Cultura Commestibile 148

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redazione@culturacommestibile.com culturacommestibile@gmail.com www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile direttore simone siliani

redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti

progetto grafico emiliano bacci

Con la cultura non si mangia

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N° 1

O’ flippér

Vespa: “Come li potranno spendere? Non vorrei se li spendessero al flipper...” Renzi: “Vespa, mi casca sul flipper… La sfido a trovare un diciottenne che ancora gioca a flipper…”. Dialogo tra Bruno Vespa e Matteo Renzi sui 500 euro promessi ai diciottenni

editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012


Da non saltare

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Simone Siliani s.siliani@tin.it di

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al 2008 Regione Toscana pubblica il Rapporto sui Musei della Toscana ed è uno strumento utile per capire quale sia lo stato di salute di questi istituti culturali, quale sia l’approccio dei visitatori e le modalità di gestione degli stessi. Il rapporto 2015, da poco disponibile sul sito della Regione (www.regione.toscana. it/-/musei-della-toscana-rapporto-2015) ci consegna una fotografia dettagliata delle tendenze in atto e offre, come ormai avviene da qualche anno, un approfondimento specifico sulla soddisfazione del pubblico in quattro musei : il Museo dei Ferri Taglienti (Scarperia San Piero), la Pinacoteca Crociani (Montepulciano), il Museo della Battaglia (Anghiari) e il Museo Archeologico e d’Arte della Maremma (Grosseto). Mi soffermo qui soltanto sui dati macro perché il Rapporto serve sicuramente ad analizzare tendenze e cambiamenti di questo settore. Il primo indicatore è che il numero assoluto dei musei continua a crescere in Toscana: dai 591 del 2004 (di cui 546 aperti) si è giunti ai 738 del 2014 (684 aperti). Una crescita costante, senza strappi: fra il 2013 e il 2014 si sono aggiunti 11 nuovi musei in Toscana e 9 in più sono quelli che hanno aperto. Un dato positivo, certamente. Purché questa crescita abbia un senso, cioè i singoli musei svolgano una reale funzione educativa e culturale per i visitatori, oltre che contribuire a costruire l’identità delle comunità locali al cui interno nascono. Elementi, questi, che avrebbero bisogno di ben più approfonditi metodi di valutazione. Fra questi certamente importante il lavoro fatto dalla Regione Toscana sulla soddisfazione dei visitatori, avendo messo a disposizione dei gestori dei musei un modello di questionario da distribuire ai visitatori. E la rilevazione compiuta ogni anno da alcuni musei dimostrano l’importanza di questo strumento non tanto per una sorta di valutazione di customer satisfaction, bensì per orientare il governo stesso del museo.

Museo Archeologico e d’Arte della Maremma

Un anno al museo Ma, sempre rimanendo alle valutazioni complessive, l’aumento assoluto del numero dei musei toscani (un museo ogni 5.085 abitanti) si associa anche ad altri dati meno confortanti. In primo luogo la netta diminuzione delle attività educative: dalle 635 attività proposte nel 2013 si scende a 535 nel 2014 (-15,7%). Calano anche le attività per le scuole: da 578 a 493 (-14,7%). Così come si riduce il numero di musei che offrono questo genere di attività: da 76 a 56 (-23,7%). Cosa significa? Evidentemente che riducendosi le risorse, per lo più pubbliche dal momento che sono gli enti pubblici territoriali i maggiori soggetti titolari dei musei (43,7%), la prima cosa che si decide di tagliare sono le attività educative. Ma così non si fa altro che evirare il museo di uno dei suoi elementi identitari. Inoltre, dovrebbe allarmare il

fatto che solo 56 dei 684 musei aperti in Toscana (8,2%) offre ai visitatori questi essenziali elementi di comprensione di ciò che espone. Ma questo dato è forse legato anche ad un altro elemento caratterizzante dei musei toscani: il basso numero di visitatori nella gran parte di essi (e dunque, la concentrazione della gran parte dei visitatori in pochi grandi musei). Infatti, il 67% dei musei ha meno di 10.000 visitatori. Di questi il 23,3% non supera 1.000 visitatori, mentre solo il 4% supera soglia 500 mila. Resta da domandarsi quale scopo “di studio, istruzione e diletto” potrà mai raggiungere, secondo la definizione dell’Icom, un museo che ha meno di 1.000 visitatori. Certo, potrà indubbiamente “conservare testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente” e in ciò farà senz’altro un servizio

alla società (sempre che le testimonianze conservate siano di un qualche valore e rilevanza), ma rinuncerà in buona parte a svolgere quella funzione di impulso allo sviluppo della società che l’Icom assegna al museo. Tuttavia, il pubblico – complessivamente – c’è: aumenta del 5,8% rispetto all’anno precedente, arrivando a quota 23.557.369. Anche in questo caso non è un dato omogeneo: calano del 12,6% i visitatori nei centri scientifici ed espositivi; diminuiscono anche nelle chiese monumentali (da 9,7 milioni di visitatori nel 2013 a 8,4 milioni nel 2014), che però recuperano grazie ai biglietti cumulativi per l’Opera del Duomo di Firenze e l’Opera metropolitana di Siena (la categoria ‘Circuiti museali’ complessivamente passa da 1,5 milioni a 3,7 milioni di visitatori). La crisi si fa sentire anche per


Da non saltare

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ciò che attiene ai tempi di apertura dei musei: nel 2014 l’80,5% dei musei è stato aperto per tutto l’anno (nel 2013 era l’81,7%), mentre aumentano quelli aperti solo alcuni mesi dell’anno (dal 12,4% al 14,4%). Solo il 64,6% dei musei aperti ha un orario prestabilito, mentre il 10% solo su richiesta. Interessante anche la fascia oraria: il 67% supera una media di 24 ore settimanali, di cui oltre la metà va oltre le 40 ore; il 19,6% ha un orario fra le 12 e le 24 ore settimanali, mentre oltre il 13% non raggiunge le 12 ore. Anche qui occorre domandarsi il senso di aperture molto ridotte: quale servizio alla società un simile museo può dare? Ma soprattutto cosa si può fare per migliorare questo risultato? La Regione Toscana ha cercato di percorrere la strada dei Sistemi Museali, incentivandoli per quanto possibile, ma i risultati non sono particolarmente incoraggianti. Ciò per molteplici cause: gli scarsi incentivi economici disponibili, le gelosie territoriali, la scarsa disponibilità di soggetti titolari diversi ad accettare di coordinarsi, ma anche la mancanza di un ruolo di impulso e di governo da parte degli enti pubblici territoriali a svolgere un compito di coordinamento che non può che essere loro. Infatti, sono loro i proprietari del maggior numero dei musei toscani (43,7%), seguiti da associazioni e fondazioni (20,5%) dalle Opere o enti religiosi (10,7%) e dal Mibact (9,9%). L’eccessiva pluralità e frastagliamento dei soggetti titolari (ci sono anche i privati con l’8,6%, l’Università con il 3,2% e altri enti pubblici e amministrazioni statali) è da sempre uno dei problemi dell’organizzazione dei musei in Toscana. Orari, tariffe, biglietti, servizi, comunicazione, modalità di visita, strategie: tutto è estremamente diversificato e poco coordinato, nonostante l’esistenza di strumenti come le card museali che dovrebbero stimolare questo esito. Tutto ciò, naturalmente, si riverbera sui visitatori, spesso disorientati da questa estrema molteplicità che, quindi, scelgono la strada più facile, quella dei grandi e ben noti musei. Così non

Il Museo dell’Opera del Uomo di Firenze

Un’analisi sui numeri del Rapporto 2015 sul sistema museale della Toscana

Opera metropolitana di Siena

vi è alcun governo complessivo dell’offerta e, dunque, la domanda (eterodiretta dalla comunicazione di massa) spadroneggia: non si riesce ad indirizzare flussi di visitatori più consapevoli verso i musei medi o minori, pur essendo questi spesso delle assolute eccellenze (mescolate anche, però, a tanta mediocrità). Questo è il tema, la domanda essenziale che emerge, anno dopo anno, rapporto dopo rapporto, anche in questo Rapporto 2015 sui Musei della Toscana: chi potrebbe e come, attraverso quali strumenti porsi l’obiettivo di governare davvero questo enorme patrimonio culturale, educativo ed anche turistico che sono i musei della Toscana? E’ evidente che non può farlo un unico soggetto e che occorre invece una forte volontà politica di impulso, coordinamento e integrazione fra i diversi musei e sistemi museali. E’ un compito ciclopico e certamente non remunerativo in termini di consenso immediato, ma certamente sarebbe obiettivo strategico se si volesse davvero governare uno dei settori più significativi per lo sviluppo, culturale ed economico, della regione.


riunione

di famiglia

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Le Sorelle Marx

L’asso nella manica Giovedì il Ministro Dario Franceschini ha fatto visita alla capitale del regno renziano, Firenze, per aprire il Festival della Banalità Turistica. Appena arrivato è stato notato un po’ stonato, gli occhi persi e roteanti nel vuoto, i capelli spettinati più del solito; ma si sa, Dario è un tipo sbarazzino e gli si perdona tutto. Così, all’inaugurazione del Festival ha detto parole di grande profondità: “Il turismo è un mercato globale in grande crescita.... ci sono paesi che stanno lavorando su questo … bisogna competere con il turismo internazionale … anche dal punto di vista strategico organizzando i flussi in entrata, in modo sostenibile...”. Applausi. Poi gli hanno fatto fare un giretto in città e siccome non aveva mai visto la Biblioteca Nazionale Centrale, ha pensato bene di farci una visitina. E’ rimasto folgorato: chi se lo immaginava di trovare dentro la Biblioteca Nazionale Centrale addirittura “manoscritti magnifici ed edizioni rare”? Certo, il Ministro si è potuto rendere conto direttamente dei problemi della struttura, “primo fra tutti la mancanza di spazi adeguati”. E, quindi, alla fine della visita, Darietto ha tirato fuori l’asso dalla manica e con la logica ferrea del sillogismo aristo-

I Cugini Engels Si è definitivamente compiuta la trasformazione del nostro Presidente Giani da eroe del socialismo anticlericale (che affondava le sue radici nel neoghibellinismo di Niccolini, Guerrazzi, Giusti, Belli, Pisacane e nel socialismo utopico di Proudhon) a campione della “tradizione cristiana millenaria”. Come è noto Eugenio capisce dove tira il vento dal primo refolo e così ha pensato bene di spostarsi su una sponda più pia di quella da cui lui proviene. Sarà stato folgorato sul via dei Mille (non quelli garibaldini, ma il viale che porta allo stadio “Franchi” dove ha celebrato messa papa Francesco), o più facilmente su quella (lastricata di buone intenzioni) che porta a Renzi,

telico cosa ti propone? Creiamo “una zona museale, indipendente dalla parte frequentata degli studiosi, con ingresso a pagamento”. Complimentoni Ministro, proprio una bella idea: mancano spazi e allora, sapete che si fa, se ne prendono un po’ per fare un bel museo! E poi che facciamo? Al Teatro dell’Opera ci mettiamo i venditori di lampredotto e intorno al David le bancarelle di S.Lorenzo? Riprenditi Dario, ce la puoi fare!

Lo Zio di Trotzky

Incidente diplomatico

anni. Altrimenti, di questo passo, sdoganeremo ambasciatori in pinocchietto e ministri in bermuda. Il calzino invece va bene anche estroso ma per carità che si veda solo e soltanto quanto si è seduti e non impettiti ad ascoltare l’inno. Altrimenti ci si distrae.

eno-gastronomico preparato per il presidente francese fra i ristoranti e le trattorie fiorentine. Il tour terminava, sabato sera, con una cena alla Trattoria Marione di via della Spada. Dopo un tris di tortelli mugellani, pappardelle alla lepre e tagliatelle al cinghiale, una bistecca alla fiorentina (1,2 kg.), trippa alla fiorentina, peposo dell’Impruneta, fagioli al fiasco, nonché tiramisù e torta della nonna, il tutto innaffiato da buon Chianti, l’on. Manciulli, paonazzo in viso, ha iniziato a urlare: “Il Montenegro, datemi il Montenegro, subito! Ho bisogno di prendere il Montenegro!”. E’ partito immediatamente un tam-tam che ha raggiunto in men che non si dica l’Alto Comando della NATO a Bruxelles, dove l’ordine perentorio è stato immediatamente accolto, dando avvio alle procedure per l’ingresso del Montenegro nell’organizzazione. Da qui le reazioni irritate di Putin che ha minacciato serie ritorsioni. Il mondo trattiene il fiato. Ma il proseguo della serata alla Trattoria Marione racconta un diverso epilogo. Si avvicina il cameriere al rubizzo Manciulli, contrito: “Signore, mi dispiace, non abbiamo il Montenegro; abbiamo solo l’amaro Averna”. Pare che Manciulli si sia molto lamentato di questo con l’organizzazione del seminario e con il sindaco Nardella, addirittura. Indagheremo sugli esiti di questa levata di scudi dell’onorevole piombinese. E poi dicono che i vertici non servono a nulla...

piche dell’oggetto. Perché Giani ce l’ha piccino, il presepe. Gongolante, di fronte a giornalisti e fotografi accorsi in massa, il Nostro Giani presidente ha rassicurato tutti: presto arriverà il presepe ufficiale, quello “istituzionale”, bello grosso. Va da sé che in quello saranno

rappresentati adeguatamente tutti i protagonisti della tradizione: dal Matteo bambin gesù, alla Maria Elena vergine madre, fino al bue e l’asinello che la vulgata gianiana vorrebbe interpretati da Rossi e Nardella, non propriamente i suoi eroi.

I rapporti fra il mondo Occidentale e la Russia di Putin non sono mai stati così tesi. E la colpa di tutto ciò non è di Erdogan o dell’Ucraina, bensì di un solo uomo, ma pesante: l’on. Andrea Manciulli. Sì, proprio lui: il capo delegazione dell’Italia nella NATO. L’incidente è avvenuto a margine del seminario della NATO tenutosi a Firenze la scorsa settimana. Deluso dalla mancata partecipazione di Hollande, Manciulli ha proposto ad un gruppo scelto di delegati il tour

La Stilista di Lenin

L’orlo del premier Con quella bocca può dire quello che vuole, recitava un vecchio carosello. Oggi andrebbe aggiornato per il nostro premier in “con tutto quel potere può vestire come vuole”. Almeno a leggere il Corriere della Sera che dedica all’orlo dei pantaloni di Renzi un articolo. Articolo in cui non si può fare a meno di criticare il rignanese per essersi presentato in occasioni ufficiale coi pantaloni “acqua in casa” da cui spuntava un calzino azzurro, ma in modo gentile, scusandolo per l’età. No caro Corriere l’età non conta. Il pantalone su completo non si porta con l’orlo alla caviglia nemmeno a 20

Il presepino fatto sta che Eugenio è diventato quasi un neo-catecumenale. Ma, s’intende, a modo suo. Così dopo aver affisso nel suo ufficio di Presidente del Consiglio Regionale il crocifisso comprato nella bancarella di piazza S.Lorenzo, ora ha addobbato lo stesso ufficio con un bel … presepino. Perché, ci vuole “sobrietà e misura”, ha dichiarato (con immancabile foto sul giornale mostrante, orgoglioso, l’opera). E in quanto a misura si potrebbe arguire che il presepe di Giani sia affetto da “dismorfofobia presepiena”, per evidente sillogismo con la “dismorfofobia peniena”, attinente alle dimensioni microsco-


5 DICEMBRE 2015 pag. 5 Danilo Cecchi danilo.c@leonet.it di

G

li anni del dopoguerra significano, un po’ in tutti i paesi dell’Europa libera, la nascita di nuovi generi fotografici, con il definitivo superamento da una parte della fotografia pittorialista, élitaria e supponente, e dall’altra di quella di regime, retorica e magniloquente. Questo processo di rinascita passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la formazione di gruppi culturalmente omogenei, come la Subjektive Photographie di Otto Steinert in Germania, i circoli “La Bussola”, “La Gondola” e “Misa” in Italia, ed il “Group des XV” (quinze) in Francia. Pur nelle varietà di personalità e di stili, e pur rifacendosi almeno in parte a delle tendenze già presenti negli anni Trenta, ma appena accennate, quando non ignorate o soffocate a quell’epoca dagli organi “ufficiali”, i diversi gruppi di fotografi operano concordemente, fino dai primissimi anni Cinquanta, con una fitta serie di relazioni, scambi ed influenze reciproche. Il “Group des XV” francese nasce nel 1946 sulle ceneri del fotoclub “Le Rectangle” del 1937, ed annovera fino dalla fondazione, fra i suoi membri, nomi noti, come Robert Doisneau, Daniel Masclet, Willy Ronis, Emmanuel Sougez e Jean Dieuzaide, ma anche personaggi meno noti, ma non per questo meno importanti, come Marcel Bovis. Marcel Bovis (1904-1997) nasce a Nizza e vi compie i propri studi presso l’Ecole Nationale des Arts Décoratifs, per trasferirsi poi a Parigi, dove lavora come decoratore per i grandi magazzini “Galéries Lafayette” e “Bon Marché” e dove scopre la fotografia nel 1927, dedicandovisi come professionista a partire dal 1933. Alternando la professione con le ricerche personali, collabora con alcune riviste illustrate, lavora per il Commissariato generale per il turismo, ed alcune sue immagini vengono scelte nel 1941 (insieme ad altre) per illustrare il volume “Voyage dans Paris” di Pierre Mac Orlan. Fotografo particolarmente versatile ed attivo, Bovis sperimenta numerose tecniche, da quelle di ripresa a

Marcel Bovis

photografe a’ Paris

quelle di camera oscura, come sovraimpressioni, doppie esposizioni, photocollages, elaborazioni e pseudo solarizzazioni. Ama definirsi un artigiano-fotografo “Sono un lavoratore manuale, non un intellettuale” e non riesce a concepire un modo di fotografare che non comprenda l’esecuzione diretta delle stampe da parte del fotografo. Fotografa ogni tipo di tema, dal paesaggio al ritratto, dall’architettura al nudo, ma il tema che preferisce è la città di Parigi, che descrive in tutte le sue declinazioni, inquadrandola con estremo rigore nel mirino quadrato della sua Rolleiflex. Dimostrra una netta preferenza per le visioni notturne, le ombre, i controluce, i riverberi che rivelano i dettagli nell’oscurità, gli spigoli dei muri, le luci lontane, i riflessi nelle pozzanghere, le nebbie ed i vapori che nascondono cose e persone, gli sbuffi di fumo nelle stazioni. Ama le persone comuni, i passanti anonimi, la gente che lavora o che si diverte, i baracconi delle fiere e le feste paesane, i piccoli mestieri, i mercati delle pulci, la vita nel suo scorrere quotidiano. Affronta gli stessi temi di cui si occupano altri fotografi più famosi di lui, come Brassai o André Kertèsz, e lo fa in maniera diretta e spontanea, senza inutili costruzioni intellettuali, ma con grande attenzione, riflessione e cura, tanto da rendere sublimi anche le situazioni e gli oggetti più semplici. Nel 1948 pubblica due libri: “Photographie de paysage et d’achitecture” e “Du Quartier Latin au Jardin des Plantes”. Nel 1950 viene inviato in Algeria, poi visita e fotografa diverse città francesi, si occupa di pubblicità, editoria e fotografia industriale, alternando il bianco e nero, in cui è maestro, agli esperimenti con il colore. Accanto alla professione coltiva gli studi storici, alla fine degli anni Cinquanta insegna estetica della fotografia a colori all’Istituto Francese di Fotografia, e nel 1980 pubblica una “Storia della Fotografia” insieme a Bernard Lefebvre e Maurice Barette. Nel 1991 regala allo stato francese il suo intero archivio, costituito da ventimila negativi e da quindicimila fra stampe originali, contatti e provini.


5 DICEMBRE 2015 pag. 6 Laura Monaldi lauramonaldi.lm@gmail.com di

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noltrarsi fra le righe di un libro, leggerlo assaporando ogni sua parte, lasciarsi trasportare dal suono delle parole oltre gli orizzonti della fantasia e dell’immaginazione è come gettarsi dall’ultimo piano di un grattacielo: proprio negli istanti peculiari che scandiscono la caduta spazio e tempo si annullano e la coscienza del lettore si svuota, trasformandosi in un universo silenzioso e deserto. Solo l’anima del linguaggio e della narrazione è in grado di reinventare un intelletto che vaga nella complessità e nel nulla della comunicazione contemporanea. Così Giorgio Manganelli immaginava un lettore nuovo e moderno, capace di affacciarsi alla sensibilità dell’avanguardia, senza dimenticare la tradizione anzi, facendo di entrambe un bene prezioso da rinnovare costantemente; in poche parole un lettore abile nel districarsi nei continui cambi di prospettiva e accorto nel non lasciarsi travolgere dalle tendenze didascaliche. Giorgio Manganelli si muoveva là dove il circuito linguistico e letterario sfavillava di rivolte e tentativi di nuovi canoni e scarti dalla norma, cercando l’inedito e l’inatteso a metà strada fra l’esperimento e la parodia. In pochi come Paolo della Bella hanno saputo cogliere concretamente l’importanza di Centuria e della riflessione metaletteraria di Manganelli: lettore attento e colto ha compreso perfettamente l’intima essenza delle angosce esistenziali, degli sberleffi, delle deformazioni, delle astrazioni e della poetica sontuosa e cosciente che i «cento piccoli romanzi fiume» incarnano, realizzando cento Disegni liberamente ispirati al volume che ha poso le basi per una rifondazione teorica del romanzo odierno. Cento illustrazioni che ricalcano l’idea della messa in atto di una «superscuola» fondante e parodica, di una vasta biblioteca le cui dimensioni sono ridotte all’essenzialità scarna, pura e autentica; cento opere d’arte che imitano il ritmo della narratività manganelliana, interpretando gli stati d’animo che

100 disegni per Centuria

Paolo della Bella alla Casalini Libri si susseguono di sequenza in sequenza. Abbandonate le retoriche e i virtuosismi, quello che Paolo della Bella celebra non è solo un omaggio a uno scrittore inconfondibile e inesauribile, ma un’operazione culturale a largo raggio: esposte alla Casa della Letteratura di Roma nel 2010 e successivamente alla Biblioteca Classense di Ravenna nel 2011, adesso le cento tavole troveranno la propria sede definitiva a Fiesole presso la sede operativa dell’azienda leader nella promozione culturale italiana all’estero “Casalini Libri”. In questa mostra permanente, che si inaugurerà il prossimo 11 dicembre, arte e letteratura formeranno un connubio denso di prospettive, all’insegna dell’incontro, del dialogo e della valorizzazione reciproca, poiché fare una mostra o pubblicare un libro non significa sempre fare cultura, ma è nei principi dell’accrescimento e dell’espansione che si cela la strada maestra per un’evoluzione culturale vera e autentica, nella speranza che Paolo della Bella e Casalini Libri porranno l’esempio per una più marcata sensibilità al prodotto estetico e che saranno da modello e da monito per altrettante operazioni culturali, in grado di dare una spinta vertiginosa all’assopimento contemporaneo.


5 DICEMBRE 2015 pag. 7 Alessandro Michelucci a.michelucci@fol.it di

protagonisti della vita musicale locale. Ma in questo arcipelago piccolo e remoto mancava una struttura che promuovesse gli artisti autoctoni e cercasse di dar loro una certa visibilità. Per questo Blak ha fondato l’etichetta indipendente Tutl (“sussurro” in faroese). Questa non è limitata alla piccola realtà locale, ma stimola la collaborazione fra i musicisti dell’area nordica. Un esempio è il CD Piniartut (2001), dove Blak collabora con due finlandesi e con un inuit (eschimese) della Groenlandia. Il pianista danese ha fondato vari gruppi, il più prolifico dei quali è Yggdrasil (l’albero della vita nella cosmologia nordica). Nella sua vasta discografia spiccano alme-

no tre dischi. The Four Towers (1997) è una suite jazz ispirata a una poesia di William Heinesen (1900-1991), il principale scrittore faroese. Duologues (2009) è nato dalla collaborazione col pittore danese Anders Hjuler. Più ardito e insolito è Seta (2009), dove compare Richard Nunns, il massimo virtuoso vivente di taonga puoro (strumenti tradizionali maori). Altri gruppi guidati da Blak sono Spælimenninir e Kvonn. Spesso il musicista è affiancato dalla moglie Sharon Weiss, originaria del Massachusetts, che suona il flauto dritto. Come se tutto questo non bastasse, Blak dirige il Summartónar, festival di musica classica e contemporanea giunto alla ventiquattresima edizione. Per finire, un particolare insospettabile. Negli ultimi anni, proprio nel nome della musica, il piccolo arcipelago ha stabilito stretti legami con alcuni comuni emiliani e sardi. Sarebbe bello se fra qualche anno i nomi dei musicisti faroesi cominciassero a circolare anche fra noi. In ogni caso torneremo presto a parlare di questo ambiente musicale, piccolo ma ricco di proposte stimolanti.

stire quella quantità di animali, degna dello zoo di San Diego, fu necessario nominare un apposito Custode, che, fra le caratteristiche, doveva essere di famiglia nobile, pagare da almeno trent’anni le tasse e, chissà perché, portare la barba. Il custode dei leoni divenne l’”omo nero” dell’epoca, quello che le mamme minacciavamo di chiamare per calmare i bambini Nel 1364 vennero alla ribalta i leoni di pietra: i pisani caduti

prigionieri durante la battaglia di Cascina furono infatti costretti a baciare il posteriore del Marzocco. Ancora leoni veri la notte fra l’8 e il 9 aprile 1492: infuriava un furioso temporale e due leoni, forse innervositi dai tuoni e dai fulmini, si sbranarono a vicenda; in quello stesso momento, nella Villa di Careggi, moriva Lorenzo il Magnifico. Nel secolo successivo l’area del serraglio di San Pier Scheraggio entrò a far parte del corpo di Palazzo Vecchio e i leoni, sfrattati, finirono vicino a Piazza San Marco (nei sotterranei del Palazzo della Sapienza, che ora ospita il Rettorato dell’Università), non prima di aver lasciato il loro nome alla strada adiacente al luogo dove si apriva la loro primitiva “abitazione”, e modificando anche la toponomastica della nuova dimora che, dall’antico nome di Via del Maglio, diventò per un breve periodo Via delle Stalle, prima di essere intitolata a La Marmora e poi a La Pira.

I

l ricco patrimonio tradizionale dell’Europa scandinava non viene soltanto dai cinque stati dell’area (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia). Meno noto, ma comunque molto interessante, è quello di isole come le Orcadi, le Shetland e le Faeroer. Queste ultime, situate fra Scozia e Islanda, appartengono alla Danimarca, ma godono di ampia autonomia e non fanno parte dell’Unione Europea. Hanno una propria assemblea legislativa, una lingua antichissima affine all’islandese e una nazionale di calcio che ogni tanto compare nelle gare internazionali. La remota posizione geografica delle Faeroer non ha mai limitato i contatti internazionali dei musicisti. La cantante Eivør Pálsdottír, un talento naturale che merita molta attenzione, è stata la protagonista dell’opera di Gavin Bryars Marilyn Forever. Il pianista Kim Kristensen ha suonato in vari dischi che Michael Mantler, compositore austriaco, ha inciso per l’etichetta ECM. Il CD Faroeesti (Tutl, 2002) è il frutto della collaborazione fra musicisti estoni e faroesi.

Fabrizio Pettinelli pettinellifabrizio@yahoo.it di

Nel 1953 all’ingresso del Viale degli Olmi alle Cascine furono collocati dei leoni di pietra, che una volta “sorvegliavano” i Ponti sospesi di San Ferdinando (ora Ponte San Niccolò) e San Leopoldo (ora Ponte alla Vittoria). Firenze aveva da sempre avuto un profondo rapporto con il re della foresta: il leone fiorentino, il Marzocco, che derivava il suo nome dal dio Marte al quale era stata consacrata la Florentia romana, era diventato il simbolo della città e non a caso era stato collocato, sia pur in effigie, a guardia dei Ponti, a difesa dell’ingresso “dentro la cerchia”. Ai leoni di Firenze (sia quelli in carne e ossa, sia quelli di pietra), sono legate numerose storie e leggende. Pare che il primo leone fosse regalato alla Signoria fiorentina nel XIII secolo e che questo leone, custodito in una gabbia in Piazza San Giovanni, un giorno evadesse e agguantasse un bimbo, tale Orlando;

Piccolo grande nord Fra questi troviamo il pianista Kristian Blak, un compositore capace di spaziare dal folk al jazz, dal rock alla musica da da camera. Nato in Danimarca nel 1947, a ventisette anni Blak si è trasferito nelle isole Faeroer, dove si è imposto velocemente come uno dei

Via dei Leoni

I leoni di Firenze

fra le urla disperate della madre e degli altri presenti, il leone raggiunse la chiesa di Orsanmichele e depose delicatamente il bambino, incolume, ai piedi del tabernacolo di Andrea Orcagna. In memoria del miracolo, il bimbo fu chiamato Orlanduccio del Leone e diede origine alla famiglia dei Leoni. Presto i leoni crebbero di numero e fu predisposto un apposito serraglio vicino alla chiesa di San Pier Scheraggio lungo Via della Ninna, sul fianco di Palazzo Vecchio; scrive il cronista fiorentino Goro Dati: “Dietro al Palazzo della Signoria vi è una gran casa con gran cortile dove stanno assai leoni, che figliano quasi ogni anno e ora quando mi partii ve ne lasciai ventiquattro, fra maschi e femmine”; per ge-


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5 DICEMBRE 2015 pag. 8

tasera sarà la serata conclusiva del del Rock Contest edizione 2015. Il concorso per emergenti nato sotto l’ombrello di Controradio negli anni ha scoperto e lanciato un bel po’ di talenti della musica nostrana. Giuseppe Barone è il direttore artistico del Rock Contest e racconta questa edizione ormai arrivata alla fine. Come si caratterizza l’edizione 2015 del Rock Contest? E’ una edizione particolarmente importante, che vede i frutti di un lavoro portato avanti in tanti anni, intanto per la collaborazione con la SIAE, tesa a sensibilizzare i giovani musicisti sulle problematiche legate al diritto d’autore, sempre più importante nell’era digitale, poi per l’adesione al progetto del più famoso “rocker” italiano, Lucano Ligabue, che mette a disposizione il suo Zoo Studio di Correggio al vincitore dello speciale Premio Ernesto de Pascale alla migliore canzone con testo in italiano, infine per la partecipazione calorosa dei rappresentanti della scena musicale italiana, che sempre molto volentieri si prestano a far parte delle giurie. Dopo Manuel Agnelli, Piero Pelù e Cristina Donà dello scorso anno, quest’anno avremo Rachele Bastreghi dei Baustelle, Andrea Appino di The Zen Circus e Giuseppe Peveri (in arte Dente) a valutare, tra i tanti altri giornalisti e discografici, le sei band in gara. Come si spiega questa affluenza dei partecipanti così imponente, sempre in crescita? Se l’industria discografica è in crisi, la musica è invece vivissima. Quello che manca sono le occasioni per presentare la musica dal vivo, e le strutture che facciano da “filtro” tra le tante proposte emergenti. Il Rock Contest di Controradio colma in qualche modo questa lacuna con una serietà e credibilità indiscussa costruita nel tempo. Le testimonianze dirette delle band selezionate ne sono un riscontro che non può che farci felici. Cosa possiamo dire della situazione musicale italiana, da quello che emerge dal concorso ? I gruppi in attività sono davvero tanti (quest’anno se ne sono presentati più di 1000), tra

Rock Contest, la finale

questi quelli che si segnalano come eccellenze sono davvero molto più professionalizzati rispetto a qualche anno fa. E, possiamo dirlo, molto meno provinciali. Il “rock” inteso nel senso classico del termine, è il genere che è sembrato meno capace di rinnovarsi, c’è invece molta elettronica, e alcune delle proposte di quest’anno si possono davvero confrontare senza complessi con produzioni internazionali, d’altro canto i progetti che usano l’italiano di

lo fanno con sempre maggiore convinzione ed attenzione ai testi. Due parole sulla serata finale? Sarà, come consueto, una grande festa, uno degli appuntamenti fissi dell’anno musicale nazionale, una occasione per avere una istantanea dello stato dell’arte, per scambiare idee ed impressioni in una atmosfera frizzante ed amichevole. Quest’anno abbiamo voluto accentuare l’atmosfera di festa scegliendo come gruppo ospite

The Bluebeaters, che dopo la sostituzione di Giuliano Palma con Pat Cosmo dei Casino Royale sono tornati alle originarie atmosfere ska/rocksteady. E sul gruppo vincitore del premio De Pascale? Gli Amarcord avevano già partecipato al Contest qualche anno fa, ma non passarono le selezioni. Oggi si sono ripresentati più maturi e compatti, è una cosa che succede abbastanza spesso e che testimonia la valenza del contest come appuntamento fisso e banco di prova necessario per i giovani musicisti. “Psicosi”, il brano vincitore, è un perfetto connubio di accessibilità “italiana” e sound moderno ed internazionale, sound che propongono anche dal vivo con grande forza e convinzione. Sono convinto che la spinta che otterranno grazie al premio ed al supporto di Luciano Ligabue li aiuterà non poco a farsi notare.

sono rivolte ad uno dei 28 centro antiviolenza chiedendo aiuto, sostegno, protezione. Vi racconto due cose accadute proprio lo scorso 25 novembre. La prima: ero a bordo della tramvia di Firenze, quando un ragazzo urla, minaccia e sbatte per terra una giovane ragazza. Imbarazzo dei passeggeri. Alcuni intervengono e si scopre che è solo una performance del flash mob organizzato per l’occasione. I giovani sono solo due bravi attori. La scena si ripete alla fermata della stazione di Firenze. Qui la gente si gira, guarda smarrita ma nessuno alza un dito. Lo fa un giovane homeless che, dopo l’applauso liberatorio del pubblico, un po’ smarrito esclama: “Ora qualcuno

mi dia una sigaretta. Grazie!”. La seconda: succede a Perugia che un marito, dopo una lite, non trova niente di meglio da fare che uccidere la moglie, a fucilate. Uno dei tanti casi di brutale cronaca che accadono nella “civile” Italia, con protagonisti “civili” italiani. La violenza è sempre da condannare. Ma c’è una violenza che per me è più violenza della violenza: è quella sulle donne. La violenza nei rapporti affettivi è fuori da ogni civiltà. Di fronte a questi fatti mi sembra che il mondo giri alla rovescia, che si sia smarrito qualcosa di importante: non abbiamo ancora imparato a vivere senza ammazzare. Chissà quanto tempo ci vorrà?

Remo Fattorini

Segnali di fumo A tutti i maschietti: sarebbe l’ora di smettere! Di smettere con la violenza sulle donne. I dati diffusi lo scorso 25 novembre in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne fanno rabbrividire. Nel mondo il 35% delle donne ha subito una violenza fisica o sessuale. In Italia sono quasi 7 milioni le donne picchiate o violentate. E solo l’anno scorso 152 sono state uccise. In Toscana 12, una donna uccisa ogni mese, e oltre 2.500 si


5 DICEMBRE 2015 pag. 9 Mario Cantini mario.cantini@gmail.com di

D

ai registri dei matrimoni della parrocchia della Cattedrale di Fiesole trascriviamo un caso particolare che potremo chiamare “matrimonio riparatore”. “A dì Primo Aprile 1697 Bastiano di Lorenzo Brazzini essendo stato fatto prigione nel bargello ad istanza di M.a Cassandra Patriarchi, quale era stata stuprata dal d.o Bastiano, per sospetto di fuga fu ritenuto in carcere fin tanto che non diede l’anello di sposa alla d.a M. Cassandra, onde il d.o sposa la d.a M.a Cassandra il di p. aprile 1697 e ciò seguì nell’istesso bargello nella stanza del Magistrato e furono testimoni il sig. Vincenzo Spinetti e il sig. Dom.co Groppi e il sig. Giuseppe Nicola Bati tutti ministri di d.o luogo,ed io p. Bartolomeo Danzerini curato della Catt.le di Fiesole assistei alla d.ta funzione con licenza di Monsignor Arcivescovo di Firenze come si vede in filza per memoriale scritto da me.” Nel libro dei battesimi della stessa cattedrale viene successivamente annotato che addì 18 giugno 1697 si battezza un bambino figlio di Bastiano Brazzini e di M.a Cassandra Patriarchi nato il giorno antecedente al quale si pone nome Gaetano. Inoltre addì 14 agosto 1700 si battezza un bambino nato detto giorno, figlio di Sebastiano di Lorenzo Brazzini e di M.a Cassandra di Simone Patriarchi, al quale si pone il nome di Lorenzo. Evidentemente il matrimonio riparatore funzionò, al punto di pensare che i due fossero d’accordo. L’esempio citato è l’applicazione di una legge del Granducato di Toscana che imponeva agli stupratori di sposare o dotare le vittime, pena il carcere. Tale legge fu modificata con un Motu proprio del 24 gennaio 1754, integrato dalla legge di Pietro Leopoldo del 30 novembre 1786, Deflorazione di una fanciulla, o copula con una vedova che vive onestamente, effettuate a scopo di libidine, che recita: “Poiché l’esperienza ci ha fatto conoscere che il

Pietro Leopoldo e il matrimonio riparatore

favorire indistintamente la condizione delle stuprate, coll’obbligare gli stupratori a sposarle o dotarle, non ha ovviato a simili delitti, ma gli ha molti-

plicati, e dato campo a maggiori inconvenienti; succedendo bene spesso o che le fanciulle poco si guardano dal tenere una vita licenziosa, sicure di

poter scegliere a suo tempo tra molti uno per farlo condannare, o, quel ch’è peggio, i genitori stessi, poco curanti delle leggi divine ed umane, non hanno la debita premura di educarle cristianamente, le lasciano trascorrere in pratiche poco oneste, e di più loro ne procurano le occasioni, col fine di provvederle con mezzi così illeciti ed abominevoli o di marito o di dote conveniente: quindi è, che, intenti noi alla conservazione dei buoni costumi dei nostri amatissimi Sudditi, ed alla estirpazione dei vizj, e di fraudi tanto detestabili, comandiamo ed ordiniamo quanto appresso. Art. 1 – Da qui in avanti qualunque querelato e convinto di semplice stupro non si condanni più alla pena di L. 500 a favore del nostro Fisco, ed a sposare e dotare, ma sia solamente condannato alla pena di L. 300, da applicarsi interamente in benefizio dei poveri dello Spedale di S. M. nuova di Firenze, e di S. M. della Scala di Siena, e nelle spese del parto. Art. 2 – E siccome vogliamo che i padri in vigilino alla educazione della loro prole, così dichiariamo che in simili condanne sarà il padre tenuto a pagare per il figlio, se il delinquente è figlio di famiglia.”

Lido Contemori lidoconte@alice.it di

Il migliore dei Lidi possibili

Disegno di Lido Contemori

Didascalia di Aldo Frangioni

E’ un caso originale, signora Tv, che suo figlio Web, sia libero da ogni complesso edipico nei confronti della madre


5 DICEMBRE 2015 pag. 10 Paolo Marini p.marini@inwind.it di

C

i sono dei libri che non si possono dimenticare, restano pietre miliari nella avventura ‘lunga’ della lettura. Uno di questi (tutt’altro che nuovo, visto che la pubblicazione risale al 1982) è senz’altro “Alla conquista di Lhasa” di Peter Hopkirk, autore forse più conosciuto per “Il grande gioco”, dedicato al risiko geo-politico che nel XIX° secolo aveva contrapposto, in Medio Oriente e in Asia Centrale, l’Impero inglese a quello zarista. Il Tibet – ovvero il “Tetto del mondo”, il “Paese delle nevi” - era un ‘paradiso’ (che sarebbe, più oltre, andato perduto) con il torto di trovarsi nel bel mezzo delle traiettorie espansionistiche dei citati imperi e il filo di questo ampio racconto è giusto nella successione di tentativi e di progetti miranti a ‘bucare’ la sua “immensa fortezza naturale”, dove l’aria è così limpida “che si può scorgere una persona a quindici chilometri di distanza”. Fu il timore per la sicurezza dell’India, a fronte dell’avanzata delle armate zariste in Asia centrale, che spinse gli strateghi di Londra e di Calcutta a guardare con crescente interesse al regno buddhista del Tibet. Fino ad allora i tibetani non avevano mai avuto motivo di temere l’uomo bianco. Così prende corpo una storia a suo modo grande e sono proprio gli escamotages e i sotterfugi che i vari stranieri impiegano per entrare nel regno proibito a costituire, soprattutto nella prima parte del libro, oggetto di un accurato resoconto nel quale sono descritti - opportunamente - i lineamenti del carattere, dei costumi, della religione dei tibetani. Reputo giusto sistemare idealmente “Alla conquista di Lhasa” accanto ad altri ‘evergreen’ come “Il paese delle donne dai molti mariti” - un must per gli appassionati - dell’orientalista Giuseppe Tucci, “Sette anni in Tibet”, di Heinrich Harrer (noto anche per la versione cinematografica in cui Harrer è

Al Tibet, fortezza (che fu) inespugnata

interpretato da Brad Pitt), e “Segreto Tibet”, di Fosco Maraini, che lo scrittore fiorentino aveva composto avendo per l’appunto partecipato ad alcune spedizioni carovaniere di Tucci. Massimo Cavezzali cavezzalicartoons@hotmail.com di

Il Tibet, un tempo teocrazia unica al mondo, dove “fede religiosa e vita quotidiana erano inestricabilmente intrecciate” e dove “ogni famiglia (...) pregava quotidianamente all’altare di casa”, ha sempre evocato un grande fascino e un senso di mistero. Nella ricostruzione di Hopkirk – non priva di momenti ‘alti’ e lirici - fu solo nel XIV° secolo che, con il francescano Odorico da Pordenone (il quale sostenne di esservi arrivato per caso), la prima descrizione del Tibet pervenne in Occidente. Ma il mistero non si sarebbe svelato del tutto neppure quando, nel 1904, “Lhasa capitolò davanti alla forza dell’esercito britannico e ai poteri persuasivi di Sir Francis Younghusband”. La ragione per cui un ‘paradiso’ (il termine si accolga comunque... con prudenza!) possa essere refrattario ad aprirsi agli stranieri si può capire; parimenti, non deve

Scavezzacollo

stupire come ancora oggi – è sempre Hopkirk che parla - il turista di un viaggio organizzato sia in realtà un intruso “perché a invitarlo sono stati i cinesi, non i tibetani”. Risale per l’appunto all’invasione cinese del 1950 quel cambiamento che avrebbe investito il modo di “vivere spartano” delle genti tibetane, rimasto sin lì immutato dal Medioevo. Ciò che mi colpisce delle varie narrazioni sul Tibet è l’osservazione ‘tutta europea’ di una percezione del sacro che permeava, incredibilmente, ogni momento della vita dei tibetani: vita, peraltro, segnata da durezza e crudeltà, non al punto però da non far riconoscere allo scrittore come i tibetani fossero anche “dotati di un robusto senso dell’umorismo” e comunque “persone ospitali e fidate”, che diventavano “feroci e implacabili” (solo) quando si sentivano minacciate.


5 DICEMBRE 2015 pag. 11 Rita Albera r.albera@alice.it di

parola più si addice a definire questo stile è quella stessa che potremmo attribuire alle sue creatrici Luciana,Cecilia e CristAna: una allegra sorridente gentilezza.

C

ome afferma Gillo Dorfles parlare di moda non è argomento meramente estetico perché la moda come il cinema, come l’arte è interprete e specchio fedele, quando non in anticipo sui tempi, delle evoluzioni di una società,dei suoi modelli di riferimento e talvolta del sovvertimento di atteggiamenti del pensiero e dunque di filosofia di vita. Esemplare è in questo senso l’atelier delle sorelle Scardigli “Quelle tre”, che celebra quest’anno i venticinque anni di attività. Dai primi passi nel lungo e stretto negozio di Via de’ Pucci, alle passerelle di Milano e Parigi, alla bella sede, internazionalmente nota, di Via Santo Spirito: assai più salotto che negozio, dove gli inconfondibili vestiti, cappotti,maglie e accessori spesso convivono con mostre di artisti inusuali come gli astrattismi alla Rotko di Nicoletta Salomonl, i coloratissimi arazzi realizzati con avanzi di stoffe dell’atelier dalla psicologa– artista Alice Levinson, le creazioni di Daniela Mezzafigala e di Rita Parker. CristiAna, Luciana e Cecilia eredi di una tradizione familiare nota nel vestir bene di una Firenze di anni lontani, hanno ripreso dal mestiere sartoriale paterno la cura sapiente alto-artigianale della perfezione dei dettagli. Bandendo dalla loro tavolozza i neri i grigi, i non colori dettati da un rigido bon ton, hanno scelto una gamma di colori definiti e morbidi, colori che fanno bella una donna di qualunque età ma spiritosa, anticonformista, sicura della sua personalità. Viola, verde, marrone, ocra, fucsia, azzurro turchese, mescolati spesso tra loro in armonioso sorprendente accostamento, così come è impronta del loro stile l’accostamento di stoffe e fantasie diverse, ma sempre in fibre nobili come la lana, il cachemire, il cotone, la seta. Ne nasce una moda anzi una non moda allergica come è all’allinearsi alle correnti dominanti, uno stile senza tempo che aggrazia la figura, rende facile e svelto il muoversi, lavorare, vivere attivamente. Lo stile di una donna eterna ragazza, ma senza bamboleggiamenti, lineare e asciutto, malizioso e ironico. Se qualche

Ora, in occasione del venticinquesimo anniversario della loro attività, è uscito per i tipi della Nardini il bel libro dal titolo omonimo “Quelle tre,venticinque anni di non moda” curato da Giovanni Fantappiè e Cristiana Scardigli con interventi di Maurizio Bonas, Alice Levinson, Giovanni Fantappiè, CristiAna Scardigli, Luciano Antonicci e con le divertenti, sincere testimonianze delle tante clienti, ma anche dei signori clienti che sono passati di qui. Il libro sarà presentato il 16 dicembre alle ore 17 a Palazzo Vecchio nel corso di una conferenza stampa che illustrerà, come accade ormai sovente, la qualità e l’intelligenza artigianale che hanno resa celebre nel mondo Firenze così come la sua arte e la sua cultura.

Quelle tre, la moda non moda

Francesco Cusa info@francescocusa.it di

Per fare del buon cinema occorre molto poco: quattro attori in scena, due telecamere e un utilizzo intelligente della tecnica del “found footage”. E’ la mano del grande regista, del Polansky di “Carnage” ad esempio (anche se su differenti estetiche), che si vede anche nell’ultimo disturbante film di Shyamalan “The Visit”, film che solo una generica e superficiale visione può catalogare come “horror”. Strano percorso quello del talentuoso regista di origini indiane: dopo un esordio notevole con “Il Sesto Senso” e certe perle come “The Village” (film sottovalutato dalla critica ma in realtà opera complessa e oggetto di indagine in un saggio importante come “La Violenza Invisibile” di Slavoj Zizek), egli pare perdersi un una sorta di sterile mistica che finirà col produrre opere scialbe e prive di forza cinematografica. “The Visit” reca invece le stigmate d’una violenza simbolica assai rara. Scordatevi insomma di prendere parte ad uno spettacolo che vi lascerà il tempo per la riflessione ed il respiro della contemplazione. Shyamalan inchioda lo spettatore alla poltrona, generando fin da subito uno straniamento di prammatica, cioè contrapponendo la brillantezza dei due ragazzini alla

The Visit un horror non superficiale

sconcertante icona dei nonni, che paiono usciti fuori da un racconto de l’“Antologia di Spoon River”. Il film tocca svariate corde: siamo alla fiaba di “Hansel e Gretel” miscelata con atmosfere kubrickiane da “Shining”, o ancor meglio, siamo alla ricalibrazione dell’immaginario favolistico che viene qui restituito alla dimensione sua propria del Tremendo. Quel che davvero sconcerta, al di là del magnetico e pervertito rapporto che viene a instaurarsi tra regista e spettatore, risiede nel processo di teatralizzazione del “mostruoso” e di alcuni cliché del film di genere, che solo nella mani di registi visionari (Lynch su tutti) riescono a contestualizzarsi in una cornice effettivamente disturbante. Shyamalan lambisce le regioni dell’oltreumano e dell’irrazionale senza mediazioni, rendendo

davvero terrificante l’esperienza della visita dei nipotini ai nonni, e lo fa con pochi espedienti: su tutti il personaggio della nonna (una incredibile Deanna Dunagan) che non mancherà di inquietare le notti degli spettatori facilmente impressionabili. E’ la maschera del Chamunda, della femmina folle che tramite la pazzia, la possessione (aliena), rende oscenamente patente il tranfert, è la sostituzione dell’icona familiare col devastante femminino, deprivato di ogni decorazione affettiva. E si sa, quando le fattezze del mostruoso si palesano, quando la pazzia fuoriesce dalle paratie e non è “preparata e risolta”, la dissonanza manifesta finisce col rendere veramente critica la “mediazione” (ogni mediazione), la ricerca della causa per effetti talmente illogici. In “The Visit”, Shyamalan apre le porte alla deiezione, all’indecoroso (le feci del nonno raccolte e custodite, i cadaveri in cantina, il rimosso insomma sotto forma di “luogo”, come in Hitchcock), e lo mostra senza filtri. Indubbiamente il suo film migliore.


5 DICEMBRE 2015 pag. 12 Angela Rosi angela18rosi@gmail.com di

E

ntrando nell’atelier Il giardino Colgante a Prato dell’artista Gustavo Maestre per l’inaugurazione della mostra collettiva Naufragare in questo mare a cura di Laura Gensini e foto/grafica di Pietro Schillaci abbiamo noi la sensazione di naufragare. Sballottati tra le onde delle opere, andiamo alla deriva e ci areniamo incollati alle pareti per vedere la performance Io conto dell’artista Murat Onol che ha contato sino alla fine della serata. L’artista conta i morti, un conto che non finisce mai, ogni numero custodisce la vita del morto. La morte, però, non ha numero, pareggia i conti, azzera le differenze ma paradossalmente fa risaltare la vita nella sua essenza. La morte centra la vita e ne crea la storia, l’appartenenza, in questo caso ha generato arte. Ognuno di noi conta, conta i numeri ma anche conta come essere umano, nella sua dignità e unicità, perché ciascuno ha la sua musica che è solo sua, nessun altro ne ha un’uguale. Questa musica è il valore della vita e, forse, il fato per questo ognuno di noi è unico e speciale e ha il dovere e il diritto di decidere liberamente della propria vita. In Naufragare in questo mare qual è il destino o meglio lo scopo dei tanti morti nei nostri mari? Quello di farci

Michele Rescio mikirolla@gmail.com di

Preriscaldare il forno a 180° gradi. Lavare le verdure, tagliare il picciolo della melanzana, tagliare le estremità delle zucchine, togliere i semi e ai peperoni e spazzolare bene le carote. Tagliare i peperoni a listarelle e affettare le altre verdure con la mandolina in senso longitudinale con uno spessore di 2/3 mm. Sbollentare le carote per 4/5 minuti in abbondante acqua per ammorbidirle. Tagliare a metà le strisce di zucchine e di melanzana. Stendere la pasta brisée in uno stampo da torta imburrato. Punzecchiare la pasta con una forchetta e spennellare con 2 cucchiai di senape. Preparare la spirale di verdure partendo dai bordi della tortiera, disponendo le zucchine e le melanzane a spirale e in modo

Naufragi Spirale di verdura

fermare a riflettere? Quello di domandarci quanto una vita conta indipendentemente dalla condizione sociale, dalla ricchezza o dalla carriera? In questa mostra si respira il mare nero che rigetta cadaveri e l’immobilità della morte e del tempo, nell’aria aleggia l’angoscia, la paura, come se tutto fosse intrappolato senz’altra possibilità, senza fuga, senza un domani. Un sentimento religioso e di rispetto s’impossessa di noi attraverso le opere dei diciannove artisti presenti che raccontano di sconosciuti e r-accolgono tutte le diversità per far emergere il sacro dell’umanità. Le loro opere parlando di morte ci fanno comprendere l’immenso valore della vita.

che la buccia sia visibile dall’alto, per creare strisce di colore. Inserire strisce di peperone tra gli strati delle altre verdure. Salare leggermente. In una ciotola, sbattere l’uovo, la panna e 1 cucchiaio di senape. Salare poco e pepare. Versare l’emulsione sopra le verdure diffondendola su tutta la torta. Cuocere in forno per 30-35 minuti, controllando la cottura. Ingredienti: 1 rotolo di pasta brisée 1 melanzana grande 1 zucchina grande 1 peperone rosso 2 carote 3 cucchiai di senape 1 uovo 100 ml di panna da cucina vegetale 150 g di formaggio di capra (a piacere) sale e pepe


5 DICEMBRE 2015 pag. 13 Simonetta Zanuccoli simonetta.zanuccoli@gmail.com di

I

l Guggenheim Museum di New York (5th avenue 1071) presenta fino al 6 gennaio la mostra The trauma of painting, prima grande retrospettiva negli Stati Uniti di Alberto Burri (1915–1995) in occasione del centenario della sua nascita. Il Guggenheim non è nuovo all’interesse per l’opera di Burri definita dal New York Time “unpainted painting”. L’allora direttore del museo, James Johnson Sweeney, acquistò una prima opera dell’artista italiano nel 1953 dopo averne visitato l’atelier a Roma e sempre nello stesso anno lo invitò a partecipare all’importante mostra Young European painteters. A Sweeney Burri, riconoscente, dedicò 16 deliziose opere in miniatura, oggi esposte alla mostra in una lunga vetrinetta come una piccola galleria a se stante. La curatrice Emily Braum ha scelto per Trauma of painting oltre cento opere tra le più significative dei maggiori cicli della pittura dell’artista provenienti dalla Fondazione Burri, da gallerie e collezioni private. Le grandi tele sono esposte nelle sei magnifiche rampe del Guggenheim, capolavoro progettato da Frank Lloyd Wright nel 1943, e con la loro elegante, sinuosa plasticità esaltano la ruvida bellezza e la complessità dell’arte di Burri. L’effetto è incredibile e “esplosivo”. Sui muri bianchi, levigati, sono appese le serie dei neri Catrami, delle Muffe con pietra pomice, terra e ghiaia che creano delle escrescenze simili a sfoghi di materia, dei Bianchi dalle superfici ricoperte irregolarmente da una spessa colla mescolata a vernice, dei Sacchi con pezzi di juta strappati, rattoppati, malamente cuciti, “sporcati”, dei Legni con bruciature e sottili lastre di acciaio saldate, dei Ferri con macchie di arruggine e colore, dei Cretti con l’effetto craquelage degli aridi paesaggi desertici, e poi le Combustioni plastiche bruciate oppure grondanti di rosso o nero, i pannelli isolanti Cellotex trattati con vernice acrilica fortemente fessurata... L’omaggio americano a Burri però può, secondo me, riservare, una piccola lettura collate-

Unpainted painting

rale. Burri divenne pittore in un campo di concentramento. Medico, era partito all’inizio della guerra per il fronte africano anche con l’intenzione di specializzarsi nelle malattie tropicali. Fu catturato dagli americani vicino Tunisi nel 1943 e mandato al campo di concentramento di Hereford in Texas. La vita al campo

Bobo

era piuttosto dura e il tempo scorreva lentissimo. Ma ebbe la fortuna che alcuni dei prigionieri lì rinchiusi erano persone con spirito creativo o meglio, come disse dopo lo stesso Burri con un controllo magistrale dell’imprevisto. Per esempio, un suo compagno di sventura, Giuseppe Berto, iniziò a scrivere e Burri insieme ad altri prigionieri organizzarono in

una delle baracche del campo una mostra di pittura, scultura e artigianato. Il suo lavoro si intitolava Scacchi d’Africa ed era una specie di totem in legno che si trasformava in scacchiera con i pezzi intagliati con una lametta. Partecipò anche alle lezioni di disegno del prigioniero Scattolin, acquarellista veneto. I primi quadri del futuro artista furono infatti acquarelli senza mestiere ma con sempre nel cuore la mia Città di Castello dai titoli evocativi: Vecchio al sole, Tombola in piazza, Il veglione... Cinque o sei di questi primissimi quadri furono spediti da Burri in Italia a fine guerra attraverso la Croce Rossa e poi perduti tranne quello regalato a Giuseppe Berto a testimonianza di un’amicizia che durò fino alla morte. Burri dipingeva tutto il giorno per non pensare a quello che mi stava attorno e alla guerra e quando non usava gli acquarelli utilizzava e assemblava tutti i materiali di scarto, ferro, legno, cartone..., che riusciva a trovare nel campo di concentramento. Un giorno a un compagno di prigionia, il capitano Gabetti che prima della guerra aveva partecipato a mostre importanti, Burri disse Capitano io ho deciso di fare il pittore e non più il medico. Che ne dice? E lui lo puoi fare, anzi quando torneremo in Italia sarà più facile fare il pittore per te che per me. E aveva ragione. I tempi nel frattempo erano cambiati e così i gusti ormai pronti ad ammirare i quadri di ferro, legno e cartone.


5 DICEMBRE 2015 pag. 14 Roberto Giacinti rogiaci@tin.it di

A

dettare i tempi della storia non ci sono più solo le avanguardie orgogliose della classe operaia, ma le retroguardie silenziose di una “working class” sempre più estesa, precaria e impoverita. Adam Smith sosteneva che la lotta di classe esiste perché operai e padroni non possono essere “complici”, visto che i primi lottano per aumentare i salari, mentre i secondi lottano per aumentare i profitti, eppure con lungimiranza, nel 1994, con la cosiddetta “politica dei redditi”, ambedue i soggetti riuscirono a stabilire un accordo di reciproca utilità individuando una concreta convivenza di interessi. Purtroppo da tempo le parti hanno ripreso i ruoli opposti ed il sindacato ha perso molto del ruolo affidatogli dai lavoratori; così lo stato tenta di governare il mercato del lavoro come terzo autorevole. La legge, cosiddetta Jobs Act, indubbiamente ha impoverito le tutele dei lavoratori, eppure nei mercati futuri la mobilità sarà la regola per il lavoro e per le imprese che vivranno tempi più brevi del passato se non riusciranno a reggere la velocità del mercato attuale interno ed esterno. Intanto sono clamorosi gli annunzi che la recessione è finita, smentiti da altrettanto roboanti informazioni dove gli enti addetti alle rilevazioni si divertono a destare confusione mescolando Sabato 5 dicembre arriva al Teatro delle Arti di Lastra a Signa la Compagnia Zappalà Danza, recentemente riconosciuta dal Ministero dei beni e delle attività culturali uno dei tre Centri Nazionali di Produzione della Danza. Un prestigioso riconoscimento per una delle più importanti realtà di produzione coreografica in Italia. Alle ore 18 al Teatro delle Arti va in scena Naufragio con spettatore, un lavoro sull’emigrazione/ immigrazione, reso più che mai attuale dai tragici accadimenti che continuano a investire le nostre coste con importanti e drammatiche ripercussioni sulla nostra vita sociale e politica, presente e futura. Naufragio con Spettatore è la prima tappa di Odisseo, un lavoro

La guerra dei dati

realtà all’interpretazione politica del dato. Infatti, se un collaboratore viene assunto a tempo inde­terminato, nei dati Inps e del ministero risulta un contratto di lavoro in più, mentre per l’Istat l’occupazione complessiva non aumenta, per­ché tiene conto delle teste complessivamente occupate. Ad esempio per l’INPS l’aumento di tutti i rapporti di lavoro nei primi sette mesi del 2015 è pari a 706.128 unità; mentre per l’ISTAT l’aumento di occupati permanenti, quindi a tempo pieno e parziale, tra la fine del I trimestre, (i decreti Job sono entrati in vigore il marzo 2015), e la fine di Ottobre è pari solo a 50.000 unità! Con il Job Act si è mirato anche realizzare la crescita dei consumi che per ora purtroppo è limitata, tramite la riduzione della pressione fiscale per i lavoratori (bonus 80

Naufragio con spettatore

sull’emigrazione/immigrazione e sul rapporto che noi bianchi/occidentali abbiamo nei confronti del popolo migrante.

€) e di quella contributiva sulle imprese (sgravio contributivo per le assunzioni effettuate fino 36 al 31 dicembre 2015), operazioni utili, ma molto limitate. Non bisogna dimenticare la tesi di Milton Friedman secondo cui l’individuo decide il proprio consumo tenendo conto del reddito di lungo periodo ovvero del così detto “reddito permanente”. Purtroppo oggi la domanda di consumo è sempre più influenzata dal reddito disponibile ovvero da quella parte di reddito che secondo la teoria di Franco Modigliani identifica la decisione di spartire il reddito disponibile tra spesa di consumo e di risparmio. Oggi le Famiglie hanno meno propensione al risparmio essendo difficile sostenere l’ampliamento della scala dei bisogni, l’elevatezza di alcune spese per beni indispensabili e la pressione fiscale diretta e sui consumi. Una grande crescita può avvenire solo trasferendo in poco tempo tra gli occupati una parte consistente delle forze di lavoro disponibili ottenendo, quindi, un forte incremento della domanda complessiva. La spesa sostenuta dallo Stato per effettuare questo rapido trasferimento potrebbe essere presto recuperata già dal primo anno di assunzione tramite le imposte Il programma di D’Arme - Danza Area Metropolitana, realizzato da Versiliadanza in collaborazione con la compagnia Company Blu/ Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, si chiude domenica 6 dicembre alle 21 al Teatro Cantiere Florida con “I don’t mind the pain”, una serata dedicata a Giulio D’Anna: un’occasione unica per scoprire e approfondire la poetica di uno tra i più apprezzati giovani coreografi della scena europea. Accanto al risultato del lavoro svolto con i giovani danzatori del laboratorio, Giulio presenterà in prima regionale il suo assolo “Bloody Body Blah”, ispirato a “Il lago dei cigni” con le musiche originali di Maarten Bokslag, nel quale la figura di Odette è il punto di vista attraverso cui osservare la lotta interiore e la fantasia di un uomo.

dirette sui redditi percepiti e quelle indirette su quelli spesi. La crescita del Pil è ovviamente legata al tasso di disoccupazione che ad ottobre era del 11,5 %, eppure poco tempo fa, nel 2007, era sceso addirittura sotto al 6%! Anche sulla produttività si appuntano i lamenti di quanti colgono in questo scarso progresso l’origine della stagnazione dell’economia. Infatti, in Italia sussistono stipendi bassi e alto costo del lavoro per unità di prodotto anche a causa dell’elevata pressione fiscale. Per il Centro Studi Confindustria il rapporto Pil pro capite, fatto 100 per gli USA, per l’Italia si colloca a 68 contro i 77 del Regno Unito e gli 80 della Germania. L’organizzazione dei fattori produttivi, secondo l’accezione marshalliana, deve consentire di entrare in modo competitivo sui mercati globali, per contrastare la concorrenza data dai paesi dove i fattori produttivi sono a buon mercato e lo saranno ancora per molti anni. Si deve a Keynes l’aver osservato che il mercato del lavoro non riesce ad assorbire la disoccupazione solo con manovre di riduzione salariale e come siano le “aspettative” di mercato il vero motore della ripresa economica. Ecco perché l’economista affermava sapientemente: “Non potete aspettarvi che gli imprenditori si mettano a varare programmi di investimento mentre stanno subendo perdite!”

I don’t mind the pain


5 DICEMBRE 2015 pag. 15

Scottex

Aldo Frangioni presenta L’arte del riciclo di Paolo della Bella

Mentre il ciclo Scottex in arte volge al fine, il della Bella non finisce di meravigliarci. L’opera che esaminiamo appare più una scultura di ghiaccio che di carta. L’antropoformia di questo lavoro ci fa venire istantanea l’immagina del fratello maggiore Lawarence d’Arabia, Henry the Ice che aveva combattuto, senza successo, contro gli eschimesi della Groenlandia per restituire l’indipendenza di quella regione ai primitivi: gli orsi polari.

Scultura leggera di

Vicent Selva

Consigliere comunale di Esquerra Unida

Scrivo questo articolo a poche ore dall’inizio della campagna elettorale nella quale i partiti politici cercheranno di guadagnare la fiducia dei cittadini per le elezioni del 20 dicembre. Dalle 00:00 del 4 dicembre, le strade delle città e paesi della Spagna inizieranno a tappezzarsi di manifesti e striscioni con le facce dei politici sorridenti, che ci chiedono di votarli con slogan destinati in modo semplice a darci un’idea di che tipo di paese vogliono costruire. In definitiva, una campagna uguale a tante altre viste in precedenza. Tuttavia, se consideriamo i sondaggi e se ci guardiamo indietro, al maggio 2015 quando si sono tenute le elezione delle Autonomie e comunali, e ai governi che sono usciti dalle urne, possiamo notare alcune caratteristiche differenti di queste prossime elezioni. La prima cosa: dai sondaggi sembra che in Spagna il dominatore assoluto della politica che si chiama ironicamente bipartitismo, è ferito. Il Partido Popular (destra, simile a Forza Italia) e il Partido Socialista Obrero Español - centro-sinistra, come Partito Democratico - tradizionalmente sono riusciti ad ottenere tra 70% e 80% (talvolta anche oltre) – mentre il resto si è diviso

Comincia la campagna

tra altre forze politiche: Izquierda Unida (organizzazione di unità fra sinistra socialista, comunisti, ecologisti, simile a Rifondazione o SEL) il cui miglior risultato non ha mai superato il 10% , o partiti nazionalisti e regionalisti, di destra o sinistra (partito nazionalista basco, Esquerra Republicana de Catalunya, convergenza e Unione, tra gli altri). Ma, come ho detto, i sondaggi ci offrono un’altra immagine, molto diversa, per queste elezioni. Sembra che per la prima volta bipartitismo non supererà il 50% dei voti. L’ultimo sondaggio, apparso oggi, dell’agenzia statale CIS (Centro de Investigaciones sociológicas), prevede una vittoria per il PP con 28%, il PSOE raggiugerebbe il 21%. Ma molto vicino ci sarebbe la nuova

destra di Ciudadanos con 19% e la nuova sinistra di Podemos (anche se rifiuta essere definito di sinistra), con circa il 15%. Più indietro Izquierda Unida che, in questa occasione, è alleata con alcuni piccoli partiti di sinistra per creare l’Unidad Popular, con una candidatura sinistra unitaria (come l’Alleanza cilena che portò al potere Salvador Allende), ma che difficilmente supererà il 5%, soglia minima e necessaria per formare un autonomo gruppo parlamentare; non superando la soglia, i suoi parlamentari dovrebbero confluire nel gruppo misto, che significa minore tempo di intervento in aula e meno sovvenzioni. Così, per Unidad Popular la situazione è abbastanza difficile, ed essa corre il rischio di liquefarsi se non riuscirà a sfondare il muro del 5%. Il secondo elemento di differenza rispetto alle precedenti elezioni è il fatto che alle elezioni regionali e comunali si sono stati importanti cambiamenti nelle principali città. Madrid e Barcellona hanno ora sindaci - o piuttosto sindache: Manuela Crmena e Ada Colau - che erano candidate cosiddette di unità popolare, vale a dire alleanze tra

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partiti left-wing (Izquierda Unida, tra gli altri) e rappresentanti dei movimenti sociali. Questo fatto è stato una pietra miliare nella storia recente di questo paese. Tuttavia, ci sono elementi che renderanno difficile un cambiamento più generale. È vero che PP e PSOE otterranno i risultati peggiori nella loro storia, ma Ciudadanos raggiungerà il terzo posto, e questo partito è più simile agli altri due. Inoltre, Podemos ha cambiato il suo messaggio, con l’obiettivo di avere un’immagine più a centrista per ottenere più consensi. Tuttavia, sembra aver sortito l’effetto contrario, dato che ha eliminato le differenze importanti che lo avevano reso qualcosa di attraente per coloro che erano stanchi del vecchio sistema politico. Inoltre, i patti comunali tra Podemos ed IU non sono stati rinnovati, tranne in alcune circoscrizioni, così i voti che sono andati nelle elezioni locali alle candidature di unità popolare, saranno ora divisi e, in conseguenza della legge elettorale spagnola, saranno penalizzanti per entrambi. In breve, sembra che ci saranno cambiamenti, come la caduta del bipartitismo ai minimi termini, ma non sappiamo fino a che punto questo porterà solo un piccolo cambiamento o una piccola rivoluzione.


in

giro

5 DICEMBRE 2015 pag. 16

Reminds you of the events for December 2015 XX VENTESIMO ARTE CONTEMPORANEA 5 DICEMBRE 2015 - 6 GENNAIO 2016

03.12.2015

SHILPA GUPTA, ORNAGHI & PRESTINARI

ARTLINE MILANO - 30 progetti per il Parco d’Arte Contemporanea

IN MOSTRA: FRANCO ANGELI ∙ BERNARD AUBERTIN∙ SERGI BARNILS∙ BRUNO BRUNETTI ∙ ENRICO CASTELLANI∙ VINICIO BERTI ∙ TOMMASO CASCELLA∙

ORNAGHI & PRESTINARI ‘GRIGIO LIEVE’ 2015

opening: 3 December 2015, 6.30pm 04.12.2015 - 10.01.2016 curated by Roberto Pinto and Sara Dolfi Agostini

LLUÍS CERA ∙ ROBERTO CRIPPA ∙ PIERO DORAZIO∙ GIANNI DOVA∙ GIOSETTA FIORONI∙ LAURA FO∙

Palazzo Reale, Piazza Duomo 12 Milano, Italy

ALFONSO FRATTEGGIANI ∙ JOACHIM HILLER∙

www.artlinemilano.com

ROY LICHTENSTEIN ∙ GUALTIERO NATIVI ∙ MARIO NUTI∙ ALVARO MONNINI ∙ A.R.PENK∙ ACHILLE PERILLI∙ EMILIO SCANAVINO∙ MARIO SCHIFANO∙

03.12.2015

KARL STENGEL ∙ CARLA TOLOMEO∙

CARLOS GARAICOA

ANDRÈ VRANKEN ∙ ANDY WARHOL∙

Astist talk New Role for Art in Cuba

Thursday, 3 December 2015 6pm to 7pm

ZETAEFFE GALLERIA ARTE CONTEMPORANEA via Maggio 47 r Firenze www.galleriazetaeffe.com · telefono 055 264345 · info@galleriazetaeffe.com h: martedì-sabato: 10.00/13.00-15.30/19.30, lunedì: 15.30/19.30; domenica (su appuntamento)

CARLOS GARAICOA ‘Untitled (Tanquero)’ 2014

moderated by Iliana Cepero Amador Conversations/Salon Auditorium Hall C Art Basel Miami, Miami, USA

04.12.2015


lectura

dantis

5 DICEMBRE 2015 pag. 17

Disegni di Pam Testi di Aldo Frangioni

Scendendo per la rupe del maligno, disteso su le rocce con disdoro vidi una bestia con un brutto ghigno.

Era quel mostro, d’aria impertinente, frutto dello strano accoppiamento, tra le forze dell’oro strapotente

Corpo era d’uom e testa era di toro somiglianza lui avea con un potente imperator, che un dì lodaa il lavoro.

e gli spioni del rosso reggimento. Sentendo il mio parlare fiorentino scambiommi per chi, in altro momento,

storpierà lo mio verso per quattrino, un tal Benigno attore di risata, e l’omoaminal disceso dal declino corse da me per darmi na’ manata Virgilio m’incitò correre in fretta ed io scappai alla gamba levata

Canto XII

Settimo girone dei violenti. il Minotauro (Vladimir Putin). Custode efferato e crudele, non si sa perché scambia Dante per Roberto Benigni e comincia ad inseguirlo: Dante, incitato da Virgilio, a fugge a gambe levate


L immagine ultima

S

5 DICEMBRE 2015 pag. 18

Dall’archivio di Maurizio Berlincioni berlincioni2@gmail.com

iamo sempre alla grande manifestazione di Central Park. Una giovane donna mostra con determinazione e grinta il segno della vittoria del movimento contro una guerra sempre piĂš impopolare. Era veramente importante per un giovane europeo come me prendere coscienza di come si stesse formando, anche in America, un asse trasversale sempre piĂš numeroso composto sia da giovani che da anziani pronti a mostrare in pubblico tutta la loro avversione per questa disastrosa avventura.

NY City, agosto 1969


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