WORLD STONE MAGAZINE - 2

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N 2 - 20012

WORLD STONE MAGAZINE marmi e pietre nel mondo


sommario

Editoriale

Pietra e memoria

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AttualitĂ

Arresti eccellenti in India

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Economia

Marmo e pietra: garanzia di sviluppo

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Marketing

XXIII Rapporto annuale di settore

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Speciale

Materiali del Friuli Venezia Giulia

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Tecnica

Pietre antichizzate

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Grandi lavori

Marmo italiano per la Freedom Tower

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Focus

Marmo in fiore

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Manutenzione

Restauro strutturale e scelta dei materiali

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Storia

I marmi del Partenone

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Cultura

La pietra nella Bibbia

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Bibliografia

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editoriale / Pietra e memoria Definire speciale il prodotto lapideo come spesso avviene, è piuttosto riduttivo, sebbene marmi, graniti ed altre pietre abbiano tutto il diritto a tale qualifica: se non altro, per la capacità di conservare una tecnologia straordinaria attraverso milioni di anni e di consegnare all’uomo il valore civile della memoria. In effetti, questi materiali sono protagonisti del divenire, e testimonianze di una suggestiva storia geologica veramente mondiale attraverso fossili ed inclusioni di esseri viventi primordiali, spesso estinti, ma nello stesso tempo hanno svolto una funzione insostituibile quale strumento di comunicazione: senza i messaggi posti sulla pietra molte informazioni sarebbero andate perdute, mentre possono rivivere negli oggetti, nei sarcofaghi, nei monumenti celebrativi, e dare notizie altrimenti irreperibili sulla grande storia. Oggi, il ruolo della comunicazione è diventato ancora più importante, valorizzando ulteriormente l’impiego della pietra, agevolato oltre ogni aspettativa dall’avanzamento tecnologico. Si pensi all’arredo urbano ed alla dotazione degli spazi verdi con elementi strutturali in marmo od in granito, tra cui le panchine, le fontane, e persino talune realizzazioni ludiche per grandi e piccoli, arra di serenità o di gioia, come gli scivoli, le scacchiere (sulla falsariga di quella celeberrima di Marostica) ed altri giuochi all’aperto, senza contare i pavimenti e le varie parti di uso comune. Anche questo è un contributo alla memoria delle ore liete, sia pure di breve periodo, ed al perseguimento di uno stile di vita dalla dimensione umana, la cui esigenza è sempre più avvertita. Siffatte utilizzazioni del lapideo, a cui si aggiungono quelle funerarie, in cui la pietra finisce per perdere il carattere strumentale e per assumere quello simbolico diventando materia strettamente coesa al ricordo, ne fanno un prodotto che non ha più alcuna valenza asettica e statica. Al contrario, assume un contenuto vivo e pieno di energia, ispirandosi, per questo aspetto, ad alcuni grandi capolavori dell’arte plastica ed alla grande suggestione del moto contenuto. E’ inutile aggiungere che queste realizzazioni hanno bisogno di una progettazione intelligente e duttile in cui l’esigenza pratica vada al passo con quella decorativa, e di un’esecuzione professionalmente impegnata, affidata a laboratori in grado di tagliare a misura i pezzi speciali della struttura o del mosaico; a squadre di posatori competenti e scrupolosi; e laddove necessario, a scalpellini capaci di coniugare al meglio tecnica e fantasia. Si tratta di creare, nella sostanza delle cose, infrastrutture di pubblico servizio a disposizione dei cittadini, e quindi di promuovere, assieme a realizzazioni conformi allo stato dell’arte, una gestione ed una manutenzione ottimali, nella generalità dei casi a carico di una pubblica Amministrazione. E’ un compito importante, sia nell’ottica della memoria, sia nell’esigenza non soltanto culturale di richiamare la comune sensibilità all’apprezzamento concreto di materiali come marmi e pietre, autentici e genuini per eccellenza, espungendo sacche tuttora diffuse di confusione, incertezza e disinformazione. Ancora una volta, il lapideo, grazie ad impieghi esclusivi di buona rilevanza anche sul piano quantitativo oltre che su quello del valore, può dimostrare l’idoneità a perseguire scopi funzionali e decorativi, e nello stesso tempo, obiettivi di sviluppo tanto più attuali in una congiuntura non facile come quella odierna. Pensare che opere progettuali e professionali di livello come quelle in questione possano perseguire felicemente il miglioramento degli stili di vita e dare un buon contributo alla memoria delle future generazioni, è certamente suggestivo, e costituisce una prerogativa che appartiene soltanto alla pietra, ma che proprio per questo è da coltivare e da valorizzare compiutamente.

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attualità Interventi settoriali nel mondo Arresti eccellenti in India

Il settore del marmo e della pietra è stato sempre caratterizzato da spunti di conservazione, talvolta accentuati, ma ora qualcosa comincia a muoversi. Secondo notizie diffuse in occasione della fiera di Verona, l’industria lapidea indiana è stata messa a soqquadro dall’arresto di alcuni operatori che vanno per la maggiore, accusati di escavazione illegale: è una novità importante, da un lato perché l’India non ha mai brillato quanto a tutela dei diritti, tra cui quelli della manodopera giovanile troppo spesso sacrificati, e dall’altro perché il provvedimento riguarderebbe circa metà del volume prodotto, con ovvie ripercussioni sul mercato internazionale. Gli arresti hanno interessato 23 persone appartenenti a quattro Gruppi di significativa importanza, ed i capi d’imputazione sono stati piuttosto articolati, spaziando dal danneggiamento degli equilibri idro-geologici dei bacini estrattivi alla violazione delle norme di legge per l’attività di cava, ed alle carenze rilevate persino sui mezzi di trasporto dei blocchi. Le Aziende interessate, a fronte del provvedimento adottato verso la fine della scorsa estate, hanno presentato le proprie controdeduzioni difensive, e quindi converrà attendere la fine delle analisi istruttorie prima di esprimersi in termini obiettivi, ma ciò che preme sottolineare è il segnale che proviene da uno Stato leader in campo lapideo (la produzione indiana è seconda soltanto a quella della Cina), appartenente ad un’area come quella del sud asiatico dove la libertà d’intrapresa è stata interpretata, tradizionalmente, in modo assai ampio. Quanto accade in India non sorprende più di tanto. Lo Stato si era già mosso adottando misure parzialmente protezioniste a fronte dell’importazione crescente di blocchi calcarei, e segnatamente di marmo bianco, nonostante le opposizioni di taluni trasformatori locali. Prima ancora, aveva riconosciuto l’importanza strategica del comparto, equiparando l’attività estrattiva della pietra a quella dei minerali di prima categoria, in quanto idonei ad avviare processi di sviluppo in distretti carenti di alternative. Le novità obiettivamente innovatrici che hanno dato luogo ad un naturale “effetto domino” di non trascurabile impatto nell’interscambio lapideo, inducono qualche spunto di meditazione anche nei Paesi sviluppati, e segnatamente in Italia, dove la certezza del diritto è un fattore elastico, sia per la farragine di legislazioni sovrapposte, sia per la ricorrenza di interpretazioni opinabili e talora punitive. Occorrono, invece, una pianificazione efficace ed effettiva, soprattutto a livello regionale, viste le norme costituzionali circa le competenze in materia; e indicazioni chiare su quanto sia lecito o meno, in modo da garantire l’attività delle imprese e da sanzionare con misure adeguate i comportamenti contrari alla legge. Non gettare via il bambino insieme all’acqua sporca è un imperativo ovvio, ma nello stesso tempo

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è inammissibile che leggi e regolamenti vengano sacrificati sull’altare di un malinteso buonismo. Gli avventurieri della pietra debbono essere richiamati all’ordine senza se e senza ma, come è accaduto in India, ma la grande maggioranza delle aziende in regola ha diritto di operare senza vincoli impropri. Carlo Montani

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economia Marmo e pietra: garanzia di sviluppo Nel Convegno di Verona per la presentazione del XXIII Rapporto lapideo mondiale (26 settembre 2012), la specifica idoneità del settore ad avviare politiche di sviluppo dove altre industrie non potrebbero contare su analoghe opzioni e prospettive, è stata ulteriormente ribadita, confermando pareri espressi da tempo in sedi particolarmente qualificate, iniziando dall’ONU, con apposita Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, ed aveva deliberato di costituire la Federazione internazionale del settore con lo scopo prioritario di promuovere uno sviluppo organico del comparto (1964). Oggi, sono tanti i comprensori, o meglio i Paesi in cui la valorizzazione di questa importante risorsa naturale ha permesso di conseguire risultati occupazionali e sociali di buona consistenza: non a caso, la forza lavoro impiegata nel lapideo a livello mondiale avrebbe raggiunto, secondo stime attendibili, 18 milioni di unità. Lo sviluppo del settore, superiore a quello dell’economia mondiale globalmente considerata, ha tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura non inferiore dal forte avanzamento tecnologico: due fattori che, come si è rilevato a Verona, hanno fatto la differenza. Ciò, sebbene in diversi Paesi la politica di ricerca sia tuttora limitata (soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio e dei suoi giacimenti suscettibili di valorizzazione è davvero esaustiva, come in alcuni Stati europei, in Arabia Saudita od in Turchia), facendo presumere che altre importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione industriale. La crescita è stata esponenziale in parecchi casi. Del resto, negli ultimi 15 anni la produzione ed i consumi mondiali sono sostanzialmente raddoppiati, mentre autorevoli ed approfondite indagini scientifiche, come quelle svolte dal Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Siena, hanno evidenziato che il volume di marmi e pietre scavati nel mondo dal 1950 in poi è stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti, nella loro espressione globale. In questa ottica, non è fuori luogo affermare che il settore lapideo svolge un ruolo strategico, alla stregua di quanto è stato riconosciuto ufficialmente in diversi Paesi. Le sue dimensioni sono diventate importanti anche sul piano dei consumi, e naturalmente, su quello dell’interscambio. La produzione mondiale del 2011, al netto degli scarti di cava, è stata pari ad oltre 115 milioni di tonnellate, metà delle quali destinate ad un fiorente movimento di export ed import; ed il consumo è pervenuto a circa 1,3 miliardi di metri quadrati equivalenti, allo spessore convenzionale di cm. 2.

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Il progresso garantito dal comparto, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto più ampio ed investe la sfera culturale. Infatti, la progettazione “ha riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre ornamentali sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi” di grande significatività. Non è male rammentare che le caratteristiche di durata e di manutenzione dei lapidei sono tali da motivare qualche differenza di prezzo, in un’ottica di competitività per quanto riguarda il rapporto fra costi e prestazioni. Il forte avanzamento della “way of life” raggiunto nel modo di vivere, e tuttora in crescita, ha trovato un fondamento significativo nella “democratizzazione degli impieghi dei materiali più nobili, a cominciare dal marmo”. Ciò che un tempo era prerogativa di pochi eletti è diventato accessibile da parte di un consumo assai più ampio: non a caso, l’impiego medio pro-capite. che nel mondo di oggi ammonta a 200 metri quadrati per mille, con punte massime nell’Europa mediterranea (ma anche in Corea del Sud od a Taiwan) di oltre un metro quadrato a testa, è destinato ad aumentare, sviluppando ulteriormente, come è stato puntualizzato nel Convegno di Verona, una tendenza positiva globale in atto da molti anni.

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marketing Marmo nel mondo

XXIII Rapporto annuale di settore Il Rapporto sul settore lapideo nel mondo - comprensivo del suo indotto - è giunto alla XXIII edizione, che è stata presentata a Verona il 26 settembre 2012, durante la XLVII Fiera Marmo Macchine. Ciò, nel corso di un apposito convegno presieduto dal Prof. Daniele Canali e caratterizzato da un ampio dibattito in cui sono intervenuti, tra gli altri, il Presidente onorario di Confindustria Marmo - Macchine Dr. Flavio Marabelli ed il Direttore Generale Arch. Raimondo Lovati; il Prof. Nicola Careddu, docente di Geo - Ingegneria e tecniche ambientali all’Università di Cagliari; il Consigliere della Società Campolonghi Italia Dr. Giuliano D’Angiolo; il Vice Segretario Generale della China Stone Association Ing. Deng Hui Qing; il Dr. Cid Chiodi Filho di Abirochas Brasil; il Dr. Giacomo Porro, Contitolare di Consulting Service for Dimension Stone; il Dr. Gianfranco Lazzaroni per l’Associazione Marmisti Lombardi; la Dott.ssa Monica Gussoni, Responsabile dell’Ufficio Studi di IMM Carrara. Uscito per iniziativa della Casa di Edizioni Aldus, lo studio, al pari dei precedenti Rapporti annuali, è opera di Carlo Montani, economista del settore, e consente di fare il punto su produzione, interscambio, consumi e prospettive a medio termine, non senza approfondire le modificazioni strutturali intervenute in misura accelerata ed innovativa rispetto alle vischiosità storiche, cambiando i vecchi rapporti di forza con escursioni di grande ampiezza, spesso irreversibili. E’ consuetudine valutare i dati di consuntivo nelle loro espressioni a breve, ma l’analisi di lungo periodo posta a base del Rapporto, il cui monitoraggio ufficiale ha raggiunto il nuovo massimo di cento Paesi, assume importanza determinante nel quadro di un esame politico-economico del comparto, della sua storia e delle sue prospettive. Rispetto all’epoca del primo Rapporto (1990), la produzione mondiale in volume è aumentata di circa quattro volte, con un tasso annuo del 13,6 per cento: ciò, alla luce di una domanda in forte crescita supportata da uno sviluppo tecnologico straordinario e dalla strategia di valorizzazione delle risorse locali, affermatasi in diversi Paesi terzi. L’attività estrattiva e trasformatrice del lapideo ha ascritto un’espansione notevolmente superiore a quella del sistema economico globale ed il materiale prodotto, netto da detriti e scarti di cava, ha raggiunto un volume grezzo nell’ordine dei 43 milioni di metri cubi. L’interscambio, consolidando il carattere di struttura portante del settore, è pervenuto ad oltre 49,5 milioni di tonnellate (metà dei quali costituiti da un prodotto finito equivalente a 730 milioni di metri quadrati riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2) con un aumento superiore a quello della produzione, nell’ambito di un trend in costante ascesa eliso soltanto marginalmente dalla flessione del 2009. Il giro d’affari corrispondente è valutabile in circa 18 miliardi di dollari, cinque

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dei quali esportati dalla sola Cina, ed ha fatto registrare un aumento del 236 per cento rispetto al 2001, contro il 105 per cento di quello in volume. Il consumo lapideo mondiale è salito a 1.265 milioni di metri quadrati equivalenti e nel corso dell’ultimo decennio ha ascritto una crescita media ponderata pari al 7,8 per cento in ragione annua. L’impiego medio “pro-capite” ha superato per la prima volta la quota di 200 metri quadrati per mille, in aumento del 7,2 per cento nei confronti del 2001. Il Rapporto esprime valutazioni mondiali che possono compendiarsi nella permanenza di diffusi aspetti positivi, estesi alle tecnologie ed ai beni di consumo, pur nelle differenze strutturali tipiche della loro domanda. Le ipotesi di evoluzione del ciclo economico sono improntate ad un cauto ottimismo, con proiezioni al 2020 che assommano ad almeno due miliardi di metri quadrati per la produzione ed il consumo; e con incrementi sostanzialmente proporzionali per la fabbricazione ed il commercio di macchine e consumabili. Preso atto della crescita impetuosa rilevata nei Paesi in via di sviluppo e segnatamente in Cina che oggi vanta una produzione nell’ordine dei 36 milioni di tonnellate ed un’incidenza del 31 per cento sul volume mondiale contro il quattro per cento del 1989 - è congruo attirare attenzioni specifiche sulle condizioni dell’Italia (unico grande protagonista in controtendenza), il cui vecchio primato produttivo appartiene alla storia: ormai, la sua estrazione è stata superata, prima dalla stessa Cina, e dopo, anche da India, Turchia ed Iran. L’Italia è riuscita a conservare, sia pure tra crescenti difficoltà, il livello estrattivo del 1989, con circa 7,5 milioni di tonnellate, ma il suo “share” è sceso da un quarto del totale (e da una precedente leadership ancora più forte) all’odierno 6,5 per cento. Nell’export, il consuntivo italiano è conforme a quello della produzione: il volume del 2011 ha superato di 18 punti quello di venti anni orsono, ma evidenziando un forte calo nel corso dell’ultimo decennio, pari a poco meno di 16 punti. Un decremento non meno vistoso è stato espresso dall’import, con una riduzione del 30 per cento rispetto al 2001: trattandosi in larga prevalenza di grezzi, ciò si è tradotto in una conseguente perdita di attività trasformatrice e di valore aggiunto. Non a caso, l’occupazione è scesa, a sua volta, di oltre un quinto, con un abbattimento annuo superiore al punto percentuale, pur confermando quale residuo punto di forza uno storico primato nella produttività del lavoro e nella professionalità. L’incidenza dell’export lapideo italiano in valore su quello complessivo si è progressivamente

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ridotta scendendo dal 6,9 per mille del 2001 al 4,2 per mille del 2011, sottolineando, quali misure anticicliche di maggiore impatto, l’urgenza di un efficace accesso al credito, idoneo al rilancio degli investimenti, un’azione promozionale più incisiva e competitiva con quelle altrui, e quindi, il ripristino di una volontà politica capace di comprendere attivamente il ruolo strategico del comparto, su cui tutti gli intervenuti hanno convenuto. Condizioni migliori, per quanto riguarda l’Italia, riguardano il comparto delle tecnologie settoriali, con riferimento prioritario alle macchine il cui export del 2011 è pervenuto a circa 830 mila quintali ed a 670 milioni di euro, con aumenti rispettivi del 45 e del 63,8 per cento rispetto al 2001; ed una quota del mercato europeo pari, con tre quarti del volume, a quasi due terzi del valore. Lo stesso dicasi per i beni strumentali, nel cui ambito il fatturato estero dell’Italia ha raggiunto, sempre nel 2011, il nuovo massimo con circa 235 milioni. Pertanto, il totale delle tecnologie esportate, avuto riguardo anche ad alcune componenti integrative, assomma a circa un miliardo di euro. Al di là dei miglioramenti ascritti nel primo semestre del 2012, con particolare riguardo all’export (in ripresa di sette punti nel giro d’affari), l’aggregato italiano di settore deve acquisire, soprattutto nella componente lapidea, una consapevolezza critica più matura dei suoi limiti e delle sue opportunità, a cominciare da quelle in materia di investimenti produttivi e promozionali: la chiave di volta per una ripresa efficace e per una crescita conforme alle ampie potenzialità del mercato.

XXIII Rapporto Marmo e Pietre nel mondo - XXIII Stone Report in the World Casa di Edizioni Aldus, Carrara 2012, pagg. 264 136 tavole fuori testo, www.marbleintheworld.com

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speciale Materiali del Friuli Venezia Giulia

marmi e pietre nel mondo

Oggi, le maggiori produzioni mondiali di marmi e pietre sono appannaggio dei nuovi leader: nell’ordine di prevalenza quantitativa, Cina, Turchia, India e Brasile. Quanto all’Italia, il cui primato mondiale era stato indiscusso fino agli anni settanta del secolo scorso, la sua quota è andata progressivamente riducendosi, pur avendo conservato cifre apprezzabili in valore assoluto e soprattutto, referenze qualitative e professionali tuttora indiscusse. Attualmente, il suo volume estratto si colloca intorno a 7,5 milioni di tonnellate, cui corrispondono, in termini di prodotto finito, 60 milioni di metri quadrati. L’Italia, che è rimasta leader nel settore delle tecnologie (macchine e beni strumentali) conserva alcune esclusive di valore mondiale tuttora apprezzate dai mercati, in specie nella fascia alta (Bianco di Carrara, Botticino di Brescia, Perlato di Sicilia, Porfido di Trento, Travertino di Tivoli), e dispone di parecchie riserve interessanti, distribuite in tutto il territorio. Il Friuli Venezia Giulia non fa eccezione, con materiali di fama internazionale come la Pietra del Carso (Aurisina), estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata intensivamente a far tempo dai grandi lavori dell’età asburgica, come la Hofburg, il Parlamento di Vienna e quello di Budapest; od il Fior di Pesco Carnico (Forni Avoltri), la cui escavazione risale agli anni venti del secolo scorso, con impieghi di grande prestigio nell’architettura italiana ed estera, dalla stazione fiorentina di Santa Maria Novella all’Empire State Building di Nuova York. Si tratta di referenze confermate dall’alto livello delle progettazioni e da un’ampia bibliografia. Lo sviluppo dell’industria lapidea friulana e giuliana, ed in particolare di quella trasformatrice, è stato inferiore alle potenzialità, essendo mancata una strategia di verticalizzazione conforme a quelle di altre Regioni, prime fra tutte Toscana, Veneto e Lombardia. In altri termini, la coltivazione di molti grezzi ha finito per alimentare segherie e laboratori altrui, sacrificando la politica del valore aggiunto in cui si colgono le maggiori opportunità di sviluppo. Parecchi materiali di buon livello tecnologico, e di buona consistenza in specie quanto a riserve accertate, attendono tuttora una valorizzazione meno episodica, ed in alcuni casi, il ripristino di attività sospese da tempo (Ceppo Norico, Grigio Carnico, Grigio di Clauzetto, Nero del Vallone, Pietra Piasentina, Rosa Alhambra, Rosso Porfirico, Rosso Ramello). Già dagli anni settanta erano stati predisposti programmi regionali di sviluppo settoriale che non hanno avuto seguito, da un lato per le difficoltà d’investimento indotte da strozzature nel credito e nelle infrastrutture, e dall’altro per il progressivo abbandono delle iniziative di promozione da parte del momento istituzionale. Tuttavia, nell’attuale congiuntura è congruo pensare alle risorse del territorio come alternative di rilievo socio-economico tanto più credibili alla luce di una forte domanda internazionale e di un rapporto competitivo fra investimenti e occupazione.

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Le tradizioni del Friuli Venezia Giulia in campo lapideo sono importanti anche dal punto di vista professionale. Ad esempio, quelle musive, che continuano tuttora nell’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, preposto alla formazione di allievi provenienti da tutto il mondo, hanno un rilievo di notevoli potenzialità economiche, non disgiunte da un significativo impatto artistico. In questa ottica è ragionevole auspicare che il settore possa fruire anche in Friuli Venezia Giulia di attenzioni funzionali al suo rilancio, in analogia a quanto si sta facendo altrove, avuto riguardo alle incidenze del marmo e della pietra sull’occupazione industriale e sul valore dell’esportazione, che in Italia si collocano su massimi mondiali.

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tecnica

marmi e pietre nel mondo

Pietre antichizzate

Le soluzioni dei problemi di manutenzione della pietra, anche se ottimali, non hanno risolto una questione di compatibilità estetica, o per meglio dire, di “accompagnamento” fra materiali originali e sostitutivi. Un esempio emblematico è quello dei restauri del Partenone ateniese, dove i nuovi conci in marmo bianco dell’Attica evidenziano un candore quasi abbagliante a fronte della struttura plurisecolare opacizzata dallo scorrere del tempo: eppure, la cava di provenienza è stata rigorosamente controllata per garantire l’identità dell’impiego, e come se non bastasse, è stata supportata dall’analisi petrografica. Negli stessi lavori di ordinaria amministrazione non è agevole procedere alla sostituzione di qualche pezzo, non tanto per ragioni di tempi e di costi, quanto per la difficoltà di garantire la continuità cromatica della fornitura, in specie quando si tratta di marmi colorati il cui aspetto può essere mutevole, anche nella stessa cava, in funzione dei caratteri del giacimento. La possibilità di assimilare le pietre nuove a quelle antiche, o comunque d’epoca, intende sopperire a questa esigenza, che l’affinamento del gusto ed il progresso tecnico hanno reso sempre più avvertita. I primi tentativi di introdurre siffatto trattamento offrirono subito risultati esteticamente apprezzabili per mezzo della cosiddetta “acidatura” cloridrica, che peraltro è stata del tutto abbandonata, in quanto pericolosa, ed alla lunga, dannosa per la stessa compattezza e resistenza del materiale. Una buona alternativa è offerta dalla “sabbiatura”, che, come è implicito nella denominazione, consiste nel dirigere un forte getto di sabbia o di polvere di marmo sulla superficie lapidea da invecchiare, in modo che presenti abrasioni e striature simili a quelle di una lunga esposizione agli agenti atmosferici. Ne è scaturita una ricerca applicata specialistica, al servizio di una committenza sensibile ad innovazioni del decoro interno e dello stesso arredamento in chiave “antichizzata”, cui hanno fatto seguito processi appositamente programmati, come quello che prevede di inserire le marmette od i tozzetti in contenitori rotanti, definiti “tamburlani” nel linguaggio corrente: tecnica di sicuro effetto estetico, ma col grave difetto di essere troppo energica, e di comportare un volume abnorme di sfridi. La soluzione, alla fine, è stata trovata nella “vibrofinitura”, che consiste nell’adozione di un’apposita vasca dotata di movimento regolabile, in cui i pezzi da trattare vengono caricati per il contatto temporizzato con abrasivi presenti all’interno della macchina. Il processo si effettua rigorosamente ad umido, con una durata che nella norma oscilla fra 20 e 60 minuti, in modo da ottenere sul manufatto i contrassegni tipici dei materiali antichi. L’attrito sulla superficie lapidea è calibrato, e permette di ridurre sensibilmente gli sfridi, sia per i tempi ridotti di lavorazione, sia per l’effetto di salvaguardia, in specie di spigoli e bordi, determinato dalla presenza dell’umido. Si deve aggiungere che le tecniche di “anticatura” hanno trovato utile e frequente applicazione nei lavorati calcarei di formato compatibile, ma anche nella valorizzazione degli scarti, programmandone arrotondamenti funzionali, rilanciando l’uso delle palladiane, e contribuendo a promuovere soluzioni moderne di

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un problema come quello dei cascami, uno dei maggiori “bottlenecks” con cui l’industria lapidea contemporanea si deve confrontare. La materia, peraltro, è oggetto di ricerche e di possibili ulteriori avanzamenti tecnologici, per cui non si può certo escludere che sia destinata ad ulteriori innovazioni significative.

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grandi lavori Marmo italiano per la Freedom Tower

marmi e pietre nel mondo

Spunti di ripresa nella domanda internazionale

Oggi, le maggiori produzioni mondiali di marmi e pietre sono appannaggio dei nuovi leader: nell’ordine di prevalenza quantitativa, Cina, Turchia, India e Brasile. Quanto all’Italia, il cui primato mondiale era stato indiscusso fino agli anni settanta del secolo scorso, la sua quota è andata progressivamente riducendosi, pur avendo conservato cifre apprezzabili in valore assoluto e soprattutto, referenze qualitative e professionali tuttora indiscusse. Attualmente, il suo volume estratto si colloca intorno a 7,5 milioni di tonnellate, cui corrispondono, in termini di prodotto finito, 60 milioni di metri quadrati. L’Italia, che è rimasta leader nel settore delle tecnologie (macchine e beni strumentali) conserva alcune esclusive di valore mondiale tuttora apprezzate dai mercati, in specie nella fascia alta (Bianco di Carrara, Botticino di Brescia, Perlato di Sicilia, Porfido di Trento, Travertino di Tivoli), e dispone di parecchie riserve interessanti, distribuite in tutto il territorio. Il Friuli Venezia Giulia non fa eccezione, con materiali di fama internazionale come la Pietra del Carso (Aurisina), estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata intensivamente a far tempo dai grandi lavori dell’età asburgica, come la Hofburg, il Parlamento di Vienna e quello di Budapest; od il Fior di Pesco Carnico (Forni Avoltri), la cui escavazione risale agli anni venti del secolo scorso, con impieghi di grande prestigio nell’architettura italiana ed estera, dalla stazione fiorentina di Santa Maria Novella all’Empire State Building di Nuova York. Si tratta di referenze confermate dall’alto livello delle progettazioni e da un’ampia bibliografia. Lo sviluppo dell’industria lapidea friulana e giuliana, ed in particolare di quella trasformatrice, è stato inferiore alle potenzialità, essendo mancata una strategia di verticalizzazione conforme a quelle di altre Regioni, prime fra tutte Toscana, Veneto e Lombardia. In altri termini, la coltivazione di molti grezzi ha finito per alimentare segherie e laboratori altrui, sacrificando la politica del valore aggiunto in cui si colgono le maggiori opportunità di sviluppo. Parecchi materiali di buon livello tecnologico, e di buona consistenza in specie quanto a riserve accertate, attendono tuttora una valorizzazione meno episodica, ed in alcuni casi, il ripristino di attività sospese da tempo (Ceppo Norico, Grigio Carnico, Grigio di Clauzetto, Nero del Vallone, Pietra Piasentina, Rosa Alhambra, Rosso Porfirico, Rosso Ramello). Già dagli anni settanta erano stati predisposti programmi regionali di sviluppo settoriale che non hanno avuto seguito, da un lato per le difficoltà d’investimento indotte da strozzature nel credito e nelle infrastrutture, e dall’altro per il progressivo abbandono delle iniziative di promozione da parte del momento istituzionale. Tuttavia, nell’attuale congiuntura è congruo pensare alle risorse del territorio come alternative di rilievo socio-economico tanto più credibili alla luce di

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una forte domanda internazionale e di un rapporto competitivo fra investimenti e occupazione. Le tradizioni del Friuli Venezia Giulia in campo lapideo sono importanti anche dal punto di vista professionale. Ad esempio, quelle musive, che continuano tuttora nell’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, preposto alla formazione di allievi provenienti da tutto il mondo, hanno un rilievo di notevoli potenzialità economiche, non disgiunte da un significativo impatto artistico. In questa ottica è ragionevole auspicare che il settore possa fruire anche in Friuli Venezia Giulia di attenzioni funzionali al suo rilancio, in analogia a quanto si sta facendo altrove, avuto riguardo alle incidenze del marmo e della pietra sull’occupazione industriale e sul valore dell’esportazione, che in Italia si collocano su massimi mondiali.

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focus

marmi e pietre nel mondo

Marmo in fiore

Gli utilizzi del materiale lapideo si estendono ad un ventaglio particolarmente ampio, di gran lunga superiore a quello altrui. Ciò significa che marmi, graniti e pietre posseggono una versatilità specifica che diventa un fattore di successo tanto più importante in un momento di bassa congiuntura come quello da cui è caratterizzata la nostra epoca, soprattutto in Europa. La XLVII Fiera di Verona dello scorso settembre ha ribadito la propria riconosciuta leadership per avere proposto alla comune attenzione tanti impieghi prestigiosi e diversificati, oggetto, non a caso, di significativi riconoscimenti; ma non è stata da meno nel portare alla ribalta talune realizzazioni in apparenza minori, eppure ugualmente degne di nota, se non altro dal punto di vista umano e civile. E’ il caso dei “fiori di marmo” prodotti da una piccola azienda artigiana dell’isola di Brazza (Spalato), tanto più apprezzabili, in quanto provenienti esclusivamente dagli scarti di estrazione e lavorazione. Il problema dei detriti di cava e laboratorio, uno dei maggiori nel comparto lapideo mondiale, non sarà risolto da queste produzioni “gentili” necessariamente limitate sul piano quantitativo, ma il segnale merita di essere sottolineato, perché dimostra che la fantasia e la professionalità del marmista costituiscono tuttora un valore aggiunto degno di essere conosciuto e valorizzato. Il fiore di marmo, disegnato e progettato in grandezze e dimensioni diverse, è idoneo ad inserirsi nell’arredamento degli interni ma nello stesso tempo, a diventare un monile per uso personale, confermando anche nel limite fisiologico della sua struttura volumetrica una specifica versatilità della pietra, di cui si diceva in premessa. Quello che ne emerge è un messaggio che non pretende di elevarsi a “lectio magistralis” ma vuole esprimere una fede nel marmo che viene da lontano, quale materia in grado di fare cultura e di assumere una valenza non soltanto economica: in altri termini, un significato di ispirazione estetica e professionale non priva di contenuti spirituali. Carlo Montani

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manutenzione Restauro strutturale e scelta dei materiali Il ruolo della pietra in significative opere architettoniche dell’età contemporanea: Dresda - Pola - Venzone

Il recupero dei manufatti edilizi antichi è una costante universale, che lo sviluppo tecnico ha largamente potenziato fino a renderlo un’esigenza inderogabile delle civiltà avanzate, sia sul piano della cultura, sia su quello dell’impegno politico. Concettualmente, l’intervento non riguarda soltanto il ripristino dell’opera e la sua fruibilità funzionale ed estetica, ma prima ancora, l’interpretazione autentica della fonte, quale esegesi indispensabile alla programmazione ottimale del lavoro esecutivo. Il restauro, in altri termini, non può risolversi in una mera giustapposizione di elementi architettonici, o più semplicemente di materiali. Al contrario, deve integrarsi con l’originale: proprio per questo, la scelta e la collocazione hanno un ruolo importante, che in parecchi casi non è azzardato definire decisivo. Gli interventi innovativi, per quanto necessari, possono indurre effetti estranei allo spirito dell’opera, e vanno governati con attenzione e sensibilità. Recuperare e quindi restaurare, vuol dire rispettare e prevenire ogni pur comprensibile tentativo di ottimizzare il manufatto, da rifiutare in quanto sostanzialmente retorico, vale a dire privo di autenticità. Quindi, bisogna assumere un atteggiamento umile nei confronti dell’opera originale, anche quando implica la sua “ricostruzione” (1). Nei casi di maggiore impegno, il restauro non prescinde dalla reintegrazione dei pezzi mancanti od irrimediabilmente danneggiati. Va da sé che in queste fattispecie la scelta del materiale sostitutivo ed il recupero programmato di quello originario, disperso da eventi naturali o da fattori traumatici di altro genere, diventano momenti propedeutici determinanti, al fine di conseguire un risultato conforme. In questa sede si ritiene sufficiente il riferimento ad alcuni casi emblematici, selezionati alla luce di fattori tecnici, ambientali e simbolici che ne suffragano un carattere particolarmente significativo. Ciò, anche per quanto riguarda i materiali utilizzati ed in modo specifico per la pietra. La Cattedrale di Dresda, distrutta nel bombardamento del 1945 e ricostruita dopo lunghissima attesa grazie ad un paziente lavoro di catalogazione e recupero computerizzato che ha coinvolto circa 13 mila pezzi, è risorta utilizzando oltre due terzi della struttura lapidea originaria, mentre il fabbisogno residuo è stato soddisfatto tramite approvvigionamenti dalle stesse cave di arenaria della contigua Boemia, che avevano provveduto alla fornitura iniziale. Il metodo utilizzato a Dresda è stato, come altrove, quello di anastilosi, che consiste nel massi-

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mo recupero possibile degli elementi architettonici, in modo che ogni pietra vada a ritrovare, sin dalla fase di verifica in cantiere, la propria posizione primigenia, e quindi gli stessi allineamenti, le grappe di ancoraggio, e per quanto possibile la medesima finitura della superficie in vista. Si deve aggiungere che la ricostruzione in parola è stata un alto esempio di cooperazione popolare, ancor prima che tecnica ed istituzionale, perché ha avuto luogo con il contributo, generalmente modesto ma di ovvio valore simbolico, di tanti cittadini, fedeli e visitatori. Un caso relativamente più semplice è quello del Tempio di Augusto a Pola, anch’esso colpito da una bomba che lo aveva centrato in pieno durante l’ultimo periodo bellico. L’opera sembrava difficilmente recuperabile perché aveva riportato danni assai gravi, in specie nelle colonne e nella trabeazione, ma venne riportato all’antico splendore con una sorta di valore aggiunto costituito dalla visibilità delle “ferite” occorse alla struttura lapidea originaria. L’opera di ripristino, con utilizzo di un materiale tipico come la pietra dell’Istria, fu particolarmente impegnativa, a cominciare dalla ricostruzione di pezzi complessi quali fregi e capitelli, senza dire che venne compiuta fra il 1946 ed il 1947 in regime di stretta economia, stanti le ristrettezze dell’epoca: addirittura, senza impalcature metalliche e con il solo supporto di cavi d’acciaio per il sollevamento dei pezzi, che costituì la sola vera apprezzabile differenza rispetto alle dotazioni del cantiere originario, nel primo secolo dopo Cristo (2). Si deve soggiungere che nel restauro del Tempio di Augusto, compiuto a cura della Soprintendenza di Trieste, il carattere autentico dell’opera ha un valore che trascende il contesto pur suggestivo della “rinascita” architettonica di un antico e nobile monumento, per acquisire contenuti umani e culturali davvero coinvolgenti, qualora si pensi che i lavori vennero effettuati quando era già stato ufficializzato, per effetto del trattato di pace del 10 febbraio 1947, il trasferimento del capoluogo istriano sotto la sovranità jugoslava, a far tempo dal 16 settembre. Attenzioni specifiche debbono essere attirate, infine, sulla ricostruzione del Friuli dopo gli eventi sismici del 1976, finalizzata a “salvaguardare e recuperare l’identità culturale della regione”, con interventi di grande impatto a Gemona, ad Osoppo ed in modo speciale a Venzone (3), dove il recupero del centro storico e della Cattedrale è diventato un preciso punto di riferimento per il restauro di livello. In questo caso, al pari di quelli già citati di Dresda e di Pola, la scelta del materiale lapideo si è orientata sull’opportuna valorizzazione dei prodotti locali, con riguardo prioritario al marmo grigio carnico ed alla pietra “piasentina”: è inutile precisare che si tratta di litoidi in possesso di valide referenze, spesso plurisecolari, che diventano protagonisti del restauro in quanto superano la prova del tempo anche a fronte di danni apparentemente irrimediabili. A Venzone, dove i lavori si sono conclusi soltanto nel 1996 dopo un’attenta opera di cataloga-

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zione che nel caso della Cattedrale ha reso necessaria la compilazione di oltre ottomila schede (una per ciascuna pietra recuperata i cui dati sono stati elaborati al computer), è stata utilizzata la prassi ormai consolidata di anastilosi, arricchita dall’attenzione “culturale” per ciascun pezzo e dal lavoro specializzato svolto dall’apposito Laboratorio di restauro della pietra, costituito sin dal 1981. Giova precisare che alla fine il materiale innovativo non ha superato un quinto del totale. Concludendo, si può ben dire che nell’architettura contemporanea il restauro ha assunto una dignità ed un ruolo del tutto peculiari, che trascendono la sfera strettamente funzionale delle manutenzioni, peraltro necessaria, per accedere a quella di un’arte che non appartiene al solo momento estetico dello Spirito, perché manifesta l’idoneità a coinvolgere compiutamente quello etico.

Carlo Montani

- G. Pavan, Annotazioni sul restauro architettonico, Consorzio per la salvaguardia dei castelli storici del Friuli – Venezia Giulia, Udine 1985. Cfr. altresì: R. Strassoldo, Le Carte del restauro: criteri per gli interventi di recupero dei beni architettonici, Forum, Udine 2007, pagg. 32-35. - G. Pavan, op. cit., pagg. 38-40. - R. Cacitti, Venzone: la ricostruzione di un centro storico, Associazione Amici di Venzone, Arti Grafiche Friulane, Udine 2006.

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storia

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I marmi del partenone

La storia dei fregi del Partenone, opera immortale di Fidia, asportati all’inizio dell’Ottocento e mai restituiti, è un esempio di comportamenti contrari all’etica civile, tanto più necessaria quando i protagonisti, come accade per Grecia e Gran Bretagna, appartengono all’Europa. Eppure, sarebbero stati sufficienti un minimo di buona volontà e l’abbandono di posizioni antistoriche. Tutto ebbe origine nel 1802, quando Sir Thomas Bruce, Conte di Elgin ed Ambasciatore britannico in Turchia (all’epoca titolare della sovranità sui territori ellenici) si fece autorizzare, con un documento di validità per lo meno dubbia, ad asportare dal massimo monumento ateniese 50 lastre, 15 metope ed altri pezzi minori, con cui avrebbe voluto arricchire la propria dimora. Elgin era innamorato del marmo, materiale “tanto bello quanto indipendente dai mutamenti della moda” come aveva scritto nel 1801 aggiungendo che gli “ornamenti lapidei non risultano mai eccessivi”: tuttavia, questi buoni sentimenti non gli impedirono di effettuare il “prelievo” con mezzi approssimativi fatti arrivare dall’Inghilterra e con carente professionalità, tanto che alcuni pezzi vennero irrimediabilmente danneggiati mentre altri andarono perduti a causa di un naufragio. Anni dopo, Elgin, vista l’opportunità di lucrare un buon affare coi marmi di Fidia, decise di rinunciare agli “ornamenti in marmo” del suo castello e di venderli al Governo inglese, avviando contatti col British Museum e col Primo Ministro Sir Spencer Perceval. Inizialmente, fece una richiesta di 62.440 sterline, che a suo dire erano pari alle spese affrontate per il distacco materiale delle opere e per il trasporto in Inghilterra, ma dopo cinque anni di trattative finì per accontentarsi di 30 mila, cifra che nel 1816 venne fissata definitivamente con delibera della Camera dei Comuni. La compravendita ebbe luogo alla condizione, richiesta da Elgin, che l’intera collezione fosse esposta perennemente nelle sale del British Museum dove si trova tuttora, e che lui stesso ed i suoi eredi venissero chiamati a far parte del Consiglio dei curatori. Nessun accenno ad una pur teorica restituzione alla Grecia, impegnata nella lotta per la propria indipendenza, anche se Byron aveva definito l’operazione di Elgin come un autentico furto. Il marmo di Fidia, Bianco Pentelico dell’Attica, ha 2500 anni di vita ed un valore simbolico che trascende secoli e millenni: quando venne posto in opera con la partecipazione di un giovane Socrate in veste di scultore e scalpellino, Sofocle era all’apice della gloria e scriveva la tragedia di Antigone mentre si ergevano le colonne e le trabeazioni. Se non altro per questo, si dovrebbe parlare di un diritto morale alla restituzione, negato nel 1985 da David Wilson, direttore del British Museum, perché sarebbe stato “un disastro infinitamente più grave della minaccia di far saltare in aria il Partenone”. La pervicace pretesa inglese di trattenere i fregi di Fidia non è giustificata da alcuna ragione giu-

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ridica né tanto meno conservativa o tecnologica. La sola motivazione probante è quella espressa con crudo realismo da Lord David Strabolgi, secondo cui “se cominciassimo a restituire le opere d’arte agli altri Paesi mon rimarrebbe gran che nei nostri musei”. Ecco un comportamento tanto più opinabile visto che il furto di Elgin ebbe luogo dopo 2300 anni di storia, compresi gli ultimi 300 di dominazione ottomana: un lunghissimo periodo in cui nessun conquistatore aveva mai pensato di asportare ciò che oggi appartiene al patrimonio dell’umanità. Dopo la recente apertura del Museo dell’Acropoli esiste una nuova opportunità di proporre al mondo la questione dei “marmi Elgin” che potrebbero essere collocati in detta sede permettendo agli inglesi di rinunciare al ruolo di “orgogliosi bottegai” che lo stesso Byron aveva conferito ai suoi connazionali. Senza dire che l’Unesco ha per emblema proprio il Partenone, avendolo eletto a simbolo mondiale di civiltà e cultura. Carlo Montani

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cultura

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La pietra nella bibbia Il Libro Dell’esodo

Le Sacre Scritture si giovano della pietra in misura certamente superiore a quanto accade per ogni altro materiale da costruzione. Già nel secondo Libro, quello dell’Esodo, essa si erge a protagonista : sono di pietra le due tavole che il Signore ordina a Mosè di tagliare prima di salire sul Monte Sinai (cap. 34,1) e sulle quali provvede a scrivere “le parole dell’alleanza” (cap. 34, 28). Il primo Codice della storia umana, quello delle “dieci parole”, trova nella pietra un mezzo di espressione tanto più significativa, in quanto strumento durevole e tangibile. Nell’Esodo la materia lapidea torna alla ribalta anche nell’esecuzione degli ordini del Signore (cap. 35, 9) quando Mosè riferisce alla comunità che, tra le varie disposizioni ricevute, bisogna onorare quella delle “pietre di onice e pietre da incastonare”, chiamando ad eseguire l’opera chi era “capace di realizzare ogni sorta di lavoro” sin dalla fase progettuale (cap. 35,35). Ciò, con un richiamo alla professionalità (tanto più importante perché l’onice è materiale di alto pregio ma assai delicato), sempre utile ed attuale, soprattutto in un’epoca di standardizzazione massiva come la nostra. L’esecuzione avviene a regola d’arte, in tutti i dettagli ampiamente riportati dalla Scrittura, compresi quelli concernenti le lavorazioni delle “pietre di onice inserite in castoni d’oro incise con i nomi, secondo l’arte di incidere i sigilli” (cap. 39, 6). Così “il Signore aveva ordinato” (cap. 39, 7) e così fu fatto. Soltanto allora, Mosè impartì la benedizione a coloro che avevano lavorato (cap. 39, 43). Nel racconto biblico, in buona sostanza, la pietra trova ruoli importanti e complementari: anzi tutto, quello strumentale di materia prima, utilizzata sin dai primordi della civiltà, ma nello stesso tempo, quello di mezzo per manifestare obbedienza, fedeltà e fantasia creativa. La conferma più autorevole dell’assunto poetico secondo cui la pietra è “sostanza delle forme eterne” si trova proprio nelle tavole del Monte Sinai, fondamento della legge morale e della nostra civiltà cristiana. Carlo Montani

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bibliografia Ministero dello Sviluppo Economico

Rapporto 2011-2012 - L’Italia nell’economia internazionale ICE, Roma 2012, pagg. 474.

Il nuovo Rapporto sull’andamento del commercio estero nazionale, presentato a Roma nello scorso luglio, contiene un eccellente e dettagliato esame dei consuntivi macro, ed un’analisi disaggregata di altrettanto interesse per tipologie merceologiche e per Regioni. Qui, ci limitiamo ad alcune considerazioni sul cosiddetto “sistema casa” di cui fanno parte marmi e pietre e sul fattore promozione, con particolare riguardo alla flessione degli investimenti che ha caratterizzato la congiuntura più recente. Il gruppo merceologico del sistema in parola comprende ceramica, pietra e vetro, dove l’Italia, che nel 2002 era la prima esportatrice mondiale con uno “share” del 10,5 per cento è calata al terzo nel consuntivo per il 2011, essendo scesa al 6,6 per cento, superata dalla Cina che ha guadagnato circa 13 punti balzando al 19,3 per cento, ma anche dalla Germania che nonostante i costi non competitivi è riuscita a migliorare di due punti, salendo al 12,4 per cento. Fra gli esportatori leader figurano in regresso anche Stati Uniti, Belgio, Paesi Bassi, Francia e Spagna, ma in misura generalmente frizionale, e comunque ridotta rispetto all’Italia. Ciò significa che il “sistema casa” evidenzia sofferenze accentuate e generalizzate proprio in Italia. L’urgenza di adeguate azioni promozionali ne emerge in tutta la sua evidenza, ma il Rapporto mette in luce, anche da questo punto di vista, un significativo e preoccupante arretramento. Infatti, gli investimenti per la promozione del prodotto italiano, partiti dai 92,4 milioni del 2001 e giunti ad un massimo di 125,7 nel 2009, sono scesi al minimo di 69,6 nel 2011 a seguito dei tagli imposti dalla programmazione finanziaria. Nel loro ambito, il “sistema casa” si è visto ridurre il budget dai 14 milioni del 2009 ai 5,3 del 2011, con un abbattimento più che proporzionale rispetto a quello complessivo. C’è di più. Nell’ultimo consuntivo omogeneo, l’Italia ha investito in promozione mezzi largamente inferiori a quelli di Regno Unito, Giappone, Francia, Australia, Brasile, senza dire che le sue disponibilità sono state penalizzate anche dalla maggiore incidenza dei costi generali. A conti fatti, soltanto Spagna, Corea del Sud e Finlandia hanno investito meno dell’Italia. Il bilancio italiano diventa a più forte ragione negativo nel ragguaglio al valore esportato, che nel 2011 è sceso allo 0,18 per mille contro lo 0,33 del 2001, risultando quasi dimezzato. Ciò, con effetti evidenti anche nel settore lapideo, la cui quota sul valore totale dell’export italiano è diminuita, nello stesso periodo, dallo 0,69 allo 0,42 per cento. In tutta sintesi, i bilanci sono in rosso, ed il permanente disimpegno della promozione istituzionale non induce previsioni migliori.

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