Cronaca&Dossier18

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COPIA OMAGGIO

anno 2 – N. 18, Settembre 2015

GIALLI

DA OBITORIO Dai minori ai corpi non identificati, i casi irrisolti di chi svanisce nel nulla

Sangue a Zagarolo e l’ombra di uno scandalo

Il massacro del Circeo, 30 anni dopo

Disabili, le “trappole” della Finanziaria 2015


Indice del mese 4. Inchiesta del mese

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CASI IRRISOLTI NELLA TERRA DEGLI SCOMPARSI

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8. Inchiesta del mese IL DRAMMA DEI CORPI SENZA NOME

14. Ricerca e analisi QUEI 5.000 BAMBINI SCOMPARSI NEL NULLA

24. Diritti e minori

IL TURISMO SESSUALE A DANNO DI MINORI

28. Sulla scena del crimine SANGUE A ZAGAROLO TRA “I RICOSTRUTTORI”

34. Sulla scena del crimine LA ROUTINE MORTALE DI FRANCESCO INDINO

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40. Criminalistica CONGELAMENTO E RICOSTRUZIONE

COPIA OMAGGIO

anno 2 – N. 18, Settembre 2015

GIALLI

DA OBITORIO

46. Dossier da collezione

MAURO DE MAURO, UNA SPARIZIONE E DUE MOVENTI

52. Memorabili canaglie ANGELO IZZO IL MOSTRO DEL CIRCEO

56. Dossier società LA LISTA DEI VELENI D’AUTORE

Dai minori ai corpi non identificati, i casi irrisolti di chi svanisce nel nulla

Sangue a Zagarolo e l’ombra di uno scandalo

Il massacro del Circeo, 30 anni dopo

Disabili, le “trappole” della Finanzia 2015

ANNO 2 - N. 18 SETTEMBRE 2015

Rivista On-line Gratuita Foto di copertina fonte Facebook

Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi

62. Storie di tutti i giorni

Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nia Guaita, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Katiuscia Pacini, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Francesca De Rinaldis.

66 . Media crime

Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com

DISABILI, LE “TRAPPOLE” DELLA FINANZIARIA 2015

LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI

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Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.

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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013


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CASI IRRISOLTI NELLA TERRA

DEGLI SCOMPARSI Documenti, Istituzioni e iniziative per combattere il fenomeno di chi svanisce nel nulla

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«Questo è un fenomeno che desta allarme sociale, perché dietro ognuno di quei numeri e delle statistiche sulle scomparse, c’è una persona che non si trova e il pianto dei familiari disperati». L’intervento del ministro Angelino Alfano pochi mesi fa, a margine di un convegno europeo sul fenomeno dal titolo eloquente La scomparsa delle persone: una sfida per i paesi UE sintetizza efficacemente, qualora ci fosse stato bisogno, quello che le cifre statistiche da sole non possono dire. Ogni anno in Italia scompaiono circa un migliaio di persone. Nonostante la maggior parte venga ritrovata dopo pochi giorni, molti rimangono in quella sorta di oblio, in un mondo parallelo, da cui non arrivano segnali e che sembra salute e in difficoltà. Per anni gli appelli, le inghiottire bambini, adulti e anziani in ricerche e le grida di dolore sono passati soltanto attraverso gli organi di stampa; la televisione soprattutto, che con la sua invadente capillarità è stata dunque unica fonte di speranza per quanti, tra parenti e amici, hanno cercato un loro congiunto misteriosamente assente. Il governo italiano, nel 2007, venendo incontro proprio alle difficoltà incredibili in ordine logistico e normativo contro cui si scontravano ogni volta le ricerche, ha istituito una figura ad hoc per il contrasto al fenomeno, cioè quella del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. Questo Istituto, oltre ad un’azione più incisiva e di coordinamento tra i vari enti preposti a vario titolo nella ricerca di chi non è più tornato a casa,

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vuole anche essere elemento di raccordo internazionale e locale e di monitoraggio statistico attivo, per valutare eventuali picchi o cambiamenti di una piaga in continua mutazione. Piaga che però, leggendo i dati, si mostra costante nel tempo: dal 1974 al 2014 le denunce per scomparsa sono state circa 30.000, di questi più di due terzi sono stranieri, e di questi stranieri la maggior parte sono minorenni. Un dato che si spiega con il particolare flusso migratorio che il nostro Paese ha subito negli ultimi anni, che genera fisiologicamente numeri che non sempre, anzi quasi mai per fortuna, sono riconducibili a incidenti e altro di irreparabile, trattandosi spesso di persone non registrate; o peggio persone che, con generalità false si defilano andando a riempire la statistica senza un reale motivo di preoccupazione. Però, in questo calcolo quarantennale fornito dal Commissario nella sua relazione al 31 dicembre 2014, 1.628 minorenni italiani mancano all’appello, mentre 1.075 sono le persone over 65, a cui si deve sommare anche una quota di 169 persone italiane scomparse all’estero, mistero se si può ancor più tragico per chi vive sulla pelle la perdita di un congiunto in Paesi lontani, dovuto alle difficoltà di

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Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse (XII Relazione 2014).

comunicazioni o di relazione con gli Stati coinvolti. Si diceva del coordinamento che l’Ente effettua tra i vari attori in campo nello svolgimento delle ricerche, un coordinamento che ha proprio la logica funzione di mettere a disposizione le notizie e le possibili scoperte conquistate caso per caso: Vigili del Fuoco, Polizia e Carabinieri, la Protezione Civile insieme alle associazioni di volontariato come “Penelope” o “Telefono Azzurro”, finanche i sindaci e gli assistenti sociali hanno


tutti un punto di riferimento unico che, facendo circolare le notizie, coordina gli interventi evitando anche e soprattutto inutili ricerche nei luoghi (fiumi, boschi o ospedali) già verificati da altri. Ed i risultati, a leggere la relazione di qualche mese fa dell’Alto Commissario Vittorio Piscitelli sono soddisfacenti, con un incremento dei ritrovamenti di due terzi rispetto agli anni appena precedenti. Segno che il fenomeno non solo è monitorato dagli organi

preposti, ma ha raggiunto soprattutto un altro importante risultato: sensibilizzare al fenomeno tutti gli attori che concorrono alle ricerche. Dunque il “tavolo tecnico di coordinamento” sembra funzionare, anche per l’efficacia determinante del dispositivo di legge 203/2012 che prevede (sono parole scritte proprio sul sito ministeriale) un «nuovo dovere civico» di fronte al fenomeno, perché esso è stato di fatto svincolato da quel fuorviante senso di rispetto della libertà di movimento Commissario straordinario del Governo per le e di scelta del singolo individuo, che rimane di fatto garantito, ma che può e persone scomparse (XII Relazione 2014).

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deve esser scavalcato di fronte a casi di scomparsa di anziani malati, di minori sicuramente in pericolo o peggio, davanti ai casi di assenza improvvisa di donne che hanno una storia di violenza familiare conclamata. La legge 203 determina che «chiunque viene a conoscenza dell’allontanamento di una persona dalla propria abitazione o dal luogo di temporanea dimora e, per le circostanze in cui è avvenuto il fatto, ritiene che dalla scomparsa possa derivare un pericolo per la vita o per l’incolumità personale della stessa, può denunciare il fatto alle forze di polizia o alla Polizia locale». Nodo focale questo della denuncia, che deve esser immediatamente registrata, senza attendere quelle famose 48 ore che purtroppo, spesso sono state fatali. Il Legislatore ordina anche che «l’ufficio di Polizia che ha ricevuto la denuncia promuove l’immediato avvio delle ricerche dandone contestuale comunicazione al prefetto per il tempestivo e diretto coinvolgimento del Commissario straordinario per le persone scomparse e per le iniziative di competenza”. Oltre a questo, viene istituito un “Sistema di Ricerca Scomparsi” (detto RI.SC) che non è altro ciò che per anni programmi di servizio televisivo specializzati come

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Chi l’ha visto? hanno chiesto: una banca dati che contiene tutte le informazioni più significative sulle persone scomparse, da confrontare con i dati di corpi ritrovati senza documenti o di persone malate ricoverate senza identità negli ospedali, questo per giungere velocemente ad identificazione evitando così inutili sofferenze a chi, disperato, cerca un congiunto. Perché quei cortocircuiti burocratici insopportabili tra vari enti, spesso, hanno ritardato o peggio vanificato per sempre una felice soluzione.


SETTE ANNI IN UN OBITORIO La storia di Bachisio Inzaina a Cronaca&Dossier

a cura di Mauro Valentini

«La scomparsa di una persona cara ti svuota, ti logora dentro. Solo chi lo ha provato può capire quanto sia angosciante chiudere la porta di casa la sera, senza sapere dov’è, cosa gli è accaduto. Non ti rassegni mai, la vita si ferma a quel giorno, al giorno in cui tutto ha avuto inizio». C’è una vicenda emblematica, che racconta meglio di tutti lo sfilacciamento tra istituzioni, che dimostra come le maglie della rete di collaborazione tra enti sia di trama così grossa da far cadere nell’oblio e nel silenzio uomini e donne che potrebbero esser ritrovate e riportate al cospetto, o al ricordo dei propri cari. È la storia di Bachisio Inzaina. A Cronaca&Dossier la racconta la figlia Angela, con la serenità recuperata dopo tanti anni di calvario. Un calvario che inizia il 19 gennaio del 2001. Siamo a Empoli, nella prima periferia della città, Bachisio è nato a Calangianus nel 1923

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ma da quasi quarant’anni si è trasferito in Toscana per lavoro. È vedovo, ha subito un bruttissimo intervento alla testa da pochissimo e vive con la figlia. Alle 10:00 esce di casa per gettare l’immondizia, un percorso piccolo, l’unico momento di indipendenza che Bachisio si può permettere in questo momento di salute precaria. Ma in quei pochi metri che lo separano da casa Bachisio scompare. Lo cercano tutti, immediatamente, ma di lui non c’è più traccia. «La denuncia viene accettata soltanto 48 ore dopo, era la prassi all’epoca, ‒ racconta Angela ‒ ma quelle purtroppo sono le 48 ore più importanti in una scomparsa come quella di mio padre che, si era capito subito, non poteva esser volontaria». Bachisio è un uomo che non si sarebbe mai allontanato da solo. È un uomo con una cartella clinica che non può dar adito ad altre ipotesi. «Si pensa subito che possa esser caduto nell’Arno, lo si cerca anche nel bosco vicino, noi, i volontari e la Protezione Civile». Quando la settimana dopo parte l’appello di Chi l’ha visto? ormai l’anziano è come volatilizzato. Inizia un turbinio di segnalazioni tutte senza nessun fondamento, chi lo vede alla Caritas di zona, chi alla Stazione, la verità è che di anziani in difficoltà è pieno questo paese, in tanti sembrano Bachisio, ma non sono lui. Passarono gli anni, tanti, la famiglia conosce l’associazione Penelope, partecipano attivamente alle loro iniziative e tramite Penelope che, nel 2007 arriva la svolta: «Veniamo a sapere dal prefetto Rino Monaco, che coordinava a livello nazionale le ricerche degli scomparsi in Italia, che a Pisa c’era una salma, ritrovata su una spiaggia sul greto dell’Arno, che poteva avere le caratteristiche di mio padre. Quella salma giaceva li, in obitorio, dal 2001. Facemmo le analisi del DNA e scoprimmo che quel corpo era di mio padre». Sette anni di assenza, Bachisio era lì, a pochi chilometri da casa, caduto nel fiume quella mattina, ritrovato pochi mesi dopo, lasciato in quella cella frigorifera per sette anni senza che nessuno si sia preoccupato di incrociare i dati tra le denunce di scomparsa della zona e quel cadavere; uno dei tanti, senza documenti e senza nome. «Eppure noi nella denuncia avevamo scritto che mio padre aveva quella cicatrice sulla testa, che era facile riconoscerlo. Ma tra uffici non si sono parlati». Ha rischiato di finire in una fossa comune, Bachisio, insieme a tanti altri che ci sono finiti, persone come lui, senza un nome ma che sicuramente hanno qualcuno che li sta cercando. «Il funerale di papà è stata quasi una liberazione,eravamo addolorati ma anche sereni, papà era tornato a casa».

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CORPI SENZA NOME

Il dramma dei troppi cadaveri nelle celle frigorifere

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«In una delle tante pieghe parallele su cui si poggia il nostro universo, esiste un altro universo (e tanti altri) in cui la morte di sua natura è buona, aiuta a combattere e infine ci libera, perché abbiamo proprio bisogno di essere liberati». Sono queste le parole di uomo qualunque. Un corpo che vive da anni ai margini della società senza casa né passato, uno di quelli dimenticati. Un’ombra che non ha mai avuto nulla che potesse servire da contrappeso sulla personale bilancia della vita che pesa le gioie e i dolori; perché in un mondo, quello di oggi, innaffiato d’abbondanza ostentata, cafona, inutile e falsa, è quella bilancia a fare la differenza tra un’esistenza e un’altra. Un mondo in cui l’unico vero dramma non è la morte, non è essere dimenticati o aver vissuto senza essere mai esistiti, è il non avere (mostrato). Lo dicono ad esempio i numeri impressi nero su bianco degli oltre 500 registri funebri dei più collassati poli d’approdo per i migranti in Europa. Si stima oltre il 65% di corpi non riconosciuti negli ultimi vent’anni e, solo nel 2015, sarebbero circa 1.800 le anime senza nome disperse nel Mediterraneo. Guardando le colonne impersonali del Registro Nazionale generale dei cadaveri non identificati fatte di descrizioni fisiche, di abiti, di pesi, di luoghi, di altezze, di tatuaggi, di anelli, di orecchini, di squarci ed ecchimosi, di fori d’entrata, come fossero le schede di svariati prodotti di un centro commerciale, è quasi impossibile non essere investiti da un forte senso di solitudine e di tristezza. Prima di precipitare nell’abisso in cui possono affogare le persone sole, le persone dimenticate, le persone sfortunate, le persone malate, le

L’IDENTIFICAZIONE DEI CORPI a cura di Alberto Bonomo

Intervista alla genetista forense Dott.ssa Marina Baldi su metodologie e tecniche finalizzate al riconoscimento dei cadaveri

Dott.ssa Marina Baldi.

Qual è il primo passo per l’identificazione di un corpo (o parti di esso) e qual è il ruolo, in questi casi, del DNA mitocondriale o del DNA nucleare? «La prima cosa che si deve valutare è lo stato di conservazione di un corpo. Le procedure per l’identificazione sono ovviamente molto differenti a seconda se ci si trovi in presenza di una salma ben conservata o di resti

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persone fragili ognuna di quelle asettiche descrizioni era solo la punta di un iceberg sotto cui si celava l’immensità di una vita umana. Oggi rappresentano tutto quello che resta d’individui esistiti, mai esistiti, sospesi o dispersi. L’importanza del protocollo d’intesa tra le istituzioni alla base di questo registro nazionale, attivo ormai dal 2007, non sta nella fredda catalogazione in sé bensì, ancor prima del problema sicurezza, nell’interesse. Il pensiero sociale rivolto agli “scomparsi” siano essi in vita o solo spoglie, anch’essi parte integrante di quel riflesso antropologico sullo specchio della nostra società. Questo delicato problema è stato affrontato dagli organi competenti mediante la creazione di un importante

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scheletrificati. Bisogna valutare, oltre all’aspetto morfologico anche eventuali indumenti o oggetti che possano aiutare ad orientarsi nella identificazione. Sarà opportuno che il medico legale osservi l’anatomia e ciò che può essere desunto da un corpo senza vita, e quindi razza, altezza, corporatura, età approssimativa, eventuali cicatrici o esisti di interventi, ed altre informazioni di tipo generico. Molto spesso però tutto ciò, anche se può orientare verso una identificazione, può non essere sufficiente. È in questi casi che subentrano le analisi del DNA, che riescono ad identificare un individuo in modo univoco. Il DNA nucleare è l’unico utile per una identificazione precisa, in quanto utilizza una combinazione di 16 parametri (Loci), brevi sequenze che si trovano localizzate sul DNA, e che sono talmente variabili da rendere la loro combinazione praticamente unica. Diverso è il ruolo del DNA mitocondriale (mtDNA) che è una piccola molecola di DNA circolare contenuta nei mitocondri, organelli citoplasmatici deputati alla respirazione della cellula, che ha solo due loci ipervariabili e che non serve per l’identificazione personale in quanto ereditato tal quale dalla propria madre. Tutte le persone di una certa famiglia imparentate per via matrilineare, avranno quindi lo stesso identico mtDNA. L’analisi di


ufficio preposto all’archiviazione di tutte le informazioni fisiognomiche e quelle riguardanti i ritrovamenti e allo stato dei corpi. Una rete che ha permesso di mettere in collegamento diretto tutte le procure e le forze di polizia a partire da quella che ha trattato il singolo caso. Il nucleo operativo d’informazione prende il nome di “Ri.Sc” e dal 2010 ha compiuto importanti passi in avanti arginando un problema che purtroppo difficilmente potrà essere risolto in termini di assolutezza. I dati che si riferiscono all’ultimo censimento, effettuato il 31 dicembre 2014, parlano purtroppo di 1.385 corpi non ancora identificati in Italia (122 in più rispetto al 31.12.2013). Purtroppo al momento del ritrovamento di un corpo bisogna fare i conti con la totale (o quasi totale) assenza d’informazioni e diviene necessario scoprirne l’identità in tempi brevi. Innanzi a corpi decomposti le ossa sono gli strumenti principali per ricostruire un profilo biologico capace di ridisegnare l’identikit di un essere umano e da quelle è necessario partire. Un’attenta analisi dei dati generali in possesso delle autorità competenti conduce a conclusioni che possono essere definite un successo del sistema nazionale di ricerca in relazione alle persone scomparse; tuttavia il numero di cadaveri non identificati sul territorio nazionale obbliga a tenere sempre alta la tensione. Tra le regioni d’Italia i numeri più allarmanti sono quelli in continuo aumento dei cadaveri non

questa piccola molecola è pertanto utile ad esempio per attribuire un corpo ad una certa famiglia in caso di disastro di massa, quando questi non sono troppo estesi, come ad esempio i casi di disastri aerei. In queste circostanze un certo numero di corpi sono reclamati da un certo numero di famiglie e quasi sempre è sufficiente l’mtDNA per attribuire una salma alla famiglia giusta. Se però, ad esempio, sullo stesso aereo erano presenti due fratelli, figli della stessa mamma, i due corpi potranno essere riconosciuti come i figli di quella donna, ma per identificarli sarà comunque necessario il profilo del DNA nucleare che verrà comparato con quello ricavato da oggetti personali degli scomparsi o con quello dei genitori». Una volta estratto il profilo genetico di un corpo non identificato com’è possibile risalire all’identità del soggetto attraverso il profilo biologico ottenuto? Esiste, ad esempio, una banca dati costituita dai campioni genetici dei familiari che hanno presentato denuncia di scomparsa? Che importanza ha lo studio del cromosoma Y? «Ad oggi non esiste questo tipo di banca dati. Si sta cominciando a lavorare in tal senso, in quanto vi sono decine di salme di sconosciuti nei depositi degli istituti di medicina legale e decine di denunce di

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identificati in Sicilia (si pensi alla tragedia di Lampedusa nel 2013 e a quelle odierne); a seguito delle imponenti ondate migratorie sono tantissimi i “senza identità” recuperati in mare o lungo le coste. Le conseguenze nefaste riguardano anche il sovraffollamento degli obitori in non poche regioni d’Italia. Messina, Catania, Carrara, Roma, sono solo alcune delle città che hanno dovuto fare i conti negli ultimi anni con un numero esorbitante di cadaveri senza identità, molti di più rispetto a quelli che le strutture stesse erano adibite a contenere. Bare poste in ogni angolo delle sale che consentono appena lo spazio per il transito del personale, dipendenti che devono lavorare in condizioni difficili tra bagni sporchi, topi e cattivi odori sono solo alcuni dei grandi disagi che proliferano. A fronte di ciò è doveroso segnalare l’inversione di un trend negli ultimi sette anni che evidenzia un numero di denunce di scomparsa che è passato dalle circa 69.000 nel 2006 a 156.000 circa al dicembre 2014, più del doppio. Un tassello importante nella sensibilizzazione sociale è rappresentato dall’entrata in vigore, nel novembre 2012, dalla Legge 203: la norma disciplina nei casi di scomparsa l’obbligatorietà dell’avvio immediato delle ricerche e la possibilità per chiunque di sporgere denuncia riuscendo a coprire l’intero territorio nazionale. Il nuovo sistema d’identificazione ha notevolmente incrementato il numero di ritrovamenti

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scomparsa. È auspicabile che si possa al più presto fare un match tra queste due realtà, in modo da poter consegnare a tante famiglie il corpo di un congiunto magari ricercato da anni. Lo studio del cromosoma Y ha un ruolo simile a quello dell’mtDNA, nel senso che non ha efficacia identificativa ma serve solo a collegare un corpo ad una certa famiglia, questa volta per via maschile. Infatti il cromosoma Y è presente nelle cellule degli individui di sesso maschile e si trasmette tale e quale ai figli maschi. Quindi ciascun uomo ha il cromosoma Y del proprio padre, del proprio nonno, dei propri fratelli maschi ed eventuali zii paterni e così via». Esistono tratti distintivi tra l’analisi di resti di individui adulti e resti di bambini lontani dalla maturazione ossea? Quanto incide l’impossibilità di utilizzare criteri morfologici? L’approccio genetico diviene fondamentale? «Al momento attuale, con le tecniche utilizzate in genetica forense, non è ancora possibile datare l’età del proprietario del DNA. In realtà alcuni parametri ci sono e riguardano alcune regioni localizzate nelle regioni terminali dei cromosomi, i cosiddetti telomeri. Con l’andare del tempo i telomeri si accorciano e misurandone la lunghezza sti


degli scomparsi negli ultimi due anni (a fronte di 15.047 scomparsi in più nel solo anno 2014 rispetto al 2013 ne sono stati rintracciati 15.018, con uno scarto pari, per la prima volta, a sole 29 persone ancora da rintracciare) e, supportato dall’avvento delle nuove tecnologie impiegate, come nel caso della sperimentazione fatta a Roma per studiare la geolocalizzazione delle persone malate di Alzheimer, è testimone della volontà di non abbassare la testa davanti a questo dramma che non conosce distinzione tra colore della pelle o paese natale.

Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse (XII Relazione 2014).

sta cominciando a risalire all’età della persona. Per quanto riguarda il resto il DNA di adulti e bambini è identico». Che importanza hanno le analisi condotte su campioni dentali? Possono raccontare qualcosa in più di altri reperti ossei? «I denti sono un’ottima fonte di DNA, quindi al di là della morfologia che è molto utile per l’identificazione perché scarsamente variabile con il tempo, costituiscono una fonte di DNA di sicura riuscita». Esiste un iter specifico da seguire in caso di resti carbonizzati e/o scheletrizzati per ovviare al problema della Degradazione del DNA? E quali sono, nel caso di resti cadaverici o corpi non identificati, buone fonti di DNA? «Le procedure di estrazione di DNA, lunghe e complesse, da resti scheletrizzati oggi consentono quasi sempredi ottenere DNA, mentre sono complesse e di scarsa riuscita quelle da resti carbonizzati. I tessuti molli sono ottime fonti e quando possibile si prelevano quelli, teniamo presente però che ogni corpo ha un diverso stato di degradazione, quindi sta poi all’operatore al momento del prelievo, scegliere il tessuto che può dare migliori chance di riuscita».

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QUEI 5.000 BAMBINI

SCOMPARSI NEL NULLA L’ombra del lavoro minorile e i numeri di una tragedia in atto

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In tutto, nel 2014 sono arrivati sulle coste italiane circa 26.100 minori, di cui 13.000 non accompagnati, un numero pari a due volte e mezzo quello registrato nel 2013. La Commissione Infanzia sulla base dei dati a disposizione, stima una crescita di minori stranieri non accompagnati negli ultimi due anni del 98,4% con un’impennata ulteriore dovuta all’ondata massiccia di sbarchi del 2015. Alla fine di giugno 2015, erano censiti nel nostro Paese circa 13.500 minori non accompagnati. Il dato, ancora aggiornato a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, comprende 8.200 minori «presenti» nei servizi di accoglienza ma anche 5.300 irreperibili: quasi il 40% del totale. In maggioranza eritrei, somali e di altri paesi dell’Africa sub-sahariana o occidentale, in condizioni quasi sempre

critiche a causa delle violenze e degli abusi di ogni tipo subiti o assistiti. Sono i bambini invisibili. Non hanno un volto e neppure un nome. Sono persi in una zona senza legge dalla quale è difficile che sfuggano perché non hanno genitori, non hanno parenti o punti di riferimento e nessuno li cerca. Sono deboli ed indifesi alla mercé di sfruttatori e criminali. Il rischio, reale, è che questi minorenni finiscano in circuiti illegali, forniscano manovalanza alla criminalità organizzata e siano variamente sfruttati anche per i più turpi traffici. Le cifre drammatiche ben rappresentano come le violazioni dei diritti e le violenze di ogni tipo subite da bambini e adolescenti vittime o a rischio di tratta e sfruttamento, anche in Italia sono gravi e impressionanti. È bene che si sappia che molti di questi minori vengono reclutati

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nei loro paesi d’origine e trasportati in Italia contro la loro volontà inoltre, anche per quelli al seguito di un adulto, non vi è alcuna certezza che quelli che li accompagnano siano realmente i loro genitori e potrebbero essere “seguiti” sin dall’inizio del loro viaggio e essere, a loro volta, vittime di una tratta. Lo sfruttamento sessuale, quello lavorativo e l’impiego in attività illegali sono le tipologie più diffuse di sfruttamento connesso con la tratta. In Italia, l’accoglienza per i minori non accompagnati funziona così: una volta entrati sul territorio italiano, nel caso in cui non siano accompagnati da un familiare, i minori passano automaticamente sotto la custodia dello Stato. Normalmente, vengono mandati nei centri di prima accoglienza e poi vengono inseriti in vari programmi di educazione, integrazione e adozione. Nella realtà, le cose vanno in modo diverso. Il primo problema, riguarda l’inadeguatezza delle strutture di accoglienza nell’assorbire il flusso degli immigrati che arrivano in Italia e il risultato è che gli stessi bambini vengono lasciati in rifugi di emergenza sovraffollati e decadenti anche per mesi, con poca protezione. Alcuni scappano, altri vengono rapiti. Un’inchiesta del Guardian, rivela come molti dei bambini, mentre dormono

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Ministro dell’interno.

alla stazione dei treni, vengono intercettati da reti di trafficanti che promettono loro un rifugio e un lavoro. Ma poi vengono rinchiusi in alloggi di fortuna, fatti lavorare nei campi, vendere droga oppure prostituire: tutte attività molto redditizie per queste reti criminali. Nella primavera del 2011 l’allora procuratore nazionale


antimafia Pietro Grasso non usava mezzi termini: «Quattrocento minori sbarcati a Lampedusa sono scomparsi. Alcuni sono stati trovati con dei bigliettini con il numero di un referente al quale collegarsi e che, probabilmente, fa capo a qualche organizzazione criminale». «Temiamo che questi minori siano coinvolti in attività di lavoro irregolare, nonché di accattonaggio, furto e prostituzione», gli faceva eco il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. Voci autorevoli, che non hanno cambiato il corso delle cose. Sono molti, oggi, i gruppi criminali

organizzati, composti da persone di diversa nazionalità, presenti sia nei Paesi di origine che nelle regioni dell’Italia meridionale, specializzati nelle diverse mansioni: reclutamento delle persone, fornitura di alloggi e mezzi di trasporto, falsificazione dei documenti, introduzione illecita nel territorio di destinazione. Alcune di queste organizzazioni guardano ai giovani senza famiglia e senza documenti come a un capitale umano quanto mai prezioso. Perché questi ragazzi sono soli, affamati, non conoscono la lingua ma, soprattutto, di loro mai nessuno chiederà conto.

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IL TURISMO SESSUALE A DANNO DI MINORI Una vacanza per occidentali insoddisfatti alla ricerca di bambini da abusare

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Che cosa è il turismo sessuale minorile? È una delle piaghe moderne che colpisce bambine e bambini residenti in realtà povere e problematiche del mondo in cui vengono usati e abusati sessualmente da uomini per lo più occidentali, figli di papà, sposati con famiglia, pedofili o predatori all’occorrenza che organizzano viaggi costosi allo scopo di fare una vacanza a caccia di minori. Ma frequentemente, anche senza spostarsi, molti minori stranieri non accompagnati che fuggono dai loro paesi, col sogno di una vita senza il pericolo della guerra o delle epidemie, vengono trafficati da uomini senza scrupoli, portati nei paesi dell’Occidente, scomparendo per sempre, perché inghiottiti nella terribile tratta di esseri umani per poi essere sfruttati sessualmente nelle nostre strade, nelle nostre città. E di loro non si sa più nulla. Povere creature lasciate, dimenticate e mai trovate. Di quei bambini, tra i 10.000 e i 12.000 si trovano in Italia. Diversa è la situazione dei bambini

residenti nelle zone dove il turismo sessuale di minori è diffuso. Qui tutti sanno e vedono, ma nessuno fa qualcosa per migliorare la vita di questi piccoli, costretti a prostituirsi e a vendere la propria verginità per pochi soldi. Si stima che siano più di 3 milioni i turisti che ogni anno partono in cerca di sesso. Di questi ben 80.000 parlano italiano, raggiungendo così un podio di cui l’Italia non dovrebbe andarne fiera. Fa spavento, infatti, ricercare “turismo sessuale con minori” e scoprire quanti siti internet italiani diano informazioni su come e dove andare per trovare bambini da abusare con il consenso delle loro famiglie, perché unica fonte di reddito. Perché dietro tutto ciò ci sono persone e nazioni intere che facilitano questo che è un reato (in Italia è stata introdotta la L. 269/98) e lo tengono sempre vivo e fiorente, mai prevenuto e debellato. Il turismo sessuale, secondo i dati

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dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e pornografia minorile, è il terzo traffico illegale, dopo droga e armi, con un volume d’affari che si aggira intorno agli 80-100 miliardi di dollari. Il fenomeno è cresciuto nel tempo per varie cause: il maggior impoverimento dei Paesi del Sud del mondo, l’aumento del turismo di massa, la ricerca dell’edonismo sfrenato e senza ritegno e della modernità caratterizzata da bisogni sessuali depravati insoddisfatti. Le vittime del turismo sessuale hanno per il 60% tra i 13 e i 17 anni, per il 30% dai 7 ai 12 anni, per il 10% da 0 a 6 anni. Il 75% dei minori coinvolti sono femmine. Tra le destinazioni più gettonate abbiamo il Brasile, il Nepal, il Bangladesh, la Colombia, l’Ucraina, la Bulgaria, la Thailandia. Secondo i dati di ECPAT, organizzazione internazionale che nasce

Cambogia.

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L’IDENTIKIT DEL TURISTA SESSUALE MINORILE a cura di Nicoletta Calizia

Un termine molto usato per i responsabili di abusi sessuali su bambini è “pedofilo”. “Pedofilia” è un termine clinico utilizzato per connotare quegli adulti che sono in primo luogo sessualmente attratti da bambini in età pre-puberale. Ma solo una percentuale molto piccola degli autori di sfruttamento sessuale minorile è pedofilo. Gli autori provengono da tutti gli strati della popolazione. Possono trovarsi in ogni paese, in ogni professione e di ogni religione. Possono essere eterosessuali o omosessuali, sposati o celibi, stranieri o del luogo. Anche se la maggior parte degli autori è di sesso maschile, ci sono anche autori di sesso femminile. Secondo ECPAT, ci sono tre diverse categorie di turisti del sesso con minore: autori situazionali, autori preferenziali e pedofili. I turisti situazionali sono di solito uomini che usano un bambino per il sesso e quest’ultimo viene messo a disposizione per loro, attraverso la prostituzione o all’interno della famiglia stessa. Il pedofilo situazionale di solito non ha una preferenza sessuale specifica per i bambini; abusa di bambini


e lotta contro lo sfruttamento minorile, la prima meta del turismo sessuale femminile è, invece, l’Europa meridionale, principalmente Italia, ex-Jugoslavia, Turchia, Grecia e Spagna, e poi i Caraibi, parte dell’Africa e le Filippine. Il turismo sessuale con minori è difficile da sconfiggere e comporta conseguenze orribili: la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili, il traffico delle adozioni dei figli nati da questi rapporti pedofili e una percentuale molto alta di suicidi tra i minori abusati. Tutto questo dovrebbe colpire e spingere a fare qualcosa e non dovrebbe far rimanere indifferenti i governi e la politica locale ed estera. Ma purtroppo la realtà è un’altra. E le azioni a sfavore dello sviluppo di questo fenomeno scarseggiano. Molto si deve fare ancora.

da dodici anni in poi, bambini che hanno già raggiunto la pubertà; è generalmente considerato come opportunista e indiscriminato. Autori preferenziali sono persone che cercano consapevolmente contatti sessuali con bambini. Essi possono ancora avere la capacità di provare attrazione sessuale per gli adulti, ma saranno attivamente alla ricerca di minori per avere rapporti sessuali. In genere si concentrano su adolescenti come partner o oggetti sessuali. I pedofili sono adulti principalmente attratti sessualmente da bambini pre-puberi e fanno spesso foto dei loro abusi sessuali. Molte volte fanno parte di una rete all’interno della quale condividono immagini e informazioni su dove e come sfruttare i bambini. La maggior parte di chi commette abusi sessuali su minori sono abusanti situazionali, ma la maggior parte dei turisti sessuali che vengono arrestati sono preferenziali o pedofili. Questo perché consapevolmente cercano contatti sessuali con minori, spesso conservano le immagini degli abusi e le scambiano con la rete di pedofili. Molti turisti sessuali spesso vengono scoperti dalla Polizia proprio attraverso le indagini nell’ambito della pornografia infantile.

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A ZAGAROLO Ancora troppi i misteri sulla morte di un sacerdote e l’ombra di uno scandalo

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Sarà ancora una volta il DNA a fornire il nome dell’assassino di don Lanfranco Rossi, 55enne già parroco della comunità parrocchiale spezzina di Migliarina, rinvenuto cadavere la notte dello scorso 12 aprile, in un noccioleto della comunità “I Ricostruttori nella preghiera” a San Feliciano, nelle campagne di Zagarolo, luogo ove era in ritiro spirituale assieme ad altri religiosi? Ricostruiamo la vicenda. Don Lanfranco Rossi, insegnante di Teologia a Roma presso l’Università Pontificia, era stato ordinato a La Spezia, dove aveva vissuto a lungo, prima di spostarsi nella Capitale. Era inoltre un teologo noto, autore di vari testi. Non si tratta certo di una morte per malore, come aveva prontamente supposto don Roberto Rondanina, responsabile dei “Ricostruttori”, che in una nota aveva affermato che don Lanfranco era certamente morto «per insufficienza cardio respiratoria», e non parlava affatto

di omicidio. Omicidio a scopo di rapina? Potrebbe essere l’ipotesi più plausibile, se non fosse che “I Ricostruttori” vivono in totale povertà, dormono per terra, praticano la meditazione, non tagliano barba e capelli, e mangiano solo verdura. Cosa gli si poteva rubare, quindi? Non si esclude neppure che ad ucciderlo sia stato qualcuno che lo conosceva, ma ancora non vi sono sospettati e non vi è movente. Certo è che i risultati dell’autopsia fanno pensare a una resistenza del sacerdote all’aggressione, da qui lo strangolamento e i successivi colpi che l’hanno portato alla morte. Potrebbe essere stato colpito con un oggetto contundente, stretto per il collo e quindi lasciato morire, dopo una lunga agonia. Nessuno si sarebbe accorto di niente. Le ferite non sembrano indicare una reazione forte, il che potrebbe far pensare che il religioso conoscesse la persona che lo ha aggredito. Però, si ipotizza anche che chi lo ha ucciso non

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potesse sapere che si sarebbe fermato a San Feliciano, né tantomeno a che ora si sarebbe alzato, perché insonne. Secondo i confratelli, però, non era strano che il prete si trovasse in giro di notte, poiché soffriva d’insonnia, e spesso andava a meditare nel bosco. In sostanza, l’aggressione e l’uccisione di padre Rossi sarebbero scaturite da un incontro, casuale o non, tra lui ed il suo assassino, che certamente quella sera si trovava nella tenuta di San Feliciano. Il ritrovamento di tre teschi umani nella stanza del religioso avevano fatto anche pensare ad una pista legata al satanismo, ma è stata rapidamente esclusa, poiché

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si sarebbe solo trattato di reliquie. L’ordine dei “Ricostruttori” e proprio il nome di Lanfranco Rossi erano già balzati all’attenzione delle cronache per la torbida vicenda dell’abate Pierangelo Bertagna condannato per pedofilia tra il 2005 e il 2008. Reo confesso, aveva ammesso 38 casi di abusi sessuali su minori, anche molto piccoli. Durante il processo Bertagna aveva detto di essere preda di una sorta di ossessione, confidata ai superiori Cappelletto e Rossi, indicati anche da alcuni genitori delle vittime di abusi come persone informate sulle attitudini moleste dell’abate. Informate, ma zitte. Dopo questo scandalo, alcuni vescovi avevano sollevato dubbi sulla natura ecclesiale del gruppo, rifiutandosi persino di ordinare nella loro diocesi dei militanti dei “Ricostruttori”. Al contrario, la Diocesi che aveva approvato e riconosciuto i “Ricostruttori”, nel 1989, con il vescovo della Spezia Siro Silvestri


e ne aveva ordinato i primi sacerdoti, compreso proprio il nostro don Lanfranco. Il vescovo dI La Spezia Bassano Staffieri aveva approvato nel 2007 lo Statuto aggiornato e l’attuale vescovo Palletti aveva confermato la sua vicinanza ai “Ricostruttori”, appena appreso della morte di don Lanfranco, inviando persino una lettera ufficiale, letta al funerale, in cui manifestava «la vicinanza e la preghiera, mia e di tutta la nostra Diocesi, certo che il Signore Gesù, di cui questo confratello ha particolarmente amato l’invocazione del Nome, lo accoglierà nella pace del Regno dei Cieli». La morte violenta di don Rossi ha risollevato inevitabilmente l’attenzione sul caso di don Pierangelo Bertagna e le indagini romane non escludono alcuna ipotesi. Va detto che non c’è, ad oggi, alcun collegamento fra i due fatti se non il dato storico del legame fra i due religiosi. L’Associazione, come abbiamo detto, non crede all’ipotesi dell’assassinio, ma è convinta che ad uccidere il teologo sia stato un malore. “Purtroppo ̶ scriveva don Rondanina ‒ sono circolate sui media notizie prive di fondamento e gravemente offensive per la persona di Lanfranco Rossi, e lesive per l’Associazione. Le smentisco nella maniera più categorica. Sono in corso indagini per accertare le cause del decesso, sono pienamente fiducioso che verrà fatta luce sull’intera vicenda». Il Vescovo della diocesi di

Palestrina, monsignor Domenico Sigalini, non sembra dello stesso avviso e parla di «morte drammatica, inaspettata, in quel luogo di preghiera e raccoglimento». Il giallo è soltanto all’inizio e non si escludono colpi di scena, forse grazie ancora una volta all’esame del DNA, affidato ai carabinieri del RIS di Roma. Quindi occhi puntati sul lavoro degli investigatori che avrebbero isolato, accanto al DNA del sacerdote, un secondo profilo genetico che potrebbe corrispondere a quello del killer. Il campione biologico, repertato dalle macchie di sangue rinvenute sia nel frutteto dove era stato trovato il corpo di don Lanfranco, sia sulla maniglia di una porta del dormitorio, è in corso di analisi e già nelle prossime settimane potrebbe cominciare a dire più di quanto gli indizi raccolti fino ad oggi dai Carabinieri della compagnia di Frascati siano stati in grado di fare.

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Crimine ai Raggi X

a cura di Alberto Bonomo

IL DNA RACCONTA La scelta analitica da seguire varia in base al tipo di reperto in nostro possesso. Sono numerose le differenze di analisi tra un recente campione di tracce ematiche e un reperto osseo datato e utilizzare un protocollo errato potrebbe inficiare il lavoro di estrazione del DNA in termini quantitativi o qualitativi. Le tecniche più moderne consentono in ogni caso di eseguire una prima analisi, definita generica, grazie alla quale identificare l’origine della traccia e quindi poter successivamente operare su di essa con metodiche mirate. Una volta scelta, in base al tipo di reperto in nostro possesso, la strategia analitica da seguire si passerà all’estrazione del DNA inteso come un’unica macromolecola. Ogni cellula è in grado di fornire le informazioni genetiche contenute nel DNA ad eccezione dei globuli rossi che sono le uniche cellule senza nucleo. Tecnicamente estrarre il DNA consiste nell’apertura della membrana cellulare e nell’estrazione della macromolecola di cui sopra. Una tecnica molto utilizzata è la PCR (Polimerasi Chain Reaction) con la quale si riesce ad ottenere anche attraverso un piccolo quantitativo di DNA una percentuale sufficiente per il successivo studio della sequenza. Ciò avviene perche questa tecnica, mediante l’utilizzo di particolari reagenti, funge da moltiplicatore di acidi nucleici e dunque consente di ottenere da minime tracce una “lettura” molto dettagliata.

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UNA ROUTINE MORTALE

Misterioso omicidio ad Asti e un’indagine ancora in atto

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In apparenza una vita semplice, una vita fatta di routine e di “riti”, quella di Francesco Indino, un cinquantaduenne di Montechiaro d’Asti, che tutte le mattine si sveglia all’alba per recarsi al lavoro. Un lavoro duro quello di Francesco che, per conto della GALUP, una ditta di Ortofrutta di Costigliole, fa l’ambulante ortofrutticolo nei mercati di paese. Anche la mattina del 25 giugno Francesco ripete istintivamente tutti i suoi riti, si alza di buon’ora, alle 4:30 si reca al “solito bar”, in Corso Torino, uno dei pochi aperto a quell’ora, dove lo aspettano un collega di lavoro e il suo titolare per prendere il “solito caffè”. Stamattina il mercato è a Montecalvo e i tre si dividono per ritrovarsi al “solito posto” e partire tutti insieme. Francesco prende la sua vecchia Alfa e si reca, Cric auto. “come al solito” in Piazza Campo del Palio ad Asti, per prendere il suo camion frigo e Alle 5:00 il 113 riceve una chiamata. Un aspettare gli altri. pendolare del posto trova il corpo senza vita di Francesco Indino rivolto a terra di fianco dal camion. Le volanti della Polizia, giunte sul luogo in pochissimi minuti insieme agli investigatori della Mobile con il dirigente Loris Petrillo, il vice, Marco Primavera e gli esperti della Scientifica, non hanno potuto far altro che confermare la morte di Francesco e transennare la zona. La scena che si presenta agli occhi degli inquirenti è agghiacciante: un uomo rivolto con il viso a terra, accanto alla ruota anteriore del proprio camion, lato del guidatore, con la testa immersa in una pozza di sangue, fracassata da un corpo contundente, presumibilmente

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di metallo, la portiera del camion aperta con un portafogli riposto nel portaoggetti in bella vista, semplicemente intatto. Anche il datore di lavoro di Francesco e il suo collega giunti poco dopo rimangono attoniti. Il questore Filippo Di Francesco ha immediatamente mobilitato tutto il reparto investigativo della Polizia astigiana per seguire questa delicata inchiesta coordinata dal pm Valeria Ardoino. Tutti vogliono vederci chiaro in questa brutta storia che non sembra essere la classica rapina sfociata in omicidio. Per questa ragione si scava nel passato dell’uomo, originario di Bari. Francesco si era trasferito da giovane a Torino e poi, circa dieci anni fa, era giunto a Montichiari con la seconda moglie, Mihaela Andrea Rofel, e il figlio della coppia. Un passato, quello del camionista, che sembra nascondere qualche piccolo precedente penale. Si ascoltano testimoni, si cerca di capire

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quali delle telecamere presenti in zona siano in funzione. Immediatamente decine di agenti battono la zona palmo a palmo per cercare i maggiori indizi possibili e l’arma del delitto: un cric o una spranga di metallo. Un lavoro certosino che non dà i frutti sperati: l’arma del delitto non si trova. Sulla dinamica della tragedia gli inquirenti sembrano pensare, grazie ad alcune testimonianze, che Francesco abbia fatto appena in tempo ad aprire la portiera, riporre i documenti del camion e il portafogli nel vano laterale e non sia salito sul camion perché “chiamato” dai suoi assassini. Purtroppo i testimoni hanno solo sentito alcune persone litigare, senza distinguere bene né il motivo del litigio né le parole esatte. Solo urla per pochi minuti e poi il silenzio: un silenzio di morte. Dalla ricostruzione fatta dagli inquirenti Francesco, avrebbe cercato di difendersi, ma sia per la sua conformazione


fisica, bassa e tozza, sia perché le sue capacità di movimento limitate a causa di un recente intervento chirurgico, non è riuscito a salvarsi la vita. Intanto, in paese, lo sconcerto e l’incredulità di chi lo conosceva bene cresce. Il datore di lavoro parla di Francesco, un dipendente onesto, fidato e un gran lavoratore, nonostante qualche piccolo problema di salute che gli dava noia. Non si dà pace per non esser arrivato prima, la mattina della tragedia, pochi minuti e forse avrebbe potuto aiutare Francesco. Gli abitanti di Montechiaro lo descrivono come una persona mite e benvoluta. Gli inquirenti non smettono di lavorare al caso nemmeno il giorno del funerale di Indino, durante il quale, in maniera totalmente invisibile, annotano, fotografano e osservano tutto ciò che accade. Il lavoro certosino e senza sosta degli inquirenti passa al setaccio tutta la vita privata, sociale e lavorativa di

Francesco e in poco più di un mese inizia a prender forma un sospetto che più degli altri stuzzica l’intuito degli investigatori: una spedizione punitiva e pianificata che presumibilmente potrebbe essere stata decisa nell’ambiente dei mercati, frequentato da tempo dalla vittima per lavoro. Omicidio premeditato o solo un’aggressione finita male? E qual è il movente? Questo ancora non è stato appurato dagli inquirenti che, traditi dalle telecamere di sicurezza praticamente fuori uso da anni, ora cercano maggiori conferme dal consulente informatico della Procura, Giuseppe Dezzani, che dovrebbe compiere uno screening di massa sulle celle dei Gestori telefonici che coprono il centro di Asti con l’obiettivo di accertare quali numeri fossero attivi tra le 4:00 e le 7:00 del 25 giugno nella zona del delitto. Sempre che i killer non avessero lasciato a casa il cellulare.

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a cura di Alberto Bonomo

TELEFONI SPIA

I dispositivi GPS e di localizzazione sono divenuti negli ultimi anni “optional imprescindibili” dei nostri telefoni cellulari, nel bene o nel male. Il Global Positioning System (GPS) è un prototipo che appartiene al Pentagono. Gli elementi cardine del sistema sono rappresentati da una costellazione di 24 satelliti, un Centro terrestre di controllo geolocalizzato in Colorado (Stati Uniti) e quattro colonne di ricezione periferiche collocate nei quattro Continenti. I nostri telefoni rappresentano infine i ricevitori. La relativa lentezza con cui inizialmente il GPS su dispositivo mobile acquisiva la posizione al momento dell’accensione ha portato alla creazione del cosiddetto Assisted GPS. Un sistema che usa come punti di riferimento le antenne del sistema GSM e quindi le celle radio cui l’utente è agganciato (la cosiddetta copertura radio). Una tecnologia sicuramente utile in casi di emergenza ma che presta il fianco a ulteriori utilizzi. Ipoteticamente l’operatore telefonico è nelle condizioni di poter determinare la posizione di un telefono, anche se questo non possiede un sistema avanzato di GPS. La localizzazione di un telefono cellulare, in realtà, è un’applicazione dei concetti più generali di triangolazione radio e multilaterazione già usato a questo scopo sin dagli anni ‘40. Infatti, le antenne GSM e UMTS misurano la distanza attraverso l’intensità di segnale; sommando tra loro tutte le informazioni di una o più antenne sarà possibile stabilire la posizione di un telefono con una precisione che può andare da un raggio di chilometri a pochi metri.

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LA SCENA DEL CRIMINE:

CONGELAMENTO E RICOSTRUZIONE Nuove tecnologie e mondi virtuali al servizio delle Scienze forensi

Congelare la scena del crimine è sicuramente una delle prime, più importanti e delicate operazioni che la Polizia Giudiziaria deve mettere in atto appena giunge sul locus commissi delicti. Questa operazione permette infatti di cristallizzare, come su una fotografia, lo stato dei luoghi, con lo scopo di preservare la scena del crimine dalle inevitabili contaminazioni e, soprattutto, per poter tenere traccia e memoria dei dati che saranno poi necessari nella successiva

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operazione di ricostruzione della scena del crimine nel modo più fedele possibile durante l’iter giudiziario nei vari gradi del processo penale. Durante il sopralluogo, la corretta esecuzione dei protocolli operativi permette infatti di ridurre gli errori e minimizzare il rischio che una o più prove possano venir inficiate a causa di sbagli o disattenzioni da parte di chi opera all’interno della scena. Una delle procedure che viene utilizzata per assicurare il congelamento della scena


del crimine è quella del rilievo topografico, ovvero la rappresentazione dimensionale dello stato dei luoghi che, tuttora, nella grande maggioranza dei casi viene realizzato nella maniera più semplice, ovvero con carta, matita e fettuccia metrica, disegnando schizzi e planimetrie per riportare la posizione di vittime, ambienti, oggetti e corpi di reato. Oltre al semplice disegno planimetrico bidimensionale si è cominciato a comprendere l’utilità della ricostruzione in 3D, la quale è in grado anche di far capire le dinamiche evolutive di un certo evento. È così che si può, per esempio, ricostruire traiettorie di proiettili, effettuare analisi delle macchie di sangue, ipotizzare vie di fuga di un omicida, fino a poter “navigare” virtualmente all’interno della scena del crimine. Ci sono varie tecniche per poter entrare in contatto con il mondo delle ricostruzioni 3D, alcune di esse sono semplici ed economiche, altre necessitano di conoscenze informatiche e tecnologiche approfondite e di elevati investimenti economici per l’acquisto di strumenti e di software per sviluppare e leggere la ricostruzione. Se disponiamo di un budget economico limitato, possiamo partire da un disegno su carta e, tramite semplici accorgimenti trasformarlo in un rilievo tridimensionale mediante il ripiegamento di più lati del foglio, fino ad ottenere una sorta di “scatola-modellino”, aperta su un lato, all’interno della quale è contenuta la scena del crimine. Salendo di livello ed avendo a disposizione dei buoni apparati fotografici e software dedicati, è possibile utilizzare la tecnica

Uso della camera metrica per ricostruzione luoghi.

della fotosferica. Con questa tecnica è possibile combinare più fotogrammi ripresi da una comune fotocamera e legarli assieme in un unico spazio tridimensionale, all’interno del quale un operatore che si pone come fulcro del sistema stesso, può ruotarne la sua osservazione di 360 gradi. La tecnologia più evoluta attualmente disponibile sul mercato, in grado di sostituire il classico rilievo topografico, è sicuramente quella dei laser scanner, ovvero degli apparati che sfruttando la luce proiettata su degli oggetti, ne captano le informazioni riflesse in modo da poter ricostruire in tempi limitati, geometrie anche molto complesse. Grazie a questa tecnologia il topografo forense è in grado ricostruire l’ambiente nelle tre dimensioni spaziali e ottenere misurazioni estremamente precise sugli oggetti presenti all’interno della scena del crimine. Dopo l’acquisizione geometrica, il topografo può quindi ricorrere alla

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computer grafica che gli consentirà il passaggio da un modello statico ad un modello dinamico, in grado di poter muovere soggetti ed oggetti, simulare traiettorie ed eventi all’interno della scena del crimine virtuale. Questo aspetto è di fondamentale importanza, in quanto una ricostruzione spazio/temporale permette una più facile comprensione degli eventi ed una maggiore comunicazione a tutti gli interessati di un procedimento giudiziario (giudici, magistrati, avvocati, ecc). Come sostiene il prof. Martino Farneti, persona di indubbia esperienza nel settore criminalistico, «oggi il giudice per poter decidere nel modo migliore possibile deve comprendere, nel più breve tempo possibile, come un evento si è evoluto, ma soprattutto come il reo si è comportato in relazione al luogo, al tempo e a tutte le altre circostanze che in quel momento

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venivano ad influenzare la sua condotta. Ricostruire in modo tridimensionale un determinato luogo, posizionare all’interno dello stesso gli elementi oggettivi fonte di prova, rappresenta oggi un grande passo in avanti nel mondo della giustizia. La ricerca della prova e la sua presentazione nell’ambito del dibattimento sono le nuove frontiere della giustizia non più legate a volontà personali ma a fatti oggettivi e inequivocabili. Diminuire il più possibile gli errori giudiziari e condannare i veri colpevoli sono segni di civiltà». Per questo la nuova scuola di formazione professionale per “Esperti in balistica forense e analisi della scena del crimine” diretta dal prof. Farneti, ha come obiettivo la formazione di personale altamente specializzato in grado di operare relativamente a fatti criminosi che accadono quotidianamente, con lo scopo di trovare prove e strategie da presentare in dibattimento nell’interesse della sola giustizia.


a cura di Paolo Mugnai

L’IMPORTANZA DELLA RICOSTRUZIONE 3D

Dott.ssa Beatrice Farneti.

Intervista alla dott.ssa Beatrice Farneti, esperta in ricostruzioni 3D, docente nel corso di Balistica Forense ed analisi della Scena del Crimine

Dott.ssa Farneti può spiegare come ha cominciato il suo lavoro nel campo delle Scienze forensi e nella ricostruzione 3D? Ho sempre seguito mio padre, il dott. Martino Farneti, nel suo lavoro cominciando ad aiutarlo in diversi modi, come ad esempio prendendo delle misurazioni sulla scena del crimine durante dei sopralluoghi, fotografando luoghi e reperti in sequestro e facendo

Prof. Martino Farneti.

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da assistente durante le sue docenze. Nel corso degli anni è nata inizialmente l’idea di integrare le perizie e le consulenze balistiche con delle immagini, successivamente si è giunti alla ricostruzione della scena del crimine virtuale sfruttando la moderna tecnologia del 3D. I primi successi mi hanno subito entusiasmato potandomi a credere molto in questo importante progetto».

Immagine 3D gentilmente concessa dal Centro Balistica Forense.

Qual è il futuro della ricostruzione 3D nel campo delle Scienze forensi e quali le competenze richieste? «La ricostruzione tridimensionale della scena del crimine e dei comportamenti degli attori è e resterà comunque un’integrazione alla perizia o alla consulenza, in quanto il suo scopo è solo quello di riassumere visivamente ciò che è accaduto e come è accaduto nella scena del crimine. Per svolgere l’attività della ricostruzione 3D vi è la necessità di un’esperienza altamente qualificata in molteplici materie a cominciare dalla grafica fino alle diverse materie d’interesse delle Scienze forensi. Il suo compito è quello di saper “rappresentare” la sintesi dell’indagine e dei comportamenti degli indagati e delle altre persone presenti nella scena del crimine. Ricordando sempre che, agli occhi di un giudice, una buona e valida rappresentazione grafica può

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risultare più convincente di un’eloquente e valida “discussione” posta in essere da un buon avvocato».

Quali sono i contributi che può apportare la ricostruzione 3D nell’indagine difensiva? «Conoscere il modus operandi del sopralluogo, sia nella teoria che nella pratica operativa è fondamentale per un buon lavoro di rappresentazione. Commettere degli errori è facile, recuperarli è difficilissimo. Questo è molto importante anche nelle indagini difensive, per individuare una strategia adeguata al caso e assistere l’avvocato nel suo sforzo di sviluppare delle idonee indagini difensive. La ricostruzione 3D, in questo ambito, è importantissima sia per dare l’idea all’organo giudicante di cosa si sta discutendo sia per collaborare con l’avvocato difensore, assicurando un adeguato supporto alla strategia difensiva nei confronti dell’indagato».

Immagine 3D gentilmente concessa dal Centro Balistica Forense.

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MAURO DE MAURO, UNA SPARIZIONE E DUE MOVENTI 45 anni fa scompariva il giornalista de L’Ora, fratello di Tullio De Mauro, ex ministro dell’Istruzione

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A voler esser sinceri, qualche scheletro nell’armadio Mauro De Mauro ce l’aveva. Eccome. Prima di aderire alla causa della carta stampata, De Mauro aveva aderito a quella fascista. Pugliese, classe ’21, da giovane aderì con entusiasmo alla scalata di Mussolini, tanto da arruolarsi volontario della X° Flottiglia Mas, dove inizia il suo rapporto con Junio Valerio Borghese. Arrestato al termine della Guerra ed evaso dal campo di concentramento di Coltano, De Mauro si portò per tutta la vita il ricordo degli scontri stampato in viso (come si può notare dalla foto, il suo naso era stato ricucito in seguito a un’aggressione). Nel dopoguerra De Mauro resta legato al principe Borghese (tanto da chiamare la figlia Junia) al punto che si ipotizza un suo coinvolgimento nella pianificazione del tentato golpe (comunque avvenuto in seguito al suo rapimento). Veniamo ai fatti: è il 16 settembre 1970 e Mauro De Mauro sta tornando a casa, come ogni sera. Ha l’automobile carica di vettovaglie acquistate per strada, tanto che appena arriva si attarda a raccattare gli ultimi

Junio Valerio Borghese.

acquisti mentre la figlia Franca (che si sarebbe sposata un paio di giorni dopo) entra nello stabile a chiamare l’ascensore. Dopo qualche minuto di attesa Franca torna verso l’auto del padre: riesce solo a intravedere due uomini che lo invitano energicamente a salire in auto con un laconico e sicilianissimo “Amunì” (andiamo). Da quel momento, il nulla. Ovviamente il legame tra De Mauro e Junio Valerio Borghese, soprattutto dopo le notizie del tentato golpe, viene preso in esame dagli inquirenti. Con il passare del tempo però emerge con forza una nuova pista, confermata in seguito da alcuni pentiti di mafia. Negli ultimi tempi De Mauro stava indagando su un altro dei grandi misteri d’Italia, ovvero la morte del presidente dell’ENI Enrico Mattei. Le sue ricerche si sarebbero avvicinate moltissimo alla verità, tanto che probabilmente la mafia si vedette costretta a farlo sparire per sempre. In tal senso sono state fondamentali le dichiarazioni

Mauro De Mauro.

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del “superpentito” Tommaso Buscetta, secondo il quale De Mauro era già un “cadavere che camminava” ben prima di indagare sul caso Mattei, ovvero sin da quando pubblicò su L’Ora un verbale della Polizia andato perduto nel quale il pentito Melchiorre Allegra spiegava per filo e per segno la struttura e gli intrighi del sistema mafioso. Le successive indagini su Mattei furono il colpo di grazie: quando la verità si stava avvicinando prepotentemente, i boss mafiosi Stefano Bontante, Gaetano Badalamenti e Luciano Leggio predisposero la cattura di De Mauro. Altri due pentiti scrivono pagine importanti nell’inchiesta sulla scomparsa di De Mauro: il primo è Rosario Naimo, il “Totò Riina d’America”, catturato fortuitamente nel 2011 in seguito a un malore nel centro di Palermo. Secondo Naimo fu proprio

Enrico Mattei.

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Foto segnaletica di Salvatore Riina.

Riina a ordinare il sequestro e l’uccisione di De Mauro. Il secondo è Francesco Di Carlo, che nonostante spinga per la pista “Borghese” vede a sua volta in Totò Riina il mandante dell’omicidio. Le due confessioni (soprattutto la seconda, avvenuta nel 2001), spingono gli inquirenti ad aprire un processo a carico del Capo dei Capi, come unico mandante dell’omicidio di Mauro De Mauro. Il lungo iter giudiziario si conclude solo il 4 giugno di quest’anno: la Cassazione conferma l’assoluzione, respingendo il ricorso della Procura di Palermo. Totò Riina non ha commesso il fatto. Nei giorni in cui cade il quarantacinquesimo anniversario dalla sparizione di Mauro De Mauro resta ancora senza volto il mandante del suo rapimento. Forse, a indagare sulla morte di colui che scoprì con 40 anni d’anticipo le trame oscure del caso Mattei, ci vorrebbe un altro Mauro De Mauro.


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IL MOSTRO DEL CIRCEO

Quando uccidere diventa un bisogno irrefrenabile anche dopo 30 anni

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Villa Moresca, Circeo, è la notte del 29 settembre 1975 e tre ragazzi, Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, festeggiano bevendo e ascoltando musica in compagnia di due belle ragazze ancora diciassettenni, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Il pretesto è il compleanno di Andrea Ghira ma, il motivo vero dei festeggiamenti è la scarcerazione di quest’ultimo, che condannato a diciotto anni di reclusione era stato liberato solo dopo diciotto mesi. I tre iniziano i primi approcci sessuali, ma le ragazze si tirano indietro, non vogliono avere rapporti: da qui inizia quello che alla cronaca è tristemente noto come “il massacro del Circeo”. Prima, per punizione, le due ragazze vengono chiuse in un bagno senza finestra per dodici ore, durante le quali i tre continuano a bere e a drogarsi, con la continua minaccia di essere sverginate. Vengono poi fatte spogliare e nuovamente rinchiuse nel bagno. All’alba iniziano le sevizie: la Lopez viene picchiata, torturata e stuprata anche con un corpo metallico; durante gli abusi, viene tenuta con la testa sott’acqua e, alla fine delle violenze, viene affogata. È stato Angelo Izzo ad occuparsi esclusivamente di lei per tutto il tempo, aiutato di tanto in tanto da uno dei due amici. La Colasanti, che nel frattempo ascolta le urla strazianti dell’amica, viene poi trascinata nuda per tutta la casa con un laccio al collo e picchiata con una sbarra di ferro. La ragazza capisce che l’unico modo che ha di salvarsi è fingersi morta. Questa coraggiosa strategia sarà la sua salvezza.

Gianni Guido (a sinistra) e Angelo Izzo durante il processo.

Dopo trentasei ore di violenza e tortura, i corpi delle ragazze vengono infilati dentro sacchi di plastica e caricati nel bagagliaio della Fiat 127 di Guido. I ragazzi tornano a Roma, e decidono stanchi e affamati di andare a cena per poi occuparsi dei cadaveri a “stomaco pieno”. La Colasanti inizia a gemere sempre più forte attirando l’attenzione di un metronotte, il quale avverte la Polizia che apre il bagagliaio trovando Donatella con il volto tumefatto e sporco di sangue: accanto a lei il cadavere di Rosaria Lopez. Gianni Guido viene subito arrestato, in stato di confusione mentale. Angelo Izzo è arrestato poco dopo, mentre Andrea Ghira, inizialmente non indiziato, non sarà mai preso. Ma chi è Angelo Izzo? È il primo di quattro figli, nato nel 1955, da una famiglia benestante che gli permette di frequentare le migliori scuole di Roma. Cresce e vive ai Parioli, quartiere agiato della città, e di certo non si può dire che si porti alle spalle un passato fatto di traumi, abusi e umiliazioni.

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Fin da bambino Izzo sviluppa la passione per gli sport di contatto, quali arti marziali e rugby. Non è uno studente brillante ma riesce a conseguire gli studi senza riportare bocciature e, dopo la maturità, si iscrive alla Facoltà di Medicina, dove viene ben presto conosciuto come giovane prepotente e violento. Fin da giovanissimo entra a far parte della “Giovane Italia”, un’associazione studentesca del Movimento Sociale Italiano. Anche qui la sua condotta non

viene accettata, tanto che alla fine del 1969 viene espulso insieme a Ghira per aver nascosto motorini rubati nel cortile di una delle sezioni. Da quel momento usa la politica per esercitare quelle attività che gli procurano piacere: rubare, seviziare, violentare. La testimonianza della giovane Colasanti, scampata al massacro del 29 settembre 1975, permette di condannare all’ergastolo Angelo Izzo. Ma la sua storia, la storia del “Mostro”, non finisce con questa condanna, perché trent’anni dopo torna a far parlare di sé. Infatti Izzo, che durante la carcerazione ha un comportamento esemplare, riesce a guadagnarsi note di merito e permessi premio, fino a conquistarsi la semilibertà, che gli permette di uscire dal carcere in maniera legale. È in questa occasione che Izzo decide di tornare ad uccidere, come trent’anni prima, come se il tempo non fosse mai passato. È il 28 aprile 2005, un giovedì, a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, e le vittime sono nuovamente due donne e anche stavolta si fa aiutare da due complici: Guido Palladino, che lavora come segretario della cooperativa “Città futura” presso la quale Izzo va a lavorare durante il regime di semilibertà, e Luca Palaia, un uomo con qualche precedente La torre serbatoio dov’era il bar, luogo di incontri per rapina ed utente della cooperativa stessa. I cadaveri, quello di Maria Carmela tra le due ragazze e Guido con Izzo.

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Maiorano e di sua figlia Valentina, vengono trovati dalla Polizia dentro due sacchi di plastica, sepolti sotto mezzo metro di terra nel giardino di una villetta a due piani: Maria Carmela è vestita, mentre la ragazza è completamente nuda. Le mani delle vittime sono ammanettate, la bocca e il volto coperti da nastro adesivo, entrambe sono morte per soffocamento. L’ipotesi iniziale è che Izzo volesse compiere una specie di vendetta trasversale su Giovanni Maiorano, il boss pugliese “pentito” che aveva conosciuto motivazione sessuale ritenendo che in carcere. Si è anche ipotizzata la le vittime fossero state violentate come quelle del Circeo, ma gli esami autoptici non hanno evidenziato tracce di violenza sessuale. Le uniche certezze che si hanno dopo questi due omicidi sono il fatto che questi ultimi non sono frutto di un raptus improvviso, ma premeditati, tanto che Izzo aveva già pronto un documento falso con la sua foto per fuggire all’estero, e poi, le dichiarazioni dello stesso Izzo pronunciate in uno degli interrogatori dopo il massacro in cui afferma che, in realtà, in quell’occasione gli importava solo di uccidere di nuovo: «Sentivo la violenza che veniva fuori. E provavo il desiderio di uccidere di nuovo, per questo l’ho fatto. Se non fossero state le due donne, avrei ucciso qualcun altro». Ma chi è allora Angelo Izzo? Un serial Colasanti durante il trasporto in ospedale. killer o un pluriomicida?

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Approfondimento

IL PARERE DELL’ESPERTA Dott.ssa Francesca De Rinaldis (psicologa forense)

Alla fine degli anni ’70, pur non utilizzando l’espressione serial killer, diversi esperti che hanno esaminato Izzo avevano riscontrato, nella sua personalità, alcuni elementi quale il sadismo e l’inferiorità sessuale, tipici di un omicida seriale. Non solo, esaminando la personalità di Angelo Izzo, si possono cogliere numerosi elementi di similitudine con quella tipica dell’assassino seriale: primo fra tutti la ritualità. Dopo trent’anni, Izzo sceglie la stessa scena per il suo delirio, quale una casa isolata. Identico è anche il modus operandi: un invito a due donne sole fatto da una persona carismatica che riesce a convincere le vittime prescelte a seguirlo senza esercitare alcuna costrizione fisica. Anche le sevizie sono presenti in entrambi i casi e, pur non essendo stato riscontrato nei delitti di Campobasso, un effettivo stupro delle vittime, si può comunque parlare di omicidi a sfondo sessuale nei quali la soddisfazione viene raggiunta attraverso il sadismo. Ricordiamo infatti che, 54


Approfondimento nei fatti di Campobasso, le due donne sono lasciate morire lentamente per soffocamento progressivo, sotto le sofferenze dunque, di una morte lenta e dolorosa. Occorre ricordare che, durante il processo di Primo grado e in quello d’Appello, per il massacro del Circeo, la difesa chiese ripetutamente di sottoporre Izzo a una perizia psichiatrica per accertarne la capacità di intendere e di volere, ma le richieste vennero sempre respinte. Già in quegli anni il criminologo Francesco Bruno evidenziava le ossessioni, il delirio persecutorio e sottolineava l’estrema pericolosità sociale di Angelo Izzo, ritenendolo un soggetto pronto a reiterare il crimine compiuto, realizzando un altro «omicidio perverso». Come molti altri serial killer, anche Angelo Izzo coltiva delle velleità artistiche, in particolare, nel suo caso, di tipo letterario. In carcere infatti, ha scritto le sue “memorie”, ossia centinaia di pagine scritte a mano che voleva fossero pubblicate sotto forma di romanzo, dal titolo The mob, (La banda). I brani scritti da Izzo, raccontati in prima persona, fanno emergere la sua personalità perversa attraverso la cruda descrizione di atti sessuali violenti compiuti e le sue fantasie sadiche. A proposito dello stupro in uno dei suoi brani Izzo scrive: «Credo che lo stupro abbia a che fare con gli istinti primordiali dell’uomo. La caccia, l’inseguimento, la cattura, la preda calda, spaventata, tremante, il possesso. Ecco, questo il gioco, la mia eccitazione si fonda su questo subdolo e umiliante meccanismo: il possesso. Il sapere che lei è preda, alla tua totale mercé, debole e remissiva, schiava delle tue volontà. Il possesso totale. Sì, è vero, in uno stupro la soddisfazione sessuale è poca cosa, è il resto a farla da padrone. Il pieno controllo del corpo di lei, il senso di onnipotenza, lo sfogo sadico di un istinto malfermo, la tortura psicologica, la sua sofferenza, l’angoscia, la remissività. Tutto entra in un gioco perverso teso all’annullamento della sua volontà. La donna che è dominata, la schiavitù, la sottomissione, l’inseguimento del tuo solo piacere». Inoltre, in un altro passaggio dei suoi scritti, Izzo conferma il suo bisogno di violentare e uccidere, eliminando i dubbi residui che si tratti proprio di un serial killer ossessionato dal desiderio di controllare altri esseri umani. A tal riguardo, oggi, alla luce dei fatti appare lecito domandarsi se mai nessuno abbia esaminato tali scritti prima di concedere ad Izzo benefici o permessi premio, quegli stessi benefici che furono fatali per le due donne di Campobasso. Quello su cui oggi si interrogano gli inquirenti è se Angelo Izzo possa aver ucciso altre donne tra un permesso e l’altro, proprio come un serial killer che uccide donne solo per il gusto di farlo, non essendo egli stato mai abbandonato, ancor oggi, dal suo bisogno di uccidere. 55




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LA LISTA DEI VELENI D’AUTORE L’inquinamento industriale e l’analisi dei costi di intervento

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Gli impianti produttivi, le infrastrutture e le reti tecnologiche presenti sul territorio ricoprono un ruolo importantissimo nella vita quotidiana ma, allo stesso tempo, hanno un impatto particolarmente forte sul sistema ambientale. Il rispetto delle leggi ed un uso responsabile dei mezzi necessari alla salvaguardia dell’ambiente ne consentirebbe un utilizzo vantaggioso e redditizio. Negli anni, però, con il passaggio da un’era improntata sui cicli naturali ad un’altra fondata sui consumi e sulla produzione, si evidenzia una ripercussione negativa del progresso industriale sulle condizioni di vita delle persone; sorge così l’inquinamento e di conseguenza peggiora anche lo stato di salute collettivo. Giorno per giorno, nel corso degli anni, si scoprono ingenti danni provocati da un utilizzo irresponsabile degli impianti anche a causa di un’eccessiva

Meccanismo Effetto Serra.

smania per il profitto. Dati allarmanti mettono in evidenza i numerosi danni prodotti in Italia. Da Nord a Sud non v’è regione senza sostanze tossiche e nocive disperse nell’aria e nelle acque. Un rapporto di Greenpeace del 2010 mette in luce le diverse aree tossiche d’Italia riconoscendo il record alla Sardegna che con 445 mila ettari risulta essere la regione con più territorio inquinato, 100 mila ettari in più rispetto alla Campania. Da non sottovalutare la Valle d’Aosta con la cava di amianto di Emarese, la Eternit di Casale Monferrato in Piemonte, in Lombardia la Caffaro di Brescia e l’area siderurgica di Sesto San Giovanni, in Emilia gli scarti delle ceramiche di Sassuolo, poi in Liguria discariche di arsenico cadmio e piombo persino in mare, le acciaierie in Toscana e Umbria, i danni delle industrie farmaceutiche nella

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provincia di Frosinone, per non parlare della Campania con le sue numerose discariche tossiche a cielo aperto nei paesi del litorale e ai piedi del Vesuvio. Le condizioni critiche di molte aree della Penisola fanno accrescere l’interesse dell’opinione pubblica e dei governi per il risanamento ambientale. Attualmente è

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necessario curare intere aree e lo Stato ha perimetrato vari siti di interesse nazionale per le bonifiche. Tralasciando le numerose polemiche riguardanti la gestione degli appalti e la reale efficacia delle azioni di risanamento, all’Italia vengono destinati milioni di euro per migliorare e gestire i rischi idrogeologici e bonificare le aree


e i siti inquinati. Sono previsti numerosi interventi che vanno dalla manutenzione straordinaria dei fiumi alla realizzazione di vie di fuga e percorsi lungo le sponde. Intervenire dopo i disastri però costa molto di più rispetto alle normali opere di prevenzione. Un monitoraggio continuo, una maggiore responsabilità civica ed azioni di prevenzione efficaci ridurrebbero senza dubbio i costi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in collaborazione con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), stima i costi sanitari dell’inquinamento atmosferico, sia indoor che outdoor, nella regione europea. Dallo studio effettuato emerge che nei 53 Paesi considerati, l’inquinamento atmosferico (riferito a dati del 2010) causa circa 600 mila morti premature l’anno che, sommate alle malattie, si traducono in un danno economico di circa 1.600 miliardi di dollari. In Italia la situazione è altrettanto critica. I risultati del Progetto CcmViias, finanziato dal Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute e coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, mostrano quasi 35 mila morti all’anno a causa dell’inquinamento atmosferico,

Inquinamento Fiume Lambro.

soprattutto per la presenza nell’aria di particolato atmosferico, biossido di azoto e ozono. Cifre enormi che non scuotono minimamente le coscienze di chi dell’inquinamento ne fa un business.

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DISABILI, LE “TRAPPOLE” DELLA FINANZIARIA

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Con l’entrata in vigore della nuova Legge, a causa dei tagli si pagherà quasi tutto

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Il Governo ha approvato la nuova Finanziaria, ma che cos’è esattamente? Per chi non lo sapesse, la Legge Finanziaria è lo strumento della Costituzione Italiana con il quale il Governo ha la facoltà di introdurre innovazioni normative in materia di spesa. E questa dev’essere presentata al Parlamento ogni anno entro il 30 settembre. Non sempre però i cambiamenti che vengono inseriti al suo interno sono a favore dei cittadini. Vediamo per esempio quelli che sono stati fatti nel settore della Sanità e quali servizi si perderanno a rischio della salute dei cittadini. Già, perché con la nuova Finanziaria sono stati tolti ben 2,35 miliardi di euro proprio in questo settore. Secondo le stime fatte dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dal 2010 al 2014 c’è stata una riduzione nei fondi pari all’8%. Intanto c’è da fare un’altra precisazione e cioè che i tagli decisi dal Governo incideranno in maniera differente da

regione a regione, oltre all’eliminazione delle prestazioni cosiddette “improprie”. Quali criteri ha usato lo Stato e che cosa dovremmo pagare ma soprattutto perché si parla di iniquità verso i malati? Facciamo un esempio: la regione Basilicata elargiva fino a questo momento, con la Legge Regionale del 26.7.1982, n. 22 le «provvidenze in favore dei cittadini affetti da determinate malattie, quali: talassemia, nefropatia, emofilia, da emolinfopatia maligna, nonché nei confronti dei cittadini sottoposti a trapianto di midollo osseo e che necessitavano di interventi terapeutici e di controllo in forma continuativa». Ebbene, con l’entrata in vigore della nuova Finanziaria, esattamente con l’art. 21, ha disposto che quelle provvidenze economiche potranno essere erogate

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solo agli assistiti che avranno un reddito familiare inferiore a 14.000 euro annui, riducendo quindi anche gli scaglioni di reddito. Questo vuol dire che un malato grave che abita in quella regione e che percepisce i “famosi” 238 euro al mese, è reputato dallo Stato “ricco”, poiché quella cifra viene accorpata all’interno del reddito familiare e non individuale. Pertanto molte prestazioni che prima erano gratuite, adesso saranno a pagamento. Questo naturalmente è uno dei tanti casi. Altre cose che pagheremo saranno le cure dentistiche: gratis per i ragazzi fino ai 14 anni e per le persone con gravi problemi economici. Anche qui però si lascerà piena libertà alle Regioni di fissare la soglia di reddito che farà la differenza. Lo stesso vale per i test allergologici, per diversi esami di laboratorio, per Tac e risonanze (tranne per i malati con gravi patologie documentate) ma non solo, saranno ridotti all’osso i ricoveri per riabilitazione. Sempre in base alla Finanziaria 2015 e diversificata da Regione a Regione, avverranno inoltre riduzioni dei posti letto in alcuni reparti; saranno “colpiti” i pronto soccorsi, che in alcuni ospedali verranno tolti mentre, in altri, si trasformeranno in punti di primo intervento con una semplice

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attività ambulatoriale e pertanto soggetta ad orari. Questi cambiamenti radicali comporteranno sicuramente grossi problemi agli ammalati che vagheranno da una struttura ospedaliera all’altra per poter essere curati. Per non parlare delle persone che rischiano di perdere i posti di lavoro. Da precisare che la situazione sopra indicata inciderà non poco sui tempi di attesa per le visite e gli esami di laboratorio, che già oggi sono a dir poco biblici. In poche parole i tagli sulla spesa pubblica o meglio sulla Sanità che il Governo intende fare, andranno a discapito del cittadino, che alla fine per curarsi opterà per una struttura privata, dove troverà in ogni momento un servizio attivo e pronto a riceverlo. Conclusione: solo i ricchi si possono curare.


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LIBRO E PROGRAMMA TV

CONSIGLIATI

a cura di Mauro Valentini Federica, la ragazza del lago

Massimo Mangiapelo e i ricordi, la cronaca, la poesia «Tu sei lì, in un luogo che non conosciamo / e ci guardi, prigionieri di un mondo / di sentimenti che vanno oltre i confini dell’intelletto, / e da quel posto a noi ignoto / ci lanci messaggi di speranza / e ci induci a proseguire la strada / che anche tu avresti voluto percorrere». Massimo Mangiapelo è un poeta prestato alla cronaca e al giornalismo, ed è lo zio di Federica, la ragazza assassinata in una notte di Halloween sulla spiaggia del lago di Bracciano. Massimo Mangiapelo ha scritto un libro su questa storia, questa morte che lo ha colpito in maniera indelebile, questo omicidio che ha lasciato tutti senza voce, perché se tutte le morti violente sono senza un motivo, allora quella di Federica lo è ancora di più. Federica la ragazza del lago (Bonfirraro Editore) non è soltanto la cronaca di una morte mai annunciata, imprevedibile; è soprattutto un percorso dell’anima e della ricerca della ragione. Il libro si divide in due parti essenziali che si intrecciano e si alternano man mano che si scorrono le pagine: il racconto vissuto in prima persona, insieme alla famiglia di Federica e poi i pensieri più intimi e poetici dell’autore, che ne riflettono come in uno specchio il turbine emotivo ed il percorso irto e difficile, parole e poesie che coinvolgono il lettore e che lo accompagnano nel tragitto del racconto della storia; una storia che è soprattutto la cronaca di una terribile ingiustizia, quella di una vita perduta. Tutto è arricchito da una bellissima prefazione della Dott.ssa Marina Baldi e da una raccolta di foto di Federica, realizzate da Laura Rossi e che sono anch’esse protagoniste del racconto, lo accendono con gli sguardi e i sorrisi di questa ragazza speciale che qualcuno quella notte ha punito forse proprio per la sua bellezza. E per la sua voglia di vivere.

Diritto di Cronaca, la nuova rubrica di politica ed attualità in onda

tutti i giorni su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su Sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca” e su YouTube, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.

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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO

CONSIGLIATI a cura di Nicola Guarneri

Al cinema

Operazione U.N.C.L.E.

È il nuovo capolavoro di Guy Ritchie, liberamente ispirato a una serie televisiva degli anni ’60 (Organizzazione U.N.C.L.E. per l’appunto). La trama è quanto mai semplice e accattivante: negli anni ’60, ovvero in piena guerra fredda, America e Russia uniscono la loro forza di intelligence contro un nemico comune, un italiano (ma guarda un po’) che con una nuova arma di distruzione di massa potrebbe distruggere l’ordine geopolitico mondiale. Tra i due 007 Henry Cavill e Armie Hammer spunta un’ottima Elizabeth Debicki, di nuovo ai livelli de Il Grande Gatsby.

In radio “La Storia Oscura”. Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.

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