Cultura Commestibile 161

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redazione@culturacommestibile.com culturacommestibile@gmail.com www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile direttore simone siliani

redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti

progetto grafico emiliano bacci

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N° 1

Immaginate l’Alto-Adige, dove ci sono ragazze belle, bionde e cristianissime che si trovano invase da giovani mossi talvolta dagli ormoni

Michaela Biancofiore deputata

La rivincita delle bionde editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

Con la cultura non si mangia


Da non saltare di John

E

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Iniziamo con questi due articoli, di John Stammer e Michele Morrocchi, una riflessione su Firenze e il suo centro storico, anche alla luce del nuovo regolamento del commercio che obbliga i locali ad avere un Dna toscano in caso di nuove aperture. Ma la questione non è solo commerciale, ma soprattutto urbanistica: qual è l’idea di città che Firenze vuol dare?

Stammer

gregio Direttore, leggo sempre con attenzione il suo giornale e le riflessioni che propone per la vita culturale della città e sulla difficoltà della città di fare fronte al crescente numero di turisti che già oggi, ma sempre più nel futuro, vorranno, avranno il diritto, di visitare uno dei luoghi simbolo della storia del mondo. Ho parlato di diritto perché tale a mio parere si configura la volontà di un numero sempre maggiore di individui di volere conoscere il mondo. Si tratta di un fenomeno di proporzioni mai viste prima, frutto del processo di “globalizzazione” che si è manifestato nell’intero pianeta negli ultimi 30 anni, e destinato, nonostante guerre e crisi economiche, a progredire ed aumentare nel tempo. Il “gran tour”, che prima era appannaggio di poche illuminate persone, è ora il sogno di milioni di persone. Come affrontare questo problema? Alcune riflessioni sono state svolte da Andrea Branzi nel libro “Dentro Firenze” uscito lo scorso anno con le edizioni Maschietto. Riflessioni che vorrei riproporre ora prima di affrontare il tema di cosa si può fare, a livello locale, per cercare per migliorare le condizioni di vita e di funzionalità della città. Scriveva Branzi: “Firenze è una delle capitali di questo nuovo consumo bidimensionale. Vedere i capolavori comporta non la conoscenza della storia dell’arte, dei suoi meandri e dei suoi spessori spirituali, ma il loro possesso in quanto superfici del cui fascino si può godere rapidamente, senza dovere indagare le ragioni profonde, la storia che c’è dietro, la vita degli artisti. Questa è la nuova forma di conoscenza del mondo nell’epoca della globalizzazione, dove l’immagine del David di Michelangiolo si diffonde in Cina o in India come una divinità immateriale. Questo approccio puramente ‘visivo’ alla cultura non deve essere disprezzato come una volgare degenerazione che profana e disperde ‘l’aura’ dell’arte, ma deve essere inteso piuttosto come il risultato di una democrazia diffusiva, priva di problematiche metafisiche, informata attraverso le immagini su ciò che esiste o è esistito. Imma-

Lettera sulla città gini che possono circolare, essere trasferite su superfici domestiche, fotografate, conservate o spedite via e-mail. Questo possesso ‘oculare’ dell’arte diffonde in ogni caso singole molecole di bellezza, dosi omeopatiche di estetica, che possono raggiungere aree sociali a cui un tempo tutto questo era ignoto. La conoscenza è stata sostituita dall’informazione visiva e patinata; un’informazione che rispecchia la ‘superficie del mondo’, senza le sue tragedie, le sue guerre, la sua violenza.” Un giudizio come si vede non negativo, oserei quasi dire pragmatico. Ma anche intriso da valutazioni diverse da quelle che ho visto scritte su alcuni giornali cittadini. È comunque positivo che milioni di persone si affaccino alla “bellezza” (altro termine ambiguo e non privo di letture interessate), perché comunque porzioni di quella bellezza permarrano nelle retine e nelle cellule cerebrali dei visitatori e aumenteranno le possibilità di lettura e di comprensione del mondo. Ma se è così, e se visitare le città d’arte italiane, e Firenze in particolare, è un diritto, oltre che un accrescimento culturale anche se in dosi omeopatiche, che cosa può fare l’amministrazione pubblica per evitare che questo flusso di persone stravolga l’oggetto stesso della visita e cioè il luogo che viene visitato?. Certo si possono mettere in atto politiche pubbliche di orientamento

dei flussi turistici indirizzandoli in luoghi esterni al centro della città, lontani, anche non molto,dal classico sistema Pitti, Uffizi, Duomo, Accademia. Certo possiamo cercare di valorizzare altri luoghi, e ce ne sono moltissimi non molto lontani da queste icone del turismo mondiale. Ma saranno palliativi. Chi si muove dalla Cina, dal Giappone, dalla Russia, dal Brasile , dalla Malesia o dall’India vorrà comunque vedere la Venere del Botticelli e il David di Michelangelo. Non potrà essere soddisfatto solo dalle splendide opere del Beato Angelico al Museo di San Marco o dal Ghirlandaio della Cappella Sassetti in Santa Trinità, e forse neppure dal Crocifisso di Giotto in Orsanmichele. Quindi il lavoro da fare non può riguardare solo una diversa politica di promozione dei luoghi della città, anche se questa politica è necessaria e deve essere fatta. Perché il turismo produce effetti sulla struttura socio-economica della città, introduce elementi di modificazione strutturale della composizione sociale di parti sempre più ampie della città, produce effetti sulla rendita urbana modificando le relazioni economiche alla base della convivenza urbana, e questi fenomeni devono essere indagati e affrontati con gli strumenti del governo del territorio e della pianificazione urbana, e non solo con quelli delle politiche culturali. E devono essere messe in campo scelte conseguenti sul piano

della localizzazioni delle funzioni urbane pregiate, delle politiche tese ad incamerare al pubblico la maggior quota possibile di quella rendita urbana prodotta proprio dai flussi turistici, delle politiche abitative nel centro storico. Insomma è necessario procedere con un intervento del decisore pubblico che detti nuove regole del gioco e soprattutto giochi in prima persona mettendo sul piatto le proprietà e le risorse pubbliche necessarie. Se è vero che la pianificazione urbanistica non sempre è efficace, è anche senz’altro vero che in assenza di pianificazione, o con scelte non meditate, vincono solo i più forti, le rendite urbane non hanno contrasto e la città rimane priva di quelle capacità di risposta che è la sua unica possibilità di vittoria in questa battaglia per il mantenimento della sua identità, cercando di evitare un lento declino verso la città vetrina. Quali azioni si possono quindi mettere in campo per contrastare alla radice il fenomeno di “gentrificazione” del centro storico della città contenuto all’interno della cerchia dei viali, l’espulsione di sempre maggiori quote di residenti da quest’area e l’affermarsi sempre di più di una rendita parassitaria che vive solo in relazione ad un’attività turistica mordi e fuggi? In primo luogo è importante dare attuazione operativa ad alcuni strumenti che sono stati introdotti nella strumentazione urbanistica della città


Da non saltare

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già dal 2004 e che sono diventati operativi con l’approvazione del Regolamento Urbanistico quale ad esempio l’obbligo, per interventi di nuova costruzione ma anche di ristruttuturazione urbanistica, di realizzare una quota del 20% di abitazioni per l’affitto convenzionato. Ma questo sarebbe poca cosa considerando che sono poche le occasioni di ristrutturazione urbanistica all’interno delle vecchie mura demolite dal Poggi. Ben maggiori risultati potrebbero portare altre due scelte che dovrebbero essere perseguite con rigore e con determinazione. La prima è evitare di utilizzare gli edifici non più utilizzati presenti nel centro storico per localizzarvi nuove strutture espositive e museali, oppure le sedi, anche prestigiose, di università straniere. E utilizzarli invece per mantenere nel centro della città funzioni qualificate quali uffici della amministrazio-

ne pubblica (come è stato fatto per l’ex convento delle Badia Fiorentina) e di altre strutture al servizio diretto della residenza. I nuovi musei (se necessari e di alto livello culturale e scientifico e non improvvisate realizzazioni) e le università straniere potranno trovare posto in altri luoghi al di fuori dal centro storico, magari riutilizzando strutture dismesse come ad esempio la ex Manifattura Tabacchi che rischia di diventare invece un semplice e poco appetibile quartiere residenziale. Ma la scelta di maggior rilievo consiste nell’utilizzazione di questi edifici per riportare (letteralmente e con un gesto politico consapevole) la residenza pubblica e convenzionata nel centro della città. Innervando la città storica di una costellazione di luoghi dove il pubblico gioca a tutto campo il suo ruolo di attore nella scena urbana. Moltiplicare l’effetto che ha avuto il recupero

dell’ex carcere delle Murate in altri luoghi della città a partire da Sant’Orsola, per continuare con l’ex Tribunale di San Firenze, e con la Scuola dei Marescialli in piazza Stazione, per finire con interventi mirati anche sulle più piccole (dimensionalmente) proprietà pubbliche. Uno sforzo economico non banale, ma non impossibile in un medio periodo (come ha dimostrato l’intervento delle Murate), che segnerebbe una discontinuità palese nella gestione del problema. Un intervento che potrebbe riportare nella città storica qualche migliaia di persone (il numero dipende dalle scelte del decisore pubblico e da quanti edifici metterà a disposizione di questa scelta) che non potrebbero viverci in assenza di politiche pubbliche, perché il loro reddito non lo permetterebbe. E ciò contribuirebbe a ricreare quel mix di attività residenziali, artigianali, artistiche e commerciali

Troppo facile fare i liberisti col lampredotto degli altri Michele Morrocchi twitter @michemorr di

L

a lotta di classe nel centro storico fiorentino, di cui già descrissi le peripezie nel numero 155, ha una nuova battaglia in corso. È di questi giorni infatti la notizia che il Comune, all’interno del perimetro del centro storico patrimonio dell’UNESCO, consentirà l’apertura di esercizi dedicati alla ristorazione in base ad alcuni criteri “geografici”, filiera corta e “genuinità” alle radici enogastronomiche del territorio. Un’apposita commissione valuterà questi criteri, consentirà deroghe e decreterà le aperture. Al di là della tenuta giuridica della norma, di cui dubito parecchio, sulla quale prevedo non tarderà di occuparsi il TAR, quello che qui interessa è l’intento e l’efficacia della norma. L’intento appare chiaro e coerente con la strategia di questa e delle passate amministrazioni di conformare la realtà del centro storico alla sua rappresentazione immaginifica che il suo fruitore

ideale porta con sé. E chi è, nei pensieri di chi Firenze governa, il primo fruitore delle proprie politiche? Non certo il cittadino (che non immaginiamo desideroso di peposo e lampredotto) ma il turista che invece questo immagina di trovare e questo deve trovare. La creazione della quinta scenica del consumo attraverso l’apposizione di un limite, regolamentato, al Kebab o al cous cous a

meno che le verdure non siano coltivate nei verdi campi del Mugello. Eppure la regolamentazione delle attività di ristorazione è tema serio e affrontato in varie parti del mondo. A Los Angeles, dunque non in un “regime” statalista, alcuni anni fa fu proibita, in alcune aree della città, l’apertura di locali di Junk food (cibo spazzatura). Erano i quartieri più poveri della

che era, ed è ancora in alcune parti della città, il cuore identitario della città di Firenze. In questi grandi edifici pubblici potrebbero trovare posto proprio quelle attività che la rendita selvaggia tende ad espellere, e da questa attività di riequilibrio troveranno giovamento anche gli altri residenti, quelli che sono ancora in grado di permettersi di vivere nel centro della città, perché se aumenta la massa critica di una residenza “normale”, aumentano anche i servizi finalizzati a soddisfare la domanda dei cittdini. E invece diminuiscono quelli destinati solo ai turisti o ai residenti occasionali. Per fare questo è necessaria una politica urbanistica di lungo respiro, che guardi alla Firenze che sarà fra 15-20 anni e non alle conseguenze immediate del domani. Una visione insomma di lungo periodo, al di la delle scadenze elettorali e delle contingenze dell’oggi e del domani. città, dove le condizioni della vita della popolazione, e in particolare dei più giovani, non consentivano un’alimentazione sana con conseguenze sulla (già precaria) qualità della vita e sulla salute. Dunque un’amministrazione ha titolo a normare in materia, anche se personalmente trovo le motivazioni di decoro e tradizione meno importanti di quelle relative alla salute dei cittadini. Il tema successivo, però, è quale efficacia hanno queste norme? Nel caso di Los Angeles pare molto poca, a Firenze vedremo. Qualche previsione però possiamo provare a farla. Intanto il provvedimento arriva dopo che il centro storico si è ormai trasformato pesantemente. Questo è avvenuto per l’effetto di scelte urbanistiche, della perdita di valore delle merci (non solo alimentari) vendute dagli esercizi commerciali, dal processo di gentrizzazione dovuto anche a fenomeni come airbnb e dalla crisi economica. Dunque l’azione del provvedimento non avrà l’effetto di modificare l’offerta in essere ma di determinare quella futura e di farlo verso un determinato obiettivo: quella della progressiva trasformazione del centro storico in un compound turistico fatto degli stessi ingredienti dei sogni dei tour operator.


riunione

di famiglia

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Le Sorelle Marx Certo che ne è passato di tempo da quando la ridente cittadina di Scandicci, nella Piana fiorentina, assurgeva agli onori della canzone d’autore nazionale nella famosissima “Un signore di Scandicci”, cantata da Sergio Endrigo che, insieme a Bacalov, era autore della musica su testo, scusate se è poco, di Gianni Rodari. Ben prima del mostro che imperversò negli anni ‘80, dell’uscita dell’autostrada A1 recente e della tramvia recentissima, Scandicci finì sulla bocca di tutti, grandi e piccini, per i versi Un signore di Scandicci, Buttava le castagne e mangiava i ricci, Quel signore di Scandicci”. Oggi invece Scandicci la canta un tale Simone Centineo che in un video musicale in stile brasileiro ci informa che gl’è molto bella Scandicci, che lui ci è nato e che vorrebbe anche moricci e via di seguito illustrando i pregi della ridente cittadina, fra i quali il Centineo annovera anche il sindaco Fallani. Il quale non si è lasciata scappare l’occasione e, armato

Scandicci in music di fascia tricolore, gli ha conferito formalmente la cittadinanza onoraria con delega alle bischerate. Ogni commento è superfluo, basta dire che i due si sono evidentemente trovati. La vicenda ha avuto anche uno strascico istituzionale perché pare che il presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani si sia risentito per non essere stato invitato alla cerimonia del conferimento della cittadinanza onoraria, dove avrebbe potuto sfoggiare il suo fascione regionale, partecipando alla pregevole iniziativa. Mala tempora currunt, dicevano gli antichi: oggi imperversa la samba brasileira di Centineo, mentre ieri la canzone di Endrigo terminava con i versi di Rodari: “Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia La vita la butta via e mangia soltanto la buccia!”. Quanto è vero! E, forse, pure Scandicci merita di meglio.

I Cugini Engels

Matrimonio allo stadio Ragazzi, al Giani non scappa niente! A Firenze non c’è idea, progetto, realizzazione che a qualcuno possa venire in mente che lui non abbia già concepito e realizzato nei suoi 5 lustri di presenza continuata a Palazzo Vecchio. E guai a chi si provasse a avanzare una proposta senza il suo copyright! Così, abbiamo scoperto che la tramvia a Firenze non l’ha concepita Primicerio, realizzata Domenici, sudata centimetro per centimetro Giuseppe Matulli e, infine, inaugurata Renzi (noto tagliatore di nastri durante il suo mandato sindacale). No, fu Eugenio, durante la Giunta Morales (DC, PSI, PRI, PSDI e PLI) del 1990 di cui, manco a dirlo, il Nostro era assessore, a immaginare e realizzare la tramvia, ergendo il suo petto villoso contro i fautori della metropolitana. Eh no, cari Primicerio-Domenici-Renzi, fu Egli l’inventore del tram, oggi utilizzato da 13 milioni di fiorentini (ovviamente tutti votanti e grati, con preferenza, a questo luminare della trasportistica mondiale). Ma, come si diceva, a Eugenio non sfugge nulla. Così, quell’improvvido Michele Pierguidi (presidente del Quartiere 2), che si è permesso

di pensare di utilizzare lo stadio “Franchi” per celebrarvi le nozze di sposini tifosi, è stato bacchettato sulle dita dal Nostro: fu lui, nel 2005, da assessore allo sport della Giunta Domenici ad avere per primo l’idea e a realizzarla e “dopo la cerimonia in Comune al mattino, ‘riproducemmo’ al pomeriggio il rito nuziale di Stefania Pronti, avvocato, consigliere comunale a Fiesole: io e gli sposi in mezzo al campo, con gli invitati.... Feci presente già allora che l’idea sarebbe stata molto apprezzata se solo si fosse potuta realizzare con sistematicità”. E così il Pierguidi è servito: giù le mani dal Franchi matrimoniale! L’idea il Giani l’ebbe nella Pallida Albione, quando al seguito della Fiorentina in Champions edizione 1999-2000, gli fu illustrata la pratica dai dirigenti del Manchester United nell’Old Trafford. Perché Eugenio è moderno; per lui lo stadio deve essere “un servizio alla comunità: matrimoni, feste di compleanno di bambini, ...”. E soprattutto, tanti buffet, cerimonie, fasce e preferenze come piovessero. Ecco la Weltanschauung gianesca: “Lo stadio come gli Uffizi, il teatro, la storia, la cultura, l’arte, i personaggi illustri della città”. Pregevole iniziativa.

Lo Zio di Trotzky

La culla della finocchiona

Dopo il partito unico della Nazione adesso anche il panino unico. Se una volta si poteva tranquillamente dire che il prosciutto cotto era fascista, la mortadella comunista e la finocchiona radicale, adesso no: i salumi son tutti belli e buoni, purché arrivino a chilometro zero. E non c’è spazio per roba straniera come il Jamon Serrano o il curry-wurst. I grembiuli neri della milizia culinaria di Nardella sono pronti a stanare gli ultimi focolai di opposizione negli all-can-eat nippo-cinesi e nelle pizzerie napoletane per bloccare l’orrenda contaminazione alla tradizione fiorentina della focaccia col salame a 10 euro senza scontrino. Dopo questo pogrom la protezione del centro storico avrà il secondo giro di vite: si potrà aprire un locale solo se il proprietario avrà almeno tre nonni nati lungo l’Arno e almeno un Lapo, un Cosimo, un Niccolò in famiglia. Solo allora potremo ammirare la grande bellezza di Firenze, culla del Rinascimento e della finocchiona.

Le avventure di Nardellik Il “Fabbro” Tedesco s’era dato da fare e aveva trovato la soluzione. Una soluzione semplice come l’uovo di Colombo. Per fare transitare i turisti dal Corridoio Vasariano aveva deciso di togliere tutti i quadri degli autoritratti che lì stazionavano, senza grande interesse, da molti anni.E così il Corridoio poteva tornare ad essere quello che era stato nel passato. Un semplice e meraviglioso passaggio sui tetti della città di Sottofaesulum. La soluzione era piaciuta a tutti e aveva messo in ottima luce il “Fabbro” Tedesco e il Leader Minimum che lo aveva voluto in quel posto.Ma il Servitor Cortese era cupo. Doveva trovare qualcosa da fare per non essere messo in ombra. La soluzione sembrava a portata di mano. Ma come era possibile che fosse stato trovato un dipinto del Botticelli nella cantina di Villa la Quiete? E come si permettevano quelli di lasciare il capolavoro dell’artista più amato dagli inglesi in un sottosuolo? Salvare Botticelli dall’inedia e fare una bella figura come il Fabbro Tedesco. Ecco l’idea. “La metto nella Sala D’Arme” aveva tuonato il Servitor Cortese. “Anzi espongo tutte le opere di Botticelli neglette al grande pubblico anche quelle che il grande Sandro Filipepi aveva fatto per la villa Tornabuoni-Lemmi. Basta con queste ville pubbliche che nascondono il sommo Botticelli” Manu Brakant detto Ragion Pura sbiancò in volto. Ma come faceva il Servitor Cortese a non sapere che “L’incoronazione della Vergine” era conservata con tutte le cure al primo piano della villa in una stanza climatizzata e protetta e soprattutto che gli affreschi di Villa Tornabuoni-Lemmi ora si trovavano al Louvre? Ci voleva Nardellik. E Nardellik trovò la soluzione. Il Servitor Cortese era stato frainteso. Aveva voluto dire che per salvare Botticelli si sarebbe “messo in armi”. La libera stampa credette al fraintendimento e tutto finì bene. Ma nella mente di Nardellik si era insinuato un dubbio. Chi era l’assessore alla Cultura della città di Sottofaesulum che su questa vicenda non si era fatto vivo?

Lettera al Presidente

Caro Barak, ti scrivo

Ciao Barak, sono Manciulli da Piombino, ci siamo visti a Bruxelles alla Nato due anni fa. Sono quello che ti ha dato la mano unta di fegatini al rinfresco, il capodelegazione italiano all’assemblea atlantica. Come stai? Michelle ti costringe ancora con quella dieta con le verdure dell’orto? Se passi dalla California (quella di Bibbona) ti porto a mangiare un frittino di paranza che è la fine del mondo, così ti ripigli perché ti ho visto un po’ sciupatino in foto. Ma veniamo al punto, come avrai letto sul New York Times la mia bella Toscana ha un grosso problema. No non è l’ISIS, ma i cinghiali. Siamo pieni. E anche daini e caprioli non mancano. Fanno milioni di danni e rovinano le vigne. Anche quelle di quelle bottiglie che ti ha portato Renzi quando è venuto a trovarti. Ecco che a me sarebbe venuta un’idea. Siccome i tuoi droni sono a Sigonella pronti a colpire in Libia, nel frattempo potresti dirottarli a colpire i cinghiali. Con la vostra tecnologia avanzata potreste colpirli chirurgicamente senza rovinare troppo la carne così dopo ci si fa anche le pappardelle per la più grande sagra del cinghiale della Maremma. Alla quale naturalmente ti si invita e si trova anche il modo di fare un menù vegetariano per la tu’ moglie. Naturalmente noi non siamo mica come gli iracheni irriconoscenti: a te e alle tue truppe garantiamo una importante percentuale di insaccati. Sperando tu possa considerare questa mia umile richiesta di aiuto, un abbraccio tuo Andrea


12 MARZO 2016 pag. 5 Danilo Cecchi danilo.c@leonet.it di

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i sfonda una porta aperta affermando che i primi fotografi in Italia sono stati degli stranieri. A parte i primi esperimenti di tipo “scientifico” che replicano fra il 1839 ed il 1840 il così detto “esperimento di Daguerre”, e che vengono condotti autonomamente in diverse città italiane, le prime “raccolte” di registrazioni ottiche di un certo peso e di una certa importanza storica e documentaria, vengono realizzate dagli intellettuali stranieri che transitano o soggiornano in Italia, e si tratta per lo più di inglesi e francesi. Per una strana combinazione, sono prevalentemente gli inglesi, da John Ruskin ad Alexander John Ellis, che utilizzano il dagherrotipo inventato da un francese, mentre sono prevalentemente i francesi ad utilizzare il calotipo, inventato viceversa da un inglese. Sulla triangolazione delle tecniche fra Francia, Inghilterra ed Italia fra il 1840 ed il 1860 ci sarebbe molto da dire e da scoprire. Uno degli aspetti più particolari di questo flusso di tecniche e di personaggi si riassume nella così detta “Scuola di Roma” che fiorisce attorno all’Accademia di Francia negli anni Cinquanta dell’Ottocento. L’Accademia di Francia (fondata nel 1666 da Colbert) offre ai letterati ed artisti francesi, attraverso il concorso “Grand Prix de Rome”, un soggiorno di studio da tre a cinque anni presso la sede di Roma, situata dal 1803 nella Villa Medici al Pincio. Alloggiati all’interno della villa o nelle immediate vicinanze, i “pensionnaires” di Villa Medici godono di grandi privilegi, hanno la possibilità di approfondire la loro conoscenza delle antichità romane, sottoponendo con cadenza annuale i propri lavori al giudizio di Parigi, e formano una piccola comunità molto affiatata ed intellettualmente aperta. Nel 1839, pur essendosi classificato al secondo posto al “Prix de Rome”, l’incisore di medaglie e pietre dure Jean François Carl André Flachéron, noto come conte Frédéric Flachéron (18131883), figlio dell’architetto Louis Flachéron, decide comunque di partire per Roma, dove comincia a frequentare assiduamente i borsisti di Villa Medici, e dove si unisce in matrimonio con Caroline Hayard, figlia del proprietario di un ne-

La scuola di Roma gozio di materiali per belle arti la cui clientela è composta da artisti ed incisori, ma anche dai primi fotografi. Flachéron comincia così attorno al 1848 ad interessarsi alla fotografia, ma ai dagherrotipi su metallo preferisce le immagini calotipiche su carta, che all’epoca presentano già dei miglioramenti rispetto al processo brevettato da Talbot nel 1841. La passione per la calotipia si trasmette ben presto agli altri frequentatori di Villa Medici, i quali sono soliti riunirsi la sera presso il Caffè Greco, vicino a Piazza di Spagna, dando origine al così detto “Circolo del Caffè Greco” o “Scuola Romana di Fotografia”. Ad opera di un francese, ed in maniera del tutto informale, nasce a Roma la prima associazione fotografica italiana. Della “Scuola” fanno parte personaggi prestigiosi, come l’architetto Alfred-Nicolas Normand (1822-1909), vincitore del “Prix

de Rome” per l’architettura nel 1846, che soggiorna a Roma fra il 1847 ed il 1851 realizzando vedute della città, ma anche di Pompei e di Palermo, il fotografo Eugène Constant (1820-?) presente a Roma fra il 1848 ed il 1855, ma anche a Venezia, ed il principe spagnolo Pedro Tellez-Giron de Anglona (des Anglonnes) (18121900), pioniere della fotografia in Spagna. Accanto a questi nomi sono presenti il pittore di origini padovane Giacomo Caneva (1813-1890), professionista dedito alla calotipia fino dal 1847 ed autore, fra l’altro, nel 1855 di un “Trattato pratico della fotografia”, uno dei primi del genere in lingua italiana, autore di una immagine calotipica in cui sono raffigurati, tutti insieme, alcuni dei personaggi della Scuola Romana, e l’acquarellista inglese Isaac Atkinsons, noto con il nome di James Anderson (1813-1877), arrivato a Roma nel

1838 e conquistato dalla tecnica calotipica fino ad arrivare a fare della fotografia una professione, passando più tardi alla tecnica del collodio e diventando come altri suoi contemporanei fotografo ed editore. Fa parte del gruppo anche il fotografo romano Ludovico Tuminello (1824-1907), attivo fino dal 1842, che però deve lasciare la città nel 1849, in seguito alla caduta della Repubblica Romana, per rifugiarsi temporaneamente a Torino. Inutile sottolineare che i calotipisti francesi come Maxime Du Camp (1822-1894) o Louis Alphonse Davanne (1824-1912), anche solo di passaggio in Italia, si soffermano presso la “Scuola Romana”, che a metà degli anni Cinquanta comincia tuttavia ad esaurire la propria carica innovativa. Nel 1866 anche Flachéron abbandona Roma per tornare a Parigi, dopo avere lasciato un segno indelebile.


12 MARZO 2016 pag. 6 Laura Monaldi lauramonaldi.lm@gmail.com di

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e è vero che attraverso la pittura l’uomo può esprimere il proprio mondo interiore e la propria personale prospettiva in un’esplosione di forme e colori, è anche vero che attraverso la scultura e la tendenza a plasmare la materia il mondo dell’artista si riduce e si ‘comprimÈ nella semantica dell’oggetto creativo. In tal senso César è stato un seguace della libertà creativa, utilizzando la materia per rappresentare l’universo antropomorfo grazie alle infinite possibilità del metallo e dei pezzi di scarto del contemporaneo: un realismo in piena aderenza alla società contemporanea, che ha dato vita a un nuovo modo di concepire la creazione dell’opera d’arte e l’idea stessa della scultura contemporanea, con un linguaggio artistico architettonico ed estremamente controllato. A partire dal 1960 le compressioni di César hanno sconvolto il mondo dell’arte segnando una svolta storica fondamentale: anche il metallo e qualsiasi altra sostanza chimica possono raggiungere l’aulico podio del materiale scultoreo, offrendo al pubblico una bellezza verosimile all’apparente quotidianità. Si tratta della presa di posizione dell’artista nei confronti della materia, una vera e propria messa in scena dell’ideazione rispetto alla pratica manuale e al lungo labor lime, a cui gli scultori da secoli si dedicano alla ricerca della forma perfetta. Passando dalle compressioni agli ingrandimenti giganteschi del calco del suo pollice, fino al poliuretano César è stato in grado di insegnare che l’Arte scaturisce là dove persiste un profondo studio analitico della materia da plasmare, poiché solo conoscendo nel dettaglio il linguaggio da utilizzare è possibile comunicare e dare vita all’espressione pura ed esaustiva dell’Arte contemporanea, procedendo oltre le constatazioni ermetiche dell’intenzionalità estetica. L’opera d’arte non è altro che il compimento di un processo chimico o fisico, sapientemente veicolato da una mano saggia ed esperta, tesa alla presa di coscienza che allo scultore non sono concessi limiti e che l’homo faber è un ‘ludens’

Cesar eternamente affascinato dal potere metamorfico della natura. La prassi artistica di Cèsar è una poesia industriale in cui di fatto prevale la metamorfosi e l’affascinante mistero della creazione

Tutte le immagini Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato

umana: come un demiurgo ha manipolato la materia contemporanea dando luogo a un gioco formale di rinascite mistiche ma razionalmente guidate, nella necessità di un fare artistico

teso non solo alla messa in crisi della tradizione, ma anche alla constatazione di fatto che la bellezza si cela dietro i piccoli e microscopici meccanismi della vita inorganica.


12 MARZO 2016 pag. 7 Alessandro Michelucci a.michelucci@fol.it di

di quest’anno. Appartenente al mondo affascinante della mitologia nordica, la selkie è una foca che si trasforma in donna quando si trova sulla terraferma. È tipica del folklore faroese, irlandese e scozzese, ma figure analoghe si ritrovano in Islanda, nelle Orcadi e nelle Shetland. In questo ambizioso concept album la donna-foca è protagonista assoluta. Al disco hanno partecipato la Danish Radio Big Band, diretta da Peter Jensen, e i cantanti del Danish National Vocal Ensemble. L’orchestra e la cantante avevano già collaborato in Trøllabundin (Cope Records, 2005).

Ai testi ha provveduto Marjun Syderbø Kjelnæs, un’affermata scrittrice locale. Il disco è interamente cantato in faroese (detto anche feringio), una lingua germanica derivata dall’antico norreno dei Vichinghi. A brani melodici e suadenti (“Verð mín”, “Elskaði”) se ne alternano altri dove il coro è protagonista (“Når jeg betænker den tid og stund”, “Jeg vil mig Herren love”). In due brani si odono in sottofondo alcuni inni religiosi composti da Thomas Kingo, arcivescovo danese del Seicento. Alcuni pezzi, come “Salt” e “Slør”, erano già stati proposti in un diverso arrangiamento sul CD precedente (Slør, Tutl 2015). L’intervento orchestrale è efficace e preciso ma mai ridondante. Autrice di tutti i brani, Eivør si conferma un’interprete convincente, dotata di una voce versatile e aggraziata. La confezione è molto curata, con un libretto che spiega ciascuna canzone e ne fornisce la traduzione inglese. Sarebbe bello se tutti facessero i dischi con questa accuratezza.

consolarsi con una bella partita a bocce. D’altra parte i bocciofili non avevano altri spazi dove dare sfogo alla loro passione. Per la verità ci s’erano provati in Piazza Santo Spirito, dove l’ampio Piazzale antistante la chiesa sembrava fatto apposta, ma li Signori Otto di Guardia e di Balia, occhiuta magistratura fiorentina che abbiamo già incontrato, avevano fatto affiggere immediatamente apposito divieto: “Li signori Otto proibiscono il gioco delle pallottole in tutta questa Piazza sotto pena di scu-

di dieci a chi contraffarà del bando”. I bocciofili, che m’immagino come una sorta di società segreta, decisero allora di cercare un luogo più appartato e ripiegarono su Piazza del Giglio (se non la conoscete, vi sfido a trovarla senza uno stradario). Niente da fare: la longa manus dei terribili Otto li raggiunse anche lì: “Gli spettabili signori Otto di Guardia e di Balia della città di Firenze proibiscono a qualsiasi persona il giocare a palla, pallottole etc. etc.”. Nuovi tentativi a vuoto in Via Dante Alighieri e in Via dei Magazzini, dove gli Otto affissero identico divieto: “Li signori Otto proibiscono il gioco di palla pallottole et ogni altro strepitoso vicino alla Badia a braccia venti sotto pene rigorose”, finchè i fiorentini dovettero rassegnarsi a giocare nella piazzetta vicina al Duomo.

S

yðrugøta è un piccolo villaggio situato su Eysturoy, una delle diciotto isole che formano le Faroe (Føroyar nella lingua autoctona). Appena 500 persone vivono in questo luogo remoto situato fra Scozia e Islanda, a meno di 700 km dal Circolo Polare Artico. Eppure non si tratta di un villaggio qualunque. Qui nacque Tróndur (945 circa-1035), che guidò la strenua resistenza indigena alla cristianizzazione imposta dal re norvegese Olaf I. La sua storia viene raccontata nella Faereyinga saga (Saga dei faroesi), che appartiene alla ricca letteratura nordica del basso Medioevo. L’opera è stata recentemente pubblicata in una nuova tradizione inglese (Faroe-Islander Saga, a cura di Robert K. Painter, McFarland, 2016). Oggi, mille anni dopo, Syðrugøta è noto come paese natale di Eivør Pálsdóttir, una giovane cantautrice che sta uscendo dai ristretti confini locali. Nota semplicemente col nome di battesimo, Eivør è un’artista che rifiuta

Fabrizio Pettinelli pettinellifabrizio@yahoo.it di

Dal sito della FIB (Federazione Italiane di Bocce) apprendiamo che “Le prime tracce di un’attività ludica, che probabilmente rappresentano la più antica testimonianza del gioco delle bocce, datano al 7000 a.C. con il rinvenimento, nella città neolitica di Catal Huyuk, in Turchia, di alcune sfere in pietra che mostrano chiaramente i segni di rotolamento su un terreno accidentato” e che “Nel 1299, a Southampton, in Inghilterra, nacque quello che possiamo considerare il primo club boccistico: l’Old Bowling Green”. Non c’è ovviamente competizione con gli antichi turchi, ma bisogna dire che con gli inglesi Firenze se la batte alla grande, visto che già nel 1327 uno slargo irregolare in prossimità dell’erigenda cattedrale di Santa Maria del Fiore fu chiamato, in omaggio alla sua già consolidata “vocazione”, Platea Palottarum, poi volgarizzato in Piazza delle Pallottole nel 1551 e che il gio-

Sirena boreale le etichette: attiva dal 2000, ha dimostrato di saper spaziare dalla musica tradizionale al pop, dal jazz alla musica sacra. Questa varietà ha trovato espressione in numerose collaborazioni con artisti e gruppi locali. Oltre a questo, Eivør ha colpito l’attenzione del compositore inglese Gavin Bryars, che l’ha voluta come soprano in due lavori, il CD Music from the Faroe Islands: Hövdingar Hittast (GB Records, 2013) e l’opera teatrale Marylin forever. Come titolare la cantautrice faroese ha realizzato 11 CD. L’ultimo, At the Heart of a Selkie (Tutl, 2016), è uscito all’inizio

Piazza delle pallottole

Antichi bocciodromi co delle pallottole, in gran voga a Firenze, era né più né meno che il gioco delle bocce. Piazza delle Pallottole era dunque il luogo dedicato agli appassionati del gioco, e sicuramente anche Dante, mentre era seduto sul suo famoso sasso proprio all’angolo della Piazza, avrà ogni tanto distolto gli occhi dai lavori di costruzione della cattedrale per dare un’occhiata a qualche partita. E c’è da chiedersi se gli accaniti giocatori si saranno almeno fatti distrarre da quanto accadde lì nel 1528, quando il giovanissimo Leone Strozzi uccise a pugnalate Giuliano Salviati che, dopo aver inutilmente attentato a Porta San Miniato alla virtù di Luisa, la sorella di Leone di ritorno da una funzione religiosa al Monte alle Croci, aveva pensato di


12 MARZO 2016 pag. 8 Claudio Gherardini claudiogherardini@gmail.com di

Macedonia Grecia giovedì 10 marzo 2016 lle 7.45 molti sono ancora nelle tendine estive. Si sentono i bambini già svegli, semmai abbiano dormito, che giocano tra loro. I bambini riescono a giocare sempre. Perché rimaniamo bambini solo per la parte sadica? Il chiosco con le ruote, gestito da colti da improvvisa ricchezza, è già aperto e con la fila. Anche la fila per il panino e acqua è già lunghina. Sotto la pioggia battente da almeno un giorno e due notti anche i bambini ai quali non è toccato nemmeno un cappellino o un pezzetto di nylon. Una persona un panino. Padri e madri non possono prenderlo per i figli. Tutti in fila. Queste, almeno dodicimila, PERSONE sono rimaste intrappolate nel più grande macchinario immaginabile. La Vigliaccheria Europea Unita. Popolazioni che vivono senza guerra da molti decenni non hanno dimenticato come si fa la guerra ma come si fa la Pace. La guerra la fanno gli eserciti ma la Pace la dovremmo fare tutti. Sacrificando una goccia dei nostri privilegi. Ho portato una quindicina di pacchi di vestitini qua a Eidomeni. Provengono da una famiglia bosniaca dove tentano di vivere in cinque e ora il padre ha perso anche il mezzo stipendio di duecento cinquanta euro perché malato. A noi occidentali spetterebbe di dare qualcosa di più dato che se venissero tutti a lavorare da noi potrebbero pagarci la pensione che presto non avremo. Ma ormai si ragiona direttamente con l’intestino. Queste PERSONE COLLATERALI stanno qua nel fango ma loro ce la faranno. Sarà l’Europa che non ce la farà. Questo fango è per Sofia, Budapest, Bucarest, Vienna, Berlino, Varsavia, Madrid, Roma, Praga, Bratislava, Bruxelles, l’Aja, Londra, Dublino, Lisbona, Lussemburgo, Parigi, e per gli altri famosi leader delle mitiche “cancellerie” europee e anche per le Nazioni Unite, UNICEF, Oms, Imo, Echo, e tante altre... Questo fango è per noi che

A

potevamo scendere in piazza per questi bambini, magari unendosi al corteo per i cinghiali. Poi arriverà l’estate e allora.... di

Remo Fattorini

Segnali di fumo Che immagine abbiamo del nostro Paese? Per certi versi sembrerebbe peggiore della realtà. Per altri migliore. La qual cosa non è per niente tranquillizzante. Da una parte l’Istat ci dice che da noi vivono poco più di 5 milioni di stranieri, appena l’8,3% della popolazione, solo 49mila in più del 2014. Ma basta orecchiare in giro e rendersi conto che la percezione è molto diversa. Qualunque persona ti dirà che sono molti, molti di più: il 30% ci dice l’Ipsos che ha sondato gli italiani. Pensiamo che il 20% siano musulmani, mentre arrivano appena al

Eidomeni confine e fine dell’Europa umana 4. Che il 48% della popolazione sia over 65 mentre – e non è affatto poco – è il 21. Che i disoccupati siano addirittura 4 volte di più (49% contro il 12). Insomma si drammatizza e di molto. Dall’altra i dati del Censis ci dicono che sono oltre 17 milioni le persone a rischio di povertà o esclusione sociale. In aumento di oltre 2 milioni negli ultimi 6 anni. In Italia il tasso di persone a rischio povertà è del 28,4%, superiore alla Spagna (27,3%) al Regno Unito (24,8%), alla Germania (20,3%) e ben più alto della media europea, ferma al 24,5. Stesso discorso per le diseguaglianze. Nell’ultimo anno gli operai hanno ridotto la spesa mensile del 6,9%, gli imprenditori del 3,9 e i dirigenti appena dell’1,9%. Chi ha di meno perde di più e chi ha di

più perde di meno. E la forbice si allarga. Insomma, salvo una piccola minoranza, stiamo tutti peggio. Ma di questo c’è scarsa consapevolezza e ancor meno reazioni. Non si vive bene in un Paese dove la percezione è così deformata. Dove nel mezzo di una notte lunga e buia i professionisti della politica anziché studiare per capire la realtà e avanzare proposte per migliorarla, fanno a gara – maggioranza e opposizione - a chi la spara più grossa, impegnati come sono a “nutrire” la pancia degli italiani. Mentre l’informazione ci propina un racconto fatto solo di luci, oppure drammatizza a senso unico, ben oltre il dovuto, rinunciando alla narrazione della realtà. Solo qualche decennio fa, per molto meno, si sarebbe fatto un bel casino.


12 MARZO 2016 pag. 9 Alberto Giuliani twitter @moonspectator di

Francesca Es e Alberto Giuliani hanno 3 bambini, sono storyteller, Alberto insegna all’università e comunica con parole e immagini per ONG e testate giornalistiche, Francesca fa la fotografa. Hanno deciso, con moonspectator, di seguire il futuro del pianeta, seguendo “gli scienziati che governano i nostri destini” in tutti gli angoli della Terra. Hanno un sito www.moonspectator.com e canali social twitter, instagram e facebook. Alberto e Francesca ci raccontano qui perché moonspectator e il loro progetto Surviving Humanity. Barbara Setti

Moonspectator

S

eguendo il suggerimento dei pediatri, avevo sempre tenuto al riparo i miei bambini dalle immagini più dure trasmesse dai telegiornali. Ma appena hanno raggiunto l’età per muoversi agilmente col mouse del computer, hanno iniziato anche a scoprire un mondo fatto di cose reali, che in parte somigliavano ai loro videogiochi, ma che non prevedevano nessuna seconda vita. Ho cercato di spiegargli quante più cose fosse possibile su migranti e guerre, terzi mondi e onde gravitazionali. Ma come spesso accade, la domanda più semplice ha fatto vacillare le mie certezze. Come sarà il mondo quando saremo grandi? Non solo non ho trovato una risposta semplice e convincente, ma nel clima di profonda precarietà che ormai pervade ogni cosa intorno a noi, mi sono chiesto se esisterà ancora un mondo per i nostri figli. Nel 2050 saremo dieci miliardi di persone a popolare la terra. E se la tendenza al surriscaldamento globale non si inverte, entro quella data, la temperatura del nostro pianeta aumenterà di 6 gradi (fonte NASA Earth Observatory), provocando un innalzamento dei mari di almeno 63 cm (fonte UN-IPCC). Intanto le tensioni politiche e le strategie terroristiche, riportano il fantasma di una guerra globale. L’essere umano da sempre ipotizza la fine del mondo, che nel corso dei secoli ha esorcizzato con infiniti strumenti. Ma oggi,

per la prima volta nella storia, ci troviamo davanti a una sfida reale e finale, che non possiamo perdere. Dalla volontà di capire dove stiamo andando, nasce il progetto Surviving Humanity. Insieme alla mia compagna, storyteller come me, incontrerò gli scienziati che hanno in mano il nostro destino e visiterò i luoghi nei quali si progetta la resilienza della specie umana. Come due moderni Adamo ed Eva, alla ricerca di un Eden che possa accogliere una nuova vita. Raggiungeremo i quattro angoli del pianeta e ci spingeremo anche su Marte, partecipando alle simulazioni NASA per lo studio della vita sul pianeta rosso. Ci siamo chiamati moonspecta-

tor, gli spettatori lunari, e con questo nome condivideremo il nostro viaggio e le nostre scoperte, ogni giorno, sui principali canali social, convinti che conoscere il mondo che verrà sia un bene che riguarda tutti. La prima tappa della nostra ricerca è stata la base scientifica di Ny-Alesund, a pochi chilometri dal Polo Nord. Qui un team di cinquanta ricercatori provenienti da undici nazionalità diverse, studia ogni giorno i cambiamenti del clima, lo scioglimento dei ghiacci, e prova a interpretare i dati raccolti disegnando il pianeta futuro. Da questo osservatorio privilegiato sul mondo ci saremmo aspettati di tornare a casa con delle certezze, invece la risposta

che più frequentemente abbiamo ricevuto dagli scienziati alle nostre domande sul clima è stata “maybe”, forse. Giorno e notte da questo avamposto tra i ghiacci artici i ricercatori studiano la terra e il cielo e sfiorano le oscurità dello spazio, con strumenti spesso fatti artigianalmente. Ma la scienza si muove per teorie e tentativi, che richiedono decenni per essere verificati. “Sappiamo di non avere questo tempo a disposizione” ci ha raccontato Marionne, una scienziata dell’Università di Brema. “L’unica cosa che noi possiamo fare è osservare le cose che cambiano, supporne delle ragioni, ma la verità è che questa partita è nelle mani della politica e di chi decide le regole della nostra convivenza. Per il bene dei miei figli, posso solo sperare che il mondo sarà diversamente bello” ha poi concluso. A pochi chilometri di distanza dalla leggerezza della base di Ny-Aalesund, i Governi del Pianeta hanno costruito il Global Seed Vault, un bunker sotto i ghiacci che conserva i semi di tutto il mondo. Siamo scesi in questo giardino dell’Eden ibernato, che in molti hanno rinominato l’arca dell’apocalisse. Un colosso sommerso, di cemento armato e acciaio, costruito per resistere a un attacco nucleare o missilistico. Qui sotto, dove la temperature scende a -25 gradi, si conserva la biodiversità del pianeta e la speranza di sopravvivere alle carestie e ai disastri che sembrano avvicinarsi. Appena lo scorso novembre, la Siria, è stato il primo Paese a ricorrere a questo deposito dopo che la guerra aveva estinto alcune colture tradizionali. Da una parte gli scienziati che si fanno domande ogni giorno, e dall’altra la follia di chi ha costruito col cemento le proprie risposte. Queste sono le facce della medaglia che ci anticipa il difficile destino. Da qui è partito moonspectator, sulle tracce che ci portano nel futuro, ben oltre i limiti della ragione umana.


12 MARZO 2016 pag. 10 Cristina Pucci chiccopucci19@libero.it di

N

ell’ambito della rassegna Puccini d’Autore arriva questa emozionante performance del duo attoriale Gianluigi Tosto-Gaia Nanni, dice sia la loro prima volta insieme, si spera non l’ultima; si cimentano con “Abelardo ed Eloisa”. Leggono le lettere, nella versione, comunque fedele, di Ronald Duncan, che i due, protagonisti di un grande ed infausto amore, si scrissero nel corso della cruenta, terribile e definitiva separazione cui furono costretti. In conventi lontani, colpevoli, e lui, povero, castrato a forza dagli scagnozzi di Fulberto, zio di lei. Innanzi tutto gratitudine a Tosto, che è anche regista, per questa scelta che ci permette di conoscere meglio due personaggi di cui i più, me compresa, sapevano solo i nomi, emblemi di grande amore infelice. E qui mi chiedo, ma gli amori per essere immortali e noti a tutti devono essere per forza infelici? E mi rispondo di sicuro...non c’è grandeur in un.. e vissero felici e contenti, non c’è curiosità verso un mediocre epilogo matrimoniale con produzione di felice e sana prole e nemmeno, evento comune ai nostri tempi, verso un successivo divorzio urlato con torme di avvocati e psicologi a lato e bimbi, muti, tirati di qua e di là. Medio Evo, 1100 circa, Abelardo è un grande intellettuale di media età, esperto di logica e teologia, arringatore di studenti estatici, Eloisa una giovinetta, sedici anni, miracolosamente, per l’epoca, avviata alla cultura dallo zio che, visto che è bravissima, vuole il meglio per lei. Ingaggia il grande filosofo per delle lezioni e lo ospita. Sboccia una passione assoluta, le mani correvano ai seni più che ai libri... racconta Abelardo nelle sue memorie, i due insieme conoscono ed esplorano l’eros. Eloisa rimane incinta, non vorrebbe sposare Abelardo per non limitarne attività di pensiero e carriera, si sposano in segreto e poi lei viene inviata in convento e lo zio, forse più desideroso di possederla che averla nella famiglia, parole di Abelardo, fa castrare il malcapitato filosofo che, sopravvissuto, si ritira anch’egli in convento. Gaia Nanni dà il via allo spet-

Abelardo ed Eloisa

pre, a ricordare i piaceri vissuti insieme e rimpiangerli. Abelardo, menomato orribilmente, orbato del suo potere erotico, quasi folle di gelosia non vuole ricordare, teme che essa lo possa sostituire, le propone infine di restituirle sì il suo corpo, ma morto e mangiato dai vermi per ricondurla alla negazione della fisicità del piacere, vuole uccidere in lei anche il ricordo di quel piacere che lui non potrà più darle temendo che sia qualcun altro a poterlo fare al suo posto. Esige che pensi solo a Dio. Eloisa mi pare una grande figura di donna che sa mantenere memoria ed amore all’infinito accettando come suprema prova di esso, e solo perché è lui a volerlo, di non amarlo più ed amare solo Dio. Gaia, monacale e sicura nell’esprimere la inutile e nostalgica malinconia della sua emotività preservata ci strazia, Tosto rende con sensibilità estrema l’infinita ed impotente tristezza che ammanta l’animo di ciò che resta di Abelardo. Pare che davvero il corpo senza vita di Abelardo sia stato condotto al convento dove viveva Eloisa, ora, dopo varie, macabre, riesumazioni e spostamenti riposano insieme al Père Lachaise.

tacolo ripetendo le tue mani... le tue mani...le tue mani... ed è da subito chiaro che ricevere la prima lettera dell’amato evoca in lei emozioni e ricordi ricchi di sensualità mai sopita. Le mani che scrivono sono quelle che

accarezzavano, che percorrevano vie di piaceri ancora molto presenti e che non vuole né rinnegare né dimenticare. Eloisa chiede di restare in contatto con lui, di continuare a scriversi, afferma il suo diritto a sentirsi sua per sem-

Lido Contemori lidoconte@alice.it

Il migliore dei Lidi possibili

di

Disegno di Lido Contemori Didascalia di Aldo Frangioni

Intelligenza consumistica


12 MARZO 2016 pag. 11

Ci sono poche registe donne in Corea del Sud, la maggior parte delle donne nell’industria cinematografica coreana si occupano del dietro le quinte (marketing, produzione,montaggio o attività di scrittura). Io credo che le donne rispetto agli uomini possono creare dei film con stile diverso, ma in Corea il mercato del cinema non considera molto la figura femminile nella regia”. Sono le parole della regista Shin Su-won a Firenze in occasione della prima italiana del suo film “Madonna” alla 14esima edizione del Florence Korea Film Fest, stasera, alle ore 21.00 al cinema Odeon. “In Corea del Sud nel cinema le donne sono in qualche modo discriminate - ha spiegato la regista - ossia c’è una tendenza a preferire un regista uomo rispetto a una regista donna anche a uno staff femminile. Può essere che ci sia pregiudizio nei confronti delle donne che vengono viste come deboli o inadeguate rispetto agli uomini. Tuttavia le donne rispetto agli uomini possono creare dei film con uno stile diverso. Io come regista donna mi trovo in processo in cui sto lottando contro questi pregiudizi”. Il film Madonna affronta la controversa questione del traffico di organi. La storia è quella di Moon Hye-rim, giovane donna che lavora nel reparto vip di un prestigioso ospedale come operatrice sanitaria. Tra i degenti c’è un facoltoso anziano in stato vegetativo, in attesa di trapianto di cuore, che il figlio si ostina a tenere in vita. Con l’arrivo di una misteriosa paziente in coma e prossima al parto, la routine di Hye-rim subirà una scossa inaspettata. Astro nascente della cinematografia coreana e tra le poche voci femminili che riscono a distinguersi all’interno del suo paese, Shin Su-won non è nuova a tematiche scomode e molto intense. Nel Pluto, ad esempio, affrontava la competizione sfrenata all’interno delle classi scolastiche. La 14esima edizione (fino al 18 marzo, tra cinema Odeon e teatro Niccolini) omaggia la star asiatica Ryoo Seung-wan, attore e regista considerato il Tarantino coreano con una retrospettiva di suoi film. In programma

Madonna coreana

29 lungometraggi e 8 corti tra anteprime europee e italiane, oltre a 6 registi ospiti, 3 eventi collaterali e una tavola rotonda, per un viaggio alla scoperta dei nuovi orizzonti cinematografici nel paese del calmo mattino. Tra le novità di quest’anno ci sarà il focus K Music: una selezione trasversale di 4 pellicole che racconterà il ruolo della musica nel cinema di Corea. A questa si Massimo Cavezzali cavezzalicartoons@hotmail.com di

S cavez zacollo

affiancheranno le ormai classiche sezioni Orizzonti Coreani, dedicata alle opere contemporanee più viste e ai titoli campioni d’incassi, e Independent Korea, con pellicole che non trovano spazio nella grande distribuzione, all’interno delle quali saranno assegnati il premio del pubblico e della critica. Immancabile la Notte Horror, consueto appuntamento col terrore per gli aman-

ti del genere, e una selezione di cortometraggi in collaborazione con Asiana International Short Film Festval e Seoul International Extreme - Short Image & Film Festival. Presenti accanto a Ryoo Seung-wan vi saranno anche il regista Oh Seung-uk, che firma il film di apertura “The Shameless”, applaudito a Cannes; l’acclamata autrice Shin Su-won, che presenterà al pubblico “Madonna”, opera struggente anch’essa accolta con grande calore all’ultimo Festival di Cannes; Kim Hyun-suk con il suo “C’est Si Bon”, nell’ambito di K Music e il cineasta Lee Joon-ik, autore della maestosa pellicola in costume che concluderà la kermesse. Da segnalare il film di chiusura: la prima europea di “The Throne” a chiudere questa edizione del festival. Candidato per la Corea del Sud agli Oscar 2016, il film è una sontuosa pellicola ispirata a fatti storici realmente accaduti e ha un cast stellare, con l’attore più celebre del cinema coreano contemporaneo, Song Kang-ho, nella parte del protagonista (Snowpiercer, Lady Vendetta). L’opera, una storia di lotte per il potere a corte ambientata nel XVIII secolo, attraverso cui il regista Lee Joon-ik indaga i meccanismi politici e le dinamiche sociali con un occhio rivolto al presente, sarà proiettata alla presenza dell’autore.


12 MARZO 2016 pag. 12 Francesco Cusa info@francescocusa.it di

I

l cinema italiano contemporaneo esprime una delle sue più rare perle in questo “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti (importanti contiguità ci sono con l’ottimo “Deathpool”, anch’esso in sala in questi giorni). Finalmente un approccio che riesce a distaccarsi dalle stucchevoli autorialità à la Salvatores, cinema vissuto, contrastato, che mira direttamente allo stomaco di noi famelici innamorati da sala. Film forte, avvincente, scritto con sapienza, che si nutre del contesto romano per nevrotizzare i codici di genere. Periferie degradate, storie di delinquenti e spacciatori, di bande rivali, di lotte per il territorio, di criminali di bassa manovalanza. Questo lo scenario in cui muove la storia di Enzo Ciccotti (un ottimo Claudio Santamaria) che durante un inseguimento entra in contatto con delle sostanze radioattive depositate sul fondale del Tevere, secondo il più classico dei leitmotiv da supereroe. La trasformazione, i super poteri, condurranno Ciccotti verso un riscatto, un’illuminazione sofferta e travagliata, talmente annunciata da risultare grottesca, ai confini della comicità surreale. E Tor (Thor) Bella Monaca diventa la Gotham City “de noantri”, sorta di Far West urbano privo del professor Shiba, della Regina Himika, semmai col popolo Yamatai, qui rappresentato dalle milizie dello spaccio e del narcotraffico, sempre pronte a porre fine all’ideale di un progetto amoroso e di riscatto. Il mito di Jeeg e di Hiroshi è dunque preservato da Alessia, ragazza violentata e con disagi psichici, vera memoria storica che fugge dal terribile quotidiano vivendo la perenne visione della serie della “Toei Animation”. Lei si trasformerà in principessa e darà a Ciccotti la possibilità di convertirsi e dedicarsi alla funzione salvifica degli abitanti dell’Urbe. In questo senso la prova di Ilenia Pastorelli è talmente carica di espressività da ricordare quella di certe nostre antiche dive, assieme a quella di Luca Marinelli, alias “Lo Zingaro”, superlativo “Joker de borgata”, che simboleggia il grottesco glamour

Jeeg Robot, una perla

del nostro immaginario anni Ottanta, fatto di comparsate a “Buona Domenica”, canzoni di Zero e Anna Oxa.

Un film che apre i confini di un nuovo filone di cinema italiano, con pochi riferimenti alla pur nobile tradizione nostrana di

Matteo Rimi lo.stato@libero.it di

Si alzò di scatto puntando la cattedra ma il professore se ne era già andato forse confuso tra gli studenti che si stavano accalcando verso l’uscita. Girò lo sguardo verso il suo banco, dove aveva lasciato il libro, ma non lo trovò, come non ne trovò su quello degli altri né sulla cattedra. Se l’insegnate li aveva già ritirati, lo aveva fatto con velocità e scioltezza pari a quelle di un ninja! Si rassegnò ad uscire anche lui dalla classe mentre si persuadeva di avere avuto un’allucinazione uditiva, magari causata dall’ascolto troppo intenso di musica dagli auricolari o dal suo continuo lavoro di auto-isolamento dal mondo esterno. Decise quindi di non attaccarsi nuovamente all’MP3 come abitualmente faceva e si preparò a sopportare il sordo, continuo brontolio della città che gli scorreva attorno. Un passo dopo un altro, stava ormai convincendosi che quel marginale fatto (insignificante, del resto) non era mai accaduto e che, comunque, questo non faceva poi tanta differenza per la tenuta del suo approccio con tutto il resto. D’altronde non ricordava neanche più la poesia,

parodie di supereroi d’oltreoceano, quali “Arriva Dorellik”, “I fantastici 3 Supermen”, “Superargo” ecc.

Narrazione a puntate con finale a sorpresa Capitolo 3 Mistero di carta come certo era accaduto a tutti quelli che l’avevano letta prima di lui. Tutto questo gli lasciò, però, un vago senso di inquietudine. L’infinita rampa di scale che portava a casa sua non era mai sembrata così cacofonica, piena com’era dei tipici rumori e schiamazzi che le persone fanno all’ora di pranzo e solo lo scattare della serratura azionata premendo con l’intero corpo sul portone lo isolò bene o male come avrebbe voluto. Gettando lo zaino sul divano, lanciò un’occhiata alla tavola apparecchiata a metà per lui e si diresse a passo lento ma sicuro verso la camera da letto. Il corpo lasciato cadere mollemente sul letto, lo sguardo puntato verso il soffitto, concesse agli unici pensieri che ormai si permetteva di andare a formulare una parvenza di piano per la serata: c’era da prepararsi per quell’accidenti di compito tanto per arrivare alla sufficienza, c’era da controllare lo stato di spedizione per quel paio di ordini fatti on line, c’era da incontrarsi con

gli amici per organizzare il tanto desiderato week-end … … sì … Questa volta arrivò senza preavviso e non gli dette neanche il tempo di far scattare i suoi nervi, sgranò semplicemente gli occhi fino a far diventare la visione del soffitto ancora più ampia. Fu solo quando alzò la testa dopo essersi preso qualche secondo per decidere su come reagire alla nuova “interferenza” che si accorse che il grado di stranezza della faccenda si stava paurosamente alzando. Sulla parete davanti al letto il suo sguardo non incontrò ciò a cui era abituato: la scrivania, i poster tenuti su con un po’ di scotch, l’attaccapanni che si ostinava a far penzolare quei tre o quattro vestiti dimenticati lì da chissà quando erano svaniti per lasciare spazio ad un bianco quasi abbagliante che ricopriva tutta la parete. Dal bianco, però, cominciarono ad affiorare tante macchie nere che a poco a poco vennero a prendere forma di lettere. continua


12 MARZO 2016 pag. 13 Barbara Setti twitter @Barbara_Setti di

I

l 4 marzo su la rivista Il Mulino online è uscito un articolo di Edoardo Lombardi Vallaudi che scardina il luogo comune che l’università italiana non prepari al lavoro. Partendo dai rapporti del CNRS francesi sulla preponderanza dei ricercatori italiani nelle istituzioni francesi e dai recenti successi dei giovani ricercatori italiani nell’importantissimo bando europeo Erc Consolidator (quello delle polemiche con il ministro Giannini, per capirsi) e da valutazioni più empiriche sui suoi laureati, il sunto del discorso di Valluadi è che le alte performance dei laureati italiani all’estero in ambito lavorativo dimostrano che i laureati sono preparati e che, in un sistema maturo, vengono ben assorbiti dal mercato del lavoro. E che se questo non avviene in Italia, è per colpa delle aziende italiane, che non assumono e non valorizzano personale con elevate qualificazioni, con la collaborazione di una legislazione italiana restrittiva e soffocante. A conferma di questa analisi, un articolo degli stessi giorni di Francesco Sylos Labini sul suo blog evidenzia come, analizzando la spesa BERD delle aziende in R&S, quella italiana sia tra le più basse d’Europa, penultima prima della Grecia (nelle prime tre posizioni ci sono Finlandia, Danimarca e Svezia). A dimostrare una insufficienza di domanda di competenze qualificate da parte delle aziende italiane e di conseguenza una ridondanza di laureati ad alta qualifica, nonostante la percentuale di laureati in rapporto alla popolazione sia la metà che nel resto dei paesi OCSE. Ad approfondire queste analisi, si potrebbe obiettare che se è pur vero (e io credo che sia vero) che il nostro sistema economico privato non sia capace di offrire lavoro, penso però che sia un problema di sistema più generale. Perché anche l’Università è un sistema che dovrebbe offrire lavoro al suo interno (docenti e ricercatori), ma che lo offre poco e male, malissimo, secondo metodi che tutti conosciamo. E i cervelli fuggono non solo da un paese dove le aziende sono inadeguate, ma anche spesso da università inadeguate. Più in generale in Italia le ricerche statistiche parlano di un mercato del lavoro che vede, comunque, un aumento delle professioni alte

Cultura tecnica

e di quelle a bassa qualificazione, accompagnato da uno svuotamento di quelle a qualifica intermedia. L’istruzione duale è quindi diventata una priorità politica, seppur con ritardo rispetto a quanto avvenuto in molti altri paesi europei. Con istruzione duale si intende l’apprendimento che combina teoria e pratica all’interno di un’impresa. Numerosi studi europei dimostrano i benefici che una formazione duale di elevata qualità comportano per l’individuo e i datori di lavoro. L’offerta formativa di istruzione e formazione tecnica superiore in Italia è attualmente costituita dai Poli Tecnico Professionali (PTP), i percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Professionale (IFTS) e gli Istituti Tecnici Superiori (ITS). In particolare, gli ITS sono istituti di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica, intermedi post-professionali, fortemente orientati ai bisogni delle imprese. Rispondono, da un lato, alla domanda di formazione espressa prioritariamente dai giovani (entro i 30 anni) non occupati, e dall’altra, appunto, alla domanda delle imprese di tecnici

altamente specializzati, in possesso di un elevato livello di competenze chiave e un livello specialistico di competenze tecnico-scientifiche, mirate e approfondite in un determinato settore. Inoltre, i percorsi IFTS si collocano al V livello EQF (Quadro Europeo delle Qualificazioni), un titolo automaticamente riconosciuto in tutta l’Unione Europea. Gli ITS sono fondazioni di partecipazione, dotate quindi di autonomia statuaria, didattica, di ricerca, organizzativa, amministrativa e finanziaria. Gli indirizzi sono forniti dalla programmazione regionale. In Toscana ci sono 7 ITS nei settori dell’agribusiness, energia e ambiente, meccanica, moda, nautica, scienze della vita, turismo e beni culturali. La programmazione è ispirata dalle analisi dell’IRPET ed è in coerenza con i fabbisogni formativi espressi dalle imprese. Una recente indagine svolta dal MIUR-Indire evidenzia che in Italia dal 2010 sono stati realizzati 65 percorsi ITS, in diverse discipline e regioni e, al completamento del secondo biennio, risultano avviati 247

Michele Morrocchi twitter @michemorr

Tutto il calcio pagina per pagina

di

Il calcio è uno dei fenomeni globali per eccellenza. Una perfetta metafora dei nostri tempi, nel bene o nel male, ultimamente forse più nel male. Comprendere quindi il mondo del pallone è impresa che non serve soltanto agli appassionati ma che può diventare utile a tutti. Per esempio capire come il rapporto tra i nord e sud del mondo (Europa vs. Sudamerica) si manifesta nel pallone può essere un utile esempio di come ci comportiamo noi europei in confronti

di altre “merci” rispetto a Higuain o Neymar. Oppure osservare in quali paesi si è sviluppato maggiormente il calcio femminile può aiutarci a capire anche l’effettiva femminilizzazione delle società nel loro complesso. Oggi l’osservazione di fenomeni come quelli presi ad esempio diventa molto più semplice grazie all’At-

percorsi formativi, con oltre 5.000 studenti coinvolti e 825 diplomati, con un tasso di occupazione del 59,5%. I corsi ITS sono biennali, con un monte ore totale di 2.000 ore, di cui almeno 1/3 di stage in azienda. La Fondazione TAB Turismo Arte e Beni Culturali è un ITS per tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, nato nel 2015 in Toscana, con sedi ad Arezzo, Siena, Firenze e Lucca. Ha già avviato il corso ad Arezzo per le lavorazioni artistiche e orafe e a Lucca in hospitality management per le strutture ricettive. Sta per partire il corso di Firenze, rivolto alla formazione superiore per il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico “Re-Art”. Unico in Italia, Re-Art non a caso nasce in Toscana, non solo una delle regioni che vantano il maggior patrimonio culturale d’Italia, ma anche un importante numero di imprese e realtà che lavorano nel campo della valorizzazione dei beni culturali. Il corso nasce dall’esigenza di creare una figura professionale che combini le competenze della gestione di un cantiere edile e le peculiarità dell’intervento sul restauro e la manutenzione di edifici e monumenti sottoposti a tutela. Sono sedici i soggetti coinvolti, tutti tra i principali del settore di riferimento, tra cui il Comune di Firenze, l’Università di Firenze, Cooperativa Archeologia, l’Ordine dei Geometri di Firenze e il Centro Studi Turistici. Per informazioni contattare il numero 055 3438733-726, o scrivere una mail a t.pieraccini@cstfirenze.it Le iscrizioni sono aperte sul sito www. fondazionetab.it. lante Mondiale del Calcio 2016, ebook edito da GCC editore e curato da Giacomo Goldkorn Cimetta, Paolo e Davide Calzoni: 74 mappe molto curate e di facile lettura per capire quanto e dove gira il denaro nel calcio, dove c’è più pubblico, chi vince di più e tanti altri dati del giuoco più bello del mondo. Una ricca bibliografia con le fonti dei dati citati correda il volume elettronico rendendolo anche un bel trampolino per chi volesse approfondire. Il volume, in formato PDF, è reperibile in italiano, inglese e spagnolo al sito http://www.geopoliticalatlas.org ed è scaricabile al prezzo di 9,99 Euro.


lectura

dantis

12 MARZO 2016 pag. 14

Disegni di Pam Testi di Aldo Frangioni

La poetica guida che accompagna fra i condannati senza più salvezza, avanti mi spronò sanza più lagna,

Vidi gli sciagurati, che Caronte avea tradotti a quella pena eterna guardandoli quassù da un alto monte.

che mille serpi avevano abbracciata. Eran color che s’erano appropriati d’ogni cosa che niun le aveva data:

come per dir: avanti con destrezza! Fu così che passammo il bieco ponte sopra la bolgia, ad una bell’altezza.

Scoprii che immersa dentro la cisterna c’era una folla di gente disperata pungolata per sempre alla caverna,

marea di corpi da rettili cerchiati, c’eran famiglie intere, figlie e padri, che beni altrui avevan sgraffignati. Presenti erano certo anche le madri parea che lì tutto il mondo ci fosse, forse in passato c’eran solo ladri.

Canto XXIV 8° cerchio 7a bolgia

I ladri, un trattamento particolarmente feroce è riservato a chi ruba nella casa di Dio. Dante giunge a questa bolgia esausto, Virgilio lo esorta a proseguire. Il poeta si affaccia sul dirupo e inorridito vede un groviglio di serpenti che avvinghiano e mordono i dannati.


L immagine ultima

12 MARZO 2016 pag. 15

Dall’archivio di Maurizio Berlincioni berlincioni2@gmail.com

U

n altro scorcio della Bowery. Un altro essere umano ridotto in condizioni penose. L’ho visto almeno tre volte in questo stato di semiveglia costante, come purtroppo accade a tantissimi come lui. Passava le sue giornate seduto sul portellone di un montacarichi sul retro di un edificio industriale. Era la sua casa, il suo angolo di sopravvivenza. Ne ho visti molti come lui nelle mie scorribande quotidiane per ii lati nascosti della città. Le persone cosiddette “normali” ormai non vedono più queste presenze, abituati come sono alla vita di una metropoli in continuo movimento che si muove ad un ritmo frenetico, ma solo dalla parte di facciata. Nessuno ha mai il tempo o la voglia di soffermarsi un attimo per capire realmente cosa si nasconda dietro questa efficienza e questa rispettabilità apparente.

NY City, agosto 1969


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