Cronaca&Dossier26

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COPIA OMAGGIO

anno 3 – N. 26, Maggio 2016

13 MAGGIO 1981 35 ANNI FA L’ATTENTATO AL PAPA

La guerra tra CIA e 007 bulgari nei documenti della STASI: già prima di Alì Agca spuntò la “pista bulgara”

Il mistero dei 3 proiettili in Piazza San Pietro

Unioni civili: quali diritti per i minori?

Lo strano caso di Milena Sutter


Indice del mese 10

4. La finestra sul crimine «HANNO SPARATO AL PAPA!»

10. Crimini ai Raggi X LA CACCIA DEL LUPO GRIGIO

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18. Crimini ai Raggi X

LA GUERRA TRA SERVIZI SEGRETI DOPO L’ATTENTATO AL PAPA

24. Criminalistica

L’ATTENTATO AL PAPA E IL MISTERO DEI 3 PROIETTILI

28. Sulla scena del crimine

PROCESSO ALL’ORRORE: IL CASO DELLA PICCOLA ANGELICA

34. Dossier da collezione

MILENA SUTTER E IL “BIONDINO” DELLA SPIDER ROSSA

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COPIA OMAGGIO

anno 3 – N. 26, Maggio 2016

40. Media crime

13 MAGGIO 1981 35 ANNI FA L’ATTENTATO AL PAPA

LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI

La guerra tra CIA e 007 bulgari nei documenti della STASI: già prima di Alì Agca spuntò la “pista bulgara”

42. Dossier società

Il mistero dei 3 proiettili a Piazza San Pietro

LA FAMIGLIA CAMBIA PELLE

Lo strano caso di Milena Sutter

ANNO 3 - N. 26 MAGGIO 2016

48. Diritti e minori

Rivista On-line Gratuita

COPPIE DI FATTO E UNIONI CIVILI: QUALI DIRITTI PER I BAMBINI?

Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi

54. Storie di tutti i giorni

COPPIE DI FATTO: COSA ACCADE SE UNO DEI PARTNER È DISABILE?

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Unioni civili: quali diritti per i minori?

Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Tommaso Nelli

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Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione. Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1/2014 Reg. Stampa dal 15 gennaio 2014


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i ntin e l a V auro ini1966 M i t olo d alen artic @MV

NES LA FI

«HANNO SPARATO

AL PAPA!»

Cronaca di un miracolo e di un mistero di trentacinque anni fa

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Da quando è stato eletto Papa l’uomo che viene dalla Polonia, il mercoledì è un giorno speciale per i fedeli. Wojtyla ha energia, simpatia e soprattutto è sempre in mezzo alla gente. Quando il secondo mercoledì di maggio del 1981 esce per il giro della piazza delimitata dal Colonnato, Papa Giovanni Paolo II ha già all’attivo 10 viaggi pastorali in due anni di pontificato. Non vuole rimanere tra quelle mura dorate, ha appena compiuto 61 anni e ne dimostra 10 di meno, sale sulla papamobile per salutare la folla festante in piedi, quasi sembra voglia scendere

ad abbracciare e baciare i bambini. Quel 13 maggio, stranamente i fedeli non sono tanti ed allora i giri in auto diventano due. Gli passano in braccio un bambino, lui lo bacia e lo riaffida alla mamma, poi l’auto effettua un piccolo movimento in avanti e proprio in quel momento una mano ossuta tra la folla si alza con una pistola in mano, non prende la mira, spara da quella posizione innaturale come solo un professionista sa fare. E il professionista colpisce. Sono le 17:22 quando il sorriso di Carol Wojtyla si trasfigura in una smorfia di sorpresa e di

La papamobile

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i ntin e l a V auro ini1966 M i t olo d alen artic @MV

NES LA FI

dolore. Il primo colpo si conficca nel basso ventre, il secondo sparo lo raggiunge di striscio al gomito, finendo la sua corsa dall’altra parte delle transenne contro due turiste americane che per miracolo non sono ferite gravemente. E ad un miracolo si appella il chirurgo del Policlinico Gemelli quando vede la TAC del Santo Padre: quel proiettile ha fatto dei danni che appaiono irreparabili e Papa Wojtyla ha perso tantissimo sangue

L’attentato al Papa

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nella corsa dal Colonnato all’ospedale. Intanto chi ha sparato prova a fuggire, ma tutti gli occhi della gente gli sono addosso, non lo perdono di vista, troppo palese il suo gesto, quasi folle nel suo non curare la via di fuga. Le Forze dell’ordine lo catturano in un lampo. È un turco, si chiama Mehmet Alì Agca, ha soli 23 anni, di professione fa il killer ed è parte di un gruppo terroristico chiamato “Lupi grigi”. Per questo è ricercato, dopo la sua fuga


dalle patrie galere, sparito dai radar dell’Interpol per poi ricomparire come un alieno in Piazza San Pietro per sparare al Papa. Troppo particolare il suo curriculum vitae per pensare ad un gesto di un folle, questo gli inquirenti lo capiscono subito. Si scopre che il giornalista turco assassinato dal commando di cui faceva parte Agca aveva pubblicato proprio una sua lettera in cui minacciava il Papa se non avesse rinunciato al suo viaggio in Turchia, che era puntualmente avvenuto nel novembre 1979. Il cerchio sembra chiuso, ma chiuso non è affatto. Il miracolo intanto si materializza, Wojtyla si salva, subirà ancora diversi interventi per le infezioni che quel proiettile ha Mehmet Ali Ağca prodotto nel suo intestino ma è vivo. E perdona subito il suo attentatore. passati due mesi dallo sparo, ed è una Che però inizia un iter di dichiarazioni e condanna che nelle motivazioni appare smentite che disorienteranno chi indaga come un invito esplicito ad indagare più e che di fatto lo trasformano da imputato a fondo. per “tentato omicidio di Capo di Stato Difatti secondo i giudici è chiaro estero” in burattinaio sopraffino, lui che che «l’attentato non è opera di un ha soltanto 23 anni ma che sembra così maniaco, ma venne preparato da sicuro di sé. Ed è Agca che con la sua un’organizzazione eversiva rimasta condotta convince la Corte che lo giudica nell’ombra». per direttissima del fatto che lui non è Nero su bianco nella sentenza. un folle spinto dal fanatismo religioso a Ma chi può aver ordito un complotto ed un’azione così eclatante che mai era sparare all’infedele. La condanna all’ergastolo arriva dopo solo stata espressa contro un Pontefice? tre giorni di dibattimento, quando sono In realtà la lista dei “nemici” di un

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i RA ntin T e l S a E V N uro i1966 LA FI n i Ma ti olo d MValen c i t r a @

pontificato che da subito ha impresso una linea di forte coinvolgimento politico internazionale è lunga. Il blocco sovietico vede come un nemico quest’uomo così legato a Solidarnosc, Wojtyla non si limita soltanto ad una condanna formale dell’ideologia comunista ma sembra con i suoi discorsi incarnare il riscatto di tutti i popoli dell’Est. Nonostante la rinuncia in Appello di Agca, una seconda istruttoria si apre nel novembre di quell’anno. Il Papa sta molto meglio, ha ricominciato a viaggiare e il giudice Ilario Martella indaga su chi può esser quel mandante occulto che la sentenza ha espresso. E un anno dopo finisce in manette un funzionario della Balkan Air, il bulgaro Sergheji Antonov. È la cosiddetta “pista bulgara”. Sarebbero stati i servizi segreti balcanici a ordire questo attentato usando la mano ferma e senza scrupoli di un giovane ed eclettico terrorista turco. Ma per conto di chi non è chiaro. Una pista che presto però si arena, si perde in mille altri rivoli e con piste investigative che si sciolgono come neve al sole. Fino ad arrivare al caldo sole di giugno del 1983, quando la giovane cittadina vaticana Emanuela Orlandi scompare, rapita da qualcuno che cerca il mezzo per contattare direttamente il vertice della Santa Sede. E al telefono i presunti (improbabili) rapitori di Emanuela

chiedono il rilascio di Agca. Lui mostra di non saper nulla di questa operazione, urla di lasciare libera la ragazza, ed è logico che dica così: ha una condanna a morte in Turchia che lo aspetta. Meglio il carcere italiano dove addirittura, nel dicembre di quell’anno, riceve la visita e il perdono del Papa in persona. Cosa si dicono Wojtyla e Agca quel giorno in quel colloquio rimasto segreto? È un mistero. Forse Agca racconta chi lo ha mandato ad uccidere? Forse.

Giovanni Paolo II nel 1997

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Paolo Rossi

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GI X G A o R NI AI o Bonom I M I t R

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LA CACCIA DEL

LUPO GRIGIO Storia del gruppo terroristico che custodisce il mistero sullo storico attentato a Giovanni Paolo II

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La leggenda narra che un giorno, lontano nel tempo, prima ancora dell’Islam di Maometto, fu un lupo selvaggio a salvare le tribù turche in pericolo lungo le montagne dell’Asia centrale. Questo mito tratteggia la figura del “Lupo grigio”, la sua immagine di cacciatore che, solitario e asservito solo a se stesso, attraversa le terre in cui vive legittimando ogni tipo di persecuzione contro tutto ciò che è pericolo, di ogni cosa o persona non-turca possibile minaccia alla propria sopravvivenza nelle terre natie. «Il Turco non ha altro amico che il Turco». Alparslan Turkes (conosciuto con l’appellativo di “Upper Wolf”) è il fondatore e leader del movimento nazionale dei “Lupi grigi”, che nascono proprio come un branco, assoggettato al credo del panturchismo, un’ideologia turanista condivisa con i neonazisti ungheresi di Jobbik e che i Lupi grigi coltivano anche nel Secondo dopoguerra. La dottrina pone l’origine dei magiari e dei turchi a Est allontanandoli in tal modo dagli slavi. Questo senso di appartenenza si trasforma però in una feroce rivendicazione oscura e abnorme; la superiorità di una razza che conduce alla legittimazione della violenza, che sfocia nello sterminio di

Mehmet Ali Ağca

tutti i popoli che insistono sulla presunta patria di coloro che combattono in nome della bandiera dalle tre mezzelune. I cosiddetti Ülkücüs, letteralmente “idealisti”. In epoca moderna il movimento estremista dei Lupi grigi da subito investe gran parte dei propri fondi in strutture giovanili e nella formazione di gruppi paramilitari.

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GGI X

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o nom o B to lber laned A i a od @el ticol

CRIM ar

Sin dagli anni ‘60 questi combattenti, che erano addestrati sul modello delle SS, sacrificano la propria vita in Turchia durante le battaglie contro gli avversari politici. Nel 1969 esistevano più di 34 campi di comando e più di centomila giovani reclute. I piani di lavoro comprendevano taekwondo, boxe e kickboxing; era un addestramento intenso che rendeva i

Momento dell’attentato

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soldati capaci di destreggiarsi in ogni tipo di conflitto in particolar modo contro i militanti del PKK. Negli anni ‘80 gli scontri nelle strade erano all’ordine del giorno, curdi e turchi si scontravano senza sosta. Per analizzare gli equilibri e i rapporti tra i Lupi grigi, il Partito del Movimento Nazionalista e lo Stato turco, il primo


elemento da evidenziare è che nella storia recente della Turchia il partito del Movimento Nazionalista è stato una costante, sempre presente con una propria sensibilità politica. Un nucleo capace di sopravvivere anche alle persecuzioni e ai tentativi di repressione che si concretizzarono proprio negli anni ‘80. Nella storia del paese i Lupi grigi hanno assolto perfino compiti specifici nell’apparato statale, a volte sostituendo il laico esercito turco al servizio dell’islamismo moderato dell’AKP al governo. Per esempio, ad oggi, i Lupi grigi hanno un paradossale controllo di un’ampia fetta del sistema d’istruzione del paese. Questa presenza viene messa completamente al servizio dell’ideologia turanista a partire dalla scuola primaria fino all’università. Il Movimento è riuscito anche a tessere importanti relazioni durante la Guerra Fredda capaci di accrescere esponenzialmente i poteri politici in Occidente e quindi nei paesi NATO e a predisporre un vero e proprio esercito paramilitare e d’élite usato come prima linea in una guerra sporca contro

Mehmet Alì Agca a Rebibbia nel 1983

le lotte di liberazione nazionale dei curdi e di altre organizzazioni rivoluzionarie. Nelle aree abitate dai curdi, le squadre di tal esercito d’élite appiccano il fuoco nei villaggi, opprimono la popolazione in ogni modo e uccidono gli abitanti. Tra le fila del branco dei Lupi grigi il più noto in Italia è Mehmet Alì Agca, l’uomo che attentò alla vita di Papa Giovanni Paolo II il 13 maggio 1981.

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RAG NI AI

o nom o B rto Albe lalaned i d olo @e artic

I CRIM

Già protagonista come complice nel 1979 nell’attentato al giornalista turco Abdi İpekçi, prima penna del quotidiano liberale Milliyet. Quando fu incarcerato nel 1981 sulla sua testa pendeva già tale condanna (solo nel 1982 la giustizia turca, per tale attentato, inflisse una condanna a morte, poi mutata in una pena di dieci anni di carcere in seguito ad un’amnistia). Processato per direttissima dopo l’attentato al Papa, i giudici della Corte d’Assise in Italia lo condannarono all’ergastolo per il tentato omicidio di un Capo di Stato estero. In un primo momento, all’indomani della condanna, Agca rimase in silenzio e non presentò alcuna richiesta d’appello, dichiarando che l’attentato era da ascriversi all’opera di un’organizzazione eversiva segreta. Solo in seguito però la difesa tentò la strada della malattia mentale, definendolo affetto da schizofrenia paranoica, un maniaco mosso dal desiderio di diventare eroe del mondo musulmano. L’anno dopo, nel 1982, in concomitanza con la sentenza turca per le precedenti accuse e responsabilità, mentre in Italia il

Piazza Sa

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an Pietro

processo era ancora in corso, il “lupo grigio” dichiarò che l’attentato di Giovanni Paolo II era stato voluto da un’organizzazione bulgara, legata ai servizi segreti e al KDS. La giustizia italiana non tenne conto di queste dichiarazioni e, con la sentenza definitiva del 29 marzo 1986, ritenne Mehmet Alì Agca unico responsabile e colpevole per l’attentato al Papa. Le lunghe indagini non portarono mai alla scoperta dei veri mandanti dell’attentato. Ufficialmente fu la Commissione Mitrokhin del Parlamento italiano, dopo aver analizzato presunti documenti provenienti da Germania e Ungheria, a stilare una relazione di maggioranza secondo la quale l’attentato sarebbe stato architettato dal KGB, di concerto con i servizi segreti della Germania Est in sinergia con il gruppo terroristico bulgaro a Roma che a sua volta si sarebbe rivolto ai Lupi grigi di cui Alì Agca faceva parte. A queste informazioni se ne aggiunsero altre tra le quali quella del coinvolgimento di Cosa Nostra nell’attentato, di cui parlò il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara ma la verità accertata non venne mai a galla.

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AGG R I A I

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ll o Ne s a m y i Tom icohipp d o l o m @ki artic

IN CRIM

LA GUERRA TRA

SERVIZI SEGRETI

DIETRO L’ATTENTATO

AL PAPA

Documenti della STASI rivelano la guerra sotterranea con la CIA sulla cosiddetta “pista bulgara”

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La “pista bulgara” ancor prima dei bulgari! La galassia di punti interrogativi sull’attentato al Papa – sempre ignoti oggigiorno mandante e movente – contempla anche le poche certezze finora esistenti sui drammatici fatti di Piazza San Pietro e che hanno origine nell’inchiesta della magistratura terminata il 26 novembre 1984 con il rinvio a giudizio di otto imputati: Alì Agca, quattro connazionali (Bagci, Celebi, Celenk e Celik) e tre bulgari abitanti a Roma (Sergei Antonov [caposcalo alla Balkan Air], Todor Ayvazov e Jelio Vassilev [cassiere e addetto militare dell’ambasciata di Bulgaria]) che il killer turco indicò come suoi complici. Costoro avrebbero adempiuto un ordine di Sofia,

a sua volta subordinato a una precisa volontà di Mosca: eliminare Wojtyla in quanto possibile minaccia alla stabilità del blocco delle nazioni socialiste aderenti al Patto di Varsavia. Tramandata ai posteri come la “pista bulgara”, questa tesi fu vanificata in sede dibattimentale dato che il 29 marzo 1986 i tre balcanici furono assolti per insufficienza di prove (verdetto confermato anche in Appello). Viene allora da chiedersi: ma dove sono le anomalie e i misteri? Presto detto. Di “pista bulgara” se ne parlò già due mesi prima delle “rivelazioni” di Alì Agca al giudice Ilario Martella (28 ottobre e 8 novembre 1982). Il 17 agosto 1982 sul New York Times la giornalista statunitense

Erich Mielke

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lli o Ne s a m Tom icohippy i d o m ol @ki artic

CRIM

Claire Sterling, in un’inchiesta intitolata “Soviet and Bulgarian Role Hinted in Shooting of the Pope by Turk”, esplicitò la teoria del complotto sovietico-bulgaro, che ampliò in un reportage di tredici pagine sul numero di settembre del Reader’s Digest. Accuse pesanti e mirate che spinsero la Bulgaria a chiedere immediato aiuto alla STASI, la polizia segreta della Germania Est, affinché preparasse una controffensiva mediatica di smentita. «Compagno Damm! […] Ultimamente sono apparse nei mass-media di alcuni paesi capitalistici notizie tendenziose e menzognere secondo le quali l’attentato al Papa Giovanni Paolo II, nel 1981, sia stato l’opera

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degli organi del KfS (KGB, ndr) e dei Servizi per la Sicurezza bulgari, che avrebbero concesso assistenza diretta al terrorista Mehmet Alì Agca fornendogli armi e denaro. Si tratta evidentemente di una campagna diretta dai Servizi Segreti dell’avversario. […] Di fronte a questi fatti, si prega di accelerare la preparazione di documenti per l’operazione comune chiamata ‘papa’». Era il 26 agosto 1982 e da Berlino Est offrirono la massima collaborazione, fabbricando anonime lettere minatorie in un tedesco sgrammaticato comparse poi sulla scena nei mesi successivi al fine di smentire la Sterling e destabilizzare l’inchiesta della magistratura. Il carteggio tra i due Paesi s’intensificò a dicembre, dopo le prime dichiarazioni di Agca, chiamando in causa addirittura Erich Mielke, il numero uno della STASI. «Compagno Mielke! […] Si prega di assisterci nella lotta contro la situazione internazionale. Già molto prima, i mass-media americani e di molti paesi dell’Europa occidentale hanno sparso insistentemente

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lli o Ne s a m Tom ohippy i d olo mic @ki artic

I CRIM

notizie inventate, e questo attraverso ogni possibile canale, sul “legame bulgaro” con l’attentato al Papa. […] Sottolineiamo ancora una volta che le accuse non corrispondono alla verità». Giunti a questo punto, lecito porsi qualche domanda. La Sterling come sapeva della “pista bulgara” prima che Agca ne parlasse? D’accordo, trent’anni fa i giornalisti potevano essere migliori degli attuali, ma le loro virtù contemplavano anche la chiromanzia e la capacità di prevedere gli eventi con sconcertante certezza?

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Non era più logico che la “pista bulgara” uscisse sui media dopo le deposizioni di Agca, magari favorita da qualche fonte dentro il Palazzo di Giustizia abile nel far trapelare notizie in teoria coperte dal segreto istruttorio? Sapere con largo anticipo quanto poi dichiarato in sede d’indagine non è, specie per una vicenda così eclatante, quantomeno insolito? Secondo la Bulgaria, Claire Sterling era molto vicina alla CIA – «i nostri Servizi hanno ricevuto segnalazioni che Claire Sterling […] vive da molti anni come


cittadina americana a Roma ed è nota tra i giornalisti esteri per i suoi stretti contatti con la CIA» – ritenuta il deus ex machina dell’operazione. «Organizzatore principale della campagna antibulgara è la CIA, in stretta collaborazione con i servizi segreti italiani, turchi, francesi e di altri paesi NATO» scrisse Stojanov a Mielke il 4 dicembre 1982. Ma davvero la CIA strumentalizzò il ferimento di Giovanni Paolo II in chiave geopolitica? E Claire Sterling aveva così alte frequentazioni? Di certo, l’Italia condivise la sua tesi. Anzi, la anticipò a meno di una settimana dall’attentato. «Un gruppo all’interno del SISMI ha redatto un rapporto del 19 maggio 1981 nel quale viene dichiarato che

l’ordine di uccidere il Papa proveniva dal maresciallo Ustinov, ministro della Difesa dell’UdSSR» relazionarono dalle parti di Alexanderplatz nel 1985, aggiungendo un commento ben poco lusinghiero nei nostri confronti. «Questo rapporto è considerato un falso. […] La commissione è del parere che una “prova” prodotta premeditatamente (come lo è il rapporto del SISMI) rappresenti una disinformazione del tipo più scellerato». A trentacinque anni di distanza, sul tavolo della Storia, tre domande separano dalla verità: dove nacque la “pista bulgara”? L’Italia vi ebbe un ruolo? E quel 13 maggio, a Piazza San Pietro, chi voleva la morte del Santo Padre?

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A STIC nai I L A IN Mug 5 CRIM olo

i Pa ugnai1 d o l o oM artic @Paol

L’ATTENTATO AL PAPA E IL MISTERO DEI 3 PROIETTILI

Fra testimonianze e traiettorie l’enigma del terzo sparo è destinato a non trovare soluzione

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Il 13 maggio del 1981 gli occhi del mondo sono puntati su Piazza San Pietro in Vaticano, ad osservare sconvolti ed impotenti uno degli eventi più enigmatici del secolo scorso: l’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Un mercoledì come tanti altri dedicato dal Pontefice alle udienze in piazza, che alle 17:17 getta la massa oceanica di fedeli nel panico e nella disperazione. Due, tre o forse quattro colpi di arma da fuoco vengono esplosi nella direzione del Papa mentre si appronta a completare il secondo giro, in piedi sulla sua papamobile tra gli abbracci e le benedizioni alle tante persone accorse a salutarlo. L’attentatore viene subito bloccato ed

identificato dalla polizia, si tratta di Mehmet Alì Agca, un giovane turco di appena ventitré anni che di professione fa il killer, membro della famigerata organizzazione terroristica di estrema destra denominata Lupi grigi. Da quell’attentato Giovanni Paolo II ne esce gravemente ferito ma grazie a diversi interventi chirurgici, nel giro di pochi mesi è in grado di tornare nuovamente alla sua missione di guida spirituale della Chiesa di Roma. A distanza di trentacinque anni sono state fatte tante ipotesi sulla natura di questo evento, dal killer isolato all’organizzazione terroristica, tra complotti e presunti mandanti eccellenti, spesso all’ombra dei servizi segreti. Adesso pare ormai accertato

Il prof. Martino Farneti durante una lezione

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CRIM

che la pistola utilizzata da Alì Agca, una Browning calibro 9 mm con matricola 76C23953, sarebbe stata acquistata a Zurigo dal contrabbandiere di armi Otto Tintner, uomo che sarebbe stato vicino ai servizi segreti, e fatta recapitare a Vienna. Ma quel 13 maggio 1981 in Piazza San Pietro fu soltanto Alì Agca a premere il grilletto puntando la pistola in direzione del Papa oppure un secondo complice, anche lui armato, esplose dei colpi di arma da fuoco nascondendosi tra la folla? Sappiamo che il Papa fu raggiunto da due proiettili sparati da una distanza di circa tre metri e mezzo, uno che gli provocò una ferita transfossa all’addome (ovvero con proiettile non ritenuto dai tessuti ma fuoriuscito dal corpo) con una traiettoria addomino-sacrale e l’altro che gli provocò una ferita trapassante

Esempio prova di sparo

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all’indice della mano sinistra ed una ferita lacero-contusa all’avambraccio destro. Uno dei proiettili fu recuperato successivamente sul pianale della papamobile e si trova adesso in Portogallo, incastonato come reliquia nella corona della statua della Madonna di Fatima. Durante l’attentato furono ferite anche due turiste americane, la giovane Rose Hall, colpita al gomito sinistro e la cinquantottenne Ann Odre, attinta da un proiettile all’emitorace sinistro. Una prima perizia balistica ipotizzò che il proiettile fuoriuscito dall’addome del Pontefice avesse colpito al gomito Rose Hall, mentre il secondo proiettile fosse andato a colpire Ann Odre dopo aver ferito il Papa agli arti. Tuttavia la stessa perizia, contenendo alcune incertezze sulle traiettorie balistiche ed ipotizzando che i proiettili sparati fossero soltanto due,


entrava in contraddizione con i numerosi testimoni che riferivano di aver sentito tre spari. Un’ipotesi più probabile è che un terzo proiettile non abbia interessato il Pontefice ma abbia colpito direttamente Rose Hall al braccio e successivamente attinto Ann Odre, che si trovava in posizione retrostante rispetto alla Hall. Fondamentale è la testimonianza del fotografo americano Lowell Newton, il quale riuscì ad immortalare un secondo individuo con in mano una pistola mentre si dileguava tra la folla e di aver udito in maniera certa tre spari. La persona fotografata da Newton sarà poi identificata in Oral Celik, braccio destro di Alì Agca e anch’egli legato all’organizzazione dei Lupi grigi. Possiamo ipotizzare che Oral Celik

oppure un ulteriore complice abbia sparato in direzione del Papa? Secondo il professore Martino Farneti, esperto balistico di fama internazionale e docente di Balistica all’Università della Tuscia, la risposta è sì. Tuttavia, evidenzia il prof. Farneti: «Soltanto un’analisi balistica condotta con serio rigore scientifico sull’unico proiettile recuperato, potrebbe chiarire effettivamente se l’arma dalla quale è stato sparato fosse la Browing cal. 9 mm appartenuta a Alì Agca. Nonostante questo, avremmo comunque soltanto un’informazione parziale, in quanto gli altri due proiettili non sono mai stati recuperati e quindi non potremmo mai sapere da quale arma sono stati sparati». A distanza di tanti anni, l’attentato a Papa Wojtyla sembra quindi destinato a rimanere

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PROCESSO A IL CASO DELLA PIC

Condannato Luigi De Matteis per «uno dei del Venticinque anni, praticamente una vita, è stata l’attesa per un processo. Non un processo qualsiasi, ma quello per fare giustizia su un duplice omicidio di una giovane donna, Paola Rizzello, e della sua figlioletta Angelica, di 2 anni, trucidate il 20 marzo 1991 a Parabita, in provincia di Lecce, con una barbarie che non si riserva neanche agli animali. Nonostante il tempo passato la Giustizia ha fatto il suo corso. Il 22 aprile scorso Luigi De Matteis è stato condannato a 16 anni e 8 mesi per la morte di Angelica e sua madre, ritenuto complice di Biagio Toma. Solo 16 anni a dispetto dell’orrore compiuto. De Matteis è riuscito ad avere lo sconto di un terzo della pena avendo scelto il rito abbreviato. Il processo si era aperto nella stessa aula in cui Toma fu sentito il 17 aprile del 2000 come testimone e dove il 26 marzo del 2001 erano stati condannati all’ergastolo il boss Luigi Giannelli (come mandante), la moglie Anna De Matteis (come istigatrice)

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ed il fedelissimo Donato Mercuri (organizzatore) per il duplice delitto. Difeso dall’avvocato Walter Zappatore, Toma si era trovato a rispondere di duplice omicidio


ALL’ORRORE: CCOLA ANGELICA

litti più feroci della storia criminale nazionale»

volontario aggravato dalla crudeltà per la confessione del coimputato Luigi De Matteis, difeso dall’avvocato Francesco De Giorgi. Dopo l’arresto nel corso delle indagini dell’allora

pubblico ministero Giuseppe Capoccia e dei carabinieri del ROS, Toma sostenne durante l’interrogatorio di garanzia che non sarebbe stato mai capace di macchiarsi di un delitto così orrendo. Paola Rizzello venne uccisa a colpi di fucile mentre teneva in braccio Angelica Pirtoli di due anni, a sua volta rimasta ferita. Gli assassini la lasciarono lì, viva, poi però ritennero che avrebbe potuto diventare una scomoda testimone e tornarono indietro dopo circa un’ora per finirla, in modo terribile. Il suo cadavere ormai irriconoscibile venne rinvenuto il 19 febbraio 1997, durante uno scavo in contrada Tuli, a Parabita. Due anni dopo, il 4 maggio 1999, è stata la volta di Angelica, un corpicino nascosto dentro un sacco per il concime, sulla collina di Sant’Eleuterio. Ma perché uccidere una giovane mamma e la sua bimba? La Rizzello dava fastidio per diversi motivi. Luigi Giannelli, a capo dell’omonimo clan di Parabita, uno

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ENA

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dei grani della Sacra Corona Unita, aveva avuto una relazione con la mamma di Angelica, agli inizi degli anni ’80. Paola sapeva troppo. Sapeva delle dinamiche del gruppo, sapeva dei delitti più eclatanti, conosceva i luoghi in cui veniva nascosta la droga, tanto da essere persino sospettata di averne sottratta un bel po’ per sé. Chiedeva pure di Luigi Calzolari, suo fidanzato, fatto fuori nel 1985, sospettando che il mandante dell’uccisione fosse proprio Giannelli.

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Paola Rizzello aveva appena 27 anni. Scostò spavalda la canna del fucile che De Matteis le aveva puntato contro: «Non mi fai paura». Partì il primo colpo, diretto alla pancia. Colpì anche la bimba che lei teneva in braccio, al piedino destro. La scarpetta volò via. Angelica si mise a piangere. E poi il secondo colpo, sul petto. Paola è morta così. Ma lei, la piccola, lei era ancora viva. Loro la lasciarono lì, in quella campagna, vicino al casolare.


Al buio. Ma ci ritornarono. «Vabbè, tanto cresceva come la madre», dicevano sprezzanti tra loro. «Se trovano la bambina in quelle condizioni, automaticamente si capisce che alla madre le è successo qualcosa, qualcosa di brutto… No, la bambina non si può lasciare. Voi sapete cosa dovete fare». Così aveva ordinato spietatamente Donato Mercuri secondo la Corte d’Assise. Nonostante le condanne, nel maggio del 1999 Luigi De Matteis fece una rivelazione che lasciò ammutoliti i giudici della Corte d’Assise: «Nnu la facia chiui cu tegnu questo segreto qua, anche perché ci ho due figlie ed ogni volta che io le guardavo…». Una confessione piena. E dettagli insopportabili, contro suo cognato: «Biagio Toma è sceso dalla macchina, ha preso la bambina per i

piedi e l’ha sbattuta quattro-cinque volte vicino al muro e niente, cioè era morta la bambina». Con la testolina fracassata. Agli inizi del 2014 un testimone disse: «Ci aveva chiesto di spostare un sacco da lì, di portarlo da un’altra parte. Una cosa, un sacco che era sotto quel pino». «Un sacco». Non un cadavere. Questo non lo ha ammesso mai, ma è bastato per capire, per avere la conferma. Finora non c’era stato nessun altro riscontro contro Toma. Niente che potesse incastrarlo. Si sentiva sicuro. Per il reato di estorsione aveva patteggiato una pena a 3 anni e 8 mesi; per due volte era già stato processato e assolto, per rapina e per possesso di stupefacenti. Gli era stata riconosciuta

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anche l’ingiusta detenzione ed era anche già stata depositata l’istanza per ottenere la detenzione domiciliare. Questa storia atroce non è stata mai dimenticata, sebbene troppo confinata alle sole cronache locali; un’atrocità che aveva spinto il gip Simona Panzera a scrivere: «Nella storia criminale nazionale non si ricordano condotte

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comparabili con quelle tanto sprezzanti del dolore innocente di una bambina di due anni, rimasta ferita in maniera non grave al piedino, lasciata disperata, nottetempo al buio in campagna, accanto al cadavere della madre ammazzata». Ora gli assassini hanno un nome e una condanna sulle loro teste, fin troppo lievi però per dire che giustizia è stata fatta.



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Chissà cosa sta pensando Milena Sutter il 6 maggio del 1971. Probabilmente è un po’ stanca. Papà Arturo ha sempre avuto a cuore l’educazione della figlia, che deve essere di primo livello. Arturo Sutter è un imprenditore svizzero e ha dato un grande impulso innovativo all’azienda di famiglia, ereditata dal padre Adolfo: da cinque generazioni producono e commercializzano prodotti per l’igiene e la pulizia. Trasferitosi a Genova, il sig. Sutter ha insistito affinché la figlia Milena, che nel 1971 ha tredici anni, studiasse

imi sequestri e omicidi di caso di Milena Sutter

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in una scuola svizzera. La iscrive quindi all’istituto di via Peschiera, una scuola all’avanguardia con docenti ben preparati. Quel 6 maggio Milena, finite le lezioni, deve correre a casa: alle 17:30 tocca all’insegnante privato di storia, per una formazione ancora più completa. La giovane tuttavia non arriverà mai a casa. Uscita dalla scuola alle 17:00 corre a prendere l’autobus; un compagno la vede scendere le scalette verso il capolinea. In una macabra analogia con una sparizione

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che avverrà un decennio dopo, quella di Emanuela Orlandi, Milena non riesce a prendere il bus e sparisce nel nulla. I genitori, preoccupati, avvisano le Forze dell’ordine intorno alle nove di sera, quando probabilmente Milena è già morta. La mattina successiva arriva una telefonata a casa Sutter: «Se vi preme la vita di vostra figlia preparate 50 milioni». La voce maschile è calma e sicura, i soldi dovranno essere lasciati in Corso Italia, nella prima aiuola della passeggiata


sul lungomare. Il signor Sutter sarebbe anche disposto a pagare, peccato che della figlia non ci siano tracce. Le indagini tuttavia hanno già un primo sospettato: è Lorenzo Bozano, 25 anni, figlio della buona borghesia genovese. Il padre, che è imparentato con gli armatori Costa, ha già denunciato il figlio in passato. L’ha fatto rinchiudere in riformatorio ed è passato per diversi collegi poiché, a detta dello stesso padre, potrebbe essere capace di tutto, di qualsiasi delitto. È il capo della squadra mobile Angelo Costa a individuare il sospettato. Molti testimoni parlano di un “biondino” con la spider rossa che bazzica costantemente nei pressi della scuola elvetica. Bozano in realtà è castano ma ha un’Alfa Romeo Giulia Spider rossa proprio come quella descritta dai testimoni. Ha diverse esperienze da sub e quando gli inquirenti gli piombano in casa non trovano la sua cintura, mentre lui accampa scuse senza riuscire a fornire un alibi convincente. Trovano anche un biglietto: «Affondare, seppellire, murare». Tutto diventa chiaro un paio di settimane dopo. È il 20 maggio quando due pescatori ritrovano un cadavere che galleggia a trecento metri dalla spiaggia di Priaruggia. Pensano si tratti di un sub, vista la cintura

che indossa, e chiamano immediatamente il nucleo sommozzatori per il recupero del corpo. Quando viene portato a riva è in condizioni pessime: i pesci hanno divorato quasi tutto il viso, ma ci sono i primi dubbi che si tratti di Milena. La camicetta a fiori, il maglione giallo e la blusa blu sono come quelli che indossava il giorno della sua scomparsa. L’autopsia non lascia scampo a dubbi, la medaglietta al collo recita il nome di Milena Sutter. Dall’esame autoptico emerge che la piccola è stata strangolata poco dopo la sua scomparsa, probabilmente tra le 18:00 e le 18:30. Alcuni segni suggeriscono sia stata seppellita, poi disseppellita e lanciata in mare con addosso una cintura da sub e

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sei pesi da un chilo, evidentemente non sufficienti per farla inghiottire dalle fauci marine. La stessa sera la Squadra mobile arresta Bozano che tuttavia nel 1973 viene assolto in primo grado per mancanza di prove. I ventitré indizi raccolti non convincono il giudice, secondo il quale non ci sono le basi per la colpevolezza. Un appuntamento rimandato al 1975, quando in Secondo grado Bozano viene condannato all’ergastolo con l’imputazione di rapimento a scopo

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di estorsione, omicidio con azione di strozzamento e soppressione di cadavere. La condanna viene confermata dalla Corte di Cassazione l’anno successivo ma Bozano riesce ad evitare il carcere, scappando in Francia. Verrà arrestato successivamente ed estradato in Italia via Svizzera; dopo una serie di permessi e un regime di semilibertà torna in carcere nel 2002, dopo che nel 1997 aveva tentato di molestare una ragazza di 16 anni fingendosi un poliziotto. Nonostante ciò, tuttora si professa innocente.


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LIBRO E PROGRAMMA TV

CONSIGLIATI

a cura di Mauro Valentini

ATTENTATO AL PAPA

I grandi intrighi tra le mura vaticane dal caso Orlandi alla strage delle guardie svizzere Cosa legherebbe l’attentato a Giovanni Paolo II, il sequestro di Emanuela Orlandi e la strage delle guardie svizzere avvenuta anni dopo? C’è un filo rosso, un percorso nero che li lega? Una vicenda, quella aperta con due colpi di pistola dal misterioso Ali Agca , che coinvolge servizi segreti di diversi paesi del blocco sovietico, prima protetti e poi coinvolti a vario titolo da questo misterioso giovanotto turco, giovane eppur già con una condanna a morte in contumacia nel suo paese. Sandro Provvisionato, giornalista d’inchiesta e il giudice Ferdinando Imposimato raccolgono i tanti documenti di una vicenda che ha salvato miracolosamente il Papa ma che si è portata dietro una scia di mistero e di sangue, per ricostruire una verità possibile intorno a questo intrigo. Attentato al Papa (Chiarelettere) è tutto questo, ma anche di più. Omicidi e sequestri che si susseguono in un gioco di spie, come in un romanzo, coinvolgendo per sempre la vita di chi si è trovato per scelta o per destino ad incrociare questo turbine di fatti misteriosi. Fatti che la coppia collaudata Provvisionato-Imposimato rimette in fila, come metodo e ordine perfetto, riuscendo in un miracolo di chiarezza e di elenco di responsabilità che non era riuscito chi aveva per primo indagato dopo quel 13 maggio 1981. Viene fuori un libro capace di «entrare nel cuore del Novecento, tra equilibri politici mondiali e storie personali». A distanza di tanti anni la verità deve ancora essere trovata, Agca è un cittadino turco libero, i suoi centellinati proclami hanno confuso tutto, lui è la mano e lo stratega di una strategia della tensione internazionale che ha reso questo un giallo incredibile e insoluto. E così come per il loro precedente Doveva morire sul caso Moro, anche qui i due autori tracciano il segno, rendendo avvincente un percorso doloroso e che indignerà ed appassionerà il lettore.

Diritto di Cronaca,

la nuova rubrica di politica ed attualità in onda ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.

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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO

CONSIGLIATI

a cura di Nicola Guarneri

Al cinema

THE NICE GUYS Torna sul grande schermo il regista e sceneggiatore Shane Black, dopo il successo di Iron Man 3. Per l’occasione rispolvera un cast eccezionale: Ryan Gosling, Russel Crowe, Matt Bomer, Margaret Qualley e la ciliegina sulla torta, Kim Basinger. The Nice Guys va sul sicuro, anche come ambientazione: Los Angeles, anni ’70. Jackson Healy (Crowe) è un detective privato che predilige le maniere forti («uno che si fa pagare per picchiare le persone» si dice nel trailer) mentre Holland March (Gosling) è un investigatore privato un po’ imbranato ed alcolizzato. Si troveranno a collaborare sulla morte di una pornostar e sulla scomparsa di una ragazza, due casi apparentemente separati ma che si incroceranno nel sottofondo delle vite di Los Angeles, tra sesso, droga e poteri forti. Il film uscirà nelle sale italiane a partire dal primo giugno.

In radio La Storia Oscura

Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.

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L’evoluzione sociologica della famiglia con la nuova legge sulle unioni civili

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Più passa il tempo, più si evidenzia, in Italia, un’evoluzione sociologica della famiglia. I demografi, nel corso degli anni, hanno mostrato dei mutamenti di grande portata che hanno visto il passaggio da un modello tradizionale ad una pluralità di forme familiari. In Italia, la vecchia famiglia tradizionale, tipica delle società rurali, era estesa e composta da genitori di sesso opposto, figli ed eventuali parenti acquisiti, tipo nonni o zii che vivevano sotto lo stesso tetto. A questa si è opposta la famiglia nucleare, tipica della società moderna, composta solo da genitori di sesso opposto e figli. Alle due forme tipiche di famiglia, con il tempo, se ne sono unite tante altre. Alcune esistevano anche in passato, tipo quelle con un solo genitore che prima erano frequenti a causa dell’alta mortalità, delle migrazioni (vedove bianche) e dell’alto numero di ragazze madri, oggi invece sono in aumento perché c’è

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stata una separazione, un divorzio, la nascita di un figlio fuori dal matrimonio oppure qualche altra situazione. Ci sono poi le famiglie ricomposte con genitori e fratelli o sorelle biologici o acquisiti che spesso vivono anche sotto lo stesso tetto. Se ne possono elencare tante altre, ma quella che nell’ultimo periodo scuote particolarmente l’opinione pubblica è composta dalle coppie di fatto. La convivenza è diventata ormai sempre più frequente. L’ultimo censimento Istat mette in evidenza un’Italia sempre meno interessata al matrimonio con circa un milione di coppie di fatto. Nasce così persone che, per un motivo o per un altro, l’esigenza di regolarizzare dal punto non possono o non vogliono sposarsi. di vista giuridico queste unioni tra due L’ex DDL Cirinnà dal titolo “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” di cui si è parlato spesso negli ultimi mesi, è diventato legge e tratta il tema della famiglia di fatto formata da persone di sesso opposto, ma evidenzia anche quello delle unioni civili formate da persone dello stesso sesso. Questa legge ha lo scopo di salvaguardare i diritti dei componenti di queste nuove forme di famiglia. Anche le persone dello stesso sesso potranno regolamentare il loro rapporto con una dichiarazione dinanzi all’Ufficiale di Stato Palazzo Montecitorio, Camera dei Deputati

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Civile, in presenza di due testimoni. I soggetti dell’unione potranno scegliere il regime patrimoniale e la loro residenza; potranno anche decidere di assumere un cognome comune. Il cognome prescelto potrà essere posposto oppure anteposto. Naturalmente dall’unione civile tra persone dello stesso sesso deriva l’obbligo all’assistenza morale, materiale e alla coabitazione. La legge prevede la possibilità di sciogliere il vincolo dell’unione civile mediante una dichiarazione anche disgiunta di separazione che le parti rendono all’ufficiale di stato civile.

Dall’ultimo Censimento nazionale Istat del 2011 emerge che 7.513 coppie dello stesso sesso si sono autodichiarate famiglia. Il dato è abbastanza elevato e mette in evidenza un cambiamento avvenuto già nel corso degli anni. Le coppie omosessuali sono sempre esistite anche se per anni sono rimaste in disparte per vari motivi, ma oggi nasce l’esigenza di regolamentare le loro unioni. Lo scopo di questo decreto è quello di tutelare i diritti di due persone capaci di scegliere come vivere la propria vita di coppia in piena libertà e rispetto dell’altro.

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COPPIE DI FATTO E UNIONI CIVILI:

QUALI DIRITTI PER I BAMBINI? I diritti dei minori e le differenze in materia di adozione tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali

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Oltre al matrimonio, in Italia possono esserci altre forme di unione: la convivenza o coppia di fatto e l’unione civile, da poco introdotta nell’ordinamento giuridico italiano come «specifica formazione sociale», così come sancito dall’articolo 2 della Costituzione. Dopo vari iter, l’ex DDL Cirinnà l’11 maggio 2016 è diventata legge e si può definire come una riforma epocale, anche per il dibattito parlamentare che ne è scaturito. Da questa modifica legislativa, la situazione delle coppie di fatto e delle unioni civili cambia, ma non totalmente dal punto di vista dei figli, in quanto vengono sì riconosciuti i diritti-doveri delle coppie omosessuali che vogliono unirsi

civilmente e delle coppie eterosessuali e omosessuali che vogliono convivere e non sposarsi; ma è stata eliminata la proposta sulla stepchild adoption nelle unioni civili, ossia l’adozione del figlio naturale di uno dei due partner. Sebbene la bagarre politica si è concentrata principalmente sul riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, la legge sulle unioni civili è destinata a cambiare non solo la vita delle coppie omosessuali, ma anche di quelle eterosessuali. Per stipulare un’unione civile, le due persone devono essere maggiorenni e recarsi con due testimoni da un ufficiale di stato civile. L’ufficiale provvede alla registrazione. Non possono contrarre

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l’unione civile persone già sposate o che abbiano già contratto un’unione civile; persone a cui sia stata riconosciuta un’infermità mentale o persone con grado di parentela. La convivenza di fatto, invece, è riconosciuta alle coppie di maggiorenni che vivono insieme e che non hanno contratto matrimonio o unione civile. I conviventi hanno gli stessi diritti dei

Celebrazione di un matrimonio gay

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coniugi in caso di malattia, detenzione o morte di uno dei due. Inoltre, ora i conviventi possono stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro. Il contratto di convivenza può essere sciolto per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra uno dei conviventi e un’altra persona e morte di uno dei


contraenti. In caso di scioglimento del contratto, il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi il diritto agli alimenti in misura proporzionale alla durata della convivenza; ma non possono essere beneficiari del diritto alla pensione di reversibilità. Per quanto riguarda i figli all’interno di queste unioni, dal 2012 in Italia non ci sono più differenze tra figli naturali nati fuori dal matrimonio e figli legittimi. Infatti, la Legge 219 del 2012 e il D.lgs. 154 del 2013 hanno equiparato i figli di conviventi a quelli nati all’interno del matrimonio. Quindi, sostanzialmente, ad oggi, le uniche differenze tra matrimonio e convivenza riguardano esclusivamente i rapporti tra i due partner, mentre per i figli non cambia alcunché. Tutti i figli hanno gli stessi diritti ed entrambi i genitori hanno gli stessi doveri nei loro confronti: hanno l’obbligo di sostenerli economicamente, occuparsi della loro istruzione ed educazione, farli crescere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti. La Legge 219 del 2012 ha riconosciuto anche per i figli nati fuori dal matrimonio un vincolo di parentela con tutti i parenti. Nel senso che, se i due genitori vengono a mancare, il bambino non sarà messo in

adozione, ma verrà affidato ai nonni o ad altri parenti stretti. Il vincolo di parentela vale anche in materia di eredità. Nel caso in cui la convivenza venga interrotta, l’affidamento del figlio e il relativo assegno di mantenimento saranno stabiliti da un Tribunale Ordinario competente. Per quanto concerne, invece, l’adozione dei figli biologici dell’altro partner, per le coppie eterosessuali sposate questo

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particolare tipo di adozione esiste per legge già dal 1983; dal 2007 i Tribunali l’hanno ampliata anche ai conviventi. Questo al fine di tutelare un minore cresciuto da una coppia in cui uno solo è il suo genitore legale, mentre l’altro è il nuovo compagno del genitore. Mentre, per le coppie omosessuali l’adozione di un bambino (abbandonato o in difficoltà) e la stepchild adoption sono ancora vietate. Proprio l’ex DDL Cirinnà era stato stralciato nella parte relativa all’adozione e ha creato due posizioni confliggenti, da una parte i favorevoli all’introduzione e dall’altra i contrari e gli scettici. Questi ultimi hanno pensato al pericolo di

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incentivare in questo modo la pratica della gestazione per altri, ossia la cosiddetta maternità surrogata o utero in affitto, pratica sanzionata in Italia dalla Legge 40 del 2004. Anche se c’è da dire che molte coppie di gay e lesbiche aggirano l’ostacolo, per loro illegittimo, e vanno all’estero per poter avere un figlio, di cui uno solo sarà il genitore biologico. Dall’altro canto, i favorevoli pensano al destino di questi figli che nascono svantaggiati, non avendo gli stessi diritti dei bambini nati e cresciuti all’interno di famiglie eterosessuali. Forse sono loro quelli a cui dovremmo pensare e che dovremmo cominciare a tutelare.



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COPPIE DI FATTO: COSA ACCADE SE UNO DEI PARTNER

È DISABILE?

Nella legge che regola unioni civili e convivenze sarebbe giusto ricordare anche i disabili, categoria spesso emarginata È importante che una legge, come quello sulle unioni civili e convivenze, tenga conto di tutto e di tutti. Sul suo contenuto, quando ancora era DDL, all’inizio dell’anno c’era stata una vera e propria rivolta da parte della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che attraverso il suo presidente, Vincenzo Falabella, aveva espresso un’opinione

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chiara e precisa: «Le persone con disabilità sono cittadini e quindi, come ci insegna la Convenzione ONU, i principi di uguaglianza e non discriminazione devono essere trasversali a tutte le politiche e norme di un Paese». Che cos’è accaduto esattamente? Perché si era scatenata una polemica sull’ex DDL oggi diventato legge? Esaminiamolo assieme. Per prima cosa regola due situazioni differenti: le “unioni civili” tra persone dello stesso sesso e le “convivenze di fatto”, che riguardano sia coppie omosessuali che eterosessuali. Nell’attuale legge tuttavia non è stata contemplata l’ipotesi che uno dei partner, o entrambi, possano essere disabili. Questo lo si evince dalla mancata previsione dell’estensione alle unioni civili delle agevolazioni lavorative che consentono permessi e congedi per l’assistenza di congiunti, fra i quali il coniuge e i figli, con grave disabilità. Basterebbe ricordare che esiste l’articolo 23 della Convenzione ONU che impone di eliminare le discriminazioni nei confronti delle

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persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali. Eppure diverse persone disabili hanno deciso di convivere e loro non hanno le stesse agevolazioni fiscali di chi invece è sposato. Per esempio, non si possono detrarre per il disabile a carico le spese sanitarie (farmaci, ausili, veicoli), né dedurre le spese per l’assistenza. Non si possono godere di detrazioni per carichi di famiglia, né di tutti gli altri

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benefici pensati dal Legislatore per aiutare le situazioni di disagio. La coppia di fatto che ha all’interno uno o entrambi disabili in poche parole, è doppiamente discriminata rispetto a qualsiasi altra coppia. Oltre a questi non possono godere di agevolazioni lavorative ed infine, in caso di grave disabilità intellettiva, il convivente non ha alcun “potere” decisionale sulla vita dell’altro, neppure per inserirlo in una struttura adeguata alle sue esigenze.


Una domanda sorge spontanea: a che cosa può servire allora per una coppia di disabili una legge strutturata in questa maniera? In quale modo sono tutelati? Per non parlare del mondo degli affidi e delle adozioni perché quello è un capitolo a parte, purtroppo doloroso. Fino a quando la società non metterà tutti sullo stesso piano con i medesimi diritti e doveri, non potrà considerarsi civilizzata, progredita ed evoluta, bensì ancora arretrata, retrograda e su certi argomenti anche bigotta. Penso proprio che di strada ancora dobbiamo farne, ma con la buona volontà e aprendo soprattutto il cuore, si può arrivare al raggiungimento di ogni obiettivo.

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