COPIA OMAGGIO
anno 3 – N. 23, Febbraio 2016
TANGENTI E NOMI IN CODICE
Doppia inchiesta: dai 40 anni dello scandalo Lockheed al mercato degli armamenti
Tony Drago un caso chiuso troppo in fretta
Donato Bilancia, la morte corre sul treno
Bimbe-sposa: matrimoni che violano i diritti
Indice del mese 4
4. Inchiesta del mese
LO SCANDALO LOCKHEED OVVERO L’EQUAZIONE DELLA CORRUZIONE
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8. Inchiesta del mese LA STRETTA DI MANO DI “ANTELOPE COBBLER”
14. Dossier da collezione
DUILIO FANALI, L’EROICO “PUN” DELLE MAZZETTE SECONDO LA GIUSTIZIA
20. Criminalistica
LA PRODUZIONE DELLE ARMI MADE IN ITALY
26. Ricerca e analisi ECCO A CHI L’ITALIA VENDE LE ARMI
32. Dossier società
ARMI, QUANTO COSTA L’IMPORT ALLA NOSTRA DIFESA
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38. Media crime
LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI
40. Sulla scena del crimine
COPIA OMAGGIO
anno 3 – N. 23, Febbraio 2016
TANGENTI E NOMI IN CODICE
Doppia inchiesta: dai 40 anni dello scandalo Lockheed al mercato degli armamenti
Tony Drago un caso chiuso troppo in fretta
Donato Bilancia, la morte corre sul treno
Bimbe-sposa: matrimoni che violano i diritti
TONY DRAGO, UN CASO CHIUSO TROPPO IN FRETTA
46. Memorabili canaglie
ANNO 3 - N. 23 FEBBRAIO 2016
56. Diritti e minori
Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi
DONATO BILANCIA, LA MORTE CORRE SUL TRENO
BIMBE SPOSA: MATRIMONI CHE VIOLANO I DIRITTI
60. Storie di tutti i giorni
LA VOCE DEL PAZIENTE: IX EDIZIONE GIORNATA MALATTIE RARE
Rivista On-line Gratuita
Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Gianmarco Soldi, Nia Guaita, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Francesca De Rinaldis. Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.
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Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1411V.G. dal 29 ottobre 2013
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LO SCANDALO LOCKHEED
OVVERO L’EQUAZIONE DELLA CORRUZIONE C’è un’equazione matematica che racconta meglio di mille parole che cos’è la corruzione. L’ha prodotta il prof. Robert Klitgaard, economista di Harvard, Yale e Claremont e recita così: [C=(M+S) – R] dove C è la Corruzione, mentre M è il denaro, S la segretezza dell’azione e la R è la repressione del reato. È il calcolo che rende corrotti i corruttibili, tanto più è basso il valore di R più il beneficio sarà alto. E quando si parla di acquisti militari, S e M sono a valori stratosferici, perché non è il mercato a fare i prezzi, ma la politica.
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Lo scoppio dello scandalo
Sono passati 40 anni, era il 1976 quando la Lockheed, società americana aerospaziale con sede a Burbank, la città di un certo Walt Disney, ammise attraverso i suoi massimi dirigenti di aver pagato tangenti a politici e militari nel mondo per vendere aerei militari. Anche in Italia. Italia che era già un grande cliente della società californiana: 360 “Starfighter F104” erano la punta di diamante della nostra aviazione. Ma la pietra dello scandalo, scoperta dagli USA come coda della grande Commissione d’inchiesta istituita per il Watergate e che rimbalzò fino a Roma, non furono gli stormi del bellissimo caccia dall’aspetto futurista, ma l’acquisto dei famosi aerei da trasporto Hercules C-130. Ben quattordici ne servivano, così era stato preventivato e messo a Budget dai cinque governi succeduti durante la lunga trattativa che durò tre anni, dal 1968 al 1971. Quattordici aerei cargo militari, una sessantina di milioni di dollari, una cifra che faceva gola a molti altri costruttori, tutti sbaragliati dalla meravigliosa efficienza operativa del panciuto C-130 Lockheed. Secondo le ammissioni degli stessi manager della fabbrica, venduti con l’aiuto di qualche milione di dollari di tangenti per superare la concorrenza. Ammissioni pronunciate parola per parola davanti alla Commissione Church dal nome del senatore statunitense che la presiedeva, incaricata di far luce sul traffico illecito di milioni di dollari della fabbrica. Le ammissioni furono chiare, per tutti i
Paesi coinvolti, anche per l’Italia. Carl Kotchian, il massimo dirigente della Lockheed in quel momento, ammise che altissimi esponenti del governo italiano avevano richiesto e ottenuto tangenti. Grandi cifre, per favorire anche ai danni della FIAT, che concorreva insieme ad altri, l’acquisto dei C-130. Comincia così la caccia all’indiscrezione, trapelano
Il senatore Frank Commissione
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molte informazioni dall’interno della Commissione. Alti funzionari, militari, ministri e addirittura il Presidente del Consiglio: tutti soldi che sarebbero spartiti in nome del generoso colosso americano per arricchimento personale e per finanziare la Democrazia Cristiana.
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«Non ci faremo processare nelle piazze!» L’esplosione dello scandalo in Italia si riferisce agli anni incriminati che vanno dal 1968 al 1971, anni in cui Presidente del Consiglio era Giovanni Leone e Mariano Rumor, i ministri della Difesa coinvolti anch’essi, Luigi Gui e Mario Tanassi. Tutti travolti, spazzati via insieme il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Duilio Fanali e al presidente di Finmeccanica Camillo Crociani, anch’essi coinvolti. Leone soprattutto, indicato da Kotchian come il nome in codice “Antelope Cobbler”. Leone che era dal 1971 il presidente della Repubblica. Gli atti dell’inchiesta vengono acquisiti dal Parlamento, che istituisce una Commissione d’inchiesta. Le risultanze della commissione vengono discusse in Parlamento, si inizia il 3 marzo 1977, proprio nel giorno in cui uno degli Hercules pietra dello scandalo, cade vicino Pisa causando la morte di 44 militari a bordo. È la bagarre, si maledice a mezzo stampa e nelle sezioni dei partiti d’opposizione quell’acquisto, il processo non è ancora giudiziario ma politico, contro la Democrazia Cristiana.
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Aldo Moro è rabbioso e difende tutti gli uomini del partito coinvolti con la storica frase: «Ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare!». Ma il colpo è alla credibilità del suo partito è terribile. L’opinione pubblica condanna senza appello.
Giovanni Leone con il presidente americano Gerald Ford nel 1974
Camilla Cederna con il suo libro Giovanni Leone – La carriera di un Presidente costringe la Feltrinelli, tra marzo e luglio 1978 a ben 21 edizioni di ristampa, decretando la fine politica ed ingloriosa del Capo dello Stato, che si dimetterà a giugno, unico nella storia della Repubblica.
La sentenza inappellabile Nel 1977, ricevuti gli atti della Commissione parlamentare, la Corte Costituzionale inizierà un processo, anche questo unico nella storia della giovane e già così travagliata Repubblica. La presiede
Paolo Rossi
Paolo Rossi, che il 1 marzo 1979 legge la sentenza che per il tipo di Corte è inappellabile. La Corte assolve Luigi Gui, condanna Mario Tanassi «colpevole del reato di corruzione per atti contrari ai doveri
d’ufficio, aggravato». Due anni e quattro mesi di reclusione e Lire 400.000 di multa; condanna lieve, un soffio appena, sufficiente soltanto a rovinargli la carriera politica e null’altro. Oltre a Tanassi, condannati anche il generale Duilio Fanali e Camillo Crociani, in contumacia sulle spiagge di Acapulco, dove morirà l’anno dopo. L’accusa più chiara, per la Corte, è quella di aver danneggiato in primis la FIAT e il suo G-222, escluso dalla gara a suon di tangenti per salvare i posti di lavoro della catena di montaggio della Lockheed, mentre gli operai della fabbrica torinese erano mandati in cassa integrazione a zero ore. E Giovanni Leone? Il Presidente, dopo tante riletture del processo, delle carte americane e delle revisioni giornalistiche sul caso più controverso della prima Repubblica, ebbe verificata l’insussistenza delle accuse nei suoi confronti. Emma Bonino e Marco Pannella, dopo vent’anni, nel 1998, in occasione dei suoi 90 anni gli scrissero una lettera di scuse. Lui non c’entrava nulla, travolto dal ciclone Lockheed orchestrato dai suoi compagni di partito, aveva scelto il silenzio come risposta, eclissandosi tra le sue carte e i suoi libri. Testimone muto dell’inizio della fine di quella stagione, di quel partito.
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LA STRETTA DI MANO DI
“ANTELOPE COBBLER” Nel 1976 risuona il nome in codice rimasto senza identità nei documenti sullo scandalo Lockheed
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Tra i protagonisti delle indagini condotte per far luce sullo scandalo Lockheed emerge prepotente il ruolo di “Antelope Cobbler”. Questo nome in codice, traduzione in “antilope ciabattino” identifica il misterioso personaggio ago della bilancia nei rapporti tra l’imponente società statunitense e i destinatari (acquirenti) delle tangenti pagate durante le trattative concernenti la vendita degli aerei da trasporto tattico militare Hercules C-130. Attraverso le conclusioni cui perviene la commissione d’inchiesta, confermate
Aldo Moro
Giovanni Leone
dall’analisi dei libri neri custoditi dalla stessa Lockheed, è stato possibile decriptare il ruolo e le finalità di “Antelope Cobbler”. Nelle trattative con l’Italia il nome in codice identificherebbe la figura del Presidente del Consiglio, l’autorità che avrebbe avuto il potere ultimo decisionale sull’acquisto. I dati in possesso e i riferimenti temporali della vicenda sommersa hanno consentito di indicare un range talmente ampio da non poter identificare l’unico vero responsabile. “Antelope” si nasconde dietro uno dei tre i Presidenti del Consiglio ipoteticamente coinvolti nella vicenda,
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MESE L E o D STA nom E o I H B C o
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ovvero Giovanni Leone, Aldo Moro e Mariano Rumor? Com’è noto, i nomi appartengono a tre presidenti in carica negli anni in cui si tessevano le fila delle trattative condotte dalla multinazionale americana per formalizzare l’acquisto degli aerei Hercules C-130. Il suolo italiano divenne un’enorme cassa di risonanza per lo scandalo in atto, i media andarono giù pesante con le illazioni che costruivano, sorreggendo le varie ipotesi d’accusa e le responsabilità per i tre politici ormai invischiati dentro congetture mediatiche, mezze prove e piste investigative. Giovanni Leone (nel 1976 Presidente della Repubblica), nonostante le accuse mosse a suo carico non saranno mai supportate da prove concrete, vedrà tra le “imputazioni” accessorie il riferimento anche ai suoi rapporti di amicizia con la famiglia di avvocati napoletani Lefevbre, Antonio e Ovidio, implicata nella vicenda (per sua ammissione semplicemente rapporti di vecchia data nati nell’ambito accademico tra Roma, Napoli e Bari). Tutti voltarono le spalle al Presidente della Repubblica in carica e, una volta venuti a mancare i più importanti appoggi politici, si dimetterà. Aldo Moro è il secondo
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Mariano Rumor
dei nomi dietro cui si sarebbero celati i possibili lineamenti di “Antelope Cobbler”. Tutti gli elementi raccolti a suo carico farebbero riferimento ad alcuni appunti custoditi sul taccuino di un assistente del Dipartimento di Stato statunitense alle dipendenze di Henry Kissinger. Sarà lo stesso Aldo Moro a difendere
il proprio nome durante il dibattito parlamentare del 1977; un comizio passato alla storia per la celebre arringa pronunciata in quella sede, conclusa rifiutando l’idea di un processo mediatico e sull’onda populista. La Corte costituzionale, in mancanza di basi d’accusa solide, archivia ufficialmente la posizione di Moro il 3 marzo 1978, esattamente tredici giorni prima del suo tragico sequestro in via Fani da parte
delle BR. Mariano Rumor, cinque volte presidente del Consiglio, ex segretario del partito democristiano, al tempo dello scandalo è il ministro degli Esteri in carica. Tra i nomi sotto la lente d’ingrandimento dell’inchiesta parlamentare il suo è quello che ha incontrato più difficoltà contro i sospetti. Convocato innanzi alla Commissione inquirente Rumor si salverà dalla messa in stato di accusa grazie al
Palazzo della Consulta
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MESE L E o D STA nom o B CHIE o
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voto determinante del presidente Mino Martinazzoli confermando la propria innocenza ed estraneità ai fatti contestati. Nel 1998 tuttavia Mario Tanassi (anch’egli sotto accusa e in seguito giudicato colpevole) in un’intervista dichiarava: «I Presidenti del Consiglio in carica durante l’affare furono Rumor e Andreotti. Quindi Antelope Cobbler era uno dei
Giulio Andreotti
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due, non si scappa». Il mistero o meglio il meccanismo che si cela dietro questo nome in codice non è mai stato svelato, anzi, col passare degli anni si è continuato a parlare, ipotizzare, forse depistare, accusare ma senza prove certe: ogni pista è rimasta una tesi difficile da avvalorare e, a oggi, l’identificazione di questa sagoma influente dalla stretta di mano potente rimane un miraggio.
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DUILIO FANALI L’EROICO “PUN”
DELLE MAZZETTE
SECONDO LA GIUSTIZIA Dal tentato golpe Borghese allo scandalo Lockheed la storia di Duilio Fanali, controverso eroe dei cieli italiani
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Definire in poche parole Sergio Duilio Fanali è compito arduo anche per il più grande esperto di Twitter: forse nemmeno una calcolata perifrasi riuscirebbe a cogliere tutte le sfaccettature di un personaggio che per diversi anni è stato dietro le quinte della politica italiana. Sono i successi ottenuti durante la Seconda guerra mondiale che portano Fanali sotto le luci della ribalta: il tenente colonnello racimola 7 medaglie (5 d’argento e 2 di bronzo), una Croce al merito e altri riconoscimenti. Chiude il conflitto mondiale con 15 abbattimenti: se dovessimo abbozzare una definizione, appena passati i trent’anni il generale dell’aviazione Duilio Fanali può definirsi un eroe. I tempi di guerra però finiscono e con essi lo spirito patriottico e il coraggio sul campo di battaglia. Fanali prosegue la sua brillante carriera dietro qualche scrivania: prima all’Ambasciata a Londra, poi passa alla scuole dell’aeronautica. Da menzionare il suo ruolo nella NATO: dal 1965 al 1966 è Comandante del NATO Defense College, dal 1966 al 1968 è presidente del Centro Studi Alta Difesa. Nel 1968 diventa Capo di stato maggiore dell’Aeronautica, titolo che manterrà fino al 1971, quando si ritirerà per la pensione. Una serie di cariche importanti, una carriera esemplare, ma con più di una macchia. Partiamo dal tentato golpe Borghese. La vicenda è arcinota: tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 in Italia è previsto un colpo di Stato ad opera di Junio Valerio Borghese, comandante della X° Flottiglia
Duilio Fanali
MAS. È tutto pronto per il Golpe, i militari hanno praticamente le armi in mano, quando tutto salta improvvisamente. Varie inchieste porteranno alla luce una serie di documenti che evidenziano in quegli anni la presenza di un’opposizione “nazional-rivoluzionaria”. Fanali, all’epoca già Capo di Stato maggiore dell’Aeronauta, non poteva non sapere: basta poco infatti affinché il suo nome venga legato al tentato Golpe. È Remo Orlandini braccio destro di Borghese a fare il nome di Fanali, descritto come «cosciente e volente» come colui
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che avrebbe dovuto prendere parte al colpo di Stato quella notte. In cambio, nel nuovo governo, sarebbe diventato Ministro della Difesa. Nonostante ciò, in seguito alle inchieste della giustizia, Fanali riceve solo un avviso di garanzia ma viene poi prosciolto in istruttoria. Scampa alla giustizia, ma l’appuntamento è solo rimandato. È il 1976 quando il passato torna per presentare il proprio conto. Fanali viene colpito in pieno nello scandalo Lockheed: l’inchiesta punta l’obiettivo sull’acquisto di aerei dalla Lockheed Corporation da parte dell’Italia. Uno dei massimi sostenitori dell’acquisto (avvenuto nel 1968, quasi dieci anni prima) è proprio il generale Fanali, che poi si scoprirà essere stato corrotto: dai documenti ritrovati si scoprirà che il nome in codice “Pun”, indicato come uno dei personaggi da corrompere per vendere aerei all’Italia, era proprio quello di Duilio Fanali. Ritenuto colpevole, viene condannato a pagare una multa di un miliardo e 300 milioni di lire come risarcimento allo Stato per la somma pagata in più, pena che viene sospesa in quanto Fanali non risulta in grado di pagarla. La lunga battaglia giudiziaria si chiude come sempre in Italia con un nulla di fatto:
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Juio Valerio Borghese
Fanali viene degradato ad aviere ma la sua pensione rimane intatta. Il nome di Duilio Fanali compare anche in una controinchiesta dedicata al caso della morte di Luigi Tenco dal titolo Le ombre del silenzio. La nipote del Generale avrebbe avuto una storia d’amore con Tenco e per questo motivo il cantautore avrebbe potuto ottenere “aiuti militari” per bypassare il servizio di leva alla volta di una tournée in Argentina.
Questa sarebbe stata la fonte di tutti i mali per Tenco che per tale motivo, secondo la controinchiesta, avrebbe dovuto corrispondere favori a sua volta, utilizzato per un trasporto di informazioni dall’Italia all’Argentina proprio per mano di quanti organizzeranno da lì a poco il golpe Borghese in Italia. Una pista venuta alla luce solo negli ultimi
anni ma senza trovare seguito in indagini della magistratura. La vita terrena di Duilio Fanali finirà a 76 anni: morirà nel 1987, colpito da un arresto cardiocircolatorio sulla propria barca durante una vacanza con la moglie nella sua villa a Scauri (Formia). Sì, sulla propria barca durante una vacanza nella sua villa.
Mare di Formia dove Fanali morì
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La produzione
delle armi MADE IN ITALY
Tutti i passaggi della filiera che portano dalla progettazione alla realizzazione di armi e mezzi
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Il mercato delle armi è attualmente più florido e redditizio che mai e sembra non conoscere periodi di crisi. Con le decine di conflitti attualmente accesi in varie parti del pianeta, la richiesta di armi è infatti in continua crescita e l’Italia rappresenta uno tra i primi dieci Paesi a livello mondiale per la produzione e l’esportazione di armamenti, vantando una storia importante nella produzione e nella loro commercializzazione. Si pensi alla famosissima Beretta di Gardone Val Trompia, un’impresa familiare che nasce alla fine del 1400 e che attualmente esporta i suoi prodotti (per lo più armi leggere) in tutto il mondo, facendosi apprezzare per la qualità dei suoi prodotti, sia dal mercato civile che da quello militare; si pensi alla celebre pistola semiautomatica 92FS, modello utilizzato da numerosi dipartimenti di Polizia ed eserciti di vari paesi esteri. Altri produttori italiani di armi che hanno fatto la storia della tradizione armiera del nostro Paese sono la Tanfoglio, impiegata nella produzione di armi da fuoco destinate ad uso sportivo e per difesa personale, con circa novantamila unità prodotte annualmente ed esportate anche negli USA e l’impresa Benelli Armi, con la sua produzione di fucili per uso venatorio, sportivo e difensivo. In Italia il primo produttore di armi è lo Stato stesso, attraverso aziende come Finmeccanica e Fincantieri. Finmeccanica è un gruppo industriale controllato al 32,45 % dallo Stato italiano,
Sede centrale Finmeccanica a Roma, piazza Montegrappa
attraverso il Mistero dell’Economia che ne rappresenta il maggiore azionista e, secondo lo Stockholm International Peace Research (SIPRI), fra le più grandi industrie mondiali produttrici di armamenti. A partire dal gennaio 2016 Finmeccanica ha subito una forte riorganizzazione aziendale, inglobando in un’unica compagnia tutte quelle società indipendenti che prima controllava come holding industriale. Le società assorbite in
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Finmeccanica sono l’AugustaWestland, l’Alenia Aermacchi, la Selex EC, la Oto Melara e la Wass. Con questo nuovo assetto aziendale Finmeccanica si struttura in quattro settori produttivi: Elicotteri, Aeronautica, Elettronica Difesa e Sistemi di Sicurezza, Spazio. Con il settore Elicotteri, essa gestisce dalle fasi di progettazione a quelle di commercializzazione di un’ampia gamma di elicotteri destinati al mercato civile e militare, attraverso l’attività
AgustaWestland AW139
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dell’AugustaWestland e dell’azienda controllata polacca PZL-Swidnik. Gli stabilimenti produttivi sono dislocati tra l’Italia, il Regno Unito, la Polonia e gli USA. Il settore Aeronautica di Finmeccanica, articolato nella divisione velivoli e nella divisione aerostrutture, è gestito principalmente dall’Alenia Aermacchi e dalle attività del consorzio Eurofighter, quest’ultimo nato per lo sviluppo e la produzione di un caccia avanzano multiruolo, denominato Eurofighter. Le altre tre aziende (la Selex
Otobreda 127.54
ES, la Oto Melara e la Wass) vanno a costituire il cuore dei settori dedicati all’Elettronica, alla Difesa e Sistemi di Sicurezza, impiegato nello sviluppo e nella produzione di sistemi avionici, radar, sistemi per le telecomunicazioni, veicoli blindati, mezzi subacquei, artiglieria e munizioni. Per quanto riguarda invece il settore navale, la Fincantieri rappresenta la più grande azienda pubblica italiana,
direttamente controllata dalla finanziaria Fintecna S.p.A., attiva nella costruzione di navi di superficie, pattugliatori, portaerei, fregate e sommergibili, destinati alla Marina Italiana e ad un discreto numero di Marine estere. Un altro settore della produzione militare in cui l’Italia deteneva il primato era quello delle mine antiuomo. Tra i maggiori produttori di mine risultavano la Valsella Meccanotecnica e la Società Esplosivi Italiani (SEI), entrambi aziende situate nel
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bresciano, e la Fincantieri e la Tecnovar che producevano e commercializzavano la temutissima mina anticarro TC-6, un ordigno interamente realizzato senza l’utilizzo di metallo e perciò impossibile da individuare con i metaldetector. Attualmente in Italia, con l’adesione alla Convenzione di Ottawa, la produzione e lo stoccaggio di mine antiuomo è proibito
Misil Otomat MKII
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dal 1997, mentre USA, Russia, Cina ed altri Stati rimangono i maggiori produttori a livello mondiale. Tuttavia sono diversi gli istituti bancari, anche italiani, che finanziano la produzione all’esterno di mine antiuomo e di bombe cluster, per un giro di affari che negli ultimi cinque anni ha portato ad investimenti che hanno sfiorato i trenta miliardi di dollari.
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ECCO A CHI
L’ITALIA
VENDE LE ARMI
La lista dei Paesi che comprano armi dal nostro Paese, dal Medio Oriente al Nord Africa
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Quello del commercio internazionale di armi e armamenti è oggi uno dei maggiori problemi del pianeta. Fino ad ora gli sforzi delle organizzazioni internazionali e umanitarie sono stati tutti inutili e negli ultimi anni guerre e conflitti armati sono aumentati. E continuano ad aumentare, anno dopo anno, ad un ritmo frenetico. Dietro tutte le guerre c’è un florido mercato di armi e armamenti. È un mercato che a livello internazionale, dovrebbe essere
regolamentato da accordi rigidamente rispettati e controllati. Accordi come la Convenzione di Ottawa, sottoscritta da ben 162 Stati. Peccato, però, che tra questi non ci sia nessuno dei Paesi maggiori produttori ed esportatori di armi (infatti non è stato sottoscritto da Stati Uniti, Russia, Cina e India). Anche la Convenzione sulle bombe a grappolo è stata sottoscritta da 116 Stati ed è stata poi ratificata solo da 89 di questi.
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Ed anche in questo caso, mancano all’appello i maggiori Paesi produttori. Dall’11 settembre 2001 la spesa mondiale per la difesa è cresciuta del 50% passando da 1.200 miliardi di dollari complessivi a 1.800. A guidare la classifica dei paesi destinatari dei sistemi d’arma “made in Italy” ci sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, seguiti a ruota da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Vengono poi la Germania, la Turchia, la Francia e la Spagna; completano la Top12 Paesi problematici (dal punto di vista dei conflitti e delle turbolenze) come Malesia, Ma se ci limitiamo agli ultimi cinque anni, Algeria, India e Pakistan. ai primi posti ci sono Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Attualmente l’Italia (dati del SIPRI [Stockholm International Peace Research Institute]) è al nono posto per quanto riguarda l’esportazione di armi nel mondo, con un totale di 786 milioni di dollari (circa 700 milioni di euro) di entrate per il solo 2014. Il principale acquirente è l’Algeria, che nel 2014 ha fatto entrare nelle casse dello Stato italiano ben 184 milioni di dollari (163 milioni di euro), seguita da Turchia (102 milioni di dollari equivalenti a 90 milioni di euro) e Israele con 77 milioni di dollari (68 milioni di euro).
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L’Italia ha venduto all’Algeria otto elicotteri Aw139, 25 missili terra-aria, due motocannoniere, un sistema di localizzazione, sei radar Ags, una nave cacciamine. Alla Turchia quattro motocannoniere super rapide, 16 compatte e nove elicotteri da combattimento A-129C Mangusta; a Israele 30 M-346 (aerei di addestramento militare transonici). Nel 2013, l’Italia ha venduto armi alla Libia per un totale di 3 milioni di dollari. All’Arabia Saudita, tonnellate di bombe. Attualmente, è in corso anche la vendita al Kuwait di 28 aerei Eurofighter (produzione Aermacchi) per 8 miliardi di euro. Alenia Aermacchi è una delle aziende partner del consorzio europeo che produce i velivoli insieme a BAE Systems e Airbus e sta coordinando la campagna di marketing degli Eurofighter in Kuwait. Ben il 35,5% degli armamenti italiani sono ora diretti in Medio Oriente e Nord Africa. Secondo dati del Dipartimento USA, ammontano a 40 milioni di dollari in due anni i finanziamenti all’Isis da Arabia Saudita, Kuwait, e Qatar (tutte nazioni con le quali le imprese italiane intessono affari) e la quantità e la varietà delle armi usate dallo “Stato islamico” sono l’esempio da
manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino atrocità di massa. Non possiamo lamentarci che il Mediterraneo ed il Medio Oriente siano una polveriera di conflitti quando siamo anche noi responsabili di molte delle forniture di armi. Anche il continente africano è un mercato prospero per armi e armamenti.
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Armi che girano il mondo e poi finiscono nelle mani di gruppi estremisti, di rivoltosi e di terroristi. A niente è valso l’embargo sugli armamenti per alcuni Paesi come la Libia. Oggi, la stessa Libia è diventata la fonte primaria del traffico illegale di armi verso molti Paesi del Nord Africa e anche
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del Medio Oriente. Eppure, c’è chi di questi movimenti si era accorto oltre un ventennio fa: Ilaria Alpi, giornalista Rai, lo aveva scoperto e lo aveva denunciato producendo prove inconfutabili. Ed è per questo che lei e il suo operatore, Miran Hrovatin, sono stati assassinati a Mogadiscio nel 1994.
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Nia Guaita Da sempre la donna è oggetto di aggressioni, più o meno gravi, solo per il fatto di essere donna e considerata più debole dell'uomo. Il primo passo verso il cambiamento spetta anche alla donna rifiutandosi di essere "vittima". Un libro che aiuta a scoprire le intenzioni del nostro interlocutore anche quando non vengono espresse a parole, per rendere l’emozione della paura nostra alleata e applicare quelle chiavi di lettura del contesto e della situazione che possono fare la differenza tra il riuscire a risolvere un momento critico in modo incruento, secondo una logica preventiva, oppure essere coinvolte in un episodio di violenza.
Nia Guaita, sociologa, è autrice di varie pubblicazoni, tra le altre: “Il potere della persuasione”, “L’arte della retorica”, “Arte e scienza della negoziazione”, “Quello che le parole non dicono: il linguaggio segreto del corpo”, “Il galateo in azienda”, “Donna: la conquista dei diritti e i diritti negati”, “La cavalcata dei Jihadisti dello Stato islamico.
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Nia Guaita - Come diventare un bersaglio difficile
Dello stesso autore:
Come diventare un bersaglio difficile
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ARMAMENTI
QUANTO COSTA L’IMPORT
ALLA NOSTRA DIFESA
Un settore che non conosce crisi: ecco quanto costa alla Difesa e dunque ai cittadini italiani
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Tra le numerose voci di spesa che figurano nei bilanci dello Stato Italiano c’è n’è una particolarmente importante che riguarda i costi delle armi e degli armamenti. L’Italia spende ogni anno miliardi di euro per l’acquisto di aerei, carrarmati, missili, fucili e altri strumenti da guerra. Negli ultimi anni, i costi sono aumentati e a tal riguardo, dai dati SIPRI, emerge che la nostra penisola si trova al dodicesimo posto mondiale per quanto riguarda la spesa militare. Tranne per gli F35, che rientrano nel budget della Difesa, i programmi militari più costosi, invece, risultano finanziati dal Mise come la nuova flotta da guerra della Marina (176 milioni di euro), gli elicotteri
Hh101 (170 milioni di euro), i caccia da addestramento M346 (138 milioni di euro), i cacciabombardieri Eurofighter (768 milioni di euro su 781), i carrarmati ruotati Freccia (317 milioni di euro su 335), gli elicotteri Nh90 (77 milioni di euro su 265) e l’ammodernamento dei cacciabombardieri Tornado (80 milioni di euro su 88). A tal riguardo, dal Documento Programmatico Pluriennale della Difesa (DPP 2015/2017), emerge che il Ministero non intende ridurre le spese militari e, per il triennio 2015/2017, conferma l’acquisto di altri aerei. La spesa complessiva del programma militare è quindi in aumento e supera i
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13 miliardi di euro. È evidente: il mercato delle armi raggiunge cifre sempre più alte. L’Italia, però, oltre ad acquistare mezzi e strumenti bellici, risulta anche tra i maggiori venditori a livello globale di armi cosiddette civili piccole e leggere. Il mercato delle armi non ha risentito della crisi economica. Tali dati, emersi dal Rapporto 2015 Armi leggere, guerre pesanti, dell’Istituto Archivio Disarmi, mettono in evidenza una situazione abbastanza inquietante. Il problema di fondo è che, dietro tutto ciò, c’è un
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business difficile da sconfiggere. D’altra parte come tutte le commercializzazioni, quella delle armi ha lati positivi ma ne ha anche tanti negativi. La produzione e l’esportazione di questi armamenti favorisce da un lato la ricchezza di alcune aree perché le industrie offrono lavoro a migliaia di persone del posto, distinguendosi anche a livello internazionale per la performance e per l’alta tecnologia. Il problema maggiore, però, è che le armi prodotte vengono spesso impiegate con poca attenzione e scarso rispetto umano in quanto fautrici di morte, sebbene nel rispetto delle leggi. L’Italia non è avulsa da queste logiche e gioca la sua parte in un mondo che vede sempre più guerre nascere in giro con
migliaia di morti. Il dramma più grande è proprio che questi materiali vengono esportati nei Paesi di guerra e vanno ad annullare tutte le possibilità di ristabilire una pace che a molti non conviene per il semplice fatto che non contribuisce ad alimentare un commercio illimitato.
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LIBRO E PROGRAMMA TV
CONSIGLIATI
a cura di Mauro Valentini
FOOTBALL CLAN
Un libro sul calcio e le mafie L’incipit, sottotitolo del libro è di quelli che spengono gli entusiasmi e le passioni per “lo sport più bello del mondo”: «Perché il calcio è lo sport più amato dalle mafie». Il perché lo raccontano con grande passione un cronista bravo e sempre sul campo come Gianluca Di Feo e un magistrato, ora presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, con Football Clan (Rizzoli Editore). Partite combinate e scommesse clandestine in combutta con le centrali asiatiche del gioco online, racket a bordo campo, merchandising tarocco, appalti sui nuovi stadi sono solo alcune voci di un bilancio miliardario. E molto sporco. Ma non solo questo, gli affari si mescolano ad un altro aspetto, ancora più inquietante, dove le passioni dei tifosi, le loro emozioni, sono merce anch’essa da sottrarre, guidare, comandare. Tradotto: costituiscono consenso. Gli Ultras e le curve diventano, nello svuotamento generalizzato degli spalti, spesso, terreno dove affermarsi per i clan malavitosi. L’inchiesta degli autori batte forte nelle categorie minori, dove squadre di calcio sono acquistate sempre più da personaggi legati alla criminalità, ottimo modo per riciclare denaro, questo sì ma anche e soprattutto per ottenere consenso, con qualche vittoria di troppo, spesso non proprio conquistata sul terreno verde. Ma c’è anche tanta serie A in questo libro: dalla scalata dei casalesi per conquistare la Lazio, alle foto di Maradona usate come testimonial abbracciato a padrini fino alla cordata di misteriosi personaggi che stava acquistando la Roma. C’è la gita a Scampia di Balotelli e il mistero di Sculli, c’è l’intreccio in un’unica voce del cronista e dell’esperienza del magistrato. Ci si imbatte in accadimenti misteriosi che mettono a nudo le falle dei sistemi di controllo e di sanzione della giustizia sportiva. Un’inchiesta che è anche e soprattutto un grido di dolore, a difesa di un patrimonio di passioni collettive sempre più inquinato.
Diritto di Cronaca,
la nuova rubrica di politica ed attualità in onda ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.
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FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO
CONSIGLIATI
a cura di Gianmarco Soldi
Al cinema
THE END OF THE TOUR È nelle sale in questi giorni l’attesa pellicola “The end of the tour” di James Ponsoldt, con Jesse Eisenberg (“The social network”) e Jason Segel (“How I met your mother”, “Sex tape – finiti in rete”), tratta dal viaggio-intervista intrapreso nel 1996, durante il tour promozionale del mastodontico “Infinite Jest”, dal giornalista di Rolling Stone David Limpsky insieme all’icona della letteratura mondiale David Foster Wallace. Cinque giorni di convivenza tra due sconosciuti, uomini diversi segnati da una malcelata asocialità e rivalità, ma con la passione comune per la scrittura. Intervista che, però, non fu resa pubblica fino al 2010, due anni dopo la tragica fine di Foster Wallace, col titolo “Come diventare se stessi” (edito in Italia da Minimum Fax). Proprio da quelle pagine è stato tratto “The end of the Tour”, già nelle sale americane nel 2015: non tanto un film biografico quanto piuttosto la storia di un incontro tra uomini straordinari nella loro normalità. Si tratta di un racconto onesto e a tratti angosciante, giocato sul duello dialettico di due talenti avvolti in quel persistente alone di malinconia che, come purtroppo oggi sappiamo, ebbe da un lato il suo sfogo nel suicidio dello scrittore il 12 settembre 2008. Un film atteso con trepidazione dalla nutrita schiera di fan di David Foster Wallace, ma soprattutto destinato a sorprendere il grande pubblico per il semplice messaggio di fondo: anche dietro a capolavori di autori divenuti leggende ci sono uomini comuni, dipendenti dalle sigarette e dai fastfood, alla costante ricerca di quello che non hanno.
In radio La Storia Oscura
Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.
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UN CASO CHIUSO TROPPO IN FRETTA Il prossimo 13 aprile si deciderĂ sulla richiesta di
archiviazione, ma la famiglia del militare non ci sta
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Tony Drago è un giovane militare di 25 anni, 190 cm di altezza per quasi 90 kg di peso, tanti sogni in tasca: l’anno di VFP1(Volontario in Ferma Prefissata di 1 anno) presso la caserma “Camillo Sabatini”, 8° Reggimento Lancieri di Montebello, la richiesta per un ulteriore anno di rafferma, i concorsi per accedere alla carriera nelle Forze Armate, Polizia, Guardia di Finanza, Carabinieri. Il suo percorso è il logico sbocco della laurea in Scienze criminologiche e dell’investigazione conseguita all’università dell’Aquila. I sogni di questo giovane siciliano terminano sotto la palazzina 24 della
caserma di via Flaminia a Roma, la mattina del 6 luglio 2014. Il suo corpo viene rinvenuto alle ore 6:20 circa, sul piazzale antistante la palazzina alloggi, dall’ufficiale di Picchetto. Il decesso viene constatato alle ore 6:57 dalla Dottoressa Claudia Siciliano che stabilisce, senza mezzi termini, che la morte è avvenuta per precipitazione. Questo “marchio” verrà portato avanti per tutta l’inchiesta, mettendo una pesante tara alla vicenda. Analoga fretta si riscontra nella comunicazione e-mail inviata dalla caserma, prima dell’intervento del Medico legale, in cui si dichiara che si tratta di suicidio «riconducibile ad un disagio di
Antonino Drago con la madre
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natura privata sentimentale». Il militare, secondo il pm Alberto Galanti, si sarebbe forse suicidato gettandosi da una finestra dei bagni in disuso della palazzina, ma né la famiglia, né l’ex fidanzata, che è tutt’ora al fianco alla famiglia di Tony, credono a questa ipotesi. Tony aveva progetti per il futuro, ma qualche preoccupazione forse l’aveva, a causa di alcuni strani episodi che sarebbero avvenuti all’interno della caserma stessa: una precedente lite durante una marcia, un approccio equivoco subito all’interno delle docce? Non c’è chiarezza a proposito. Si fa strada l’odiosa parola “nonnismo”, molte volte tirata in ballo anche per altre tragiche vicende passate e che, in definitiva, aveva portato alla decisione di abolire il servizio di leva obbligatorio a partire dal 2005. Il 13 aprile 2016 il giudice deciderà sulla richiesta d’archiviazione avanzata dal Pm il 24 aprile 2015. La famiglia di Tony si oppone, parlando decisamente di mancanza di trasparenza e collaborazione da parte dei vertici della caserma Sabatini e degli ufficiali di Polizia giudiziaria che eseguirono gli accertamenti, nonché di ferite sul suo corpo difficilmente riconducibili alle conseguenze di una caduta dal terzo piano. I legali della famiglia Drago lamentano
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l’impedimento al normale e legittimo svolgimento dell’attività difensiva, infatti c’è voluto circa un anno per poter prendere visione degli esiti degli accertamenti tecnici. L’autopsia venne svolta dal Dottor Massimo Senati del Policlinico Gemelli, il quale depositò la perizia. Secondo la richiesta d’opposizione depositata, nella perizia non sarebbero stati presi in considerazione elementi molto importanti quali: 1) I segni sulla schiena di Tony, descritti come «ampia lesione escoriata estesa a tutta la superficie cutanea di forma irregolare e delle dimensioni di cm 45 x 10». Della loro natura non se
ne dà il minimo conto. Potrebbero essere gli esiti di qualche esercitazione particolarmente pesante, oppure altro, non obbligatoriamente dovute alla caduta; 2) I segni sul collo, come da sfregamento: nulla viene detto in proposito; 3) Mancano i risultati degli esami istologici ma soprattutto non è stato fatto alcun esame tossicologico. Il Dottor Antonio Palmieri, incaricato dal legale della famiglia, afferma che «appare inspiegabile ricondurre la lesività riscontrata unicamente al traumatismo
dovuto a precipitazione da grande altezza avente l’obiettivo di autosoppressione». Nella relazione del Dott. Senati, quindi, vi sarebbero molte incongruenze e le fratture ossee riscontrate sarebbero compatibili con una caduta sugli arti inferiori, non come invece sarebbe precipitato Tony. Pare, inoltre, che Drago non si sentisse più tranquillo in quella caserma, al punto da cercare un consiglio per farsi trasferire in altra sede; circostanza abbastanza singolare, poiché, quando vi sono delle problematiche, per così dire “ambientali”,
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al più si ottiene un trasferimento in altra camerata, in altra palazzina, ma sempre all’interno della stessa caserma. Se davvero ci sono problemi tali da non rendere più possibile la prosecuzione del servizio, viene suggerito di lasciare. Una delusione per un concorso non andato bene? Si supera. Non è certo motivo per farla finita. Il film, però, era stato scritto da subito: suicidio per una delusione d’amore. Per ottenere l’idoneità a diventare soldato, occorre superare dei test psico-attitudinali ed un colloquio con psicologo e, a volte, anche con uno psichiatra. Illogico che, dopo circa un anno dall’aver superato quei test, una persona poi riveli tendenze suicide. Inoltre è strano che, essendo piena estate (quindi certamente nelle camerate tenevano le finestre aperte) nessuno abbia sentito il tonfo e non si sia affacciato a vedere. In compenso, stando alle deposizioni di alcuni commilitoni, il corpo, benché prono, cioè con il viso rivolto al terreno, venne subito identificato in quello di Tony e si asserì addirittura che «dalle finestre sovrastanti si affacciavano dei commilitoni trai quali quelli della camerata» occupata dallo stesso Tony. Però le finestre di questa stanza non si affacciano affatto sul piazzale dov’è
precipitato, ma sul lato opposto. Un altro dice di essere stato svegliato «da alcune voci provenienti dalla strada». E non lo sveglia il tonfo del corpo che precipita? «Tony è morto dentro una caserma prestigiosa della Capitale; era nello squadrone di rappresentanza ‒ afferma la famiglia ‒. Se in Italia siamo realmente in uno stato di diritto, per Giustizia e Civiltà lo Stato non può e non deve aver timore di ricostruire la verità e deve essere in grado di proteggere i propri figli quando gli vengono affidati». E concludono augurandosi che «la perdita di Tony non sarà un’altra pagina di quel voluminoso libro dei misteri italiani».
Antonino Drago
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È il 16 ottobre 1997 quando Giorgio Centanaro viene ritrovato morto in casa. È la lui la prima vittima di Donato Bilancia, passato alla cronaca nazionale come uno dei più spietati serial killer. Lo stesso Bilancia, dopo la sua cattura, spiega le motivazioni di questo suo primo omicidio: la vittima, che egli considerava un suo grande amico, aveva osato prendersi gioco di lui, raggirandolo in una bisca di Genova che i due erano soliti frequentare. Quella notte Bilancia, dopo aver scoperto il luogo della sua abitazione lo raggiunge alle 4:00 del mattino e senza esitare lo fa spogliare e lo lega con del nastro adesivo tappandogli naso e bocca. Bilancia afferma inoltre che poco prima di ucciderlo, ha spiegato all’uomo i motivi del suo gesto. Sorte simile è quella che spetta a Maurizio Parenti, ucciso da Bilancia una settimana dopo, per lo stesso motivo di Centanaro, ma con modalità diverse. Parenti viene imbavagliato e legato ad una sedia, successivamente condotto in camera da letto con la moglie, colpevole solo di essersi accorta di ciò che stava accadendo. Bilancia copre i due coniugi con un piumone e con tre colpi della sua calibro .38, li uccide.
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DONATO B
LA MORTE COR
La follia omicida di uno d in Italia per bruta
BILANCIA
RRE SUL TRENO
dei serial killer più famosi alità e continuità
Le due vittime successive sono i coniugi Bruno Solari e Maria Luigia Pitto, orefici, deceduti per mano del Bilancia, dopo una tentata rapina il 27 ottobre 1997. Dopo alcuni giorni, il 13 novembre 1997, arriva il turno del cambiavalute Luciano Marro: rapinò e uccise l’uomo per evitare che potesse testimoniare contro. Siamo davanti, a questo punto, ad una furia omicida, come lo stesso Bilancia affermerà allo psichiatra Vittorino Andreoli, dopo il suo arresto: «Penso che in me convivano due personaggi, che chiamerò B1 e B2. Fino al giorno
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del mio primo delitto fortunatamente, B1 è sempre riuscito a controllare, anche se parzialmente, B2 quello più trasgressivo. Nei mesi in cui ho commesso gli omicidi era B2 a dominare su B1». La violenza ormai è parte integrante nella vita di Donato Bilancia e non è più controllabile. Il 25 gennaio 1998 individua la sua nuova vittima: è un guardiano notturno Giangiorgio Canu, lo segue per alcuni giorni, poi una sera lo aspetta sotto il portone di casa e una volta uscito dall’ascensore gli copre il capo con il giubbino e gli spara. Appena due mesi dopo Bilancia ha un incontro sessuale con una prostituta, Stella Truya: dopo il rapporto la fa scendere vicino una piazzola dicendole di guardare il mare. Le copre la testa con un asciugamano dicendo alla ragazza che non vuole che veda la targa della sua auto, ma prima di andare via, la fredda con un colpo alla nuca, raccoglie l’asciugamano e lascia lì il corpo. Solo pochi giorni dopo viene ritrovato il cadavere di una prostituta 23enne, Ljudmila Zubskova, il modus operandi è lo stesso: un colpo sparato alla nuca e sul maglione vengono ritrovate tracce di bruciature, come se fosse stato usato da silenziatore, o a riparare da eventuali schizzi di sangue.
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Non sono stati rilevati segni di violenza sessuale o resistenza fisica. L’arma è sempre la calibro .38 con proiettili scamiciati. Due giorni dopo Bilancia uccide un altro metronotte, Enzo Gorni. Il procedimento è sempre lo stesso: rapina il blindato e poi spara un colpo di pistola. Poi ancora un duplice omicidio ai danni di due metronotte: Candido Randò e Massimiliano Gualillo, uccisi perché gli impediscono l’intrusione in una casa al
mare dove Bilancia vuole appartarsi con un transessuale: il transessuale accortosi che Bilancia porta con sé una pistola allerta i due sorveglianti anch’essi poi uccisi. È proprio grazie a Juli Castro detto “Lorena”, il transessuale sopravvissuto, che si ottiene un primo identikit del killer che sta terrorizzando l’intera Liguria. Pochi giorni dopo uccide un’altra prostituta, Terry Asodo, di 27 anni: dopo aver avuto un rapporto sessuale con la ragazza le intima di scendere dall’auto,
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ma qualcosa va storto, forse si accorge che Bilancia è armato, così si ribella. L’uomo le spara più colpi, uccidendola. Spunta così un nuovo testimone, Luisa Cimminelli, prostituta italiana risparmiata da Bilancia per pietà. È madre di un bambino piccolo e un momento prima dello sparo scoppia in lacrime supplicando l’uomo di non ucciderla. Si salva. Siamo ora nel mese di aprile e il serial killer decide di cambiare scenario: il treno. È sull’intercity La Spezia-Venezia,
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all’altezza di Ventimiglia, che individua una donna, Elisabetta Zoppetti, infermiera di 32 anni, la segue nel corridoio fino in bagno, apre la porta con una chiave falsa e con il solito rituale, giacca in testa e colpo alla nuca, la uccide. Resta chiuso in bagno con il cadavere della donna per venti minuti, fino a Voghera, dove scende tranquillamente e prende un altro treno per ritornare a Genova. È la sua 14a vittima ma la prima fuori dallo “schema”: non è una prostituta, né un
cambiavalute, né un metronotte, bensì una donna comune. A questo punto chiunque potrebbe diventare una vittima del serial killer. Il 14 aprile muore Kristina Walla, 22 anni, albanese. La giovane viene uccisa perché per Bilancia le vittime devono essere di nazionalità diversa. Solo quattro giorni dopo però l’incubo dei pendolari liguri ritorna: c’è un nuovo omicidio su un treno, nella tratta Genova-Ventimiglia e ancora una volta la vittima è scelta a caso. Si tratta stavolta di Mariangela Rubino, cameriera di 29 anni, la quale, come Elisabetta Zoppetti, commette l’errore di andare in bagno. Il killer, seguendo ormai lo stesso modus operandi, la costringe ad inginocchiarsi di spalle a lui e coprendole il capo le spara un colpo alla nuca. In questo delitto però, Bilancia lascia un segno. Dopo aver ucciso la donna si masturba sul suo corpo, lasciando inevitabilmente il suo DNA. Appena una settimana dopo Bilancia uccide la sua ultima vittima. Dopo una cena non pagata Bilancia va in un’area di servizio per fare rifornimento.
Non avendo soldi, chiede al benzinaio di fargli credito. Giuseppe Mileto, 50 anni, insiste per avere i suoi soldi, e quando chiede alla barista di chiamare la polizia, Bilancia lo uccide e ruba i due milioni dalla cassa. Con una parte di quei soldi, torna presso il ristorante dove ha cenato per saldare il suo conto. Grazie al DNA lasciato nel penultimo delitto, il 6 maggio 1998 dei poliziotti in borghese fermano Donato Bilancia. Egli non oppone resistenza. Pochi giorni dopo confessa tutti gli omicidi affermando: «Uscivo di casa per uccidere, come avrei potuto andare al ristorante».
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Approfondimento
SERIAL KILLER ATIPICO Approfondimento della psicologa forense Francesca De Rinaldis
Quello che colpisce, andando a ritroso nella storia di Donato Bilancia è soprattutto la sua infanzia infelice, costellata di umiliazioni, abbandoni e vuoti affettivi, a determinare la genesi della sua personalità futura. I crescenti conflitti tra i genitori sono causa dei suoi primi disagi come ad esempio la sua enuresi notturna. La reazione stessa dei genitori alla comparsa di questo problema fu alquanto inappropriata, infatti, usavano esibire puntualmente il materasso bagnato del figlio su un poggiolo in modo che i dirimpettai potessero vederlo. Veniva spesso preso in giro dal padre anche davanti alle cuginette. 52 5252
Approfondimento Bilancia era impotente e non riusciva ad avere rapporti sessuali. Era infatti solito osservare le coppiette appartate e sosteneva: «Tutte le donne dovrebbero essere ammazzate, dovrebbero inginocchiarsi perché io sono il re». Ben si dimostra da tale affermazione quanto sia un uomo che non ha fiducia in se stesso e dunque, uccidere per lui diventa uccidersi. In Donato Bilancia riscontriamo elementi atipici rispetto ad altri assassini seriali, prima tra tutti l’età: Bilancia inizia a colpire a 47 anni, ben più tardi rispetto agli standard, che considera una media di 29 anni. Inoltre, al contrario di altri serial killer, egli uccide inizialmente persone a lui vicine, i suoi amici, passando poi ad una serie di categorie di persone che non hanno un collegamento diretto né con lui, né tra di loro. Evita un contatto fisico con le vittime, infatti prima di sparare con la sua calibro .38, copre le vittime con i loro indumenti «per non vedere cosa succede» e molto probabilmente per distanziarsene emotivamente prelevando effetti personali con una pinza. Certamente poi, per altri aspetti caratteristici della sua serie omicidiaria, Bilancia può essere considerato un serial killer tipico, come per la scelta di uccidere le prostitute, seguendo un rituale proprio come nei casi dei treni. Sono proprio gli omicidi sui treni ad avere il maggiore valore simbolico, in ragione di un forte trauma subito in passato: la morte del fratello Michele, suicidatosi sotto un treno nel 1987, con in braccio il figlioletto Davide di 4 anni.
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BIMBE SPOSA:
MATRIMONI CHE VIOLANO I DIRITTI
Si cercano di evitare povertĂ e violenze ma si va incontro a violazioni dei diritti fondamentali delle bambine
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Il matrimonio precoce delle bimbe sposa è una violazione dei diritti umani. Nonostante ci siano leggi in vigore contro questo fenomeno, la pratica rimane diffusa, in parte a causa della persistente povertà e della disparità di genere. Nei Paesi in via di sviluppo, una bambina su tre è sposa prima dei 18 anni; una su nove sotto i 15 anni. Ogni anno, 15 milioni di bambine si sposano prima dei 18 anni e questo vuol dire che 28 bambine ogni minuto diventano spose troppo presto, mettendo in pericolo il loro sviluppo personale e il loro benessere. Il matrimonio precoce minaccia la vita e la salute delle bambine e ne limita le prospettive future considerando che le
spose bambine spesso aspettano un figlio quando sono ancora adolescenti, aumentando il rischio di complicazioni in gravidanza o durante il parto. Queste complicazioni sono una causa di morte molto frequente. Inoltre, possono essere esposte a infezioni sessualmente trasmissibili, come l’HIV e la violenza domestica. A proposito di questo, molte famiglie povere credono che combinando il matrimonio delle loro figlie con persone più grandi possano assicurare un buon futuro alle proprie bambine, poiché, in questo modo, gli uomini e le famiglie dei mariti si prenderanno cura di loro. Questo accade quando i genitori di queste
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bambine temono di non essere capaci di proteggere o accudire le loro figlie, in caso di crisi. Molti famigliari, erroneamente, credono che il matrimonio le proteggerà dagli stupri. Ma purtroppo è proprio questo il paradosso: queste bambine sono già vittime di violenza sessuale. Assistiamo ad una pedofilia legalizzata. Le spose bambine sono quasi sempre povere, dipendenti dai loro mariti e private dei loro fondamentali diritti alla salute, all’educazione e alla sicurezza. Né fisicamente né emotivamente pronte a diventare mogli e madri. Le spose bambine spesso sono costrette ad abbandonare la scuola, perdendo così la probabilità in un futuro di aiutare
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APPROFONDIMENTO
Cosa emerge dal panorama legislativo internazionale? a cura di Nicoletta Calizia Scegliere il proprio partner è una decisione adulta, che dovrebbe essere fatta in maniera libera e senza paura e coercizione. A quanto pare, su questo, tutti i paesi sono solo virtualmente concordi. In molte zone del mondo, dal Medio Oriente all’America Latina, dal Sud Asia al continente africano sino ad alcune regioni dell’Europa, il matrimonio precoce è proibito, ma spesso le leggi non vengono applicate o forniscono eccezioni per il consenso dei genitori o per le norme consuetudinarie. Ma tollerare queste ingiustizie rende più facile la loro esistenza. Il diritto al consenso “libero e pieno” di un matrimonio è riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) vieta il matrimonio precoce. Ai sensi della Convenzione sui diritti del fanciullo, i governi si sono impegnati a garantire la protezione globale dei
le loro famiglie ad uscire dalla povertà, e assolvono ai compiti della casa e della famiglia, già in tenera età. Il matrimonio precoce è diffuso in tutto il pianeta, alimentato dalla povertà e dalle norme sociali e culturali. Per molte famiglie è un bisogno percepito come economico: una bocca in meno da sfamare. Antiche credenze e vecchie tradizioni basate sull’ineguaglianza di genere portano a pensare che diventare una moglie e una madre è spesso l’unica scelta possibile per una figlia. È un dato di fatto che il matrimonio forzato risulta essere la conseguenza diretta dell’avere poche scelte a disposizione. Infatti, le ragazze che hanno diritto di poter scegliere, decidono di sposarsi più tardi. Il matrimonio precoce nega alle bambine il diritto di stabilire chi e quando sposarsi, che è una delle più importanti decisioni della vita di un individuo. Un sistema che sottovaluta il contributo delle giovani donne limita anche le proprie possibilità. In questo modo, i matrimoni precoci frenano l’innovazione e il potenziale che permettono a questi paesi di prosperare. Se non ci sarà una drastica riduzione del fenomeno, un ulteriore miliardo e mezzo di bambine saranno spose entro il 2050.
bambini e dei ragazzi di età inferiore ai 18 anni, ma il matrimonio forzato e la gamma di implicazioni sui diritti che questo comporta infrangono questo tipo di protezione. Proprio per tale ragione, la Conferenza Internazionale su popolazione e sviluppo nel 1994 ha convocato le nazioni al fine di eliminare il matrimonio precoce. Nel mondo, i tassi di matrimoni precoci si stanno lentamente abbassando, ma ci sono motivi urgenti per dover raddoppiare gli sforzi finora messi in campo dai governi e dalle associazioni internazionali. Milioni di bambine soffrono già da molto tempo le conseguenze del matrimonio forzato. Se non si fa qualcosa, la crescita di questo problema avrà effetti devastanti per le bambine, le loro famiglie e i loro paesi. C’è da dire, inoltre, che questo fenomeno riguarda anche i maschi, 33 milioni di bambini oggi si sposano sotto l’età dei 15 anni e 156 milioni prima dei 18. Il complesso mix di fattori economici e culturali fa comprendere come non ci sia un’unica e semplice soluzione. Ma attraverso la cooperazione, programmi a lungo termine e la volontà di comprendere dai successi così come dai fallimenti, è possibile mettere fine a questa piaga.
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LA VOCE
DEL PAZIENTE Giunta alla IX edizione quest’anno la Giornata malattie rare 2016 si svolgerà il 29 febbraio
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Quest’anno lo slogan della Giornata malattie rare 2016 è La voce del paziente, cioè far conoscere le esperienze dei malati, le loro esigenze, i loro bisogni, le necessità affinché ci possa essere un radicale cambiamento e miglioramento nella qualità di vita. Quando però una patologia si può definire rara? L’Unione Europea ha fissato una soglia dello 0,05% della popolazione, quindi 5 casi su 10.000 persone. Con i progressi della ricerca genetica purtroppo è in crescente aumento il numero delle malattie rare conosciute e diagnosticate. Se nel 1970 per esempio alcune patologie non si riuscivano a “decifrare”, a distanza di venti anni
si possono catalogare, anche se non ancora curare. Ad oggi esiste una lista che contiene circa 5.000 nomi di malattie rare. Questo evento iniziato come campagna europea, negli anni si è trasformato crescendo e divenendo un fenomeno mondiale. Nel 2015 contava la partecipazione di circa 80 Paesi nel mondo. Gioca un ruolo fondamentale la conoscenza della vita di un malato con una patologia rara, sia per chi gli sta accanto, sia per le istituzioni. Per questo motivo lo slogan di quest’anno è lasciato alla loro voce; la voce di chi ogni giorno e ogni notte vive sulla propria pelle il
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dramma di un male di cui poco si conosce e di cui non ci sono cure definitive, ma solo farmaci che possono magari alleviare un poco le sofferenze, oppure rallentarne la progressione. Queste persone che molte, troppe volte sono lasciate sole e le loro grida di disperazione appaiono come echi lontani. Giornate come queste servono anche per dire loro, non siete soli. Occorre sensibilizzare la comunità incoraggiando tutti, non solo le famiglie che se ne prendono carico, ma anche i politici, le autorità, i ricercatori e tutti i professionisti del settore. Non basta un giorno all’anno affinché le condizioni cambino, ma può servire come apripista per uno scambio di informazioni. Il paziente che “indossa” il dolore della malattia rara, è il miglior esperto che ci possa essere e quindi può dare molte indicazioni e suggerimenti. Per questo motivo è importante ascoltare la sua voce. È altresì fondamentale incoraggiarlo lungo il faticoso cammino di una vita colma di ombre, di timori, di incertezze. Perché ci saranno giorni in cui la forza verrà meno, la speranza barcollerà, il coraggio sarà messo in discussione. Il malato raro avrà momenti di cedimento, di dubbi, insicurezza e proprio in quelli
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dovrà avere accanto persone pronte a sorreggerlo, a sostenerlo e inondarlo di nuova energia affinché continui nel suo faticoso cammino, senza mollare mai. Il 29 febbraio tantissimi saranno i convegni, le manifestazioni e gli eventi non solo in Italia, ma in tutto il mondo dedicati ai pazienti, alle loro famiglie, ai medici ed ai ricercatori. Inoltre in questi anni sono stati realizzati alcuni siti dov’è possibile reperire materiale informativo, supporto scientifico, forum dove poter scrivere le proprie storie e chiedere aiuto. Tra questi c’è un portale italiano: http://www.osservatoriomalattierare.it; ma ne esiste anche uno europeo: http://www.eurordis.org.
I cosiddetti malati “invisibili” non si sono fermati qui e per far sentire la loro voce si sono riuniti in Comitati come quello costituito a Genova, dove hanno portato avanti diverse battaglie per dire al mondo: «Io esisto». È questa la cosa più importante di tutte per una persona che ha una patologia rara, non sentirsi solo e abbandonato ma al contrario, avere la sicurezza di essere seguito e di ottenere le stesse attenzioni di un qualsiasi altro paziente. Avere inoltre un rapporto cordiale e fiducioso col medico curante. Ricordiamoci che questi malati non sono numeri da studiare, ma sono persone con sentimenti ed emozioni e tali voglio essere trattati.
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