COPIA OMAGGIO
anno 2 – N. 19, Ottobre 2015
(QUASI)
ARCHIVIATI SENZA GLORIA
Pasolini, Orlandi, Pantani: i tre emblemi dei limiti della Giustizia italiana Caso Eligia Ardita, si cerca un complice?
Caso Avantaggiato, quei pericolosi permessi premio
Consulenze tecniche, i limiti e le problematiche
Indice del mese 4. Inchiesta del mese
7
PASOLINI, RAGIONI DI UN’ARCHIVIAZIONE
18
8. Inchiesta del mese ORLANDI-GREGORI, LA DECISIONE DEL GIP
14. Inchiesta del mese PANTANI, DA POSSIBILE OMICIDIO A SUICIDIO
18. Ricerca e analisi LENTAMENTE MUORE LA GIUSTIZIA ITALIANA
22. Dossier società
23
RIASSETTO GIUDIZIARIO, COSTI E SPENDING REVIEW
26. Memorabili canaglie QUEL SERIAL KILLER IN PERMESSO PREMIO
28
2
27
32. Criminalistica
CONSULENZE TECNICHE, LIMITI E PROBLEMATICHE
COPIA OMAGGIO
anno 2 – N. 19, Ottobre 2015
(QUASI)
ARCHIVIATI SENZA GLORIA
Pasolini, Orlandi, Pantani: i tre emblemi dei limiti della Giustizia italiana Caso Eligia Ardita, si cerca un complice?
Caso Avantaggiato, quei pericolosi permessi premio
Consulenze tecniche, i limiti e le problematiche
38. Diritti e minori
GIUSTIZIA ITALIANA A MISURA DI BAMBINO
42. Sulla scena del crimine DELITTO ARDITA, SI CERCA UN COMPLICE?
48. Sulla scena del crimine DA ZURIGO L’IPOTESI DI UN SERIAL KILLER
54. Dossier da collezione
STATO-MAFIA, LE ULTIME RIVELAZIONI SUL CASO ALFANO
60. Storie di tutti i giorni LE PIEGHE OSCURE DELLA “BUONA SCUOLA”
66. Media crime
LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI
ANNO 2 - N. 19 OTTOBRE 2015
Rivista On-line Gratuita Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi Articoli a cura di Alberto Bonomo, Tommaso Nelli, Nicoletta Calizia, Nia Guaita, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Katiuscia Pacini, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Francesca De Rinaldis. Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione. Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
MESE o L E D om IESTA Bon
INCH Alberto aned elal a di r
@
a cu
PASOLINI LE RAGIONI TECNICHE DI UN’ARCHIVIAZIONE Dopo le nuove ricerche del RIS nulla di fatto nelle indagini sulla morte del celebre poeta
4
Forse quarant’anni sono davvero troppi? Eppure la cronaca racconta di casi in cui la verità tarda decenni ad arrivare ma poi arriva. Forse è solo questione di “fortuna”. A nulla è servita l’ultima ed estrema richiesta di opposizione all’archiviazione presentata da Stefano Maccioni, legale di Guido Mazzon cugino di Pier Paolo Pasolini. L’inchiesta, aperta cinque anni fa proprio a seguito di una denuncia del cugino dello scrittore al fine di far luce sulle circostanze di quella notte maledetta del 2 novembre 1975 all’idroscalo di Ostia, si chiude, possiamo dire, definitivamente: per la legge l’unico colpevole dell’efferato delitto è e rimarrà Pino Pelosi detto “la rana”; lo stesso Pino Pelosi che, sebbene poco attendibile, propinerà negli anni svariate versioni di un pestaggio per opera di più persone. A decretare la suddetta archiviazione è il gip Maria Agrimi; il giudice, una volta recepite e analizzate le conclusioni della Procura di Roma, sulla base degli elementi raccolti, ha accolto la richiesta dei PM mettendo la parola fine sul presunto mistero, ritenendo non sufficienti i seppur nuovi tasselli di questo sanguinoso enigma riesumati dalla macchina investigativa. La decisione nasce proprio dalle conclusioni, estrapolate dall’attività d’indagine condotta dai carabinieri del RIS di Roma, depositate dal procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il sostituto procuratore Francesco Minisci, attraverso le quali si chiedeva concretamente
Pier Paolo Pasolini
l’archiviazione del procedimento. Si evince che la richiesta presentata dai magistrati è corroborata dalla decisione del Gip in quanto, nonostante non sia possibile non tener conto dei nuovi elementi emersi, non è in alcun modo plausibile ritenerli idonei a proseguire il cammino su una strada apparentemente a vicolo cieco. Tra gli elementi di maggior interesse investigativo si evidenziano i cinque profili genetici individuati dalle analisi di
5
MESE L E D o ESTA nom I o H B C o IN
t lber alaned A i ra d @el a cu
laboratorio sul tessuto interno dei jeans indossati quella sera da Pasolini e sul plantare rinvenuto all’interno dell’Alfa Gt ma non attribuibili a nessuna delle persone che a vario titolo sono state coinvolte nella lunga inchiesta sull’omicidio dello scrittore. Nel provvedimento dei PM, in seguito accolto dal Gip, si afferma, infatti, l’evidente impossibilità di stabilire la paternità dei profili rintracciati e l’inverosimile collocazione in uno spazio temporale antecedente contestuale o susseguente all’evento omicidiario.
Monumento alla memoria del poeta, Lido di Ostia
6
Come se non bastasse, oltre la vacuità, o meglio il limite, o meglio l’apparente strumentalizzazione cronologica delle prove scientifiche, in corso di accertamento delle oltre trentaquattro deposizioni testimoniali emerge solo un grosso e torbido buco nell’acqua. Un’archiviazione che potrebbe essere la fine di una storia processuale ma di certo non la fine di un dubbio, di certo non la verità sulla linea del traguardo. Il rammarico più grande, come sottolineato dell’avvocato Stefano Maccioni, sta nell’essere riusciti,
di altri soggetti al momento del massacro; una conclusione che alla luce delle ultime notizie, con il senno di poi, suona come una beffa. A nulla è servito, nell’estremo atto di opposizione, annotare anche le nuove e ulteriori strade investigative da percorrere, i possibili coinvolgimenti della malavita romana e italiana, cosi come non è servito a nulla ripercorrere tutte le tappe di un’indagine all’epoca condotta in modo eufemisticamente discutibile. In un’epoca in cui si celebra la forza indiscussa della prova scientifica come la regina incontrastata della verità, a volte a discapito della più sottile logica, esistono casi in cui anche la scienza è costretta a chinare il capo impotente.
Murales dedicato a Pasolini
con molta probabilità, a evidenziare la presenza di altri individui sulla scena del crimine e contestualmente nell’aver reso vano questo risultato così importante; sopratutto alla luce di quel ragionamento logico che fu postilla alla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale dei Minori di Roma con cui si accusava, sì, Pelosi dell’omicidio ma supponendo e rilevando, tuttavia, la probabile presenza
7
MESE i L E D ell TA HIES so N
INC
ma Tom icohippy i d ra im a cu @K
CASO
ORLANDI-GREGORI
PROCURA AD ALTA TENSIONE Tra archiviazione e nuova indagine, l’esito del Gip sarà già storia della cronaca nera italiana
8
Archiviare o non archiviare? Questo il dilemma. Al termine di una seduta fiume di oltre cinque ore, mercoledì 30 settembre il gip Giovanni Giorgianni si è preso una pausa di riflessione, annunciando che entro il 15 ottobre avrebbe reso noto l’esito dell’inchiesta giudiziaria sulla sparizione di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Ma alla scadenza prefissata nessuna comunicazione ufficiale dalla palazzina-C di piazzale Clodio cosicché il destino delle due quindicenni sparite a Roma nel 1983 rimane in sospeso fra una restituzione alla speranza della verità o una definitiva consegna all’oblio. Il 5 maggio scorso
la Procura di Roma, nel provvedimento sottoscritto dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dal pm titolare delle indagini Simona Maisto e dalla dottoressa Ilaria Calò (magistrato comparso solo in calce al documento), aveva chiesto l’archiviazione per il procedimento istruttorio relativo alle due adolescenti scomparse nel 1983. Una decisione abbastanza sorprendente perché non condivisa dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, altro timoniere delle indagini (e di grado superiore rispetto alla collega), che non ha firmato l’atto poiché – come riportato dall’AdnKronos
Cupola di San Pietro
9
SE
L ME E D A T
lli o Ne s a m y i Tom icohipp d a r im a cu @K
S
IE INCH
sabato 26 settembre – riteneva necessari altri accertamenti. Un parere che non può non pesare nelle valutazioni del Gip, che intanto ha prestato ascolto alle istanze dei legali delle parti altrimenti, avendo letto tutti gli atti dell’immane incartamento, sarebbe entrato in udienza con le idee abbastanza chiare su come uscirne. Ma come si è arrivati al redde rationem di uno dei casi più contorti e dibattuti dell’Italia Repubblicana? Dallo scorso mese di gennaio, ultimo zoom di Cronaca&Dossier sulla vicenda, al primo piano della palazzina “C” di piazzale Clodio non si erano più registrate grosse novità salvo aver ignorato Alì Agca, piovuto clandestinamente in Italia durante
Emanuela Orlandi
le scorse vacanze natalizie per deporre un mazzo di fiori sulla tomba di Karol Wojtyla e per chiedere alle autorità italiane di essere ascoltato poiché in possesso di novità sul caso, a seguito della sua conclamata inattendibilità. Mentre dai corridoi della
10
città giudiziaria si vociferavano ulteriori accertamenti circa le dichiarazioni di Marco Fassoni Accetti, presentatosi in Procura all’indomani dell’elezione di Papa Bergoglio per autoaccusarsi di aver avuto un ruolo nella sparizione delle due giovani, all’improvviso rimbalzava sulle agenzie la notizia della chiusura dell’attività istruttoria. Comprensibile la decisione, ma non la scelta di consegnare le due sfortunate ragazze al silenzio e all’ingiustizia un’altra volta dopo l’archiviazione del 19 Pietro Orlandi
dicembre 1997. La volontà della Procura ha messo fuorigioco ben cinque delle sei persone iscritte nel registro degli indagati e riconducibili alla cosiddetta “pista della Banda della Magliana”. In primis, Sabrina Minardi, venuta allo scoperto nel 2008 con la tesi della Orlandi rapita dalla temuta holding politico-criminale capitolina su ordine di Enrico De Pedis per un ricatto al Vaticano a causa di un prestito di denaro mai rientrato. Oltre all’ex moglie dell’ex calciatore Bruno Giordano, prosciolti anche Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni, ritenuti gli esecutori materiali del sequestro. Insieme a Basilica di Sant’Apollinare, Roma
11
MESE L E D elli STA so N CHIE
IN
a mm hippy o T i ra d Kimico a cu @
loro, scagionato anche Don Vergari, ex rettore della Basilica di S. Apollinare dove fino al 2012 erano custodite le spoglie di Enrico De Pedis. Destino differente invece per Marco Fassoni Accetti, reputato non credibile perché incapace di fornire riscontri concreti alle sue ricostruzioni, bollate come fantasiose dagli inquirenti, che hanno chiesto lo stralcio della sua posizione e l’apertura di un nuovo fascicolo d’imputazione per calunnia e autocalunnia. Non contento, il sessantenne cineasta indipendente
La banda della Magliana
12
romano a settembre è ritornato alla carica collegando al mistero delle due giovani anche la morte di Caterina Skerl, diciassettenne capitolina trovata morta in un vigneto a Grottaferrata il 22 gennaio 1984. Un’associazione alquanto dubbiosa per una morte mai chiarita. Come i destini di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. L’ultima parola spetta al Gip. Archiviare equivarrebbe a una pesante sconfitta della giustizia italiana, che si rivelerebbe incapace di scoprire che ne è stato di due quindicenni di umili origini. Se invece emergeranno nuovi spunti investigativi, il caso sarà riaperto. È la speranza delle due famiglie, che il 28 settembre hanno consegnato alla presidenza del CSM una petizione con 80.000 firme raccolte in due mesi affinché si prosegua la ricerca della verità. Anche la sensibilità dell’opinione pubblica, a differenza di altri cold case ripresi e nuovamente archiviati come Pasolini, è da tenere in considerazione per alimentare la fiducia della società civile nella giustizia.
13
MESE L E D tini IESTA alen
INCH
V uro ini1966 a M t i ra d Mvalen a cu @
PANTANI,
ECCO PERCHÉ DA POSSIBILE OMICIDIO DIVENTA SUICIDIO La nuota tesi della Procura spiazza tutti: non solo Pantani non è stato ucciso ma è ora un suicidio
14
«Qualcuno si potrebbe esser introdotto nel residence dove Pantani soggiornava e l’avrebbe costretto a bere una dose letale di cocaina diluita che l’avrebbe portato alla morte». Queste conclusioni, forti ed inequivocabili seppur nella forma condizionale, erano state la molla decisiva per la riapertura del “caso Pantani” esattamente un anno fa, e a dieci anni dalla morte del “Pirata”, avvenuta in un Residence di Rimini il giorno di San Valentino del 2004. Il direttore della sezione di medicina legale dell’Università di Ferrara, Francesco Mario Avato, consulente della famiglia Pantani, aveva cercato e trovato un’altra ipotesi che scardinasse la tesi suicidiaria dovuta all’abuso di cocaina, e l’aveva scritta nero su bianco. Del resto, un supplemento d’indagini era dovuto, anzi, scontato. Troppo frettolosa quella chiusura del fascicolo, solo pochi giorni
dopo quel 14 febbraio che si portò via l’eroe della “Cima Coppi”, troppi misteri e troppe incongruenze racchiuse perlopiù dentro quella stanza vista mare tutta a soqquadro. Oltre a questo, la mamma del campione di Cesenatico, che si sta battendo da quella notte maledetta contro la tesi della morte da overdose, aveva prodotto un dossier definito “poderoso” dalla stampa sportiva, che per questo caso si è trasformata spesso in esperta di scena del crimine, non senza qualche caduta di stile. Il procuratore di Rimini, Paolo Giovagnoli, aveva letto dunque la consulenza di parte, il dossier presentato dall’avvocato De Renzis, legale di mamma Tonina e aveva deciso per la riapertura del caso. Un anno di studi, una nuova perizia e la ricerca tra le carte di quell’inchiesta di un segno, un’incongruenza che potesse far da sponda ad un’ipotesi terribile:
15
SE
L ME E D A T
ini lent a V ro 66 Mau entini19 i d ra val a cu @M
IES
INCH
l’omicidio. C’era quella stanza con il lavandino divelto, quel corpo pieno di ecchimosi compatibili con uno scontro fisico cruento, causati forse da qualcuno che lo aveva costretto con la forza a bere una miscela di cocaina così elevata da fargli scoppiare il cuore? Qualcuno poteva odiare a tal punto Marco Pantani, da entrare senza esser visto in quel residence, dove da giorni il ciclista era
Tomba di Marco Pantani
16
solo, con la sua depressione certificata e palese e ucciderlo? Dopo un anno di indagine suppletiva, per il procuratore Giovagnoli no, non è possibile, anzi non si esclude l’ipotesi di un suicidio. Per la Procura di Rimini non ci sono misteri dietro quella morte e lo spiegano nella richiesta di archiviazione: «Non sono emersi elementi a sostegno dell’omicidio e l’esposto presentato dai legali della famiglia Pantani è privo di un possibile sospetto o un plausibile movente». Poche pagine, solo 20 ne bastano per smontare tutto il castello di deduzioni. Nessun elemento: non c’è movente; la stanza era chiusa dall’interno e poi, la contro-perizia firmata dal consulente della Procura, il professor Franco Tagliaro spiega che la morte è avvenuta «per l’azione prevalente di psicofarmaci, soprattutto trimipramina insieme alla cocaina». Proprio l’uso considerevole della prima sostanza indurrebbe maggiormente a considerare l’ipotesi che la morte possa essere stata autoindotta. Si specifica anche che: «La morte sarebbe avvenuta anche in assenza di cocaina, questa però ha avuto un ruolo devastante nel manifestarsi e svilupparsi della sindrome depressiva che ha portato all’assunzione del farmaco. Le lesioni sono compatibili con quelle riscontrate
Marco Pantani
in casi di crisi convulsive, mentre si può escludere la possibilità che siano state inflitte da terzi». Ma quello che più ha convinto il Procuratore è la scena, la stanza dove la morte è avvenuta. Qui Giovagnoli non ha dubbi e sentenzia: «La porta della stanza del residence fu forzata perché ostruita dall’interno con mobili: nessuno poteva collocare degli ostacoli e poi uscire, quindi il Pantani
era solo». Ridimensionato il ruolo della cocaina, centrale quello dei farmaci. Ma il mix è stato letale, addirittura forse con l’intenzione di farsi del male. Ma nessuno quel giorno ha ucciso Marco Pantani. «Me l’aspettavo. Sentenza dura, ora inizia la guerra». Per la mamma di Marco Pantani, Tonina, non è la verità. Per lei, c’è da giurarlo, non finisce qui. Ma per la Giustizia italiana sì.
17
ISI
RC
NAL AEA
ita Gua a i N i ita olo d iaGua c i t r N a @
RICE
LENTAMENTE MUORE:
IL DRAMMA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA
Burocrazia, mancanza di personale e conflitti interni alla base di inefficienze e archiviazioni
18
Ci sono troppi casi irrisolti in Italia e altrettanta gente che grida ancora giustizia dopo lunghi anni di attesa. I processi in Italia sono lentissimi e spesso si concludono con un nulla di fatto. Nel caso Meredith (per citarne uno) che ha sicuramente danneggiato la credibilità del sistema italiano, i due accusati sono stati assolti dopo 4 anni di carcerazione preventiva (con 5 gradi di giudizio). Questo vuol dire che nel nostro Paese la detenzione cautelare diventa una pena da scontare. Sono tante le vittime degli effetti collaterali di indagini condotte male come questa, ma sono tanti anche i tragici casi della
nostra storia che non hanno ancora un responsabile né sono destinati ad averlo. Consideriamo inoltre che se un teste viene interrogato dopo 5/10 anni da una determinata vicenda, i ricordi sbiadiscono e si affastellano. Le contraddizioni fra le dichiarazioni rese nell’immediatezza del fatto e quelle a distanza di anni sono frequenti. Ed è questa una delle ragioni per le quali tanti processi fiume finiscono con un nulla di fatto. Le versioni fornite diventano dissimili e contestarle diventa sin troppo facile. Inoltre, tra prescrizioni, procedure che consentono rinvii e ritardi, la possibilità di giungere a un nulla di fatto aumenta vertiginosamente. I fascicoli si sommano ai fascicoli e per una sentenza bisogna aspettare anni. Sia per gli innocenti sia per i colpevoli, la sentenza
19
ISI
RC
NAL AEA
ita Gua a i N lo di iaGuaita o c i t ar @N
RICE
definitiva non deve arrivare a distanza di decenni dalla vicenda giudiziaria, quando la vita del protagonista, a volte suo malgrado, è stata distrutta dalla detenzione e dall’apocalisse processuale. I tre gradi di giudizio che spesso si moltiplicano ulteriormente, la mancata separazione delle carriere, gli automatismi legati all’anzianità, le carenze strutturali e di organico e le troppe distrazioni politiche o presenzialiste che una parte dei magistrati, pur se in minoranza, si concede, sono sicuramente un male per la giustizia italiana. Ma non sono i soli mali. Anche il modo di fare indagini e il rapporto tra PM e polizia, con perizie che dimostrano la contaminazione dei
20
reperti, finisce sotto accusa. Il vizio d’origine è nel fatto che, dopo la riforma Vassalli, la Polizia diventa strumento della magistratura. Non svolge più le indagini autonomamente ma segue le indicazioni dei PM, che spesso dimostrano la loro imperizia e non hanno una preparazione specifica. Le prove raccolte poi deve valutarle il Giudice, cui spetta la decisione finale, ma il Giudice non è davvero terzo, perché fa parte dello stesso ordine dei PM ed è condizionato dalla loro linea accusatoria: una cosa è l’investigazione o la ricerca del colpevole ‒ compito affidato al Pubblico Ministero ‒ ed altra cosa, ben diversa, è il giudizio sulla colpevolezza o meno dell’accusato ‒ compito affidato al Giudice. Chi ha svolto per anni le funzioni
di pubblica accusa, transitando a fare il giudice, porterà inevitabilmente con sé, anche senza accorgersene, la forma mentis, il modo di vedere le cose di un pubblico accusatore. Ecco perché serve la separazione delle carriere. Per ultimo, ma non meno importante, vediamo che da una parte, si conforta la popolazione sul problema della sicurezza attraverso i mezzi di comunicazione quando in realtà, si sottraggono risorse alle Forze di Polizia preposti a proteggerla. I tagli (dal blocco degli arruolamenti all’impoverimento dei fondi per i mezzi) hanno inflitto duri colpi
all’attività sul territorio. Oggi, per esempio, su tre poliziotti che vanno in pensione solo un nuovo agente viene assunto, quando, per gestire l’intero apparato, ne servirebbe circa il 30% in più. Il crimine avanza e i controlli arretrano. I reati aumentano (è dei giorni scorsi la ricerca del CEN.S.I.S. che ha rivelato, tra l’altro, che una casa italiana viene colpita da furti ogni due minuti e gli stessi sono lievitati fra Nord e Sud del 127% in dieci anni), la tensione sociale aumenta, il terrorismo fa paura e gli agenti sono sempre meno e male attrezzati.
21
ETÀ
OCI IER S
no
ta poli a S N na DOS omi namail s l e i G lo di gelsom o c i t @ ar
RIASSETTO GIUDIZIARIO Numeri e costi della spending review dopo l’accorpamento fra Tribunali
22 22
La spending rewiew, ovvero l’affannosa revisione della spesa pubblica, interessa tutti i settori. Con questo procedimento, tutte le spese nazionali vengono vagliate e si interviene drasticamente laddove si individuano degli sprechi e delle inefficienze. Lo scopo di questa operazione, che negli ultimi tempi crea ansia e polemiche, è quello di raggiungere gli obiettivi prefissati con il minor dispendio possibile. Come tutti i settori, anche quello della Giustizia passa al vaglio dei Commissari di Governo. Accade così che numerosi uffici giudiziari, a partire dal 2011, vengono riorganizzati in maniera differente in vista dell’obiettivo “risparmio”. Il decreto legislativo 155/2012 dà attuazione alla delega prevista dall’art. 1 della legge 14
Tribunale di Messina
settembre 2011, n. 148 e cominciano così vari cambiamenti. Vengono abolite 220 sezioni distaccate di tribunali, soppressi 37 tribunali e 38 procure. I tagli, però, vengono effettuati secondo una serie di criteri senza intaccare i presidi giudiziari nelle aree ad alta infiltrazione di criminalità organizzata; questo per garantire, comunque, la massima sicurezza. Anche il personale impiegato viene ridistribuito sul territorio senza esuberi né mobilità. Questo provvedimento intende consentire all’Italia di risparmiare su tanti edifici nei quali c’è un carico di lavoro minore rispetto ad altri, con costi comunque alti che possono essere evitati con un riassetto organizzativo. Rivedere la spesa pubblica è un modo per far fronte agli sprechi che si sono susseguiti nel corso degli anni a causa dell’assenza di un buon
23 23
ETÀ
OCI IER S
no
ta poli a S N S na DO omi namail s l e i G lo di gelsom o c i t @ ar
sistema di valutazione. I risultati di questi cambiamenti, però, non sono visibili ora, ma secondo le previsioni dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino, apporteranno dei vantaggi a lungo termine. I costi, per affrontare questa fase di razionalizzazione, dovrebbero essere
inferiori ai risparmi che si avranno nei prossimi decenni. Con questi tagli, infatti, si è parlato di una “svolta epocale” che oltre al recupero economico avrebbe garantito una maggiore efficienza dei servizi e dei risparmi di spesa pari a circa 2.889.557 euro per il 2012, 17.337.581 per il 2013
Elenco dei 37 tribunali soppressi e relativa procura, compresa la Procura di Giugliano. Dati diffusi dal Ministero della Giustizia
24 24
e 31.358.999 per il 2014. Queste sono le previsioni effettuate qualche anno fa, ma aI momento i risultati di questo riassetto economico e organizzativo non sono ancora chiari. Bisogna valutare sempre i due lati della medaglia: da una parte c’è l’esigenza di dover fare qualcosa per far fronte ai disastri provocati precedentemente; dall’altra parte c’è la difficoltà quotidiana di riorganizzare il tutto garantendo l’efficienza a condizioni differenti. Numerose lamentele arrivano da avvocati, personale dei tribunali e politici locali i quali stanno portando avanti manifestazioni e battaglie legali. Molte sedi stanno presentando ricorsi al TAR per i numerosi disagi provocati da quella che è stata definita come una sterzata positiva. C’è chi parla di sprechi milionari dovuti a traslochi rimasti in sospeso, faldoni dimenticati, lasciati indietro e udienze effettuate in cattive condizioni. È necessario un monitoraggio continuo che prenda in esame le difficoltà che si verificano in corso d’opera; le riforme vanno fatte, ma vanno anche seguite e non lasciate allo sbaraglio. La valutazione in itinere deve aiutare a capire dove è necessario intervenire, dove e cosa si può migliorare, dove non si può più tollerare
Il ministro Andrea Orlando
un cattivo funzionamento; in quanto tale è uno strumento di aiuto alla decisione, al buon uso delle risorse e al miglioramento dell’organizzazione.
25 25
GLIE
ANA BILI C
is
d inal R e aD M esc DeRin2 c n a ra di F ancesc o l o r c @F arti
A EMOR
SERIAL KILLER
IN PERMESSO PREMIO Il caso emblematico di Salvatore Avantaggiato e possibili soluzioni preventive
26 26
È l’8 agosto del 2000 quando la ballerina dominicana Cristina Migna Hichez Castro, di 34 anni, viene ritrovata priva di vita nell’appartamento in via Turri n.47 di Reggio Emilia. La donna, residente a Parma da circa dieci anni insieme alla madre e a tre figlie minorenni, ha affittato quell’appartamento da appena due settimane, per prostituirsi. Nel palazzo nessuno la conosce o, almeno, nessuno sembra essersi accorto della sua presenza né è a conoscenza dell’attività che la donna svolge nel suo appartamento. Il corpo della donna privo di vita viene ritrovato dai Vigili del Fuoco che fanno irruzione nell’appartamento, allertati da un vicino di casa della donna di Parma che a sua volta è stato allertato dalla figlia Frattura depressa alla teca cranica minore della donna uccisa, che la sera non la vede rientrare da Reggio Emilia come invece le aveva assicurato. è uno spettacolo raccapricciante: il corpo Quello che i Vigili trovano nell’appartamento di Cristina è riverso in un lago di sangue. Riporta numerose ferite e contusioni agli arti superiori e alla testa, il che fa pensare a grossi colpi, inferti con un corpo contundente pesante. Da una prima sommaria ricostruzione della dinamica dell’omicidio, si ipotizza che la donna abbia spontaneamente aperto al suo aggressore, un possibile cliente, il quale abbia poi avuto tutto il tempo per agire con la massima calma e discrezione. La svolta nelle indagini arriva con l’analisi delle registrazioni delle telecamere di sicurezza del palazzo che la sera del 7
27 27
E AGLI s N A C aldi I L n I i B R A a De MOR
ME
n2 sc nce caDeRi a r F i es olo d Franc @ artic
agosto 2000 riprendono un uomo. Grazie a quei fotogrammi e alle impronte digitali rinvenute nell’appartamento, gli inquirenti risalgono all’autore dell’omicidio di Cristina: un assassino che, dopo aver esaurito il suo permesso premio, da detenuto modello, è tornato nella sua cella del carcere di Ferrara dove sta scontando un ergastolo per aver ucciso una donna a martellate. Quell’uomo è Salvatore Avantaggiato, leccese di 56 anni. Salvatore Avantaggiato, uscito per il
Murder in the House di Jakub Schikaneder
28 28
suo permesso premio, aveva preso il treno insieme ad un altro pregiudicato di Reggio. Sceso dal treno, a Reggio, tra gli annunci di un giornale trova il numero di una prostituta d’appartamento: è quello di Cristina. La chiama e prende appuntamento, poi entra in un negozio di ferramenta ed acquista un grosso martello, che chiude in un borsone, per recarsi poi all’appuntamento con Cristina. Dopo averla massacrata, rompendole il cranio col martello, parte per la Puglia,
verso casa sua, a Corigliano d’Otranto, per raggiungere la moglie e la figlia. Con loro è tranquillo, conduce per dieci giorni la sua vita di sempre, non parla con nessuno di quel corpo insanguinato dentro un appartamento, massacrato a centinaia di chilometri da casa sua. Poi, il 17 agosto, prende nuovamente il treno e rientra nel carcere di Ferrara. È la quinta volta quell’anno che Avantaggiato usufruisce dei permessi premio, concessi dal Magistrato di Sorveglianza che non ha mai avuto motivi per dubitare della sua le regole durante tali permessi premio. condotta avendo inoltre sempre rispettato È forse questo solo l’epilogo della carriera criminale di Salvatore Avantaggiato che ventitré anni prima, durante una sera dell’ ottobre del 1977, nel leccese, aveva commesso il suo primo omicidio uccidendo a sprangate, davanti ai suoi figli e al marito, una donna che lo aveva sorpreso mentre entrava in casa sua per rubare. Sono due delitti-fotocopia quello del 1977 e quello del 2000: una donna massacrata con una tempesta di colpi sul cranio e una prostituta mal capitata uccisa senza un apparente motivo. In realtà, Salvatore Avantaggiato non ha bisogno di un motivo per uccidere, perché per lui uccidere è bisogno, è piacere, perché lui è un serial killer.
29 29 29
Approfondimento
IL PARERE DELL’ESPERTA Dott.ssa Francesca De Rinaldis (psicologa forense) Certamente la condotta recidivante, nel commettere il medesimo reato, a distanza anche di molti anni, non è sufficiente ad identificare Salvatore Avantaggiato come serial killer, bensì, accanto a questa, vanno evidenziate altre caratteristiche fondamentali. Innanzitutto la scelta della tipologia della vittima e la scelta dello stesso modus operandi: in entrambi i casi si tratta di una donna massacrata a colpi di corpo contundente al cranio sferrati con estrema violenza e crudeltà. Facendo un passo indietro e concentrandosi sul primo omicidio del 1977, in quell’occasione Avantaggiato, introdotto nell’appartamento insieme ad altri cinque pregiudicati a scopo di rapina, non si accontenta del bottino, perché prima di scappare ha bisogno di dedicarsi al suo oggetto del desiderio, il corpo della povera donna che massacrerà con una spranga, compiendo un’azione che va al di là di ogni logico legame col fatto reato, la rapina, ma che risponde invece ad un suo profondo desiderio che finalmente si realizza: uccidere. Lo stesso desiderio che realizza la sera del 7 agosto 2000 durante uno dei suoi 30
Approfondimento permessi premio, scegliendo una preda semplice da catturare, una prostituta, perfezionandosi nel modus operandi, organizzandosi per non farsi catturare, per fare in modo che il suo piacere, dopo l’atto si prolunghi il più possibile. La vicenda di Salvatore Avantaggiato però solleva un altro dibattito che riguarda la concessione dei permessi premio soprattutto nei confronti di persone così “pericolose”. La concessione dei permessi premio è regolamentata dall’art.30 della L. 26 luglio 1975 n. 354 che ha riformato l’Ordinamento Penitenziario. I permessi premio vengono, secondo la norma, concessi a quei detenuti che non risultano socialmente pericolosi, dal Magistrato di Sorveglianza, dopo aver sentito il Direttore dell’Istituto. I permessi premio non possono avere durata superiore a quindici giorni e sono finalizzati a consentire al detenuto di poter coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro. La cronaca, prima di Salvatore Avantaggiato, ha già narrato di serial killer che hanno ucciso in regime di permessi premio: Roberto Succo, che evade, scappa in Francia dove dà avvio alla sua serie omicidiaria uccidendo altre quattro persone e, non da ultimo, Angelo Izzo il cosiddetto Mostro del Circeo che uccide tre donne, la prima nel 1975 e altre due, madre e figlia nel 2005 quando, dopo vari permessi premio concessi per la sua “condotta esemplare” durante la detenzione, guadagna la semilibertà. La questione qui va inquadrata non in ragione della concessione o meno dei permessi premio, i cui presupposti sono in linea con i principi ispiratori della Riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 1975, orientati alla rieducazione e alla riabilitazione sociale del reo in un’ottica umanistica e quindi di rispetto per l’uomo e la sua dignità di persona ancor prima che delinquente. La questione va inquadrata semmai in ragione della tipicità dei soggetti coinvolti: siamo davanti a tre serial killer che nessuno, prima che tornassero ad uccidere, aveva identificato o poteva identificare come tali. La pericolosità sociale degli assassini seriali risiede proprio nella motivazione che muove la loro azione delittuosa: il desiderio di uccidere che non risponde a bisogni materiali bensì a bisogni psichici che il soggetto avverte come egosintonici, ossia in armonia con il proprio sé, con il proprio modo di essere, tale per cui il bisogno di uccidere è un tratto tipico della loro personalità che come tale si estingue solo con la morte dell’assassino seriale medesimo. Poniamo allora un’ulteriore esigenza: quella di un adeguato inquadramento diagnostico e un accurato esame della personalità del reo omicida che presenta caratteristiche “di mostruosità” sia in sede processuale che trattamentale, alla luce di quelle che sono le esigenze di accuratezza della diagnosi, e certezza dunque di supporto e tutela psicologica, in ambito penitenziario e di quelle che sono le conoscenze della cultura criminologica. 31 31
CA LISTI gnai A N I CRIM aolo Muai15 P n
lo di oloMug a @P
o artic
CONSULENZE TECNICHE: LIMITI E PROBLEMATICHE Il delicato mondo dei consulenti e dei periti nel settore penale
32
I fatti di cronaca nera, che sempre più sono gli ubiquitari protagonisti dei programmi in prima serata, occupando con una certa frequenza le prime pagine dei quotidiani, hanno fatto entrare nel nostro vocabolario popolare termini come perizia, consulenza di parte, consulenti tecnici di ufficio e della difesa. Ma per chi è a digiuno di nozioni giuridiche, può risultare difficoltoso andare oltre alla semplice terminologia. Per parlare infatti di perizie Foto cortesemente fornita dal Centro Balistica Forense e consulenze dobbiamo prima accennare inerente le attività svolte a cosa è il procedimento penale. Questo è composto generalmente da due fasi oppure di condanna. Come previsto dagli ben distinte e consecutive. La prima fase articoli 225 e 233 del Codice di Procedura è quella delle indagini preliminari, dove Penale, sia nella fase delle indagini il Pubblico Ministero compie tutte quelle preliminari che in quella del processo, il attività utili all’accertamento dei fatti, PM nel ruolo dell’accusa e l’avvocato nel anche a favore di un eventuale indagato. Al ruolo della difesa, hanno la possibilità termine delle indagini, qualora l’indagato di ricorrere ai propri consulenti tecnici, i venisse rinviato a giudizio, si aprirebbe quali daranno un apporto fondamentale la seconda fase del procedimento per elaborare la strategia accusatoria e penale rappresentata dal processo vero difensiva. Il consulente tecnico, definito di e proprio, al termine del quale vi dovrà ufficio (CTU) se nominato dal PM oppure poi essere una sentenza di assoluzione di parte (CTP) se nominato dalla difesa, è una figura che generalmente presenta un’elevata conoscenza tecnica del settore per il quale la consulenza è stata richiesta. Il lavoro dei consulenti tecnici comincia nel momento in cui PM ed avvocato gli conferiscono l’incarico ponendogli quesiti tecnici che serviranno da traccia per svolgere tutti gli accertamenti tecnici del caso. I risultati ottenuti verranno poi riportati in un elaborato scritto che rappresenterà la cosiddetta consulenza tecnica, da portare in dibattimento. Altra Foto cortesemente fornita dal Centro Balistica Forense figura tecnica è quella del Perito, il quale viene nominato da un Giudice ed ha il inerente le attività svolte
33
A STIC nai I L A N Mug RIMI
C
lo Pao ugnai15 i d o ol oM artic @Paol
compito di svolgere perizie al di sopra delle parti. Ma come si diventa un buon consulente tecnico e quali sono i requisiti necessari? A questa domanda ci risponde il professore Martino Farneti, perito balistico di fama internazionale: «Un buon consulente tecnico, così come un perito, deve avere prima di tutto passione per le Scienze forensi e almeno una laurea triennale nella quale vengono trattate le principali branche delle Scienze forensi e della criminalistica, dalla Balistica alla Grafologia, dall’analisi della scena del crimine alle tecniche di investigazione. All’Università della Tuscia (VT) per esempio, nell’ambito della Facoltà di Scienze Politiche e delle Relazioni
Internazionali è stato istituito un corso “Curriculum Investigazioni Scientifiche” che fornisce una formazione di base certificata, teorica e pratica, per coloro che poi vorranno specializzarsi nelle Scienze forensi. Conseguita la laurea breve, vi sono altri due anni di specializzazione oppure si possono frequentare corsi di formazione professionale per “Esperto in balistica forense e analisi della scena del crimine” oppure “Grafologia” della durata biennale e con esame finale, che permettono di potersi poi iscrivere all’albo degli Esperti del Tribunale. La frequenza di un buon corso professionale deve prevedere almeno 600 ore di lezione sia teoriche che pratiche le quali, come già sperimentato,
Foto cortesemente fornita dal Centro Balistica Forense inerente le attività svolte
34
Il prof. Farneti durante le lezioni tenute al corso
per questo – continua il prof. Farneti – «anche i Pubblici Ministeri e i Giudici hanno ormai compreso l’importanza di questa figura tecnico-scientifica per cui, prima di affidare un incarico si informano sulla effettiva preparazione dell’eventuale consulente tecnico da nominare. Un altro aspetto fondamentale che un buon consulente deve possedere è la profonda conoscenza giuridica e la consapevolezza di come si affronta con sicurezza un dibattimento, sapendo reagire con lucidità alle domande che piovono incalzanti dalle varie parti. Si deve essere bravi tecnici ma anche bravi relatori». In pratica, il vero consulente non si improvvisa e soprattutto non deve accontentare o sposare le tesi di chi lo ha nominato, quando questa si dimostra palesemente lontana dalla realtà dei fatti e dalle evidenze scientifiche.
forniscono quella formazione sufficiente per iniziare questa particolare attività di consulenza. Per i giovani è necessario fare attenzione a non cadere nelle trappole di “offerte di formazione” prive di attività pratica oppure svolte da docenti che non operano giornalmente nel settore scientifico forense. Il risultato scontato è che verrebbero espulsi dal settore per mancanza di una seria e specifica formazione ma soprattutto non idonea per affrontare una testimonianza scientifica nell’ambito di un dibattimento». Si capisce quindi che il mestiere del consulente o del perito è un lavoro per pochi e quei pochi devono essere dotati di una preparazione tecnica notevole. Nel mondo dei consulenti, lo sbaglio fatto in malafede o per ignoranza, può condurre un Pubblico Ministero, un Giudice oppure un difensore verso strade divergenti da quelle che portano alla ricerca della verità. Proprio Il prof. Farneti durante le lezioni tenute al corso
35
36
SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE DISCIPLINE PSICOLOGICHE
CENTRO STUDI SCENA DEL CRIMINE (CSSC)
CORSO DI ALTA FORMAZIONE IN ANALISI DELLA SCENA DEL CRIMINE E SCIENZE FORENSI
V EDIZIONE
15 NOVEMBRE 2014 – 14 GIUGNO 2015 GEF NETWORK , VIA CESARE CANTÙ 3 MILANO CORDUSIO ( MM CORDUSIO E DUOMO ) SONO APERTE LE PRE ISCRIZIONI ALLA V EDIZIONE PROGRAMMA, DETTAGLI E INFORMAZIONI
WWW.CRIMESCENEINVESTIGATION.IT segreteria@crimesceneinvestigation.it
37
I
INOR
M ITTI E
a
zi Cali a t t le Nico calizia i d o ol cole artic @ni
DIR
UNA GIUSTIZIA A MISURA DI BAMBINO I diritti del minore in ambito giudiziario: una grande conquista
38
Anche i minori possono entrare in contatto con il sistema amministrativo, civile e penale ed avere a che fare con procedimenti giudiziari o stragiudiziari per varie ragioni, per esempio, nel caso di divorzio, valutazione della responsabilità genitoriale o affidamento dei figli, nel caso di adozione, quando essi commettono reati, sono testimoni o vittime di reato, quando si tratta di minori stranieri non accompagnati richiedenti il permesso di soggiorno o l’asilo, nel caso di sottrazione internazionale di minore e relativo rimpatrio. In materia di diritti giuridici minorili abbiamo assistito ad un’evoluzione nel nostro paese. In passato in Italia, sino agli anni Sessanta, il minore è stato considerato minus rispetto ai maiores, ossia agli adulti di riferimento, per quanto concerne il riconoscimento dei suoi diritti.
Il legislatore ha fatto sempre fatica ad ascoltare e comprendere quali fossero i bisogni dei minori, infatti si è preoccupato di punire le figure genitoriali che non attendevano ai loro doveri, ma non si è curato del soddisfacimento dell’interesse del minore. Solo con le convenzioni e le norme europee ed internazionali, l’Italia si è adeguata alle indicazioni proposte in materia di diritti dell’uomo (Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata dal Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950 e ratificata dall’Italia con la Legge n. 848 del 4 agosto 1955) e in materia di diritti del fanciullo (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991; Convenzione di Strasburgo
39
ORI
MIN ITTI E
zia
ali ta C t e l o i Nic ecalizia d o l o col artic @ni
DIR
sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con Legge n.77 del 20 marzo 2003), facendo proprie alcune modalità e procedure importanti, tra cui l’audizione protetta del minore, che da mero spettatore diviene protagonista e detentore di un interesse legittimo, ossia il diritto ad essere ascoltato (introdotto dalla Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, che con l’art. 155 sexties del Codice Civile prevede l’affidamento condiviso, tutelando in questa maniera il diritto della prole alla bigenitorialità). Sulla scia di queste normative è stato elaborato un altro documento fondamentale nell’ambito giuridico internazionale: le Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 17 novembre 2010, i cui principi ispiratori per la legislazione italiana minorile sono stati: il principio della partecipazione,
40
APPROFONDIMENTO
I minori nel sistema penale italiano
a cura di Nicoletta Calizia
I minori nel sistema penale italiano Secondo la Carta dei diritti e dei doveri dei minorenni, proposta dal Ministro della Giustizia e pubblicata il 24 aprile 2013, nel processo penale minorile e nel sistema dei servizi della giustizia minorile il minore ha i seguenti diritti e doveri: il diritto a essere informato (è un suo diritto chiedere informazioni su come funziona l’iter giudiziario, sulle regole del processo e sulle misure che gli verranno applicate); il diritto ad esprimere la sua opinione in merito a quanto è accaduto o su quello che gli è chiesto di fare; il diritto ad essere assistito (è un suo diritto essere assistito dai servizi minorili durante tutto il procedimento penale ed essere accompagnato alle udienze del Giudice); il diritto alla difesa legale (è un suo diritto avere un avvocato che lo difenda per tutto il procedimento); il diritto alla presenza dei genitori o del tutore (è un suo diritto nel corso di tutto il procedimento penale avere
Parlamento europeo
l’interesse superiore del minore, il rispetto della dignità, la protezione dalla discriminazione e il principio dello stato di diritto (comprendente il diritto a leggi chiare, definite e pubblicizzate, il diritto alla presunzione d’innocenza, il diritto a un equo processo e il diritto all’assistenza legale). In tal modo il minore, in quanto persona, ha propri diritti non più solo sostanziali, ma anche processuali: il diritto ad un effettivo accesso al sistema giustizia, il diritto ad un regolare processo (indipendentemente dall’età, dal proprio status o dall’appartenenza etnica), il diritto alla parità di trattamento, il diritto al rispetto e all’attenzione delle sue esigenze, il diritto a parlare ed essere ascoltato. Questa è stata una grande conquista.
la presenza dei genitori o del tutore ed il loro sostegno nell’esecuzione di tutte le misure); il diritto alla riservatezza (tutte le informazioni che gli operatori conoscono sul minore e tutte le dichiarazioni che egli renderà nei colloqui non possono essere comunicate ad alcun estraneo); il dovere di rispettare le disposizioni del Giudice (che può imporre delle prescrizioni come misura cautelare che egli dovrà rispettare, pena la disposizione di una misura che restringe maggiormente la libertà, e può anche disporre la custodia in carcere all’interno di un Istituto Penale per Minorenni); il diritto/dovere ad una progettualità (gli verrà chiesto di impegnarsi in un progetto educativo e di reinserimento sociale, dimostrando di essere o meno in grado di rispettarlo).
41 41
MINE I R C EL ini Pac ENA D
A SC
ia usc acini i t a iK aP olo d Katiusci c i t r a @
SULL
DELITTO
ELIGIA ARDITA, SI CERCA UN COMPLICE? Nonostante la confessione dell’uomo, nuovi dettagli rendono il caso un giallo ancora da chiarire
42
«Sì, buonasera mi chiamo Leonardi Christian. Cortesemente mi dovete mandare un’autoambulanza velocemente perché ho mia moglie incinta». Sono le 23:20 del 19 gennaio quando al 118 di Siracusa arriva questa telefonata. L’operatore 81 del 118 è abituato a ricevere queste telefonate, forse sono le uniche buone notizie che ogni tanto vi arrivano, una nuova vita che nasce. Non questa volta. Dopo aver chiesto all’utente dove abita, lo stesso comunica all’operatore: «Via Calatabiano 4, non respira in poche parole». Parole pesanti che fanno scattare immediatamente la macchina dei soccorsi. Pochi minuti dopo l’ambulanza del 118, con un infermiere
e un medico a bordo, arrivano a casa di Christian Leonardi, in via Catalbiano, dove trovano la moglie Eligia adagiata nel letto coniugale con indosso solo un maglioncino bianco a collo alto. Il viso della donna, gonfio e cianotico non promette nulla di buono. Non ci vuole molto ai sanitari per capire che la donna è già in arresto cardio-circolatorio, ci vorrà molto di più perché riconoscano nella donna la loro collega, Eligia. Ma per una vita che non c’è più qui c’è n’è un’altra da provare a salvare. La piccola Giulia, nel grembo di mamma Eligia, ha già otto mesi e ce la può fare. Solo a questo pensano i sanitari che, con l’aiuto dei pompieri, fanno l’impossibile per salvarla.
43
MINE
CRI A DEL
i
acin
P EN A SC atiuscia cini L L U S K Pa i a olo d Katiusci @
artic
Una corsa disperata all’ospedale dove un’equipe medica è già pronta. Ma Giulia è già con mamma Eligia, al di là dei sogni. Papà Agatino, padre di Eligia, arriva in pigiama a casa di quest’ultima insieme all’altra figlia, Luisa. Entrambi resteranno al Pronto Soccorso dell’Ospedale Umberto I, fino alla tragica notizia: Eligia e la piccola Giulia non ci sono più. La disperazione diventa padrona di casa a casa Ardita. Ma papà Agatino non ci sta, vuole sapere perché sua figlia e sua nipote sono morte tanto da obbligare il genero, Christian Leonardi, a sporgere denuncia l’ennesimo caso di malasanità in questa contro i soccorsi e i soccorritori. Forse è Italia che non funziona, forse Eligia e Giulia potevano essere salvate. L’autopsia disposta dal pm Magda Guarnaccia, obbligatoria vista la denuncia in corso, comincia a raccontare però una storia ben diversa. Eligia non è deceduta per morte naturale ma per asfissia direttamente collegata a un trauma cranico. Le numerosi lesioni rilevate sul capo di Eligia sarebbero incompatibili con un semplice ed accidentale urto contro il pavimento o un’altra superficie ma sembrano essere compatibili con «l’azione violenta reiterata di terzi». Improvvisamente tutti i ricordi dei presenti nella casa di via Catalbiano, in quella fredda sera di gennaio, cominciano ad avere un senso. I sanitari accorsi ricordano una camera da letto pulita e in ordine, il letto rifatto, Eligia
44
pulita e il marito vestito che impegnato in mille telefonate senza dare loro ascolto. I familiari di Eligia ricordano come Christian fosse impegnato a sistemare la casa durante i soccorsi, il suo ritardo di circa 15 minuti in ospedale, la sua assenza durante la tumulazione della moglie e della figlia perché doveva sistemare la rata del mutuo in banca, le sue richieste strane come quella di far seppellire il cellulare della moglie con lei e ricordano il modo singolare in cui era vestita Eligia per la notte. Con questi nuovi elementi in mano, agli inquirenti non resta che tornare a casa Leonardi e sequestrare alcuni indumenti e alcune foto della donna. Intanto i mesi passano, la cittadinanza, la televisione, la stampa e la rete di mobilitano, nasce un gruppo su Facebook, numerosi programmi in televisione parlano del caso e la famiglia di Eligia riesce ad organizzare una fiaccolata per chiedere giustizia, per chiedere la verità. Quella verità che ormai tutti si sentono sussurrare alle orecchie ma che nessuno ancora ha il coraggio di dire. Passano otto lunghi mesi prima che gli inquirenti pongano sotto sequestro l’appartamento di casa Leonardi per dare modo ai RIS di Messina di fare quei rilievi preziosi che inchiodino il colpevole. Quel colpevole che prima ha riempito di botte Eligia fino a ridurla in fin di vita, poi ha ripulito la stanza, le pareti e ha cambiato i
vestiti di sua moglie e ben dopo 45 minuti circa, con tutta calma, ha pensato bene di chiamare il 118 per dare l’allarme. Lo stesso colpevole ha confessato il delitto cinque giorni dopo il sequestro della sua casa solo perché «in questi ultimi tempi ho sentito il peso dell’attenzione che la stampa aveva su di me e ho capito che era meglio confessare». Ma ha realmente confessato tutto? Se, quando si è accorto cosa stava realmente successo si è fatto prendere dal panico, come è riuscito a ripulire tutto da solo? Forse il lavoro degli inquirenti non è ancora finito, forse Eligia e Giulia non hanno ancora avuto tutta la giustizia che meritano.
45
Crimine ai Raggi X a cura di Alberto Bonomo
SANGUE, QUELLO CHE L’OCCHIO NON VEDE
Nei casi in cui vi sia anche il più velato sospetto che vi possano essere tracce ematiche celate o non direttamente visibili è possibile ricorrere a precise tecniche su base chimica in grado di rilevarne l’eventuale presenza. Nonostante il tempo, gli agenti atmosferici e, a volte, la volontà umana siano acerrimi nemici di una traccia biologica (in questo caso ematica) è possibile, anche a distanza di anni, rinvenire particelle e cellule molto imporanti per la risoluzione di un caso. Ciò avviene perchè i componenti delle tracce in questione sono notevolmente sensibili; il sangue, ad esempio, nella sua composizione leggermente alcalina contiene un piccolo universo composto da cellule, acqua, enzimi, proteine, emoglobina; quest’ultimo elemento contiene il ferro, trasporta l’ossigeno nelle varie zone periferiche del corpo ed è in grado di reagire a contatto con un catalizzatore come il luminol: uno dei metodi più famosi in grado di enfatizzare anche le più piccole e vecchie quantità di sangue, anche se precedentemente lavate da un substrato o diluite. Ogni tecnica su base chimica purtroppo ha i suoi contro, che in casi di interesse criminologico prendono il nome di falsi positivi ma per intedere le proprietà microscopiche e la notevole sensibilità del sangue, basti pensare che proprio attraverso il luminol è possibile rilevarne tracce anche se diluito a una parte su un milione ovvero: se è presente una goccia di sangue in un recipiente con 999.999 gocce d’acqua, quell’unica goccia potrà essere scovata.
46
47
MINE
CRI L E D A
ri glia a P la SU Pao agatto i d lap olo artic @pao
CEN LLA S
DA ZURIGO L’INDAGINE CHE APRE ALL’IPOTESI
SERIAL KILLER Possibile legame fra la morte della psichiatra Labiola e un’altra psichiatra uccisa in Svizzera
48 48
Uscire di casa una mattina per andare al lavoro presso il Centro di Salute mentale a Bari, nel centrale quartiere Libertà, venire colpita con 28 coltellate da un paziente dello stesso Centro e morire lasciando marito e tre figli, due gemelli di 12 anni e una più grande. È successo alla psichiatra Paola Labriola nel settembre del 2013, in una struttura dove erano già avvenuti fatti che avevano destato allarme, infatti da tempo gli operatori denunciavano rischi per la sicurezza nel centro che si trova in un quartiere difficile. Ma per il direttore generale della Asl di Bari, Domenico Colasanto, la struttura non era tra quelle a rischio ed aveva dichiarato: «Avevamo avuto nel tempo solo una segnalazione da questo centro, non lo consideravamo a rischio e non avevamo un servizio di vigilanza come invece succede per i pronto soccorso e i Sert. La vera causa di questa tragedia
è il disagio sociale». Autore del delitto Vincenzo Poliseno, 44enne all’epoca, con problemi di tossicodipendenza, ma non problemi psichici, utente dei servizi del Sert e di cui la dottoressa aveva la cartella clinica. I testimoni avevano raccontato che quella mattina Poliseno verso le 7:30 era arrivato pretendendo di avere del denaro, ma era stato dirottato al Sim dove risultava paziente, anche se non abitudinario. Aveva chiesto soldi alla psichiatra e, al rifiuto della donna, l’aveva aggredita accoltellandola a morte con un vecchio coltello da cucina che, probabilmente, si era portato da casa. Una testimone in particolare ricorda che egli
49
MINE
CRI A DEL
ri glia a P la SU Pao agatto i d lap olo artic @pao
CEN LLA S
«brandiva un coltello con la mano sinistra e sferrava colpi», il che farebbe pensare ad un suo mancinismo. Particolare che andrebbe tenuto in debita considerazione, anche per un altro fatto, di cui tra poco parleremo. Raffaele Martino, dirigente del servizio di Putignano, aveva dichiarato sulla questione sicurezza: «Qui c’è un nostro infermiere sotto indagini perché avrebbe malmenato un paziente. In realtà è stato un episodio di autodifesa. Le porte in questi centri sono sempre aperte, chiunque qui come dappertutto entra quando vuole. Io stesso anni fa ho ricevuto una coltellata da un paziente. Episodi che succedono spesso. Stiamo in prima linea
50
ma non abbiamo assolutamente nessuna difesa». Perquisito dagli agenti di Polizia dopo aver commesso il delitto, Poliseno venne trovato in possesso di circa 1.270 euro. Una somma di denaro «da valutarsi cospicua ‒ scrisse il gip Giulia Romanazzi nell’ordinanza d’arresto ‒ tenuto conto della condizione di lavoratore saltuario. Evenienza che rende il movente non necessariamente identificabile con una richiesta di denaro e conseguente rifiuto». Poliseno, reo confesso, è stato condannato nel 2014 a 30 anni di carcere con rito abbreviato. Il gup Roberto Oliveri del Castillo ha riconosciuto all’uomo le aggravanti della crudeltà e dei futili motivi
e, cosa più importante, ha escluso vizi parziali o totali di mente. Permangono le indagini sulle «responsabilità connesse, precedenti e successive all’omicidio, miranti ad occultare le responsabilità della Asl di Bari». Infatti a Domenico Colasanto sono stati contestati i reati di omissione di atti d’ufficio per aver «omesso la predisposizione di un sistema di sorveglianza». Il Gup ha inoltre condannato Poliseno a risarcire i familiari della vittima, dal marito ai tre figli, passando per l’ex marito. Mentre si attendono le motivazioni della sentenza ed un possibile ricorso in appello, questa brutta storia fa riaprire un cold case del 2010, che pare proprio per molti aspetti identico al delitto Labriola: l’omicida potrebbe avere precedentemente ucciso con le stesse modalità, decine di coltellate, il 15 dicembre 2010 a Zurigo una psichiatra 56enne, residente in Svizzera ma di origini cilene, trovata senza vita nel suo studio. Infatti nelle scorse settimane la Procura di Zurigo ha fatto pervenire a Bari una richiesta di rogatoria per il prelievo di un campione di DNA su Poliseno, attualmente in carcere. In questi anni la Magistratura svizzera ha eseguito un test genetico di massa, avviando accertamenti su circa 300 uomini appartenenti alla cerchia dei conoscenti della vittima, ma si era ad
Zurigo, scenario delle nuove indagini
un punto morto, poiché nessuno di quei profili genetici corrispondeva alle tracce di DNA trovate sul luogo del delitto. Ora gli inquirenti svizzeri chiedono di estendere quegli accertamenti ad altri soggetti. La loro attenzione si è concentrata quindi su Poliseno, che in quegli anni aveva proprio lavorato in Svizzera. Poliseno si è dichiarato disponibile al prelievo del campione di DNA, ma ha riferito al suo difensore, l’avvocato Filippo Castellaneta, di non aver mai conosciuto quella donna e, soprattutto, di non essere stato a Zurigo in quel periodo perché detenuto in Italia, circostanza questa comunque facilmente verificabile. Ci troviamo forse di fronte al serial killer delle psichiatre?
51 51
Crimine ai Raggi X a cura di Alberto Bonomo
LA ROGATORIA INTERNAZIONALE La rogatoria è un procedimento posto in essere dall’autorità giudiziaria nazionale al fine di richiedere alla corrispondente autorità straniera (o viceversa) comunicazioni, notificazioni o acquisizioni probatorie (artt. 723 e 727 c.p.p.). Nel caso in questione parliamo di una rogatoria dall’estero. In nessun caso è possibile dare esecuzione ad una rogatoria dell’autorità straniera senza che vi sia stata precedenemente una decisione favorevole della Corte di Appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti. Tecnicmente, il Procuratore Generale, ricevuti gli atti dal Ministro di Giustizia, presenta la propria requisitoria alla Corte di Appello; succesivamente la Corte dà esecuzione alla rogatoria con un’ordinanza. L’esecuzione della rogatoria non è sempre concessa ed è negata in alcuni casi specifici che possono influire sullo svolgimento o sull’esito del processo: se gli atti richiesti sono vietati dalla legge e sono contrari a principi dell’ordinamento giuridico dello Stato; se il fatto per cui procede l’autorità straniera non è disciplinato come reato dalla legge italiana; se esistono evidenti ragioni per ritenere che connotazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali. Nel caso in cui sia possibile dare esecuzione alla rogatoria, la Corte delega uno dei suoi componenti ovvero il Giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono compiersi.
52
E
ZION
LLE A CO
i rner a u la G Nico lguarns i d olo specia artic @
IER DOSS
D
DAL PROCESSO STATO-MAFIA RIVELAZIONI SULL’UOMO CHE
«PARLAVA ASSAI» Dopo 22 anni nuove piste riaprono il giallo sul delitto Alfano grazie alle parole di un pentito
54
Giuseppe Aldo Felice Alfano, o semplicemente “Beppe” per gli amici, è stato uno degli esempi più cristallini di giornalismo. Alfano infatti non era iscritto all’Albo dei giornalisti professionisti (tantomeno a quello dei pubblicisti) come segno di protesta verso una categorizzazione che detestava. Era insegnante di educazione tecnica, ma nelle sue vene scorreva la passione per il giornalismo, tanto che nella “sua” Barcellona Pozzo di Gotto era diventato il punto di riferimento, prima per Canale 10 e poi per Tele News. Classe ‘45, Alfano aveva iniziato a scrivere e firmare pezzi scomodi, molto scomodi. Si parlava di
mafia ovviamente, ma non solo: c’è anche un pizzico di massoneria e una manciata di politica imprenditoriale nella ricetta mortale che porta al suo assassinio. È l’8 gennaio 1993 quando Beppe viene ritrovato cadavere nella sua Renault 9: tre colpi calibro 22 non gli hanno lasciato scampo, chiudendo il capitolo della sua vita e aprendo quello della ricerca del suo assassino e dei suoi mandanti. Tra le piste battute quella più accreditata porta a un chiaro movente, sostenuto tra l’altro a gran voce anche dalla figlia Sonia, oggi eurodeputata e presidente della commissione speciale sulla criminalità organizzata: la corruzione e il riciclaggio
Barcellona Pozzo di Gotto
55
ONE
EZI COLL
ri arne u G la Nico lguarns i d olo specia artic @
IER DOSS
DA
di denaro. Le origini della sua uccisione avrebbero a che fare con il nome di Nitto Santapaola, un boss catanese sfuggito alla cattura da parte delle Forze dell’ordine. Alfano, attraverso una lunga inchiesta sarebbe arrivato a scoprire il luogo di latitanza di Santapaola e per questo messo a tacere. A confermare tale ipotesi è il racconto del pm Olindo Canali, che avrebbe avuto un colloquio telefonico con Alfano nel dicembre del ‘92. I due si sarebbero dovuti incontrare tra il 9 e il 10 gennaio, al ritorno di Canali dalle vacanze, data alla quale Alfano
Benedetto (Nitto) Santapaola
Beppe Alfano
56
non arrivò. Ciò che desta stupore è il fatto che Canali abbia rilasciato queste dichiarazioni solo recentemente, in seguito all’apertura dell’inchiesta sulle trattative Stato-mafia. Fu proprio Canali infatti a tenere il processo sull’omicidio di Alfano, conclusosi con l’arresto e la condanna all’ergastolo del mafioso Pippo Gullotti. Perché dopo tutti questi anni Canali ha espresso dubbi sulla colpevolezza del Gullotti? Sicuramente un ruolo importante è stato svolto dalle
recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, ascoltato nel maggio 2015 nel corso del processo Stato-mafia. D’Amico entra a pie’ pari nel caso Alfano: «So chi è il mandante e so chi è l’esecutore dell’uccisione del giornalista Beppe Alfano. Non posso dire di più perché ci sono indagini in corso». È di pochi giorni fa la notizia dell’identificazione del nome suggerito da D’Amico: sarebbe quello di Stefano Genovese detto “Stefanino”. La sera dell’8 gennaio D’Amico avrebbe incrociato “Stefanino” sul ponte tra Barcellona e Palermo, nei pressi della scena del crimine, con il cappellino ben calato sulla testa. A un’offerta di passaggio avrebbe avuto una secca risposta: «Vattinni subito
che staiu travagghiannu». Altro particolare interessante, è che il Genovese era in possesso di una pistola calibro 22, proprio come quella utilizzata per l’assassinio (la Colt 22 che si pensava avesse sparato quella sera infatti, grazie al legale della famiglia Alfano, l’avvocato Fabio Repici, nel 2011 si scoprirà in seguito alle prove balistiche non essere la pistola che sparò l’8 gennaio). D’Amico conferma comunque il ruolo di Giuseppe Gullotti come mandate dell’omicidio, riferitogli dal mafioso Sem Di Salvo, affiliato alla cosca dei Santapaola: «Gullotti cumminau un macelli cu st’omicidio che ci fidi fari». Secondo Di Salvo, Alfano finì nel mirino della mafia perché era uno che «parlava assai». Il nuovo filone è in attesa di verifiche ma chiaramente getta nuova domande sull’omicidio avvenuto a Barcellona Pozzo di Gotto. Perché la mafia vide necessario depistare le indagini “offrendo” un killer diverso? È proprio strano che nell’omicidio dell’uomo che “parlava assai” tutti abbiano qualcosa da dire.
57 57
58
59
RNI
I TU
GIO TTI I
i illac M a or i di D aMillac o l o r o artic @D
IE D STOR
LE PIEGHE OSCURE DELLA “BUONA SCUOLA” Insegnanti che per lavorare lasciano tutto e nessun riguardo per la disabilità nella Riforma Scolastica
60
Ancora oggi c’è molta confusione sulla cosiddetta “Buona Scuola”, riforma formata da quattro fasi: fase Zero – A – B – C. Nella prima è prevista l’immissione in ruolo di più di 36 mila docenti in base alle graduatorie. La “A” riguarda i precari e la graduatoria delle preferenze sulla loro assunzione; la “B” tratta il passaggio più temuto dell’intero piano, perché è quello nel quale agli aspiranti docenti potrebbe arrivare l’offerta di un posto di lavoro anche a centinaia di chilometri di distanza da casa; ed infine con l’ultima fase, la “C”, che prevede il piano delle assunzioni. Da come si può ben comprendere dietro questo piano si nascondono molte insidie, non certo piacevoli. Ricordiamo che l’ultimo concorso per quanto riguarda
le cattedre si è svolto nel 2012. Qui molte persone dell’Italia del sud sono rientrate nelle graduatorie, peccato però che i posti disponibili si trovino per lo più al Nord. Quasi 60 mila precari hanno presentato domanda per rientrare nella fase “B” ma, nonostante tutto, più di 1520 mila posti potrebbero restare scoperti. Chi sceglie chi entra e chi no? Chi prende queste decisioni che cambieranno le vite di molte persone senza tener conto delle loro difficoltà non solo logistiche ma anche fisiche? Qualcuno ha ribattezzato la questione “roulette russa”, in modo non molto scherzoso, e tutto è affidato ad un computer; già, perché tutto avviene tramite informatizzazione. E così la vita di una persona è affidata ad un pc, ad
61
ORNI
DI T
I GI UTTI
i illac M a or i di D aMillac o l o r o artic @D
IE STOR
una macchina che, senza guardare la provenienza e la sua situazione, assegna la cattedra. Ma dietro a quella mail inviata ci sono vite che non si conoscono, come per esempio persone anziane o con problemi familiari e che quindi hanno difficoltà a spostarsi da una regione all’altra. Tutto questo comporta quindi il rifiuto e con quel “no” si chiude per sempre quella porta per il posto di lavoro per il quale magari si sono fatti negli anni tantissimi sacrifici, e questo perché si viene cancellati automaticamente dalle graduatorie a cui
62
si è iscritti. Chi invece sottostà dovrà stare per almeno tre anni nella nuova scuola, accettando il ruolo che è stato assegnato. Ecco adesso un esempio pratico tra i tanti della “Buona Scuola” che, come abbiamo fatto notare non tiene conto di niente e di nessuno. Questa in breve è la storia di una professoressa disabile che, per non perdere il posto di lavoro deve fare ben 250 km perché precaria. Ci troviamo a Morro D’Oro in provincia di Teramo e la signora Mariaclaudia Cantoro di 44 anni disabile grave in sedia a rotelle
è insegnante senza un posto fisso. Purtroppo non ha la patente e il piccolo paesino dove abita non è attrezzato con un sistema di trasporto adatto alle sue necessità. Eppure, tre giorni alla settimana deve percorrere 250 km per raggiungere la scuola che le è stata assegnata la I.T.C. di Cagli (Pesaro e Urbino) che si trova in montagna. Il caso sopra citato non è certo l’unico poiché sono diverse le persone con disabilità in Italia che insegnano, ma si ritrovano a dover fare i conti con la bizzarria, se così si può definire, di una nuova realtà, che di certo non va incontro alle esigenze personali. Ma di “falle” nel nuovo sistema ce ne sono diverse, così tante che auspichiamo vivamente che la nave non affondi prima ancora di salpare. Eccone difatti un’altra sotto gli occhi di tutti: con la nuova Riforma il grave e annoso problema degli insegnanti di sostegno non è stato risolto, bensì è rimasto fermo all’80% del necessario (quando va bene). La gravissima carenza di docenti che devono aiutare e supportare alunni con disturbi di diverso tipo: del linguaggio, dello sviluppo e anche mentale è di circa 120 mila unità che, per mancanza di fondi (così pare), non sono stati inseriti negli organici. È inammissibile fare discriminazioni, non esistono alunni di serie
A e di serie B, perché bisogna garantire a tutti il diritto allo studio e così i genitori di questi ragazzi, non solo denunciano pubblicamente le drammatiche situazioni sopra elencate, ma manifesteranno per ottenere ciò che giustamente spetta loro. Forse sarebbe il caso di rivedere le modalità di assegnazione, lasciando perdere i computer e mettendoci il cuore e la ragione.
63
LIBRO E PROGRAMMA TV
CONSIGLIATI a cura di Mauro Valentini Caso Moro: un patto segreto BR-DC?
In “Complici” di Limiti e Provvisionato nuove ipotesi sui fatti di quei 55 giorni È stato detto tutto sul rapimento e la morte di Aldo Moro? Si può ora affrontare quegli aspetti ancora oscuri e misteriosi di cui si è ammantato negli anni, analizzando le incongruenze delle versioni ufficiali? Secondo Sandro Provvisionato e Stefania Limiti si può. Anzi, si deve, perché quella vicenda è il punto nodale della vita della Repubblica, è l’evento che mise in campo tutte le forze più oscure del potere e dell’abuso di quel potere operato da apparati dello Stato. Complici (Chiarelettere Editore) ripercorre passo dopo passo quei 55 giorni con grande attenzione, soffermandosi sui documenti e sui memoriali, confrontandoli con i dati delle perizie e delle testimonianze, per scoprire omissioni e verità di comodo talvolta davvero palesi ed evidenti. Un percorso che inizia dall’analisi della scena dell’agguato e del commando delle Brigate Rosse che fece fuoco in via Fani, un’operazione perfetta si disse ma che poi inciampò nella strategia e nella gestione del rapimento, sia logistica che politica. Si rilegge con attenzione il memoriale di Morucci, assunto a «verità di comodo» per dirla con le parole degli autori ma pieno di contraddizioni. Il tutto sotto quella nebbia impalpabile ma sempre presente della Democrazia Cristiana, che in questa partita di sangue si giocò la storia, non senza quella “complicità” che richiamano gli autori fin dal titolo. Nel libro c’è anche un importante approfondimento analitico sul mistero del covo di via Monte Nevoso, quasi un libro nel libro per raccontare quel concorso di omissioni e depistaggi che cercò, e in parte riuscì, di celare gli ordigni politici detonanti fatti di parole scritte dallo statista, nelle tante lettere inviate agli esponenti del suo partito e non solo. Un’opera dunque che appare necessaria per quelli che vogliono conoscere a fondo i contorni meno palesi di quella pagina triste del Paese, un libro scritto benissimo, che si legge come un romanzo, con un linguaggio di rara capacità narrativa e che conserva al contempo la freschezza e l’urgenza di un reportage di grande giornalismo.
Diritto di Cronaca, la nuova rubrica di politica ed attualità in onda
ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.
66
FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO
CONSIGLIATI a cura di Nicola Guarneri
Al cinema
“Padri e Figlie” Nel nuovo film Muccino sbarca a New York Il ritorno al cinema del regista italiano Gabriele Muccino vede come protagonisti un maturo Russell Crowe, nei panni di Jake Davis, uno scrittore vincitore del premio Pulitzer, e Amanda Seyfried, che interpreta Katie, figlia di Jake. Quando nei primi minuti la figura materna viene a mancare a causa di un incidente, Katie viene affidata a una zia. Salto temporale di 25 anni e la donna-Katie vive una maturità segnata dall’amore per il padre e la scomparsa della madre, fatta di sesso occasionale e mancanza di una relazione stabile. Un Muccino maturato da ogni punto di vista attinge a piene mani dalle vicende familiari, tiene sotto freno le emozioni e si diverte a giocare con flash-back e flash-forward, per un film assolutamente da non perdere.
In radio La Storia Oscura.
Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.
67