COPIA OMAGGIO
anno 2 – N. 16, Giugno 2015
CASO STIVAL, L’IPOTESI DI FRANCESCO BRUNO «UN OMICIDIO PREMEDITATO E FORSE LORIS GIÀ ADESCATO IN PASSATO» L’analisi precisa del celebre criminologo sulla strana “intuizione” del cacciatore e tutti gli elementi che scagionano Veronica Panarello Verità o menzogna? Le tecniche d’indagine negli interrogatori
Studi e statistiche sul lavoro minorile in Italia
Come nel “caso Gambirasio”, nuove indagini nel delitto Zardi
Indice del mese 4. Inchiesta del mese LA STORIA AMBIGUA DEL CASO STIVAL
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8. Inchiesta del mese OLTRE IL VELO DELLA MENZOGNA
14. Inchiesta del mese VERONICA PANARELLO È INNOCENTE
24. Indagare se stessi INVESTIGAZIONE: MENZOGNA O VERITÁ?
28. Sulla scena del crimine
COME NEL “CASO GAMBIRASIO” NUOVE INDAGINI NEL DELITTO ZARDI
34. Sulla scena del crimine IL POTERE DEL SILENZIO
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40. Criminalistica
LA STORIA DI UN CRIMINE NASCOSTO NELLE TRACCE DI SANGUE
COPIA OMAGGIO
anno 2 – N. 16, Giugno 2015
CASO STIVAL, L’IPOTESI DI FRANCESCO BRUNO «UN OMICIDIO PREMEDITATO E FORSE LORIS GIÀ ADESCATO IN PASSATO»
46. Dossier da collezione
L’analisi precisa del celebre criminologo sulla strana “intuizione” del cacciatore e tutti gli elementi che scagionano Veronica Panarello
QUELLA STRAGE DIMENTICATA NEGLI ARCHIVI
Verità o menzogna? Le tecniche d’indagine negli interrogatori
Studi e statistiche sul lavoro minorile in Italia
Come nel “caso Gambirasio”, nuove indagini nel delitto Zardi
ANNO 2 - N. 16 GIUGNO 2015
52. Dossier società
STALKING, FENOMENO SENZA CONFINI
Rivista On-line Gratuita Foto di copertina fonte Facebook
Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi
56. Diritti e minori IL LAVORO MINORILE IN ITALIA
62. Storie di tutti i giorni
Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nia Guaita, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Katius.cia Pacini, Paola Pagliari, Mauro Valentini.
66 . Media crime
Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com
L’ARTE OLTRE LA DISABILITÁ
LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI
Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.
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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
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LA STORIA AMBIGUA DEL
CASO STIVAL Santa Croce Camerina teatro del mistero sulla morte del piccolo Loris
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Un novembre così mite non si vedeva da anni, in questo angolo di Sicilia meridionale. Santa Croce in Camerina è il mare di Ragusa, il suo borgo marinaro di Rocca Secca ormai è famosissimo, da quando è diventato il set della serie tv Il commissario Montalbano. La gente qui vive di agricoltura ma anche e soprattutto di floricultura perché le rose di Santa Croce sono tra le più belle d’Italia. Veronica Panarello è una mamma giovanissima, un passato difficile e una famiglia che non sempre è stata dalla sua parte. Ha due figli e un marito che gira per le autostrade d’Europa con il suo camion, non c’è quasi mai, i bambini se li cura da sola, quello più grande ha 8 anni, si chiama Loris Andrea, fa la terza elementare all’Istituto “Falcone e Borsellino”. È il 29 novembre 2014, sono le 12:30, Veronica è davanti alla scuola ad attendere insieme alla altre mamme l’uscita dei bambini. Ma quando la maestra esce con la scolaresca e la vede ha un brivido: «Che ci fa qui signora Stival? Loris non è venuto oggi a scuola». Scatta l’allarme, le mamme, le maestre e la direttrice dell’istituto rimangono lì ammutolite davanti al portone, mentre Veronica percorre via Matteotti in un soffio, con il bimbo più piccolo in braccio correndo dai Carabinieri. Alle 12:45 parte il fonogramma dalla Stazione dei Carabinieri e vengono allertate tutte le auto in zona. Veronica asserisce di aver lasciato il bambino davanti l’ingresso scolastico ma «qualcuno
Loris Stival.
l’ha preso e se l’è portato via». Alle 13:30 il telegiornale dell’emittente TeleNova dà la notizia, si teme il rapimento, il paese scende spontaneamente in piazza mentre qualcuno assiste Veronica che è in preda al panico. Quel Tg è visto da tutti a Santa Croce, è arrivata anche la troupe per girare sul luogo e raccogliere interviste. La paura di un nuovo caso Denise Pipitone serpeggia nel paese e qualcuno lo dice apertamente. Che strano, qualche anno fa fu proprio Veronica, la mamma del piccolo Loris scomparso a chiamare Chi l’ha visto? affermando di aver riconosciuto la piccola Denise che era sparita, sicuramente rapita
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Santa Croce Camerina.
qualche mese prima. Nessun riscontro però fu trovato alla sua segnalazione, ma Veronica era sicura, come ora è sicura che anche Loris ora sia stato rapito. La notizia arriva nelle case di tutti, anche in quella di Orazio Fidone, pensionato di 65 anni con la passione per la caccia. Orazio conosce bene la famiglia Stival, quello che ascolta alla tv lo raggela. Si alza, si chiude nel salone in silenzio. Cosa può esser accaduto in questo angolo di Sicilia così tranquillo? «Unni finiu du carusu piccittu piccitu?». Orazio non resiste, esce, avvisa la moglie che si unirà ai vecchi del paese che hanno iniziato le ricerche del bambino. Vaga con la macchina ma poi, con un guizzo intuitivo
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che a tanti, troppi, apparirà sospetto, decide di andare al vecchio mulino, pochi chilometri fuori città. Il cacciatore arriva in quello spiazzo incolto, lui lì ci viene con i suoi amici a fare modeste battute di caccia, sa come muoversi, si affaccia in un canalone di scolo delle acque ora vuoto e scorge il corpo, piccolo e raggomitolato in una posizione innaturale, di Loris Stival. Sono quasi le 17:00, è l’imbrunire, la sorte ed un tempismo perfetto hanno assistito e guidato il signor Fidone, pochi minuti ancora e Loris sarebbe stato avvolto nel buio. Loris è stato gettato dal muretto che delimita il canale. Appare subito chiaro
ai Carabinieri chiamati da Orazio che questo è un omicidio, non un incidente. È uno schiaffo per la città. Qualcuno pensa al mostro che si nasconde nella comunità. Alle 17:40 l’Ansa batte la notizia: «È stato trovato morto, in un mulino abbandonato, a Scoglitti, il bambino di 8 anni scomparso stamane a Santa Croce di Camerina. La madre lo aveva lasciato davanti alla scuola ma non è entrato». I Carabinieri cercano di comprendere la dinamica di un evento che appare subito dai contorni davvero misteriosi. Passa di bocca in bocca la notizia di una violenza
sessuale subita da Loris, qualcuno la lascia trapelare e tutti i giornali la riportano. Il motivo per sospettarlo in effetti c’è, perché quando il medico legale ispeziona il corpo nota che a Loris mancano le mutandine, è completamente vestito, ma sotto i pantaloni non ha indumenti intimi. Due sono le cose che non convincono gli inquirenti: nessuno ha visto Loris davanti scuola, nonostante Veronica abbia detto di averlo lasciato lì. E poi, come ha fatto il cacciatore a trovare a colpo sicuro il bambino? Come si poteva pensare che Loris fosse finito lì, a 4 km dal paese? Veronica Panarello e Orazio Fidone vengono convocati in Procura a Ragusa. Sono sotto choc ma entrambi dovranno cercare di spiegare molte cose, perché i loro racconti non convincono. «Stiamo lavorando – dirà il pm Marco Rota quella stessa notte che sarà insonne per tutti a Santa Croce – e non escludiamo alcuna ipotesi. Prima di parlare di causa del decesso sarà necessario eseguire l’autopsia. Soltanto dopo si potrà parlare dell’inchiesta e di tutto il resto». E l’autopsia conferma quello che tutti avevano sospettato vedendo quel corpicino nel canale: Loris è stato strangolato. Ha dei segni sul collo, forse causati da una fascetta da elettricista. Chi lo ha ucciso ha stretto forte, portandosi via in pochi attimi quel sorriso innocente.
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Oltre il velo della menzogna Tutte le incongruenze nell’omicidio del piccolo Loris
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Le prime ipotesi sulla tragedia che ha colpito la famiglia Stival non tardano ad arrivare. La morte di Loris non è stata un incidente o un tiro meschino del destino. L’autopsia cui è stato sottoposto il corpo del bambino, ritrovato senza vita all’interno di un canale di scolo non molto distante dal centro di Santa Croce Camerina, svela il retroscena di un omicidio vigliacco. Fornisce, sì, una certezza e validi indizi ma costringe gli inquirenti a parlare pur sempre d’ipotesi e non di risposte certe. A quanto pare l’ora della morte sarebbe da collocare tra le 8:00 e le 10:00 del mattino. Si parla di asfissia meccanica violenta da strangolamento e di una frattura alla teca cranica che secondo il primo esame medico legale sarebbe stata inferta quando la vittima era ancora in vita. Al momento del ritrovamento Loris aveva i pantaloni parzialmente abbassati senza cintura ed era sprovvisto degli slip. Sulle prime, queste circostanze avevano fatto supporre una possibile violenza sessuale poi esclusa durante l’accurato esame.Apochi giorni dal triste ritrovamento la Procura di Ragusa è obbligata ad aprire un fascicolo per omicidio volontario e come atto dovuto iscrive il nome del cacciatore (Orazio Fidone) che per primo lancia l’allarme, procedendo contestualmente al sequestro della sua auto. Durante tutti gli interrogatori cui l’uomo è sottoposto, non emergono elementi idonei a formalizzare alcuna responsabilità nella vicenda anche
se non sono poche in paese le voci che gridano congetture e illazioni contro colui che per primo ha ritrovato il corpo senza vita del piccolo Loris. È stata davvero un’intuizione a condurlo quasi a colpo sicuro sulla strada del vecchio mulino? Le indagini non tralasciano nessuna pista investigativa. Si pensa che potrebbe venir fuori qualcosa d’interessante dall’analisi dei video di sorveglianza privata o pubblica (scuole, banche, negozi). Santa Croce è un piccolo paesino, non è assurdo pensare che il piccolo Stival sia stato immortalato in uno o più fotogrammi. È durante questo scandagliare a
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tappeto ogni anfratto che a poco a poco emergono particolari inquietanti o quanto meno da tenere in considerazione. Gli scenari sospetti riguardano proprio i rapporti tra i componenti della famiglia Stival e in particolare la persona della madre Veronica e le sue parole; quelle vere, quelle false e quelle non dette. Tra i video analizzati dagli investigatori ce n’è uno che smentisce in assoluto i racconti resi fino a quel momento da quella madre sconvolta su quanto accaduto la mattina del 29 novembre. Loris non è mai arrivato a scuola come da lei affermato e si vedrebbe rientrare in casa. È questa la testimonianza di una telecamera di sorveglianza posta a 50 metri da casa Stival. Dunque perché una possibile menzogna? Lo studio del caso penetra in profondità e conferma che esisterebbero almeno tre punti di contraddizione nel racconto della Panarello rispetto ai fatti: la distanza dalla scuola alla quale è stato lasciato Loris Stival (nella prima versione sono 500 metri, nella seconda solo pochi metri); l’arrivo al corso di cucina (Veronica dice di essere andata subito dopo aver lasciato l’altro figlio alla ludoteca, anche se in un secondo verbale asserisce di essere passata prima da casa per sbrigare alcune faccende domestiche); la sosta con l’auto per gettare un sacchetto dell’immondizia in un’area limitrofa al Mulino Vecchio,
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luogo del ritrovamento. C’è più di qualcosa che non quadra nelle testimonianze di quella madre. Il 9 dicembre, a seguito dell’ennesimo interrogatorio serrato, la Procura ritiene di avere sufficienti e validi motivi per formalizzare il fermo giudiziario di Veronica Panarello accusandola dell’omicidio e dell’occultamento del
cadavere. Le conclusioni a cui giunge la Procura sono agghiaccianti. Il movente alla base del delitto sarebbe da ricercare prima di tutto nell’indagata stessa, che riesce con le sue bugie, le sue omissioni e la sua fragile personalità a conclamare la propria colpevolezza, a rendere verosimile il presunto piano criminale. La donna dalla personalità premorbosa avrebbe agito «in preda a uno stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile per il fallimento del piano mattutino che evidentemente quel giorno non prevedeva l’ingombrante
presenza del suo primogenito». I capricci di Loris infatti scaturirebbero dalla voglia di rimanere con la madre che nel mentre si preparava in tutta fretta per andare ad un corso di cucina presso il Castello di Donnafugata. Esattamente questo sarebbe il momento di rottura. L’istante da cui nasce la contesa tra i due e l’epilogo dell’omicidio. Una ricostruzioni, quella della Procura, plausibile ma che apre ulteriori interrogativi. Cosa o chi si celava dietro i progetti di Veronica Panarello? Perché quella rabbia smisurata? Da quel momento
Castello di Donnafugata, dove Panarello doveva recarsi la mattina del delitto.
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in poi la vicenda si sposta su un piano squisitamente giudiziario. Una battaglia tra accusa e difesa, tra ricostruzioni e confutazioni. Solo di recente una nuova perizia medico-legale richiesta dalla Procura di Ragusa e condotta dal Dott. Giuseppe Iuvara ha portato alla luce nuovi dati che avallerebbero la tesi accusatoria: «Loris è stato strangolato tra le 9:00 e le 10:00 del mattino ed è morto per soffocamento. […] Il decesso non è stato provocato dalla caduta nel canalone, bensì
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da una fascetta di plastica stretta intorno al suo collo, quando è stato gettato, da un’altezza di tre metri, nel fosso, era già morto. La frattura del cranio, quindi, è conseguenza della caduta e non la causa del decesso». Le parole, nero su bianco, del perito suonano come un nuovo macigno sulla condizione processuale ed emotiva della donna che, nonostante le pensanti accuse, continua a professarsi innocente barricata dietro una verità all’apparenza stitica.
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«VERONICA PANARELLO È INNOCENTE E LORIS FORSE GIÀ ADESCATO PRIMA DELL’OMICIDIO» L’ipotesi del criminologo Francesco Bruno cambia le carte in tavola nel caso Stival. Il bambino non sarebbe morto per strangolamento e sarebbe stato ucciso sul luogo del ritrovamento. Nella lunga intervista concessa a Cronaca&Dossier un’ipotesi da brividi: Loris potrebbe essere stato già adescato tempo prima dal proprio aguzzino
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IL CACCIATORE Prima di Veronica Panarello c’è una figura che lascia aperti alcuni dubbi ed è quella del cacciatore, il quale afferma di essersi recato al pozzo per una sorta di “intuizione”. Cosa ne pensa? «Non sono ancora andato in Sicilia e quindi non ho conoscenza diretta dei luoghi e delle persone, ma quel che posso dire è che l’agire del cacciatore è qualcosa che in Italia avviene molto raramente, perché tutte le volte che sparisce un bambino e lo si cerca dappertutto, quest’ultimo viene trovato solo dopo una lunga e attenta ricerca. Quello che è successo con il cacciatore è un po’ anomalo e ciò deve farci chiedere il perché». Qual è secondo Lei la spiegazione a questa “anomalia”? «Il cacciatore dice di avere avuto un’intuizione. Io faccio lo psichiatra e so per certo che le nostre intuizioni sono dei movimenti mentali che avvengono sulla base di precedenti. Quindi ci sono dei precedenti inconsci, che forse il cacciatore non conosce, che l’hanno spinto ad avere questa intuizione. Lui è andato in quella zona perché lì riteneva potesse trovarsi il bambino e ha avuto ragione. Oltretutto, da quel che ho visto finora, era molto difficile vedere il corpo semplicemente passando. È evidente che il bambino è stato cercato con attenzione proprio lì dov’era, il che implica che questa intuizione è stata molto precisa. Dobbiamo chiederci essa da dove nasce».
Ha un’idea del profilo di quest’uomo? «Sembra essere una persona per bene che si è sentita personalmente investita nel ruolo di ricercatore e che, per combinazione, è andato a cercare esattamente dove il corpo era, forse per delle pressioni inconsce. Inoltre, se è vera l’informazione che il cacciatore è molto amico di una parte della famiglia paterna di Loris, ciò potrebbe rivestire ulteriore significato in grado di giustificare per quale motivo si è spinto verso quella direzione. Altro non sappiamo. Ritengo tuttavia che se l’uomo fosse stato interrogato anche da uno psichiatra, quest’ultimo avrebbe potuto mettere a frutto questo “non detto”». Quindi forse c’erano stati dei precedenti relativi al punto in cui è stato trovato il cadavere? «Probabilmente c’erano stati dei precedenti e questo toglie gran parte delle accuse rivolte alla madre».
Prof. Francesco Bruno.
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VERONICA PANARELLO
Qual è il Suo parere circa la personalità della signora Panarello? «La madre è stata descritta sin dal primo momento come una persona con tanti problemi passati, di non tranquillità. Tutto questo si è riversato su di lei nel momento in cui è stata sospettata assistendo, di fatto, ad un’indegna opera di attribuzione di significati su questioni dette e non dette dalla madre. Poi alla fine si è visto che questa ragazza aveva vissuto un’infanzia e un’adolescenza difficile, che c’erano stati dei tentativi di suicidio, sebbene l’importanza sia ancora tutta da verificare in relazione al precedente contesto di vita; che ha trovato un uomo con il quale ha avuto dei figli e pare che in realtà sia una madre esemplare, tanto che nessuno poteva immaginare una situazione di questo tipo». Però ad oggi Veronica Panarello è l’unica sospettata del delitto. «Tutto nasce dall’impressione, avuta dalle Forze dell’ordine, che Veronica Panarello dicesse inesattezze, bugie volontarie per nascondere una parte dei suoi movimenti quel giorno e per questo è stata ritenuta indiziata e arrestata. Secondo me tutto ciò è avvenuto senza nessun motivo reale perché i dati a
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L’APPROFONDIMENTO
IL CONFRONTO DEL PROF. BRUNO TRA IL CASO FRANZONI E IL CASO PANARELLO «La vicenda di Cogne differisce dal caso Stival perché nel primo la Franzoni era l’unica persona che avrebbe potuto compiere quel reato e non c’erano altre persone, teorie o possibilità. Gli indizi non erano incerti come nel caso Stival, bensì erano giganteschi: se parliamo del pigiama della signora macchiato di sangue sul letto dov’è il cadavere del bambino, perché quest’ultimo colpito ferocemente alla testa, allora capiamo che chiunque sarebbe stato arrestato in quel momento dovendo poi dimostrare la propria innocenza. Ma certamente la Franzoni è stata arrestata solo dopo la condanna. E questo dimostra come nessuno volesse credere, comprese le stesse Forze dell’ordine, che ad uccidere fosse stata la madre. Inoltre, la Franzoni era completamente protetta dall’atteggiamento di tutta la sua famiglia, dal marito al padre, i quali giuravano sulla sua innocenza pur senza avere elementi. Al contrario, la Panarello è stata messa in crisi dalla sua famiglia in modo violento, molto forte. Dunque è una donna che è sospinta dalla propria famiglia a confessare un reato che però non ha mai commesso. A ciò va aggiunto che oggi assistiamo
disposizione in questo momento sono ancora minimi, rappresentati dalle immagini delle telecamere che avrebbero ripreso la macchina della donna. Ma si tratta di telecamere riportanti ciascuna orari diversi e che mostrano immagini sulle quali non vi è certezza assoluta. Un conto è vedere una macchina scura come quella della Panarello, ma nessuno può dire con sicurezza se quella è proprio la sua auto oppure no». I tempi in gioco per commettere il delitto cosa lasciano intendere? «I tempi in cui l’omicidio sarebbe stato compiuto sono ridottissimi ed è assolutamente escluso che una madre, che ricordiamo continua a negare ogni accusa, abbia potuto fare ciò che le viene posto a carico. Non ci sono i tempi materiali». Come spiega le affermazioni non esatte di Veronica Panarello? «Le difficoltà di memoria sono il segnale che la testimonianza è attendibile. Quando invece è troppo sicura, certa, vuol dire che è stata preparata. Se qualcuno chiedesse
probabilmente ad un’opinione pubblica che sembra essersi assuefatta all’idea di una madre che può uccidere. Mentre per la Franzoni l’accusa e l’ostentato negare colpivano fortemente l’immaginazione popolare, cosa per altro facile da capire perché quel delitto era stato motivato dall’idea della madre che il figlio fosse malato, quindi prima che esplodesse la testa al bimbo, come la Franzoni temeva, aveva provveduto essa stessa. Nel caso Stival invece l’opinione pubblica non ha dato alcuna importanza alla madre, anzi ha puntato quasi subito il dito contro di lei. Si ignora però il fatto che Loris fosse più grande di 3 anni, dettaglio importante perché è vero che la madri uccidono i figli, ma ciò avviene prima dei 3 anni. È rarissimo che accada dopo quell’età. In questa vicenda la madre non aveva alcun movente per commettere il delitto. Già il resoconto della stessa autopsia compiuta sul corpo di Loris pone la Panarello fuori da una possibile accusa ed è assurdo che sia ancora in carcere».
•Una volta solo, perché il bimbo non è andato a scuola? Su questo punto non vi è stata alcuna indagine.
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a ciascuno di noi di riferire cosa abbiamo fatto in un preciso lasso di tempo, anche solo del giorno precedente, probabilmente cadremmo in errore». Però in questo caso addirittura c’è contraddizione tra varie affermazioni. «Non c’è contraddizione. Io parlerei più di errori. Semmai, sono gli investigatori a dover dimostrare la presenza dell’auto della Panarello in quel posto, come vi è arrivata, come avrebbe fatto a uccidere il bambino: ci vogliono dei minuti per fare tutto questo, dei tempi che non reggono nel castello accusatorio contro la madre». Panarello dice di avere lasciato il bambino a scuola e invece ciò non avviene. «Lo lascia a poca distanza. Ma stiamo parlando di un paese, di gesti che avvengono tutti i giorni, per cui il bimbo è stato lasciato e sarebbe dovuto andare a scuola da solo. Se poi non è andato bisogna spiegarsi il perché. Su questo punto non vi è stata alcuna indagine». Descrivendo Veronica Panarello, la Procura parla di un soggetto «in preda a uno stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile». Lei la ritiene una
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descrizione adeguata? «Non conosco ancora di persona la signora Panarello. Tuttavia, che sia una persona emotiva è evidente; che abbia una rabbia incontenibile non emerge secondo me da nessuna parte».
Veronica Panarello.
•È assolutamente escluso che una madre abbia potuto fare ciò che le viene posto a carico. Non ci sono i tempi materiali.
L’AUTOPSIA Cosa può dirci dell’autopsia compiuta sul corpo di Loris Stival? «Penso che non sia stata fatta con piena attenzione rispetto a ciò che sarebbe stato necessario, come ad esempio cercare la presenza o meno di droghe nel corpo del bambino. Si rileva invece una grossa frattura alla testa».
•Secondo me le fascette non c’entrano niente.
•Serviva cercare la presenza o meno di droghe nel corpo del bambino. ma qui non abbiamo questi segni; infine non si vede con certezza il punto sul quale avrebbe battuto la testa Loris. Penso quindi che Loris Stival sia stato ucciso con un colpo alla testa lì dove poi è stato trovato».
La frattura si è generata per la caduta nel pozzo? «L’autopsia dice che la frattura cranica è più o meno coeva alla morte, avvenuta subito prima o subito dopo il decesso. Io penso che non sia possibile che la frattura sia stata generata dalla caduta nel pozzo». Perché? «Perché è molto ampia e va da una parte all’altra del cranio. Inoltre, quando si cade da un’altezza di quel tipo, se il soggetto è vivo, ci sono delle fratture sulle braccia in quanto si cerca di attutire la caduta,
Esempi di possibile arma del delitto.
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Non sarebbe perciò deceduto per strangolamento? «Ci sono segni di strangolamento indicati come “compatibili” con le famose fascette, ma secondo me le fascette non c’entrano niente, eppure io sono forse il primo che ha riconosciuto ad esse una potenzialità omicida. Tuttavia non in questo caso perché sono troppo piccole per garantire lo strangolamento di un bambino». Però qualcosa è stato applicato al collo del bambino. «Certo, anche alle mani e alle braccia. Però con quelle dimensioni molte altre cose sono compatibili».
•Penso quindi che Loris Stival sia stato ucciso con un colpo alla testa lì dove poi è stato trovato.
Fascette simili a quelle sequestrate dagli inquirenti. 20
LA DINAMICA Secondo quanto ripreso da una telecamera di sorveglianza, Loris non sarebbe andato a scuola e si vedrebbe invece rientrare in casa. «Si tratta di un’altra follia investigativa perché per poter affermare una cosa del genere serve una perizia. Da quella telecamera non è assolutamente chiaro se nell’immagine video sia Loris».
•L’omicidio non è d’impeto ma premeditato. In base alla documentazione e alle informazioni in Suo possesso, ritiene si sia trattato di un omicidio organizzato oppure di un delitto d’impeto al quale si è poi cercato di dare un’organizzazione più o meno efficace? «L’omicidio non è d’impeto ma premeditato perché i tempi sono sempre molto ridotti. Quella mattina il bambino era stato portato via per scopi sessuali e può darsi che in quel caso il bambino non avesse aderito alla volontà del rapitore, portandolo a uccidere perché il bambino avrebbe potuto tradire, cosa che fino a quel momento non aveva fatto. Ma non era possibile che questo bambino non fosse stato già da prima adescato a fare
che, secondo Lei, poteva trattarsi di una vendetta perché il bambino, da parte paterna, aveva origini albanesi, cosa poi rivelatasi non vera. Vuole fare una rettifica rispetto a quelle affermazioni? «L’ho detto perché le primissime informazioni giornalistiche volevano il padre di Loris essere di origine albanese. Allora una prima interpretazione era che poteva trattarsi di una possibile ragione Ritiene che la Procura sia stata guidata del delitto, oltre quella sessuale. Ma si era dalla troppa fretta oppure abbia trattato di un commento a caldo, quando involontariamente trascurato elementi ancora non c’erano informazioni sul caso importanti? e quelle poche erano frammentarie». «Sono stati sottovalutati elementi importanti perché ci si è convinti troppo Dunque come sarebbero avvenuti i presto della colpevolezza della madre. Da fatti secondo Lei? lì le indagini si sono concentrate troppo «Innanzitutto la signora Panarello soltanto sulle telecamere». è innocente. Di questo me ne sto convincendo sempre di più. All’inizio A dicembre 2014 l’ADN Kronos ha non mi convincevano le prove. Io che ho pubblicato Sue affermazioni in merito al lavorato al caso Pietro Pacciani, quando presunto motivo del delitto, asserendo sento parlare di “compatibilità” mi sembra qualcosa di questo genere». E se fossero stati tolti gli slip al bambino per deviare le indagini verso la pista sessuale? «Più che simulazione penso ad un atto precostituito per evitare il rischio che su quell’indumento venissero trovati elementi utili ad individuare il DNA dell’aggressore».
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di risentire le stesse cose che si dicevano su di lui. Di “compatibilità” si parla anche in tanti altri casi e spesso ci si accorge della inconsistenza di una definizione del genere. Ma soprattutto dopo avere letto i documenti, in particolar modo l’autopsia, mi sono reso conto che non c’è assolutamente nulla a livello indiziario circa il coinvolgimento della madre nel delitto».
• Ma non era possibile che questo bambino non fosse stato già da prima adescato a fare qualcosa di questo genere. Fissando lo sguardo sull’attimo in cui il bambino scende dell’auto, come ricostruisce gli istanti successivi? «Qualcuno che conosceva il bambino l’ha preso e portato via. E Loris lo conosceva
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perché un bambino non va con chiunque. Da lì è probabile vi sia stato il tentativo di violenza al quale Loris stavolta si è ribellato pagando con la vita». E le fascette? Loris aveva detto alla madre che servivano per degli esperimenti a scuola. Ma le maestre di Loris hanno negato la possibilità. Da lì la consegna delle fascette alle maestre, da parte della Panarello, ed esse le hanno consegnate agli inquirenti. È una ricostruzione ben diversa rispetto a ciò che viene detto dai media. Quindi noi sappiamo solo che il bambino aveva usato queste fascette e che aveva detto di averlo fatto a scuola. Ma in realtà non servivano a scuola, forse usate con la persona che avrebbe abusato di lui».
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INVESTIGAZIONE:
Menzogna o Verità? Le tecniche d’indagine negli interrogatori di Polizia
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Le menzogne vengono normalmente classificate dagli studiosi come appartenenti a due macro-categorie: le menzogne a basso rischio, che non implicano la possibilità di serie conseguenze in caso di scoperta e con modesta attivazione emotiva, e le menzogne ad alto rischio che in caso di scoperta possono portare al mentitore delle gravi conseguenze. La produzione della categoria di menzogne ad alto rischio, tipica dell’interrogatorio di Polizia, implica un impegnativo processo mentale, articolato su diverse dinamiche: 1. Creazione della menzogna con uno sforzo creativo per raccontare uno scenario verosimile; 2. Controllo di se stesso: canale verbale, paraverbale e non-verbale per apparire verosimile; 3. Monitoraggio costante dell’interlocutore per notare eventuali segnali di scoperta della menzogna; 4. Sforzo di ricordare più elementi possibili della menzogna creata
per poter evitare contraddizioni in un secondo tempo. Di conseguenza, un’importante competenza tecnica da parte dell’investigatore che conduce un interrogatorio, è quella di saper individuare i segnali della menzogna perché, a parte i casi in cui avviene spontaneamente una piena confessione, spesso colui che ha commesso un reato tende a mentire e ad allontanare così la sua responsabilità. Tutto ciò, provoca nell’individuo un impegno mentale maggiore rispetto a quello necessario per ricordare un evento realmente accaduto. Inoltre, l’ansia di essere scoperto unita alla consapevolezza di effettuare un’azione moralmente inaccettabile implica l’insorgere di un maggiore stress, dovuto prevalentemente allo sforzo di utilizzare la fantasia per fornire un elemento plausibile senza trovare informazioni di appoggio nella memoria stabile nonché alla riduzione
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dell’attenzione dalla conversazione per dedicarsi allo sforzo creativo della menzogna. Inventare una risposta sul momento, rapida e convincente, una risposta che non contraddica quello che si è già detto e che dovrà essere tenuta a mente per il futuro, richiede capacità mentali e una presenza di spirito che pochi possiedono. Inoltre, il nostro cervello è sempre pronto per dire la verità, mentre per mentire deve organizzarsi, attivarsi ed agire, una sorta di impegno extra non previsto. In generale, quindi, la produzione di bugie comporta un incremento dell’energia mentale impiegata, dell’ansia e del livello emozionale. Tutte le anomalie di attivazione correlate alla menzogna possono rispecchiarsi in microazioni del mentitore: 1. Dissipazione dell’ansia attraverso l’incremento di alcuni movimenti; 2. Gestualità simbolica su base inconscia; 3. Necessità di maggiore concentrazione attraverso l’interruzione di alcuni movimenti; 4. Modifiche nel linguaggio (pause, stile linguistico, ecc.). Attenzione però: chi deve prendere in esame altre persone su cui è tenuto a dare un giudizio, deve essere attento a non commettere errori nella sua osservazione; uno degli errori più comuni, avviene quando si scambia la paura del
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soggetto di non essere creduto con la paura legata alla menzogna arrivando a una conclusione errata sulla base di un’analisi incompleta degli elementi non verbali. Anche i pregiudizi portano a distorcere l’analisi della realtà, tendendo a sottostimare/sovrastimare eventuali indizi di tensione o di menzogna. Un altro grave errore, è quello della cattiva interpretazione dei gesti manipolatori ovvero, quei movimenti con cui ci si tocca il proprio corpo o un oggetto; infatti spesso, questo tipo di gesti, possono fuorviare l’osservatore se non vengono analizzati insieme ad altri fattori. In altre parole, il comportamento menzognero può manifestarsi attraverso varie modifiche
del pattern comportamentale abituale del soggetto e del suo atteggiamento. Quindi, l’attenzione dell’investigatore non si deve focalizzare solo sulla presenza di uno o più segni statisticamente correlati alla menzogna ma tendere ad un’attenta osservazione di una serie di aree comportamentali, alla ricerca delle modifiche gestuali e linguistiche specifiche per quel soggetto. Indispensabile è l’utilizzo di sistemi di videoregistrazione che consentono di riosservare e riascoltare l’interrogatorio, osservando con particolare attenzione
le risposte psicofisiologiche che si manifestano nel soggetto prima, durante e dopo una menzogna e comparando tali elementi con i comportamenti manifesti durante una fase di comunicazione sicuramente veritiera.
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"CASO GAMBIRASIO", NUOVE INDAGINI NEL
DELITTO ZARDI
Nel Cremonese il Gip riapre il fascicolo sulla morte della 25enne e parte la caccia all’assassino
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Potrebbe venire dal liquido seminale, e quindi dal DNA rinvenuto sugli slip di Arianna Zardi come stabilito dalla perizia effettuata nel 2012, un elemento chiave per poter dare il nome all’assassino che il 30 settembre del 2001 uccise la 25enne di Casalbellotto, nel Cremonese. Il caso è stato riaperto dall’ordinanza con cui il gip Guido Salvini ha disposto il test del DNA su una trentina di persone a vario titolo vicine alla vittima, dando così soddisfazione a quanto da anni richiedeva la sorella della giovane, Sara. «Per risolvere il caso di Yara Gambirasio – aveva detto Sara Zardi – hanno prelevato il DNA di mezzo mondo. Anche a mia sorella, quando, dopo la riapertura del fascicolo nel 2010, furono finalmente analizzati gli indumenti, è stato trovato DNA maschile sugli slip, come è accaduto per la ragazzina di Brembate. Ma, accertato che non è compatibile con quello delle quattro persone che erano state indagate, quel DNA verrà semplicemente messo in una banca dati,
in attesa che magari un domani salti fuori una compatibilità. E l’indagine, secondo le notizie che abbiamo, sembra andare verso una nuova archiviazione. Questo non ci sta bene. La situazione è uguale: perché non è stato fatto anche per mia sorella un lavoro più approfondito?», aveva detto. Ora, invece, verrà fatta la comparazione almeno con queste trenta persone. La ragazza, quella domenica pomeriggio del 2001, dopo pranzo era uscita salutando la mamma ed aveva preso il pullman per Cingia de’ Botti, località dove abitava l’ex fidanzato, lasciato da un paio di mesi. Arianna ancora ne soffriva e potrebbe essere andata proprio a casa di lui, ma egli ha sempre negato di averla vista o sentita quel giorno. Secondo una testimonianza modificata e rettificata, non chiarissima, più tardi Arianna sarebbe stata vista tra Torricella e Motta, non lontano da dove poi è stata trovata morta. Il corpo di Arianna era stato rinvenuto il 2 ottobre, disteso, con la testa verso il
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muro. A poca distanza, la sua borsetta appoggiata al muretto del ponticello sopra il greto asciutto di un canalone di irrigazione. L’autopsia aveva collocato il decesso tra le 13:00 del primo ottobre e le 24:00 dello stesso giorno, ma la perizia entomologica, depositata il 20 febbraio del 2008 aveva modificato questi orari, collocando la morte tra il tardo pomeriggio del 30 settembre e le prime ore del primo ottobre 2001. In un primo momento si ipotizzò il suicidio, smentito con forza dai genitori e dalla sorella Sara. Perché gettarsi da un ponticello alto meno di dieci metri, quando non distante c’è il Po? Inoltre il cadavere era stato localizzato a qualche metro di distanza, lungo il terreno che corre al di sotto dell’ arco. Si parlò pure di una caduta accidentale, ma cosa ci faceva là Arianna? E se l’aveva uccisa qualcuno, chi poteva essere stato? Uno sconosciuto da cui Arianna aveva accettato incautamente un passaggio e che poi l’aveva aggredita o qualcuno
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con cui lei aveva una relazione segreta? Poteva eventualmente quest’uomo misterioso essere l’assassino? E con quale movente? Le indagini erano proseguite con gli interrogatori degli amici della vittima, tra cui un 17enne che teneva in casa il telefonino di Arianna. Era stato arrestato e poi prosciolto per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza: «L’ho preso dalla borsetta dopo essermi imbattuto nella ragazza ormai cadavere poi sono scappato per lo shock», si era giustificato. Sui reperti recuperati dalla borsetta e dal suo contenuto non vennero trovati profili compatibili con l’allora minorenne, quindi si pensò che altre persone avessero maneggiato gli effetti personali di Arianna in concomitanza o poco dopo la sua morte, ma ci si fermò lì. Un mistero a cui non si venne dunque a capo, ma che ora è tornato prepotentemente d’attualità poiché il gip Guido Salvini ha accolto nei
giorni scorsi la richiesta del pm Roberto di Martino, ed ha disposto l’archiviazione della posizione di tre persone, due uomini e una donna, ordinando però nuove attività di indagine.Il giudice ha suggerito di muoversi concentrandosi su una più ampia cerchia di conoscenze della ragazza, tentando, in questo modo, ulteriori comparazioni dei profili biologici rinvenuti su tutti i reperti. Si valuterà anche la possibilità di rilevare eventuali impronte papillari lasciate sugli indumenti indossati dalla vittima durante la colluttazione, che verosimilmente ha preceduto la caduta nel vuoto. «Ha avuto una rapporto prima di essere ammazzata. Ma l’autopsia aveva escluso la violenza sessuale – spiega oggi Sara Zardi – , doveva quindi trattarsi di qualcuno che conosceva. Sono emerse anche delle botte, mia sorella potrebbe essere stata picchiata. Da allora ho chiesto, come
nel caso di Yara Gambirasio ma su un campione infinitamente minore, il ricorso al test biologico. Secondo me, la verità è lì». Oltre ai due indagati maschi, accusati di omicidio, e alla donna a cui si contestava di aver fornito false informazioni al pubblico ministero, le indagini si sono concentrate su altre due persone, anch’esse indagate con l’accusa di omicidio la cui posizione, però, è già stata archiviata. A tutti sono stati effettuati prelievi di campioni biologici da cui estrapolare profili genetici da eseguirsi sui reperti acquisiti al momento del ritrovamento del cadavere. Nulla di fatto: l’esame del DNA ha escluso la compatibilità degli indagati con le tracce rinvenute sugli oggetti a referto, tra i quali anche alcuni mozziconi di sigaretta. Quindi, si ricomincia, confidando nella corrispondenza di uno dei trenta profili con la traccia isolata sugli slip di Arianna. Da quasi 15 anni una giovane donna
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Chiedi agli insetti Talvolta ritrovare un cadavere poco tempo dopo la morte può aiutare a condurre le indagini verso la formulazione di una corretta ipotesi di omicidio o di morte naturale. La “fortuna” sta in quel rapporto quasi immediato che si crea tra il corpo e l’ambiente, in particolar modo con gli insetti. Le investigazioni ricevono importanti informazioni dallo studio delle larve depositate dalla microfauna. Le comunissime mosche adulte, ad esempio, colonizzano da subito gli orifizi del volto poiché da essi risalgono gli odori delle prime fasi della decomposizione. Nel caso in cui il corpo risulti svestito, sarebbero interessati immediatamente anche i restanti orifizi naturali. Se le larve deposte fossero presenti in una diversa sequenza o in diverse aree rispetto a quelle annotate, si potrebbe ipotizzare la presenza di ulteriori ferite capaci di attirare maggiormente gli insetti. Si pensi ai casi di violenza sessuale o alle lacerazioni della cute dovute ad armi da fuoco o da taglio. Ulteriore motivo d’interesse nell’analisi degli insetti risiede nella loro capacità di metabolizzare parte delle sostanze contenute nel corpo di cui si nutrono, come per esempio gli stupefacenti, per cui è nota l’importanza dei ditteri necrofagi in Tossicologia forense.
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IL POTERE DEL
SILENZIO L’omicidio di Willy Branchi, un mistero racchiuso per quasi 27 anni nell’omertà di Goro
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«C’era una volta.... “Un re!”, diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato». C’era una volta un giovane uomo che venne ucciso alla giovane età di 18 anni. Questo è l’inizio di una brutta storia accaduta più di 26 anni fa nelle campagne di Goro. È una sera di fine settembre, l’autunno è alle porte, e come spesso accade Willy (Wilfrido Bianchi) esce di casa per andare a mangiare una pizza con gli amici. È la sera del 29 settembre 1988. La mattina dopo il corpo senza vita di Willy viene ritrovato in un campo, tra il cimitero e il centro abitato di Goro, da Miles Massarenti durante una passeggiata con il suo cane Snoopy. È proprio Snoopy che, con il suo fiuto, ritrova il corpo del giovane, ormai privo di vita. Le
urla di Massarenti, alla vista del giovane, sono talmente forti da far precipitare la moglie Eagle e altre persone sul luogo del delitto. Vengono immediatamente allertati i Carabinieri che, insieme al medico legale, non possono far altro che dare un nome al corpo martoriato del giovane. Una morte questa, che scuote un paese intero, per giorni sotto choc. Una morte che cambia per sempre il paese e la percezione che gli stessi abitanti hanno del luogo. Increduli e stupiti, nessuno in paese, riesce a capire come sia potuto accadere che Willy, conosciuto da tutti come un ragazzo ingenuo e trasparente, possa essere stato ucciso in una maniera così brutale. Gli inquirenti, nei giorni successivi al ritrovamento e in attesa dell’autopsia, cercano di battere tutte le piste a loro diposizione: gli amici di Willy, i locali frequentati, le acque del Po, la zona del ritrovamento. Intanto l’autopsia condotta sul corpo di Willy rileva «segni evidenti di violenza al volto, tumefatto ed intriso di sangue; […] il volto disintegrato [...], sotto lo zigomo
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destro un foro di 15 millimetri provocato, con tutta probabilità, con la punta di una pistola utilizzata nel macello di maiali […], l’arma venne usata con una feroce estrema, picchiata in più punti del viso». Causa del decesso sono «colpi e botte fortissime che sono risultati letali». Ai funerali del giovane, celebrati il 4 ottobre, partecipa tutta la popolazione. Tutti stretti, in silenzio, intorno alla famiglia e al loro dolore. Le indagini degli inquirenti portano, poco dopo, all’arresto di Valeriano Forzati, rinomato come il killer del Laguna blu, con il quale Willy aveva passato la serata, prosciolto in seguito perché contro di lui non vi erano prove.
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Anzi nonostante le accuse, il Forzati non si tira indietro e cerca di portare le indagini verso la verità. Ma non viene ascoltato. Passano gli anni, Forzati muore in Brasile e la famiglia di Willy cerca ancora la verità. Ora tutto è in mano al fratello Luca e alla cugina Andrèe che combattono dopo 26 lunghi anni per conoscere quella verità nascosta, in silenzio, da chi in paese sa, ha sempre saputo e non parla. Una verità scomoda che si preferisce celare dietro ad un più comodo silenzio. Una verità che, Luca e Andrèe, cercano di stanare mostrando a tutti, durante una fiaccolata, le foto del corpo martoriato di Willy. Ma la famiglia Branchi non è
degli assassini ma che in realtà quei nomi li sa tutto il paese) fanno sì che l’avvocato possa chiedere la riapertura del fascicolo dell’omicidio di Willy. Ora il passo è breve. Grazie alle nuove tecnologie applicate all’investigazione (DNA, rilevazione impronte digitali, intercettazioni, ecc.) per gli inquirenti non dovrebbe essere difficile trovare la verità. Una verità che tutto il paese afferma di voler sapere ma che, secondo l’ex parroco di Goro, già sanno tutti. Una verità che nemmeno il potente boss del Laguna blu è riuscito a far emergere. Una verità talmente potente da far tremare, forse, quella Goro bene dell’epoca, che è riuscita a nasconderla in un muro di silenzio per oltre un quarto sola. Insieme a loro lotta, da circa un di secolo. anno, l’avvocato Simone Bianchi che, congiuntamente alla collaborazione di Davide Tuzzi della Securiteam, è deciso a scovare i responsabili dell’atroce delitto. Grazie a questa proficua collaborazione il muro di omertà che circonda la morte del giovane Willy inizia, forse, a cedere. Spunta improvvisamente, grazie ad alcune telefonate anonime, una pista: quella dell’omosessualità e un presunto testimone. Una rivista omosessuale anni ‘80 viene fatta ritrovare davanti alla porta della Seacurteam e un’intervista all’ex parroco di Goro, don Tiziano Bruscagin (il quale riferisce non solo di sapere i nomi
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Crimine ai Raggi X a cura di Alberto Bonomo
I luoghi raccontano L’entomologia ci dice che gli insetti hanno un proprio ciclo di sviluppo, scandito da ritmi definiti e determinate caratteristiche specifiche in grado di dirigere le indagini verso una plausibile diagnosi differenziale. Nel caso di un corpo ritrovato denudato in ambiente esterno gli insetti, o meglio le larve, possono aiutare a capire se il cadavere sia stato spostato o meno. È noto come la microfauna volante (vedi varie specie di mosche) sia capace di percorrere notevoli distanze guidata da potentissimi recettori dell’olfatto ma sempre entro il proprio habitat. È altrettanto noto come questa capacità sia di gran lunga inferiore, quasi azzerata, per le piccole larve appena deposte. Nonostante alcune specie siano ubiquitarie (come la mosca comune e la mosca carnaria) la contestuale presenza di varietà locali adattate a condizioni ambientali e di temperature diverse consente di distinguerle mediante accurato confronto. Per tali corollari risulterà particolarmente difficile che si verifichino contaminazioni da parte di insetti che si trovano in aree molto distanti da quelle del ritrovamento a meno che il corpo non sia stato spostato. Se su un corpo rinvenuto in campagna è possibile notare larve di mosca “cittadina” esistono buone possibilità che il corpo sia stato spostato.
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La storia di un crimine nascosto nelle tracce di
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Le conoscenze basilari per comprendere una scena del crimine partendo dai residui ematici
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Quando parliamo di Blood Pattern Analysis (BPA), ovvero lo studio delle macchie di sangue, parliamo di una branca delle Scienze forensi piuttosto complessa che incrocia approfondite conoscenze fisiche, chimico-biologiche ma soprattutto esperienziali volte a comprendere una certa dinamica delittuosa. Se pensiamo ai fatti di cronaca nera, agli omicidi efferati che quotidianamente ci vengono riportati con dovizia di particolari dai media, avremo sicuramente notato la figura di un “esperto delle macchie di sangue” nell’intento di spiegare al pubblico, come un determinato omicidio si possa essere svolto grazie all’esame della morfologia delle tracce di sangue osservate sulla scena del crimine. Le basi scientifiche della futura BPA furono gettate già nel 1895 dal medico Eduard Piotrowki con la pubblicazione del suo articolo Delle origini, la forma, la direzione e la distribuzione delle macchie di sangue susseguenti alle ferite alla testa causate da corpi contundenti. Da quel momento in poi vi è stato un continuo crescendo di studi, raccolta di dati e sperimentazioni, che nel 2002 hanno portato alla nascita di organismi come la SWGSTAIN, ovvero il primo gruppo scientifico di lavoro sulle BPA gemmato direttamente dall’FBI, e la International Association of Bloodstain Pattern Analyst, portando all’elaborazione di protocolli operativi. Entrando nel vivo dell’argomento, a cosa serve la BPA e che informazioni può dare agli investigatori? Per dare delle risposte dobbiamo prima immaginare cosa può accadere durante
L’importanza delle Scienze forensi è fin troppo evidente nelle dinamiche investigative. È per questo motivo che Cronaca&Dossier ha scelto di offrire ai propri lettori la rubrica “Criminalistica” grazie alla collaborazione del prof. Martino Farneti, direttore del corso pratico “Esperto in Balistica Forense e Scena del Crimine”, partendo dallo studio delle tracce per risolvere un crimine. Le fotografie pubblicate nel presente articolo sono state cortesemente concesse dal “Centro Balistica Forense”.
Prof. Martino Farneti.
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un atto criminoso condotto con l’utilizzo di armi da fuoco e da taglio oppure con corpi contundenti. Generalmente sulla scena del crimine vengono sempre ritrovate delle tracce di sangue (tranne che non siano state lavate od occultate) sotto forma di gocce, schizzi, spruzzi o addirittura pozze che possono essere riferite sia alla vittima che all’aggressore. La BPA classifica le macchie di sangue in tre tipologie. Le prime sono dette “tracce passive”, rappresentate da gocce o volumi maggiori di sangue in caduta libera rilasciate da un corpo o da un’arma. Queste gocce se cadono perpendicolari su una superficie liscia tendono a mantenere una forma circolare. Se il punto di impatto è una superficie ruvida la goccia tende a perdere la forma circolare assumendo dei contorni appuntiti e disperdendo attorno a sé dei piccoli satelliti. Quando la goccia cade o è lanciata su una superficie verticale o inclinata, quindi con un angolo
Goccia di sostanza ematica mattonella a superficie ruvida.
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non retto, tende ad assumere la forma di un ellissoide irregolare. Una serie di gocce allungate possono indicare all’investigatore che la vittima era in movimento, oppure la direzione in cui è fuggito l’aggressore con in mano l’arma del delitto. La forma e la dimensione delle gocce possono indicare la grandezza dell’arma da cui sono state rilasciate: piccole nel caso di un coltello o un punteruolo, grandi nel caso di una mazza o un martello. Le secondo sono le cosiddette “tracce a spruzzo”, prodotte dall’azione di forze esterne applicate al sangue. Ad esempio un coltello oppure un corpo contundente che impattano più volte con una certa velocità contro il corpo umano portano alla proiezione di macchie di sangue le cui caratteristiche possono fornire valide informazioni circa l’arma utilizzata, il numero di colpi e la loro direzione. Quando vengono utilizzate armi da fuoco, sebbene vi sia l’alta velocità d’impatto del proiettile contro il corpo umano, la fuoriuscita del sangue è sempre lenta ed inizialmente viene assorbita solo dagli indumenti prima di essere poi visibile all’esterno. Se invece il proiettile colpisce la testa, la proiezione di sangue avviene nella direzione di uscita del proiettile sotto forma di nebulizzazione. Questo dato rende più facile la ricostruzione della posizione della vittima nel momento in cui è stata attinta. Esaminando ancora le tracce di sangue prodotte da un’arma
Gocce di sostanza ematica presenti sul muro.
da fuoco è interessante osservare, ad esempio nei casi di suicidio, quelle provenienti dal foro di ingresso (c.d. back spatter) che vengono proiettate nella direzione dell’arma. Immaginiamo quindi di essere di fronte al caso di una
persona attinta da un colpo sparato alla tempia e con la pistola stretta in pugno. Apparentemente potrebbe sembrare un suicidio, ma l’eventuale assenza di gocce di sangue proiettate dal foro di entrata sulla mano del cadavere o addirittura sull’arma potrebbero orientare gli investigatori verso un’ipotesi omicidiaria. Vi sono inoltre le “tracce alterate”, ovvero quelle tracce di sangue che, rispetto al loro stato originario, presentano delle modifiche nella forma totale o parziale dovute alla presenza di liquidi sul punto di caduta, oppure per trascinamento del corpo della vittima o del cadavere. Questa categoria include anche i cosiddetti insect artifact ovvero l’alterazione delle macchie di sangue a causa dell’azione di insetti ematofagi. Come abbiamo visto, la Blood Pattern Analysis è una branca delle Scienze
Modifica delle gocce di sangue dovuta alla presenza di liquidi sul pavimento.
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forensi che, come sostiene il prof. Martino Farneti, docente del corso professionale per “Esperti in Balistica forense e Scena del crimine” «è rappresenta da un insieme di conoscenze scientifiche di base che un buon criminalista deve assolutamente possedere. Come insegniamo ai nostri “studenti”, dopo aver appreso la teoria si deve assolutamente fare tantissima esperienza pratica sulla reale scena del crimine, osservare e di nuovo osservare prima di fornire un qualsiasi giudizio. Quando non si comprende è indispensabile svolgere anche un’attività di sperimentazione in laboratorio, produrre simulazioni e modelli che possano poi essere di aiuto nel dibattimento di fronte al giudice. Solo così si possono formare persone qualificate in grado di svolgere questo delicato mestiere di consulente nel mondo delle Scienze forensi. In Italia questa disciplina è diventata molto di moda, dove “tutti” forniscono la loro versione, ma di fatto questa materia non essendo regolamentata è generatrice di un grave problema nazionale ed internazionale rappresentato dal fatto che colui che insegna questa scienza l’ha appresa da una persona che a sua volta l’ha appresa da un’altra che di solito non è mai stata sulla reale scena del crimine. Va da sé che il loro sapere si fonda su ciò che hanno letto o sentito dire da altri. Ecco perché in Italia di “esperti” in questa delicata materia ve ne sono pochissimi,
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Gocce di sostanza ematica da spruzzo e da gocciolamento di una ferita.
che addirittura si possono contare sulle dita di una mano, naturalmente in parte “monca”». Aggiunge il prof. Farneti: «Lo stesso problema è presente anche in altri Stati dove, in ambito di convegni specialistici, a persone “accreditate” come “esperti e studiosi” della materia, davanti alla domanda “in quante scene del crimine reali Lei è stato presente?” la risposta è stata molto spesso imbarazzante, della serie “mai” o “pochissimi casi”. Per quanto riguarda le indagini difensive, prima di nominare un “esperto” in (BPA) è indispensabile accertarsi in via preventiva quale effettivamente sia la sua reale esperienza in questo delicatissimo settore».
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QUELLA STRAGE DIMENTICATA NEGLI ARCHIVI Dopo 48 anni la veritĂ ufficiale sulla strage di Cima Vallona potrebbe vacillare
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Spesso ci si lamenta della lentezza e dell’inconcludenza della Giustizia italiana. Nel caso della strage di Cima Vallona però l’iter giudiziario è stato tempestivo e inalterato, tanto da suscitare qualche dubbio. Sono le 03:40 del 25 giugno 1967 quando una sentinella del distaccamento di Forcella Dignas (nei pressi di San Pietro di Cadore, in provincia di Bolzano) sente una forte esplosione provenire dal passo di Cima Vallona. Avvisato immediatamente il comando più vicino, viene istituita al più presto una squadra per verificare le cause dell’esplosione. Alle ore 05:30 il gruppo, nel quale sono presenti anche alcuni artificieri, parte alla volta di Cima Vallona. Il passo è oltre i 2.300 metri e i mezzi, bloccati dalla neve, costringono la squadra a fermarsi a 600 metri dal luogo dell’esplosione. Proseguono a piedi fino a circa 70 metri dal passo quando un ordigno nascosto sotto un cumulo di ghiaia esplode violentemente, investendo l’alpino Armando Piva, che morirà la sera stessa in seguito alle ferite riportate nell’esplosione. Il caso passa quindi all’Antiterrorismo, che invia una squadra sul posto: il capitano dei Carabinieri Francesco Gentile, il sottotenente Mario Di Lecce e i sergenti Olivo Dordi e Marcello Fagnani arrivano nei pressi dell’attentato in elicottero. Giunti sul posto svolgono le indagini di rito ma durante il tragitto di ritorno verso l’elicottero (lo stesso percorso all’andata) uno di loro attiva un secondo ordigno
che costa la vita al capitano Gentile, al sottotenente Di Lecce e al sergente Dordi. Il più fortunato, il sergente Fagnani, è ferito gravemente. Successive indagini sul luogo dell’attentato portano alla luce due tavolette di legno con una scritta chiara ed emblematica: «Voi non dovete mai avere più la barriera di confine al Brennero. Prima dovete ancora scavarvi la fossa nella nostra terra». La rivendicazione viene attribuita al
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BAS (Befreiungsausschuss Südtirol) traducibile in italiano con “Comitato di liberazione del Sudtirol”. Le indagini, come accennato, sono rapide e inappellabili: già nel 1970 (solo tre anni dopo) giungono le sentenze definitive. Norbert Burger, austriaco ritenuto dagli investigatori come capo della cellula sovversiva e ideatore dell’attentato, viene condannato all’ergastolo per strage continuata pluriaggravata, vilipendio di cadaveri, danneggiamento aggravato e banda armata. Il tedesco Peter Kienesberger, ritenuto l’artificiere che fabbricò le bombe, viene condannato all’ergastolo per strage,
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vilipendio di cadaveri, danneggiamento e banda armata. Altri due tedeschi, Erhard Hartung e Egon Kufner, ovvero coloro che piazzarono le bombe secondo gli inquirenti, vennero rispettivamente condannati all’ergastolo e a 24 anni per strage e banda armata. Ma la storia non finisce qui: nel 2013 lo storico austriaco Hubert Speckner pubblica un libro dal titolo Zwischen Porze und Roßkarspitz (“Tra Porze e Roßkarspitz”) in cui paventa l’ipotesi dell’innocenza dei condannati. In seguito al ritrovamento di alcuni documenti sulla strage traspare che i sospettati, dopo forti pressioni del
pianificato dai servizi segreti italiani, una sorta di “test” in vista di quella che sarebbe stata la Strategia della tensione. In ogni caso, sottolinea Speckner, mentre la non colpevolezza degli attivisti austriaci sarebbe stata provata, il coinvolgimento dei servizi segreti è mera speculazione: finché gli archivi italiani non apriranno le loro porte sarà impossibile stabilire identificare i colpevoli. Una storia già sentita.
governo italiano, vengono processati in Austria dove sono assolti per mancanza di prove. Secondo il Tribunale di Vienna, la cui sentenza risale al 18 maggio 1971, gli imputati non avrebbero potuto commettere l’attentato per mancanza di tempo. Secondo la ricostruzione i quattro erano in viaggio verso Cima Valona per aiutare un camerata ferito. Giunti al passo si sarebbero insospettiti, fiutando la trappola, e sarebbero immediatamente tornati a valle. Nel libro Speckner sostiene l’ipotesi che l’attentato sia stato
Il capitano Francesco Gentile.
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fenomeno senza confini I dati su quanto accade in Italia e nel mondo
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Il fenomeno dello Stalking, conosciuto anche come “sindrome del molestatore assillante”, comincia a suscitare interesse a partire dagli anni ‘80, in seguito ad episodi di molestia compiuti ai danni di personaggi famosi, del mondo dello spettacolo e dello sport. Negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Regno Unito il fenomeno assume sin dall’inizio dimensioni preoccupanti, tanto da rendere indispensabile l’adozione di una disciplina apposita, a partire già dagli anni ‘90. La prima legge nazionale a riguardo viene introdotta in quell’anno, in California. Tutti i cinquanta Stati e il Distretto di Colombia, nel 1995, approvano una specifica legislazione.
L’Italia, invece, rispetto agli altri, fino ai primi mesi del 2009 non ha ancora una legge specifica. Il decreto recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, viene convertito in Legge il 23 aprile del 2009. Il fenomeno, quindi, nella Penisola, si fa sentire più tardi, probabilmente per ragioni culturali e sociali, divenendo anche oggetto di studio e di ricerche. Agli studi in ambito forense e alle proposte di intervento a carattere legale, si aggiunge, con il passar del tempo, la ricerca clinica che fa emergere diversi filoni di analisi. Inizialmente ci si concentra
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solo sulla modalità comportamentale (psicologica e psicopatologica) del molestatore, successivamente gli studi si focalizzano anche sull’impatto psicologico dello stalking sulle vittime. Diventa fondamentale l’analisi del contesto di riferimento che spesso mette in evidenza anche un quadro sociopatologico legato a modelli culturali, familiari e sociali. Da un’indagine dell’O.N.S. (Osservatorio Nazionale sullo Stalking), realizzata in collaborazione con il sindacato di Polizia Co.I.S.P. nel periodo 2001/2007, emergono i dati finora più dettagliati e completi sul fenomeno. Prendendo in esame 16 regioni e un campione di 9.600 interviste, le azioni di stalking vengono così ripartite: 55% circa nelle relazione di coppia; 25% circa nei condomini; 15% sul posto di lavoro; 5% in famiglia (tra figli, fratelli e genitori).
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Fonte dati:
Osservatorio Nazionale sullo stalking, 2007
Dati più recenti mostrano un aumento del fenomeno. Dal primo agosto del 2012 al 31 luglio 2013 le denunce in Italia sono state 9.116. Il dato, emerso dal dossier del Viminale, mette in evidenza una situazione allarmante. A denunciare atti di stalking sono maggiormente le donne (77,3%) esposte in misura maggiore a situazioni di rischio. Secondo il rapporto del Viminale, su 505 omicidi volontari commessi in un anno in Italia, nel 29,7% dei casi le vittime sono donne. In particolare 43 omicidi volontari sono commessi dal partner, 20 dall’ex partner e 37 da un familiare. Con il passar degli anni e con l’evoluzione della tecnologia, il fenomeno si manifesta
anche in altre forme. La diffusione del cyberstalking fa aumentare le situazioni di rischio e richiede maggiori controlli da parte delle Forze dell’ordine. Spesso, lo stalker mette in atto azioni virtuali che tormentano la vita della vittima. False accuse, monitoraggio, minacce, furto di identità e distruzione o manipolazione di dati sono le attività più frequenti negli ultimi tempi. Oltre alle molestie verbali, fisiche e psicologiche, le vittime di stalking si ritrovano sempre più spesso a dover affrontare delle vere e proprie guerre virtuali. Le forme di violenza sono in aumento, ma il comune denominatore è dato dal fatto che vanno a compromettere la libertà della persona.
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Il lavoro minorile in Italia Studi e statistiche su un fenomeno che mobilita tutto il mondo
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“Lavoro minorile” sembrerebbe un ossimoro, invece, purtroppo è una triste realtà. Che colpisce più di 120 milioni di bambini, dai 5 ai 14 anni, in tutto il mondo, specialmente nelle aree più povere (America Latina, Africa Subsahariana, Asia-Pacifico, Est Europeo). Nemmeno il Nord del pianeta ne è immune, neppure l’Italia. Ciò che preoccupa è che la metà di questi bambini svolge lavori rischiosi. Secondo la Convenzione n. 138 del 1973 dell’I.L.O. (Organizzazione Internazionale per il Lavoro), il concetto di lavoro minorile si riferisce al lavoro svolto al di sotto dell’età minima legale di ammissione all’impiego che, in base a ciascun Paese che l’ha ratificata, varia da un minimo di 14 anni ad un massimo di 16 anni. Il lavoro minorile racchiude una rosa di attività diverse fra loro, ma tutte
Approfondimento
a cura di Nicoletta Calizia
Un circolo vizioso Tipica della letteratura su questo argomento è la distinzione tra Child Labour, cioè il lavoro pesante collegato allo sfruttamento ed alla schiavitù, e il Child Work, forme leggere di lavoro, ai limiti dell’illecito. Un’altra differenziazione si fa tra il lavoro consenziente, svolto in accordo con i genitori, e il lavoro forzato, ossia una vera e propria condizione di schiavitù. Dall’analisi degli aspetti principali del lavoro minorile emergono alcune importanti questioni. Innanzitutto si comprende come il lavoro minorile includa in sé altri fenomeni, sempre negativi: la povertà, la tratta e il traffico di esseri umani, la schiavitù, lo sfruttamento sessuale e il turismo sessuale. E in secondo luogo, come molto spesso i motivi che spingono un bambino a lavorare sono da ricondurre alla famiglia. Si tratta di famiglie allo stremo della povertà che forzano i loro figli a lavorare anche per pochi soldi, al fine di sopravvivere. In alcuni casi, però, una famiglia non ce l’hanno perché abbandonati o perché i genitori sono stati vittime di guerre e malattie. Altro motivo sono i costi elevati
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accomunate dal fatto di essere dannose per il loro benessere fisico ed emotivo. I lavori in cui vengono maggiormente impiegati sono: nei campi, nelle piantagioni, nei lavori domestici, nelle fabbriche (realizzando prodotti come tappeti, palloni, scarpe, gioielli, fiammiferi, fuochi d’artificio e vetreria), sulle strade come accattoni, nelle miniere di oro, diamanti o carbone, nell’edilizia, nei bar; ristoranti e stabilimenti turistici, nell’industria sessuale e pedopornografica o come soldati o schiavi. Sono tante le motivazioni legate al lavoro minorile: frequentemente si trovano costretti dai propri genitori a lavorare per poter sfamare la loro famiglia, abbandonando così l’idea di avere un’istruzione adeguata; spesso vengono preferiti agli adulti poiché meno esigenti sul salario e sulle condizioni lavorative o perché sono più adatti a certi tipi di lavoro (per esempio, hanno dita più piccole ed agili) e vengono sfruttati perché più vulnerabili. Anche in Italia il lavoro minorile è una questione sociale: è aumentato, infatti, il numero delle famiglie che vivono in condizioni difficili e precarie ed è divenuto una prassi diffusa anche in ambienti non toccati dalla povertà estrema. Nel nostro Paese si stima che i minori di 16 anni che lavorano sono circa 260.000, cioè il 5,2% della popolazione fra i 7 e i 15 anni, e al
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dell’istruzione, per molti di loro è impossibile andare a scuola e i loro genitori, pensando sia inutile, in quanto non sviluppa competenze tecniche, non crea profili professionali e non garantisce una possibilità certa per il futuro, allontanano i loro figli dal mondo scolastico e facilitano il loro ingresso in attività lavorative precoci. Si viene così a configurare una forte relazione tra dispersione scolastica e lavoro minorile. Il lavoro precoce diviene così un’esperienza difficilmente reversibile ed essendo un prodotto della povertà contribuisce anche a riprodurla. Si crea, dunque, un circolo vizioso: questi bambini diventeranno adulti non qualificati e mal pagati, che a loro volta costringeranno i propri figli a contribuire al reddito famigliare introducendoli al lavoro, fin da piccoli. Il 12 giugno è stata la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile e l’I.L.O. ha lanciato un appello: istruzione gratuita, obbligatoria e di qualità per tutti i minori, almeno fino all’età minima per l’ammissione all’impiego, e nuovi sforzi per garantire la coerenza e l’efficacia delle politiche nazionali sul lavoro minorile. È necessario nel 2015 ascoltare e dare seguito a questa importante sollecitazione al fine di estendere la protezione sociale di tutti i minori, in special modo di quelli in difficoltà.
crescere dell’età aumenta la percentuale di chi fa un’esperienza di lavoro. In Italia si va da impieghi che non presentano particolari pericoli a forme di lavoro estremamente rischiose come quelle illecite (attività di spaccio o legate agli ambienti criminali e alle organizzazioni mafiose), che dalla loro parte hanno il fatto di produrre un guadagno maggiore e in poco tempo. Privati dei loro diritti fondamentali – il diritto alla protezione, all’istruzione e all’assistenza sociale e sanitaria – si trovano ad affrontare ambienti di lavoro pericolosi, eccessive ore di lavoro, maltrattamenti psicologici, verbali, fisici e sessuali, salario misero o nullo, vita e
lavoro in strada o comunque in cattive condizioni, impossibilità di sfuggire alla miseria, nessun accesso all’istruzione e soprattutto l’invisibilità. Compito della famiglia, della scuola, della società intera e dei governi di tutto il mondo è quello di rendere visibile questa piaga sociale e fare in modo che diminuisca il numero di bambini coinvolti in queste turpi attività, agendo attraverso la prevenzione, ma soprattutto attraverso interventi mirati all’adozione di misure legislative e di politiche attive – non omertose e non colludenti con la criminalità e il mondo delle industrie multinazionali – che siano comuni in tutti i Paesi dove è maggiormente diffuso il problema.
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L’Arte oltre la disabilità Le incredibili potenzialità, i prodigi e le testimonianze di chi ha realizzato il proprio sogno
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«Impariamo a guardare oltre, oltre le apparenze, oltre ciò che gli occhi vedono e solo così scopriremo un mondo tutto nuovo». Questo è il messaggio che si vuole dare a quanti si affacciano poco o nulla a situazioni che non conoscono, come quella della disabilità. Difatti, spesso non sapendo ciò che si cela realmente dietro una persona con difficoltà, si creano dei veri e propri divari, fino alla ghettizzazione. Abbiamo parlato di disabili nell’ambito lavorativo, così come nello sport, ma ancora non avevamo trattato il tema dell’arte e di come persone con disabilità possano essere grandi artisti. In tutto il mondo sono tanti gli artisti disabili che si prodigano in discipline differenti. Li troviamo nella danza, nella pittura, nella scultura, nella fotografia, nella musica e altrettante sono le mostre che ogni anno sono presentate. Oggi grazie anche ad internet, ci sono reti internazionali e festival a loro dedicati che li promuovono. Eppure già negli anni ‘70 esistevano artisti disabili, vediamo per esempio Stephen Wiltshire, un ragazzo autistico molto famoso in grado di creare disegni dettagliati dopo aver guardato il soggetto una sola volta. Eppure aveva imparato a parlare a 9 anni e a 10 a disegnare. Di lui abbiamo opere incredibili, il più famoso è Panoramic landscape, di New York, che ha visto una sola volta durante un volo in elicottero di 20 minuti. E che cosa dire di un pittore cieco? Sì avete
capito bene: eppure Lisa Fittipaldi ha cominciato nel 1995, due anni dopo aver perso la vista e, nonostante questo, la maggior parte dei suoi 400 dipinti sono stati venduti. Come potete ben comprendere, nulla è impossibile. Un altro famosissimo esempio è la danzatrice senza braccia che tutti conosciamo: Simona Atzori di 37 anni. Lei ha cominciato a dipingere con i piedi a 4 anni e a 6 seguiva corsi di danza classica. L’arte disabile si sta aprendo al mondo ogni giorno di più ed è sempre più
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apprezzata. Questo grande passo serve non solo come promozione, ma in modo particolare per l’abbattimento delle barriere del pregiudizio. I disabili hanno capacità diverse, ma delle volte incredibili e migliori di quelle possedute da tante persone cosiddette “normodotate”. Ed ecco così che nascono le onlus ad hoc, che promuovono festival di abilità differenti. Ne abbiamo all’estero ma anche in Italia, come per esempio la Cooperativa Sociale Nazareno, che da più di 30 anni si occupa di questo. Esiste inoltre un sito che raccoglie artisti disabili di tutto il mondo (della International guild
of disabbled artists and performers). Descrivere la disabilità in forma artistica non è cosa facile, eppure alcuni artisti si sono cimentati in questo arduo compito, ed è uscita da poco una stupenda mostra, visibile a Roma fino a metà giugno. In conclusione arte e disabilità sono un binomio perfettamente compatibile, perché la creatività e l’attitudine personale non vengono ostacolate dal disagio personale; inoltre la volontà può far arrivare là, dove il fisico non giunge e quindi, alla realizzazione dei propri sogni.
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LIBRO E PROGRAMMA TV
CONSIGLIATI Ritratti Criminali
a cura di Mauro Valentini
Gli “insoliti sospetti” di un secolo di crimine «Per antropometria si deve intendere l’investigazione statistica dei caratteri dei gruppi umani, siano essi misurabili (“quantitativi” come il peso, la statura, le dimensioni della testa, la frequenza del respiro, la durata della vita, ecc.) o classificabili (“qualitativi” come il colore degli occhi, la forma dei capelli, le proprietà biochimiche del sangue, ecc.)». La Treccani è chiara nel descrivere la scienza antropometrica. L’intuizione che tale classificazione potesse aiutare la schedatura dei criminali venne ad Alphonse Bertillon, che a Parigi, nel 1882 mise a punto L’antropometria segnaletica. Quell’idea è sostanzialmente arrivata nelle forme di allora fino ad oggi, tramite il suo prezioso archivio composto da uomini e donne che hanno infranto la legge, sintetizzando in due scatti: uno di prospetto, l’altro di profilo. È da questi archivi di volti criminali (ma anche di innocenti scambiati per tali) che Massimo Picozzi e Pellicer Raynal hanno realizzato Ritratti Criminali (Mondadori), un ragionato archivio storico, accompagnato dalle immagini di questi “bravi ragazzi” di ogni tempo oltre che da brevi testi attinti dai dossier giudiziari che descrivono le loro storie. Il volume propone presunti colpevoli divenuti, in molti casi, famosi. Fra questi ci sono non solo criminali, nemici pubblici, mafiosi, collaborazionisti, ma anche membri della Resistenza e militanti dei diritti civili. Alcuni davvero famosi come Bonnie&Clyde, Mata Hari e Al Capone ma anche persone arrestate per svariati motivi, alcuni davvero sorprendenti come Janis Joplin, Jim Morrison, Jane Fonda e Jimi Hendrix. Non mancano alcuni grandi casi della cronaca nera italiana, la cui storia è approfondita dagli autori nei testi a corredo. Un catalogo indispensabile per gli addetti ai lavori ma anche e forse soprattutto per gli amanti della cronaca nera. Un vademecum storico, attraverso il quale si potranno leggere per mezzo dei crimini il periodo storico in cui essi sono stati commessi e l’evoluzione del costume oltre che della capacità investigativa.
Diritto di Cronaca, la nuova rubrica di politica ed attualità in onda
ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.
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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO
CONSIGLIATI a cura di Nicola Guarneri
Al cinema
Una storia sbagliata
Il ritorno sul grande schermo di Tavarelli (assente da Non prendere impegni stasera del 2006) avviene con un film nudo e crudo: Una storia sbagliata (il titolo è un omaggio a De Andrè) racconta l’amore coniugale di Roberto (Francesco Scianna) e Stefania (Isabella Ragonese). La storia d’amore è provata dai continui viaggi di Roberto, spesso all’estero per missioni militari, tanto che Stefania, dottoressa specializzata in pediatria, decide di partire per l’Iraq dove curerà i bambini affetti dal labbro leporino. Il viaggio ha però un secondo fine che lo spettatore scoprirà ben presto; la ricerca della famiglia di un kamikaze è lo stratagemma di Tavarelli per confrontare due culture e due religioni che nel mondo contemporaneo sono sempre più intersecate, rappresentate da Stefania e dalla sua guida irachena.
In radio Nun te Radioreggae più, ideato e prodotto da Claudio Caruso, in onda ogni lunedì dalle 22:30 alle 00:00 su “Radio Libera Tutti” (www.radioliberatutti.it) o app RTL, è un’ora e mezza di puro intrattenimento con la conduzione di Claudio Caruso e Federico Mancini, per dire finalmente cosa non sopportiamo, parlando di attualità ma sempre con una vena ironica. La Radio lavora anche alla rubrica Dalla parte di chi non c’è ispirato a tutte quelle persone che sono vittime dello Stato o della mafia.
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