WORLD STONE MAGAZINE - 1

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N 1 - 20012

WORLD STONE MAGAZINE marmi e pietre nel mondo


sommario

Editoriale

Vita nuova per il marmo

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AttualitĂ

Distretti lapidei e politiche industriali

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Economia

Distribuzione degli impieghi

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Marketing

Fattori motivazionali del consumo

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Dossier

Nuova Direttiva Macchine

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Tecnica

Ambiente e pietra: una coesistenza possibile

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Speciale

Movimentazione di laboratorio

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Marmorama

Castelli e pietre

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Promozione

Il marmo strumento di progresso

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Made in

Marmi e pietre di casa nostra

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Notizie brevi

Italia / Estero

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Bibliografia

XXII Rapporto marmi e pietre

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WORLD STONE MAGAZINE

editoriale

marmi e pietre nel mondo

Vita nuova per il marmo

Le affermazioni secondo cui marmi e pietre sarebbero in crisi sono vecchie come la loro storia ma trovano una smentita categorica nei grandi numeri. Il 2010 ha coinciso, a livello di consuntivi mondiali, con nuovi primati del settore: 110 milioni di tonnellate estratte al netto degli scarti, 48 milioni oggetto di scambio in ambito internazionale, 1200 milioni di metri quadrati (allo spessore medio di cm. 2) prodotti e posti in opera, 35 milioni di trasporti stradali, 18 milioni di addetti. Le dimensioni mondiali del comparto sono triplicate nel giro di un ventennio in chiave produttiva, facendo giustizia degli immancabili profeti di sventura e dimostrando che il marmo continua ad essere oggetto di preferenze crescenti da parte della progettazione e della committenza, perché possiede caratteri tecnologici e cromatici irripetibili e generalmente superiori a quelli, pur significativi, vantati dai prodotti concorrenti. Ciò, senza dire di un’ampia democratizzazione dell’impiego, garantita dall’avanzamento delle tecniche estrattive e trasformatrici, e dal contenimento dei costi in misura impensabile sino a pochi decenni or sono. Si può dire senza tema di smentite che il marmo, assieme agli altri lapidei per uso strutturale ed ornamentale, è nato a vita nuova, con tutte le carte in regola per ottimizzare l’ambiente dell’uomo contemporaneo: affermazione tanto più condividibile quando si pensi che tre quarti del consumo mondiale sono destinati all’edilizia. Non mancano sacche di minore sviluppo, soprattutto nelle economie mature, dove il confronto coi Paesi emergenti è diventato arduo per tutto il mondo produttivo. Ciò vale in modo specifico per l’Italia, la cui “leadership” storica di settore appartiene alla sfera dei ricordi: tuttavia, nel caso del lapideo esistono importanti riserve di professionalità, fantasia e tradizioni che consentono tuttora di fare la differenza, in specie per le commesse ad alto valore aggiunto. World Stone Magazine si propone quale strumento d’informazione e promozione in grado di supportare la crescita mondiale del comparto alla luce della sua priorità tecnologica, funzionale e decorativa; e nello stesso tempo, di mettere a disposizione dell’Europa e dell’Italia, anche per quanto riguarda l’impiantistica ed i beni strumentali, uno strumento aggiornato ed agile di confronto, di proposta e di progresso, aperto al momento imprenditoriale, e nello stesso tempo, alle altre forze sociali ed alla volontà politica. Mai come oggi, le sorti dell’economia sono affidate all’impegno comune ed alla consapevolezza di quanto siano necessarie, o meglio indispensabili, sinergie strategiche e tattiche. Il tempo dell’arrocco corporativo è passato da un pezzo: in tale ottica, World Stone Magazine vuole operare con la collaborazione di tutti nell’intento di esprimere un servizio ad ampio spettro per marmi e pietre, le loro imprese, le loro strutture umane ed i valori civili, sociali ed umani che ne sono patrimonio fondamentale. WSM

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attualità Distretti lapidei e politiche industriali Un’occasione da cogliere

Il distretto lapideo apuo-versiliese continua a svolgere un ruolo di primo piano nel panorama nazionale del settore, a cominciare dall’interscambio, dove è preceduto in misura contenuta da quello veronese: secondo gli ultimi disaggregati provinciali, Massa - Carrara e Lucca esprimono, assieme alla piccola propaggine spezzina, il 28 per cento del valore esportato a livello nazionale, mentre Verona si attesta sul 31,5. Analogamente, le importazioni italiane sono appannaggio di Apuania e Versilia in misura del 23,5 per cento, contro il 32 di Verona. Infine, il 31 per cento del saldo attivo compete alla provincia scaligera, mentre il 29,9 risulta espresso dal distretto apuo-versiliese. Al di là delle quote di mercato e delle cifre assolute corrispondenti, vale la pena di evidenziare che nelle due zone leader si concentra la maggioranza assoluta dell’attività lapidea nazionale: il resto d’Italia, in cui convergono oltre cento realtà provinciali, arriva al 40,5 per cento del valore esportato ed al 44,1 di quello importato. E’ interessante aggiungere che in ambito mondiale Verona spedisce il 4,3 per cento del valore scambiato, mentre il 3,8 è appannaggio del distretto apuo - versiliese ed un ulteriore 5,4 riguarda le altre zone italiane. E’ chiaro che una valutazione comprensoriale esaustiva dovrebbe tenere conto del fenomeno produttivo, sia di cava che di laboratorio, ma all’interscambio si deve riconoscere un peso prioritario, non tanto per il carattere ufficiale dei dati, quanto perché nel mondo globalizzato circa tre quinti dei consumi complessivi si riferiscono a materiali estratti se non anche trasformati in Paesi diversi da quello della collocazione in opera. In buona sostanza, i grandi numeri pongono in evidenza il rilievo strategico del settore nei distretti italiani leader: a più forte ragione a Carrara, a Massa ed in Versilia, dove (diversamente da quanto accade a Verona dove il lapideo è complemento di una struttura industriale ampia e diversificata), il lavoro del marmista ha rilevanza determinante nell’equilibrio socio-economico del distretto. E’ la conferma di una realtà ben conosciuta, ma la sua quantificazione specifica costituisce motivo di interesse non soltanto statistico: infatti, la progressiva riduzione delle quote italiane nel panorama mondiale mette ulteriormente in luce la necessità di fare sistema in un quadro unitario. Ciò significa, da una parte, agire lontano da ogni anacronistico campanilismo nei momenti determinanti di politica delle infrastrutture, ricerca, qualificazione professionale, finanziamento degli investimenti e comunicazione promozionale; dall’altra, collaborare a tutto campo non solo a livello interdistrettuale, ma nello stesso tempo, nel perseguimento di sinergie sempre più indispensabili con il momento politico e con quello sindacale. Oggi più che mai, le divisioni non hanno senso, perché compromettono la competitività persino nei settori di nicchia come quello dei lavorati speciali.

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A suo tempo si era confidato nello strumento della programmazione anche in campo lapideo. Oggi la realtà è cambiata e nessuno dubita che le politiche d’intervento debbano essere finalizzate a supportare il sistema produttivo basato sulla libera iniziativa, in quanto garanzia di risultati gestionali e di una moderna politica di occupazione. Occorre, tuttavia, che ciascuno faccia la sua parte, senza arroccarsi nella torre d’avorio di improbabili difese corporative: è il momento di produrre competenza, fiducia, lavoro, qualità.

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economia Distribuzione degli impieghi lapidei Con una forte ripresa, dovuta soprattutto all’Asia, nel 2010 i consumi mondiali di marmi e pietre hanno continuato a progredire, superando 1.200 milioni di metri quadrati equivalenti: a titolo di esempio, una superficie pari a 170 mila volte quella di Piazza della Signoria, patrimonio fiorentino dell’umanità, con i suoi settemila metri di Pietra Serena. La crisi, che ha colpito soprattutto gli Stati Uniti, dove il recupero è stato marginale, appare esorcizzata, quanto meno negli effetti quantitativi immediati, grazie all’ulteriore crescita asiatica, ed in primo luogo a quella cinese, ma anche di India e Corea. La quota destinata ai mercati domestici è aumentata, sebbene l’utilizzo di materiali posti in opera in Paesi diversi da quelli di estrazione e di trasformazione sia sempre maggioritario. In cifra assoluta, il Paese con il massimo consumo è stata la Cina, con circa 270 milioni di metri, seguita da altri quattro (India, Stati Uniti, Italia e Corea del Sud) in cui il volume ha raggiunto o superato i 50 milioni, ma restando al di sotto dei cento. Questi “top five” hanno espresso, da soli, oltre due quinti dell’intero impiego mondiale. Il ragguaglio pro-capite è stato caratterizzato, a sua volta, da un consolidamento dell’incidenza pregressa, che è salita a 195 metri quadrati per mille abitanti. Vi sono sette Paesi, quasi tutti europei, con la sola eccezione della Corea, in cui il consumo per abitante ha superato la fatidica soglia del metro quadrato a testa: si tratta, nell’ordine, di Belgio, Svizzera, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Al contrario, Stati Uniti e Giappone seguono nelle retrovie, mentre Cina e India figurano in coda, con impieghi unitari inferiori alla media mondiale, e pari ad un decimo, od anche meno, di quelli dei Paesi d’avanguardia. Il fatto che tanti Paesi abbiano un’incidenza tuttora scarsa significa che le strategie promozionali debbono essere affinate ma che esistono potenzialità di grande importanza. La destinazione prevalente degli impieghi si conferma quella nell’edilizia, stimata in tre quarti del totale, mentre il resto è appannaggio dell’arredo urbano, della funeraria, ed in misura marginale, dell’oggettistica, senza tenere conto di un ampio utilizzo dei sottoprodotti ed in particolare dei granulati di varia dimensione, in opere strutturali come le banchine, le massicciate stradali, i marciapiedi. Nell’ambito dell’attività costruttiva, la maggioranza relativa riguarda i pavimenti ed i rivestimenti interni, ed è quella che deve confrontarsi in modo più stringente coi prodotti concorrenti, mentre i nuovi impieghi, come l’arredo-bagno ed i piani da cucina, possono giovarsi di incidenze assai più alte. Resta il fatto che il materiale lapideo può fruire di un ventaglio molto articolato di usi, che costituisce un carattere indubbiamente competitivo, in grado di sottolineare la versatilità del marmo e della pietra, e la sua idoneità a soddisfare una clientela molto articolata, ma prima ancora, le doti di creatività e di fantasia tipiche del marmista.

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In un’ottica di marketing motivazionale, questo carattere si traduce in un ventaglio di preferenze suffragato dalla struttura e dalla tecnica: quali altri materiali possono vantare l’impiego nei grandi rivestimenti esterni e nei masselli funerari ad alto spessore, accanto a quelli nei pavimenti sottili, nei pezzi fuori sagoma e nell’arte musiva? Tutto ciò non avviene per caso, ma perché marmi e pietre sono prodotti di natura, dotati di importanti requisiti di resistenza, durata e compattezza, che peraltro non escludono ottimi livelli di duttilità e di lavorabilità: fattori ormai entrati a far parte del patrimonio di conoscenze dei progettisti, dei costruttori edili e della stessa clientela finale. Il lapideo, come si diceva, ha fronteggiato la congiuntura difficile meglio di altri, ed i grandi numeri lo attestano con evidenza.

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marketing Fattori motivazionali del consumo

Ragioni tecnologiche, economiche e funzionali dell’impiego lapideo La ricerca di mercato ha posto in evidenza la correlazione esistente fra l’uso dei beni, in specie di largo consumo, e le motivazioni di tipo sociologico o psicologico che concorrono a determinare la percezione del bisogno, e quindi la decisione d’acquisto. Sia pure con le approssimazioni e le distinzioni del caso, il fenomeno si manifesta anche nei beni industriali, sebbene la necessità del loro approvvigionamento prescinda, in prima battuta, da quel tipo di interferenze: nel costruire una casa di civile abitazione si dovrà prevedere per forza di cose la posa di un pavimento o di un rivestimento, ma la scelta del marmo, piuttosto che della ceramica, del legno o di altro materiale dipenderà da vari fattori, tra cui quello economico può essere prevalente, ma giammai unico. Considerazioni analoghe valgono nell’ambito del solo impiego lapideo, dove la gamma delle varietà opzionabili è praticamente infinita, sia dal punto di vista tecnologico (i caratteri dei materiali cambiano sensibilmente da una pietra all’altra: è inutile ricordare che la resistenza del tufo non è confrontabile con quella del granito, ma anche dell’ardesia o della trachite), sia da quello estetico, caratterizzato da un’offerta illimitata (nel mondo, secondo le ultime valutazioni, esistono almeno 24 mila tipologie, che coprono tutte le sfumature della scala cromatica). Detto questo, è facile comprendere che alla base del consumo di settore si collocano fattori imprescindibili come quelli economici, tecnologici ed estetici, la cui combinazione ottimale richiede valutazioni attente, alla luce del tipo di commessa (il pavimento di una stazione ferroviaria ha esigenze del tutto diverse da quelle di un salotto). Nondimeno, in molte occasioni, specialmente nel momento privato, entrano in giuoco valutazioni complementari che possono fare la differenza. In tempi relativamente recenti, marmi e pietre hanno costituito uno “status symbol” collegato all’immagine di prestigio selettivo che il loro impiego intendeva evocare, e che non è difficile cogliere ancor oggi, in alcune commesse di fascia superiore, con particolare riguardo a quelle di rappresentanza. Oggi, questo fattore è passato comunque in secondo ordine, ed ha ceduto il campo alla funzionalità: se è vero che la maggioranza assoluta dei piani da cucina e di quelli da bagno vengono realizzati in marmo o pietra, con una vasta gamma di alternative cromatiche ed economiche, vuol dire che l’idoneità del prodotto lapideo a questo tipo d’impiego è condivisa da una schiera sempre più vasta di progettisti, non solo per motivi estetici senza dubbio importanti, ma prima ancora per la capacità di soddisfare in maniera ottimale le esigenze dell’utilizzatore. Ne consegue che la promozione del manufatto, a cui si guarda con interesse sempre più vivace da parte del momento produttivo, deve tenere conto dei fattori motivazionali, che cambiano da un impiego all’altro e che presumono, proprio per questo, una ragionevole duttilità del messag-

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gio, in modo da sottolineare le idoneità peculiari del materiale all’una od all’altra tipologia di utilizzo. Naturalmente, esiste un minimo comune denominatore che è valido per tutti gli impieghi e che si riassume nella documentazione delle competitività fisico-meccanica e fisico-chimica del lapideo, ma al quale si debbono fornire congrui arricchimenti, finalizzati alle diverse opportunità di commercializzazione: è banale sottolineare che la promozione destinata all’edilizia civile non può applicarsi “tout court” alla funeraria, come dimostrano le specializzazioni differenziate riscontrabili in talune fiere di riferimento. Una cosa è certa: il marmo e la pietra non vengono impiegati per capriccio né tanto meno per caso, ma rispondono ad un ampio ventaglio di richieste del progettista, dell’impresa e del cliente che è compito del fornitore omogeneizzare, selezionare e soddisfare, previo approfondimento dei fattori motivazionali che sorreggono la scelta, e quindi l’ordine. Ciò, non soltanto da un punto di vista strettamente commerciale finalizzato alla sua acquisizione, ma nello stesso tempo, alla luce della necessità di soddisfare pienamente le attese di chi sceglie, in modo da creare un ulteriore effetto promozionale a costo zero, fondato sul classico principio pubblicitario di iterazione del comportamento.

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dossier Nuova Direttiva Macchine dell’Unione Europea: un’ulteriore opportunità di cooperazione internazionale All’inizio del 2010 è entrata in vigore la nuova Direttiva Macchine dell’Unione Europea, che ha introdotto alcune importanti novità in materia di organizzazione del lavoro e di sicurezza, sulle maggiori delle quali è opportuno attirare le opportune attenzioni perché costituiscono un momento importante di verifica circa le reali potenzialità della cooperazione. Rispetto alla normativa precedente, risultata per diversi aspetti perfettibile, è stato introdotto l’obbligo di marcatura per le cosiddette “quasi macchine”, intese come strutture in grado di operare senza l’apporto diretto di un motore, ma anche per talune nuove accessioni strumentali come gli ascensori da cantiere e diverse attrezzature, fra cui gli strumenti di sollevamento, quali catene, freni e cinghie. Lo stesso dicasi per gli apparecchi portatili a carica esplosiva. E’ stata introdotta una scadenza di validità delle certificazioni, indicata nel quinquennio dalla data del rilascio. Ciò corrisponde ad un’esigenza di adeguamento imposta dalla forte accelerazione del progresso tecnologico. Per quanto riguarda le procedure, è stato previsto l’obbligo di riportare la documentazione relativa alle valutazioni dei rischi in tutto l’iter progettuale della macchina, ma è stata introdotta anche la possibilità di operare nel nuovo regime definito della “Garanzia di qualità completa”, che si traduce in un sistema integrato di progettazione, fabbricazione, ispezione finale e verifica operativa, approvato da un Organismo notificato: in pratica, di un “pacchetto” globale in alternativa alle procedure precedentemente in essere. Non mancano novità a proposito delle sanzioni, che gli Stati membri sono chiamati a predisporre in modo che siano “effettive, proporzionate e dissuasive”: un’affermazione vincolante in linea di principio, che peraltro sembra sottintendere possibili regolamenti differenziati da un Paese all’altro, quanto meno nelle more della necessaria armonizzazione, il cui ruolo assume carattere decisivo, sia sul piano giuridico, sia su quello commerciale. Un’ulteriore prescrizione importante riguarda il ritiro delle macchine “potenzialmente pericolose”: anche in questo caso, con un’espressione non esauriente dal punto di vista descrittivo che implica possibili carenze sul piano dell’ auspicata e doverosa certezza del diritto. Infatti, è stato precisato che possono intendersi per tali anche macchine prodotte in base a norme armonizzate pregresse: considerazione condividibile, sempre in linea di principio, ma non immune da possibili interpretazioni discrezionali, che rendono opportune definizioni oggettive, ed accettate da tutti, dei concetti di potenzialità e di pericolo. Al di là degli aspetti innovativi e dei contenuti problematici di cui si è detto, la nuova Direttiva europea intende sopperire alle carenze interpretative che avevano caratterizzato quella precedente fino al punto che alcuni quesiti proposti dal momento imprenditoriale erano rimasti inevasi.

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Giova ribadire che la normativa in questione obbedisce ad un’esigenza di sicurezza sempre più condivisa e diffusa, sia per le macchine globalmente considerate che per le singole componenti, a cominciare da quelle elettriche, cui sono state dedicate attenzioni specifiche particolari. In tale ottica, essa costituisce una Dichiarazione di conformità alle varie Direttive dell’Unione Europea, per quanto applicabili e recepite negli ordinamenti statuali.

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tecnica AMBIENTE E PIETRA Una coesistenza possibile

Le rilevanti strozzature congiunturali degli ultimi anni hanno fatto accantonare, almeno in apparenza, il problema della compatibilità ambientale di cave e laboratori, ma il problema ecologico sussiste sempre. Anzi, lo sviluppo costante della produzione e conseguentemente degli scarti, lo ha reso più stringente, specialmente nell’ottica di medio e di lungo periodo. Le disposizioni legislative cambiano parecchio da un Paese all’altro, al pari della sensibilità pubblica e privata; ma il diverso grado di attenzione finisce per creare ulteriori discriminazioni, in aggiunta a quelle che derivano dai costi di base ed in particolare da quelli del lavoro e dell’energia. La questione, a parte talune pregiudiziali estetiche dure a morire sebbene abbiano fatto il loro tempo, riguarda in modo prioritario le discariche. Dato che una quota maggioritaria del prodotto è destinata ancora oggi a scarto e che una quota dei cascami di trasformazione comporta problemi di trattamento, è chiaro che tutto il mondo lapideo finisce per essere coinvolto dalla carenza, generalmente diffusa, di luoghi destinati allo scarico attrezzato, con problemi di continuità estrattiva, di movimentazione e di lay-out. Nei Paesi sviluppati queste strozzature sono diventate causa non marginale di svantaggio nei confronti degli altri, perché lo smaltimento è reso difficile ed oneroso da diversi vincoli che in qualche caso, più frequente in Europa, sono diventati quasi paralizzanti. In Italia il problema è ricorrente e lungi dall’essere risolto in chiave strategica, con l’affidamento a misure tampone che lo ripropongono regolarmente a brevi scadenze, come accade in Toscana od in Sicilia, ma in Grecia la situazione non è meno compromessa, con alcune cave che hanno finito per essere chiuse. In altri casi è stata affrontata in modo meno episodico, come in Portogallo, dove il livello elevato degli scarti e la configurazione orografica delle maggiori zone estrattive hanno creato esigenze di stoccaggio a cui si è provveduto, almeno in parte, per iniziativa pubblica. Marmi e pietre possono coesistere con l’ambiente, a patto che esistano normative agili e funzionali corredate da regolamenti esecutivi chiari e realistici, da cui emerga con precisione dove si può operare, se non altro per garantire la certezza del diritto, sempre necessaria, e indispensabile nelle cave, dove in caso contrario ogni investimento diventa problematico. E’ inutile dire che bisogna rinunciare a pregiudiziali assolute come quelle di chi vorrebbe cancellare l’estrazione e la trasformazione dalla faccia del territorio, senza pensare che l’inquinamento indotto dal lapideo è minimo rispetto a quello procurato da altri settori e senza dire che la modificazione dell’ambiente è stata logica conseguenza di ogni insediamento umano a carattere stanziale. L’ostracismo nei confronti della pietra è privo di motivazioni, salvo quelle rivenienti dalla demagogia o peggio da concorrenze più o meno interessate. Non si vuol dire che la produzione del

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materiale di natura possa diventare motivo di richiamo turistico, anche se non mancano, in questo senso, casi di valorizzazione dei bacini estrattivi nelle Alpi Apuane, nel Vermont o nell’antico Egitto, per non parlare del recupero culturale e ludico di talune cave abbandonate; si deve affermare, tuttavia, che l’industria lapidea è stata ritenuta idonea ad avviare e potenziare processi di sviluppo, come è stato ufficialmente statuito da oltre un trentennio, e che in questa ottica la sua continuità e la sua espansione non sono un optional, ma un vero e proprio obbligo, ferma restando la necessità di valutare caso per caso quali siano gli interessi socialmente prevalenti e di promuovere una regolamentazione equa, che faccia salvi quelli di tutti. L’ecologia non deve essere un “imbroglio”, come fu detto anni or sono non senza qualche apprezzabile fondamento. Al contrario, deve essere un valore che si ponga come tale attraverso la definizione dei suoi limiti, nella stessa misura in cui l’impresa ha il diritto-dovere di perseguire un fondamentale obiettivo socio-economico. A cominciare dall’impresa lapidea, i cui contenuti umani e professionali non sono certamente inferiori a quelli altrui.

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speciale Movimentazione di laboratorio Le lastre ed i lavorati debbono essere trattati col dovuto riguardo durante la movimentazione, in specie quando si tratta di spessori sottili o di pezzi fragili ad alto valore aggiunto come i piani da cucina o quelli per l’arredo dei bagni. Dire che bisogna adottare i necessari accorgimenti è banale, ma conviene ricordare che, archiviata l’epoca degli spostamenti manuali, se non per elementi molto piccoli, la movimentazione moderna avviene con maniglie a ventosa, carrelli a forche e sistemi di sollevamento. Occorrono attenzione e professionalità, perché il mezzo meccanico non garantisce una sicurezza assoluta a priori, ma richiede un elemento umano competente e razionale. Ad esempio, l’uso delle maniglie non è privo di rischi potenziali: bisogna stare attenti affinché l’utensile venga fissato correttamente al pezzo, in modo da assicurare la perfetta adesione. Infatti, il fissaggio avviene a regola d’arte se la depressione rimane inalterata nello spazio fra ventosa e superficie lapidea: in caso contrario si avrebbero distacco e caduta, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili anche in chiave infortunistica. A questo riguardo, le raccomandazioni circa la necessità di procedere alla pulizia ed all’asciugatura dei pezzi non saranno mai troppe. A parte il danno economico derivante dalle rotture, il rischio è grave dal punto di vista della sicurezza, in specie quando il pezzo finisca sui piedi del lavoratore. Non a caso, il Decreto Legislativo 626/94 ha previsto, fra i Dispositivi di Protezione Personale (DPI), l’utilizzo di scarpe con puntale in acciaio, sebbene l’esperienza abbia dimostrato che tale attrezzatura non previene l’infortunio nei casi, peraltro meno frequenti, in cui sia colpita la parte non protetta, cioè quella alta. E’ utile aggiungere che le maniglie possono essere utilizzate congruamente per il trasporto su percorsi orizzontali, mentre è assolutamente sconsigliabile adoperarle per quelli su scale. Comunque, sta di fatto che tale sistema rimane il più indicato quando debbano essere coperte distanze ragionevolmente brevi, come accade nella maggior parte dei laboratori. Negli altri casi, il carrello è un importante mezzo alternativo di movimentazione. Di solito, vengono preferiti quelli più stretti, in modo da essere gestiti con la necessaria flessibilità e con l’accesso anche in spazi limitati; e naturalmente, quelli con adeguate strutture di sollevamento. Un altro requisito importante è la robusta costituzione, perché i pesi da sopportare sono notevoli, cosa che impone un baricentro per quanto possibile basso, onde evitare il rischio di ribaltamento, che diventa meno teorico quanto il movimento non avvenga su percorsi strettamente orizzontali. Ulteriori accorgimenti da osservare riguardano le gomme che debbono essere relativamente morbide. Quando la movimentazione interessa pezzi molto fragili come taluni lavorati speciali, è buona norma utilizzare intelaiature robuste ed opportunamente attrezzate, in modo da ridurre al minimo il pericolo di sbeccature, scheggiature e fratture diverse. Si tratta di strumenti maneggevoli anche da parte di personale non specializzato: non a caso, in tale fattispecie si è parlato di

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attrezzature a carattere “didattico” ad uso prevalente da parte dei posatori di lavorati speciali come i lavelli od i lavabi. Nell’ottica di laboratorio costituiscono un fattore complementare rispetto alle maniglie ed ai carrelli, ed a più forte ragione rispetto alle linee seriali che si propongono di ridurre i trasporti interni nel più alto grado possibile e di garantire attraverso l’automazione livelli competitivi di sicurezza e di rendimento. La scelta ottimale resta affidata al marmista, tenuto conto delle dimensioni aziendali, dell’organico disponibile, dei materiali trattati e delle tipologie di più ricorrente lavorazione; e naturalmente, della propensione ad investire.

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marmorama Castelli e pietre

Una sinergia essenziale Il rapporto fra pietra e grande architettura è una costante dell’evoluzione umana verso forme di aggregazione civile sempre più avanzate. Le prime “città” di cui si conserva memoria storica, come Gerico, erano state edificate in pietra, dai dodici ai dieci millenni or sono; ed in tempi ancora più lontani, come si racconta nel Libro biblico dell’Esodo, quale materiale fu scelto per la costruzione del primo altare? Il marmo! La pietra ha avuto un ruolo determinante nell’architettura militare non meno che in quella religiosa, come attestano tante mura urbane di ogni Paese, dove l’utilizzo strutturale si giova di masselli grezzi adeguatamente squadrati. Poi, la naturale evoluzione degli impieghi difensivi ha trovato moduli di grande efficacia funzionale, assieme a vari contenuti decorativi molto significanti, nell’architettura castellana. In effetti, il castello è un edificio di prestigio ma prima ancora di tutela dei valori culturali e sociali del suo tempo, e proprio per questo ebbe lunghe stagioni di centralità strategica ed espressiva dal Medio Evo al Rinascimento, per giungere alle soglie della nostra epoca. La struttura esterna del castello è necessariamente in pietra, più spesso a spacco di cava, nelle varietà meglio lavorabili come l’arenaria; ma col passare del tempo l’architettura diventa più articolata, alla ricerca di una pur sobria eleganza che si accentua nel decoro degli interni. L’evoluzione stilistica e strategica ha richiesto un percorso plurisecolare anche nella scelta dei materiali e delle finiture, non più grezze ma lavorate con grande maestria. Oggi, il castello appartiene ad un’architettura d’epoca per molti aspetti irripetibile, che rende a maggior ragione necessari congrui interventi di tutela dell’edificio e del suo patrimonio storico. Ciò, con particolari cure per gli elementi strutturali e decorativi ed in primo luogo per la pietra, sia essa un’austera arenaria od un marmo di alto prestigio. Il tema è diventato di grande attualità nel Novecento a causa dei problemi indotti dalle modificazioni ambientali e dalla presenza crescente di fattori inquinanti o corrosivi. La questione riguarda ogni realizzazione architettonica ma perviene ai vertici di maggiore urgenza nelle opere religiose o celebrative quali chiese e monumenti, dove la disponibilità di interventi istituzionali è meno episodica, e naturalmente nei castelli, dove la conservazione strategica non trova analoghe attenzioni alla luce dell’equivoco secondo cui, fatta salva qualche eccezione riferita alla titolarità demaniale, si tratterebbe di una competenza privata anziché di un impegno che per dimensioni, fabbisogni e valori culturali deve assimilarsi a quelli di carattere infrastrutturale e quindi, di interesse pubblico.

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Del resto, il recupero dell’architettura antica e delle sue strutture portanti in pietra, come delle opere di finitura, presume livelli avanzati di professionalità che possono essere pienamente garantiti e perseguiti da una sovrintendenza istituzionale. E’ urgente che l’assunto venga condiviso in modo tempestivo soprattutto in Italia, dove l’architettura castellana è assai diffusa e dove l’autonomia regionale consente opportune flessibilità operative in grado di conferire alle opere di restauro, anche per quanto riguarda un patrimonio irripetibile come quello dei castelli, supporti di alta valenza ambientale e culturale.

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promozione Il marmo strumento di progresso L’idoneità del settore lapideo ad avviare politiche di sviluppo dove altre industrie non potrebbero avere analoga capacità tecnologica e cromatica è fuori discussione, ed è stata riconosciuta nelle sedi più qualificate, a cominciare dall’ONU, con apposita Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, ed aveva costituito la Federazione internazionale del settore con lo scopo di promuovere uno sviluppo più organico del comparto (1964). Oggi, sono tanti i comprensori, o meglio i Paesi in cui la valorizzazione di questa importante risorsa naturale ha permesso di conseguire risultati occupazionali e sociali di buona consistenza: non a caso, la forza lavoro impiegata nel lapideo a livello mondiale avrebbe raggiunto, secondo stime attendibili, 18 milioni di unità. In questo senso, il progresso è incontestabile, avendo tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura non inferiore dal forte avanzamento tecnologico. Ciò, sebbene in diversi Paesi la politica di ricerca sia tuttora limitata (soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio è davvero esaustiva, come in alcuni Stati europei, in Arabia Saudita od in Turchia), facendo presumere che altre importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione. In alcuni casi, lo sviluppo è stato esponenziale. Del resto, negli ultimi 20 anni la produzione ed i consumi mondiali sono più che raddoppiati, senza dire che approfondite indagini scientifiche (condotte dal Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Siena) hanno permesso di rilevare come il volume dei marmi e delle pietre scavati nel mondo dal 1950 in poi sia stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti messe insieme. Chi si ostinasse a pensare che il settore lapideo svolge un ruolo di retroguardia, nel quadro di concessioni ad un prestigio retorico ed anacronistico, è servito. Per comprendere quanto siano ampie le dimensioni del settore, basti dire che la produzione mondiale del 2010, al netto degli scarti di cava, è stata pari ad oltre 110 milioni di tonnellate, metà delle quali destinate ad un fiorente interscambio. Il progresso assicurato dal comparto, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto più ampio e non è alieno dal volare alto. Oggi, la progettazione più moderna e competente ha riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre ornamentali sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi di grande competitività. Vale la pena di ribadire che le economie di durata e di manutenzione dei lapidei sono tali da motivare ampiamente qualche differenza di prezzo, che sulle prime aveva suscitato talune riserve.

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In altri termini, il progresso conseguito da almeno un secolo nel modo di vivere dell’uomo contemporaneo ha trovato un fondamento significativo nella democratizzazione degli impieghi dei materiali più nobili, a cominciare dal marmo. Ciò che un tempo era riservato ad una schiera molto ristretta di fruitori ha finito per diventare accessibile quasi a chiunque: motivo di più per sottolineare come il consumo medio per abitante, che nel mondo di oggi ammonta a circa venti metri quadrati (riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2) per cento, con punte massime nell’Europa mediterranea di oltre un metro pro-capite, sia destinato ad aumentare, potenziando un trend in ascesa che è in atto da molti anni, con le sole eccezioni del 1998 e del 2009. A prescindere dall’angolatura di valutazione, marmi e pietre sono strumenti di progresso, senza dire che, come è stato rilevato in diverse manifestazioni ufficiali, sono materiali di pace. Si potrebbe aggiungere che il loro volume mondiale d’affari si colloca nell’ordine di una centesima parte rispetto a quello delle armi: questo è un altro discorso, ma soltanto in apparenza, ed in ogni caso ribadisce che le potenzialità di crescita e di sviluppo sono attuali e concrete, al di là delle fluttuazioni congiunturali della domanda.

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MADE IN Marmi e pietre di casa nostra Il ruolo lapideo del Friuli-Venezia Giulia

Le discussioni ospitate sulla stampa locale a proposito dei marmi del Carso e delle prospettive economiche di un settore dalle tradizioni millenarie hanno richiamato una doverosa attenzione sulle sorti di un’attività molto importante per la Regione Friuli-Venezia Giulia, ma troppo spesso dimenticata, tanto da risultare in forte controtendenza rispetto alla dinamica mondiale, dove nel volgere di un decennio produzione e consumi sono quasi raddoppiati, superando largamente il miliardo di metri quadrati (allo spessore convenzionale di cm. 2). Eppure, le esclusive regionali sono di consolidata fama internazionale, a cominciare dalla Pietra di Aurisina, estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata, fra l’altro, nei grandi lavori austriaci ed ungheresi dell’età asburgica, ma anche in opere nazionali come le stazioni di Milano e Tarvisio ed il Tempio Voltiano di Como. Lo stesso dicasi per il Fior di Pesco di Forni Avoltri, che ha trovato posto in tante prestigiose commesse italiane ed estere, e per altri materiali friulani di buona consistenza quanto a riserve, e di tecnologia competitiva, come Ceppo norico, Grigio carnico, Nero del Vallone, Pietra piasentina, Rosso Ramello (un materiale nel cui bacino dell’Alto Vajont fu giovane cavatore Mauro Corona, che vi ha dedicato pagine suggestive ed indimenticabili di alcuni suoi libri). Le tradizioni del Friuli-Venezia Giulia sono importanti anche dal punto di vista professionale. Basti pensare a quelle musive, che hanno trovato nuovi motivi di apprezzamento e di successo grazie all’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, unico nel suo genere: infatti, la Scuola ospita allievi che provengono da tutti i continenti, e persegue risultati di notevole significato economico, felicemente coniugati con quelli estetici. Avuto riguardo alle dimensioni del mercato internazionale ed alle risorse disponibili in Regione, sarebbe auspicabile che marmi e pietre locali possano fruire di attenzioni che ne consentano un rilancio conforme alle potenzialità, in analogia a quanto si sta facendo altrove, sia in Italia che all’estero. Ciò, sia dal punto di vista delle politiche estrattive, oggetto di troppi vincoli operativi, sia sul piano della promozione industriale e distributiva, dove gli incentivi istituzionali sono andati progressivamente in desuetudine. La critica relativa alla costante emorragia occupazionale che va compromettendo un patrimonio irripetibile è certamente da condividere, perché nel settore lapideo tecnologia e tradizione si traducono in apporti fondamentali di forza lavoro. Tuttavia, non serve lamentare il progressivo disimpegno della manodopera giovanile, oggetto dei recenti richiami a proposito prioritario delle cave carsiche, in quanto trattasi di un effetto e non di una causa. Serve, invece, sensibilizzare la volontà politica regionale in termini aggiornati e sottolineare il contributo che marmi e pietre possono portare, ancora oggi, ad uno sviluppo non effimero. c.m.

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notizie brevi

marmi e pietre nel mondo

01/2012 Dall’Italia

L’export italiano di macchine per marmo verso il Brasile cresce rapidamente. Nel 2011 sono state spedite merci per 52,9 milioni di dollari contro i 29,2 del 2010, con un aumento dell’82,1 per cento, proporzionale a quello in volume che si è ragguagliato all’ 83,2 per cento. Incentivi per lo sviluppo sperimentale sono stati messi a disposizione dell’industria italiana avanzata, a fronte di programmi d’investimento e di ricerca, nei limiti del 45 per cento delle spese riconosciute ammissibili e di un contributo massimo pari a 350 mila euro. Gli acquisti italiani di calcarei grezzi dall’Iran, relativi al 2011, hanno raggiunto 5,2 milioni di dollari e sono secondi soltanto a quelli cinesi, che peraltro, con 131,7 milioni, hanno espresso l’ 89,3 per cento delle spedizioni iraniane in valore, dirette per la quota a saldo nel resto dell’Asia. E’ stata avviata nel distretto apuano una nuova produzione di marmette modulari su misura, nel vincolo a dimensioni massime di metri 1,20 x 0,60. Le prime tipologie disponibili sono riferite a Bianco Carrara, Crema Luna e Ardesia ligure. Dall’Estero Un sondaggio locale ha evidenziato che negli Stati Uniti almeno un marmista su dieci si attende una tecnologia più efficace dai costruttori di macchine. Nondimeno, una larga maggioranza chiede soprattutto riduzioni dei prezzi e condizioni di pagamento dilazionato. In Portogallo è stato realizzato, a Pero Pinheiro, un nuovo processo per pavimenti in marmo che consente di riscaldare l’ambiente coniugando il materiale lapideo, in qualità di accumulatore, con la corrente elettrica, in qualità di energia. La produzione è già entrata nella fase industriale. Il 90 per cento degli esportatori di marmi e pietre verso il mercato cinese non si limita alla fornitura di materiale grezzo, ma spedisce anche lavorati, diversamente da quanto accadeva sino a pochi anni or sono. Peraltro, la quota maggioritaria dell’import in Cina resta quella dei blocchi. Nell’Oman, dove la crescita produttiva e trasformatrice continua, un Soggetto marmifero locale ha installato un processo di resinatura automatica, importato dall’Italia, per il risanamento preventivo delle lastre: ulteriore esempio di sviluppo e di verticalizzazione. A Bagnères de Bigorre, nel comprensorio della Francia pirenaica, si è tenuta una manifestazione promozionale di settore, con discreta importanza mediatica. L’iniziativa è stata realizzata d’intesa con il Museo lapideo e con il Gruppo associativo preposto alla sua gestione.

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Secondo valutazioni del MIA, tre quarti degli operatori lapidei statunitensi avrebbero deciso di rinviare gli investimenti produttivi, che d’altro canto avevano avuto un notevole sviluppo nel quadriennio 2005-2008.

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Bibliografia

marmi e pietre nel mondo

XXII Rapporto sul settore lapideo mondiale Comunicato stampa

La congiuntura innescata dalla crisi della grande finanza e dal regresso industriale, rapidamente estesa a buona parte dell’Occidente con proiezioni generalizzate, è stata superata di slancio nel corso del 2010, quanto meno nel settore lapideo, nonostante le sacche di ristagno che permangono in alcuni Paesi. Infatti, sia nella produzione che nell’interscambio e nei consumi sono stati conseguiti nuovi massimi mondiali, consentendo di recuperare la flessione dell’anno precedente e di porre le basi di ulteriori sviluppi. In passato, marmi e pietre si erano già distinti per un’espansione notevolmente superiore a quella dell’economia mondiale, che il biennio 2008-2009 aveva eliso in misura meno ampia della media complessiva. Lo confermano i consuntivi di lungo periodo: dal 1990 in poi, la produzione è aumentata di oltre sette punti in ragione annua e l'interscambio è cresciuto di circa il nove per cento. Nel 2010 il volume estratto e quello trasformato sono aumentati del 6,7 per cento mentre l’interscambio quantitativo si è incrementato del 18 per cento: il massimo dell’ultimo quindicennio. Alla luce di queste cifre, il bilancio del lapideo deve considerarsi ottimo, anche nei confronti di altri settori contigui. Va aggiunto, tuttavia, che l’aggregato mondiale ha potuto ascrivere risultati così importanti grazie al comportamento positivo dei Paesi asiatici ed in primo luogo della Cina, cui compete un quarto della produzione mondiale e dell’interscambio. In assoluto, la produzione mondiale del 2010 è stata pari a circa 230 milioni di tonnellate al lordo degli sfridi di cava e dei cascami di trasformazione ed ha indotto un consumo pari a 1,2 miliardi di metri quadrati equivalenti, riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2. L'impiego pro-capite, dal canto suo, è salito a 195 metri quadrati per mille unità, a fronte dei 187 del 2010 e dei 135 del 2003. Il ruolo più importante nel quadro della mondializzazione è stato svolto ancora una volta dall'interscambio, che ha raggiunto 48,5 milioni di tonnellate: tenuto conto degli apporti di grezzo e lavorato, che sono stati pari rispettivamente al 49,2 ed al 50,8 per cento del totale, a detta cifra corrispondono 716 milioni di metri quadrati equivalenti. Giova precisare che la quota del grezzo è cresciuta di cinque punti, evidenziando una modificazione strategica assai accentuata, senza pari nel ventennio precedente. Dalle cifre indicate emerge un’altra realtà significativa del lapideo: la maggioranza assoluta dei consumi mondiali, ovvero poco meno di due terzi, si riferisce a materiali estratti e spesso trasformati in Paesi diversi da quello di posa in opera. I sette maggiori produttori (nell’ordine: Cina, India, Turchia, Iran, Italia, Brasile, Spagna) hanno espresso da soli il 76 per cento dell'estrazione mondiale, superando di circa tre punti la quota del 2008 e di sette punti quella del 2005 e confermando la presenza di forti concentrazioni, che generalmente sono estese alle fasi trasformatrici ed alla distribuzione. In particolare, la Cina ha

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consolidato i suoi primati, esprimendo il 29,7 per cento della produzione mondiale. I prezzi, nei mercati maggiori, sono stati caratterizzati da una buona resistenza, ed in taluni casi, da una discreta ripresa. La stessa Cina, dove la quotazione media del prodotto finito aveva fatto registrare una costante ripresa dal 2003 in poi, per accusare una flessione di qualche rilievo nel corso del 2009, è tornata sopra i 20 dollari per metro quadrato esportato, contro i 13 del 2003 e i 17,50 del 2007. Il fenomeno, non immune da ragioni monetarie, conferma che l’avvento di una ragionevole strategia di redditività è diventato ricorrente anche nei Paesi terzi, pur dovendosi confrontare, in regime di prezzi competitivi, con mutevoli equilibri di offerta e domanda. Sul piano merceologico, il 2010 ha visto rinnovarsi la preferenza per il prodotto calcareo, la cui incidenza sul consumo mondiale si colloca intorno a tre quinti, mentre la destinazione prevalente resta quella dell’edilizia, con tre quarti degli impieghi complessivi. A proposito della Cina, va aggiunto che la sua esportazione in volume, costituita in larghissima prevalenza da prodotti finiti, lasciando ai grezzi quote marginali, è pervenuta a 12,5 milioni di tonnellate, con posizioni prioritarie e sostanzialmente monopolistiche in Corea del Sud ed in Giappone, ma con forti presenze anche negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Il volume delle spedizioni cinesi esprime un nuovo primato mondiale, avendo ascritto una crescita del 6,5 per cento in quantità e del 15 per cento in valore. Nell’ambito dei maggiori Paesi lapidei il consuntivo meno brillante, invece, è stato ascritto dall’Italia, che ha chiuso il 2010 con un aumento dell’export - netto da sottoprodotti - pari al 10,9 per cento, con cui è stata recuperata solo in parte la perdita del biennio precedente. Ciò, senza dire che tale incremento si deve in massima parte al grezzo, ed in particolare a quello calcareo salito del 20,9 per cento, mentre il prodotto finito è cresciuto di quattro punti, con una flessione di lungo periodo nell’ordine dei due quinti. Dal canto loro, le importazioni italiane hanno espresso un recupero del 6,5 per cento, a fronte di una perdita che nel triennio precedente era stata di 47 punti. In sostanza, esiste una crisi del valore aggiunto che permane, nonostante lo sviluppo della domanda mondiale. Un’attenzione specifica deve essere attirata sull’indotto ed in particolare sulle tecnologie di lavorazione (macchine e beni strumentali). Per quanto riguarda l’impiantistica, il 2010 si è chiuso con una produzione mondiale stimabile in 250 mila tonnellate, oggetto d'interscambio nella misura di due terzi, e la conferma del primato italiano, pari al 25,7 per cento nell’Unione Europea, al 36,7 per cento negli altri Paesi del Vecchio Continente ed a circa un terzo nei grandi mercati extra-europei, con posizioni maggioritarie assolute in Turchia, Egitto e Brasile. L’export italiano di macchine per marmi e pietre è pervenuto a circa 680 mila quintali con un vo-

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WORLD STONE MAGAZINE marmi e pietre nel mondo

lume d’affari per 613 milioni di euro, in aumenti rispettivi nell’ordine del 50 e del 56 per cento, che hanno permesso di recuperare largamente i regressi del 2009, contabilizzati nel 29,8 e nel 33,7 per cento. E’ stato positivo anche il bilancio del valore medio per unità di prodotto, salito a 898 euro/ quintale (non lontano dal massimo del 2008), con una rivalutazione del 3,2 per cento. Il consuntivo della tecnologia italiana è completato dai beni strumentali, fra cui primeggiano abrasivi e utensili diamantati, le cui esportazioni in valore hanno dato luogo ad un fatturato nell’ordine dei 200 milioni. La movimentazione internazionale è stata caratterizzata, come in passato, da una larga e logica prevalenza dei mezzi navali, con qualche problema collegato alle disponibilità. Anche per questo, c’è stato un ulteriore recupero dei trasporti ferroviari, sia a breve che a lungo raggio (ad esempio, negli approvvigionamenti cinesi di grezzi provenienti dall’Europa settentrionale), mentre il numero di quelli su strada, spesso complementari ai primi due, è cresciuto in misura sostanzialmente proporzionale alle produzioni di grezzi e manufatti, con una stima pari a circa 38 milioni di carichi e scarichi. Quanto ai prodotti concorrenti, guidati dalla ceramica e dal gres porcellanato, la loro disponibilità complessiva in termini quantitativi (otto miliardi e mezzo di metri quadrati) ha superato di circa sette volte quella dei lapidei, senza apprezzabili variazioni ponderali nei confronti degli anni precedenti, sottolineando la permanenza di notevoli prospettive di crescita per marmi e pietre, in specie se supportate da un'adeguata politica promozionale capace di ottimizzarne il consumo, tuttora limitato nel riferimento pro-capite nonostante talune iniziative di buon impatto come quelle del Marchio europeo di qualità e dei premi di architettura. L'esame differenziato per Paesi dimostra che lo sviluppo del mondo lapideo è governato da processi assai variabili: se gli aumenti maggiori sono stati conseguiti dalla Cina ed in misura più contenuta da altri produttori asiatici, anche in Europa non sono mancati apprezzabili recuperi come quelli di Grecia, Spagna e Portogallo, dove il settore lapideo ha dimostrato una specifica idoneità ad elidere gli effetti di una congiuntura economica che in questi Paesi resta molto difficile. Consuntivi di segno positivo sono stati registrati anche in Turchia, sebbene la sua crescita sia stata indotta soprattutto dalle spedizioni di grezzi calcarei verso il mercato cinese, mentre la ripresa dell’export di manufatti in quello statunitense è stata circoscritta, restando assai lontana dai massimi storici. Al pari di quanto è accaduto in Italia, in Egitto ed in altri Paesi produttori, la domanda di grezzo da parte della Cina è aumentata in modo impetuoso condizionando, in Turchia ancor prima che altrove, la politica del valore aggiunto.

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Un caso di buon recupero è quello del Sudafrica, dove i caratteri cromatici del granito domestico e quelli della domanda internazionale propensa all’acquisizione di colori accesi ed a ritrovate attenzioni per marmi e travertini si sono coniugati con la tradizionale politica di valorizzazione della qualità e dei volumi estratti, le cui destinazioni prevalenti, diversamente da quanto accade altrove, hanno continuato ad interessare l’Europa ed in modo particolare l’Italia. I prezzi del manufatto continuano ad essere notevolmente diversi da un Paese all’altro, con quotazioni medie dell’export che vanno dai 43,50 euro/mq. dell’Italia ai 27,70 della Spagna, ai 26,40 del Portogallo ed al minimo di 14,70 della Cina (previa conversione in base al cambio medio dell’esercizio). In particolare, la quotazione italiana è riuscita ad incrementarsi del due per cento, mentre quella dei Paesi iberici è diminuita: da questo punto di vista, si può dire che la qualità sia stata premiata. Sul fronte dell’import, invece, i valori più alti per unità di prodotto sono stati spuntati nell’Europa occidentale (con un massimo assoluto in Svizzera) ed in Giappone, mentre il mercato statunitense è riuscito a recuperare in parte quasi minima gli effetti del ristagno precedente: infatti, il valore unitario dei lavorati in arrivo si è attestato su 38,90 dollari al metro quadrato equivalente contro i 37,50 dollari del 2009, con un aumento del 3,7 per cento, dovuto, tra l’altro, al mix importato di qualità più corrente e di minor valore aggiunto. Debbono essere esaminate, infine, le prospettive di sviluppo della produzione e dell'interscambio. In entrambi i casi, le previsioni, pur improntate a criteri opportunamente prudenziali rivenienti dall’estrapolazione delle serie storiche e da uno scontato incremento demografico seguito da quello dell’edilizia, sono favorevoli, tanto che nel 2020 il volume dei lapidei di pregio estratti nel mondo dovrebbe salire a circa 114 milioni di tonnellate lorde, con un impiego pari a 2,1 miliardi di metri quadrati equivalenti, mentre il quantitativo oggetto di scambio internazionale andrebbe a definirsi in 1,4 miliardi di metri quadrati. Potrebbero sembrare cifre improbabili, ma risultano di gran lunga inferiori a quelle raggiunte dalla ceramica nel citato consuntivo per il 2010. E' fondato presumere che il "trend" del comparto lapideo mondiale, superata la strozzatura indotta dal ristagno precedente, possa riprendere con un tasso conforme a quello di lungo periodo, iterato nel 2010; si porranno, tuttavia, maggiori problemi di creazione delle infrastrutture, di adeguamento impiantistico e di collocazione degli sfridi, a tutti i livelli nazionali e regionali, ma prima di tutto, in un’ottica globale. Si tratta di problemi da affrontare tenendo conto del ruolo decisivo degli investimenti e della necessità di potenziarli sul piano aziendale attraverso adeguati incentivi. Ciò, sia per il momento produttivo, sia per quello della comunicazione e della promozione, con attenzioni particolari per la questione degli scarti, le cui difficoltà di stoccaggio e di compatibilità ambientale vanno creando strozzature divergenti dalla logica dello sviluppo. Il settore lapideo, come si va rilevando da tempo, è contraddistinto da contenuti professionali molto alti e dalla possibilità di creare posti di lavoro con mezzi finanziari limitati, tanto che da oltre un trentennio è stato ritenuto ufficialmente idoneo ad avviare processi di espansione laddove altri comparti non potrebbero esprimere analoghe capacità strategiche e tattiche. Se non altro per questo, ha diritto ad essere oggetto di consapevoli attenzioni, sia nei Paesi terzi, dove costituisce un’occasione importante di incremento del valore aggiunto, sia in quelli maturi, dove si traduce in aggregati di notevole importanza dal punto di vista economico e sociale. editrice@yahoo.it carlomontani@alice.it

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