COPIA OMAGGIO
anno 3 – N. 22, Gennaio 2016
i misteri del deep web ALTRO CHE SICUREZZA: ARMI, DOCUMENTI E SOLDI IN POCHI CLICK
Impiccato al volante dell’auto: è davvero un suicidio?
Processo Stato-mafia: la verità La relazione shock di Ciancimino sul caso Bosio sul ruolo dei bambini nell’Isis
Indice del mese 4 10
4. Ricerca e analisi
COME AVERE KILLER, ARMI E DROGA A PAGAMENTO
10. Inchiesta del mese CITTADINO ITALIANO IN POCHI MINUTI
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16. Inchiesta del mese L’ORCO DEL DEEP WEB NON È UNA FAVOLA
22. Criminalistica
COMPRARE E VENDERE ARMI NEL DARK MARKET
28. Sulla scena del crimine IMPICCATO AL VOLANTE: PER LA PROCURA È SUICIDIO
34. Memorabili canaglie L’ANGELO STERMINATORE CHE ODIAVA GLI UOMINI
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42. Dossier da collezione
COPIA OMAGGIO
anno 3 – N. 22, Gennaio 2016
i misteri del deep web
OMICIDIO BOSIO, L’ASSASSINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE
ALTRO CHE SICUREZZA: ARMI, DOCUMENTI E SOLDI IN POCHI CLICK
46. Media crime
Impiccato al volante dell’auto: è davvero un suicidio?
Processo Stato-mafia: la verità La relazione shock di Ciancimino sul caso Bosio sul ruolo dei bambini nell’Isis
LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI
48. Diritti e minori
ANNO 3 - N. 22 GENNAIO 2016
54. Dossier società
Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi
ISIS, LA RELAZIONE SHOCK SUI BAMBINI RECLUTATI
Rivista On-line Gratuita
TROPPO STRESS: NUOVE REGOLE PER PROFESSIONE MEDICA
Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nia Guaita, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Francesca De Rinaldis.
58. Storie di tutti i giorni LA ROBOTICA IN AIUTO DEI DISABILI GRAVI
Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.
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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
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KILLER, ARMI E DROGA Come avere
a pagamento I segreti del Deep Web, ovvero il lato oscuro della rete fra illegalità e libertà di espressione
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Esiste un lato oscuro del web, denominato “Deep Web”, dove non esistono regole, non esiste etica, non esiste controllo e dove tutto è possibile: dalla pedopornografia all’acquisto di droga, documenti, soldi falsi, armi e killer. Il web ‒ o almeno quello che conosciamo come tale ‒ contiene solo una piccola parte del materiale effettivamente presente in rete: la maggior parte dei file, infatti, risulta nascosta ai motori di ricerca, e per accedere ad essi è necessario utilizzare una particolare tecnologia. Per dirla in parole povere, il Deep Web è una parte di Web “sommersa” in cui vengono svolte tantissime attività, da quelle illegali ad altre molto più tranquille. I file “in chiaro” sono circa 2 miliardi, contro i 550 miliardi di quelli “sommersi”; per spiegarlo, è utile la metafora dell’iceberg: al di sopra del mare c’è la parte più piccola, il web accessibile. Il grosso dell’iceberg, cioè il Deep Web, si trova invece sotto la superficie del mare. Infine ci sono le profondità marine, nelle quali si agita il mistero di internet. Il Deep Web si muove in maniera totalmente anonima ed è possibile trovare di tutto: anche Edward Snowden e gli attivisti delle primavere arabe hanno usato il Deep Web per sfuggire la censura e i controlli. Poi ci sono forum, siti di Killer che si offrono a pagamento, organizzazioni spesso estremiste (è stato calcolato che ce ne sono almeno 50 mila) e anche negozi virtuali come il famigerato Silk Road, dove
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c’è chi vende droga, armi e documenti falsi, che poi arriveranno a casa in un pacco anonimo, in modalità priority stealth. L’FBI ha calcolato che il solo Silk Road abbia generato, tra febbraio 2011 e luglio 2013, transazioni finanziarie per 1,2 miliardi di dollari, ricavandone commissioni per 80 milioni di dollari. Questo sito, oggi sotto accusa da parte dell’FBI, è stato chiuso e poi riaperto da collaboratori del fondatore, ma un attacco hacker, a febbraio di quest’anno, ha messo in ginocchio il sistema di pagamento, sottraendo 2,7 milioni di dollari dai conti degli utenti. I quali, indispettiti, hanno trovato una nuova oasi: Evolution, il sito che oggi preoccupa maggiormente le autorità. Non esiste etica, tutto si vende e tutto può essere acquistato su questo sito che non è nient’altro che un sito di annunci (con 12 mila euro si può costruire un falso passato da perseguitato politico, con tanto di documenti incluso un passaporto valido per emigrare in Europa). Una piena identità olandese (carta d’identità, passaporto e patente di guida senza passato) è in vendita per 800 euro; il solo passaporto è in vendita per soli 600 euro. Gli utenti, coperti dal più assoluto anonimato, possono offrire e comprare qualsiasi cosa: droghe, armi,
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pacchetti per frodi e i gestori assicurano la massima sicurezza. Proprio la sicurezza sta alla base del successo di Evolution, nato in gennaio e arrivato ad essere, oggi, il principale sito per il mercato nero virtuale con 16 mila annunci (a maggio erano 5.500) e sta dimostrando di essere un’eccellenza nella protezione del denaro dei propri utenti grazie ad un particolare sistema di pagamento, complesso ma molto più sicuro del semplice deposito di garanzia. Per effettuare le transazioni di pagamento (nel totale anonimato), si utilizzano i “bitcoin” ovvero la moneta digitale di Internet che si appoggia al
dollaro e ogni venditore è accompagnato da un sistema di feedback che ne garantisce l’attendibilità, proprio come su eBay. Su un altro sito (Hitman Network) tre assassini in società offrono omicidi su commissione a 6.500 dollari (si sale a 7.500 in Europa) e offrono addirittura dei bonus perché, se portate un vostro amico, l’1% del suo “acquisto” sarà
vostro. I tre killer assicurano che in un tempo compreso tra i sette e i ventuno giorni dopo il vostro “ordine”, l’assassinio verrà compiuto. Il Deep Web proprio per il suo essere anonimo e invisibile a molti, rappresenta però anche uno strumento per tutti coloro che vivono in quei Paesi in cui vige la censura che impedisce qualsiasi forma democratica di libertà di espressione. È proprio in questa parte
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“celata” del web che si ritrovano gli oppositori siriani del regime di Assad per comunicare col mondo. Ed è proprio da qui che Amnesty International ha potuto reperire le fotografie delle torture e dei maltrattamenti della guerra in corso. È qui che sono presenti i cable di Wikileaks, manuali e informazioni di pubblico interesse. Allo stesso modo, le Polizie vanno nel Deep Web alla ricerca di criminali informatici, truffatori, pedofili. Che sia chiaro a tutti: il Deep Web
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non è illegale ma non è un luogo dove andare a curiosare, così, tanto per farlo. Tutto è a rischio e anche le truffe sono all’ordine del giorno. Stuoli di corsari sono sempre in agguato pronti a prendere e fuggire. Abbiamo usato la metafora dell’iceberg per spiegare il Deep Web, usiamolo ancora per spiegare perché sarebbe da evitare: immaginate di immergervi tutti sporchi di sangue nel bel mezzo di un branco di squali, credendo che tanto riuscireste a nuotare più velocemente di loro.
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Nia Guaita Da sempre la donna è oggetto di aggressioni, più o meno gravi, solo per il fatto di essere donna e considerata più debole dell'uomo. Il primo passo verso il cambiamento spetta anche alla donna rifiutandosi di essere "vittima". Un libro che aiuta a scoprire le intenzioni del nostro interlocutore anche quando non vengono espresse a parole, per rendere l’emozione della paura nostra alleata e applicare quelle chiavi di lettura del contesto e della situazione che possono fare la differenza tra il riuscire a risolvere un momento critico in modo incruento, secondo una logica preventiva, oppure essere coinvolte in un episodio di violenza.
Nia Guaita, sociologa, è autrice di varie pubblicazoni, tra le altre: “Il potere della persuasione”, “L’arte della retorica”, “Arte e scienza della negoziazione”, “Quello che le parole non dicono: il linguaggio segreto del corpo”, “Il galateo in azienda”, “Donna: la conquista dei diritti e i diritti negati”, “La cavalcata dei Jihadisti dello Stato islamico.
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Nia Guaita - Come diventare un bersaglio difficile
Dello stesso autore:
Come diventare un bersaglio difficile
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CITTADINO
ITALIANO
IN POCHI MINUTI Gli affari illeciti del Dark Web per diventare italiano con pochi soldi e in poco tempo
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Oltre gli abissi, oltre le zone oscure del web, oltre quello che viene chiamato Deep Web, quel non luogo fatto di siti anonimi e protetti da mille vincoli, dove c’è molto, tanto, tutto, ma non necessariamente illegale, perché anzi, spesso questi spazi conservano documenti riservati, accessibili soltanto a chi sono destinati, a chi ha la chiave di decript. Ma oltre il Deep, si nasconde e prolifera il “Dark”. Dark Web si chiama ed è la soglia invalicabile per i comuni mortali ma praticata benissimo da chi ha compreso che attraverso la rete si può globalizzare il crimine e l’illecito. Per accedere, in fondo poi non è così difficile, si deve scaricare qualche programma specifico, ad esempio “TOR”, mascherano e rendono tutto anonimo, un bell’applicativo, meglio dire un browser scavalcando la totalità del mondo “World che si installa facilmente, di quelli che tutto Wide Web”, quello accessibile a tutti e che conoscono anche i nostri bambini oramai. Ma come si pubblicizza, come si raccolgono adesioni e clienti in un mondo che deve esser segreto, accessibile soltanto a chi ha in mente qualcosa di illegale, o peggio criminale? Cercando sulla rete comune, nel “www” per capirci (che in realtà rappresenterebbe soltanto il 4% del traffico mondiale) attraverso i motori di ricerca più noti e digitando alcune parole chiave ma inequivocabili, come “passaporto falso” per esempio, ci si imbatte in alcuni “forum” che proprio tutto sembrano fuorché innocenti divagazioni sul tema. Il mercato più florido in questo momento, per gli
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MESE tini L E D n IESTA Vale
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ovvi motivi dovuti al traffico speculativo e misterioso sui migranti, è però quello delle identità false. Nelle maglie sempre più strette della nuova Europa che sembra pentirsi per il Trattato di Schengen e che vuole rivedere “al ribasso” quello storico accordo datato 1993, avere un passaporto della U.E. diventa questione di vita o di morte. Dove potrebbe un più serrato controllo dei passaggi navali, ora che innalzando muri di frontiera si cerca di porre un freno all’esodo, ecco che nulla ostacolerebbe l’ingresso di chi, pur provenendo da paesi falcidiati da guerre
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e da crisi economiche ataviche, ha in mano documenti che comprovano la sua cittadinanza comunitaria. Cercando tra i meandri della rete, anche con le conoscenza del neofita e non certo con l’abilità e il know how dell’hacker, cercando come si è detto prima le parole di ricerca “passaporto” e “falso”, ecco che si può subito, registrandosi ad un “forum”, imbattersi in un eloquente annuncio che senza troppi giri di parole così recita: «Compra i passaporti di alta qualità, patente di guida, carte d’identità. Scrivi email a xxxx@xxx.com (indirizzo e-mail che volutamente omettiamo, n.d.r.) novità falsi e passaporti certificati di matrimonio
e patente di guida etc. I nostri documenti falsi sono identici a quelli veri». E poi si indicano anche specifiche parole chiavi da digitare, tra queste alcune di eccezionale, inquietante interesse come per esempio: “Carte degli Stati Uniti”, “Certificati di adozione”, “Certificati di morte”, “Denaro falso”, “Polvere chimica usata per la pulizia di denaro nero rivestito”, “Passaporto Italia”. Proprio così, passaporto Italia. Infatti, entrando in un altro di questi siti,
Fakeid, ci si trova davanti un listino prezzi incredibile ma vero. Una dettagliata lista di prodotti, tutto semplice ed efficace, tutto in bella vista, dove ci si accorge che diventare italiani costa soltanto 750 euro tutto compreso: passaporto, patente e carta d’identità. Ma niente paura, se il Paese che ci interessa non è nella lista, se vogliamo un documento falso che non c’è in questo prontuario dell’orrore che sgomenta per la semplicità con cui si può
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diventare “qualcun altro”, si può parlare con un operatore. Loro verificheranno al telefono la fattibilità e il prezzo della prestazione particolare. Frugando in certi siti, inoltre si possono comprare droghe (la Cannabis è quella più facile da trovare ma si può trovare di ogni tipo), medicinali ed anche commissionare violenze di ogni tipo. I pagamenti avvengono sempre online, non tracciati, si usa perlopiù “Tails”, un software che può essere scaricato e utilizzato per ogni singola
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transazione e che di fatto cripta quanto passa nel collegamento per il tempo che la connessione rimane aperta tra i due soggetti transanti, aperta quel tanto che basta e poi cancellata. Senza traccia. Spesso viene richiesto di avvalersi di un Hotspot WiFi pubblico, indice chiaro della facilità con cui la funzione di queste connessioni pubbliche aumenti la probabilità di non venire tracciati. Si vuole cambiare identità e vivere nell’illegalità? Basta chiedere. E pagare.
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L’ORCO DEL DEEP WEB
NON È UNA FAVOLA La pedopornografia, una mano invisibile può ricreare un pericolo sociale a discapito dei minori
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È una linea immaginaria, un confine che non si vede. Nella terra del Deep Web è possibile sovvertire le più elementari leggi di mercato. Un antro sotterraneo in cui l’offerta supera senza alcuna proporzione la domanda in tutte le sue proprietà costitutive. La regola base è che tutti possono avere ciò che più desiderano generando in tal senso una forma nuova di principio del piacere abnorme. Proprio in questo contesto trovano ampio spazio le offerte di natura sessuale capaci di giocare su tutti quegli istinti e pulsioni che normalmente vivono lontano dalla luce del giorno e i pedofili sono un classico esempio di carnefice/predatore del Deep Web. È ormai cosa nota la massiccia presenza di aberranti siti pedofili, che mettono in vendita filmati e fotografie di bambini e adolescenti abusati e violentati. Tutti gli studi condotti negli ultimi cinque anni sul mondo oscuro di internet
evidenziano dati davvero allarmanti: quattro visite su cinque sono realizzate su siti dal contenuto esplicitamente pedopornografico. TOR è l’acronimo di “The Onion Router” e questo programma è in grado di mascherare l’IP di ogni computer. Il network, metaforicamente parlando, è una cipolla (da cui il nome Onion) dai mille strati, capace di far passare un segnale attraverso una serie di nodi criptati in modo che alla fine l’IP (del pedofilo) non sarà più raggiungibile. Sembra pura fantascienza ma non lo è; esiste una vera e propria guida chiamata “Your Own Pedo Site” attraverso la quale è possibile informarsi minuziosamente sull’utilizzo di TOR per la condivisione del materiale pedopornografico. Da quando il web ha acquisito un’importanza centrale nella vita e nelle abitudini della maggioranza della popolazione del
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mondo industrializzato, si è riscontrata la nascita di nuove tipologie di forme criminali ma anche l’adattamento di quelle preesistenti al continuo processo evolutivo e tecnologico. Fanno parte di quest’adattamento anche coloro che abusano dei bambini. Individui pronti a tutto per ottenere la propria dose giornaliera di droga e abbastanza competenti da utilizzare ogni forma di software per crittazione, accrescere il proprio grado di sofisticatezza e individuare ogni accorgimento per proteggere l’identità personale. In questa pericolosa passeggiata al buio nei bassifondi d’internet è possibile incontrare persone che amministrano network del tutto privati o server adibiti esclusivamente allo screen-sharing (una forma di condivisione in cui un utente consente ad altri utenti l’accesso sul proprio computer e quindi al materiale illegale in esso contenuto). Uno dei siti più conosciuti è Lolita city, un sudicio bazar che vanta migliaia di utenti registrati dediti agli acquisti nel mercato pedopornografico. Lì giù, dove tutto è permesso, c’è pure l’abuso su commissione; il pedofilo chiede all’altro pedofilo di fare qualcosa alla vittima (sempre fotografata con un’espressione sorridente per ricreare l’impressione della serenità). Il fenomeno è così radicato da
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essere quasi impossibile da estirpare. La prospettiva più ottimistica è quella di arginare gli effetti; lo dimostra, ad esempio, la perentorietà con cui David Cameron, primo ministro britannico, ha annunciato la realizzazione di una nuova unità speciale per combattere la diffusione di materiale pedopornografico nel Deep Web, nella quale ci sarà personale della GCHQ e della National Crime Agency. In Italia nell’ultimo quinquennio sono state portate a termine numerose e complesse indagini di polizia postale, coordinate dalla DDA di Roma in collaborazione con l’Europol
e con i poliziotti del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online (CNCPO). Solo nel 2013 sono state arrestate in Italia 55 persone, 344 sono state denunciate, 28 mila i siti dalle presunte attività illecite monitorati dagli agenti della Postale. Attraverso complesse operazioni d’Intelligence è stato possibile rintracciare utenti italiani che gestivano famosi luoghi virtuali dove le più svariate comunità pedofile scambiavano informazioni per reperire materiale di “nuova produzione”. Il pedofilo del Deep Web può operare in due grossi
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ambiti: quello dell’adescamento anche detto “grooming”, che si realizza fingendo di essere coetanei dei ragazzini contattati (trappole che hanno il fine ultimo di raggiungere fisicamente “la preda”). Chi non si occupa dell’adescamento opera invece nella redditizia attività di “distribuzione” di materiale pedopornografico. Dal 2001 a oggi l’Interpol ha creato un database con oltre 250 milioni d’immagini raccolte dalle Forze dell’ordine in giro per il mondo. Va tenuto presente che i pedofili che usano il Deep Web possono garantirsi l’anonimato, ma non sono totalmente al riparo. Alcune vulnerabilità nell’uso di
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determinati software commerciali per riprodurre filmati possono essere sfruttate per scoprire i pedofili online e localizzarli nel mondo reale. È questo oggi il cuore della cyber-attività investigativa mondiale: infiltrarsi in questi programmi per rintracciare i pedofili, creare falsi profili di minorenni per indurre il pedofilo a tentare l’approccio o ricreare falsi siti esca. Tanti accorgimenti e un unico vero precetto per il cyber-pedofilo: se si è beccati dalla Polizia, il circuito si deve interrompere immediatamente. Non si fa la spia. Un codice d’onore per chi sconosce il significato della parola in questione, per dolo o malattia poco importa; un codice d’onore virtuale.
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A STIC nai I L A IN Mug 5 CRIM olo
i1 a di P Mugna o l o o artic @Paol
Comprare e vendere armi nel
DARK MARKET Pistole, fucili, silenziatori e manuali per tattiche di guerriglia: tutto questo nel web sommerso
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La maggior parte delle persone conosce il web come quel vasto oceano di informazioni in cui è possibile navigare con facilità e senza grosse preoccupazioni, esiste però anche il Deep Web, una seconda dimensione di internet, profonda e nascosta, non accessibile tramite i comuni motori di ricerca dove le regole sono spesso rovesciate. Spaventoso ed inquietante? Assolutamente sì! Pericoloso? Altrettanto. Soffermiamoci su un aspetto particolarmente negativo del Deep Web, ovvero la possibilità di reperire illegalmente armi (anche da guerra) sul mercato nero con una certa semplicità e in maniera totalmente anonima. Inoltre è possibile accedere a tutta una serie di documenti che spiegano come realizzare esplosivi ed ordigni improvvisati, nonché a manuali per tattiche di guerriglia. Una volta entrati nel TOR si può accedere a motori di ricerca non convenzionali, che
non avranno le comuni estensioni “.com” o “.it”, e da questi partire per la ricerca. Si potrebbe pensare che la ricerca di armi non sia così accessibile. In realtà basterà entrare in uno di questi motori di ricerca e digitare la parola “weapons”, per vedere una carrellata delle più svariate tipologie di armi messe a disposizione da venditori anonimi: pistole, fucili, mitragliatori, munizionamento vario, con tanto di foto, dettagliate descrizioni e prezzi per l’acquisto. Spesso queste armi vengono descritte come articoli per legittimare l’autodifesa, altre volte sono vere e proprie truffe. Naturalmente anche l’acquisto di un’arma
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ISTI INAL
ai ugn M o 5 ol i Pa ugnai1 d o l M o o artic @Paol
CRIM
per la difesa abitativa, se fatto attraverso il mercato nero, è un grave reato penale, severamente punito. In Italia, nonostante la stringente normativa in materia di armi, l’onesto cittadino non ha alcuna necessità di rivolgersi al mercato clandestino per l’acquisto di un’arma, ma può recarsi in armeria purché dotato dei requisiti previsti per legge. Si pensi però a quanti individui possono più facilmente immergersi nel mercato nero del Deep Web per ottenere armi e munizioni da destinare ad attività illecite
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e di terrorismo. In merito a quest’ultima minaccia, i servizi di Intelligence hanno recentemente intercettato nel Deep Web delle enormi biblioteche virtuali, contenenti manuali per fornire ai terroristi le istruzioni su come comportarsi nei Paesi occidentali e conversazioni con parole in codice da utilizzare per ottenere armi e passaporti falsi. Una volta acquistata un’arma sul mercato nero del web, il venditore spedisce all’acquirente l’oggetto in maniera totalmente anonima e non tracciabile, spesso smontando l’arma in
più componenti, che poi verranno spediti singolarmente, utilizzando vari metodi per ingannare i controlli a raggi X. Proprio in questi mesi è stato smascherato dalla Polizia Postale italiana un enorme giro d’affari illegale – il primo in Europa – consumatosi nel Deep Web. Babylon, nome all’operazione condotta dalle Forze dell’ordine, raccoglie i dati illeciti contenuti in un sito gestito da un italiano ed ospitava circa 14.000 iscritti, con un totale di 170.000 transazioni illecite e 14.000 conti correnti in moneta virtuale
(adesso sequestrati). All’interno veniva venduto di tutto, dai documenti falsi ai sistemi per clonare carte di credito, fino all’immancabile e nutrito mercato delle armi. Ad oggi le forze di Polizia e di Intelligence di mezzo mondo sono costantemente immerse in questo oceano del web per contrastare le attività illecite e terroristiche, raggiungendo talvolta importanti risultati. Ma come si può controllare un qualcosa di cui tuttora non si conoscono le reali dimensioni? Si può solo tentare di tamponarlo parzialmente.
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SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE DISCIPLINE PSICOLOGICHE
CENTRO STUDI SCENA DEL CRIMINE (CSSC)
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SC ULLA
IMPICCATO AL VOLANTE: PER LA PROCURA
E SUICIDIO La strana morte di un parrucchiere di Collegno fa discutere ma secondo gli inquirenti si è suicidato: caso chiuso?
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Domenico Siggillino si è suicidato. A porre fine ai tanti interrogativi che circolavano nei giorni scorsi tra le persone che lo conoscevano, i parenti e gli inquirenti, l’esito dell’autopsia, reso noto in questi giorni. Infatti, sembravano proprio rivestire i contorni del giallo le modalità con cui aveva deciso di porre fine alla propria vita, lo scorso 16 dicembre, Domenico Siggillino, un parrucchiere 28enne di Collegno. Era stato trovato impiccato, nell’area attrezzata della
frazione Monti, in località Mezzenile, al volante di una Ypsilon 10 presa a nolo, con il corpo all’esterno dell’abitacolo, ma la testa all’interno, fissata al volante con la cintura. Circostanze singolari che non avevano convinto la Procura di Ivrea: qualcuno poteva aver ucciso il giovane parrucchiere, troppo strane le modalità della morte autoinflitta. Il pm di Ivrea, Chiara Molinari, aveva quindi aperto un fascicolo per omicidio e disposto l’autopsia, nonché un accertamento
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CRI L E D A
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CEN LLA S
tecnico affidato ad un perito, per ricostruire l’esatta dinamica e verificare se fosse davvero possibile procurarsi la morte in tal modo. Sull’episodio indagavano i Carabinieri della compagnia di Venaria che avevano trovato il cadavere. Erano stati ascoltati la fidanzata, il fratello ed i genitori di Domenico ed erano stati sequestrati cellulare e personal computer. A fare la segnalazione, poco prima del ritrovamento, era stata la fidanzata, allarmata per non averlo visto rientrare nella casa di Collegno in cui vivevano insieme. I Carabinieri erano arrivati velocemente alla località Mezzenile
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poiché l’auto noleggiata dal Siggillino era dotata di antifurto satellitare, quindi era stato sufficiente seguire il segnale Gps dell’auto per arrivare fino nelle Valli di Lanzo, ma per lui era ormai troppo tardi. Forse un vano tentativo di farsi salvare, lasciando la possibilità di essere ritrovato con una certa facilità? Una eventuale precauzione che, purtroppo, non gli ha comunque lasciato scampo. Tutti gli elementi di anomalia, d’altra parte, avevano destato perplessità e fatto propendere per un possibile evento omicidiario. Ad avvalorare, al contrario, l’ipotesi del suicidio c’erano un biglietto
e un video registrato sul suo cellulare, lungo circa una ventina di minuti, in cui raccontava tutta la sua angoscia e la decisione di mettere la parola fine, chiedendo anche scusa ai familiari. Nella vita di Domenico, in effetti, c’era qualche preoccupazione, dovuta a qualche rata dell’affitto non saldata e a soldi investiti nel modo sbagliato. Dopo aver lavorato in un salone da parrucchiere per un po’, aveva deciso di mettersi in
proprio oltre un anno fa, ma le cose non erano andate per il verso giusto. Forse l’ansia per debiti che si sono accumulati fino a diventare per lui insostenibili, sono la ragione di un suo gesto disperato? Oppure c’era altro? Questi gli interrogativi che erano circolati e che avevano insospettito la Procura, prima del responso finale dell’autopsia che ha chiarito ogni dubbio: suicidio. Le ferite sul corpo del giovane sono effettivamente compatibili con un
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CRI L E D A
ri glia a P la SU Pao gatto i d pa olo artic @paola
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suicidio che, però, resta inspiegabile per familiari ed amici. Infatti non si sa a chi Domenico, che nell’ultimo periodo lavorava presso un parrucchiere a Torino, dovesse dei soldi. Lascia perplessi anche la scelta della località dove attuare il gesto estremo: Mezzenile, dove si era recato alcune volte con gli amici, per passare
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qualche ora di svago. Perché recarsi proprio là? Anche la fidanzata non si dà pace: effettivamente qualche difficoltà economica c’era, ma non tale da portare a questo gesto. Ma il fascicolo ormai è stato chiuso. Caso archiviato. Fine della storia. I parenti si rassegneranno, oppure cercheranno di far riaprire il caso?
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L’ANGELO STERMINATORE
CHE ODIAVA GLI UOMINI Milena Quaglini, la donna accusata e condannata per avere ucciso tre persone alla fine degli anni Novanta
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È il 2 agosto 1998 quando a Broni, in provincia di Pavia, dopo l’ennesimo litigio la 41enne Milena Quaglini colpisce alla testa il marito, Marco Fogli di 52 anni, operaio. Approfittando del suo stato di incoscienza gli lega mani e piedi e lo strangola, senza che le sue due bimbe, di cinque e otto anni, si accorgano di nulla. Dopo aver nascosto il cadavere sul balcone di casa chiama i Carabinieri e confessa il delitto. È una storia che sembra finire qui, ma in realtà è solo l’inizio. Poco più di un anno dopo Milena viene condannata a 14 anni di reclusione. In carcere di Vigevano viene interrogata per un’altra morte, quella di Angelo Porrello, un tornitore di 53 anni che abitava a Bascapé, sempre nel pavese. Il corpo dell’uomo, che aveva trascorso sei anni in carcere per molestie sui minori, era stato ritrovato in una concimaia dalla ex moglie, il 24 ottobre 1999. La sua scomparsa era stata denunciata intorno al 10 ottobre. Prima di quella data, la Quaglini era agli arresti domiciliari, ma il 6 ottobre era nuovamente finita in carcere per non averli rispettati. Al centro dell’interrogatorio alla Quaglini in carcere ci sono proprio i rapporti esistenti tra lei e Porrello, dal momento che ella stessa racconta al suo avvocato di avere conosciuto il tornitore perché aveva risposto ad un’inserzione su un periodico di annunci. Porrello, infatti, offriva in affitto una stanza con bagno e cucina all’interno della sua villetta di Bascapé. Un’offerta che la Quaglini aveva accettato. Nel frattempo, dai fascicoli emerge anche che Milena era stata coinvolta
nell’inchiesta su un altro delitto avvenuto nel 1995 a Este, sempre nella provincia di Padova, dove venne trovato morto Giusto Dalla Pozza, di 83 anni. All’epoca la Quaglini era la domestica della vittima, che venne trovata sul pavimento della sua villa in un lago di sangue. Da quel delitto, dopo lunghe indagini, la donna era stata però scagionata. Il 23 novembre 1999, Milena Quaglini confessa di aver ucciso anche Angelo Porrello. Spiega agli inquirenti di aver commesso il delitto dopo che l’uomo l’aveva stuprata. Prima aveva tentato di ucciderlo, sciogliendo quattro pastiglie di veleno nel caffè; successivamente l’aveva spogliato e infilato nudo nella vasca da bagno. L’uomo non era ancora morto quando la donna l’aveva trascinato nella concimaia, dove il corpo è rimasto per due settimane prima di essere trovato. Ciò che colpisce stavolta è l’atteggiamento dopo l’omicidio: tornata in carcere per aver
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evaso gli arresti domiciliari, Milena scrive lettere ad Angelo Porrello, dandogli del lei, sperando che questo possa dargli un buon alibi, sperando di passare per quella che non ne sa nulla. Pochi giorni dopo, il 29 novembre 1999 Milena Quaglini ammette di aver ucciso anche Giustino Dalla Pozza, colpendolo alla testa con una lampada da tavolo durante una colluttazione. La lite, secondo il racconto della Quaglini, sarebbe scoppiata a causa di una richiesta di prestazioni sessuali avanzate dall’uomo in cambio di un prestito di quattro milioni che aveva fatto alcuni giorni prima alla donna. C’è un particolare che colpisce gli inquirenti e lo stesso avvocato della Quaglini, Licia Sardo: la Quaglini sembra rifiutare l’idea di aver commesso i tre omicidi. Infatti, sembra attribuirli ad
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un’altra persona, parlando di se stessa in terza persona, dicendo: «Milena ha fatto» oppure «Milena ha detto». Nell’aprile del 2000 viene disposta una perizia psichiatrica sulla Quaglini. Effettuata dal prof. Maurizio Marasco solo sull’omicidio Porrello e nonostante altri esami la considerassero parzialmente incapace a causa dell’abuso di alcolici, la perizia stabilisce la capacità di Milena di intendere e di volere. Per i due altri omicidi, intanto, Milena aveva già subito due condanne, ma i giudici le avevano riconosciuto in Appello, nel caso dell’omicidio del marito, la seminfermità mentale (6 anni e 8 mesi) e, in quello dell’anziano Dalla Pozza, in Primo grado, solo un eccesso di legittima difesa (20 mesi). Il 26 ottobre 2001 la storia di Milena Quaglini, la donna che odiava gli uomini che cercavano di sopraffarla, volge al termine: si toglie la vita, impiccandosi nella sua cella nel carcere di Vigevano.
Approfondimento
MILENA, LA FORZA DELLA VENDETTA Approfondimento della psicologa forense Francesca De Rinaldis
Milena Quaglini, soprannominata “l’angelo sterminatore”, è una serial killer, una vedova nera. Le sue vittime sono tutti uomini, uomini violenti, che uccide proprio per vendicarsi delle violenze e delle umiliazioni subite. Fin dall’infanzia, Milena incontrerà sempre uomini violenti, ad iniziare dal padre, alcolista e 37 3737
Approfondimento sempre aggressivo nei confronti suoi e delle sorelle, oltre che geloso e possessivo. A 19 anni, come lei sognava, incontra l’uomo della sua vita: dolce e comprensivo, non la maltratta. Pochi anni dopo incontra Mario Fogli, colui che diventerà il suo secondo marito. L’uomo è un alcolizzato violento, la costringe a lasciare il lavoro perché, come suo padre, è ossessivo e geloso. Milena lo lascia solo dopo molto tempo esasperata ormai dai soprusi e dalle violenze, in danno non solo suo ma anche del figlio avuto dal primo matrimonio, che veniva continuamente picchiato e umiliato. Ma Mario Figli non è la prima vittima di Milena, nato come atto impulsivo in reazione ad un ennesimo tentativo di violenza sessuale dell’uomo, non c’è premeditazione o pianificazione, anche se durante l’esecuzione dell’azione omicidiaria e nei momenti dopo l’omicidio, Milena si mostrerà lucida, fredda e ben consapevole dell’azione compiuta vero punto di non ritorno: il senso di piacere, forza e liberazione che Milena sperimenta dopo il primo omicidio, le danno la consapevolezza che ora lei sa e può vendicarsi, mettere fine alle violenze subite dagli uomini, uccidendoli. Milena Quaglini uccide una sola tipologia di uomini, quelli violenti e maltrattanti, non teme il contatto con la morte, anzi ne trae piacere e godimento, non prova sentimenti di colpa o rifiuto verso le azioni omicidiarie compiute. Attualmente le donne serial killer rappresentano soltanto il cinque per cento rispetto all’intero fenomeno. Chi è allora l’assassina seriale? Fondamentalmente è una donna che con il delitto riesce a prendersi una rivincita sulla vita esprimendo la sua superiorità e divenendo famosa, proprio come Milena che attraverso
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Approfondimento gli omicidi esce vincente da anni di abusi, violenze e umiliazioni. Da donna serial killer, Milena Quaglini rappresenta delle “tipicità” che la fanno rientrare nella categoria degli assassini organizzati: pianifica i suoi delitti (il secondo e il terzo) con cura, uccide in un determinato posto senza affrontare grandi spostamenti; gli omicidi non vengono scoperti subito; ha una vita mediocre e rapporti familiari non buoni; durante l’infanzia ha subito abusi fisici, psicologici e sessuali; ha uno scarso concetto di se stessa e sente di essere emarginata dalla società. Allo stesso tempo per altre caratteristiche Milena Quaglini può invece essere considerata una serial killer “atipica”: le assassine seriali non torturano le proprie vittime prima di ucciderle e non provano gratificazione quando assistono alla loro sofferenze, invece la lunga agonia alla quale Milena Quaglini espone in particolare Angelo Porrello, può considerarsi una forma di tortura; le donne serial killer inoltre in genere non eccedono in violenza, spesso stordiscono le vittime oppure le narcotizzano, usano veleni come l’arsenico e suoi derivati, invece Milena Quaglini solo in un omicidio ha usato dei narcotici, non per uccidere bensì per stordire e poter poi agire violenza con maggiore sicurezza e garanzie di successo; le donne serial killer agiscono quasi sempre per un movente economico, Milena Quaglini invece non uccide per denaro ma per desiderio di vendetta, per senso di rivalsa e rivincita sugli uomini.
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Il lungo iter giudiziario su è ancora finito: cosa succed di Massimo C
Certi omicidi non finiscono: fanno dei giri immensi e poi ritornano. È il caso dell’assassinio di Sebastiano Bosio, freddato dalla mafia il 6 novembre 1981 e ancora senza colpevole. O forse il colpevole c’è e il suo nome si conosce già da un po’? Bosio è un medico e chirurgo siciliano, laureatosi in Medicina presso l’Università di Palermo e considerato un luminare. Aggiorna i proprio studi in Francia, dove grazie alla collaborazione con Michael E. DeBakey può specializzarsi
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in Chirurgia cardiovascolare. Poi, il ritorno – maledetto – in Sicilia: troppo forte il richiamo della terra natia, troppo grande il senso di responsabilità verso una regione, la sua, impegnata nella lotta alla mafia. Nel 1974 diventa il primario del reparto di Chirurgia vascolare dell’ospedale di Palermo, non prima di aver aiutato in ogni modo i suoi conterranei: negli anni ‘60, insieme ad alcuni colleghi, aveva trasformato un vecchio casello ferroviario in una sala operatoria. Il 6 novembre del
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ASSINO
RE DUE VOLTE
ulla morte del chirurgo non derà dopo le dichiarazioni Ciancimino?
1981 due sicari lo raggiungono nel suo studio di via Simone Cuccia: viene colpito da quattro colpi di pistola, una calibro 38 si scoprirà, morendo sul colpo. Le prime indagini subiscono numerosi depistaggi, alcuni dei quali operati da infiltrati nelle Forze dell’ordine, tanto che all’inizio ci sono dubbi sullo stesso movente dell’omicidio. Si scopre poi che la ragione dell’assassinio sarebbe da ricercare in alcune “frettolose” cure prestate da Bosio ad alcuni boss mafiosi. Risale infatti al
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1981 la cosiddetta “seconda guerra di mafia”: Bosio avrebbe avuto un litigio telefonico con Giuseppe Lima (fratello di Salvo), il direttore della struttura, che avrebbe voluto accessi privilegiati per i boss mafiosi. Circostanze che sono state ricordate anche dalla moglie: «A Lima urlò che non lo avrebbe fatto (il ricovero, n.d.r.) nemmeno se fosse sceso in terra il Padreterno. Di chi parlavano non so. Ma all’epoca veniva spesso ricoverato anche Vittorio Mangano». Le indagini si
Vittorio Mangano
Massimo Ciancimino
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chiudono con un nulla di fatto anche per la ritrattazione della moglie di fronte al giudice Giovanni Falcone, impaurita da alcune minacce e volenterosa di proteggere le proprie figlie. Le cose cambiano nel 2011 quando Rosalba Patanè non ne può più: vuole giustizia per il marito Sebastiano. Grazie al procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e alla pm Lia Sava il caso viene riaperto. Da un armadio spuntano i proiettili utilizzati la sera di quel lontano
6 novembre dal killer: basta una semplice perizia balistica per stabilire che furono esplosi dalla calibro 38 di Nino Madonia, killer mafioso che utilizzò quell’arma per altri due omicidi nel 1982 e già condannato all’ergastolo. Si apre così il processo che vede tra i testimoni anche Massimo Ciancimino, figlio dell’ex boss mafioso e sindaco di Palermo Vito Ciancimino: «Mio padre mi disse di avere appreso dal suo amico Bernardo Provenzano che a uccidere il chirurgo Sebastiano Bosio nell’81 era stato Nino Madonia, lo stesso che uccise Libero Grassi». Nonostante le dichiarazioni e l’esame
balistico Madonia nel 2013 viene rinviato a giudizio per l’omicidio Bosio: «Ciancimino è un calunniatore, ha detto tante cose false. […] Non ho mai conosciuto né lui né suo padre. Tutto quello che ha detto se lo è inventato. […]Non ho mai conosciuto il Dottor Bosio né sono stato mai visitato da lui». È notizia di questi giorni che la Corte d’Appello d’Assise ha deciso di risentire Massimo Ciancimino per ulteriori novità nel processo Bosio e stabilire una volta per tutte se Madonia è l’esecutore materiale dell’assassinio: una parola, “fine”, che arriverebbe con 35 anni di ritardo.
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LIBRO E PROGRAMMA TV
CONSIGLIATI
a cura di Mauro Valentini
Un giallo troppo complicato
Giuseppe Puppo e il mistero di Edoardo Agnelli Giuseppe Puppo è un giornalista leccese di nascita ma torinese d’adozione. È nella città della FIAT che infatti ha collaborato con molti quotidiani, occupandosi di politica, di cronaca e di costume. Il caso della morte misteriosa di Edoardo Agnelli, avvenuta il 15 novembre del 2000 lo ha interessato da subito, affascinandolo nei suoi aspetti più intricati perché al di là delle versioni di facciata, quel volo dal cavalcavia dell’autostrada, dal viadotto “Franco Romano” della Torino-Savona, catalogato come suicidio, non lo ha mai convinto. E tra mille peripezie, omissioni e censure più o meno velate, Puppo nel 2009 pubblica la sua prima inchiesta sul caso, dal titolo inequivocabile Ottanta metri di mistero. Un libro che ha avuto un’eco mediatica enorme, riferendo con chiarezza le tante incongruenze di questa storia. Un giallo troppo complicato (edizioni Tabula Fati) è la naturale prosecuzione di quel primo libro sulla sorte del più geniale ed originale rampollo della famiglia più potente d’Italia, Puppo narra dei nuovi sviluppi e delle verità che piano piano si affacciano di fronte a coloro che vogliono vedere. Ed anche delle reazioni a volte sopra le righe che il suo libro sei anni fa ha generato. Edoardo Agnelli, lungi dall’essere una persona stravagante o depressa come era dipinto, in realtà era lucido e determinato nella convinzione che un mondo migliore sarebbe stato possibile e nel libro il quadro dell’“Edoardo-pensiero” è dettagliato, andando oltre le incongruenze investigative che sarebbe ancora opportuno approfondire. Perché i dubbi che Puppo scopre da sotto il tappeto rassicurante di quella versione ufficiale sono tanti e la versione del suicidio fa acqua da tutte le parti. Perché, per dirla con le parole dell’autore: «Da quando Ottanta metri di mistero è uscito sono accadute tante cose, che meritano di essere raccontate in quello che vuol essere un’individuazione più efficace e profonda dei tanti aspetti connessi al caso di Edoardo Agnelli in un momento in cui particolari inquietanti sono venuti alla luce».
Diritto di Cronaca, la nuova rubrica di politica ed attualità in onda
ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.
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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO
CONSIGLIATI
a cura di Nicola Guarneri
Al cinema
La grande scommessa Cosa succede quando un cast straordinario incontra un libro-verità su argomenti scomodi? Succede che anche lo spettatore medio resta con gli occhi incollati allo schermo per più di due ore. La Grande Scommessa, basato su una storia vera e diretto dal regista Adam McKay, è l’adattamento del romanzo di Michael Lewis The Big Short che racconta la crisi dell’economia americana del 2006 sotto un altro punto di vista: quello di chi l’ha prevista. Tutto inizia con l’eccentrico gestore di un fondo, Michal Bury (Christian Bale), che inizia a capire che il mercato dei mutui è basato su una logica fallace. Va quindi dalle maggiori banche a scommettere contro il mercato, nonostante l’incredulità di queste. Altri due gruppi di investitori seguono indipendentemente la sua idea: Jared Vennett (Ryan Gosling) convince il trader Mark Baum (Steve Carell) a scommettere contro le CDO (obbligazioni di debito collateralizzate), così come fanno i due giovani investitori Charlie Geller (John Magaro) e Jamie Shipley (Finn Wittrock) con l’aiuto di un banchiere in pensione (Brad Pitt). I geniali stratagemmi del regista e la magistrale interpretazione degli attori sono i punti di forza di un film che rende semplici i complicati argomenti trattati: si parla di obbligazioni, mutui subprime, mercato immobiliare, credit default swap e agenzie di credito, ma la scommessa de La Grande Scommessa non può dirsi che vinta.
In radio La Storia Oscura
Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.
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ISIS, LA RELAZIONE SHOCK SUI BAMBINI RECLUTATI
Lo Stato Islamico sta arruolando una nuova ondata di combattenti: ecco come usano i bambini
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L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha affermato che tra gennaio e agosto 2015, 1.100 bambini al di sotto dei 16 anni sono stati reclutati dallo Stato Islamico (Isis). Nella relazione della Commissione Siriana sui diritti umani si afferma: «La maggior parte di loro non prende parte agli omicidi, ma aiuta i combattenti adulti nella logistica, come, ad esempio, il trasferimento di munizioni, la preparazione dei pasti, la pulizia delle munizioni e delle macchine, mentre altri fanno le pattuglie di guardia e le barriere». L’Isis ha costruito una complessa opera di reclutamento, in cui sfrutta la grave emergenza alimentare delle famiglie locali, offrendo un pagamento a chi
manda i figli a unirsi alle proprie fila: tra $ 250 e $ 350 per bambino al mese; organizza festival nelle moschee e nelle piazze per il lavaggio del cervello ai bambini presenti. Qui viene detto loro che il combattimento è l’unica via, a loro disposizione, verso l’onore e vengono attirati ulteriormente con molti premi e ricompense economiche. Gli “Uffici stampa” dell’Isis utilizzano cartelloni con messaggi nelle strade della città da loro controllate, rivolti al pubblico, in particolare ai bambini. Fanno anche trasmettere video clip delle loro missioni di combattimento e le loro realizzazioni, i loro inni religiosi e conferenze sulla Sharia. Questa pubblicità invoglia i giovani
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a combattere con l’Isis, corrompendo le loro idee con il fascino della vittoria e della gloria. È altamente innovativo nel reclutamento di bambini anche l’uso dei videogiochi: incoraggiano i bambini a giocare con questi videogame, lontani dalla supervisione dei loro genitori. I racconti eroici in quei giochi attraggono bambini innocenti, facendo loro notare la somiglianza tra queste missioni virtuali con quelle reali da loro messe in atto. L’Isis iscrive le sue piccole reclute nelle “Califfato Cubs” (“i cuccioli del Califfato”). Una volta iscritti vengono introdotti nei campi della Sharia, dove si studiano le basi religiose dell’ideologia dell’Isis. Si indottrinano i bambini tramite la versione dell’Islam da loro ideata e li addestrano a giurare fedeltà a Abu Bakr al-Baghdadi come Califfo. Vengono poi trasferiti nelle caserme, dove iniziano ad usare le armi leggere e vengono sottoposti a esercizi di allenamento fisico in vista di missioni di combattimento. Dopo aver completato lo studio della Sharia e l’addestramento al combattimento, i bambini sono suddivisi in gruppi, in base alle loro capacità fisiche e mentali. Quelli con prestanza fisica vengono inviati ai fronti sia per combattere che per prendere parte a missioni suicide. Un altro gruppo è responsabile delle operazioni logistiche, come eseguire
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APPROFONDIMENTO
I bambini soldato nel mondo, ancora un
diritto violato a cura di Nicoletta Calizia
Dal 2000 la presenza di bambini soldato è stata riportata nella maggior parte dei conflitti armati e in quasi tutte le regioni del mondo. Anche se non esistono dati precisi ed i numeri cambiano continuamente, decine di migliaia di bambini al di sotto dei 18 anni, continuano a servire le forze governative o i gruppi armati di opposizione. Alcuni di questi hanno meno di 10 anni. Sia bambine che bambini vengono utilizzati nei conflitti armati e assumono una grande varietà di ruoli tra cui obblighi in
la manutenzione, la conduzione delle pattuglie e il trasporto di munizioni. L’ultimo gruppo è composto da bambini che non hanno ottenuto un buon punteggio sulla valutazione fisica, ma hanno elevate facoltà mentali. Diventano informatori che operano presso le comunità del territorio. Essi sono comunemente noti come “Flash Memory” e riferiscono direttamente agli uffici di sicurezza dell’Isis con informazioni sui civili del posto. Attraverso questi informatori, l’Isis ha costruito uno stato di Intelligence. Questi bambini sono considerati come i più fedeli alla causa dell’Isis e sono in grado di non tradire alcun componente alle autorità locali. Questo ha portato molte famiglie a non fidarsi dei propri figli nel timore che possano lavorare segretamente per gli uffici di sicurezza.
prima linea, come combattenti, ma possono essere utilizzati anche come facchini, corrieri, spie, guardie, attentatori suicidi o scudi umani, o per svolgere compiti domestici come cucinare e pulire. Molti sono vittime di rapimenti, mentre altri si uniscono per disperazione, credendo che i gruppi armati possano offrire la migliore possibilità di sopravvivenza. Ragazze e ragazzi possono essere utilizzati anche a fini sessuali da parte delle forze armate o di gruppi estremisti. La gran parte di questi bambini vengono reclutati illegalmente, con la forza o ad un’età inferiore rispetto a quella consentita dal diritto nazionale o dalle norme internazionali. Sebbene gli standard internazionali non vietino il reclutamento volontario di ragazzi dai 16 ai 17 anni, ciò è contrario alle buone prassi e al senso comune. Oggi quasi due terzi degli Stati membri riconoscono il divieto all’arruolamento per i minori di 18 anni al fine di proteggerli
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L’Isis recluta anche i bambini a svolgere missioni suicide. Negli ultimi tre mesi, l’Isis ha condotto una serie di operazioni suicide contro le forze di opposizione, nel tentativo di ottenere il controllo di alcune città. Alcune fonti locali affermano che l’Isis ha utilizzato bambini nell’80% di queste operazioni. C’è anche un elemento economico in gioco nella scelta di reclutare queste piccole vittime. Gli stipendi e le spese per i bambini sono molto più bassi che per gli adulti. I bambini sono anche più disciplinati e desiderosi, ciò è dovuto all’incapacità di comprendere ciò che sta accadendo loro. Questo permette di essere facilmente sfruttati. Il reclutamento di bambini, inoltre, ha consentito all’Isis di mitigare le perdite dei combattenti adulti. Se le forze internazionali non si uniscono e non iniziano a capire seriamente la pericolosità dell’Isis, l’impatto di quest’ultimo sulle regioni del Medio Oriente e sul mondo intero persisterà per molti anni a venire. Per questo motivo, le potenze occidentali non devono occuparsi solo del potere dell’Isis, ma anche di tutto ciò che lascia sulla sua scia. Spoglia i bambini della loro umanità e distrugge qualsiasi norma civile.
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dal rischio di coinvolgimento in conflitti armati e per garantire il loro benessere, e dichiarano che i loro diritti, come bambini, debbano essere rispettati. Ma questo divieto viene sempre più infranto e a questi minori viene tolto il diritto all’infanzia e all’adolescenza, a vivere una vita normale nel pieno rispetto dei loro bisogni e della loro giovane età.
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TROPPO STRESS: NUOVE REGOLE PER PROFESSIONE
MEDICA
Criticità di una professione indispensabile ma con tante, troppe problematiche ancora irrisolte
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La professione medica è un’attività particolarmente delicata che richiede una preparazione di alto livello e una grande sensibilità da parte di chi la svolge. La capacità di calarsi nelle situazioni dei pazienti, con il giusto distacco professionale è fondamentale e consente al medico di svolgere in maniera onesta la sua missione d’aiuto. Molte volte, però, il carico di lavoro eccessivo e tante altre problematiche possono provocare delle difficoltà grosse, che non vanno sottovalutate. I medici come tanti altri lavoratori, che svolgono attività rientranti nelle helping professions,
si ritrovano spesso a fronteggiare il rischio burnout: una progressiva perdita di energia che porta esaurimento emotivo, spersonalizzazione e scarsa realizzazione professionale. Tale malessere si può ripercuotere ingiustamente sui pazienti, provocando danni irreparabili. I fattori scatenanti possono essere di due tipi: soggettivi e oggettivi. I primi riguardano i tratti caratteriali e la spinta motivazionale del professionista, due elementi che vanno analizzati in partenza, ma tenuti costantemente sotto controllo. Per questo è fondamentale un continuo sostegno psicologico all’interno
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delle strutture ospedaliere presso le quali operano questi professionisti. Lo sportello d’ascolto è un ottimo aiuto all’interno di queste strutture, anche solo per dei piccoli momenti di sfogo e di confronto che aiutano il professionista ad aprire la mente e a svolgere in maniera più distaccata, ma con sensibilità, il suo delicato ruolo. Bisognerebbe dedicare altrettanta attenzione ai numerosi fattori oggettivi o esterni che favoriscono il burnout: orari prolungati di lavoro, sostegno inadeguato o assente all’interno dell’equipe, inadeguate anche da un’indagine realizzata da condizioni di lavoro dovute ad una scarsa ANAAO Giovani (Associazione Medici organizzazione e tensioni lavorative con e Dirigenti del SSN) su un campione di colleghi. Tutte queste criticità emergono camici bianchi. Dall’analisi di circa 2.000 interviste, suddivise per aree geografiche e per età, viene delineato l’identikit del medico ospedaliero stressato che svolge dalle 7 alle 16 guardie al mese per carenza di personale ed è costretto a lavorare anche dopo il turno notturno. Dall’indagine emerge infatti che oltre a soffrire di malattie cardiovascolari e metaboliche, il medico italiano oggi presenta rilevanti disturbi del sonno e psicologici. In questi ultimi anni, caratterizzati da cospicui tagli finanziari, il medico si trova sempre più in difficoltà.
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È necessario riorganizzare il sistema sanitario anche da questo punto di vista, per valorizzare l’importanza del benessere in ambito lavorativo, evitando tensioni e minacciose forme di stress. Un passo in avanti è rappresentato dall’entrata in vigore delle norme europee che impongono ai dottori di non lavorare più di 48 ore la settimana in ospedale; i turni non possono superare le 13 ore e tra uno e l’altro è obbligatorio un riposo di almeno
11 ore. La Direttiva europea recepita nel 2003 entra in vigore il 25 novembre 2015, con ben 12 anni di ritardo. Il problema di fondo però è la carenza di personale che viene spesso coperta da chi lavora, con turni massacranti. Il blocco del turn over aumenta i rischi per i pazienti e per le professioni mediche, provocando di conseguenza il collasso delle strutture ospedaliere e la fine di una professione indispensabile.
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LA ROBOTICA
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DISABLI GRAVI Start up innovative e progetti futuristici per concretizzare sogni che un tempo si credevano irrealizzabili
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Alcuni ausili tecnologici che fino ad alcuni anni fa parevano impossibili, oggi sono diventati parte integrante nella vita di tutti i giorni di molte persone con handicap. Prendiamo per esempio gli impianti per i non udenti, le nuove implementazioni per il linguaggio Braille, come il Braille sense mini software (dedicato alle persone con difficoltà di percezione sensoriale), i browser vocali, lettori con sintesi vocale, linee guida per una maggiore accessibilità dei siti, uso del suono e del rumore, periferiche tattili e con force feedback: sono solo alcune delle tecnologie che
vengono usate. Ricordiamo che già attorno agli anni ‘50 si cominciava a parlare di robotica, grazie a Raymond Goertz che nel 1951 in Francia progettò un braccio automatico per manovrare il materiale radioattivo. Da allora si capisce che quella sarebbe stata la strada per migliorare la produttività nelle industrie e difatti nel 1973 viene prodotto dalla società Cincinnati Milacron il minicomputer T3, progettato per controllare i robot industriali. Pian piano però la robotica si trasforma al fine di aiutare le persone che hanno dei deficit,
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migliorandone così la qualità di vita. Ecco nascere un guanto per sordociechi dbGlove, ideato da una società pugliese (la Intact Healthcare) che attraverso vibrazioni tattili permette di trasformare le informazioni in modo tale che le persone che hanno questa patologia possano comunicare tra loro. Una delle conquiste più importanti e futuristiche nel campo della robotica è collegata alla neurocibernetica, cioè la tecnologia più sofisticata collegata al nostro cervello per eliminare o compensare una disabilità. In Italia si sta lavorando al progetto “Cyber Brain” esattamente a Caserta, dov’è nata una struttura dedicata allo
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studio della neurocibernetica ed è l’unica nel suo genere. Presentata il 3 novembre scorso con un simposio dal titolo Oltre le frontiere della scienza: dove le neuroscienze e la neurotecnologia si incontrano, la struttura sarà specializzata nello sviluppo di dispositivi impiantabili e di neuroprotesi in grado di acquisire e trasmettere segnali neurali utili allo studio di patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer e la malattia di Parkinson. Inoltre costruirà protesi robotiche e il Brain-Computer Interface (BCI) per ripristinare il più possibile le funzioni vitali danneggiate a seguito di svariate malattie
e traumi (come paralisi cerebrale e SLA). Qui lavoreranno bioingegneri elettronici, informatici e medici, neuropsicologi, fisici e matematici. La rivoluzione più importante è quella dell’invenzione dell’esoscheletro, che darà la possibilità ad un paraplegico di camminare nuovamente. Questa eccezionale prospettiva di vita il più possibile autonoma e “normale”, sarà la svolta incredibile che segnerà per sempre
la fine di un incubo e la realizzazione di un sogno. Grazie quindi al lavoro di tanti ecco rinascere e concretizzarsi la speranza dei disabili gravi. Mai smettere quindi di credere e di lottare, anche se per giungere a destinazione occorre tempo e in questo caso per la struttura di Caserta serviranno molti fondi per la creazione dei laboratori e per i loro progetti.
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