Cronaca&Dossier31

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COPIA OMAGGIO

anno 3 – N. 31, Novembre 2016

COSA RISCHIA RUDY GUEDE? Intervista all’avvocato Cataldo Calabretta che afferma: «Rudy Guede è l’unico punto fermo di questa intricata vicenda giudiziaria» Troppe luci e ombre nel caso Nadia Arcudi

Cosa fare quando si diventa disoccupati?

La perdita del lavoro vista dai più piccoli


Indice del mese 4. La finestra sul crimine CHI È L’ASSASSINO DI MEREDITH KERCHER?

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12. Criminalistica

SULLA SCENA DEL CRIMINE DEL CASO KERCHER

18. Dossier inchiesta

RUDY GUEDE, “CONCORSO” IN SOLITARIA

24. Crimini ai Raggi X

«RUDY GUEDE È L’UNICO PUNTO FERMO DI QUESTA INTRICATA VICENDA GIUDIZIARIA»

32. Media crime

LIBRO, FILM E PROGRAMMA RADIO CONSIGLIATI

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34. Sulla scena del crimine TROPPE LUCI E OMBRE SULLA MORTE DI NADIA ARCUDI

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40. Dossier società

LAVORO, UN DIRITTO DI TUTTI MA NON PER TUTTI

44. Diritti e minori

LA PERDITA DEL LAVORO VISTA DAI BAMBINI

50. Storie di tutti i giorni I MURI CHE OSTACOLANO I DISABILI NEL LAVORO

ANNO 3 - N. 31 NOVEMBRE 2016

Rivista On-line Gratuita Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Paola Pagliari, Mauro Valentini Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com

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Grafica e Impaginazione Federica Bonini Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione. Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1/2014 Reg. Stampa dal 15 gennaio 2014


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CHI È L’ASSASSINO DI

MEREDITH KERCHER?

Quell’altalena di condanne e assoluzioni che scontenta tutti e lascia senza volto l’autore del delitto

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È una notte terribile quella tra il primo e il 2 novembre del 2007 per Perugia. E certo Halloween non c’entra. Da una casa in via della Pergola una donna chiama il 112 impaurita. Qualcuno al telefono le ha detto che ha una bomba nel suo bagno! I Carabinieri arrivano seppur sorpresi, siamo a poche centinaia di metri dalla Fontana Maggiore, cuore medievale della città ma qui sembra già di esser in campagna. Chi può aver mai messo una bomba in un posto come questo? Difatti la bomba non c’è, e intorno alle 22:00 i militari tornano in caserma. Ma la mattina del 2 novembre la stessa donna trova due cellulari a terra sempre nel giardino e li consegna subito alla Polizia Postale. Due veloci riscontri e gli agenti capiscono che quei due Nokia sono di proprietà di

Meredith Kercher, studentessa londinese da poche settimane a Perugia per il progetto Erasmus. Anche Meredith vive in via della Pergola, insieme ad altre tre studentesse, due italiane e un’americana di nome Amanda Knox. Quando alle 12:41 gli incaricati della Polizia vanno in via della Pergola trovano Amanda con il suo fidanzato Raffaele Sollecito fuori

Perugia

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Amanda Knox all’epoca dei fatti

dalla porta. Hanno chiamato i Carabinieri perché hanno trovato il vetro della finestra rotto e la camera di una delle inquiline sottosopra. Amanda che ha passato la notte a casa di Raffaele era tornata per farsi la doccia

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e oltre al trambusto in casa ha visto anche tracce di sangue nel bagno. Raffaele ha chiamato il 112 soprattutto perché la camera della Kercher è chiusa a chiave e lei non risponde. A quel punto si sfonda la porta e in quella stanza, sotto il piumone che ne cela il corpo, c’è Meredith in un lago di sangue, uccisa. Le indagini puntano i fari subito su Amanda e Raffaele. È il loro comportamento che insospettisce subito gli inquirenti, legato anche alle loro dichiarazioni che diventano subito caotiche. Un elemento tra i tanti per esempio è quella doccia che Amanda dice di aver fatto nonostante la casa a soqquadro, il sangue in bagno e la porta di Meredith chiusa a chiave. In una ridda di racconti che sconfessano nel giro di poche ore Raffaele e Amanda cambiano versione più volte, fino a che, tre giorni dopo, Amanda indica come assassino di Meredith il proprietario del pub dove saltuariamente Amanda lavora,


Patrick Lumumba. Nel verbale con cui la ragazza americana accusa Lumumba tutto è così poco chiaro ma agli inquirenti basta per arrestare lo straniero. Ma non certo a scagionare i due fidanzati. Il gip Claudia Matteini sembra non aver dubbi: l’assassino è Lumumba che è attratto sessualmente da Meredith e ha potuto contare sulla complicità di Amanda e Raffaele per un gioco erotico finito malissimo. Tutto chiaro? No, perché Lumumba ha un alibi perfetto e non ci sono sue tracce nella casa, che invece è piena di evidenze per un altro soggetto, Rudy Guede. Di lui ci sono impronte e tante, troppe tracce biologiche, prove inequivocabili della sua presenza attiva sulla scena del crimine. Guede è fuggito nel frattempo in Germania e una volta catturato racconta la sua versione: lui non ha ucciso Meredith, però ammette di esserci stato in quella casa e del resto negare era impossibile; ammette di aver avuto un approccio sessuale ma che poi mentre era in bagno ha udito un grido e sorpreso due giovani in casa che fuggivano. Così, dopo aver scoperto il cadavere di Meredith e aver tentato a suo dire di salvarla, è scappato

perché impaurito. Per Rudy quei due sono Amanda e Raffaele. Che vengono arrestati. Il processo di Primo grado, il 5 dicembre del 2009, condanna Amanda e Raffaele alla pena di 26 e 25 anni di reclusione, per i giudici sono stati loro, insieme a Rudy Guede ad uccidere al termine di un gioco erotico con costrizione sulla

Raffaele Sollecito all’epoca dei fatti

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povera Meredith. I due procedimenti sono separati in quanto Guede chiede e ottiene il rito abbreviato con condanna definitiva a 16 anni per violenza sessuale e concorso in omicidio. Ma in concorso con chi? Qui inizia un’altalena di giudizi che travolgerà le vite di Amanda e Raffaele. Gli elementi contro di loro, oltre

Meredith Kercher

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le dichiarazioni di Guede, sono essenzialmente due: una traccia non completa di DNA in un gancetto del reggiseno di Meredith attribuita dai periti a Sollecito e tracce di solvente e di DNA della Knox in un coltello in casa di Raffaele. Certo, Amanda frequentava la casa del suo fidanzato come Raffaele quella di lei, ma questi diventano i punti centrali dei processi. E gli indizi che assurgono a valore di prova non reggono nel secondo processo davanti la Corte d’Appello che, due anni dopo, il 3 ottobre del 2011, assolve i due imputati dal reato principale per non aver commesso il fatto, condannando la sola Knox a 3 anni, già scontati, per il reato di calunnia contro Lumumba. I due ormai ex fidanzati sono quindi scarcerati, tra le proteste e le minacce. Ci si aspetta dunque che il sipario cali dopo 4 anni di reclusione e di accecamento mediatico per Raffaele e Amanda. Quando escono le motivazioni della sentenza, la frase che più colpisce è quella che indica come probabile esecutore unico Guede, di fatto stravolgendo proprio il processo ormai chiuso sull’ivoriano. Amanda corre il giorno dopo la sentenza a Seattle salutando per sempre l’Italia,


Patrick Lumumba

perdendosi il colpo di scena che riserva la Corte di Cassazione, che il 26 marzo 2013 annulla la sentenza di assoluzione rimandando il tutto alla Corte d’Assise d’Appello di Firenze. L’alta Corte è durissima con la sentenza che annulla, rilevando illogicità e contraddizioni. Si ricomincia dunque, tornando al punto di partenza, da quelle minime tracce lasciate

dai due ragazzi sul luogo del delitto e sul coltello. Raffaele Sollecito dopo un periodo di vacanza a Santo Domingo, che aveva fatto presagire ad una fuga, rientra per assistere al quarto processo a suo carico, mentre Amanda segue da Seattle. Il 30 gennaio 2014 i giudici di Firenze condannano Amanda Knox a 28 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito

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Giulia Bongiorno, avvocato di Raffaele Sollecito

a 25 anni, accogliendo le richieste del Procuratore Alessandro Crini. Una sentenza sorprendente nelle motivazioni, ove si fa riferimento ad un teste che vide Amanda e Raffaele lontani dalla villetta nelle ore compatibili con l’omicidio e sul cambio di movente e che

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si trasforma da sessuale a una semplice lite per le pulizie della casa. Pur restando l’evidenza della contaminazione sessuale di Guede. Il clima in cui si svolge l’ultimo atto di questa triste vicenda è tesissimo, per le polemiche riguardanti da un lato la lontananza di Amanda dall’Italia e dall’altra la grande discussione sui metodi di rilevazione delle prove, specie quelle infinitesime di Raffaele sul gancetto di Meredith. La sentenza della Suprema Corte arriva il 27 marzo 2015 ed è pronunciata dal giudice Gennaro Marasca dopo 10 ore di Camera di consiglio. Si assolve dall’accusa di omicidio Sollecito e Knox, «per non aver commesso il fatto», cancellando il secondo giudizio d’Appello con la formula dell’«annullamento senza rinvio». Secondo i giudici, il «complesso probatorio era fortemente contraddittorio. Assurdo sarebbe stato disporre un nuovo dibattimento potendo contare su indizi così labili». Una sentenza forte, pronunciata nel merito e non nella semplice legittimità del procedimento e che sarà destinata per sempre a far discutere.


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SULLA SCENA DEL CRIMINE

DEL CASO KERCHER Il caso della studentessa dimostra l’importanza dei protocolli di raccolta e campionamento dei reperti

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La mattina del 2 novembre 2007 l’inglese Meredith Kercher viene ritrovata cadavere nella sua camera da letto in un appartamento di via della Pergola 7 che aveva preso in affitto con altre coinquiline. La giovane studentessa è stata sgozzata, il suo corpo giace supino sul pavimento coperto da un piumone beige che lascia intravedere il piede sinistro e parte della testa, il sangue è dappertutto. I primi ad intervenire sulla scena del crimine sono gli operatori della Polizia Postale, seguiti poi dalla Squadra mobile di Perugia e dal gruppo ERT (Esperti Ricerca Tracce) della Polizia Scientifica di Roma. Il sopralluogo per il “congelamento della scena del crimine” ha inizio alle 14:30 circa partendo proprio dalla camera della Kercher.

La stanza si presenta in completo disordine, sul pavimento, sulle pareti e su un’anta dell’armadio ci sono numerose tracce di sangue. Sull’armadio è presente anche l’impronta insanguinata di una mano. Accanto al corpo di Meredith ci sono vistose tracce ematiche di trascinamento le quali lasciano supporre che la ragazza sia stata aggredita mortalmente vicino all’armadio per poi essere stata trascinata a circa un metro di distanza lasciandola vicino al letto. Il suo corpo è parzialmente nudo, le due magliette intrise di sangue sono sollevate all’altezza del seno. Il reggiseno della Kercher presenta una spallina sporca di sangue e il gancetto di chiusura risulta essere tagliato con una lama. La ferita principale che ha portato alla morte la povera Meredith è sul lato sinistro del collo, profonda 8 centimetri e

Scena del crimine caso Kercher

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Il coltello repertato

provocata da un’arma da punta e taglio monotagliente, entrata con inclinazione da sinistra a destra, dal basso in alto postero anteriormente. Meredith presenta inoltre la rottura dell’osso ioide ed ecchimosi a livello del volto, dei genitali e della gamba sinistra, oltre a ferite su alcune dita delle mani, probabilmente dovute a tentativi di difesa. L’autopsia accerterà che la causa della morte è dovuta ad una insufficienza cardiorespiratoria acuta da meccanismo combinato emorragico asfittico. Spostandosi negli altri locali dell’appartamento vengono repertate altre

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tracce di sangue sul lavandino di uno dei due bagni, su una scatola di cotton fioc, poi residui di feci all’interno del water ed impronte di piedi. Altre impronte verranno evidenziate con l’utilizzo del Luminol. Passeranno cinque giorni e per questo omicidio verranno arrestate tre persone, il pugliese Raffaele Sollecito, la sua fidanzata americana Amanda Knox e il barista congolese Patrick Lumumba. Quest’ultimo verrà scarcerato dopo due settimane in quanto dimostrato essere estraneo al delitto. Uscito dalla scena il congolese, entra a farne parte l’ivoriano Rudy Guede,


arrestato in Germania il 20 novembre. La Polizia è arrivata a lui tramite l’analisi delle impronte digitali (il giovane risultava già schedato a causa di precedenti penali) e del suo DNA. Le sue tracce genetiche vengono infatti repertate all’interno della vagina di Meredith Kercher, sul polsino della felpa della ragazza, sul cuscino della vittima, sul suo reggiseno e sulle feci repertate nel water. Anche l’impronta di scarpa insanguinata repertata vicino al cadavere appartiene a Guede. L’ivoriano era presente all’interno dell’abitazione al momento dell’omicidio, lo conferma lui stesso ma non confessa l’omicidio. Viene condannato con il rito abbreviato a 30 anni poi ridotti a 16 anni in Secondo grado e confermati in Cassazione. Sollecito e la Knox sembrano invece palle da ping-pong fatte oscillare

tra una condanna in Primo grado a 25 e 26 anni, una successiva assoluzione, poi un annullamento dell’assoluzione e quindi un’altra condanna, fino ad arrivare alla sentenza finale e senza possibilità di appello pronunciata il 27 ottobre 2015 dalla Cassazione V sezione penale che li dichiara innocenti per non aver commesso il fatto.

Gancetto di un reggiseno

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Una lunga battaglia che si è svolta principalmente su aspetti tecnico-forensi, dove avvocati e consulenti di parte hanno dimostrato una serie di errori procedurali sia nelle operazioni di repertazione delle tracce messe in atto durante il sopralluogo, sia nelle successive analisi ed interpretazione delle tracce repertate. Ad esempio per il “reperto 36”, ovvero il

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coltello sequestrato a casa di Sollecito sul quale la Procura sosteneva di aver trovato tracce di DNA della Kercher e della Knox, è stata dimostrata l’inattendibilità dell’attribuzione al profilo genetico di Meredith in quanto si trattava di DNA in Low Copy Number, ovvero presente in quantità talmente esigue da non poter essere ricondotto al DNA della vittima. Analogamente il “reperto 165B”, ovvero il gancetto del reggiseno sul quale la Procura sosteneva di aver trovato tracce del DNA di Sollecito, veniva repertato 46 giorni dopo l’omicidio, in una posizione non coincidente con quella registrata al primo accesso sulla scena del crimine, manipolandolo con guanti sporchi che hanno potenzialmente introdotto delle contaminazioni esterne tali da inficiare la corretta analisi delle sue tracce. In pratica non sono state utilizzate correttamente le procedure internazionali di sopralluogo e i protocolli di raccolta e di campionamento dei reperti. Su questo la Cassazione è lapidaria, parlando di «clamorose defaillance o amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine». A quanto pare, queste defaillance sono costate 4 anni di galera a due innocenti.


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rudy guede, “concorsO” in solitaria L’ivoriano accusato del delitto ha chiesto la revisione del processo: l’ultimo strascico di una tragedia umana e giudiziaria

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Lo scorso 3 agosto Rudy Guede ha chiesto la revisione del processo che lo ha condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio di Meredith Kercher. È questo l’ultimo strascico di una vicenda giudiziaria ricca di errori, esplosa sui mass media e sui social network. Dopo una serie di indagini costellate di errori, pressioni e diritti negati, gli inquirenti circoscrivono i sospettati: sono l’italiano Raffaele Sollecito, l’americana Amanda Knox e l’ivoriano Rudy Guede. Un prologo fondamentale è la scelta degli imputati: Knox e Sollecito optano per il rito ordinario mentre Guede, consigliato dagli avvocati Nicodemo Gentile e Walter Biscotti, ottiene dal giudice per l’udienza preliminare la concessione del rito abbreviato. Ciò crea un bivio nell’iter giudiziario: la sentenza di Primo grado per Knox e Sollecito li vede condannati a 26 e 25 anni di reclusione, mentre Guede con il rito abbreviato viene condannato a 16 anni per «concorso in omicidio». Knox e Sollecito vengono poi assolti in Appello per l’omicidio nel 2011; nel 2013 la Cassazione annulla l’assoluzione e a inizio 2014 la Corte d’Assise d’Appello di Firenze afferma la colpevolezza dei due, rovesciando il Secondo grado. Il 27 marzo 2015 infine la Cassazione assolve definitivamente Knox e Sollecito, annullando praticamente gli ultimi quattro

anni di processi e tornando alla sentenza del 2011. E Rudy Guede? Avendo scelto il rito abbreviato, Guede attende la fine del processo di Knox e Sollecito consapevole di avere un’arma a propria disposizione, ovvero la decisione del giudice che lo ha condannato per concorso in omicidio in seguito al rito abbreviato. Concorso in omicidio con chi, si chiede Guede, se gli altri due sono stati assolti?

Rudy Guede

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Nasce da qui la richiesta di revisione del processo, da un grave errore giudiziario e da un sistema italiano con evidenti lacune. Va elogiata dunque la coraggiosa decisione della Cassazione che non si lascia influenzare e nel 2015 assolve Knox e Sollecito basandosi esclusivamente sulle prove raccolte – giuste o sbagliate che siano – pur creando un evidente paradosso giudiziario: per loro infatti l’unico assassino risulta essere il ragazzo

Sezione penale del tribunale di Perugia

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ivoriano, che di conseguenza avrebbe agito da solo. Per questo motivo Rudy Guede ha deciso di chiedere la revisione del processo, il cui successo pare tuttavia altamente improbabile per diversi motivi. Un forte indizio era già arrivato lo scorso gennaio, quando gli avvocati Gentile e Biscotti avevano rinunciato alla difesa di Guede: ufficialmente perché ritenevano che fossero «ormai esauriti tutti gli aspetti tecnico-processuali che lo hanno coinvolto nella vicenda dell’omicidio Kercher». Ufficiosamente, si può ipotizzare che secondo i legali che lo hanno seguito fin dal primo giorno non ci sia spazio per un’azione giudiziaria di questo tipo: sono stati i nuovi avvocati di Guede, Tommaso Pietrocarlo e Monica Grossi, a richiedere la revisione del processo per un «contrasto di giudicati» con la


Palazzo della Cassazione, Roma

sentenza che ha assolto Raffaele Sollecito e Amanda Knox. A tal proposito va sottolineato come, per i delitti in concorso, la legge italiana preveda che se un imputato (o più) dovesse essere assolto gli altri (o l’altro)

restino colpevoli. Qualora la revisione del processo dovesse superare il vaglio dell’ammissibilità ed essere accolta, gli avvocati di Guede chiederebbero l’assoluzione del proprio assistito per non aver commesso il fatto.

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«RUDY GUEDE È L’U FERMO DI QUESTA VICENDA GIUDIZIAR

Intervista all’avvocato Cataldo Calabretta, docente di Dir assieme a Vittoriana Abate del libro “Il Ragionevole sosp caso Meredith Kercher: cosa rischia ora Ru

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UNICO PUNTO INTRICATA RIA»

ritto dell’Informazione, Esperto di Scienze forensi e autore petto”. Indizi, elementi a carico e un dubbio che aleggia sul udy Guede in caso di revisione del processo?

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Parlando della Revisione processuale esperita dai legali di Rudy Guede, quali sarebbero le possibili conseguenze di tale azione e a quali scenari andrebbe incontro l’unico condannato per l’omicidio di Meredith Kercher? «Guede si è sempre dichiarato innocente, ha sempre affermato di non aver partecipato a quel brutale omicidio e al tentativo di violenza sessuale nei confronti della povera Meredith, peccato che le tracce del DNA, che avevano letteralmente contaminato la villetta di via della Pergola, l’hanno smentito. La sua presenza quella notte in quella casa non è mai stata messa in discussione e, per sua stessa ammissione, confermata ma spiegata con versioni differenti. Rudy Guede ha chiesto la revisione di quel processo con cui è stato in maniera definitiva condannato a “soli” 16 anni di reclusione per un’azione crudele. Per la giustizia italiana è il solo responsabile della morte della studentessa inglese massacrata nel 2007, anche se la sua condanna recita che ha commesso un «omicidio in concorso» e quindi avrebbe avuto dei complici, che però sono tuttora ignoti. La revisione, che è un mezzo d’impugnazione straordinario previsto

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Cataldo Calabretta

dal nostro codice di procedura penale, è stata richiesta poiché i legali ravvisano che vi sia un contrasto di giudicati con la sentenza della Cassazione del 27 marzo 2015, che ha assolto in via definitiva Raffaele Sollecito e Amanda Knox. L’obiettivo dei legali è di ottenere un’assoluzione “per non avere commesso il fatto”».


Esistono ad oggi elementi che potrebbero ribaltare la situazione di Guede? Ci riferiamo sia a “fatti nuovi” sia a fatti non valutati adeguatamente in precedenza. «Conosco abbastanza bene la vicenda giudiziaria sorta a seguito della morte della povera Meredith, Rudy Guede ha optato per il rito abbreviato e la sua colpevolezza è stata convalidata in ben tre gradi di giudizio. Il fatto che sia stato condannato inizialmente con altre due persone, poi assolte in un procedimento parallelo, non intralcia il riconoscimento della sua colpevolezza. Tra l’altro è stato lui a scegliere di separare la sua posizione giudiziaria rispetto a quella di Amanda e di Raffaele, scegliendo un rito alternativo e ottenendo anche uno sconto di pena. È opportuno precisare che l’elemento del concorso di altri soggetti non esclude la sua responsabilità. Non credo ci siano “fatti nuovi” tali da consentire addirittura la revisione».

A suo avviso la richiesta di revisione potrebbe essere incentrata esclusivamente sul tanto sbandierato “concorso con ignoti”, insomma, su di un presunto contrasto di giudicato più volte avvalorato come argomentazione dalla difesa dell’Ivoriano? «Sì, potrebbe essere l’unica possibilità che ha la difesa per predisporre l’azione». Spesso i protagonisti delle vicende giudiziarie lamentano un’attenzione morbosa da parte della stampa. Altre volte capita che sono proprio loro a cercare le telecamere e i giornalisti. Secondo Lei è stata una mossa

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sbagliata quella della “revisione mediatica”, così più volte apostrofata, cioè l’intervista rilasciata da Guede alla giornalista Franca Leosini? Qual è il suo pensiero in merito? «Nell’esercizio della cronaca giudiziaria la collettività ha il diritto di conoscere i fatti oggetto di una vicenda giudiziaria, l’interesse pubblico alla notizia è un diritto sacrosanto. Il giornalista deve raccontare la verità con equilibrio e obiettività. È indiscutibile che esercitando il diritto di cronaca l’esigenza di riservatezza del soggetto, indagato o imputato soccombe rispetto all’esigenza del “pubblico” di conoscere i fatti. Quando prevale

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quest’ultima esigenza può anche derivare una lesione della reputazione altrui, costituendo una causa di giustificazione della condotta del giornalista a condizione che siano rispettati i limiti, la verità, la continenza e la pertinenza. Detto ciò, Rudy Guede ha voluto rilasciare un’intervista alla giornalista dopo essere stato condannato in maniera definitiva, forse il suo obiettivo era di fornire gli strumenti per leggere ‒ o ri-leggere ‒ un crimine che ha sconvolto la pubblica opinione. Spero sia stato solo quello il motivo che l’ha spinto a raccontare la sua versione in tv. Sono profondamente convinto che le “tre verità” che costituiscono queste vicende – ossia la verità storica, quella processuale e quella mediatica – debbano convergere, anche se spesso questo non accade; e che sia compito di tutte e tre le categorie di persone che le informano singolarmente – i protagonisti per la prima, giudici e avvocati per la


seconda, e i giornalisti per la terza – contribuire con il massimo impegno perché questi tre poli corrispondano. Abbiamo quindi il dovere di conoscere nel rispetto della verità dei fatti, non per quello che la dipendenza da share delle emittenti televisive ci ha consegnato». Lei ritiene che l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito sia dipesa esclusivamente dalla contraddittorietà degli elementi a loro carico e da una contestuale strategia processuale vincente o la verità processuale coincide con la verità dei fatti realmente accaduti quella tragica notte? «Dopo due condanne e un’assoluzione, la Cassazione ha azzerato tutte le responsabilità di Amanda e Raffaele perché il complesso probatorio era molto contraddittorio tale da rendere impossibile il superamento dei dubbi e delle

incongruità. Le ipotesi, prima di questo verdetto, da ritenersi oramai definitivo, erano tre: la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze, l’annullamento con rinvio o l’annullamento senza rinvio e quindi, appunto, l’assoluzione. Amanda condannata a tre anni solo per il reato di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba ha già scontato la sua pena. Questa intricata vicenda giudiziaria ha un unico punto fermo e riguarda Rudy Guede. È lui l’unico colpevole, inchiodato dalle tracce lasciate. Guede come già detto è stato condannato per l’omicidio che avrebbe commesso in concorso con altri soggetti e non per

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esserne stato l’esecutore materiale. Quindi c’è ancora un assassino in libertà! In verità è doveroso sottolineare che i processi in capo ad Amanda e Raffaele sono stati unicamente indiziari. Sono sempre stati raccolti solo frammenti d’indizi e le operazioni di repertamento nella casa di Meredith non sono state eseguite correttamente. La scena del crimine è stata più volte “inquinata”. Tutto ciò ha generato non poche complicazioni. Su un coltello da cucina lungo 31 cm,

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sequestrato a casa di Sollecito, sono state trovate tracce del DNA di Meredith sulla lama e di Amanda sull’impugnatura. Altro indizio la presenza del DNA di Raffaele sul gancetto del reggiseno di Meredith. Per i consulenti della difesa le tracce biologiche che avrebbero potuto incastrare Sollecito sono frutto di contaminazione secondaria. Sostengono che non è possibile che si sia ritrovato il DNA di Sollecito solo sul gancetto del reggiseno e non sulla stoffa intorno poiché, per sollevare il reggiseno, è necessario toccare anche la stoffa e su di essa è stato repertato solo il DNA di Rudy Guede. Il gancetto è stato repertato 46 giorni dopo l’omicidio e durante quel periodo all’interno dell’appartamento di via della Pergola non sono state rispettate le corrette procedure per non contaminare la scena del crimine. Il gancetto, inoltre, è stato raccolto con dei guanti sporchi, come dimostra il filmato delle operazioni di repertamento del 2 novembre 2007».


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LIBRO E PROGRAMMA TV

CONSIGLIATI

a cura di Nicola Guarneri

LA PARANZA DEI BAMBINI Io per diventare bambino c’ho messo dieci anni, per spararti in faccia ci metto un secondo Da pochi giorni nelle librerie il nuovo romanzo di Roberto Saviano, La paranza dei bambini (ed. Feltrinelli), è già destinato a diventare un successo. Ispirato a storie vere, Saviano torna nella Napoli che tanto ama e ben conosce per raccontare la storia di dieci ragazzini intorno ai quindici anni che vogliono tutto e subito, perché sanno di non avere un futuro, se non in galera. E allora cominciano il loro personale “addestramento” sparando dai tetti delle case con pistole e AK 47 mirando alle parabole sui tetti, poi scendono in strada e iniziano a conquistare il quartiere della paranza (leggi “gruppo di fuoco legato alla Camorra”) avversaria. Ispirato alle vicende della paranza del quartiere di Forcella di Napoli, con aneddoti e storie prese da inchieste giudiziarie e da dibattiti di cronaca, il libro contiene una metafora nel titolo: come le barche vanno al largo a pescare la paranza ingannando i pesci con la luce, così i ragazzini (che vanno a sparare, ad ammazzare) vengono ingannati dalla luce del dio denaro, dai soldi facili, andando in realtà incontro alla morte. Il messaggio che Saviano vuole trasmettere è profondo e gravissimo: perché non sono i figli dei boss quelli descritti, ma ragazzini normali, figli di genitori normali, con le scarpe firmate, il motorino e il tatuaggio del nome della loro ragazza.

Diritto di Cronaca,

la nuova rubrica di politica ed attualità in onda ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.

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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO

CONSIGLIATI

SNOWDEN

a cura di Nicola Guarneri

La storia del tecnico della CIA che ha rivelato al mondo i segreti americani Il 24 novembre prossimo uscirà nelle sale italiane Snowden, presentato in anteprima lo scorso settembre al Toronto International Film Festival. La pellicola segna il ritorno sul grande schermo del grande Oliver Stone, regista – tra gli altri – di JFK, un caso ancora aperto. Il film racconta la storia vera di Edward Snowden (interpretato da Joseph Gordon-Levitt), l’ex tecnico della CIA e della NSA che ha rivelato al mondo le tecniche di sorveglianza di massa dei governi americano e britannico, tra cui le intercettazioni telefoniche dei civili di tutto il mondo. Nel cast anche Nicolas Cage e il vero Edward Snowden per un piccolo cameo.

In radio La Storia Oscura

Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.

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TROPPE

LUCI E OMBRE SULLA MORTE DI NADIA ARCUDI Cosa ha spinto la mano dell’assassino dell’insegnante trovata a Rodero?

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Luci e ombre sulla morte della giovane insegnante Nadia Arcudi, 35 anni, rinvenuta cadavere nei boschi di Rodero, al confine tra la Svizzera e la provincia di Como, nel pomeriggio di domenica del 16 ottobre scorso. Dai risultati dell’autopsia sembra ormai accertato che la morte di Nadia risalirebbe alle 23:00 di venerdì 14 ottobre; il decesso sarebbe avvenuto a Rodero, quindi in Italia, e non nella casa della donna a Stabio (Canton Ticino), dove viveva con la madre, come gli inquirenti avevano supposto in un primo momento. Si attendono gli esiti degli esami

tossicologici, che potrebbero chiarire i molti aspetti ancora oscuri di questa morte. L’autopsia infatti non ha chiarito cosa abbia provocato l’edema polmonare da soffocamento che ha portato al decesso, né il corpo di Nadia ha raccontato qualcosa in più: nessun segno di violenza, taglio o livido. Potrebbe allora essere stata stordita con farmaci e stupefacenti, in modo da renderla inoffensiva nel momento in cui è stata soffocata, nel qual caso bisognerebbe ragionare in termini di premeditazione, e abbandonare la possibilità di un omicidio d’impeto.

Rodero

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CEN S A L L

Il corpo, inoltre, è stato sottoposto alle intemperie per almeno 36 ore, rendendo così ancora più difficile il rinvenimento di eventuali tracce. E Nadia è stata portata oltre il confine svizzero dal valico del Gaggiolo, dove i controlli sono sporadici, prima o dopo essere stata uccisa? Intanto in carcere a Lugano è finito il cognato della donna, Michele Egli, 42 anni, accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere sia in Svizzera

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che in Italia, dove l’indagine è coordinata dal sostituto procuratore di Como Massimo Astori. L’uomo, marito della sorella, ha ammesso di essersi sbarazzato del corpo, dopo averla ritrovata già morta all’interno dell’ abitazione che la donna condivideva con la madre, e di averla spostata per non far spaventare i parenti. Una spiegazione singolare e particolarmente inquietante appare anche la circostanza che Egli, cittadino svizzero di Coldrerio, tecnico informatico della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, sia pure scrittore di romanzi gialli, anche se incompleti e per nulla conosciuti. Egli è stato l’ultimo a vedere la cognata, come confermato anche dalla sorella della vittima, che ha detto che il marito avrebbe dovuto incontrare Nadia nel


pomeriggio di venerdì, prima di andare a cena ad Olgiate Comasco con la suocera, mamma di Nadia, e la moglie. In paese qualcuno mormora di un rapporto molto stretto tra i due cognati, ma forse sono solo chiacchiere maligne. Proprio Michele Egli è stato l’unico a non essere sentito nei due giorni immediatamente successivi al ritrovamento, poiché si trovava in Sicilia al funerale di una zia e sarebbe tornato solo martedì notte. Ma quello che ancora mancherebbe è il movente. Dal computer di Nadia emergono una serie di mail interessanti. Tra queste, anche una inviata sabato alle 15:15 alla sorella, al cognato, al fidanzato e ad un’amica, firmata da Nadia, ma che gli inquirenti ritengono possa essere stata inviata invece dal cognato, in cui si dice di non cercarla, che non sta bene e vuole stare sola: «Ho anche buttato via il biglietto del concerto dei Coldplay», conclude. Strano per una donna

che aveva recentemente pubblicato sul suo profilo Facebook di avere da poco un fidanzato, uno dei primi ad essere sentiti dopo il ritrovamento del corpo di Nadia. Singolare, invece, la personalità di Egli: ha scritto due romanzi brevi e altri incompiuti. In uno dei due, forse ancora disponibile in rete, racconta una storia di omicidi di ragazze in un college americano, risolta grazie a uno scrittore di romanzi gialli che porta il suo nome di battesimo. Proprio il libro dal titolo Luci e ombre, mai pubblicato, parlerebbe di un omicidio

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SC ULLA

e del ritrovamento in un bosco del cadavere di una ragazza, uccisa a pugnalate e strangolata, esattamente come Nadia. Davvero una strana coincidenza. Michele Egli ha un sito nel quale racconta di aver mosso «i primi passi nel campo della scrittura alle scuole medie» e che il suo mito è Stephen King. «Amo leggere, ascoltare musica e sono un appassionato di cinema», dice di sé prima di aggiungere che è un grande appassionato di sport.

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Nessun accenno alla sua famiglia. Tra i progetti per il futuro parla solo di libri. E in particolare del romanzo che sta scrivendo «a quattro mani con una persona splendida conosciuta su Internet». Se fosse davvero Egli l’autore del delitto, il movente potrebbe essere di natura passionale? E in quel caso, avrebbe agito da solo o aiutato da complici con ruoli differenti? Questi i molti aspetti che ancora attendono una risposta.


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UN DIRITTO DI TUTTI MA NON PER TUTTI Cosa fare quando si diventa disoccupati? Disagi e forme di assistenza per chi perde il lavoro in Italia

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Con la modernizzazione i cosiddetti paesi a sviluppo avanzato vanno incontro ad una serie di trasformazioni sia nel campo dell’economia che del lavoro. I mutamenti, che avvengono negli anni, incidono particolarmente sulle condizioni lavorative, sulla vita dei lavoratori e sul quadro dei rapporti sociali. In questi ultimi tempi, infatti, la grave crisi economica ha assunto proporzioni mondiali e in Italia la disoccupazione ha raggiunto livelli particolarmente alti, condizionando la vita individuale e sociale di molti cittadini. Con l’occupazione in crisi, le categorie svantaggiate nell’accesso al mondo del lavoro restano per parecchio tempo in cerca di occupazione e alcune persone, senza volerlo, si ritrovano addirittura a far parte dei “disoccupati di lunga durata”. In questi casi, la prima cosa da fare, quando si perde il lavoro, è quella di verificare se il contratto precedentemente attivo consente al cittadino di poter

accedere ad una delle forme di sussidio previste dallo Stato. Non sempre si riesce ad avere un sostegno, spesso questo non si può richiedere a causa di contratti di lavoro che non lo consentono. Le cose da fare, dopo essersi armati di grande pazienza, sono due: cercare continuamente lavoro e informarsi sulle possibilità di sopravvivenza che lo Stato mette a disposizione di tutti gli ex lavoratori privi di reddito. Le novità sui sussidi di disoccupazione sono entrate in vigore a partire da maggio 2016 con il Jobs Act. Per richiedere la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per

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l’Impiego) servono almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni di lavoro e 18 giornate di lavoro negli ultimi 12 mesi. La NASPI viene erogata ogni mese dall’INPS per importi massimi di 1.300 € e per un massimo di 30 mesi. Al termine di questi mesi di disoccupazione, per chi non ha ancora trovato altro impiego scatta l’ASDI, un nuovo assegno per sei mesi pari al 75% dell’ultimo assegno NASPI. Un’ulteriore novità, in vigore da gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, è il cosiddetto “Dis-Coll” per gli iscritti alla gestione

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separata dell’INPS, non pensionati e privi di partita iva, che hanno maturato almeno tre mesi di contributi dal 1 gennaio dell’anno precedente o un mese nell’anno in cui si perde il lavoro. L’erogazione di questa indennità ha la durata di tre mesi. Infine c’è la “Social Card Disoccupati” per le famiglie residenti in una delle seguenti regioni: Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Molise e Campania, o nei comuni Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona. In questo caso, però, bisogna avere un ISEE pari o inferiore a 3.000 €, possedere un patrimonio mobiliare inferiore a 8.000 €, non possedere autoveicoli immatricolati nell’ultimo anno o auto superiori a 1300 cc di cilindrata immatricolato negli ultimi 3 anni; se si possiede una casa di proprietà come prima abitazione il suo valore ici/imu deve essere inferiore a 30.000 €, e uno dei componenti del


nucleo familiare deve aver perso l’occupazione negli ultimi 3 anni. Tali sussidi vanno ad aiutare soltanto i “fortunati” riconosciuti dall’INPS. Tante persone hanno lavorato ugualmente con modalità contrattuali che non hanno consentito loro di raggiungere i contributi richiesti. Tanti giovani, che hanno terminato gli studi nel periodo della crisi e che non riescono ad avere uno straccio di contratto per entrare ufficialmente nel mondo del lavoro, ricorrono a stage, tirocini formativi, progetti Neet e ad altri “palliativi”. Essi risultano non lavoratori, ma svolgono giornalmente un’attività lavorativa alla fine della quale non è possibile richiedere alcun sostegno. Tanti ragazzi, in assenza di lavoro, passano da uno stage ad un tirocinio, ad un progetto e così via per arrivare ad un’età adulta, quella in cui si viene definiti “bamboccioni”, carichi di esperienza, ma privi sia di lavoro che di sussidi economici.

Roma, Sede centrale INPS

In questi casi la vita scorre senza poter far nulla. Bisognerebbe fare un’analisi attenta della nostra società, non basata sui numeri, ma sulle persone. È fondamentale un’analisi del bisogno orientata a valutare le varie situazioni, prima di provvedere con azioni rivolte a pochi, ma non a tutti. Lo Stato c’è, ma è necessaria una visione ad ampio raggio per evitare che si creino cittadini di serie A e di serie B.

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LA PERDITA DEL LAVORO VISTA DAI BAMBINI Lo sguardo dei più piccoli e gli effetti della disoccupazione secondo l’equazione “Genitori senza lavoro=figli senza successo”

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Quando un genitore perde il posto di lavoro, l’intera famiglia ne è interessata, compresi i bambini. Il denaro diventa poco, e ciò che era possibile il mese precedente, poi non lo è più. Anche i bambini, che sono troppo piccoli per capire gli aspetti finanziari, possono, però, avvertire un cambiamento nel clima familiare. Mentre gli economisti e i politici si preoccupano ‒ giustamente ‒ della disoccupazione attuale, esistono anche alcuni costi nel lungo termine. E non soltanto in termini di opportunità economiche ed educative, ma anche in termini di immagine di vita adulta fornita ai bambini, i quali ‒ come sappiamo bene ‒ sono facilmente influenzabili. Ci sono studi che hanno dimostrato che quando i genitori hanno un lavoro di cui sono fieri, il bambino si impegna maggiormente a scuola, fa meglio e ha più probabilità di avere successo. Alcuni autori hanno constatato la veridicità dell’equazione: Genitori senza lavoro=Figli senza successo. Tra questi, Lawrence Summers, economista e professore dell’Università di Harvard, che nei suoi studi sulla

disoccupazione si è focalizzato non tanto sull’impatto della perdita di lavoro riversato sulle risorse finanziarie a disposizione dei figli, ma quanto, invece, sulle conseguenze negative che lo scoramento dei genitori comporta sulle capacità non cognitive dei minori. Questi bambini possono non sviluppare la stessa etica professionale e la stessa ambizione dei loro coetanei con famiglie non problematiche. Si è notato che nei bambini che assistono alla mancanza di lavoro dei genitori, nella maggior parte dei casi si abbassa la personale motivazione ad avere successo e quindi il danno della disoccupazione di oggi potrebbe durare anche nella prossima generazione.

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I bambini i cui padri hanno perso il lavoro a causa di cambiamenti strutturali nell’economia del paese hanno una più alta probabilità nel ripetere gli anni scolastici e nell’essere sospesi o espulsi dalla scuola rispetto a quei ragazzi le cui madri hanno perso involontariamente il lavoro, e rispetto a quelli ai quali entrambi i genitori sono disoccupati. Perché accade questo? Diversamente da quanto si possa pensare, sebbene i figli delle persone disoccupate

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possano beneficiare di più tempo da passare con i loro genitori, si ritrovano molto spesso di fronte a persone irritabili, depresse, che passano improvvisamente dall’essere genitori comprensivi a genitori punitivi. I genitori, inoltre, possono andare incontro a depressione e, in casi estremi, fare uso di droghe e alcol. La depressione può colpire gli individui, le relazioni e l’intera comunità. Anche se spendono più tempo a casa, le persone depresse che perdono


il posto di lavoro di solito investono meno tempo e risorse nelle attività della comunità e della famiglia. Questo può includere il minor aiuto offerto nei compiti ai propri figli, partecipare meno alle attività della comunità, o non essere in grado, come un tempo, di tenere in ordine la casa. Le relazioni personali iniziano a precipitare quando i coniugi si incolpano l’uno con l’altro per non impegnarsi nel cercare lavoro, per non aver risparmiato abbastanza in tempi buoni e per non aver tagliato le spese nei tempi difficili. A sua volta, lo stress nei rapporti parentali può causare discussioni e avere un impatto negativo sui bambini. Gli individui, uomini e donne, possono subire gravi conseguenze da questo traumatico evento soprattutto quando la loro identità è legata al compito di fornire stabilità economica per sé e per le loro famiglie.

Vi sono più probabilità che le riduzioni del reddito familiare possano minacciare lo sviluppo dei bambini se il reddito della famiglia scende al di sotto del livello di povertà, specialmente se il reddito era già basso prima della perdita del lavoro, se il genitore disoccupato rappresentava l’unico sostegno, o l’incubo della disoccupazione si protrae per molti mesi. Ai bambini che vivono in povertà possono mancare i mezzi che supportano il loro

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sano sviluppo, in quanto la famiglia si ritrova in difficoltà nel fornire pasti nutrienti, nel soddisfare le esigenze di assistenza all’infanzia, nell’accesso ai materiali didattici e altre risorse o se la famiglia è costretta a trasferirsi in alloggi o quartieri a più alta densità criminale e con maggiore inquinamento. Tutto questo si amplifica, se vivono questa condizione di indigenza quando sono piccoli o per periodi prolungati.

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Ovviamente non tutte le famiglie sono coinvolte nello stesso modo, ma gli effetti avversi possono persistere per tutta la vita, se non ci sono ammortizzatori sociali che aiutano queste famiglie e se gli adulti, invece di litigare, non cercano di focalizzarsi sui loro figli e sui loro bisogni al fine di non far perdere loro la speranza e l’ambizione per il successo, fattori questi fondamentali per la loro crescita.


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I MURI CHE OSTACOLANO I DISABILI NEL LAVORO Inchiesta sui diritti delle persone con disabilità: quella scarsa cultura contrattuale per l’inserimento in azienda

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Ancora oggi, forse per una mancata e corretta informazione degli organi preposti, quando si parla di disabilità e lavoro si tende a fare confusione, e pertanto tutto diviene più difficile, da entrambe le parti: lavoratore e azienda. Se è vero che esiste molta disoccupazione e con differenze sostanziali tra Nord e Sud, è anche vero che la scarsa cultura in ambito contrattuale porta la persona disabile ad avere maggiori problemi d’inserimento. Ricordiamo, per chi ancora non lo sapesse, che esiste una legge, esattamente quella del 12 marzo 1999 n. 68, entrata in vigore il 25 gennaio 2000, che è stata completamente riformata e disciplina il collocamento dei disabili, regolato in precedenza dalla legge n. 482/1968. In base all’art. 3 della suddetta legge, le imprese private che hanno da 15 a 35 dipendenti sono obbligate ad avere alle loro dipendenze un lavoratore disabile. La legge n. 68/99, inoltre, contiene diverse norme che riguardano le Pubbliche Amministrazioni. I disabili, per esempio, possono partecipare a

tutti i concorsi pubblici. Nonostante questo, una persona disabile pur con la voglia di lavorare trova davanti a sé tanti ostacoli: ci sono quelli delle barriere architettoniche, della mancanza di informazione, ma il più grave di tutti è probabilmente quello dei pregiudizi. Molti pensano erroneamente che un disabile non sia in grado di svolgere mansioni, non sia quindi all’altezza del compito che gli si chiede, oppure che possa portare problemi, addirittura danneggiare l’immagine della società. Può accadere perciò che al disabile non sia data una posizione di front-office, ma venga relegato in fondo all’ufficio se non nel retro o nel magazzino. Questo per non “disturbare” la vista dei possibili clienti.

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Assurdo, ma purtroppo terribilmente reale. Pertanto questa difficile relazione tra i disabili e il mondo del lavoro crea una sorta di ferita sociale che, se non curata per tempo, finirà per infettare tutto il sistema. Ad esempio esistono in Italia molti giornalisti “su ruote”, eppure quasi nessuno li conosce e questo perché difficilmente li vedremo comparire in televisione a condurre programmi o telegiornali. Seppur molto bravi devono “accontentarsi” di restare nelle retrovie e scrivere o fare servizi sul campo ma senza quasi mai comparire.

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Come se una sedia con le ruote potesse dare fastidio al pubblico. Bisogna cambiare totalmente mentalità e imparare a vedere la persona e non la sua disabilità. Fino a quando questo modo di pensare continuerà ad esistere, sarà difficile debellare la parola “pregiudizio”. Ricordiamoci che la forza di un Paese è costituita dalla solidità della sua economia, ma se questa inizia a cedere, a traballare perché una parte della forza-lavoro manca, per i motivi sopra indicati, alla lunga si formeranno crepe che diventeranno sempre più grandi e difficilmente si risaneranno. Per i disabili esistono collocamenti mirati con elenchi e graduatorie. D’altro canto ci sono soggetti obbligati all’assunzione. Bisogna soltanto intersecare i due. Su internet inoltre da alcuni anni a questa parte, si sono affacciati diversi siti che pubblicano offerte e richieste di lavoro mirati per i disabili. Per chi ha difficoltà nello spostamento esiste


anche il telelavoro, che si può svolgere tranquillamente da casa. È stato organizzato per il 25 novembre a Milano il Primo Convegno Nazionale sul Disability Management in Italia. Questo è un tema ancora poco conosciuto in Italia, a differenza di altri Paesi (come USA e Canada), dove si è diffuso a partire già dalla fine del secolo scorso. L’obiettivo è quello di mettere a fuoco i progetti che finora hanno avuto risultati positivi e concreti, in modo da implementarne di nuovi e creare le condizioni per l’impiego efficace delle persone con disabilità all’interno delle

organizzazioni. Inoltre cercare soluzioni ai problemi che impediscono alle persone, con qualsiasi tipo di disabilità, di accedere al lavoro. Se da una parte è reale che la strada per trovare il lavoro per un disabile è in salita, è altresì concreta in molti casi la scarsa volontà nel mettersi nuovamente in gioco per timore di non farcela. Alcuni disabili divenuti magari tali a causa di un incidente, sentono il peso della diversità rispetto a prima e la “barriera” più grande che incontrano è quella con se stessi. Una volta superata, niente e nessuno li fermerà.

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