Cronaca&Dossier n 25

Page 1

COPIA OMAGGIO

anno 3 – N. 25, Aprile 2016

QUANDO LA

CRUDELTÀ

È DONNA

Non solo gli uomini ma anche le donne entrano di diritto nella storia dei serial killer La differenza tra serialità maschile e femminile

Tre donne serial killer a confronto

Le orribili tecniche della saponificatrice di Correggio


Indice del mese 10

4. La finestra sul crimine SERIAL KILLER, ANALISI DI UN FENOMENO TERRIFICANTE

10. Crimini ai Raggi X

DONNE ASSASSINE. DIFFERENZA TRA SERIALITÀ MASCHILE E FEMMINILE

4 18

18. Memorabili canaglie TRE DONNE SERIAL KILLER A CONFRONTO

24. Criminalistica

LE TECNICHE RUDIMENTALI DELLA “SAPONIFICATRICE”

30. Sulla scena del crimine

«UCCISO DA UN UOMO CHE PORTAVA LA SUA STESSA DIVISA»

36. Dossier da collezione ROGO DI PRIMAVALLE: L’ORRORE 43 ANNI FA

30

24


42. Media crime

LIBRO, FILM, PROGRAMMA TV E RADIO CONSIGLIATI

44. Dossier società

L’AZZARDO DEGLI ADULTI: IL CONFINE TRA GIOCO E PATOLOGIA ANNO 3 - N. 25 APRILE 2016

48. Diritti e minori

Rivista On-line Gratuita

IL GIOCO D’AZZARDO IN ETÀ PRECOCE

Direttore Responsbile Pasquale Ragone Direttore Editoriale Laura Gipponi

54. Storie di tutti i giorni

PLAY THERAPY: IL GIOCO IN AIUTO DEI BAMBINI DISABILI

Articoli a cura di Alberto Bonomo, Nicoletta Calizia, Nicola Guarneri, Dora Millaci, Paolo Mugnai, Gelsomina Napolitano, Paola Pagliari, Mauro Valentini, Francesca De Rinaldis.

44 58 54

Direzione - Redazione - Pubblicità Auraoffice Edizioni srl a socio unico Via Diaz, 37 - 26013 Crema (CR) Tel. 0373 80522 - Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com Grafica e Impaginazione Giulia Dester Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione. Registrato al ROC n°: 23491 Iscrizione al tribunale N: 1/2014 Reg. Stampa dal 15 gennaio 2014


TRA

INE

RIM SUL C

i ntin e l a V auro ini1966 M i t olo d alen artic @MV

NES LA FI

SERIAL KILLER

ANALISI DI

UN FENOMENO TERRIFICANTE Dalle imprese di Jack lo Squartatore agli studi sulla definizione di assassino organizzato

4


5


INE

RIM SUL C

i RA ntin T e l S a E V N uro i1966 LA FI n i Ma ti olo d MValen c i t r a @

In principio fu “Jack lo Squartatore”. Era lui, nell’immaginario collettivo, il prototipo del serial killer, ed era a lui che dalla fine del XIX secolo in poi ci si riferiva e si classificavano i tanti, troppi omicidi seriali che a tutte le latitudini del mondo accadevano nel tempo. Ed il motivo forse non è neanche tanto misterioso: Jack aveva spettacolarizzato le sue infamie, confabulando in maniera epistolare e palese con i giornali dell’epoca. Era diventato un serial killer perché, in fondo, aveva rubato la scena, era diventato “famoso” quindi classificando egli stesso gli omicidi come delitti con la sua firma. La firma di Jack. Poi, la storia del “Secolo breve” ha dimostrato che, anche per lo sviluppo della scienza psicoanalitica e psichiatrica, i casi pluriomicidiari possono esser studiati nella sua globalità, anche rileggendo le varie esperienze che la cronaca mondiale ha tristemente espresso

6

in questi 130 anni che ci separano da “the Ripper”. Il primo grande studio del dopoguerra appartiene all’inglese (e non è un caso visto da dove si era partiti) Colin Wilson, che teorizza una classificazione che sarà poi presa a modello per tutta una serie di studi sul crimine, specie oltreoceano. Wilson ne individua ben sei tipologie; la prima, quella dei “bisogni progressivi”, è molto interessante perché implica non tanto una volontà omicida dovuta ad irrefrenabile istinto mentale quanto ad un’associazione con la società che ci circonda. Dice infatti lo studioso che «l’omicidio seriale scaturisce da questo bisogno insoddisfatto: il Serial Killer non ha un sufficiente livello di autostima, sente di essere un perdente e allora sfida la società, mettendo in atto il comportamento omicidiario che gli consente di sentirsi qualcuno».


Oltre questa, le altre cinque si discostano tra loro per modalità comportamentali più psicologiche, più intime, che denotano conflitti non sociali ma personali, come quella detta “sindrome di Jekill e Hyde” dove i killer commettono errori talmente grossolani da condurre al loro arresto ed è «come se questi individui avessero una parte “buona” che si accorge della presenza di una parte “cattiva”: l’impulso a confessare spontaneamente o a fare in modo di farsi catturare, è la risultante di un tentativo inconscio della parte positiva di sconfiggere quella negativa». L’FBI invece, nel 1988 presuppone nei suoi protocolli di analisi due macro gruppi di questi assassini, classificandoli in semplice omicida “organizzato” e “disorganizzato”, una classificazione che cerca di individuare nella tipologia del crimine dei segnali che portino a dimostrare che certi omicidi siano riconducibili alla stessa mano. È organizzato chi seleziona la vittima secondo uno schema, chi cerca una relazione con la vittima prima di uccidere, presenta segni di aggressione sadica o di sottomissione e che usa un’arma specifica che poi ha cura di rimuovere o occultare. Il contrario darà il responso di un serial killer disorganizzato, impulsivo e non premeditante e proprio per questo più difficile da localizzare. Per il protocollo statunitense un serial è colui che «uccide 3 o più vittime in luoghi diversi e con un

“periodo di intervallo emotivo” (cooling-off time) fra un omicidio e l’altro; può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima e spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato». In Italia recentemente ha fatto notizia la nuova possibile classificazione operata da due studiosi così diversi per storia ed esperienza sul campo ma concordi nell’orientamento riguardo la materia delle violenze seriali: il professore Vincenzo Mastronardi, tra i più famosi psichiatri e criminologi italiani, e lo psicologo Ruben De Luca. Essi sostengono che ci sono due tipologie che definiscono “assassino

7


INE

RIM SUL C

i RA ntin T e l S a E V N uro i1966 LA FI n i Ma ti olo d MValen c i t r a @

seriale classico” dove si intende quello che anche per i media è facilmente riconoscibile, come Jeffrey Dahmer per esempio, che ha anche come movente palese o velato quello sessuale, in quanto uccide utilizzando metodiche che gli permettono un certo livello di contatto fisico più o meno esplicitato. Poi c’è il cosiddetto “atipico”, ed in questa categoria si comprendono ad esempio l’omicidio mafioso e terroristico seriale con caratteristiche di sadismo e anche l’omicidio seriale di guerra, sempre con caratteristiche di sadismo, così come l’omicidio rituale seriale e altre tipologie. I due studiosi poi, analizzando il criterio discriminante nella scelta di chi uccidere

Uno dei delitti di Jack Lo Squartatore

8

da parte del serial killer, individuano altre quattro categorie specifiche. Tra queste, “l’assassino seriale potenziale” si rivela particolarmente importante in merito alla prevenzione di tali fenomeni criminali. Si tratta di un soggetto che, pur avendo commesso solo un omicidio o non avendolo ancora portato a termine, ha per caratteristiche psicologiche tutti gli elementi che potrebbero portarlo ad uccidere. Difatti i due studiosi puntano il dito su uno dei mali della società: la ricerca della notorietà, che alcuni individui con evidenti disturbi di personalità possono pensare di raggiungere nel modo peggiore, edonisticamente terrificante.


Paolo Rossi

99


GI X G A o R NI AI o Bonom I M I t R

C

r Albe lalaned i d olo @e artic

DONNE

ASSASSINE Le tipologie di serial killer femminili e le differenze rispetto ai delitti compiuti dagli uomini

10


Il fenomeno dell’omicidio seriale non ha sesso. Quando immaginiamo un serial killer proiettiamo immediatamente la figura dell’uomo, raramente pensiamo a una donna affascinante dai lunghi capelli corvini e dai modi affabili. La verità è che dalla notte dei tempi gli uomini uccidono e anche le donne. Cambiano le prospettive ma sono le statistiche a delinearne nel corso dei secoli proporzioni, confini e prerogative. Era il 21 agosto 1641 quando Erzsébet Báthory, soprannominata la contessa sanguinaria, veniva condannata a essere murata viva in una torre del suo castello in Ungheria come pena per aver ucciso più di 600 giovani fanciulle al fine di conservare la propria giovinezza bagnando il corpo nel loro sangue. Nonostante la netta prevalenza di reati seriali compiuti da uomini, anche la donna delinque e uccide. Si è soliti ritenere che la criminalità seriale sia da ricondurre esclusivamente alla sfera delle pulsioni sessuali presenti con una carica maggiore nell’uomo ma sebbene quest’affermazione sia vera, non è possibile escludere tale carica anche nella donna (come dimostrato dalla psicanalisi) seppur con connotazioni differenti. A fronte di ciò è importante

Erzsébet Báthory

non ricondurre ogni forma di criminalità seriale alla sfera sessuale; sono molte le dinamiche psichiche che possono sfociare nell’omicidio seriale (desiderio di onnipotenza, devianze non sessuali, sino ad alcune patologie psichiatriche). I risultati degli studi condotti nell’ultimo

11


GGI X

I RA INI A

o nom o B to lber laned A i a od @el ticol

CRIM ar

secolo hanno permesso di evidenziare delle connotazioni simili tra uomo e donna serial killer, soprattutto in relazione alla prima infanzia. Anche le donne, d’intelligenza solitamente superiore alla media, in questa fase della vita presentano una spiccata attitudine a compiere atti di violenza verso gli animali domestici e vivono la paura del buio e i conseguenti stati di angoscia legati al timore di essere abbandonate. Spesso i problemi legati al sonno conducono a un’alterazione del ciclo sonno-veglia. Le tappe della crescita sono molto più veloci delle rispettive coetanee, nonostante il periodo di maggior turbamento resti l’adolescenza, caratterizzata dalla

12

totale assenza di disciplina, di rispetto delle regole e da una contestuale forma d’introspezioni confusa di sovente collegata al desiderio di scrivere (spesso questi soggetti conservano un diario segreto su cui annotano tutti i pensieri in


cui prendono forma scene di violenze). Uno degli studi più completi in materia di serial killer femminili è quello di Kelleher&Kelleher (1998), la cui classificazione è a oggi la più esaustiva e utilizzata in ambito scientifico. La donna serial killer solitaria, similmente al suo omologo maschile, privilegerebbe un modus operandi pianificato e accurato. Si tratterebbe di donne dalla personalità forte predisposte all’utilizzo di “armi” quali gli avvelenamenti, soffocamenti, iniezioni letali. Per ciò che attiene alle tempistiche, solitamente la donna comincia a uccidere dieci anni dopo rispetto al primo evento che caratterizza la carriera criminale dell’uomo (30/40 anni per la donna, 20/30 per gli uomini) ma a fronte di ciò la carriera è più lunga (in media trascorrono circa otto anni prima di essere arrestate a differenza dei quattro anni per gli uomini). Le motivazioni sono radicalmente differenti rispetto a quelle maschili, così come diversa è la tipologia delle vittime. In generale, gli uomini sono più variegati nella scelta delle vittime in quanto predatori sessuali; le donne, invece, non scelgono le vittime in base al sesso

e sono quasi esclusivamente stabili dal punto di vista geografico, cioè portano a termine gli atti omicidiari sempre nello stesso luogo, probabilmente per il tipo di vita che spesso ruota attorno alla casa e alla famiglia.

13


GI X

RAG NI AI

o nom o B rto Albe lalaned i d olo @e artic

I CRIM

Mancando l’elemento preponderante della pulsione sessuale è assente la ricerca della gratificazione sessuale e dunque non sarebbero predisposte alla tortura delle vittime (stordite o narcotizzate) prima o dopo l’omicidio (overkilling). Spesso il movente è esclusivamente di natura economica. Nel 65% circa dei casi la donna utilizza metodiche come il veleno da somministrare con diabolica perizia tanto da riuscire a far passare casi di omicidio per possibili morti naturali attraverso una sintomatologia riconducibile a malattie comuni. Soltanto il 13% uccide attraverso lo strangolamento (come nel caso dell’infanticidio) e il 12% con arma da fuoco. L’efferatezza e la crudeltà apparentemente mitigate rispetto al corrispettivo maschile in realtà sono altrettanto presenti nelle azioni intrise di sadismo, come l’osservare lentamente morire una persona in preda a sofferenze prolungate derivanti dall’utilizzo dei veleni. La classificazione femminile delle serial killer annovera diverse tipologie

14

di profili: la Vedova nera, caratterizzata dal fatto di scegliere le sue vittime principalmente tra amanti, coniugi, amici, persone con le quali intrattiene comunque un qualche genere di relazione


sentimentale; l’Angelo della morte inizia solitamente la propria carriera criminale intorno ai 21 anni e opera in luoghi ove la morte delle sue vittime possa in qualche modo passare inosservata (ospedali,

case di cura, sanatori). Colpisce persone che non conosce, a volte già affette da malattie, prediligendo l’uso di sostanze tossiche o medicinali in dosi letali; la Predatrice sessuale (ipotesi molto rara) è spinta al delitto seriale unicamente da pulsioni sessuali. È astuta, seducente, manipolatrice, solitamente di mezza età, compie i suoi delitti in aree geografiche molto distanti tra loro; la Vendicativa uccide spinta da un’ira incontrollabile, talvolta originata o accentuata da disturbi psichici. Le vittime, di solito, sono uccise in un periodo molto breve. L’Assassina per profitto uccide per finalità puramente economiche e a fini di lucro; l’Assassina psicotica colpisce sotto la spinta di una patologia o comunque un disturbo di matrice psicotica, che la determina a omicidi disorganizzati e violenti, nei quali le vittime sono scelte a caso, senza una ragione apparente. Insomma, l’universo femminile sa bene come ritagliarsi uno spazio nel mondo dei serial killer.

15



PULIZIE INDUSTRIALI E CIVILI

Pulizia, disinfestazione, sanificazione di ambienti, macchinari ed attrezzature in vari settori FACCHINAGGIO MOVIMENTAZIONE MERCI

Movimentazione, carico e scarico disponibile 24 ore al giorno e sette giorni la settimana

GESTIONE DEL VERDE

Gestione del verde per enti pubblici, industrie e privati

Sede Legale e Amministrativa

CASALBUTTANO via Primo Maggio, 1/3

www.dharmacoop.it E-mail: info@dharmacoop.it tel. 0374.362422 fax 0374.362423


GLIE

ANA C I L I RAB

ldis

na e Ri O D M a n2 ME sc nce caDeRi a r F i es olo d Franc @ artic

TRE DONNE SERIAL KILLER A CONFRONTO Le vite di Leonarda Cianciulli, Milena Quaglini e Sonia Caleffi al confine tra la vita e la morte

18 18


Nel variegato mondo del crimine la storia seriale si nutre anche della malvagità femminile. In Italia sono state ufficialmente tre le donne serial killer. Per incontrare la prima dobbiamo andare indietro fino al 1930 quando Leonarda Cianciulli, prima donna serial killer nota alla storia criminale italiana, con il marito Raffaele Pensardi raggiunge Correggio, in Emilia Romagna. Leonarda avrà ben diciassette gravidanze con tre parti prematuri. Dieci dei figli nati muoiono in tenerissima età mentre quattro sopravvivono. Di tutti e quattro, il prediletto è Giuseppe e quando nel 1939 una zingara predice l’arruolamento in guerra del medesimo, Leonarda matura dentro di sé l’idea che sia giunto il momento di iniziare a fare sacrifici per scongiurarne la morte. In quel periodo la donna frequenta tre amiche, donne sole e non giovani, ma soprattutto con molta fiducia in lei. La prima a cadere nella rete è Faustina Setti detta “Rabitti”, la più anziana, attirata da Leonarda con la promessa di averle trovato un marito in un paese delle zone limitrofe. Leonarda convince l’amica a scrivere anche alcune lettere e cartoline che avrebbe spedito appena giunta presso il futuro marito. È un modo per rassicurare parenti e amici prima di ucciderla a colpi di scure in uno stanzino, sezionandola in nove parti e raccogliendo il sangue in un catino. La seconda vittima è Francesca Soavi, cui Leonarda promette un lavoro nel collegio femminile di Piacenza. Anche qui la storia delle cartoline per poi si avventarsi come una furia sulla donna

e ripetere il precedente rituale. La terza e ultima vittima si chiama Virginia Cacioppo, costretta a vivere in miseria e nella nostalgia del proprio passato di cantante lirica. Leonarda le propone un impiego a Firenze, come segretaria di un misterioso impresario teatrale, pregandola, come al solito, di non farne parola con nessuno. Virginia, entusiasta della proposta, fece purtroppo la stessa fine delle altre due donne. La fine della cosiddetta carriera criminale della Cianciulli, avviene per mezzo della segnalazione della cognata dell’ultima vittima, la quale, insospettita per la sparizione improvvisa della parente, vista entrare in casa della Cianciulli, ne denuncia la scomparsa al Questore di Reggio Emilia. Seguendo i numerosi indizi lasciati dall’omicida, gli inquirenti

19 19


GLIE

ANA BILI C

ldis

na A e Ri R D O a n2 sc MEM nce caDeRi a r F i es olo d Franc @ artic

arrivarono all’arresto dell’ormai nota “Saponificatrice di Correggio”. Nella storia seriale femminile bisogna arrivare alla seconda metà degli anni ’90 per incontrare con Milena Quaglini, nota come “l’Angelo sterminatore”. Le sue vittime sono tutti uomini violenti che uccide proprio per vendicarsi dei maltrattamenti subiti. La sua prima vittima è Giusto della Pozza, un uomo di 83 anni del quale Milena si occupa dopo essersi allontanata per un periodo dal marito violento. L’omicidio avviene dopo che l’uomo tenta di usare violenza sessuale su Milena. Sia durante che dopo l’azione omicidiaria ella si mostrerà lucida, fredda

20

e ben consapevole dell’azione compiuta. Tale evento rappresenta un punto di non ritorno: il piacere, la forza e la liberazione che Milena sperimenta dopo gli danno la consapevolezza che lei sa e può vendicarsi, mettere fine alle violenze subite dagli uomini, uccidendoli. Torna infatti da Mario Fogli, il marito violento dal quale si era separata per qualche tempo e dopo un iniziale periodo di sottomissione, la donna decide che è giunto il momento di mettere un freno ai soprusi subiti, perché stavolta ella sa che può reagire e sa anche come fare: pianifica ed organizza con freddezza e precisione l’omicidio del marito, attendendo che lui


vada a dormire e colpendolo nel sonno per strangolarlo poi con una corda ed essere sicura che fosse veramente morto. Non si scompone e mette ordine nella camera, poi il mattino successivo chiama i Carabinieri e confessa l’omicidio. Ma la storia di Milena Quaglini non termina qui: mentre è agli arresti domiciliari incontra Angelo Porrello che ha appena scontato una pena di sei anni per violenza sessuale nei confronti della moglie e delle figlie. Milena subisce più volte violenza dall’uomo fino a che non decide di ribaltare i ruoli: ora è lei a disporre del corpo di lui, a decidere tempi, modalità e mezzi, di disfarsene. Ancora una volta pianifica con freddezza e lucidità l’atto: dopo averlo stordito con il veleno, lo lascia morire lentamente in una concimaia, tra il letame. Per parlare della terza donna serial killer arriviamo ai primi anni del 2000 con il caso di Sonia Caleffi. A lasciare sgomenti i familiari delle sue vittime è l’inconsapevole rimorso di avere lasciato loro stessi i propri cari nelle mani della loro assassina. Sì, perché Sonia Caleffi è un’infermiera, una figura che infonde fiducia nei malati e che invece per molti si è rivelata fatale. L’arresto avviene il 15 dicembre del 2004, dopo un’indagine della Polizia dopo uno straordinario incremento di decessi nella Casa di Riposo in provincia di Como presso la quale lavorava la donna.

Infatti in poco più di due mesi si erano verificati ben diciotto decessi, quasi tutti inspiegabili. L’infermiera subito confessa di essere la responsabile: per dimostrare la propria abilità, creava situazioni di emergenza iniettando aria nelle vene dei pazienti per poi mostrarsi attiva e competente quando arrivavano in soccorso medici e infermieri. A seguito di tale confessione si decide allora di indagare anche nel passato professionale della Caleffi e di verificare se anche gli otto decessi avvenuti nel 2003 all’ospedale Sant’Anna di Como possano essere stati commessi da lei. L’accusa diventa quindi di quindici omicidi, di cui quattro ammessi subito dalla stessa Caleffi che poi ritratta tutto.

21


Approfondimento

LA MORTE COME RIVINCITA

Approfondimento della psicologa forense Francesca De Rinaldis Leonarda Cianciulli ebbe un’infanzia difficile. Sofferente di epilessia, disse di essere stata una bambina debole e malaticcia, da sempre trattata come un peso dai genitori. La mamma stessa la odiava, non ne aveva infatti desiderato la nascita, essendo frutto di una precedente violenza carnale subita. Leonarda cresce infelice e sola, mossa da un profondo desiderio di morire. Tenta infatti ben due volte di impiccarsi ed entrambe le volte, quando sopravvive, la madre evidenzia di essere dispiaciuta nel rivederla viva.

Seguono altri tentativi di suicidio e successivamente mangia alcuni cocci di vetro, ma invano. Questi ed altri eventi giocano un ruolo fondamentale nella già provata psiche della donna che, come in tentativo di esorcizzare il male cui è condannata la sua esistenza, sceglie di sacrificare le vite degli altri, attraverso dei rituali ben precisi e ben organizzati che si ripetono con ciclicità e lucidità. Condannata a trent’anni di carcere e a tre di manicomio, la donna morì nell’ospedale psichiatrico giudiziario femminile di Pozzuoli, il 15 22 2222


Approfondimento ottobre 1970, stroncata da apoplessia celebrale. Milena Quaglini fin dall’infanzia incontra uomini violenti e il suo agire presenta caratteristiche di “tipicità” e di “atipicità”. È donna serial killer “tipica” perché pianifica i suoi delitti con cura, uccide in un determinato posto senza affrontare grandi spostamenti. Inoltre nel corso dell’esistenza matura uno scarso concetto di se stessa e la sensazione di essere emarginata dalla società. Caratteristiche “atipiche” sono invece quelle relative al fatto che la donna, dopo aver torturato gli uomini, gode della loro agonia. Infatti, le donne serial killer in genere non eccedono in violenza, spesso stordiscono le vittime oppure le narcotizzano, usano veleni come l’arsenico e suoi derivati, invece Milena Quaglini solo in un omicidio ha usato dei narcotici ma non per uccidere bensì per stordire e poter poi agire violenza con maggiore sicurezza e garanzie di successo. Milena Quaglini, alla quale è riconosciuta la capacità di intendere e volere, pone fine alla propria esistenza, uccidendosi nel 2001 nel carcere di Vigevano presso il quale era detenuta. Anomalie vi sono anche nella storia di Sonia Caleffi. A differenza delle due che la precedono, l’infanzia della serial killer può definirsi normale, considerata da tutti una bambina molto dolce. A 15 anni cade però nell’anoressia e nella depressione che diventa sempre più grave, tanto da costringerla ad una terapia psichiatrica molto lunga. Dopo il matrimonio di un anno la relazione già fallisce e Sonia diventa ancora più insicura e depressa.

I colleghi in ospedale la descrivono come taciturna e introversa, una ragazza molto indecisa che al presentarsi del minimo problema scoppiava a piangere perché non sapeva come risolverlo. Il bisogno di rivalsa, il desiderio di affermarsi e di affermare la propria esistenza e la propria efficacia nel mondo, sono le armi con le quali Sonia compie le sue azioni omicidiarie: uccidere equivale ad affermare se stessa, a far notare all’altro la propria capacità di agire nel mondo. In sede processuale i suoi assistiti chiesero la perizia psichiatrica e in giudizio prevalse la convinzione che Sonia, seppur soffrendo di disturbi della personalità, era perfettamente in grado di intendere e di volere nel momento in cui praticava insufflazioni di aria per uccidere le sue vittime. È lei l’ultima di tre donne diverse per modalità comportamentali. Hanno però un filo conduttore: la ricerca di sé attraverso il controllo estremo e dunque nella morte dell’altro. Sì, perché in fondo ciò che caratterizza e contraddistingue il comportamento di una donna serial killer è la concretizzazione, attraverso il delitto, di una rivincita sulla vita che ha indebolito, umiliato, spesso annientato la vera immagine di sé.

23


A STIC nai I L A IN Mug 5 CRIM olo

i1 a di P Mugna o l o o artic @Paol

Le tecniche rudimentali della

“SAPONIFICATRICE” Ecco come Leonarda Cianciulli uccise le sue vittime e le perizie che ne svelarono la tecnica

24


Tra il 1939 e il 1940 Leonarda Cianciulli in Pansardi, nota alle cronache come la saponificatrice di Correggio, uccide brutalmente tre signore di mezza età: la prima Faustina Setti, soprannominata la “Rabitti”, poi è la volta di Francesca Soavi, che di mestiere fa l’insegnante in una scuola privata, istituita direttamente presso la sua abitazione. L’ultima vittima della Cianciulli è Virginia Cacioppo, una ex cantante lirica che ha girato il mondo con la sua arte. Le tre donne spariscono una dopo l’altra da quel tranquillo paese della Pianura Padana. In un primo tempo probabilmente non molti si preoccupano della sparizione delle tre donne, anche perché in realtà, ognuna di loro ha lasciato detto in giro che sta partendo da Correggio per andare a cercare nuove opportunità, nuovo marito, nuova vita. Addirittura hanno venduto casa, mobili e altre cianfrusaglie, quindi la questione di una partenza, probabilmente senza ritorno, sembra verosimile. Ma qualche cittadino con il fiuto da investigatore, non ha impiegato molto tempo a capire che qualcosa non torna e che queste tre storie in realtà portano in un’unica direzione: la casa di Leonarda Cianciulli. Infatti stranamente, prima della loro “partenza” tutte le vittime sono state viste per l’ultima volta varcare la soglia di casa Pansardi per andare a salutare

Ustione da soda caustica

la Cianciulli, della quale tempo prima sono diventate amiche. Anche le loro abitazioni, i mobili, sono stati venduti alla Cianciulli, la quale si è fatta depositaria anche di alcuni titoli statali appartenuti alle povere signore. Alla questura di Reggio Emilia non ci mettono molto a capire e il 3 marzo 1941 Leonarda Cianciulli viene condotta in carcere. Da questo momento la Cianciulli è un fiume in piena, cambia versione di continuo, accusa persone e poi ritratta accusando soltanto se stessa,

25


CA

ISTI INAL

ai ugn M o 5 ol i Pa ugnai1 d o l M o o artic @Paol

CRIM

fino ad arrivare a descrivere il metodo con cui avrebbe fatto sparire i cadaveri: trasformati in saponette. Proprio così: secondo la Cianciulli, prendendo qualche chilo di soda caustica (dai 4 ai 6 kg), un po’ di litri di acqua (circa 6-7), si poteva bollire un corpo umano dentro un pentolone e ricavarne del sapone. Da questo momento

Leonarda Cianciulli

26 26

nasce la leggenda della saponificatrice di Correggio, che perdura fino ai nostri giorni. Ma cosa c’è di vero? Alcune risposte le forniscono direttamente i due periti che all’epoca si sono occupati della vicenda: Carlo Crema e il prof. Alberto Aggazzotti. Nella perizia Crema viene dimostrato in realtà che le dichiarazioni


della Cianciulli circa il suo procedimento di saponificazione sono del tutto errate. Sarebbero occorsi molti più chili di soda, tantissimi litri di acqua e molto tempo, ed inoltre sarebbero comunque rimasti gli scheletri, di cui non si trova traccia nelle varie perquisizioni. Nel pozzo nero di casa Pansardi vengono repertate soltanto una dentiera e un pezzo di calotta cranica. Inoltre secondo la perizia Aggazzotti, il fango del pozzo nero è estremamente acido e contiene una quantità enorme di carbonato di calcio forse derivato da calce viva, mentre se vi fosse stata sversata dentro della soda caustica i fanghi avrebbero avuto caratteristiche di basicità (che è il contrario di acidità). La realtà potrebbe invece essere un’altra: la Cianciulli ha ucciso le tre povere signore a colpi di ascia e martello, probabilmente con l’aiuto del figlio Giuseppe. Dopo averle depezzate ha provato senza successo un rudimentale quanto errato metodo di saponificazione con soda caustica e acqua. Ma si è accorta che tale metodo non portava ai risultati sperati. A questo punto la Cianciulli ha provato a

distruggere i corpi con della calce viva, ma anche in questo caso non riesce a portare a termine le sue intenzioni, in quanto la calce viva non distrugge i corpi ma li ustiona profondamente. Dopo questi maldestri ed infruttuosi tentativi di distruzione dei tre cadaveri, è invece possibile che la Cianciulli si sia servita del figlio Giuseppe, che in effetti è stato visto uscire di casa con dei fagotti sospetti, per occultare chissà dove i resti delle povere signore.

27 27


A STIC nai I L A N Mug RIMI

C

lo Pao ugnai15 i d olo oM artic @Paol

Ma la verità delle saponette è quella da portare avanti. Una volta trasferita nel manicomio criminale di Aversa, Leonarda Cianciulli impiegherà qualche anno per stilare un memoriale autobiografico di quasi ottocento pagine dove mescola fatti veri a moltissimi fatti inventati, per alleggerire

Strumenti adoperati dalla Cianciulli

28

la sua posizione (verrà dichiarata non in grado di intendere e di volere), per allontanare i sospetti dal figlio Giuseppe, per allontanare gli investigatori da quella che era l’unica verità. Con molta probabilità infatti, Leonarda Cianciulli ha ucciso le tre signore per un unico scopo: il denaro.


29


CENA

INE

RIM DEL C

ri glia a P la Pao gatto i d pa olo artic @paola

AS SULL

«UCCISO DA UN UOMO

CHE PORTAVA LA

SUA STESSA DIVISA» Il caso di Salvatore Incorvaia fu «un depistaggio professionale» secondo il criminologo Carmelo Lavorino Troverà finalmente pace e verità Salvatore Incorvaia, il brigadiere vicecomandante della stazione dei Carabinieri, rinvenuto senza vita il 16 giugno 1994 all’interno della sua Audi 80 parcheggiata a bordo strada tra villette e campi di Oreno di Vimercate? Venne trovato seduto al posto di guida con un colpo alla tempia destra esploso dalla sua pistola d’ ordinanza, le braccia, composte lungo i fianchi, strette in grembo, dove è appoggiata con il calibro rivolto verso il basso la sua calibro 9 parabellum. Il vetro sul lato passeggero dell’auto è infranto. I finestrini posteriori sono semi aperti. «Com’è possibile, se mio figlio si spara un colpo alla tempia destra e dunque il proiettile corre in direzione opposta?», nota subito il padre Giuseppe, una vita trascorsa a prestare anch’egli servizio nell’Arma. «Arrivo sul posto e sento il colonnello Ludovico Tiscari, allora

30


comandante del gruppo di Monza, parlare con un giornalista: “Un suicidio, punto e basta”» e la magistratura seguì il verdetto. Sulle mani né polvere da sparo, né sangue, come attesterà il Ra.CIS. Molto forte la tesi portata avanti sin da quella notte del 16 giugno dal padre di Incorvaia: «Mio figlio è stato ucciso da un uomo che portava la sua e la mia stessa divisa, un carabiniere dei ROS in pensione. Mio figlio aveva scoperto operazioni illecite dei ROS coperte da un colonnello; aveva paura, chiese di esser trasferito a Genova e in quel momento firmò la sua condanna a morte». Era diventato scomodo. Papà Giuseppe e la sorella di Salvatore, Sabina, si battono per far riaprire il caso.

31


ENA

SC ULLA

INE

RIM DEL C

ari

li Pag a l S o Pa tto lo di olapaga o c i t ar @pa

Il suicidio è solo una messinscena: Salvatore è stato assassinato, e il suo corpo ricomposto ad arte nell’abitacolo della macchina. Non si sono fermati nel 2010 quando, attraverso l’avvocato Francesco Mongiu, ottennero la riesumazione del cadavere ed una nuova perizia medico-legale, ma senza risultati. La Procura graniticamente non cambiò idea. Recentemente è stato incaricato Carmelo Lavorino, uno dei più noti criminologi italiani. Dopo essere state presentate attraverso l’avvocato Eduardo Rotondi due istanze al gip monzese Pierangela Renda per chiedere al Pm una consulenza tecnica sulle nuove scoperte, è ora pronta un’istanza alla Procura generale di Milano per far ripartire le indagini, poiché quella di Monza ha chiesto e ottenuto l’archiviazione. Il provvedimento del gip Renda, comunque, parla di «criticità» ed «omissioni» non giustificabili, ma purtroppo «irrimediabili», a proposito del modo in cui all’epoca sono stati effettuati i rilievi sulla scena del decesso del brigadiere. Lavorino ha esaminato tutte le indagini precedenti, soprattutto il materiale fotografico dell’epoca, oltre che le risultanze della perizia del 2010 sul

32

Il criminologo Carmelo Lavorino

cadavere, avvalendosi di nuove tecniche che vent’anni fa non esistevano e, attraverso l’autopsia psicologica, ha accertato che la vittima non aveva certo tendenze suicide. Ma le tracce, gli schizzi ematici, hanno portato Lavorino a dire che si inscenò il suicidio, con la semiautomatica Beretta calibro 9 appoggiata sul grembo e l’ogiva di un proiettile conficcata nell’auto:


«Proiettile sparato successivamente». Pronto anche il movente: «A Oreno si spacciava droga e il brigadiere aveva deciso personalmente di mettere la zona sotto controllo e lì è stato trovato morto». Sostiene il professor Lavorino che si è trattato di «un depistaggio professionale effettuato da mani esperte» e che l’indagine di 22 anni fa venne «intenzionalmente fatta male». Affermazioni molto forti. Oggi, grazie alle nuove tecniche e conoscenze nel campo dell’investigazione scientifica, si può scrivere un nuovo capitolo di questa storia esaminando

proprio quella scena del crimine tanto dubbia e otto minuscole macchie di sangue, trovate sulla manica destra della giacca indossata dal carabiniere. Spiega il criminologo: «Analizzando la loro morfologia, grazie a nuove tecniche di studio, emerge che sono tutte macchiette a spruzzo rivolte verso il basso: non avrebbero potuto avere quella forma e disposizione, se avesse tenuto sollevato il braccio per spararsi». Manca infatti il sangue sulla parte sinistra dell’abitacolo, in corrispondenza della direzione d’uscita del proiettile, inoltre il

Esempio di prelievo Stub sulle mani

33 33


MINE

EN

CRI A DEL

ri glia a P la Pao gatto i d pa olo artic @paola

A SC SULL

finestrino in frantumi non era quello del lato guida, come indicò erroneamente il medico legale all’epoca del primo sopralluogo, ma quello del passeggero. Inoltre Incorvaia si sarebbe sparato senza posare la pistola alla tempia, modo di per sé anomalo. Una ricostruzione tridimensionale dimostrerebbe che la traiettoria di uscita del proiettile dal capo del militare non coincide col punto in cui si è andato a infilare il colpo (una ventina di centimetri più in basso, nel montante dell’auto). Quindi, Incorvaia è stato ammazzato in realtà fuori dalla macchina, e non all’interno. Giuseppe non ha dubbi sul chi e perché: «È stato qualcuno su cui mio figlio stava indagando. Salvatore era sposato e aveva una

Esempio di microparticelle riscontrate su tessuti

34

bambina di tre anni… non si sarebbe mai tolto la vita. Prima che morisse lo vedevo molto preoccupato. Quando gli ho chiesto spiegazioni, mi disse che non poteva raccontarmi nulla, perché si trattava di una vicenda che coinvolgeva persone ad alti livelli e avrebbe potuto mettere a rischio la sua vita e anche la nostra». In una memoria ha indicato i nomi e i cognomi di chi, secondo lui, ha lavorato per depistare le indagini: «Non posso renderli pubblici, ma sono in quel documento, consegnato alla magistratura perché faccia i debiti accertamenti». Le nuove tecnologie e un esperto criminologo riusciranno a svelare questo mistero e consentire ad un padre di conoscere la verità?



R DA

NE

EZIO COLL

i rner a u aG icol guarns N i olo d special artic @

IE DOSS

ROGO DI PRIMAVALLE

L’ORRORE

43 ANNI FA Nel 1973 militanti di Potere Operaio bruciavano l’appartamento di Mario Mattei, causando la morte di due dei suoi figli

36


Stefano Mattei, 8 anni. Virgilio Mattei, 22 anni. Sono loro le vittime di quello che è passato alla storia come Rogo di Primavalle, un vile attentato all’appartamento di Mario Mattei, netturbino e segretario del Msi (il Movimento Sociale Italiano, partito che ha raccolto l’eredità del fascismo). Eppure, dopo 43 anni, i colpevoli restano impuniti e le ricostruzioni sono ancora imprecise. Dove sta la verità? Mario Mattei ha una famiglia numerosa: ben 6 figli, che con lui e la moglie condividono lo stesso tetto. Mario crede nel Msi, di cui è segretario; nonostante una umile paga da netturbino trova il tempo per un’attiva partecipazione politica. La famiglia Mattei vive a Primavalle in una casa popolare e la sera del 16 aprile non sospetta di nulla (anche se un attentatore dirà poi che «ci stavano aspettando»). Alcuni esponenti di Potere Operaio, un’organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra, giungono alle porte

dell’appartamento di Mattei. Hanno in mano una tanica di benzina che si rovescia e finisce sotto la porta spargendosi per l’appartamento. Quando appiccano il fuoco l’incendio divampa rapidissimo: degli otto esponenti della famiglia Mattei in sei riescono a mettersi in salvo, miracolosamente quasi illesi. Non ce la fanno in due: Stefano, 8 anni, e Virgilio, 22, che muoiono carbonizzati. La fine di quest’ultimo è atroce: con le ultime energie cerca di raggiungere il balcone per lanciarsi di sotto ma perde le forze e si accascia con metà corpo fuori dall’appartamento. La folla creatasi fuori dall’appartamento non può che guardare impotente il fuoco che divora il corpo inerme di Virgilio. Appare subito chiaro chi siano gli attentatori, la rivendicazione è lì di fronte, sul marciapiede: «Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria».

I fratelli Mattei, vittime del rogo

37


E

ZION

LLE A CO

ri arne u G la Nico lguarns i d olo specia artic @

IER DOSS

D

Caso chiuso e colpevoli arrestati? Assolutamente no. Dopo solo due giorni viene arrestato Achille Lollo, che sconterà due anni di carcere preventivo, poi Marino Clavo e Manlio Gallo. Nonostante le denunce di Potere Operaio, che grida alla montatura poliziesca, appare abbastanza chiara la colpevolezza dei tre, che tuttavia dopo il processo di Primo grado vennero assolti per mancanza di prove. Nonostante una riconosciuta colpevolezza in secondo grado (avrebbero dovuto scontare 18

Lo stabile dove vi fu l’incendio

38

anni di carcere) la pena non verrà mai scontata per sopraggiunta prescrizione. A poco porteranno le rivelazioni di Lollo nel 2005, che parla di un coinvolgimento nell’attentato anche di Paolo Gaeta, Elisabetta Lecco e Diana Perrone (quest’ultima figlia di Alessandro Perrone, direttore de Il Messaggero e strenuo difensore di Movimento Operaio all’epoca dei fatti). La denuncia nel 2005 della famiglia Mattei verso Lanfranco Pace, Valerio Morucci e Franco Piperno, ritenuti i mandanti dell’attentato, porta la Procura


Doveva essere un’azione dimostrativa, come altre che avevamo fatto contro i fascisti a Primavalle. Ma al momento di montare l’innesco, mi si ruppe il preservativo. […] L’innesco doveva far esplodere i gas della benzina. Se tutto avesse funzionato, avremmo provocato un botto e annerito la porta dell’appartamento. Invece io sbaglio, l’acido mi cola tra le mani e scappiamo, lasciando la tanica inesplosa. Da quel giorno ho il dubbio su cosa sia davvero successo dopo. Non abbiamo mai pensato di far scivolare la benzina sotto la porta per dar fuoco all’appartamento. Mai. Tutte le perizie ci hanno dato ragione, Virgilio Mattei nel rogo tra l’altro». Colpevolezza o meno, di Roma a indagarli per strage ma sia prescrizione o no, dove sta la verità? il Primavalle-bis sia il Primavalle-ter si concludono con un nulla di fatto: gli organizzatori e gli attentatori sono tuttora a piede libero e alcuni di essi hanno anche incarichi di rilievo nell’informazione pubblica. Nella memoria della gente, oltre al grande dolore della famiglia Mattei, resta un senso di ingiustizia, accentuato dalle indagini tardive e lacunose. Resta, inoltre, il dubbio sulle circostanze dell’attentato. Nel 2005 dal Brasile Lollo ha raccontato la sua versione dei fatti: «Non volevamo provocare l’incendio, né uccidere. Achille Lollo a processo nel 1975

39 39




LIBRO E PROGRAMMA TV

CONSIGLIATI

a cura di Mauro Valentini

OMICIDA E ARTISTA. LE DUE FACCE DEL SERIAL KILLER Il saggio di Ruben de Luca tra genio creativo e distruzione assassina

Un saggio che già nel titolo dimostra ardimento e coraggio divulgativo: accostare il genio creativo alla follia distruttiva dell’assassino seriale, un percorso pieno di trappole e insidie. Soprattutto etiche. Qual è il punto di contatto tra queste due individualità apparentemente così diverse? Ruben De Luca, psicologo e criminologo, trova il lato comune tra il genio osannato da tutti e l’assassino da tutti maledetto. Paradossalmente è proprio la convinzione di entrambi che la loro opera sia una creazione, una creazione che ha la sua logica ma che è anche e soprattutto estro e sorpresa. Il serial killer, invece, è per definizione un “mostro” e le sue azioni, in particolare gli omicidi, sono considerati da tutti noi totalmente irrazionali, se possiedono una logica ebbene, quella non solo non ci appartiene ma ci fa inorridire. In realtà, le azioni di un assassino seriale, secondo De Luca hanno quasi sempre una logica ma, per comprenderla, bisogna entrare nella sua testa. Quel che è certo è che il serial killer considera se stesso un artista del crimine e gli omicidi rappresentano il frutto della sua creatività distorta. Ecco dunque il contatto, quel tragico punto di incontro. Omicidio, quindi, inteso come una forma d’arte perversa che soddisfa in maniera patologica il bisogno di creare qualcosa d’immortale. Per sostenere la sua tesi che può apparire ardita, Ruben mostra alcuni rivelanti fatti, spiegando come spesso, quando non possono più uccidere, molti serial killer incarcerati si convertono all’arte, dedicandosi in particolare a scrittura e pittura, ed è proprio questo strano e inesplorato legame tra arte e omicidio che è necessario penetrare per comprendere che cosa si può nascondere dentro la testa del “mostro”. Un libro per operatori forensi ma anche per chi è in grado di approfondire un fenomeno dai gravi risvolti sociali.

Diritto di Cronaca,

la nuova rubrica di politica ed attualità in onda ogni martedì e giovedì su Teleromauno (CH. 271). Tante le tematiche già affrontate, dal caso Cucchi al clan dei Marsigliesi, fino alle inchieste su sanità, sicurezza e criminalità. Tutte le puntate sono disponibili sulla pagina Facebook di “Diritto di Cronaca”, condotte dal giornalista Giovanni Lucifora.

42


FILM E PROGRAMMA RADIOFONICO

CONSIGLIATI

a cura di Nicola Guarneri

Al cinema

IL COMPLOTTO DI CHERNOBYL – THE RUSSIAN WOODPECKER Uscito la scorsa settimana nelle sale italiane, Il complotto di Chernobyl – The Russian Woodpecker è un documentario sul più grande disastro nucleare di sempre causato da un errore umano, l’incidente di Chernobyl del 1986. Proprio sull’errore umano si incentra l’inchiesta di Fedor Alexandrovich, che insieme al cameraman Artem Ryzhykov cerca di dimostrare come l’incidente sia stato causato dal governo russo e non da una banale svista. Il disastro nucleare sarebbe servito a disattivare l’inefficiente e costosissimo radar Duga, costruito per scopi militari nei pressi della centrale nucleare, e la mente del complotto sarebbe stato Vasily Shamshin, ministro delle comunicazioni dal 1980 al 1989 e deceduto nel 2009. Una vera e propria inchiesta, con alcune immagini rubate con una GoPro all’insaputa dello stesso Fedor, che affonda le radici nei peggiori giorni della guerra fredda, tra interviste ad ex capi militari, un diffuso terrore al solo ricordo del KGB e una fedeltà incorruttibile nel regime sovietico.

In radio La Storia Oscura

Storia, crimine e criminologia su Radio Cusano Campus dal lunedì al venerdì dalle 13:00 alle 15:00 con “La Storia Oscura”, un programma curato e condotto da Fabio Camillacci. Conoscere la storia per capire l’attualità.

43


ETÀ

OCI IER S

tano

li apo S N S a O D in il lsom inama e G i m olo d @gelso artic

Il fenomeno del gioco d’azzardo desta particolare preoccupazione nella società odierna. Negli ultimi anni bingo, videopoker, scommesse, gratta e vinci e giochi online sembrano avere un’influenza negativa non solo tra i minorenni, ma anche tra gli adulti. Oggi il gioco d’azzardo, che esiste sin dall’antichità, non interessa più una ristretta cerchia di persone d’élite come

44


L’azzardO degli ADULTI:

il cOnfine tra

GIOCO e PATOLOGIA Un’indagine sul fenomeno della ludopatia in Italia: si risparmia sulla spesa alimentare ma si gioca di più

accadeva una volta, ma coinvolge gente comune di tutte le età e di ogni estrazione sociale e culturale. Il gioco può esser visto come un passatempo per staccare dalla routine e divertirsi, ma diventa patologico nel momento in cui il giocatore adulto non comprende più l’aspetto ludico e mette in atto dei comportamenti diabolici ed autodistruttivi.

L’azzardo, dunque, nelle sue diverse forme, non esclude nessuno dal rischio di diventarne schiavo e negli ultimi anni è praticato in maniera preoccupante. La crisi economica, in questi ultimi anni, mette in evidenza il crollo delle spese alimentari e dei risparmi, ma fa emergere stranamente un vertiginoso innalzamento delle spese riguardanti il gioco. Con l’aumento del tasso di povertà,

45


ETĂ€

OCI IER S

no

ta poli a S N S na DO omi namail s l e i G lo di gelsom o c i t @ ar

aumenta il rischio di imbattersi nella patologia. Molti, infatti, finiscono sul lastrico senza rendersene conto, puntando le uniche risorse a disposizione, con la speranza di migliorare la propria situazione economica. Aumenta, quindi, il numero dei soggetti a rischio di sviluppare comportamenti di gioco problematico o addirittura compulsivo e questo avviene maggiormente nelle economie familiari piĂš deboli, fra giovani, adulti e anziani. Dal Rapporto Coop 2015 emerge che buona parte della popolazione ha problemi di dipendenza. Sono 15 milioni gli italiani che giocano, dal gioco d’azzardo. il 38,3% della popolazione adulta e, tra Gli Italiani preferiscono slot machine e questi, 900 mila sono affetti da dipendenza Video Lottery. Le cifre transitate attraverso questi apparecchi raggiungono i 46 miliardi di euro nel 2014 e mostrano un lieve calo rispetto al 2013. Da una recente ricerca condotta dalla Codacons emerge che nel 2013 solo con le slot machine e le videolotterie, gli italiani hanno speso 47,5 miliardi (il 56 % di quanto speso complessivamente nel gioco). Le vincite incassate sono state pari a 38,5 miliardi di euro e allo Stato sono finiti 4,3 miliardi di euro. Nel 2014, invece, la raccolta complessiva è stata di 45,6 miliardi di euro. Un settore che non conosce crisi e Furto alle slot in un bar

46


parliamo, in questo caso, solo dei giochi legali. Un’indagine della Guardia di Finanza, infatti, nel maggio del 2014 ha riscontrato anche gravissime irregolarità. Molti giochi sono risultati finanche clandestini, in molte sale scommesse. Su 2.266 esercizi ispezionati in tutta Italia, il 31% è risultato fuori norma. Un fenomeno molto elevato al quale spesso si fa fronte con famose campagne di sensibilizzazione che hanno il compito di informare sui rischi che il gioco comporta e diffondere una cultura del “gioco responsabile” inteso come momento

di svago, socializzazione e confronto positivo tra gli individui adulti. Il Decreto legge 13 settembre 2012, n. 158 convertito con modificazioni dalla Legge 8 novembre 2012, n.189, ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone colpite. È necessario, quindi, puntare sulla prevenzione; probabilmente siamo ancora in tempo a “scommettere” sulla possibilità di diffondere una nuova cultura del gioco equilibrato prima di finire nel baratro.

47


I

INOR

M ITTI E

a

alizi C a ett icol alizia N i olo d nicolec artic @

DIR

IL GIOCO D’AZZARDO

IN ETÀ PRECOCE

Quando il gambling altera sia la vita del minore che quella delle persone a lui più care

48


Intorno a noi ci sono molte possibilità di giocare d’azzardo. Nei casinò, negozi di alimentari, distributori di benzina, bar e anche online. Il gioco d’azzardo è una forma popolare di intrattenimento e per molti è una spontanea attività sociale. Per alcune persone, il gambling (termine inglese per definire il gioco d’azzardo) può avere conseguenze devastanti. Questa problematica, infatti, si insinua nella nostra comunità e alcuni di noi ancora non ne sono a conoscenza. Che cosa è il gambling? Chi colpisce? Quali sono i segnali? I fattori di rischio? Quali le conseguenza? Che cosa fare? Cercheremo di dare una risposta quanto più esaustiva possibile a tutte queste domande. La prima volta, molti di noi giocano, soprattutto, spinti dall’atmosfera sociale e dalla voglia di divertimento. Nella maggior parte dei casi riusciamo a controllare il tempo e il denaro che spendiamo in queste attività. Ma allora quando il gambling diventa un problema? Sebbene possa sembrare un tema vago e confuso, in realtà è molto semplice: il gioco d’azzardo diventa un problema quando tali attività causano difficoltà nella nostra vita o in quella degli altri. Quando non si pongono limiti di tempo e di denaro, si gioca da soli, o ci si aspetta fermamente di vincere, in questi casi può subentrare un numero alto di

conseguenze negative fino a trasformarsi in un vero e proprio disturbo compulsivo. Si potrebbe pensare che sia troppo prematuro ed insensato parlare di dipendenza da gioco nei minori. Ma, invece, nel corso degli ultimi anni si è registrato un marcato aumento di questo comportamento tra i più giovani. Anzi, come dimostrano le ricerche, alcuni iniziano molto precocemente - anche a 10 anni. La maggior parte all’età di 15. Le forme più comuni di gioco d’azzardo sono i giochi con le carte e le lotterie istantanee. Questi potrebbero sembrare innocui, ma alcuni bambini possono arrivare a fare giochi molto più pericolosi in tarda adolescenza. Tablet o smartphone, invece, espongono i bambini al gioco d’azzardo ben prima che

49


I

INOR

M ITTI E

zia

Cali a t t le Nico calizia i d olo nicole artic @

DIR

abbiano compiuto i 18 anni. Il gambling online, sebbene sia legalmente vietato ai minori di 18 anni, può essere raggiunto mentendo circa l’età. Inoltre, gli adolescenti affermano di imbattersi in annunci riguardanti giochi online direttamente nelle mail o sulle pagine web. Questi annunci mandano il messaggio che il gioco d’azzardo sia “divertente”, “stimolante” ed “emozionante”, che la probabilità di vincere sia alta, e che il gioco d’azzardo sia un modo semplice per arricchirsi. Ci sono più di 3.000 siti di gioco online in tutto il mondo. Gli adolescenti possono anche giocare senza denaro sul telefono e sulle app di Facebook.

50

E più di 100 videogiochi classificati come adatti per i bambini hanno temi e contenuti che riguardano il gioco d’azzardo. Per i giovani gli effetti sono molto simili, si possono riscontrare assenze ingiustificate da scuola e rendimento scolastico scarso; comportamento antisociale; fumo, alcol e droghe; più alti tassi di depressione e ansia; perdita di amicizie (specialmente con i coetanei che non giocano). Iniziare a giocare in giovanissima età è uno dei fattori di rischio per giungere ad avere problemi di gambling in età adulta. Altri fattori sono il genere maschile, essere figlio unico, avere a disposizione molti soldi e avere i genitori con problemi di dipendenza da gioco d’azzardo. I ragazzi che crescono in famiglie con questi problemi possono anche essere vittima di violenza, abuso e separazione da parte dei loro genitori e sono due volte più inclini a tentare il suicidio. Le ricerche indicano anche che questi minori hanno più probabilità di sviluppare problemi col gioco d’azzardo rispetto ai loro coetanei che non sono cresciuti in famiglie con problemi di gambling. La loro prima volta molto spesso accade perché vogliono scoprire e capire che cosa ci trovi la loro madre o il loro padre nel compiere questa attività che li porta a essere così assenti nelle vite dei loro figli.


Prevenire il problema del gioco d’azzardo tramite la spiegazione delle conseguenze negative e incoraggiando invece gli hobby e le attività extrascolastiche che più piacciono ai propri figli possono rappresentare un modo migliore per il nostro bambino a gestire la noia o lo stress e possono aiutare a sentirsi bene con se stessi, divertirsi e sfogarsi. Il modo in cui ci si avvicina al gioco d’azzardo nella nostra famiglia può influenzare il nostro bambino. Meno nostro figlio è esposto, meno probabile è che sviluppi questo problema. Ma se i genitori giocano regolarmente, i bambini potrebbero vedere il gioco

d’azzardo come un comportamento normale e lo vorranno copiare. Limitare l’utilizzo di internet del nostro bambino può ridurre l’accesso a siti di gioco online. È inoltre opportuno tenere i computer in soggiorno o nelle aree comuni e più affollate della casa, piuttosto che in camera da letto. Sarebbe utile anche stabilire una regola per tutta la famiglia: non utilizzare i telefoni o iI tablet in camera da letto durante la notte. Si potrebbe, inoltre, prendere in considerazione il blocco di siti di giochi sui dispositivi digitali. Se risulta difficile monitorare l’attività online del nostro bambino, avere conversazioni regolari, rilassate e rispettose sul comportamento online sarà il modo migliore per aiutare nostro figlio a prendere buone decisioni e comportarsi con saggezza.

51 51




RNI

I TU

GIO TTI I

i illac M ra i Do Millaci d o l o ora artic @D

IE D STOR

PLAY THERAPY IL GIOCO IN

AIUTO DEI

BAMBINI DISABILI Metodo ancora sconosciuto nel nostro Paese, è un sostegno concreto per i minori affetti da disabilità Nel 1920 una studentessa del grande Freud, esattamente Hug-Helmut, aveva associato il gioco all’interazione verbale in ambito terapeutico. Alla fine del suo progetto scrisse un articolo nel quale evidenziava come i bambini trovassero sollievo e aiuto non tanto nell’intuizione e apprendimento cosciente quanto nel gioco.

54 54


Negli anni a seguire la psicoanalista infantile austriaca Melanie Klein diventerà nota come pioniera nel campo della psicoanalisi infantile, utilizzando la famosa teoria delle Relazioni Oggettuali e utilizzando la tecnica della Play Therapy come strumento per analizzare i bambini sotto i sei anni di età.

Da quel momento in poi, il gioco è entrato a far parte integrante nelle terapie che coinvolgono i più piccoli. La Play Therapy differisce dal gioco “normale” in quanto il terapeuta seleziona innanzitutto i giocattoli da usare e crea un ambiente e un’atmosfera sicura, dove il bambino potrà esprimere i suoi sentimenti e le sue difficoltà. Ricordiamo che il gioco per i bambini è come il linguaggio verbale per gli adulti; il mezzo naturale della loro espressione. A tal proposito possiamo individuare due tipi di espressioni: quella conscia e quella inconscia. Attraverso il gioco i bimbi rivelano quella parte di loro che altrimenti resterebbe nascosta, cioè l’inconscio. Ed è così che si possono capire i loro problemi o quelle emozioni tenute nascoste per paura. In questo modo l’esperto potrà aiutarlo attraverso i giocattoli. Praticamente tutti possono avvicinarsi e quindi trarre beneficio da questi trattamenti. È giusto sottolineare però che la Play Therapy è stata pensata per i bambini fra i 3 e i 12 anni, anche se adolescenti e adulti possono usufruirne. In diversi contesti sanitari si trovano strumenti che si rifanno a questo tipo di terapia. Come detto precedentemente viene

55 55


ORNI

DI T

I GI UTTI

i illac M a or i di D aMillac o l o r o artic @D

IE STOR

usata per aiutare i bambini disabili: per esempio è ottima in casi di disturbo Autistico e disturbo di Asperger, disturbo da deficit di attenzione o iperattività, disturbi legati alla depressione, disturbi d’ansia e del comportamento. Ma non solo, può trattare casi in cui i piccoli hanno subito traumi a livello psicologico, come per esempio la perdita di un familiare in maniera violenta (incidente, calamità, ecc.) oppure hanno subito violenze fisiche o ancora separazioni in famiglia come un divorzio.

56 56


Tramite delle sedute di diversa durata (30-50 minuti) con cadenza settimanale, il terapista attraverso il gioco cercherà di far uscire tutto il dolore, il malessere che a livello inconscio è rimasto intrappolato e si manifesta a livello conscio nei modi più disparati. In Italia questo tipo di trattamento non è ancora molto conosciuto nonostante ci siano diverse associazioni che lo usino. Per questo motivo troviamo iniziative e corsi sull’APT che coinvolgono anche genitori. Per esempio dal 20 al 23 ottobre 2016 a Roma, c’è un evento informativo

tenuto dall’International Academy for Play Therapy studies and PsychoSocial Projects. Oltre a seguire i corsi, si possono leggere alcune pubblicazioni interessanti scritte da docenti esperti in Play Therapy. Non sottovalutiamo pertanto il potere curativo dell’APT, solo perché non riusciamo magari a comprenderlo fino in fondo; quando invece personaggi importanti della storia quali Aristotele e Platone, si sono fermati a pensare sul perché il gioco sia così fondamentale per le nostre vite. Chi siamo noi quindi per affermare il contrario?

57 57



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.