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MARZO APRILE MAGGIO 2 0 1 9
Il nuovo allestimento della sala XXIX della Pinacoteca di Brera con la Cena in Emmaus di Caravaggio
OPERE E ARTISTI
Caravaggio, MILANO
la Cena in Emmaus testo di Ilaria Baratta
Tra i capolavori simbolo della Pinacoteca di Brera, la Cena in Emmaus fu realizzata dal grande pittore lombardo in uno dei momenti più tormentati della sua inquieta esistenza. E affronta un soggetto che Caravaggio aveva già trattato in un dipinto d’alcuni anni precedente.
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l carattere irrequieto e sopra le righe di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610), lo portò ad avere durante la sua travagliata esistenza numerosi alterchi verbali, talvolta seguiti da vie di fatto. Uno di questi, concluso in modo tragico, lo segnò drasticamente sia dal punto di vista biografico che dal punto di vista artistico: il 28 maggio 1606, secondo la versione dei fatti accettata dalla maggior parte delle fonti storiche, Caravaggio in compagnia del noto architetto Onorio Longhi e del capitano pontificio Petronio Troppa, ebbe un’accesa discussione con Ranuccio Tomassoni da Terni, figlio di un uomo d’arme, accompagnato da suo fratello Gianfrancesco e dai suoi due cognati Ignazio e Federico
Giugoli. Il tragico fatto avvenne durante una partita al gioco della pallacorda, disputata dai due gruppi sopraccitati nel rione romano di Campo Marzio, piuttosto avvezzo alle risse e ai colpi di spada, caratterizzato da strade strette e sporche, e frequentato da osti litigiosi che conducevano le loro attività per soddisfare le voglie di vino e di gioco, e da prostitute poco più che bambine. Il pittore colpì con lo spadino, all’inguine, Ranuccio, che cadde a terra perdendo subito i sensi; a quel punto, in difesa del fratello, Gianfrancesco si avventò contro Caravaggio ferendolo con un pugnale, ma il pittore riuscì a salvarsi. Al contrario, Ranuccio morì dopo qualche ora. Come detto, l’assassinio di Tomassoni ebbe enormi conseguenze per l’artista: fu condannato in contumacia e per sfuggire all’esecuzione della condan-
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na a morte fu costretto a lasciare Roma, dove non fece più ritorno. Si rifugiò ferito nei possedimenti laziali di Marzio Colonna tra Palestrina, Paliano e Zagarolo, protetto dalla marchesa Costanza Sforza Colonna, e prima di andare in esilio a Napoli soggiornò dallo stesso Marzio Colonna a Zagarolo: la potente famiglia infatti rappresentò nella sua vita un grande punto di riferimento e di protezione, tanto che, una volta giunto a Napoli, i Colonna cercarono di fargli ottenere l’amnistia. In tali possedimenti Caravaggio continuò a dipingere, realizzando una Cena in Emmaus e una Maddalena in estasi. Merisi le eseguì probabilmente per venderle al fine di guadagnare il denaro necessario per fuggire a Napoli: quanto alla Maddalena in estasi, ci sono studiosi che ipotizzano si tratti della versione conservata in una privata collezione romana, e nel 2014 Mina Gregori ha suggerito d’identificarla con un’opera custodita in una raccolta privata olandese. Inoltre alcuni studiosi (come John Spike, Gianni Papi e Michele Cuppone) hanno di recente proposto uno spostamento della data d’esecuzione: non più il 1606, ma il 1610, dal momento che l’opera palesa una forte vicinanza stilistica all’ultima opera nota del pittore lombardo, il Martirio di sant’Orsola. Al di là delle ipotesi, siamo certi dell’aspetto della Maddalena in estasi grazie alle copie eseguite da diversi artisti sull’originale di Caravaggio, tra cui due
te di Caravaggio, Deodato dichiarò che l’artista si era imbarcato su una feluca nella città partenopea portando con sé tre dipinti da donare al cardinale e che, dopo il suo arresto a Palo, i quadri erano stati trasferiti nella casa della marchesa Colonna Sforza, nel palazzo di Stigliano. In un’altra lettera in data 31 luglio indirizzata ancora a Scipione Borghese, si afferma che a seguito dell’espulsione di Merisi dall’Ordine dei Cavalieri di Malta e della confisca di tutti i suoi beni, i tre dipinti erano tornati a Napoli ed erano stati sequestrati dal priore dell’Ordine a Capua: la Maddalena in estasi si trovava temporaneamente presso il vicerè di Napoli, il conte di Benavente, mentre i due San Giovanni Battista ebbero due diversi destini: di uno non si hanno più tracce, mentre un altro raffigurante il santo seduto su una roccia con un caprone accanto è custodito alla Galleria Borghese di Roma. Fu l’unico dipinto tra i tre destinati al cardinale a giungere alla meta prefissata. Giulio Mancini (Siena, 1559 – Roma, 1630), tra i primi biografi di Caravaggio, afferma che quando l’artista fuggì da Roma, nell’estate del 1606, “di primo salto fu in Zagarolo [...] dove fece [...] Christo che va in Emaus che lo comperò in Roma il Costa”, mentre in un’altra biografia di Merisi, Mancini scrive “che lo mandò a vendere a Roma”. In quest’ultimo caso si dichiara quindi che la Cena in Emmaus, realizzata nello stesso periodo della Maddalena in estasi,
Bellori ricorda una “Cena del Signore in Emaus co’ due discepoli di Michele da Caravaggio bellissima”. compiute dal pittore franco-fiammingo Louis Finson (Bruges, 1580 – Amsterdam, 1617), attivo a Napoli dal 1604-1605 al 1612, e un’altra acquistata nel 1987 da Paolo Volponi presso l’antiquario Giorgio Pea a Roma. L’originale Maddalena in estasi compare citata per la prima volta in una lettera inviata da Deodato Gentile, nunzio apostolico a Napoli e vescovo di Capua, al cardinale Scipione Borghese a Roma, in data 29 luglio 1610. Informando Scipione della mor-
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non fu acquistata direttamente da Ottavio Costa (Albenga, 1554 – 1639), bensì si ricorse alla sua mediazione per la vendita del dipinto. Ipotesi molto probabile se si considerano i rapporti attestati in fonti documentarie tra Ottavio Costa, Marzio Colonna, principe di Zagarolo e il cardinale Ascanio, feudatario di Paliano: sia Colonna che il cardinale Ascanio svolsero un ruolo protettivo nei confronti dell’artista costretto ad abbandonare Roma. Tra i documenti citati si fa riferimento al debito pari alla somma di diecimila scudi che il cardinale Ascanio
Maddalena in estasi Caravaggio (?), Maddalena in estasi nota come Maddalena Klain (post 1606; olio su tela, 106,5 x 91 cm; Roma, collezione privata)
ha con il banco Herrera & Costa nel 1600, e l’anno dopo si attesta che il banco sequestrò ai Colonna alcuni argenti che avrebbe restituito a debito saldato. E ancora è attestato in data 28 agosto 1601 il versamento della significativa somma di “scudi mille duecento venti cinque d’oro in oro de stampe de Spagna” compiuto dalla marchesa Costanza Colonna Sforza, sorella di Ascanio, al marchese Vincenzo Giustiniani (Chio, 1564 – Roma, 1637), banchiere, collezionista d’arte nonché mecenate di Caravaggio, a nome del fratello. Inoltre si è a conoscenza che dal 1605 Herrera & Costa furono i banchieri di Marcantonio Colonna, “connestabili-
no” di Napoli. Visti i legami tra Costa e i Colonna, il primo avrebbe certamente potuto mediare per la vendita della Cena in Emmaus, ma si era probabilmente procurato anche una copia del quadro: nell’inventario del 1639 di Ottavio Costa è presente infatti un “quadro grande quando N.ro S.re si dette a cognoscere alli suoi discepoli”, ma scompare negli inventari dei beni dei suoi eredi. Il dipinto è menzionato inoltre nel 1664 da Giovan Pietro Bellori (Roma, 1613 – 1696), altro celebre biografo secentesco che si occupò della vita di Merisi, nei beni di casa Patrizi: una “cena del Signore in Emaus co’ due discepoli di Michele da Caravaggio bellissima”;
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compare già tuttavia nell’inventario del febbraio 1624 del marchese Costanzo Patrizi, compilato sotto la guida del Cavalier d’Arpino, e in quell’anno la tela raffigurante “una cena quando cognoverunt cum in fractione panis di mano del Caravaggio con cornice tocca d’oro” era stimata ben trecento scudi. Tema del dipinto è l’episodio biblico della “Cena in Emmaus”, tratto dal Vangelo di Luca: due discepoli di Cristo erano in cammino verso un villaggio chiamato Emmaus, lontano circa sette miglia da Gerusalemme; si affiancò loro, mentre stavano conver-
ni insistettero perché il loro ospite restasse con loro fino al mattino successivo ed egli accettò. A tavola quest’ultimo prese il pane, lo benedì, lo spezzò e lo diede loro: fu in quel momento che i due discepoli riconobbero il Messia, ma lui sparì. Attoniti, si domandarono perché non l’avessero riconosciuto. Partirono per tornare a Gerusalemme, dove trovarono gli undici apostoli e altri uomini in loro compagnia, che affermavano che il Signore era risorto ed era apparso a Simone. A quel punto i due discepoli raccontarono ciò che era accaduto loro e di come essi avessero riconosciuto Gesù mentre spezzava il pane.
Caravaggio aveva già dipinto una Cena in Emmaus nel 1601. Gli fu commissionata da Ciriaco Mattei. sando, Gesù in persona, che cominciò a camminare con i due uomini. Questi ultimi stavano discutendo dei fatti accaduti in quei giorni a Gesù Nazareno, profeta consegnato dai sacerdoti e capi alla condanna a morte e alla crocifissione e infine resuscitato, secondo il racconto di alcune donne che avevano trovato il sepolcro vuoto. Durante il cammino, i due non l’avevano riconosciuto. Giunti insieme vicino al villaggio quando ormai si era fatta sera, i due uomi6 • FINESTRE SULL’ARTE
Caravaggio aveva già affrontato questo tema nel 1601 in un dipinto commissionatogli da Ciriaco Mattei (Roma, 1545 – 1614), grande collezionista d’arte: un documento datato 7 gennaio 1602 attesta che Mattei aveva registrato 150 scudi versati a Caravaggio per “il quadro de N.S. in fractione panis”. La tela entrò poi a far parte, dopo il 1605, nelle collezioni di Scipione Borghese e vi rimase fino al 1801; dopo qualche anno, nel 1839, venne acqui-
stata dalla National Gallery di Londra, dove tutt’oggi è custodita. Il momento qui rappresentato, come si evince dalla potente gestualità dei discepoli, è quello in cui Gesù spezza il pane e gli uomini seduti a tavola con lui lo riconoscono. Il preciso istante della rivelazione risulta qui ben visibile dall’espressività e dai movimenti dei personaggi raffigurati: l’uomo a sinistra, seduto di spalle, afferra con vigore i braccioli della sedia e sta per alzarsi in un subitaneo slancio (e in certa misura ricorda il personaggio in analoga posizione della Cena in Emmaus del Veronese oggi conservata al Louvre), mentre l’uomo a destra, seduto di profilo, allarga le braccia esprimendo enorme stupore. L’oste, in piedi tra l’uomo a sinistra e Cristo, con una cuffia sul capo, e reminiscente della stessa figura che osserviamo nella Cena in Emmaus di Tiziano anch’essa al Louvre, resta immobile a osservare incredulo, ma anche incuriosito, il Signore. Quest’ultimo, seduto al centro della scena, solleva
in un gesto teatrale la mano destra per benedire il pane appena spezzato e il suo sguardo è rivolto verso il basso, immerso nella ripetizione dell’atto compiuto durante l’Ultima cena. Un’Ultima cena cui la Cena in Emmaus rimanda anche nella composizione: Pietro Marani, ricordando la mostra che nel 2009, a Brera, aveva portato la versione londinese per un eccezionale confronto con la tela braidense, ha scritto che la Cena in Emmaus “non potrebbe esistere se non ci fosse stato il precedente del Cenacolo di Leonardo”. Il gesto del viandante, sottolinea lo studioso, “sarebbe inspiegabile senza il precedente della figura di Giacomo Maggiore nel Cenacolo, che misura anche lui, con l’apertura delle braccia, la profondità dello spazio. Ma non si spiegherebbero neanche gli interessi e la verità ottica nella raffigurazione della natura morta, così come non si spiegherebbe questo chiaroscuro più sofferto, più lirico nella seconda e successiva versione” del tema.
Cena in Emmaus FOTO A SINISTRA: FOTO A DESTRA:
Caravaggio, Cena in Emmaus (1606; olio su tela, 141 x 175 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Caravaggio, Cena in Emmaus (1601; olio e tempera su tela, 141 x 196,2 cm; Londra, National Gallery) FINESTRE SULL’ARTE • 7
Nel dipinto di Caravaggio, Cristo è vestito all’antica, con una veste di colore rosso acceso e un manto bianco che dalla spalla sinistra scende intorno alla vita; è raffigurato con i capelli lunghi e senza la barba. Nel 1672 Bellori descrive il quadro così: “oltre le forme rustiche delli due apostoli e del Signore figurato giovane e senza barba, vi assiste l’oste con la cuffia in capo, e nella mensa vi è un piatto d’uve, fichi, melograne, fuori stagione”. Alla ricca natura morta sul tavolo imbandito sopra una luminosa e candida tovaglia bianca è data grande enfasi (come accadeva nelle “cene” del Moretto: peraltro, la Cena in Emmaus di quest’ultimo potrebbe costituire un precedente per la disposizione dei personaggi attorno al tavolo): tuttavia, come sottolinea Bellori, è rappresentata frutta fuori stagione, perché se la Cena in Emmaus si svolge intorno alla Pasqua non è stagione né di uva, né di fichi e neppure di melograni. Ma la composizione dell’opera rende lo
appena le braccia con un gesto di sorpresa ma misurato, e l’uomo a destra, seduto di profilo, guarda intensamente il Messia mentre le sue mani sono aggrappate ai bordi del tavolo al centro della scena. In piedi, tra Gesù e il discepolo a destra, stanno l’oste, con un copricapo sulla testa e le mani sulla cintura, mentre sembra attento ad ascoltare le parole di Cristo, e una vecchia serva con lo sguardo mesto, che tiene tra le mani un piatto con del pane. Al centro, il Signore con una veste di colore verde scuro sta benedicendo il pane: la mano destra è ancora alzata in segno di benedizione e il suo sguardo è stanco, segnato dalle sofferenze, e rivolto verso il basso. Sulla tavola, ricoperta da una tovaglia, si notano un piatto con il pane appena spezzato, accanto ad altro pane, un piatto vuoto e una brocca. Per quanto riguarda la composizione del dipinto, le figure sedute descrivono un semicerchio e risalta il gioco di mani e di volti rischiarati da una fonte di luce che proviene la-
spettatore partecipe della scena: i personaggi appaiono a mezzo busto con un andamento circolare ed espedienti prospettici, come le braccia aperte e la mano dell’uomo a destra, che sembrano fuoriuscire dalla tela, per rafforzare l’illusione dello spettatore di trovarsi in quel preciso momento in quell’osteria.
teralmente e che illumina l’ambiente piuttosto buio. Tutto ciò si verifica in una scena da cui traspare una forte umiltà e grande concentrazione da parte dei presenti; il gesto della benedizione è l’ultimo saluto di Gesù ai discepoli, poiché nel momento successivo si congederà e sparirà alla loro vista. Con questo tema biblico, Caravaggio dimostra la sua adesione all’arte della Controriforma e una certa vicinanza ai suoi rappresentanti, tra cui i Carracci, Bartolomeo Cesi, Giovan Battista Moroni: secondo le teorie controriformiste, l’arte svolgeva una funzione didattica, nel senso che le immagini sacre servivano ad accrescere la fede tra gli analfabeti, erano una sorta di Bibbia che insegnava loro gli episodi e i fatti del testo religioso. Attraverso la Cena in Emmaus, gli spettatori apprendevano la dottrina della transustanziazione, ovvero il momento in cui, grazie alla benedizione di un sacerdote o di Gesù stesso come in questo caso, il pane diventa corpo di Cristo e il vino diviene sangue di Cristo.
Dopo la dolorosa e tragica fuga da Roma, i dipinti di Caravaggio si fanno più cupi e più malinconici.
Sempre nel 1672 Bellori scrisse, riferendosi a Caravaggio, che “colorì al marchese Patrizi la Cena in Emaus […]. Un’altra di queste invenzioni dipinse [...] alquanto differente. La prima più tinta, e l’una, e l’altra, alla lode del colore naturale; se bene mancano nella parte del decoro, degenerando spesso Michele nelle forme humili, e volgari”. L’opera alla quale fa riferimento il biografo è certamente quella Cena in Emmaus che Merisi eseguì nel 1606, quando si trovava nei possedimenti romani della famiglia Colonna, prima di fuggire a Napoli. L’artista descrive il momento successivo alla rivelazione di Gesù Cristo ai discepoli: questi ultimi lo hanno già riconosciuto poiché il Signore ha già compiuto il gesto di spezzare il pane. Lo guardano senza parole: l’uomo a sinistra, seduto di spalle, allarga
Se si pongono a confronto le due versioni citate della Cena in Emmaus, ovvero quella del 1601-1602 con-
Cena in Emmaus FOTO IN ALTO:
Paolo Caliari detto il Veronese, Cena in Emmaus (1559 circa; olio su tela, 242 x 416 cm; Parigi, Louvre)
FOTO IN BASSO:
Tiziano Vecellio, Cena in Emmaus (1533-1534; olio su tela, 160 x 244 cm; Parigi, Louvre) FINESTRE SULL’ARTE • 9
servata alla National Gallery di Londra con quella del 1606, oggi custodita alla Pinacoteca di Brera a Milano, si notano immediatamente varie differenze. Sicuramente quella che salta più alla vista è la differenza cromatica: il dipinto di Londra appare con colori molto più accesi e la tavolozza dei colori è piuttosto ricca; il rosso nella veste di Gesù e negli abiti dell’oste si combina al verde degli abiti dei due discepoli e dell’oste, anche se con gradazioni differenti. La varietà di frutta è un esempio di natura morta in miniatura e il candore del bianco della tovaglia, del mantello di Cristo e del copricapo dell’oste dà una particolare luce all’intero dipinto. L’artista ha giocato magistralmente sulle ombre e sui riflessi, creando una luce che inonda tutto l’ambiente in cui è rappresentata la scena. D’altro canto, il dipinto di Milano si presenta con toni spenti, sulle gradazioni del marrone, con eccezione della veste del Signore che appare di colore verde scuro e degli elementi che dovrebbero essere bianchi, ma non sono di certo candidi come quelli del dipinto precedente; è un bianco fievole che non illumina pienamente la scena. L’unica fonte di luce alquanto fioca proviene lateralmente da sinistra, da un fascio
niera prospettica del discepolo a destra nel dipinto della National Gallery e il gesto della mano del Signore, la quale si protende verso lo spettatore nella stessa opera; per contro, appaiono più contenuti e naturali i gesti dei discepoli e di Cristo nel dipinto di Brera. Lo stesso aspetto di Gesù Cristo appare differente: nella prima versione è raffigurato giovane, senza barba e concentrato sulle parole che sta pronunciando, che lo rimandano alle parole proferite durante l’Ultima Cena; nella seconda versione è similmente concentrato e assorto nel gesto che ha appena compiuto, ma il suo viso appare, oltre che più maturo e con la barba, stanco, avvilito, segno che si porta con sé tutte le sofferenze e i patimenti che ha subito prima della resurrezione. Un’ulteriore differenza si nota in relazione a ciò che è posto sulla tavola: una è rappresentata imbandita con pane, cibo nel piatto, una ricca varietà di frutta e brocche piene, mentre sull’altra è presente solo un po’ di pane e una brocca, elementi caratterizzati dalla misura e dall’equilibrio. Probabilmente ciò rimanda all’umiltà e all’essenzialità che s’intende rappresentare, come nei vestiti dei personaggi che compongono il dipinto di Brera, che sono in con-
La Cena in Emmaus di Brera oggi gode di un nuovissimo allestimento che la colloca in una prospettiva di grande impatto. luminoso che rischiara in particolare la tavola e il volto di Cristo: la luce diviene qui simbolo di rivelazione. Lo sfondo del dipinto è scuro, cupo, a differenza dell’altra versione in cui è invece illuminato e compaiono ombre sulla parete. Si era solo accennato in precedenza alle conseguenze dal punto di vista artistico che ebbe l’assassinio di Ranuccio Tomassoni e l’esilio forzato da Roma su Caravaggio: il tragico e doloroso episodio condusse l’artista a realizzare dipinti più cupi, più malinconici, caratterizzati da tinte che vanno dal marrone al marrone scuro, al nero. Anche le espressioni facciali e la gestualità diventano più dimesse, meno teatrali: significative sono le braccia aperte in ma-
trapposizione a quelli raffigurati nella versione precedente, più curati. Sono presenti differenze anche dal punto di vista della tecnica: mentre la Cena in Emmaus del 1601-1602 è considerata uno dei dipinti più finiti di Caravaggio per l’attenta cura nelle varietà cromatiche e per lo splendido gioco di luci e ombre, quella del 1606 presenta stesure di colore rapide e di ridotta densità materica: in alcune parti il colore è steso in velature sottili ed essenziali e in alcuni punti è svelata la preparazione sottostante. Come affermato da Bellori, i marchesi Patrizi commissionarono a Caravaggio una Cena in Emmaus, che il pittore inviò e vendette loro tramite la banca Herrera & Costa: già nell’inventario redatto nel
Cena in Emmaus FOTO IN ALTO:
Leonardo da Vinci, Ultima Cena
FOTO IN BASSO:
Alessandro Bonvicino detto il Moretto,
(1494-1498; tempera su intonaco, 460 x 880
Cena in Emmaus (1526 circa; olio su tela, 147 x 305 cm;
cm; Milano, Santa Maria delle Grazie)
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
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febbraio 1624 delle opere del marchese Costanzo Patrizi, il quadro è menzionato e rimase nei beni della famiglia Patrizi a Roma fino al 1939, anno in cui su suggerimento di Ettore Modigliani (Roma, 1873 – Milano, 1947) venne acquistato dalla Pinacoteca di Brera. È curioso soffermarsi anche sulla storia dell’acquisto del dipinto da parte del museo milanese: Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera dal 1908 al 1934, ma successivamen-
te allontanato a causa delle leggi razziali in quanto ebreo, scrisse in data 27 aprile 1939 una lettera a Giuseppe Bottai, allora Ministro dell’Educazione Nazionale, per informarlo che era tornata sul mercato la Cena in Emmaus di Caravaggio appartenente ai Patrizi e gli dichiarò apertamente che sarebbe stata una grande opportunità per la Pinacoteca di Brera possedere quel quadro. Inoltre, nella lettera, Modigliani comunicò a Bottai che sul conto “ComiFINESTRE SULL’ARTE • 11
tato Britannico” della Banca Commerciale Italiana di Milano era possibile prelevare ancora circa novemila lire e che l’Associazione degli Amici di Brera desiderava acquistare con i suoi fondi il dipinto per donarlo alla Pinacoteca. Il sistema di finanziamento pubblico funzionava così: il presidente in carica dell’Associazione Amici di Brera era autorizzato a prelevare dal conto della Banca Commerciale denominato “Comitato Britannico” la somma necessaria ad acquistare sul mercato le opere d’arte che potevano incrementare le raccolte pubbliche. Siccome la cifra che possedevano gli Amici di Brera non era sufficiente all’acquisto, l’allora presidente dell’Associazione, Ettore Conti, chiese a Bottai un finanziamento per raggiungere la somma richiesta. Fu così che Modigliani suggerì al ministro di utilizzare il fondo residuo e di autorizzare Conti a prelevare dalla Banca Commerciale i soldi rimasti. Questi fatti sono stati ben chiariti grazie all’accurato e preciso contributo della studiosa Amalia Pacia, che ha compiuto il suo lavoro di ricerca in occasione della mostra Caravaggio ospita Caravaggio tenutasi presso la Pinacoteca di Brera nel 2009. Fu di rilevante importanza nell’acquisto il contributo di tre mecenati: la studiosa Chiara Bonalumi, in un saggio della mostra citata, ha rivelato la loro identità dopo aver trovato un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 20 giugno 1939. I tre mecenati furono i fratelli Mario e Aldo Crespi e il conte Paolo Gerli di Villa Gaeta: personalità dell’imprenditoria lombarda legati all’industria tessile, accomunati dalla passione per l’arte e per il collezionismo. Di fatto, il 17 giugno 1939 Giuseppe Bottai autorizzò ufficialmente la Pinacoteca di Brera a introdurre nelle sue collezioni l’opera di Caravaggio tanto desiderata e diede il via a una serie di celebrazioni organizzate dal soprintendente Guglielmo Pacchioni; tuttavia la cerimonia d’inaugurazione venne rimandata all’anno successivo, poiché l’Associazione degli Amici di Brera, che tanto si era prodigata per lo straordinario acquisto, venne soppressa dal governo fascista che la considerava ritrovo di antifascisti e di ebrei, ma fortunatamente venne ricostituita nel dopoguerra. Quindi, nel 1940 la Cena in Emmaus fu esposta nel museo milanese, dopo essere stata restaurata da Mauro Pelliccioli. Grazie a una lettera scritta da Pacchioni si viene a conoscenza dei grandi preparativi per l’attesa inaugurazione del dipinto: l’opera sarebbe stata collocata nella saletta della Pelucca accanto agli affreschi del Luini e l’ambiente sarebbe stato adornato con alcune stoffe per dare l’idea di luogo sontuoso; sarebbe
stata organizzata una piccola mostra di opere caravaggesche e di scuola bolognese, con “la presenza di almeno due o tre opere di pittura accademica contemporanea a Caravaggio e alcuni esempi del riflesso caravaggesco su alcuni pittori del tempo suo o a lui immediatamente posteriore, e tutti potrebbero essere tratti dalla sale stesse di Brera o da raccolte milanesi per servire di orientamento al pubblico nel farsi un’idea del peso che la rivoluzione caravaggesca occupa nella pittura italiana ed europea”, secondo le parole scritte da Pacchioni al ministro Bottai. Inoltre il dipinto in questione sarebbe stato visibile al pubblico anche in orario serale, dalle 21 alle 23, in modo da avviare un progetto d’illuminazione serale di tutta la Pinacoteca e di altri musei milanesi; progetto che venne attuato successivamente, nel 1955, con l’iniziativa Visitate Brera la notte. Tutte queste proposte sfociarono in una cerimonia d’inaugurazione dai toni più ridotti che si tenne nella Sala Napoleonica con una conferenza dedicata a Caravaggio condotta da un giovane Giulio Carlo Argan (Torino, 1909 – Roma, 1992). La Cena venne quindi ammirata per circa venti giorni nella saletta della Pelucca per poi essere provvisoriamente trasferita nel salone in cui si trovavano opere di Rembrandt, van Dyck, Rubens. Dal 1950 trovò sistemazione nella sala XXIX dei caravaggeschi, in una posizione alquanto infelice che non metteva in evidenza l’importanza del dipinto. Oggi, grazie al nuovo riallestimento,
la Cena in Emmaus è esposta in una prospettiva visiva di grande impatto, all’interno della quale il visitatore si trova immerso, mettendo alla prova il suo stato emozionale. Il color borgogna sulle pareti della sala XXVIII pone in evidenza il chiaroscuro che caratterizza l’opera, a differenza del precedente giallo ocra poco adatto ad accentuare i suoi toni terrosi. Inoltre il visitatore è ora condotto al capolavoro caravaggesco attraverso una linea logica che ne ricrea il contesto artistico: partendo dal naturalismo dei Carracci, in opere come Cristo e la Samaritana al pozzo o l’Adorazione dei Magi, e dal classicismo di Guido Reni in Paolo rimprovera Pietro penitente, si giunge al naturalismo di Caravaggio con la sua magistrale opera. D’altronde, l’inevitabile impatto emozionale è dichiarato intento del direttore della Pinacoteca, James Bradburne, che sostiene che un museo deve credere nella propria collezione, ma “il visitatore deve essere preparato a farne esperienza e quindi attorno all’opera d’arte si deve creare una forte carica emotiva. Questo avviene quando il visitatore impiega in modo attivo la propria mente per entrare nell’opera, per esaminarne i dettagli, per esplorarne le immagini, per farsi commuovere dalla tecnica o dal significato, e per condividere le proprie emozioni con gli altri”.◊
Bibliografia essenziale Nicola Spinosa, James Bradburne (a cura di), Attorno a Caravaggio. Una questione di attribuzione. Terzo Dialogo, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, dal 10 novembre 2016 al 5 febbraio 2017), Skira, 2016 Pietro C. Marani, 9 febbraio 1498. Il «Cenacolo» svelato, Laterza, 2012 Amalia Pacia, Valentina Maderna (a cura di), Caravaggio ospita Caravaggio, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, dal 17 gennaio al 29 marzo 2009), Electa, 2009 Maria Cristina Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, L’Erma di Bretschneider, 2007 Andrea Pomella, Caravaggio. Un artista per immagini, ATS Italia Editrice, 2005 Marta Ragozzino, Caravaggio, Giunti, 1997
Foto di James O’Mara National Gallery London via Wikimedia Commons Musée du Louvre, Pinacoteca Tosio Martinengo
Cena in Emmaus FOTO IN ALTO:
Caravaggio, Cena in Emmaus, dettaglio (1606; olio
su tela, 141 x 175 cm; Milano, Pinacoteca di Brera) FOTO IN BASSO:
Pinacoteca di Brera Via Brera, 28 - Milano TELEFONO: +39 02 72263 1 +39 02 72263 264–229
Caravaggio, Cena in Emmaus, dettaglio (1601; olio
e tempera su tela, 141 x 196,2 cm; Londra, National Gallery) FINESTRE SULL’ARTE • 13