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Conclusioni

Rosa Franco

Buonasera a tutti. Ieri mattina abbiamo iniziato dicendo cosa non è l’ideale: non è un’utopia né un sogno ma un fatto che abbiamo visto realizzarsi, farsi palese ai nostri occhi in questi due giorni. Ieri mattina ero molto preoccupata che le cose andassero bene, che le associazioni fossero contente, che i relatori fossero bene accolti, insomma ero preoccupata di tutti quegli aspetti organizzativi di un evento che anche rispetto alle nostre piccole forze chiede un impegno non indifferente. Ho iniziato l’incontro di apertura del Meeting facendo qualche gaffe, incontrando alcuni imprevisti. Allora ho capito che nulla poteva dipendere da me. Rispetto agli anni scorsi, ciò che era successo metteva me per prima in discussione, io per prima volevo essere provocata dal titolo del nostro Meeting. Non potevo darlo per scontato solo perché lo avevo pensato prima, insieme al Comitato scientifico, al direttore, al Consiglio direttivo; non potevo io per prima non mettermi in gioco. Ciò che è successo per fortuna mi ha messo nelle condizioni di mettermi in gioco.

Stasera sono grata, provo una gratitudine che non ho mai provato in questo contesto: non possiamo parlare né di utopia, né di sogno ma di un fatto a cui io in questi due giorni ho guardato. Circostanze, fatti che mi hanno messo nelle condizioni di poter, disarmata e provocata, aprire gli occhi e dire “vediamo cosa capita”. Il mio desiderio, ciò che mi muove, è la stessa cosa che muove un altro? E che cos’è? Ed è stato bellissimo vedere come attraverso le testimonianze, tutte le testimonianze, sia emerso che non si può vivere senza capire, senza sapere, qual è lo scopo dell’agire. Mi ha impressionato la fatica che hanno fatto coloro che sono intervenuti, che hanno inteso il loro intervento non come il contributo a una conferenza ma come una testimonianza, facendo la fatica di confrontarsi con il titolo. Abbiamo invitato ogni anno dei testimoni: poche volte ci parlavano di sé, di cosa interessa loro fino in fondo, ponendosi piuttosto sul piano delle attività. Il livello

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personale è invece emerso dalla testimonianza di coloro che sono intervenuti quest’anno: sono nomi, persone.

Nell’incontro di apertura ho raccontato di quella persona che mi ha detto: «Sono già cinque anni che vengo, ma è come la prima volta, perché c’è una bellezza che altrove non si trova», oppure la gratitudine che qualcuno ha mostrato nei miei confronti – ma evidentemente per il lavoro che il Centro di Servizio al Volontariato “San Nicola” compie. In questi giorni un’esperienza, un fatto si è imposto con evidenza a tutti noi. È proprio una gratitudine. Sto parlando innanzitutto di me: perché ho ricevuto molto di più di quanto pensassi quando decidemmo di proporre il tema dell’ideale.

Mi ha colpito molto anche il fatto che non sia venuta fuori la parola crisi. Non perché questa sia un’isola felice: basterà riaccendere la televisione per ritrovarci al punto di prima. No, secondo me non si è usata la parola crisi perché questo ideale, questo fatto, questa esperienza positiva è l’inizio del cambiamento. Più volte abbiamo appreso che il problema non è esclusivamente economico ma culturale. Il cambiamento nasce dalla mia persona. Noi abbiamo visto in atto questo cambiamento, c’è una maturità, in voi, in noi, una maggiore consapevolezza del valore che portiamo e della possibilità che siamo di cambiamento per il mondo. Una soggettività da cui si può partire e che dobbiamo, possiamo consolidare: il Centro di Servizio è pronto per questo compito. L’amicizia di cui prima ha parlato Giorgio è quella che è accaduta tra noi, non dobbiamo inventarcela. È da qui che si può partire, sostenendoci, ciascuno con la propria mission, ma partendo dalle persone.

Ringrazio per questo tutti i nostri ospiti, le associazioni, le scuole, le persone, i collaboratori del Centro perché anche loro fanno parte di questa amicizia, sono in questo clima; ringrazio il direttore che lavora sempre dietro le quinte. Ringrazio il Comitato scientifico, Guido, che viene sistematicamente da Milano per sostenerci e insieme al quale stiamo curando questa opera. Il nostro rapporto è segno di un’amicizia che può essere condivisione anche stando in luoghi diversi. Grazie.

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