 per celebrare il cinquantesimo dalla sua introduzione, diretto da Gary Hustwit e premiato al Southwest Film Festival, che racconta attraverso i più importanti addetti ai lavori la storia del disegno di questo carattere ma anche di tutto il progetto creativo che c’è dietro il disegno di ogni font. Inoltre, sono parecchi i libri scritti su questo carattere e tra questi troviamo” Helvetica: Homage to a Typeface.


I VOLTI DEL GRAPHIC DESIGN

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rima di chiedersi cosa fa un grafico è importante capire cos’è il graphic design. La progettazione grafica è una sfera professionale dell’attività umana che si trova al crocevia delle arti visive, della comunicazione, della psicologia e di altre aree specialistiche. I grafici creano i modi e le risorse della comunicazione attraverso elementi grafici: immagini di diverso stile e complessità, foto, tipografia, pittogrammi, forme e dimensioni, colori e sfumature, linee e curve, layout di pagina, eccetra. Il graphic designer trasferisce la grafica al messaggio, in modo che diventi funzionale. I grafici possono essere descritti come un tipo di creativi che applicano i loro talenti non nella pura arte con la soddisfazione estetica come arte primaria, ma comunicativa e propositiva. Oggi, la grafica è una vasta area per applicare i talenti artistici nella diversità delle forme. Ad esempio, tra le cose che fa un grafico c’è la creazione di: illustrazioni, identità, iconee, pittogrammi, tipografia, editoriali, interfaccia, grafica ed elementi, annunci pubblicitari, risorse grafiche per video animati e cartoni animati, grandi oggetti stampati come poster e cartelloni pubblicitari, insegne, info grafica, packaging eccetera. Qualunque sia l’obiettivo e la direzione, lo scopo principale della progettazione grafica è quello di servire un obiettivo specifico o una serie di obiettivi con mezzi e tecniche d’arte. Cosa fa un grafico può essere descritto come un ponte tra l’arte e il design funzionale centrato sull’obiettivo. Mescolano il potere dell’arte e della funzionalità entro i limiti di

"Il buon design è molto simile a un pensiero chiaro reso visivo", ha detto Edward Tufte e questa è una definizione interessante che mostra ciò che i grafici si sforzano di ottenere.

determinati obiettivi e un pubblico definito. “Il buon design è molto simile a un pensiero chiaro reso visivo”, ha detto Edward Tufte e questa è una definizione interessante che mostra ciò che i grafici si sforzano di ottenere. È facile vedere che il graphic design copre vari aspetti della vita umana. Si occupa di comunicazione visiva, da libri e poster a complesse app per dispositivi mobile o animazioni 3D. Supportato da ricerche, analisi e test, la grafica migliora l’usabilità, rafforza il brand e fornisce una user experience positiva. Questo è il punto in cui arte e funzionalità si fondono per rendere le persone più felici, risolvendo problemi e soddisfacendo i desideri. Uno dei motivi per cui questo settore professionale ha una presenza così ampia nella nostra vita risiede nel fatto che le persone sono per lo più creature visive. Tendiamo a percepire le immagini più velocemente delle parole. Siamo influenzati da colori e forme. Rispondiamo a personaggi e simboli. Siamo dipendenti da emozioni e sentimenti. L’elenco potrebbe essere prolungato e il design grafico è ciò che fa la differenza. Raramente si verifica che l’oggetto della progettazione grafica serva solo a un obiettivo. Al giorno d’oggi è fondamentale essere abbastanza flessibili nell’applicare diversi strumenti di progettazione.


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lex Trochut è nato nel 1981 in Spagna. Dopo aver completato gli studi all’Elisava Escola Superior de Disseny, Alex ha fondato il suo studio di design a Barcellona prima di trasferirsi a New York City dove attualmente lavora per una vasta gamma di clienti in design, illustrazione e tipografia. Attraverso la sua progettazione, illustrazione e pratica tipografica ha sviluppato un modo di lavorare intuitivo che ha portato al suo stile visivo espressivo. Mescolando stili e generi e attingendo ugualmente dalla cultura pop, dalla cultura di strada, dalla moda e dalla musica, Alex ha creato design, illustrazione e tipografia per una vasta gamma di clienti: Nike, Adidas, Puma, The Rolling Stones, Katy Perry, Vampire Weekend, Arcade Fire, Esquire UK, BBC, Coca-Cola, British Airways, Pepsi, The Guardian, The New York Times, Time, Fila e molti altri. Il lavoro di Alex è stato riconosciuto a livello internazionale, comparendo in mostre e pubblicazioni in tutto il mondo. Ha tenuto discorsi ed è stato onorato dall’Art Directors Club - incluso il nome di Young Gun 2008 - il Type Directors Club, la Creative Review, Cannes, Clio e D&AD, tra gli altri. La sua monografia, More Is More, esplora le sue metodologie e influenze di lavoro ed è stato pubblicato nel 2011. Per Alex, la tipografia funziona su due livelli gerarchici. Innanzitutto, c’è l’immagine della parola che vediamo; la lettura è secondaria. Come designer, Alex si concentra sul potenziale del linguaggio come mezzo visivo, spingendo il linguaggio ai suoi limiti in modo che vedere e leggere diventino la stessa azione e testo e immagine diventino un’espressione unificata. Trochut è stato onorato per il suo lavoro in design e tipografia da The Type Directors Club, Communication Arts and Graphis. Nel 2008, è stato riconosciuto per il suo stile di lettere inventivo ed è stato nominato Art Gun Club Young Gun, onorando i designer under 30. Alex fa un lavoro basato sui concetti ed esplorativo. Senza i vincoli presenti nella sua pratica progettuale basata sulla soluzione, le sue mostre sono uno spazio per affrontare le domande senza la necessità di risposte conclusive. Lavorando in questo modo, Alex crea un dialogo con il lavoro che consente reattività e incertezza nel processo decisionale in modo

che l’emozionale possa trascendere la logica e il significato venga lasciato all’interpretazione. Il processo di Alex considera di nuovo ogni progetto, creando un’espressione per ogni preoccupazione concettuale. Con questo metodo di lavoro, Alex evita uno stile di marchio o un argomento per creare invece una voce distintiva e singolare tutta sua.


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Munari Bruno è un designer, scultore e scrittore italiano. Considerato uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del 20° secolo, ha mantenuto inalterata la sua estrosa creatività a sostegno dell’indagine costruttiva della forma attraverso sperimentazioni visive e tattili e, insieme, la sua grande capacità di comunicarla attraverso parole, oggetti, giocattoli. Inizialmente vicino al futurismo, se ne allontanò poi gradualmente dedicando la sua ricerca all’approfondimento di forme e colori e all’autonomia estetica degli oggetti. Tra le realizzazioni più emblematiche le «macchine inutili», congegni meccanici presentati come modelli sperimentali che indagano sulle possibilità percettive, che fecero di Munari un precursore dell’optical art. La ricerca di Munari, non inquadrabile nelle categorie consuete, tende a una sorta d’ironico analismo, mediante la continua sperimentazione di sempre nuovi strumenti di comunicazione. Partito dalla poetica futurista dell’interpretazione dell’arte come totalità, egli

Bruno Munari risolve il suo processo inventivo attraverso forme astratte semplici e pure, per offrire all’uomo oggetti utili non solo in senso materiale, ma anche intellettuale ed estetico, nel tentativo di riassumere in essi le contrastanti istanze della tecnica e dell’arte, della necessità e della libertà, dell’imprevisto nel ripetitivo. La sua costante ricerca è stata quella dell’approfondimento di forme e colori, variabili secondo un programma prefissato, e della autonomia estetica degli oggetti. Tali premesse (sviluppate in Arte come mestiere, 1966, in Design e comunicazione visiva, 1968 e in Codice ovvio, 1971) hanno trovato conferma nella pratica dell’industrial design. La sua poliedrica capacità comunicativa si è manifestata nei campi più disparati: pubblicità e comunicazione industriale; libri per la scuola L’occhio e l’arte. L’educazione artistica per la scuola media, 1992; Suoni e idee per improvvisare. Collaborò fortemente all’editoria per bambini toccando tutte le fasce d’età. Infatti, per lui un libro non è solo fatto di parole ma anche di sensi.


Una delle cose importanti che Munari sottolinea è questa assenza totale di interesse nel mondo degli adulti riguardo a quello dei più piccoli, infatti, le favole erano tutte destinate agli adulti e in qualche modo queste fiabe con delle illustrazioni erano proposte anche a bimbi molto piccoli che non avevano bisogno di questo ma di essere in qualche modo stimolati all’immaginazione e di avere una continua sorpresa. Nei primi anni il bambino dovrà sviluppare i sensi della vista e il tatto sul quale Munari lavorerà moltissimo. Munari realizza tutte le sue creazioni facendole testare dal figlio e con i suoi libri si sono misurati molti grafici. In Italia anche Iela Mari ed Enzo Mari si sono occupati dell’editoria infantile lavorando al silent book ma Munari collaborerà molto con il mondo americano e con il Moma e lì vi era Leo Lionni che aveva avuto una formazione italiana e con il libro “Il piccolo blu e il piccolo giallo” trova un altro modo di lavorare al libro per bambini. Nel mondo anglosassone il Picture Book diventa il libro per eccellenza per i bambini

in cui le immagini hanno un ruolo fondamentale e si guarda la quotidianità del bambino proprio come lavora Munari. Editori come Roselina Archinto e la M edizioni porteranno in Italia molti grandi successi. “Le macchine di Munari” del 1942 può essere considerato il primo libro che affronta un tema artistico, è un libro che ha qualcosa di dadaista, macchine che non servono a nulla, oltre ad avere un carattere ludico. Cerca di spiegare queste macchine, con questo alfabeto che ricorda anche pubblicità che aveva realizzato per la Campari. Pensa tutti i suoi progetti a 360 gradi e lavora molto sulla vetrina proprio come i surrealisti, una sorta di messa in scena, infatti, consigliava proprio all’editore cosa mettere in vetrina insieme al libro, infatti, secondo lui in una vetrina di libri un’oggetto insolito destava molta curiosità. Realizza nel 1942 un abecedario che è pensato in una maniera diversa da quella tradizionale. È in formato quadrato e tutte le forme si armonizzano con quella forma come la copertina che presenta nove dischi. Nelle pagine



di sinistra vi erano dei fondi colorati e a destra delle lettere alfabetiche. È stato molto difficile per Munari convincere l’editore a pubblicare un libro in un tale formato dati i costi e anche perché a quei tempi il libro per bambini era considerato una cosa frivola. Nel 1945 mette a punto un’altra serie e vi sono anche qui molti problemi per le stampe. Mette a punto sette libri realizzati con carte diverse dove vi sono anche delle finestrine ed il testo è minimo e invece di dare risposte fa domande ai bambini in modo da stimolare la loro fantasia ed ebbero molto successo e furono stampati dalla casa editrice Corraini. Un altro libro estremamente innovativo è Nella notte buia nel 1956 e inizialmente questo suo libro sperimentale non trova un editore e, infatti, nasce grazie alla collaborazione del tipografo Giuseppe Mugiari. Questo libro nasce dall’esperienza dei libri illeggibili realizzati nel 1953 che nascono senza testo e sono fatti con delle carte colorate tagliate e piegate in maniera diversa e quindi è proprio un’oggetto da scoprire e toccare.Munari ama molto lavorare con carte di spessori diversi, con varie testure. In alcuni vi sono anche delle storie come quello del filo rosso che ci conduce attraverso il libro. A seguito di questa serie, negli anni 80 si arriverà poi ai Prelibri, che sono dei libri dedicati alla primissima infanzia. In questo periodo lui ritornerà spesso sull’aspetto del

tattilismo realizzando tavole tattili e inseguendo proprio Marinetti e al suo manifesto del tattilismo. Il tatto era uno degli aspetti meno considerati e Munari capisce proprio che i bambini nei primi anni conoscono proprio usando il tatto e il gusto. Immagina dunque una collana di libri tattili e in un certo senso anche sonori realizzati con diversi materiali. Realizza anche una custodia ben precisa che contiene questi dodici libricini di formato quadrato rilegati tutti in maniera differente (panno spugna, legno, plastica). Sono libri con delle piccole sorprese ed il bambino sfoglia e trova proprio delle microstorie. Munari realizzerà anche il libro Letto (1993) dove ogni pagina è legata con una chiusura lampo ed è un libro che si può scomporre e ricomporre come si vuole. Sui margini presenta anche una storia. Nel libro la notte buia immagina una storia dove vi è un gatto sui tetti e le prime pagine sono nere e le immagini sono blu scuro e vi è una luce che prima è una lucciola e poi una luna. La seconda parte invece è giocata su un altro tipo di carta e siamo in mezzo al prato e alla natura. L’ultima parte è realizzata con una carta impura che deve dare proprio l’idea della terra, delle rocce e vi anche la fustellatura per dare l’idea della tana degli animali. Realizza anche l’alfabetiere nel 1960 ed è un tema molto affrontato anche da altri grafici come Veronesi.


Noma Bar nato nel 1973 è un graphic designer, illustratore e artista nato in Israele. Il suo lavoro è apparso in molte pubblicazioni mediatiche tra cui: Time Out London, BBC, Random House, The Observer, The Economist e Wallpaper. Bar ha illustrato oltre cento copertine di riviste, pubblicato oltre 550 illustrazioni e pubblicato tre libri del suo lavoro: Guess Who - The Many Faces of Noma Bar nel 2008, Negative Space nel 2009 e Bittersweet 2017, una monografia di 680 pagine 5 prodotta in un Edizione Limitata di 1000 pubblicata da Thames & Hudson. Il lavoro di Bar è diventato famoso in tutto il mondo, vincendo numerosi premi del settore; più recentemente un prestigioso Gold Clio per il suo lavoro di animazione e regia per il NewYork Presbyterian Hospital, una campagna per evidenziare nuove frontiere nei trattamenti contro il cancro. Ha anche vinto un premio Yellow Pencil ai D&AD Professional Awards e la sua mostra “Cut It Out” del London Design Festival, è stata selezionata come uno dei momenti salienti del festival. Il progetto è stato nominato nella categoria grafica per il Design Museum, Designs Of the Year. Bar ha iniziato a disegnare da bambino, facendo caricature dei suoi insegnanti a scuola. Il suo primo ritratto notevole nello stile per il quale in seguito sarebbe stato riconosciuto fu fatto da adolescente; mentre si rifugiava in un rifugio antiaereo durante la Guerra del Golfo del 1990-91, notò una somiglianza nell’aspetto tra un simbolo di radioattività in un giornale che stava leggendo e il volto dell’allora presidente dell’Iraq, Saddam Hussein, e usò questa somiglianza per creare un ritratto minimalista del leader iracheno. Bar ha studiato graphic design, calligrafia e l’ebraico tipografia alla Jerusalem Academy of Art, dove ha sviluppato la sua semplice, essenziale stile, ispirandosi all’arte del Costruttivismo russo, Soviet-era manifesti di propaganda, Art Deco manifesti di film e i disegni del Bauhaus, tra gli altri. In seguito, ha anche citato l’influenza di diversi artisti e designer sul suo lavoro, tra cui Milton Glaser, Paul Ran, Saul Bass e Gary Hume. Al di fuori delle belle arti e del design, Bar ha parlato del suo amore per i film muti di Charlie Chaplin, dicendo che la capacità di Chaplin di “raccontare storie senza parole” è qualcosa che cerca di emulare nel suo lavoro. Il lavoro di Bar fu pubblicato per la prima volta poco dopo, un’illustrazione a piena pagina di William


Shakespeare, che accompagnava un articolo su Time Out London. Negli anni successivi, Bar fu incaricato di produrre dozzine di illustrazioni apparse in diverse pubblicazioni importanti, tra cui un ritratto di George W. Bush che faceva riferimento allo scandalo sulla tortura di Abu Ghraib, per The Guardian, e un’immagine di Adolf Hitler, per un articolo di Esquire nel Regno Unito sul crescente mercato dei libri sul nazismo, che sostituiva i famigerati baffi del dittatore con un codice a barre. Nel 2007, Bar ha pubblicato il suo primo libro, Guess Who? The Many Faces of Noma Bar, che presentava una selezione di immagini precedentemente pubblicate di personaggi famosi, passati e presenti. Un anno dopo, questo è stato seguito da un secondo libro, Negative Space, che ha esaminato più ampiamente le altre illustrazioni di Bar e i suoi ritratti, concentrandosi sulla sua tecnica di utilizzo dello spazio negativo per creare immagini con doppi significati nascosti relativi a i loro soggetti originali. Nel 2010, Bar ha iniziato a mostrare le sue opere a livello internazionale in mostre, trasformando alcune delle sue opere in sculture 3D per la prima volta. Per la grande mostra Cut It Out, parte delle celebrazioni del London Design Festival del 2011, ha creato una macchina da taglio per la stampa innovativa che i membri del pubblico potevano usare per creare le loro opere d’arte personalizzate usando i disegni di Bar. Le dimensioni di un adulto umano, l’imponente macchina a forma di cane erano estremamente popolari, con le persone in fila per fare una stampa ritagliata con un’ampia varietà di materiali che hanno scelto di portare con sé. Nel 2013, ha preso i concetti di successo di Cut It Outinoltre, sviluppando un nuovo progetto e una mostra nel 2013, chiamato Cut the Conflict, in cui le persone colpite dalle guerre in tutto il mondo sono state invitate a

inviare materiali da stampare con i disegni di Bar basati su motivi di pace. Questi ritagli sono stati poi combinati insieme per realizzare opere che contenevano solo materiali provenienti da due paesi in conflitto tra loro, facendo di Cut the Conflict un celebre progetto che si è distinto personalmente per Bar. Entro il 2011, Bar stava ricevendo il riconoscimento del settore per il suo lavoro premi raccolta da, tra gli altri, i Cannes Lions e New York Festivals Advertising Awards internazionali per il suo lavoro su IBM s’ Smarter Planet campagna, e di essere premiato con una D&AD Yellow Pencil per la sua serie di copertine di libri di Don Delilo. Negli ultimi anni, il lavoro di Bar si è ampliato oltre la stampa. Nel 2012, The Guardian ha pubblicato una serie di quaderni con disegni di Bar e le sue illustrazioni sono apparse su lattine per bevande in edizione limitata e titolari di carte London Underground Oyster.


typeface, art director


N

el 23 aprile 1957, Neville Brody è nato a Southgate, Londra. Ha ricevuto la sua prima educazione dalla scuola di grammatica di Minchenden, concentrandosi sull’arte di livello A. Dopo la laurea ha frequentato l’Hornsey College of Art nel 1975, per studiare il corso di fondazione di Belle Arti. Un anno dopo si iscrive al London College of Printing per una laurea triennale in Grafica. I suoi disegni erano spesso condannati dai suoi insegnanti per avere una qualità “non commerciale” nei loro confronti. La fine degli anni ‘70 è contrassegnata come l’era del punk rock, quindi la tendenza ha influenzato molto il lavoro e la motivazione di Brody. Tuttavia, la sua sperimentazione con il punk rock non è stata accolta con osservazioni incoraggianti dai suoi tutor. Uno dei suoi strani disegni di francobolli che presentava lateralmente la testa della regina, lo aveva quasi espulso dal college. Nonostante la minaccia di essere espulso, ha continuato a esplorare i nuovi confini della progettazione grafica. Pertanto, la sua tesi del primo anno si è concentrata sul tema del confronto tra dadaismo e pop art. Durante i suoi giorni al college ha

lavorato anche come disegnatore di poster per concerti di studenti. Brody ha iniziato la sua carriera come disegnatore di copertine di dischi. Tuttavia, il suo vero successo è venuto dal suo illustre lavoro come art director per la rivista The Face. Da quel momento in poi, ha diretto diverse riviste e quotidiani internazionali come Arena, Lei, City Limits e Per Lui. Ha anche ridisegnato i due principali quotidiani e riviste inglesi, The Guardian e The Observer, mostrando uno sguardo radicale. Inoltre, i suoi successi includono il suo contributo alla comunicazione visiva che ha rivoluzionato i media. La sua opera d’arte sperimentale e stimolante ha dato un nuovo significato al linguaggio visivo. Per imparare dal genio creativo di Brody, Thames & Hudson pubblicarono due volumi basati sulla sua progettazione grafica, nel 1988. I libri alla fine raggiunsero la classifica più venduta al mondo. Inoltre, una mostra delle sue opere si è tenuta presso il Victoria and Albert Museum, attirando migliaia di appassionati d’arte. Alla fine degli anni ‘80 Brody collaborò con diversi rinomati grafici, artisti e tipografi, principalmente di Berlino, a vari progetti. Uno di questi progetti includeva


la progettazione di Corporate Identity per la Haus der Kulturen der Welt (House of World Cultures). Nel 1994, Brody ha fondato il suo studio di design, Research Studios, a Londra in collaborazione con Fwa Richards. Il successo del suo primo studio ha portato alla creazione di filiali multiple in tutta Europa, come a Parigi, Barcellona e Berlino. Lo studio è orgoglioso di creare linguaggi visivi unici per settori che vanno dall’editoria al cinema. Altri progetti gestiti dallo studio includono packaging innovativo, design di siti Web, grafica su schermo e identità aziendale. Alcuni di questi clienti includono Kenzo, Homechoice e Paramount Studios. Negli ultimi anni l’azienda ha ridisegnato il Times (2006) e la BBC (2011). Inoltre, Brody è uno dei membri fondatori di Fontworks e il sito Web principale FontShop. Ha progettato numerosi caratteri tipografici notevoli per il sito Web. Un noto progetto FUSE è stato anche il risultato della sua iniziazione che ha caratterizzato la fusione di una rivista, carattere tipografico e design grafico. Inoltre, ha co-fondato una biblioteca di caratteri tipografici, FontFont, con Erik Spiekermann, nel 1990. Attualmente è nominato al Royal College of Art come capo del dipartimento di arte e design della comunicazione.



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