“Il giro di Milano in 80 tappe” da un’idea di Mariagrazia Innecco ISBN 978-88-99378-00-4 L’Orsa Edizioni GirodiMilano80tappe Art Director Daniele Colzani © Riproduzione (anche parziale) vietata
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Ringraziamenti A mio padre, maestro di disciplina, per avermi permesso di diventare indisciplinata. A mio marito, stupendo compagno di vita, per avermi domato e spronato in contemporanea. A Barbara e Laura, fiori dal profumo inimitabile, per come sanno starmi accanto. A Mauro, attento e minuzioso, per avermi insegnato ad apprezzare i particolari. A Edda, fanatica sostenitrice, che desidera piĂš di ogni altra cosa essere citata in questa pagina. Ai miei capi, Fabio, Gianfranco, Silvio, Andrea, Riccardo, Gabriele, Daniele per avermi accompagnato affettuosamente fin qui. Ai miei innumerevoli amici e amiche, per avermi sopportato e incitato a procedere.
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Vent'anni Vivo a Milano da vent’anni. Mia madre sosteneva che questo è il numero minimo di anni per portare a pieno svolgimento qualsiasi cosa. Me lo diceva quando mi preoccupavo del fatto che il ragazzo che mi piaceva (e che sarebbe poi diventato mio marito) non era esattamente come lo avrei voluto. Lei, saggia, streghina e paziente, mi diceva: “non smettere di lavorarci, fallo tutti i giorni, e vedrai che tra vent’anni esatti tutto sarà come desideri”. Aveva ragione da vendere, anche se a me, allora giovanissima, sembrava dicesse cose assurde. E’ successo anche con Milano. Guardandola senza quasi accorgermi di lei, giorno dopo giorno, percorrendola in lungo e in largo per mille motivi e a volte anche senza motivi, mi è penetrata sottopelle. Sento che mi cresce dentro, non mi scappa, attende i miei tempi e mi dà modo di fissare i pensieri. Continua a porgermi informazioni come se fossero indizi, ammiccante e pure un po’ complice. Ma in cambio di questa disponibilità pretende dell’altro, come sempre accade quando ci si mette in relazione con qualcuno o qualcosa di vivo, animato e in costante evoluzione: pretende un occhio innamorato che guardi con benevolenza agli immancabili difetti, piccoli e grandi, che nel corso della sua lunga vita ha accumulato. Uno dei difetti più piccoli e deliziosi è la sua vanità: gradisce che si parli di lei e che si vadano a cercare i particolari che l’hanno resa unica e inimitabile. Io l’ho osservata per il tempo di una generazione: spero di avere modi di guardarla crescere ancora un po’, ma poi continuerà inesorabilmente la sua corsa verso il futuro senza il mio aiuto. Recentemente ho capito che per dirle quanto la amo non c’era miglior modo che raccontarla anche agli altri, percorrendola in senso circolare, partendo dai punti più lontani per avvicinarmi sempre di più al suo fulcro pulsante, riguardandola tutta, come se fosse la prima volta. Sono partita a caso, e così mi piacerebbe la scoprisse chiunque ci arrivi la prima volta. Il percorso che ho disegnato, non obbligato ma anzi liberissimo e arioso, spiraliforme in certi suoi tratti, zigzagante in altri, e soprattutto rapido e spumeggiante, può essere usato nei modi più disparati e fantasiosi: l’importante sarà guardarla con attenzione lasciando che si mostri in tutta la sua bellezza.
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Il cavallo di Leonardo Leonardo da Vinci riuscì a farsi “assumere” presso la corte di Ludovico il Moro anche grazie alla promessa di realizzare uno stupefacente monumento equestre in onore del padre Francesco Sforza. Lo scrisse nella lettera con cui si era presentato al Duca: “Ancora si potrà dare opra al cavallo di bronzo, che sarà immortale ed eterno in onore de la felice memoria del Signore Vostro Padre et de la inclita casa Sforzesca” L’impresa si rivelò molto più complessa del previsto, anche perché Leonardo non lo voleva poggiato sulle quattro zampe: doveva sfidare tutte le leggi della statica e dell’equilibrio e doveva essere rampante, imbizzarrito e poggiante sulle sole zampe posteriori, oltre che alto almeno 7,20 metri come ci dice Luca Pacioli nel suo “De Divina Proportione”. Lavorò due anni solo per realizzare il modello in creta e penò non poco per farsi procurare le necessarie 60 tonnellate di bronzo, materiale raro e costoso. Individuò il luogo adatto ad eseguire la fusione, scavando una fossa profondissima e finalmente sembrava che l’opera prendesse corpo. Ma avvenne che i Francesi penetrassero in Mantova e che il Duca d’Este chiedesse aiuto a Ludovico per fronteggiare gli invasori. Il bronzo fu caricato su alcune chiatte e portato agli arsenali della città: a Milano restò solo il modello in creta, che verrà distrutto in seguito dai soldati francesi per sfregio. Dopo cinque secoli il ricco collezionista americano Charles Dent avviò una raccolta di fondi per riavviare il progetto, ma morì improvvisamente nel 1994. Il sogno di Leonardo stava per concretizzarsi: nel 1996 la scultrice Nina Akamu, già famosa a livello internazionale per la sua produzione di statue di grandi dimensioni, venne incaricata di rimettere mano al progetto leonardesco. Lavorerà per tre anni senza sosta e realizzerà un grande cavallo scomposto in 7 pezzi la cui saldatura avverrà direttamente a Milano, nel piazzale dell’Ippodromo di San Siro, dove la statua è ancora oggi. Per l’Esposizione universale si era pensato di trasferirlo in un luogo più visibile, ma lo spostamento era troppo complesso: arriverà invece da Vinci, la località toscana patria di Leonardo, una copia in miniatura (2,5 metri) realizzata dalla stessa artista. Per tutta la durata dell’Esposizione Universale potrà essere ammirato in Piazza Città di Lombardia, dove sorge la nuovissima sede della Regione.
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IPPODROMO DI SAN SIRO Via Ippodromo, 100 Tel. 02/482161 www.ippodromomilano.it Fermata San Siro Stadio
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Siro, il santo più bello del mondo Trattasi di Santo piuttosto famoso in Lombardia e in tutt’Italia, ma non proprio per meriti ecclesiastici. Un Siro Santo era nato vicino a Genova e divenne famoso e venerato per aver scacciato un mefitico basilisco (un drago, un biscione?) dalla città, liberandola dal pericolo. Poi ce n’è un altro, nato in Palestina e di cui parla il Vangelo, che seguì Pietro a Roma e poi arrivò in Pianura Padana a Ticinum Papiae, l’attuale Pavia, dove fu il primo vescovo dell’età cristiana. E’ probabile che a quest’ultimo fosse intitolata la piccola Chiesa di San Siro alla Vepra (o Vetra dal nome del fiume che vi scorreva accanto), costruita nell’800 d.C. e di cui resta solo l’abside, che è rimasta unita in modo strano ad una bella villa dal passato inglorioso: qui i nazifascisti torturavano le loro vittime durante la seconda Guerra Mondiale cosicché venne chiamata “Villa Triste”. Ora è la sede di una Congregazione di Missionarie, che ne sono gelose e non permettono che venga visitato l’interno. Il villaggio che sorse attorno alla Chiesa prese il nome dal Santo e si chiama ancora così: è per questo che l’imponente stadio calcistico dedicato a Giuseppe Meazza è universalmente conosciuto come San Siro. Non essendo io appassionata di calcio lo frequento più volentieri quando ospita grandi concerti o spettacoli, ma decine di migliaia di persone ci vanno per seguire le partite di calcio delle squadre cittadine Milan e Inter, ritenendolo, a ragione, uno dei migliori del mondo, con i suoi 80.000 posti coperti, il suo sistema di riscaldamento del manto erboso (anche se proprio l’erba ha creato molti problemi e deve essere continuamente rizollata), il suo impianto di illuminazione avveniristica. In base a una classifica stilata dal Times, pare sia secondo solo al Westfalen Stadion di Dortmund.
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STADIO GIUSEPPE MEAZZA Piazzale Angelo Moratti Tel. 02/48798201
ABSIDE DI SAN SIRO ALLA VEPRA Via Masaccio 20
www.sansiro.net Fermata San Siro Stadio
Fermata Lotto Fiera
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Dal "Dolore" di Giuseppe Verdi Margherita Barezzi era una fanciulla di Busseto di buona famiglia con un discreto talento per la musica. Suo padre aveva accolto nella sua dimora il giovane musicista Giuseppe Verdi perché desse lezioni di canto e pianoforte alla figlia, creando le premesse di un amore che ben presto sfociò nel matrimonio. Ebbero una bimba, Virginia, che visse poco più di un anno. Anche il secondo figlio, Romano, morì a distanza di pochi mesi. La loro mamma li seguì presto, indebolita dal troppo dolore. A 26 anni Verdi si ritrovò solo e demotivato. Fu la musica a salvarlo dal baratro, giacché gli fece incontrare Giuseppina Strepponi, un’affermata cantante lirica che gli rimase sempre vicino e che sposò in seconde nozze. Si comprendevano bene: avevano gli stessi gusti musicali, lei era una donna vivace e battagliera e aveva perso due bimbi in tenera età. Adottarono ben presto la figlia di un cugino, Maria Verdi, alla quale lasciarono metà dei loro averi. Per il resto del suo patrimonio Verdi un’idea ce l’aveva, e da tempo, ma era così schivo e riservato da non sopportare di essere ringraziato e considerato un benefattore. Voleva offrire ai suoi colleghi meno fortunati la possibilità di trascorrere gli ultimi anni di vita in modo dignitoso, immersi nell’arte e circondati da persone provenienti dallo stesso mondo. Ed ecco cosa fece: la moglie era morta da poco nella loro tenuta di Sant’Agata e lui viveva stabilmente a Milano, nella suite 105 dell’Hotel Milàn. Il 16 dicembre del 1899 convocò il notaio Carrara, che nel frattempo aveva sposato la nipote, e istituì legalmente la Casa di Riposo per Musicisti – Fondazione Giuseppe Verdi, dando il via alla realizzazione dell’edificio che ancor oggi si trova in Piazza Buonarroti. Le sue disposizioni furono rispettate e i primi 9 ospiti vi entrarono solo il 10 ottobre 1902, a un anno dalla sua morte. Non voleva ringraziamenti in vita, ma i più di 1000 tra musicisti, cantanti e danzatori che sono stati ospitati nella villa gli sono molto grati. Consiglio una visita alla sua tomba, al Salone d’Onore e alle Sale Musicali, dove sono conservati vari cimeli del Maestro e si respira un’atmosfera che trascina all’indietro di due secoli.
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CASA DI RIPOSO PER MUSICISTI Piazza Buonarroti 29 - Milano Tel. + 39 02/4996009 www.casaverdi.org Fermata Wagner / Buonarroti
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Le diaboliche sorelle Da sempre mi piacciono molto le storie che hanno per protagonisti coppie di fratelli o sorelle: quando sono ben assortiti tra loro creano legami in grado di vincere qualsiasi sfida. Le due sorelle di cui ora vi racconterò avevano sei anni di differenza e di cognome facevano Giussani. Erano belle, estrose e ribelli. La più grande, Angela, si innamorò dell’editore Sansoni e lo sposò: lì prese il via la sua avventura letteraria che la vide subito alla testa di una collana di libri per ragazzi. La più piccola, Luciana, forse un po’ meno coraggiosa e intraprendente, dapprima lavorò come impiegata alla Folletto, ma ben presto decise di affiancarsi alla sorella con la quale aveva un’intesa speciale. Le loro menti si sincronizzarono e iniziarono a partorire idee, una più geniale dell’altra, fino a che venne alla luce l’uomo più fascinoso del mondo dei fumetti: bello, con gli occhi dardeggianti, sicuro di sé, invincibile, con accanto una donna raffinata e flessuosa, capace di tenergli testa seppur complice e non solo nelle avventure truffaldine. Delinquenti sì, ma invidiabili, ovattati ed eleganti, Eva Kant e Diabolik hanno avuto un successo planetario e sono riusciti a sopravvivere alle loro ideatrici grazie alla capacità che i vari storytellers e disegnatori - che si sono susseguiti dal 1992 ad oggi – hanno espresso per mantenere intatti i caratteri dei personaggi e il livello delle storie. La Casa Editrice Astorina, fondata nel 1962 da Angela, gode ancora di ottima salute e si occupa anche di tutto il merchandising e degli eventi legati ad un personaggio al quale, a quanto pare, è stato fatto il dono della longevità.
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DiabolikŠ Astorina srl
ASTORINA SRL Via Boccaccio 32 Tel. + 39 02/4816661 www.giuffridabragadin.com Fermata Conciliazione
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Il cinema Mexico Da giovane liceale passavo da sola parecchi dei miei pomeriggi al Cinema Edison di Belluno beandomi della visione di pellicole scelte con cura dal proprietario che amava sopra ogni cosa il cinema d’essai. In quegli anni ho conosciuto registi come David Lynch, Greenaway, Almodovar, Kubrik, plasmando, film dopo film, i miei gusti cinematografici. Abitavo in una piccola città di provincia e non mi rendevo affatto conto che nella grande Milano di sale come l’Edison ce n’erano almeno una mezza dozzina: il Palestrina, lo Gnomo, il Cantù, il Pasquirolo, l’Astra e naturalmente il Mexico di Via Savona. Non era il più centrale, e neanche il più elegante, né il più alla moda, ma è l’unico assieme al Palestrina ad aver resistito agli attacchi del tempo e delle crisi. Il 99% del merito ce l’ha il suo fondatore, Antonio Sancassani, nato a Bellagio, ma arrivato a Milano da ragazzo animato da una passione inimitabile e inossidabile. Indipendente a tutti i costi, pronto a sacrificarsi, ma non a farsi dire cosa fare e con chi, ha sempre scelto cosa far passare nel suo cinema in base ai suoi personalissimi e indiscutibilmente raffinati gusti. Il pubblico lo ha premiato e gli è fedele da ormai 40 anni. Sancassani il colpo grosso lo ha fatto nel 1981, quando seguendo il suo fiuto decise di recuperare il Rocky Horror Pictur Show, film che alcuni anni prima aveva spopolato in America e di proporre in contemporanea alla visione della pellicola, uno spettacolo dal vivo con una compagnia amatoriale ma efficace. Claudio Bisio nella parte di Bred fece furore. Per un anno e mezzo tutte le sere il cinema/teatro fu sold out, cosa che succede ancora oggi a 35 anni distanza, tutti i venerdì, anche se Bisio non ci recita più da un pezzo. Ormai sono in 250.000 ad aver assistito a questa irresistibile esperienza facendo diventare il Cinema Mexico una delle 5 Rocky Horror House ufficiali del pianeta. Tutti gli altri giorni vengono proposti film di notevole qualità, che, non avendo un incasso garantito, vengono proiettati meno volentieri dai gestori più interessati all’aspetto economico che a quello culturale.
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Photo Barbara De Pasqual
The Rocky Horror Picture Show Tutti i venerdĂŹ ore 22.00
CINEMA MEXICO Via Savona 57 Tel. +39 02/4895 1802 ww.cinemamexico.it Fermata Porta Genova
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Il MUDEC - Museo Delle Culture Capita anche nelle migliori e più tranquille famiglie litigare prima degli eventi importanti: il nervosismo sale alle stelle e l’impressione è che la data fatidica si stia avvicinando senza che tutto sia pronto. Stanno battibeccando con una certa veemenza anche il Comune di Milano e l’architetto inglese David Chipperfield, uomo affascinante dai tratti vagamente simili a quelli di Giorgio Armani, vincitore nel 1999 del concorso per la realizzazione di un polo museale nella vecchia fabbrica Ansaldo, tra via Tortona e Via Savona, cioè in quella che oggi è considerata la zona più cool di Milano. L’argomento del contendere è la pavimentazione dello scalone che l’archistar voleva in pietra lavica dell’Etna nera in contrasto con il bianco della vetrata, mentre ne è stata posata una grigia maculata che a lui non piace per niente. Chissà come sono andate veramente le cose, fatto sta che si prevede una dura lotta a suon di carte bollate e avvocati. L’Assessore alla Cultura ha deciso di inaugurare lo spazio con ben due mostre e per dare il giusto rilievo a questo importante evento ha organizzato anche una notte bianca. La città e i mezzi di superficie sono stati tappezzati di manifesti che pubblicizzano il nuovo logo del Mudec, una specie di totem stilizzato e molto efficace per descrivere graficamente l’ambito di elezione di questa struttura: la prima mostra si intitolerà “Africa. Terra degli Spiriti” ed ospiterà più di 200 pezzi d’arte africana che vanno dal Medioevo ai giorni nostri. L’altra è invece dedicata ai “Mondi a Milano” e racconterà la storia della città dalla prima Esposizione Universale del 1906 ad oggi. Per il futuro si vedrà: non tutti i 17.000 metri quadri dell’area sono completati e forse dopo l’Expo bisognerà rifare i pavimenti, ma per il momento possiamo dire che il Mudec dopo tanti anni di gestazione ha visto finalmente la luce.
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Courtesy MUDEC
Lun 14.30/19.30 Mar - Sab 9.30/22.30 Altri giorni 9.30/19.30
MUDEC – MUSEO DELLE CULTURE Via Tortona 56 Tel. +39 02/54917 www.mudec.it Fermata Porta Genova
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San Cristoforo sul Naviglio Dovete immaginare un’epoca in cui i navigli milanesi erano percorsi senza sosta da barconi carichi di materiale di ogni genere, con ai lati strade sterrate che vedevano giorno e notte un via vai di carri, cavalli e viandanti che si recavano a Milano per i loro traffici. Tutta questa varia umanità in movimento spesso si fermava per riposare, chiacchierare e rifocillarsi. Una delle mete di sosta preferite per chi proveniva da sud era la piccola chiesa dedicata a San Cristoforo, protettore di chi viaggia e si sposta, che si trovava appena prima della città. Era il luogo ideale dove dire una preghiera per ottenere la protezione del santo prima di avviare gli affari, o per ringraziarlo, al ritorno, se le cose era andate per il verso giusto. C’era pace e tranquillità e il clamore del centro non vi arrivava. Una volta questa era periferia, oggi non proprio e attorno alla chiesa, che non solo resiste dal 1170 d.C., ma che nel 1400 è stata ingrandita per volere di Giangaleazzo Visconti, sono sorti parecchi localini caratteristici, che la sera offrono ristoro ai nuovi pellegrini della movida. Credo che in pochi siano andati a visitare (di giorno) la chiesa che sta al di là del ponte a dorso di mulo e che emana ancora la stessa pace di novecento anni fa, serena e paziente, solo con gli affreschi un po’ sbiaditi. Anche il Naviglio Grande che ai tempi andava dal Ticino fino ad Abbiategrasso, pareva attendere momenti migliori che forse sono arrivati: una compagnia di navigazione che si chiama “Navigare in Lombardia” ha recentemente riattivato gli itinerari e propone delle piacevoli navigazioni di circa un’ora lungo questi placidi corsi d’acqua che tanto hanno rappresentato per la crescita economica del territorio milanese.
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NAVIGARE IN LOMBARDIA Tel. 0372/21529 Cell. 392/7076412
SAN CRISTOFORO SUL NAVIGLIO Via San Cristoforo 3 Tel. +39 02/4851413
Fermata Porta Genova
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I Colla La storia di questa famiglia milanese, almeno per quel che vi voglio raccontare, inizia nei primi anni del 1800, quando Giovanbattista, facoltoso commerciante di legname e carbone, fece adibire una delle sale del suo palazzo a teatro di burattini. Ai tempi era cosa molto “modaiola” e soprattutto indicava l’alto tenore sociale dei padroni di casa. Anche nella mia storia personale c’è un teatrino che ricordo con tenerezza inaudita: il mio papà, giovane e serio capitano dell’esercito, si divertiva spesso ad intrattenere me ed i miei amichetti con spettacoli improvvisati ed esilaranti, non sentendosi affatto a disagio a manovrare i fili e a modificare la sua voce per farci sorridere, steso per terra perché non lo vedessimo e potessimo concentrarci meglio sulla storia. Ma torniamo ai Colla. Nel 1835 il vento cambiò: la famiglia dovette lasciare Milano e con armi, bagagli e… burattini riparò in Emilia. Ancora non sapeva che proprio dalle marionette sarebbe ripartito il suo futuro. Il più giovane dei figli aveva imparato tanto dalle compagnie di giro che avevano frequentato il teatro di casa e utilizzò il suo sapere per mettere in scena degli spettacoli itineranti che ebbero subito successo. Quando nel 1861 morì, i suoi tre figli decisero di spartirsi quello che veniva chiamato “edificio teatrale”, cioè il patrimonio composto da marionette, teste di ricambio, attrezzeria, copioni, e fondarono ciascuno la sua compagnia. Una di queste, dopo aver creato l’unica Compagnia Stabile della città (a parte quella della Scala), ebbe come sede permanente per più di cinquant’anni il meraviglioso Teatro Gerolamo, una miniatura perfetta del Teatro alla Scala, oggi purtroppo chiuso. Attualmente gli allestimenti si possono vedere nell’Atelier Colla, o al Piccolo. Vi consiglio di prendere contatto con Andrea Zoru che prima o dopo la rappresentazione sarà ben lieto di accompagnarvi a vedere i laboratori dove vengono costruiti o rimessi a nuovo i “magattei”, che in lingua milanès significa “teste di legno”. Non li potrete vedere tutti, perché ormai ne sono nati a centinaia e i magazzini sono diventati parecchi: pensate che ad ogni produzione ne vanno in scena tra i 150 e i 300. La tradizione dei burattini è così radicata che qui si usa ancora parlare del “Padron del casott dei magattei” , cioè il padrone della baracca dei burattini, per intendere il Padreterno!
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ATELIER CARLO COLLA & FIGLI Via Montegani 35/1 Tel. +39 02/89531301 www.marionettecolla.it Tram 3 Fermata Montegani – Via Neera
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La Fondazione Prada Che l’Expo facesse da motore per la rinascita culturale ed economica di Milano era più che prevedibile, ma non mi aspettavo tutto questo fiorire di iniziative legate all’arte che stanno “sbocciando” tutte assieme. Noi “comuni cittadini” a volte non ce ne rendiamo conto, ma per realizzare certe imprese nutriti team di persone lavorano nell’ombra e nel relativo silenzio per interi lustri: è quello che è successo anche alla Fondazione no-profit creata nel 1993 da una delle più illuminate creatrici di moda italiane la signora Miuccia Prada, e da suo marito, l’imprenditore Patrizio Bertelli, conosciuto anche per la sua grande passione per la vela e proprietario della leggendaria Luna Rossa, che tante volte ha partecipato alla America’s Cup. Le tante passioni di questi due affiatatissimi coniugi hanno dato il via negli anni scorsi ad una lunga serie di mostre personali, rassegne cinematografiche, convegni e dal 2011 molte iniziative sono state realizzate nella meravigliosa Ca’ Corner Della Regina a Venezia, residenza del 1700 affacciata sul Canal Grande. Il loro Progetto più ambizioso e completo sta per vedere la luce qui a Milano. Innanzitutto interessante è la location: sull’area estesa 19.000 metri quadri che agli inizi del ‘900 ospitava una distilleria, sono stati recuperati e ristrutturati sette dei vecchi edifici e ne sono stati costruiti tre di nuovi e avveniristici. Il risultato è un insieme di tradizione e modernità, originale e affascinante, che non potrà che accontentare i visitatori più esigenti e abituati a spazi espositivi di grande impatto. Intriganti sono anche le prime iniziative: oltre ad uno spazio dedicato all’esposizione delle opere della Collezione Prada, potremo vedere le installazioni di Robert Gober e Thomas Demand, assisteremo ad una rassegna cinematografica curata da Roman Polanski e visiteremo una mostra dal titolo “Serial classic” dedicata all’arte classica e curata dal sommo archeologo e studioso di storia dell’arte Salvatore Settis. Per gli amanti di Wes Anderson c’è una sorpresa non da poco: sono suoi i disegni per la realizzazione della zona bar e non occorre aggiungere altro! Qualcosa mi dice che siamo solo all’inizio e che Milano voglia diventare, ammesso che non lo sia già, una delle città più importanti per l’arte internazionale.
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Tutti i giorni 10:00 / 21:00
FONDAZIONE PRADA Largo Isarco 2 Tel. +39 02/54670515 www.fondazioneprada.org Fermata LODI T.I.B.B.
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Le “Pomodoro” Teresa e Livia Pomodoro erano sorelle gemelle. Teresa era una bravissima attrice impegnata nel sociale che decise di fondare un suo teatro autonomo prendendo in affitto la fatiscente e degradata palazzina dell’Acqua Potabile in zona Città Studi. Tempo addietro aveva fondato l’Associazione NO’HMA, parola greca che dovremmo pronunciare “noema” che significa pensiero, modo di pensare, mentalità. Con l’aiuto degli amici/soci, portò avanti con determinazione i non facili lavori di ristrutturazione per coronare il suo sogno di donare alla città un luogo unico nel suo genere, dove fare teatro di qualità a titolo completamente gratuito. Riuscì ad organizzare varie stagioni che vengono ancora ricordate per originalità e bellezza, ma una severa malattia la rubò troppo presto alla scena e alla vita, rischiando di mandare in frantumi il suo appassionato lavoro. Così non fu, perché l’affezionata e validissima sorella gemella, Livia, prese prontamente le redini del teatro, nonostante fosse già all’epoca il Presidente del Tribunale di Milano e conoscesse solo marginalmente il mondo dello spettacolo e le sue regole. Si fece carico dell’Associazione e si impegnò strenuamente per garantire il rispetto dell’impostazione voluta dalla sorella. Sono passati ormai più di vent’anni da quel giorno e sul palco del teatro NO’HMA si sono esibiti decine di personaggi di altissimo valore artistico e svariate migliaia di spettatori hanno potuto godere di spettacoli di qualità elevata. Per partecipare alle serate, di solito due a settimana, basta prenotare telefonicamente o scrivere una mail. Ci sono andata tante volte e sempre l’elegantissima e sorridente Livia Pomodoro era sulla soglia ad accogliere gli ospiti, con la semplicità che solo i grandi sanno esprimere, pronta a stringere la mano e a dialogare con tutti, proprio come farebbe una squisita padrona di casa. Come riesca a conciliare le sue due attività resta un mistero assoluto…. anche se qualcuno sostiene che, per forza, deve avere una controfigura! E se fosse proprio Teresa?
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Courtesy No’hma
Ingresso libero
SPAZIO TEATRO NO’HMA Via Orcagna 2 Tel. +39 02/45485085 www.nohma.it Fermata Piola
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Franco Fossati e le sue strip Altro scenario, altri fratelli, altra Fondazione. Questa volta il teatro non c’entra. Siamo su un altro pianeta: quello della fantasia, dei colori e dei disegni che raccontano storie. Chi si ricorda di Franco Fossati? Magari gli accaniti lettori di Topolino, visto che ne è stato redattore e che ha sceneggiato tutto ciò che la Disney ha prodotto in Italia. I fumetti, in tutte le salse, gli piacevano da matti, quindi oltre a disegnarli li studiava, li catalogava, li glossariava (esiste questo vocabolo?) e compilava dizionari che sono pietre miliari del genere. Una maledetta tromboflebite se lo portò via a soli cinquant’anni, ma il fratello Furio e gli amici di una vita si attivarono con vigore affinché il suo lavoro e la sua formidabile collezione composta da mezzo milione di pezzi, non andassero perduti. Il Comune di Milano decise di assegnare alla neo costituita Fondazione uno spazio emblematico: l’ex deposito ATM (quello dei tram per intenderci) diventato poi fabbrica dei panettoni Motta e attualmente spazio espositivo riqualificato e moderno al quale ha contribuito in parte anche Renzo Piano. In pochi anni l’istituzione è diventata imprescindibile punto di riferimento per tutti gli amanti della Nona Arte, grazie alle sue mostre, ai suoi convegni e alle sue attività didattiche. Milano ha così onorato una tradizione fumettistica che ha compiuto più di un secolo di vita, avendo visto nascere in Via Solferino il 27 dicembre 1908 il primo numero del glorioso “Corriere dei Piccoli”, venduto come supplemento al Corriere della Sera (dei Grandi!) a 10 centesimi. I “meno piccoli” di noi si ricorderanno la delizia delle rime baciate con cui si esprimevano Bibì e Bibò, Arcibaldo e Petronilla, il signor Bonaventura. Wow che nostalgia!
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Courtesy Wow Spazio Fumetto
Lun - Ven 15.00 – 19.00 Sab - Dom 15.00 – 20.00
WOW SPAZIO FUMETTO Viale Campania 12 Tel. +39 02/49524744 www.museowow.it
Tram 27 Fermata Viale Corsica/Viale Campania
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L’Ortica Come in tutte le città, anche a Milano ci sono zone di lusso, zone residenziali e zone decisamente malfamate. Poi ci sono quelle che una volta erano malfamate e oggi sono residenziali, come il quartiere Isola e il quartiere Ortica. Quest’ultimo deve il suo nome ai campi infestati appunto di ortiche che circondavano le case del borgo, abitate da personaggi pittoreschi e non proprio ossequiosi dell’ordine costituito, che andavano a formare la cosiddetta “Ligera” (leggera) e cioè la malavita meno organizzata e un po’ ingenua, composta da piccoli truffatori, ladruncoli, protettori e maitresse. La mia grande amica Gianna Coletti, attrice milanesissima e decisamente brava, alla Ligera ha dedicato un intero spettacolo, dove tra canzoni e racconti in dialetto sollazza il suo pubblico riportandolo a tempi andati e un po’ nostalgici. Anche Enzo Jannacci ha contribuito a celebrare questa zona di Milano che si trova tra Lambrate e l’aeroporto di Linate con la celeberrima “Faceva il palo nella banda dell’Ortica, ma era sguercio, non ci vedeva quasi più, ed è stato così che li han presi quasi tutti, tutti fuor che lù” , che ben rende il clima naif dell’ambiente. Negli anni ’80 era diventato piuttosto famoso e frequentato un locale del Dopolavoro Ferroviario che però, dopo un po’ di anni, aveva chiuso i battenti lasciando delusi i suoi avventori. Nel 2012 ha riaperto e ora funziona alla grande: Amanti del ballo liscio di ogni età e classe sociale si ritrovano qui in tutte le sere d’estate e si sentono come a casa loro: oltre a ballare, mangiano cose buone e giocano a bocce (anche d’inverno) La gestione è familiare nel senso letterale del termine: mamma, papà e due figli profondono in questo locale una dose di affetto che lo fa distinguere da tutti gli altri. Amano quello che fanno e lo si capisce da come accolgono i loro clienti, li coccolano e li fanno divertire in modo pulito e genuino, al suono di musica rigorosamente eseguita dal vivo. L’unica cosa da tenere d’occhio sono le zanzare: in estate ballano parecchio pure loro e bevono forse un po’ troppo tutte le sere.
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Photo by Natalia Recchia
LA TRATTORIA DELL’ORTICA Chiusa il lunedì Via G. A. Amadeo, 78 Tel. +39 02 70128680
LA BALERA DELL’ORTICA Aperta da Giugno a Settembre
www.labaleradellortica.com Bus n.54 Fermata Via Amadeo
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L’Idroscalo Da sempre sostengo che l’unica cosa che manca a Milano è il mare. Per qualche anno il Comune ha provato a crearne un surrogato, riempiendo con 650 tonnellate di sabbia, lettini e ombrelloni tutto lo spazio sottostante l’Arco Della Pace in zona Sempione, ma non è servito a molto: mancava l’acqua e la piccola piscina messa a disposizione dei bambini e qualche doccia non sono state in grado di illudere a sufficienza i milanesi. Più efficace era stata la decisione di Silenio Fabbri, Commissario Straordinario della Deputazione Provinciale (la Provincia allora si chiamava così) che nel 1927 aveva annunciato di voler approntare una lingua d’acqua per idrovolanti nelle adiacenze del campo di aviazione di Taliedo. I lavori si protrassero più del previsto, ma nel ’34 venne inaugurato il bacino artificiale chiamato fin da subito Idroscalo, le cui acque erano alimentate da una sorgente naturale e dal Naviglio della Martesana. La vocazione sportiva dello specchio d’acqua prese ben presto il sopravvento rispetto a quella aviatoria, anche perché in pochissimi anni gli idrovolanti furono soppiantati dai velivoli di diversa portata che cominciarono ad atterrare nel Nuovo Aeroporto di Linate. I 2500 metri di lunghezza per 300/400 metri di larghezza si prestavano a vari utilizzi: le prime gare nazionali di canottaggio si chiamarono “Littoriali del remo”, e da lì prese il via l’intensa attività sportiva a cui siamo arrivati ai giorni nostri. Oltre a poter frequentare corsi di vela, kayak, canoa e nuoto pinnato, ci si può divertire con il Cable Wake, sorta di sci d’acqua a cavo che a quanto pare piace anche ai californiani che risiedono in città. Di recente il Reggimento di Artiglieria a Cavallo vi ha organizzato una suggestiva esercitazione invernale di sbarco anfibio. Durante la stagione calda le rive del bacino vengono utilizzate da chi vuole prendere il sole, organizzare grigliate e pic nic. In alcune zone controllate e sicure si può anche fare il bagno perché l’acqua è pulitissima. La sera si balla e si mangia nei vari locali che circondano tutto il perimetro del lago. I più giovani amano follemente il Magnolia, un Circolo Arci che organizza decine di concerti dal vivo al costo supereconomico di 5 euro.
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CIRCOLO MAGNOLIA Via Circonvallazione Idroscalo 41 - Segrate (MI) Tel. +39 02/7561046 www.circolomagnolia.it Bus n.73 Fermata Segrate Aeroporto Linate
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La Milanese che ti insegna a cucinare (dal 1929) A nutrire l’Italia, o meglio ad insegnarle come nutrirsi in modo più moderno, pensò nel 1929 una signora milanese che si chiamava Delia Pavoni. Era sposata con l’editore Umberto Notari che fu lieto di “donarle” per Natale una rivista tutta per lei. All’inizio si chiamava in modo pomposo e lungo “Giornale di gastronomia per le famiglie e i buongustai” ma ben presto divenne più semplicemente “La Cucina italiana”. Il primo numero uscì il 15 dicembre e subito si caratterizzò per originalità: assieme a ricette e consigli culinari vennero pubblicati innumerevoli articoli di poeti e scrittori assai blasonati, tipo Giovanni Pascoli e Ada Negri, che evidentemente provavano gusto ad accostare la loro arte narrativa al buon cibo. Dopo qualche anno la redazione fu spostata a Roma, e per un periodo, purtroppo lungo, le pubblicazioni vennero sospese a causa della Guerra. Ma nel 1952 tre sorelle intraprendenti ne presero la direzione e trasferirono di nuovo tutto a Milano in una palazzina di via Vincenzo Monti, dove avevano fatto costruire nel seminterrato una cucina attrezzatissima e modernissima per provare, testare, fotografare e descrivere le ricette una per una. Fu un boom! La rivista divenne in fretta leader di mercato e fornì spunti e nuovi orizzonti a generazioni di giovani e meno giovani massaie, fino ad arrivare agli anni ’80 dove fece un ulteriore salto di qualità grazie allo stile e alla personalità spiccata di donna Paola Ricas che la diresse per 25 anni ininterrotti. Oggi è Direttore l’architetto Ettore Mocchetti ed ho assistito recentemente ad una cerimonia durante la quale gli veniva conferito un importante riconoscimento. Come allora la sede della redazione ha nella cucina il suo pezzo forte, e lì ci si reca ad imparare quando ci si iscrive ad uno degli innumerevoli corsi messi in calendario dalla prestigiosa Scuola: possono durare solo qualche ora o intere settimane, ma sono sempre piacevoli e molto istruttivi. Per Expo, oltre a tantissime iniziative interessanti, verranno messe in calendario anche lezioni per i turisti stranieri che vorranno approfittare del soggiorno a Milano per portare in patria i nostri trucchi e segreti gastronomici.
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Photo by Andrea Barrica
LA CUCINA ITALIANA Piazza Aspromonte 15 Tel. +39 02/49748004 www.lacucinaitaliana.it Fermata Loreto
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Zelig (ma che vuol dire???) Da quando è stato prodotto uno spettacolo televisivo di grande audience che porta questo titolo, tutti sanno cos’è lo Zelig. Il successo è arrivato oltre che per la bravura dei comici selezionati anche per la simpatia di Claudio Bisio e delle soubrette che lo hanno accompagnato, apparentemente semplici e ingenue, ma di buon spessore artistico, come Paola Cortellesi, Michelle Hunziker e Vanessa Incontrada. Ma cosa si nasconde dietro a questo nome strano, che probabilmente pronunciamo senza conoscerne bene il significato? Prima di tutto è una parola yiddish che ha il doppio significato di “benedetto” e “uomo vittorioso”, ma è anche il cognome del protagonista dell’omonimo film di Woody Allen ambientato nel 1928. Il Signor Zelig è un personaggio particolare, i cui tratti somatici si trasformano a seconda del luogo in cui si trova e delle persone che frequenta. È un involontario camaleonte, apparentemente senza personalità, che assorbe in profondità le caratteristiche dell’ambiente in cui si trova fondendosi perfettamente con esso, moltiplicandosi all’infinito e diventando ironicamente esilarante. Gabriele Salvatores, non ancora troppo famoso, e gli scrittori Gino e Michele, scelsero di chiamare così il locale underground, poco più di un bar “bettola”, che fondarono assieme nel 1986. Tra gli amici che invitavano c’erano personaggi capaci di tenere il palcoscenico per ore e ore, a volte anche senza copione, con una vis comica innata e trascinante: parliamo di Paolo Rossi, Lella Costa, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo, lo stesso Claudio Bisio e decine di altri, che da qui sono partiti quando ancora non li conosceva nessuno. La fama del locale crebbe al punto che a qualcuno venne in mente di riprendere gli spettacoli dal vivo e trasmetterli in TV, moltiplicando in questo modo il numero di spettatori paganti e quello dei comici coinvolti. Per un periodo venne usato il teatro degli Arcimboldi (2.300 posti) che nei due/tre mesi delle trasmissioni era sempre pienissimo. Ora la produzione si è spostata nell’enorme teatro tenda Linear4Ciak di Viale Puglie, che con i suoi 3.000 posti è in assoluto il più grande d’Italia. Se non volete aspettare gli spettacoli televisivi e soprattutto se vi piacciono i luoghi più raccolti e tranquilli, potete andare tutte le sere alle 21.30 (tranne il lunedì) nella vecchia sede dello Zelig che continua ad essere fenomenale nello scovare nuovi comici.
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Courtesy ZELIG
ZELIG CABARET Viale Monza 140 Tel. +39 02/2551774 www.areazelig.it Fermata Gorla
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Bicocca? Chiamavamo così la casa goriziana dei miei nonni paterni, che era stata affettuosamente ribattezzata “BIC”. Non era esattamente bella, né abbastanza calda, e aveva un bagno così buio che ne avevo un po’ paura, ma le volevamo tutti bene. A Milano la Bicocca è invece un quartiere della periferia nord orientale che prende il nome dal villino di campagna che la famiglia Arcimboldi di Parma si fece costruire nel 1450. E’ ben conservato ancora oggi, anche grazie ai restauri fatti dall’Azienda Pirelli che ancora adesso lo usa come sede di rappresentanza e ristorante per i suoi dirigenti. Negli anni ’70 del secolo scorso tutta la zona era industrializzata: gli stabilimenti di Falk, Breda, Ansaldo, Magneti Marelli e ovviamente Pirelli erano in quella zona. Le prime dismissioni avvennero negli anni ’80 e in contemporanea si avviò il processo di riconnessione con il tessuto urbano che continua ancora ai nostri giorni. Uno degli spazi riconvertito in modo più originale è l’ex stabilimento Ansaldo Breda dove una volta costruivano le locomotive volute da Cavour. Attualmente ospita la Fondazione HangarBicocca, di cui è Presidente dal 2012 Marco Tronchetti Provera, Amministratore Delegato di Pirelli. Si tratta di uno spazio ad ingresso gratuito che ospita a rotazione mostre sperimentali e installazioni a volte anche di dimensioni notevoli e che ha come mission la promozione dell’arte contemporanea. Lo spazio ristoro si chiama simpaticamente “Dopolavoro Bicocca” ed è una via di mezzo tra il ristorante e il bar informale. Si può sostare anche nell’Hb Lab, un’area polifunzionale dove si possono consultare testi, riviste e audiovisivi molto raffinati. Non manca lo spazio kids con tanto di Arts Tutor, a disposizione tutti i week end per i ragazzi tra i 4 e i 14 anni dalle 11 del mattino fino alle 23, il tutto sempre offerto da Pirelli!
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Courtesy HangarBicocca Photo Germana Lavagna
Dal lunedĂŹ alla domenica 11.00-23.00
FONDAZIONE HANGAR BICOCCA Via Chiese, 2 Tel. +39 02 66111573 www.hangarbicocca.org Fermata Sesto Marelli Bus n.51 Fermata Via Chiese
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Cinema che passione La parola cineteca ci porta indietro nel tempo in un batter di ciglia, facendoci ritornare ai tempi in cui il cinema era una cosa un po’ diversa da come è ai giorni nostri. Ne è passato di tempo dal 1885 quando i gloriosi fratelli Lumière, Auguste e Louis, girarono “La sortie de l’Usine Lumière a Lyon” che aveva come protagonisti alcuni operai che non facevano null’altro che uscire dalla loro fabbrica e che durava ben 37 secondi. Il famosissimo “Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat” che fece fuggire a gambe levate gli ingenui spettatori dalla sala, ne durava addirittura 45! Bisognerà arrivare al 1915 con “Nascita di una nazione” di Griffith per avere un film come lo intendiamo oggi: seppur muto e ovviamente in bianco e nero durava 165 minuti e aveva un cast e una trama di tutto rispetto. Se il cinema vi piace tutto e se vi interessano le pellicole introvabili, le atmosfere d’antan, le chiacchierate con i registi famosi, le rassegne monografiche e soprattutto altri cinefili con cui scambiare chicche e informazioni, allora non perdetevi la possibilità di frequentare la Cineteca Oberdan. Dal 1947 tutti i giorni propone qualcosa di veramente interessante, conservando e valorizzando un patrimonio che non solo non deve andare perduto ma che va divulgato e fatto conoscere al maggior numero di persone, soprattutto a coloro che ritengono che il cinema sia stato sempre quello che vediamo proiettato oggi nelle sale. E’ invece del 1952 il MIC – Museo Interattivo Del Cinema, che dalla sua originaria sede di Palazzo Dugnani, nel Parco Palestro, è stato da qualche anno spostato alla Ex Manifattura Italiana Tabacchi e oggi offre un’ampia scelta di filmati inediti a disposizione del pubblico. Nella stessa sede è stata trasferita nel novembre 2014, la sessantennale Civica Scuola di Cinema rendendo la grande area dove un tempo si fabbricavano le sigarette, la Cittadella del Cinema milanese.
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Courtesy MIC
MIC – MUSEO INTERATTIVO DEL CINEMA Viale Fulvio Testi 121 Tel. +39 02/87242114
CINETECA OBERDAN Viale Vittorio Veneto 2 Tel. +39 02/77406316
mic.cinetecamilano.it
www.oberdancinetecamilano.it
Fermata Bicocca
Fermata Porta Venezia
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Là dove c’era l’erba... ora... c’è una città... Semplice e diretta, già amara e preoccupata, la ballata con cui il nostro Adriano Nazionale ha voluto rendere omaggio alla strada che lo ha visto bambino, la Via Gluck dove abitava con mamma Giuditta, papà Leontino Celentano e i suoi quattro fratelli al n. 14, al piano terra di una palazzina bruttarella e con il bagno nel cortile attaccata alla ferrovia. La via è decisamente più triste oggi di allora, con tante saracinesche chiuse e in una zona che si sta via via sempre più degradando. A poco sono valsi gli appelli e le incavolature del Molleggiato: la strada in cui “ha lasciato il suo cuore e giocava a piedi nudi nell’erba” per il momento non gode di buona salute. ….. anche se qualcosa di bello in via Gluck è stato creato: al n. 45 c’è un posticino poco conosciuto ma decisamente interessante specie per chi ama il cinema. Si tratta del Museo del Manifesto Cinematografico di Milano Fermoimmagine dove si possono ammirare oltre 50.000 pezzi rari tra manifesti, locandine, foto di scena e affiches. Inaugurato nel 2013, ha iniziato la sua attività con una mostra dedicata a Liz Taylor ed è in breve diventato il punto di riferimento cittadino per i collezionisti e gli appassionati di chicche e curiosità in ambito cinematografico ed editoriale di nicchia.
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Courtesy Fermimmagine
14.00 - 19.00 Chiuso il lunedì
FERMOIMMAGINE – MUSEO DEL MANIFESTO CINEMATOGRAFICO Via Gluck 45 - Tel. +39 02/36505760 www.museofermoimmagine.it Fermata Stazione Centrale
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La Milano da bere Tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo la Milano più conosciuta era quella “da bere”, come aveva decretato il geniale slogan pubblicitario di Marco Mignoni per la campagna Amaro Ramazzotti 1985. Era anche l’autore dei famosi “10 piani di morbidezza” e del “Cioccolato che si scioglie in bocca”, ed ebbe la fortuna di vivere il periodo d’oro dell’advertising milanese, del boom della comunicazione effervescente. Nonostante l’avvio scintillante e festoso la locuzione “Milano da Bere” nell’arco di un decennio si offuscò: stava incalzando un periodo molto più severo e moraleggiante, che tolse velocemente a yuppies, paninari (vedi racconto n. 60) e mondo della moda l’aura di invidiata e invidiabile categoria. Ad un certo punto essa assunse addirittura un connotato negativo. Si beveva parecchio durante le mille feste private, ai cocktail e ai vernissage frequentati dai personaggi della cosiddetta “Milano bene”, dai politici rampanti e dalle modelle che arrivavano a frotte dai quattro angoli del pianeta per respirare l’aria di spensieratezza e benessere che si sprigionava dalla città. Oggi si è tutto ridimensionato, ma molte delle case che allora producevano i liquori in voga in quegli anni esistono ancora: Campari, Zucca, Illva Saronno, Martini, Cinzano, Branca, Ramazzotti sono tutte di Milano e dintorni. Una in particolare vi voglio segnalare, perché è una delle più antiche in Italia e continua imperterrita a far parlare di sé. Nata nel 1845, la Fratelli Branca ha affiancato alla bicentenaria attività di produzione liquoristica l’apertura di un Museo molto interessante. Nella storica sede di Via Resegone 2 si possono ammirare sia il materiale iconografico e pubblicitario prodotto negli anni sia i macchinari e le apparecchiature usate per la distillazione delle erbe, il cui aroma aleggia ovunque. L’azienda ha un altro fiore all’occhiello: si è occupata di far restaurare l’esile Torre Littoria disegnata nel 1933 da Giò Ponti per l’inaugurazione del Palazzo della Triennale. Ora si chiama Torre Branca ed è nuovamente visitabile dopo che nel 1972 era stata chiusa per problemi tecnici. E’ la piccola Tour Eiffel di Milano che la sera si illumina di colore e ci permette di vedere la città dall’alto dei suoi 108 metri (pochi centimetri più bassa della Madonnina, per espresso volere di Benito Mussolini).
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TORRE BRANCA Viale Milton Tel. +39 02/3314120 Chiuso il lunedĂŹ Fermata Cadorna Triennale
BRANCA MUSEUM Via Resegone, 2 Tel. +39 02/8513970 www.branca.it Fermata Maciachini
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Ma che fabbrichiamo vapore? Devo dire che mi commuovo sempre un po’ quando vedo luoghi che potrebbero essere abbandonati e dismessi perché la loro funzione originaria ha cessato di esistere, e che invece hanno la forza di risorgere a nuova vita. Quando poi si sanno ripopolare di giovani operosi, capaci di produrre lavoro e guadagno, allora la mia gioia raggiunge vette ancora più elevate. Ho provato questa emozione quando mi sono trovata all’interno di una grande area che si chiama oggi esattamente come l’avevano battezzata nel 1899 i 1350 operai che vi lavoravano: La Fabbrica del Vapore. Di vapore ne doveva circolare parecchio visto che producevano rotaie per tram e ferrovie e che il metallo doveva essere forgiato mentre era incandescente. Ben presto in quella che venne chiamata Cattedrale per i suoi spazi immensi, cominciarono ad essere prodotti e assemblati anche tram e carrozze ferroviarie e la Carminati & Tondelli divenne velocemente una delle aziende più importanti di questo segmento. Qualche cattivello insinua che durante la prima guerra mondiale all’interno delle sue fucine sia stato prodotto anche materiale bellico, fatto sta che durante il fascismo qualcosa cominciò ad andare storto: i due soci fondatori dovettero riparare in Svizzera per sfuggire ai nazisti, e la fabbrica chiuse definitivamente i battenti nel 1935. Per 50 anni tutto si immobilizzò, l’area venne recintata e si degradò. Bisognerà attendere con pazienza il 2002, anche se qualcosa stava cominciando a muoversi negli anni precedenti. Il Comune di Milano dopo aver bonificato e riconvertito edifici e cortili, iniziò ad assegnare spazi ad enti ed associazioni culturali che via via organizzarono mercati dell’artigianato, mostre ed eventi di varia natura, ridando vita e anima ai 16.000 metri quadri che per tanto tempo avevano sonnecchiato tristemente. Oggi è il caso di dire che l’area funziona a “tutto vapore”, vista l’organizzazione ininterrotta di attività sempre interessanti e insolite, che consiglio di monitorare tramite il sito o telefonando all’ufficio preposto del Comune di Milano.
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FABBRICA DEL VAPORE Via Giulio Procaccini 4 Tel. +39 02/88464132 www.fabbricadelvapore.org Tram 7 - 12 e 14 Fermata Monumetale e Procaccini
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Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo In un primo momento avevo deciso di non scrivere nulla di questa tappa, perché sono sicura che nessun viaggiatore serio, né alcun turista per caso, per non parlare dei milanesi stanziali, la salterà. Poi oggi ci sono tornata per l’ennesima volta e mi sono resa conto che non parlarne sarebbe stato un sacrilegio. Proprio nel senso etimologico della parola: una mancanza di rispetto a quanto di più sacro ha prodotto Leonardo e a quanto di più magnifico ha voluto donare alla città Ludovico il Moro. Per di più mi chiamo Mariagrazia: secondo il mio amico Gabriele Montera sono il mio nome e il motivo per cui mi è stato assegnato, ad aver impresso una certa traiettoria alla mia esistenza e ad avermi portato in certi luoghi. Quindi eccomi a raccontarvi che innanzitutto non appena si arriva nei paraggi di Corso Magenta e si comincia ad intravvedere la Cupola del Bramante qualcosa comincia a vibrare, come se davvero ci stessimo avvicinando ad un luogo carico di energia. Se si arriva da Via Carducci per primo ci verrà incontro il Palazzo delle Stelline (vedi racconto n. 22) e poi la Casa degli Atellani, nella cui vigna Leonardo passeggiava tanto volentieri sentendosi un po’ a Vinci. Da lì già si vede il retro della Basilica, che a mio parere è il suo lato migliore. Il piazzale è sempre un po’ troppo affollato di visitatori in attesa di entrare a vedere con i propri occhi il dipinto più famoso del mondo, quell’Ultima Cena leonardesca che tanto fa parlare di sé a distanza di più di cinque secoli. Abbandonate l’idea di andare in biglietteria ed entrare con facilità: potrete farlo solo se avrete prenotato con un paio di mesi di anticipo oppure dovrete sperare che qualche turista non si presenti all’ingresso. A quel punto cercate di assaporare al massimo i 15 minuti di permanenza che vi spettano: non ho mai visto custodi più severi e attenti al passare del tempo in tutta la mia carriera di viaggiatrice. Molto più facile è entrare nella Basilica: qui i padroni di casa sono i Frati Domenicani e non la Sovrintendenza ai Beni Culturali. Non solo tengono aperta la Chiesa tutto il giorno (a parte qualche ora a cavallo del sacro pranzo) ma non fanno nemmeno pagare il biglietto. Cosa incredibile considerati i capolavori custoditi all’interno e lo splendore delle decorazioni che hanno reso questo luogo Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco fin dal 1980.
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CHIESA SANTA MARIA DELLE GRAZIE
CENACOLO VINCIANO Piazza di Santa Maria delle Grazie 2 Tel. +39 02/9280 0360
Aperta tutti i giorni Ingresso libero
8.15 - 19.00 Chiuso il lunedì www.cenacolovinciano.org Fermata Conciliazione
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Caterinette (Martinitt e Stelline) Non si usa più molto, al giorno d’oggi, questo vocabolo antico proveniente dalla Francia e derivante da Santa Caterina d’Alessandria, protettrice delle apprendiste sarte. A Milano le prime Caterinette furono le bimbe rimaste orfane dopo la peste del 1485 e che vennero accolte nel 1500 in un edificio adiacente alla chiesa di Santa Caterina voluto dal Cardinale Borromeo, Arcivescovo della città. Già allora le suorine insegnavano loro a tenere in mano ago e filo perché imparassero a cucire i loro abiti, seppur semplici. Nel 1576 un’altra ondata di peste assalì Milano e quegli spazi si rivelarono insufficienti. Venne allora istituito lo Spedale dei Poveri Mendicanti e Vergognosi della Stella, da cui il nome di Stelline che ancora oggi porta il Palazzo. All’epoca non andavano di moda i giri di parole politicamente corretti: i mendicanti non si chiamavano romanticamente clochard o homeless, e non usava addolcire la pillola, ma per i bambini già allora venne fatta un’eccezione. Così gli orfanelli maschi vennero chiamati Martinitt, perché il loro Santo Patrono era San Martino e le bambine vennero dette Stelline, in onore di Santa Maria della Stella. L’istituzione è proseguita nei secoli e ha avuto come ospiti ragazzi che poi si sono fatti strada nel mondo, come Angelo Rizzoli, fondatore dell’omonima casa editrice, e Leonardo Del Vecchio, fondatore della Luxottica, multinazionale dell’occhialeria, quotata in Borsa a Milano e New York. Qualche anno fa nell’ala destra del Palazzo delle Stelline è stato inaugurato un bel museo interattivo, grazie al quale è possibile immergersi nelle atmosfere quotidiane dei tempi andati, partecipando virtualmente a lezioni di ginnastica ed economia domestica, al pranzo collettivo e alle attività didattiche dei giovani orfani ospiti della casa. Le Caterinette di Milano, ma anche quelle di Torino, Genova e varie altre località d’Italia, hanno contribuito a creare quel “tessuto” di manualità creativa che, poco alla volta, si è sviluppato fino a rendere la nostra nazione, e Milano in particolare, una delle più importanti al mondo per quanto concerne la moda e lo stile. Dalle centinaia di sartine, modiste, crestaie, plissettatrici, modelliste che nel corso dei secoli hanno determinato il modo di abbigliarsi di vanitose dame e damine, siamo arrivati ai sofisticati atelier che hanno avuto il loro massimo splendore internazionale nella seconda metà del secolo scorso. Oggi praticità e costo contenuto hanno sopraffatto gusto ed eleganza, lasciando molto spazio a produzioni industriali di dubbia qualità. Ma tant’è: ai trend non si comanda…
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Courtesy Ernesto and Renato Marelli (twin brothers)
10.30/18.30 Ingresso libero Chiuso la domenica e il lunedĂŹ
MUSEO MARTINITT E STELLINE Corso Magenta, 57 Tel. +39 02 43006522 www.iltrivulzio.it Fermata Conciliazione
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Sant’Ambrogio Non era assolutamente nei piani del giovane Aurelio Ambrogio, nato a Treviri in Germania nel 340 d.C., diventare Vescovo di Milano e men che meno patrono della città per i secoli successivi. Figlio di un prefetto romano, a 30 anni era già Console dell’Impero quando cattolici e ariani si contesero il diritto di nominare il nuovo Vescovo, creando molta tensione in città. Tenere sotto controllo l’ordine pubblico era uno dei compiti del Console, quindi Ambrogio decise di affrontare la folla in tumulto, stregandola con le sue doti oratorie e placandola al punto che entrambe le fazioni lo riconobbero come capo della spiritualità, intuendo le sue doti di uomo retto, saggio, imparziale e di molto senso pratico. Fino al suo avvento la Messa veniva celebrata con il rito romano, durante il quale l’officiante dava sempre le spalle ai fedeli senza poter vedere quello che avveniva tra la gente. Ambrogio apportò al rito tutta una serie di modifiche, inserendo i canti nella liturgia e stabilendo altre regole “coreografiche” tra cui quella importantissima di officiare di fronte, ottenendo il duplice risultato di far sentire le persone più partecipi ma soprattutto di evitare al sacerdote i frequenti attacchi di spalle da parte dei malintenzionati. Nel 386 d.C. fece erigere la Basilica, inizialmente detta “dei Martiri”, in cui sono conservate le sue spoglie fin dal 397 d. C. Durante la dominazione napoleonica l’edificio religioso venne trasformata in ospedale militare ma a parte quel breve periodo la chiesa di Sant’Ambrogio è sempre stata un imprescindibile punto di riferimento dei milanesi che la considerano importante quasi quanto il Duomo. La dimostrazione del loro affetto si ebbe dopo i bombardamenti del 1943 che la distrussero in buona parte: in soli 7 anni venne ricostruita e resa più bella di prima. Simpatica, anche se leggendaria, è la storia della colonna detta “Del Diavolo” posizionata nella piazza antistante: i due fori sarebbero stati causati dalle corna del maligno che voleva trafiggere Ambrogio, ma riuscì solo a conficcarsi nel marmo. Alle spalle della Cattedrale sorgeva l’antico monastero cistercense che oggi ospita l’Università Cattolica del Sacro Cuore, uno dei più rinomati atenei italiani.
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Lunedì - Sabato 10.00 / 12.00 - 14.30 / 18.00 Domenica 15.00 / 17.00
BASILICA DI SANT’AMBROGIO Piazza Sant’Ambrogio 15 Tel. +39 02/86450895
Fermata Sant’Ambrogio
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Sant’Eustorgio e il Barbarossa È merito di una mia giovane amica, dottore in storia ed esperta di argomenti medievali, il mio radicale cambio di opinione su Federico I Hoehnstaufen, detto Barbarossa. Lo avevo sempre considerato un prepotente che senza troppo badare al sottile piegò ai suoi voleri gran parte della penisola durante il Medio Evo. Dopo aver assistito ad una lezione storica a lui dedicata mi sono dovuta ricredere. Diventato nel 1152 Re di Germania alla morte dello zio Corrado III, molto velocemente si organizzò per recarsi di persona nei territori dell’Impero che da trent’anni non venivano visitati, cosa che aveva creato indifferenza e desiderio di indipendenza nei sudditi. Milano era già grande e potente e per questo pretendeva la supremazia sui Comuni del circondario, esigendo tasse e gabelle, dettando legge in tutti gli ambiti del commercio, perpetrando soprusi e prepotenze. Fu il Comune di Lodi a ribellarsi per primo e a rivolgersi al futuro Imperatore per ottenere protezione e giustizia. Dopo un iniziale tentativo diplomatico e restando Milano ferma nei suoi propositi di ribellione ed insubordinazione fiscale, Federico si vide costretto ad esercitare i suoi diritti imperiali e a mettere la città sotto assedio. Aveva contro di sé oltre ai comuni della neo costituita Lega Veneta, anche il Papato, i Normanni e i Bizantini, perciò possiamo capire come fosse furibondo. Ci vollero trent’anni prima che si trovasse un accordo: con la Pace di Costanza del 1183 le acque si placarono un po’ e Milano cominciò la sua lenta ricostruzione. Un edificio sacro ha visto tutto quello che successe in quel periodo perché risaliva al IV secolo: la bellissima chiesa dedicata al Santo (Eustorgio) che secondo la tradizione cristiana portò da Costantinopoli le spoglie dei Re Magi. Il carro su cui li aveva deposti si impantanò e non restò che fermarsi, edificare sul posto un nuovo tempio e custodirvi le reliquie. La leggenda aveva valicato i confini e durante il Sacco di Milano del 1162, le truppe di Barbarossa trafugarono i resti e li portarono nella Cattedrale di Colonia dove rimasero fino al 1904, quando furono in parte restituiti e conservati in un sarcofago prezioso. Dovesse capitarvi di essere a Milano il 6 gennaio non perdetevi una delle tradizioni più antiche della città: la sfilata dei Re Magi in costume che parte da Piazza del Duomo e arriva proprio qui.
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Murales di Encs/Giuseppe GEP Caserta
CAPPELLA PORTINARI e MUSEO 10.00 / 18.00 Tutti i giorni
SANT’EUSTORGIO Piazza Sant’Eustorgio 1 Tel. 02/58101583 www.santeustorgio.it Tram 3 Fermata Piazza XXIV Maggio
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San Barnaba e l’Umanitaria Il Refettorio più famoso del mondo è senza dubbio quello di Santa Maria delle Grazie (vedi racconto n. 21) che Leonardo Da Vinci decorò con la celeberrima Ultima Cena, riconsegnandolo ai frati domenicani nel 1498, dopo che per 4 lunghi anni li aveva fatti desinare in luoghi di fortuna esasperandoli per la lentezza con cui portava avanti il suo lavoro. Ma non è del grande dipinto a tempera grassa che nel 1980 è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’Umanità che vi voglio parlare ora. A Milano c’è un’altra “sala da pranzo” decorata in modo esemplare, anche se è obbiettivamente un po’ meno conosciuta. Mi viene il dubbio che i frati francescani del Convento di San Barnaba non volessero essere da meno dei loro confratelli domenicani pertanto nel 1520 commissionarono ad un bravo artista del tempo, Bernardino Ferrari, il compito di decorare la parete terminale della grande sala che utilizzavano per consumare i loro pasti. La maestosa Crocifissione restaurata di recente rende la Sala detta degli Affreschi luogo di elezione per conferenze, trasmissioni televisive, concerti ad alto livello organizzati dalla società Umanitaria, Ente Morale fondato nel 1893 con lo scopo di dare voce e sostegno ai più deboli e ancora oggi attivissimo. Nel 1805 tutto il complesso conventuale, compresa la chiesa di Santa Maria della Pace, venne sconsacrato e adibito prima a magazzino, poi ad ospedale e infine divenne riformatorio. Miracolosamente, i danni provocati dai bombardamenti non sono stati troppo pesanti e i cinque meravigliosi chiostri dai nomi suggestivi – delle Statue, dei Pesci – delle Memorie, dei Glicini, dei Platani - si sono mantenuti intatti e oggi accolgono sfilate di moda, cinema all’aperto, cene di rappresentanza, aperitivi in musica e molte serate a tema. Per i mesi dell’Expo, la società che gestisce gli spazi ha previsto molte iniziative culinarie e culturali dedicate al tema “nutrire il pianeta”, con particolare attenzione alle tradizioni lombarde e toscane.
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Courtesy I CHIOSTRI
I CHIOSTRI DI SAN BARNABA Via San Barnaba 48 Tel. +39 02/5466494 www.ichiostri.net Tram 27 Fermata Palazzo di Giustizia
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La Rotonda della Besana Fino all’editto napoleonico di Saint Cloud del 1805, che stabiliva nuove norme in materia di sepoltura, vietando di costruire cimiteri all’interno delle città e fermando l’abitudine di seppellire i morti illustri all’interno delle chiese, ogni ospedale aveva il suo camposanto. Quello della Cà Granda (vedi articolo 38) venne costruito sul retro del corpo principale e vi si accedeva dalla Porta della Meraviglia che ancora oggi si può vedere in Via Francesco Sforza. Nell’area venne costruita la Chiesa detta di San Michele ai Nuovi Sepolcri e successivamente, tutto intorno al perimetro, un porticato tondeggiante che fino alla fine del ‘700 ospitava varie tombe e un ossario. Da quel momento alla Rotonda vennero date varie destinazioni; fu deposito militare, luogo di isolamento per gli infettivi, fienile, lavanderia dell’ospedale e dal 1958, dopo un buon restauro, divenne uno spazio espositivo del Comune di Milano, che ha ospitato fino al 2014 molte mostre interessanti. Dal 2014 fino al 2022 tutta l’area è stata data in gestione al MUBA – il Museo dei Bambini, società senza scopo di lucro che si occupa di progetti culturali dedicati ai piccoli a volte in collaborazione con importanti aziende, come la Mostra sull’Energia organizzata con Edison, che prevede percorsi interattivi, giochi e divertimento istruttivo. Alcuni laboratori o esposizioni sono a pagamento, ma ci sono molti spazi sempre aperti e del tutto gratuiti. Altra nota simpatica: anche i genitori sono ben accettati e spesso si divertono più dei figli.
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Courtesy MUBA
lun 9.30-15.30 mar/ven 9.30-18.30 sab/dom 10.00-19.00
MUBA – MUSEO DEI BAMBINI Via Besana 12 Tel. +39 02/43980402 www.muba.it Tram 9 Fermata Montenero Spartaco
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Binario 21 Ho provato a cominciare questo pezzo tre volte e finora non ero ancora riuscita ad andare oltre le prime cinque righe. Ogni volta mi prendeva un nodo alla gola, cominciava a pizzicarmi il naso e capivo che dopo un attimo mi sarebbero scese le lacrime. Ho deciso di scrivere questa storia, quindi a costo di inzuppare il foglio stavolta procederò. Era il 30 gennaio del 1944 e faceva un freddo tremendo nella cella di San Vittore dove la tredicenne Liliana Segre e il suo papà erano rinchiusi da 40 giorni per la sola colpa di essere nati ebrei. Da anni la loro vita era diventata un inferno: lei non aveva più potuto frequentare la scuola, il padre aveva perso il lavoro, tanti loro parenti erano stati portati non si sa dove e ora speravano solo di poter stare assieme, accontentandosi di pochissimo. Vivevano in un’ansia perenne, presagendo il peggio. Quella sera c’erano anche i loro nomi nella lista che i secondini lessero ad alta voce. Loro due e altri 650 infelici vennero fatti uscire dal carcere in piena notte. I camion su cui erano stati caricati in malo modo si fermarono in Via Ferrante Aporti, di fianco alla stazione ferroviaria e tutti vennero spinti nei vagoni bui e gelidi che venivano usati per trasportare la posta; partirono per una destinazione sconosciuta e di loro non si seppe più nulla. Liliana è una delle poche milanesi ad essere tornata dal campo di concentramento e già ce ne sarebbe abbastanza, ma la cosa che mi commuove di più è rendermi conto di quanto sia riuscita a fare tesoro di un’esperienza che invece di distruggerla l’ha resa saggia, comprensiva e rassicurante. Ha persino scritto un libro di rara sensibilità dedicato ai ragazzi per spiegare loro, con dolcezza, l’olocausto. Si intitola “Fino a quando la mia stella brillerà”. Reca un’introduzione scritta da Ferruccio De Bortoli, l’ex Direttore del Corriere della Sera e Presidente della Fondazione Memoriale della Shoa; tanto coinvolto da diventare uno dei principali promotori di Binario 21, il memoriale/laboratorio inaugurato il 27 gennaio 2013 per far sì che questo luogo, già da tempo divenuto il simbolo italiano dell’olocausto, possa “restituire almeno in parte la voce a chi non è più tornato a casa” (Cit. Liliana Segre).
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Courtesy Memoriale della Shoah
Memoriale della Shoah Piazza Edmond Safra 1 Tel. 02/2820975 www.memorialedellashoah.it Fermata Caiazzo
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All that jazz C’era una volta un locale che si chiamava Capolinea. Prendeva il nome dal fatto che lì finiva la linea del tram 19, in Via Ludovico il Moro sul Naviglio Grande e si era già in periferia. Si mangiava bene con pochi soldi (mitica la bruschetta) ma soprattutto si ascoltava il miglior jazz dal vivo d’Italia. Era un tempio, insomma. Nei suoi 30 anni di vita, dal ’68 al ’99, sono passati da lì i migliori jazzisti del mondo, gente del calibro di Dizzie Gillespie, Chick Corea, Chet Baker, Gerry Mulligan, ma anche Tullio De Piscopo, Franco Cerri, Ellade Bandini e Lino Patruno hanno catalizzato l’attenzione di appassionati e musicisti che spesso partecipavano a jam session che duravano spontaneamente fino all’alba e sono rimaste storiche. Alla morte del fondatore Giulio Vanni si spense qualcosa anche nel locale, e un po’ alla volta la sua anima si perse. Nel frattempo sull’altro Naviglio, il Pavese, era nato un altro tempietto, piccolo, più raccolto, a cui venne dato il nome Le Scimmie. Lì si ritrovavano De Andrè, Morgan, e pure Elio che non era ancora noto ma era già bravo e sicuro di sé come oggi, tanto che non ci mise più piede per anni dopo che gli venne rifiutato l’aumento del cachet. Una delle attrazioni del locale era la bella barca ancorata di fronte, dove si cenava piacevolmente prima o dopo essere stati ad ascoltare la musica dal vivo nella microscopica stanza sulla “terraferma”. Ma è stato chiuso di recente. Ora se si vuole del buon Jazz si deve per forza andare al Blue Note Milano, fondato nel 2003 sulla scia di quello del Greenwich Village di New York e dei due di Tokyo e Nagoya in Giappone. Alle 21 e alle 23 di tutti i giorni si ascolta ottima musica e, volendo, si cena o si beve un cocktail. Non è però necessario farlo, visto che per accedere si deve acquistare un biglietto di per sé già un po’ costoso, ma qualche volta nella vita vale la pena di sentirsi come se si fosse a Londra o a New York, senza pensare troppo al portafoglio!
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Courtesy Blue Note / Photo Michela Veicsteinas
Chiuso il lunedĂŹ
BLUE NOTE Via Borsieri 37 Tel 02/69016888 www.bluenotemilano.com Fermata Isola
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Deus che posto! Il mio ufficio si trova ai margini della Chinatown milanese. Un po’ alla volta il quartiere cinese che fino a qualche anno fa aveva il suo epicentro in Via Paolo Sarpi e poche laterali, si è dilatato fino ad arrivare in Via Farini e oltre, invadendo pian piano tutto il quartiere Isola. La pescheria di fronte, il negozio di tabacchi, il bar di fianco, la lavanderia e perfino il megastore di cibi orientali all’angolo ci fanno capire che il trend è in crescita. Non sta a me giudicare se la cosa sia buona o meno, so solo che quando il mio capo qualche giorno fa mi ha portato a colazione al Deus mi sono sentita rincuorata. Non conoscevo affatto il locale, anche perché l’anno scorso, in quell’interno, c’era tutt’altro genere di ristorante. Il realtà il suo nome completo e altisonante sarebbe D.E.M. – Deus Ex Machina, concept nato in Australia ed esportato in varie nazioni per racchiudere in un unico spazio un’area ristorante, una espositiva e una di vendita di biciclette, moto e tavole da surf, oltre che di abbigliamento tecnico e griffato legato a queste aree tematiche. Il risultato è un “tempio dell’entusiasmo” dove gli occhi, il palato ed il tatto sono estremamente sollecitati e gratificati. Geniale il tavolone centrale, dove si pranza assieme anche se non ci si conosce, gustando piatti sfiziosi serviti in modo “tecnico” e originale. Un esempio? Le patatine fritte tipo chips croccanti, servite in un minicestello per frittura divertente e insolito. Altra chicca del posto: l’officina/workshop per il restauro e l’assemblaggio di biciclette speciali. Tutto a vista, e che vista! La parte bar/ristorante resta aperta fino a tardi, mentre il negozio chiude alle 22.
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Courtesy Deus ex machina
DEUS EX MACHINA Via Thaon de Revel 3 Tel. 02/83422610 www.deuscustoms.com Fermata Zara
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Il Cimitero monumentale Prima o poi i lavori della linea n. 5 della metropolitana che porterà fino allo stadio di San Siro si concluderanno e l’area antistante il Cimitero Monumentale potrà nuovamente essere vista in tutto il suo splendore. Per il momento creano un notevole disagio di traffico e offrono un panorama poco piacevole, oltre a costringere i pedoni a fastidiose gimkane tra reti e cantieri. Dicono che il supplizio durerà fino all’ottobre del 2015, quindi lo subiranno anche i milioni di visitatori che arriveranno per l’Expo. Diversa e molto più suggestiva dovette essere la visione che apparve alle migliaia di milanesi accorsi sul grande spiazzo antistante il cimitero il 26 febbraio 1901, quando il Maestro Arturo Toscanini diresse 120 orchestrali e 900 coristi nel “Va pensiero”. Giuseppe Verdi era morto da poco più di un mese (vedi racconto n.64) e le sue spoglie erano state ospitate temporaneamente nel Famedio del Monumentale, vicino al Mausoleo di Alessandro Manzoni, che Verdi tanto amava e per il quale aveva speso parole di ammirazione assoluta: (“Io mi gli sarei posto in ginocchi dinanzi, se si potessero adorare gli uomini”) e per il quale aveva composto la famosa Messa da Requiem per commemorarne la morte. Il suo desiderio era però quello di riposare assieme alla moglie Giuseppina Strepponi nel giardino della Casa dei Musicisti da lui fondata (vedi racconto n.3) . La traslazione delle due salme avvenne appunto il 26 febbraio e, per la seconda volta, una folla immensa accompagnò mestamente il Grande Maestro alla sua ultima dimora, impiegando 11 ore a percorrere le strade fino a Piazza Buonarroti. Anche Arturo Toscanini e la sua famiglia riposano al Monumentale, in un piccolo tempio all’interno del Giardino Grande. Nei lunghi e silenziosi viali si possono ammirare i monumenti funebri dei Falk, dei Campari, dei Treccani e di molte altre illustri famiglie. I più antichi sono coperti di una patina nero-verdastra che invece di dare una sensazione di degrado e abbandono come alcuni sostengono, contribuisce ad accrescere il fascino decadente che il luogo emana, raggiungendo il suo culmine nella parte ebraica
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mar/dom 8.00-18.00
CIMITERO MONUMENTALE Piazzale Cimitero Monumentale Tel. 02/88465600 www.comunedimilano.it Autobus 37 Fermata Monumentale
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Chinatown Sono stata a New York la prima volta nel 1998 e uno dei ricordi più fulgidi di quel viaggio è legato all’olfatto. Dicono che gli odori non si dimenticano mai e che basti un aroma vago per riportare alla mente sensazioni sepolte dal tempo. Mai più risentito, ma ancora ben impresso nella mia memoria, è l’odore pungente e salato che si sprigionava dai sacchi di iuta colmi di cozze essiccate che praticamente stazionavano fuori da ogni negozio di cibarie del quartiere cinese. Ho scoperto solo in quella circostanza che sia in Cina sia ad Hong Kong sono considerate una vera leccornia, ma confesso di non avere mai avuto il coraggio di assaggiarle. Dopo qualche anno mi sono trasferita a Milano e sono andata quasi subito ad esplorare la zona che già allora era considerata la Chinatown meneghina. L’ho trovata più ordinata e pulita di quella Newyorkese, piccola, quasi discreta direi, e nemmeno un sacco di iuta sulla strada: forse qui il rispetto delle norme igieniche non è un optional! Un’altra grande differenza consiste nel fatto che la maggioranza dei cinesi ha l’attività lavorativa separata dal contesto abitativo, mentre nella Grande Mela i negozi, che già sono sotto al piano strada di tre o quattro gradini, hanno delle zone ancora più basse che vengono adibite a dormitori. C’è da dire che nell’arco di una ventina d’anni le insegne cinesi hanno preso il sopravvento di Via Paolo Sarpi: ora sembra davvero di passeggiare per una via di Canton o di Shangai, anche se mi ha fatto piacere verificare che la Macelleria Sirtori, quella della famosa porta rossa, c’è ancora. Regge dal 1931 perché vende carne ottima a prezzi altrettanto interessanti, e aiuta le signore (anche cinesi credo!) preparando specialità che sono già quasi del tutto lavorate e pronte da cucinare. Il momento più bello per il quartiere è quello durante il quale vengono organizzati i festeggiamenti per le celebrazioni del Capodanno cinese che cade sempre tra la fine di gennaio e la terza settimana di febbraio: in un trionfo di colore rosso, lanterne, suoni di tamburo, la comunità cinese dà il via ad una sfilata seguita da migliaia di milanesi, che ben volentieri fanno ala ad un folklore gioioso e chiassoso, come ormai nel nostro mondo non usa più…
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MACELLERIA SIRTORI Via Paolo Sarpi 27 Tel 02/342482 www.muuu.it tram 14 Fermata Bramante Sarpi
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Antonio Bernocchi e l’arte Tutto ebbe inizio nel 1919 quando la Villa Reale e il Parco di Monza divennero Demanio dello Stato. Fu creato un Consorzio che aveva l’incarico di trasformare l’area in un luogo di ritrovo per monzesi e milanesi, organizzando gare sportive, corse per i cavalli, rappresentazioni teatrali e mostre d’arte. Già nel 1923 venne organizzata un’esposizione a cui venne dato il nome di Biennale, per l’intento degli organizzatori di farne una rassegna ciclica e non saltuaria che vide 3 edizioni. Nel consiglio di amministrazione sedevano artisti come Mario Sironi e Giò Ponti, e proprio loro si occuparono di dialogare con l’allora capo del Governo Benito Mussolini per trasferirla nel nuovissimo Palazzo dell’Arte di Milano, costruito con il generoso lascito di Antonio Bernocchi. Questi era un mecenate che aveva messo a disposizione della città di Milano e dei suoi artisti buona parte delle ricchezze accumulate dalla sua famiglia grazie alla produzione industriale di tessuti che vendevano all’ingrosso all’esercito. Oltre alla costruzione della Triennale, i Bernocchi si occuparono anche di ricostruire il Teatro alla Scala e la Pinacoteca di Brera dopo che i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale li avevano quasi rasi al suolo. Ancora oggi la Triennale gode di ottima salute e propone iniziative di grande qualità, forte della sua esperienza ormai ultra settuagenaria. Un anno magico fu il 1939, quando Mussolini volle che al suo interno venisse organizzata la prima esposizione mondiale dedicata a Leonardo Da Vinci, il genio tutto italiano che non era ancora stato degnamente celebrato (vedi racconto n.58). Il titolo altisonante ed autarchico della Mostra fu: “Leonardo. Onore del genere umano”. Per venire a tempi più recenti e di cui posso dare testimonianza diretta, segnalo un allestimento che mi è rimasto particolarmente nel cuore: nel 2002 venne realizzata un’enorme installazione dedicata a Italo Calvino e alle sue Città Invisibili. Gli 11 progettisti/artisti tra cui Mimmo Paladino e Gaetano Pesce riuscirono a creare un’atmosfera che mi emozionò al punto da imprimere una svolta significativa al mio percorso formativo, dandomi la consapevolezza di quanto la città, fluttuando tra sogno e realtà, evocazione e richiamo, possa influenzare, nel bene e nel male, la nostra potenzialità energetica.
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mar/dom 10.30-20.30 gio 10.30-23.00
PALAZZO DELLA TRIENNALE Viale Alemangna 6 Tel. 02/724341 www.triennale.org Fermata Cadorna Triennale
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Gae (Aulenti) Mi chiedo come sia possibile che una donna nata in un paesello di 3.000 anime chiamato Palazzolo della Stella, in provincia di Udine, nel 1927, sia potuta diventare uno degli architetti più famosi al mondo. Se poi teniamo conto che il periodo storico era turbolento e che la sua famiglia fu costretta a continui spostamenti per evitare le bombe, il suo percorso ci appare ancora più eccezionale. Dopo aver frequentato le scuole qua e là, nel 1948 si iscrisse al Politecnico di Milano, dove arrivava in Lambretta, indossando solo pantaloni e scarpe senza tacco, il che le valse il soprannome di a-tacchica che le fu appioppato da Paolo Grassi, uno dei fondatori del Piccolo Teatro. (vedi racconto n.68) Pur non essendo una ragazza che puntava sulla femminilità per avere successo, attirò l’attenzione di Carlo Ripa di Meana con il quale ebbe una relazione ventennale. Decideva sempre lei quel che voleva fare e soprattutto con chi lavorare, trovandosi perfettamente a suo agio con mostri sacri come Renzo Piano, Achille Castiglioni, Ettore Sottsass, Luca Ronconi, Bruno Munari. La sua fama divenne planetaria: Parigi la volle per l’allestimento del Museo D’Orsay, Tokyo per l’Istituto Italiano di Cultura, Siviglia per il Palazzo dell’Expo, Firenze per la Stazione di Santa Maria Novella, Venezia per Palazzo Grassi. A Milano realizzò lo Spazio Oberdan e i lavori di ristrutturazione delle stazioni Cadorna e Centrale. Fu lei a volere fortemente che in Piazza Cadorna venisse posata la discussa scultura dei coniugi Oldenburg/Van Bruggen chiamata Ago, Filo e Nodo. I due artisti sono famosi per le loro installazioni giganti che riproducono oggetti di uso quotidiano (mollette per il bucato, scopette, pennelli, prese di corrente) che si trovano in moltissime città dell’intero pianeta. Volendo rendere omaggio all’operosità manuale delle sarte e degli stilisti milanesi, hanno realizzato un imponente ago di 18 metri di altezza, dalla cui cruna escono un filo rosso, uno giallo e uno verde, a rappresentare i colori delle linee della metro, che terminano in un grosso nodo posizionato nella fontana in mezzo alla piazza. Personalmente lo trovo bellissimo, ma a molti milanesi non è proprio andato giù che nel 2000 il Comune abbia speso per quest’opera 22 miliardi di lire (l’equivalente odierno di 11 milioni di euro) e forse non hanno tutti i torti.
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Photo by Sebastiano Tavolazzi
AGO FILO E NODO Piazzale Cadorna
Fermata Cadorna Triennale
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Il Teatro Litta Per una strana circostanza sono diventata amica di una persona molto in gamba che risponde al nome di Gaia Calimani il Direttore delle Relazioni Esterne del teatro più antico della città, edificato nella seconda metà del ‘700 assieme all’omonimo Palazzo Litta, gioiello milanese dell’arte barocca. Sono 25 anni che Gaia trascorre le sue giornate e le sue serate in questo luogo bellissimo e nonostante le innumerevoli difficoltà a cui deve far fronte quotidianamente, dalla sua voce e dai suoi gesti escono a fiumi l’entusiasmo e l’amore per il suo lavoro. Da quando mi ha raccontato come la sua storia personale sia legata a doppia filo a questi spazi, non posso che guardarli con altri occhi anch’io. Sapere che dove adesso c’è il Boccascena Bar c’era la sala da pranzo del Dopolavoro Ferroviario e che ancora prima ci arrivavano le carrozze e venivano staccati i cavalli per farli riposare e bere alla Fontana del Nettuno, mi trasporta nel passato in un battibaleno. Non faccio fatica ad immaginare i tempi in cui nella sala dove oggi assistiamo agli spettacoli selezionatissimi che Gaia e Antonio (Sixty – regista e Direttore Artistico Stabile) ci propongono, si sedette anche Napoleone Bonaparte: durante il suo periodo milanese era spesso ospite dei padroni di casa, i Marchesi Litta Visconti Arese, che in suo onore fecero piantare nel giardino un faggio che ancora sopravvive. Nel 1874, il Palazzo venne comperato all’asta dalla Società Ferroviaria dell’Alta Italia - che poi muterà negli anni il suo nome in Ferrovie dello Stato - restituendolo al demanio nel 1996. Dieci anni prima la parte “teatrale” venne data in gestione alla Cooperativa degli Eguali, che nel corso degli anni si è accollata tutti i costi di ristrutturazione: sono stati messi a norma, il foyer, le sale, di cui una ricavata dalla vecchia scuderia, e la foresteria per gli ospiti. E’ un peccato non poter visitare il corpo centrale della Villa che attualmente ospita gli uffici milanesi del Ministero dei Beni Culturali: il Salone degli Specchi a cui si accede dallo scalone monumentale è veramente suntuoso. Ma già solo la facciata barocca con l’enorme stemma della Casata sorretto dai due aitanti mori, gli Omenoni che controllano l’ingresso, e il pallido color carminio delle pareti sono uno spettacolo da non perdere. In compenso, a teatro ci si può andare tutte le sere e se si cerca la bella Gaia, riconoscibile per la sua alta statura e la sua chioma biondo platino, si possono fare anche delle interessanti chiacchierate.
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Courtesy Teatro Litta
TEATRO E PALAZZO LITTA Corso magenta 24 Tel. 02/8055882 www.teatrolitta.it Fermata Cadorna Triennale
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OB A Milano OB vuole dire Ostello Bello. E se dici Ostello Bello a una persona tra i 15 e i 30 anni, al 100% di loro si stamperà sul viso un sorriso delizioso, perché lo conoscono e lo frequentano tutti, non solo coloro che ci vogliono dormire. Diranno che ci si sente come a casa, che si mangia come a casa, che si chiacchiera con le persone come se le si conoscesse da sempre. E poi diranno che, se non si ha voglia di mettere mano al portafoglio, si può stare lì a giocare a carte o a calcetto, a suonare la chitarra o il pianoforte, a babare per ore senza che nessuno si sogni di mandarti via perché non hai consumato. Ah, dimenticavo: diranno che nessuno si arrabbia se vai lì per studiare o leggere, anche se forse è meglio farlo nelle ore tranquille del mattino. Gli ideatori di questo luogo di delizie a portata di tasca sono tre ragazzi, (uno di loro è il nipote del generale Dalla Chiesa) che di ostelli ne hanno visti circa 200 sparsi in tutto il mondo. Nel 2011 decisero di osare. Presero in affitto i locali che erano stati utilizzati come magazzini dalla Mornati Arredamenti e fecero una “lista nozze” per arredare gli spazi. Tutti hanno portato di tutto: ecco perché ci si sente come a casa anche se i coinquilini arrivano da tutto il mondo. Le camere sono solo 11 e sono spesso occupate, ma vale la pena di tentare: lo hanno definito un “lowcost highprofile” perché ti danno le lenzuola, anzi è vietato usare i sacco a pelo per ragioni igieniche, il wi-fi, la colazione a tutte le ore, e un’accoglienza indimenticabile. All’Ostello Bello, anche il Mercato è Bello: 1 volta al mese vengono selezionati 4 o 5 ragazzi che hanno avuto idee artigianali originali e fresche, che di solito hanno notevole successo. Se per caso non avete più vent’anni ma avete lo spirito giusto, andateci: l’atmosfera rilassata è a disposizione di tutti ma proprio tutti!
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OSTELLO BELLO Via Medici 4 Tel 02/36582720 www.ostellobello.it tram 2 - 14 Fermata Carrobbio
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San Lorenzo e le Colonne I giovani milanesi prediligono incontrarsi in un luogo che tutti in città chiamano “Le colonne”. Da lì partono per raggiungere i numerosi locali che si trovano in zona, e lì spesso tornano per salutarsi prima di andare a dormire. Quando non c’è più posto sulle panchine in pietra o sui muretti, si siedono tranquillamente sul pavimento del grande spiazzo antistante la chiesa di San Lorenzo e bevono una birretta, qualcuno si fa una cannetta, qualche volta litigano e diventano rissosi ma raramente succede qualcosa di veramente grave. Chi abita nei dintorni e non ha più 25 anni si dichiara esasperato, uno su tutti l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, che aveva addirittura proposto di recintare tutta l’area e di chiuderla la sera, per evitare gli schiamazzi, i vandalismi e i cocci di bottiglia, che alle due di notte, quando arrivano i camion della nettezza urbana sono veramente tanti. Ma non se ne è fatto nulla e tutto continua come prima. Quindi, a meno che non vogliate vivere la movida notturna e unirvi ai giovani, il consiglio che vi do è di andare in zona la mattina, quando tutto è tranquillo e soprattutto sgombro. Si potranno così ammirare le 16 colonne in tutti i loro 7 metri e mezzo di altezza, e la statua in bronzo dedicata all’imperatore Costantino. Le colonne furono trasportate qui durante la costruzione della chiesa, che avvenne tra il 300 e 400 dopo Cristo. Appartenevano ad un tempio pagano, probabilmente ubicato in quella che oggi è Piazza Santa Maria Beltrade, vicino al Duomo. Era l’epoca in cui Milano si chiamava Mediolanum ed era assieme a Roma la capitale dell’Impero Romano di Occidente. Qui, nel 313 d.C. l’Imperatore Costantino arrivò da Roma per firmare con il suo omologo, l’Imperatore d’Oriente Licinio, il famoso editto che concedeva ufficialmente ai cristiani la libertà di culto e che è universalmente noto come “L’Editto di Milano”. La città era ricca e dinamica già allora, ed aveva una popolazione di tutto rispetto: alcune fonti dicono che contasse addirittura 200.000 abitanti e che fosse seconda solo all’Urbe, che arrivava già a contarne 600.000. La Basilica di San Lorenzo Maggiore, che vanta il primato di essere una tra le più antiche di tutt’Italia, merita una visita: con la sua pianta complessa e ricca di absidi e rientranze, cupole, cappelle e torri campanarie sembra veramente esprimere la gioia di chi la costruì dopo aver ottenuto la tanto anelata libertà di culto.
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BASILICA DI SAN LORENZO MAGGIORE Corso di Porta Ticinese 39 Tel. 02/89404129 www.sanlorenzomaggiore.com tram 2 - 14 Fermata Carrobbio
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Dovesse venirvi sete (con quello che vi faccio pedalare) Mai sentito parlare di Vedovelle? So che la vostra fantasia sta correndo e sta immaginando cose e persone che non c’entrano con l’argomento del giorno. Siamo fuori strada Anzi, siamo proprio in strada. Non ho bevuto, giuro Anzi, sì, ho bevuto e sto benissimo! Vi voglio dare qualche indizio e dico “NASONI” (e siamo a Roma) “TURET” (e siamo a Torino) “BRUNNEN” (e siamo a Berlino). Se ancora proprio non avete capito...capitolo e vi racconto che a Milano ce ne sono 418, che sono nate nel 1931 (e quindi hanno l’età di mio padre) che sono alte un metro e cinquanta, che sono verde ramarro e sono robuste perché, tranne una sola in bronzo, tutte le altre sono in ghisa. Piangono ininterrottamente un freschissimo filo d’acqua, sono controllate battericamente e sono a disposizione di tutti. Se non vi siete portati la vostra bottiglietta di plastica non fa nulla. Fateci caso: sopra alla testa del drago c’è un forellino. Tappatelo, aspettate un istante ed ecco pronto lo zampillo che il Comune di Milano vi offre per dissetarvi e rinfrescarvi. Assaggiatene e bevetene tutti!
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www.milanoblu.it
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Sanità e Università E’ assai probabile che l’attuale eccellenza sanitaria di Milano derivi dalla presenza fin da tempi antichi di nosocomi cittadini che già all’epoca avevano sviluppato una sorta di specializzazione. Il primo fu voluto dal Duca Francesco Sforza. Iniziato nel 1456 e funzionante dal 1472, ancora oggi porta il nome di allora: Cà Granda. Era stato progettato dall’architetto toscano Filarete, il preferito da Cosimo De’ Medici, lo stesso che aveva costruito la Torre del Castello Sforzesco (vedi foto racconto n.50) e che a Firenze si era occupato della costruzione dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Nel corso dei secoli si aggiunsero varie parti e l’edificio fu completato solo nel 1805. La sua particolarità era quella di curare malati con speranza di guarigione, mentre i cronici o gli infetti erano ricoverati altrove. Divenne perciò un osservatorio importantissimo della situazione sanitaria meneghina e il suo prestigio crebbe a mano a mano che al suo nucleo originario si andarono aggiungendo istituti specializzati, come il Ginecologico Mangiagalli, e si arrivò alla decisione di costruire un nuovo ospedale in una zona periferica della città. Venne ritenuta idonea un’ampia area del comune di Niguarda e, tra il 1932 e il ’39, sorse la nuova sede, moderna ed efficiente, di quello che oggi è considerato assieme al San Raffaele un luogo di cura all’avanguardia mondiale. La vecchia Ca’ Granda ben presto divenne la dimora di un’altrettanto importante istituzione: l’Università degli Studi di Milano, la famosa Statale. Era stata inaugurata già nel 1924, ma la crescita degli iscritti rese ben presto insufficienti le varie sedi che il Comune aveva assegnato all’Università. La costruzione di Niguarda permise di prendere in considerazione il raggruppamento di tutte le facoltà in un’unica sede e così fu, anche se i problemi di spazio non smisero di assillare gli amministratori. Nel 1958 finalmente l’Ateneo si trasferì completamente e da allora è sempre restato in quella sede di cui è orgoglioso e che si impegna a curare e restaurare in continuazione, occupandosi a turno dei vari chiostri che portano nomi curiosi: della ghiacciaia (perché vi si conservava la neve prima e il ghiaccio che arrivava dal naviglio poi) della legnaia (perché vi furono trovate fascine e legname antichissimo) farmacia, bagni (detti così perché i degenti venivano lavati in grandi vasche riscaldate).
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Via Festa del Perdono 7 Info turistiche 339/2084048 www.unimi.it Tram 24 Fermata Corso di Porta Romana S. Sofia
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La gloriosa (e un po’ antiquata) Sormani C’è un posto dove moltissimi liceali e universitari milanesi vanno a studiare volentieri, un po’ in controtendenza rispetto a quello che si potrebbe pensare dei loro gusti architettonici e “ambientali”. Indubbiamente si tratta di una delle più grandi biblioteche pubbliche, non solo della città ma di tutt’Italia, utile - oltre che per studiare in un ambiente classicamente silenzioso e un po’ austero, impregnato dell’inconfondibile aroma della cellulosa in decomposizione - anche per trovare il materiale per affrontare qualsiasi tipo di ricerca. Tutti la chiamano Sormani, ma il suo nome esatto sarebbe un ben più anonimo “Biblioteca Centrale Comunale”, ed è ubicata in centro che più centro non si può. I libri a disposizione sono più o meno 665.000, ai quali si aggiungono titoli che possono essere richiesti e rintracciati velocemente in molte altre strutture collegate. Ben fornite sono anche mediateca (divisa tra fono e videoteca) con 32.000 titoli e 30 postazioni attrezzate, ed emeroteca, con 20.000 titoli tra quotidiani e periodici, nazionali ed internazionali. Anche il Palazzo che la ospita e le dà il nome è affascinante e ricco di storia ma…c’è un ma. Secondo i ragazzi, specie stranieri, che la frequentano, non ci siamo proprio. Le critiche più frequenti riguardano gli spazi, che sono limitati e vengono accaparrati non solo da chi arriva prima facendo la fila all’ingresso ma anche da chi si allontana dal posto di studio lasciando piazzati i libri per tornare a volte dopo ore. Altra lamentela riguarda gli orari, troppo ristretti rispetto agli standard internazionali, dove non solo le biblioteche possono essere frequentate durante il week end, ma in taluni casi persino a tarda sera o di notte. Per accedervi basta aver compiuto i 14 anni di età ed essere domiciliati in Italia. L’iscrizione è totalmente gratuita, anche se alcuni servizi (tipo i prestiti interbibliotecari) sono a pagamento.
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BIBLIOTECA CENTRALE COMUNALE PALAZZO SORMANI Corso di Porta Vittoria 6 Tel. 02/88463397 www.comune.milano.it Tram 23 Fermata Largo Augusto
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Il Conservatorio Verdi Dovevano essere assai severi gli esaminatori del Conservatorio di Milano che nell’estate del 1832 bocciarono agli esami di ammissione il giovane Giuseppe Verdi. A onor del vero va detto che all’epoca gli allievi per essere accettati dovevano avere al massimo 14 anni e soprattutto dovevano essere nati in Lombardia, mentre lui aveva già compiuto 18 anni ed era “straniero”, visto che proveniva dal Ducato di Parma. A nulla valse la raccomandazione del Maestro di Niccolò Paganini che non poté opporsi alla bocciatura motivata da “irrimediabili” difetti di impostazione al pianoforte. Verdi aveva dalla sua parte una grande passione e superata la prima delusione, decise di fermarsi in città e prendere lezioni private dal migliore degli insegnanti del tempo, che lo abituò a “piegar le note al voler suo”. Ci troviamo quindi di fronte a un doppio paradosso: uno dei più grandi compositori mondiali non prese mai un diploma ufficiale e la scuola che lo respinse ora porta il suo nome! Nei 208 anni di vita del Conservatorio sono passate decine e decine di allievi che di strada ne hanno fatta tanta. Basti pensare a Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Riccardo Muti, Claudio Abbado, Luciano Berio e solo per citarne alcuni tra i più noti a livello internazionale. Fu il giovanissimo Vicerè d’Italia Eugenio di Beauharnais, figlio naturale di Giuseppina e adottato da Napoleone alla morte del padre, a volere che Milano fosse dotata di una scuola musicale che fondò nel 1807 mentre risiedeva nella Villa Reale di Monza. Per inciso dobbiamo a lui anche l’istituzione della Borsa Valori di Milano, (vedi racconto n.52) che iniziò a funzionare nel 1808. Oggi il Conservatorio Giuseppe Verdi è il più grande Istituto di Formazione Musicale d’Italia e ha nel suo organico circa 250 docenti che gestiscono 13 dipartimenti, oltre ad un coro di 50 voci bianche ed un’orchestra. Nelle due belle sale dall’acustica perfetta vengono organizzati concerti aperti al pubblico, talvolta anche ad ingresso libero. Durante i mesi estivi vengono proposte molte serate di cinema e musica che si svolgono nel chiostro centrale, apprezzabile architettonicamente ma soprattutto in grado di regalare un’atmosfera raccolta e intima.
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Courtesy Conservatorio Verdi / Photo Vico Chamla
CONSERVATORIO GIUSEPPE VERDI Via Conservatorio 12 Tel. 02/762110 www.consmilano.it / www.seratemusicali.it Tram 23 Fermata Viale Premuda
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Dialogo nel buio Ne avrete sicuramente sentito parlare e potreste essere tra le centinaia di migliaia di visitatori che in tutto il mondo hanno fatto questa esperienza indimenticabile. Se così non fosse, l’invito è quello di prenotare una visita presso l’Istituto dei Ciechi di Via Vivaio , dove è stato organizzato un percorso permanente, dopo che a Palazzo Reale nel 2002 l’allestimento temporaneo aveva mandato in visibilio 30.000 persone e ne aveva lasciate in lista di attesa alcune migliaia. L’idea venne ad un radio giornalista tedesco, Andreas Heinecke, che ebbe l’opportunità di lavorare per un periodo fianco a fianco a un collega non vedente, scoprendo quanto ricco di emozioni ed interessante fosse il suo mondo. Cominciò ad appassionarsi all’idea di condividere questa consapevolezza e nel 1988 realizzò a Francoforte il primo percorso sensoriale. Fu un successo mondiale, che è arrivato, anche se con un po’ di ritardo, anche in Italia. Io ci sono andata e vi assicuro che superato il momento di smarrimento che coglie quando ci si trova nella più totale oscurità, la sensazione di serenità che pervade, quando con dolcezza si viene accompagnati attraverso le sale dai ragazzi non vedenti, è notevole. All’inizio verrà messa in gioco la nostra capacità di affidarci completamente a qualcuno che meglio di noi conosce il buio, ma piuttosto in fretta il cervello troverà da solo i nuovi agganci e capirà che non dobbiamo cercare spiragli di luce che non compariranno, ma fare attenzione a suoni, odori, e presenze che di solito non ci interessano, per poter cogliere appieno l’essenza di questa esperienza. Dopo aver completato il percorso che dura circa 75 minuti e di cui non vi racconto nulla per non rovinarvi la sorpresa, è piacevole bere qualcosa al Cafenoir o prenotare una cena al Trattonero (solo il sabato sera) o assistere a uno spettacolo particolarissimo al Teatro al Buio: scoprirete che dopo un attimo i vostri sensi saranno così sollecitati che non vi verrà nemmeno sonno!
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Dialogo nel Buio / Marco Rolando
DIALOGO NEL BUIO ISTITUTO DEI CIECHI MILANO Via Vivaio 7 Tel. 02/76394478 www.dialogonelbuio.org Tram 23 / 9 Fermata Viale Premuda
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Il palazzo dei Gargoyles In Via dei Cappuccini 8, e sottolineo 8, su una parte di quelli che una volta erano gli Orti dell’adiacente Convento dei Cappuccini, l’architetto Giulio Ulisse Arata tra il 1911 e il 1915 edificò un Palazzo assolutamente diverso da tutti gli altri. I committenti erano due amici imprenditori a nome uno Berri e l’altro Meregalli che, come spesso accade a chi diventa ricco velocemente, volevano dimostrare al mondo quanto denaro possedessero facendosi costruire il palazzo più bello della città. Non so se coscientemente o meno, incapparono in un architetto davvero particolare. Il suo progetto era talmente ardito che in un primo momento, la Commissione edilizia del Comune lo bocciò. Diedero la colpa al fatto che Arata voleva occupare una superficie troppo ampia, ma qualcosa mi fa pensare che fosse la decorazione esterna a lasciare interdetti i funzionari. Come riuscì ad ottenere i permessi per edificare resta un mistero, così come è misterioso, silenzioso e severo l’intero palazzo. Ho un amico che mi ha fatto riflettere su alcune strane coincidenze: il numero civico, restato sempre lo stesso e molto eloquente, i gargoyles e i dragoni grotteschi che ornano la facciata dandole questo aspetto inquietante, ma soprattutto il team di artigiani ai quali Arata affidò il compito di realizzare le decorazioni degli androni e dell’atrio, le grate, i mosaici, i dipinti, le lampade decorative. Questa zona viene chiamata eloquentemente “quadrilatero del silenzio” per contrapporla a quella molto più chiassosa e vivace detta”quadrilatero della moda” (vedi racconto n.63): il Palazzo Berri Meregalli - con il suo magnetismo un po’ cupo - ne è il degno guardiano. Se sarete fortunati e pazienti riuscirete a varcare il portone di ingresso, magari seguendo qualcuno che abita o lavora lì dentro: a quel punto vi sembrerà di essere entrati in un tempio esoterico, al fondo del quale una Vittoria marmorea ed evanescente vi attrarrà con il suo volto colmo di sofferenza e pathos. L’autore di questo capolavoro è Aldofo Wildt, un artista che come gli autori dei mosaici (Angiolo d’Andrea) dei ferri battuti (Alessandro Mazzuccottelli) degli affreschi (Pietro Adamo Rimoldi) ha contribuito a donare a questo luogo un’atmosfera sospesa e fantastica, irripetibile direi.
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Courtesy Caterina Orlandi
PALAZZO BERRI MEREGALLI Via Cappuccini 8
Fermata Palestro
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Corso Venezia (passeggiata n.1) Milano non sarà famosa come Barcellona per le sue case strane e uniche al mondo, ma ogni tanto passeggiando per alcune vie, ci si può imbattere in qualche capolavoro inatteso. Una delle zone più ricche di costruzioni interessanti è quella di Corso Venezia che va da Piazza San Babila ai Caselli del Dazio di Porta Venezia. Qui hanno avuto, da secoli, la loro residenza le famiglie più “in”, fin dai tempi in cui i nobili volevano alloggiare vicino al Duomo e alla Villa Reale di Via Palestro, dove soggiornava Napoleone durante le sue soste milanesi. Fecero a gara a chi costruiva il palazzo più sontuoso e ciò che ci resta è una sfilata di bellezze architettoniche concentrate in poche centinaia di metri. Consiglio di guardarle ad una ad una, per cogliere al meglio le loro particolarità. Notevole è la residenza che nel 1800 si fece erigere Gaetano Belloni, arricchitosi in modo esagerato e rapido grazie alla gestione del gioco d’azzardo che si svolgeva nel ridotto del Teatro alla Scala e altrettanto rapidamente caduto in disgrazia. Quel che ci resta di lui è Palazzo Saporiti (dal nome di un proprietario successivo) in stile neoclassico, con tanto di 9 statue, colonnato e loggiato di ispirazione palladiana, purtroppo privato e non visitabile. Altra tappa obbligata è Palazzo Castiglioni, attuale sede dell’Unione Commercianti, in stile liberty e famoso per qualcosa che non c’è più! Il suo committente era un ricco discendente dell’omonima famiglia, di idee molto liberali e controcorrente, oltre che anticonformista. Per distinguere il suo palazzo da tutti gli altri commissionò allo scultore Ernesto Bazzaro due statue molto particolari che dovevano ornare il portone d’ingresso, una rappresentava la pace, l’altra l’industria. Piccolo particolare: erano di notevole statura e fattezza, oltre che essere scolpite non di fronte ma di … retro! In un attimo, il settimanale satirico Guerin Meschino ribattezzò il palazzo con l’irriverente nome di “Ca’ di Ciapp”, creando non poco imbarazzo persino nell’originale padrone di casa che si vide costretto dalle tantissime critiche che gli piovvero addosso a far rimuovere le due belle, considerate troppo osée e procaci. Non sono andate perdute: sono solo state trasferite nella bella villa Faccanoni che si trova in Via Buonarroti al n. 48, oggi clinica Columbus, e ora si lasciano ammirare senza problemi.
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Casa Fontana Silvestri
PALAZZO SAPORITI - Corso Venezia 40 PALAZZO CASTIGLIONI - Corso Venezia 47 VILLA FACCANONI - CLINICA COLUMBUS Via Buonarroti 48 Fermata San Babila
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Corso Venezia (passeggiata n. 2) In questa via ci sono talmente tante cose belle da vedere e da fare che per forza dovrete dedicarle un po’ del vostro tempo. So di essere fortunata ad averla a 10 minuti a piedi da dove abito: mi piace attraversare il Parco Montanelli e sbucare dalle parti del Museo di Scienza Naturale e del Planetario per poi farmi una bella camminata fino a San Babila. Verso il fondo del Corso non manco mai di fermarmi davanti alla piccola Casa Fontana Silvestri, chiamata anche Cà del Guardian perché vi risiedeva il custode della porta orientale, decisamente la più discreta tra i tanti palazzi imponenti che costellano questo tratto di città. Esisteva già nel XII secolo, anche se quella che vediamo oggi è la sua livrea non affrescata dato che i dipinti, attribuiti al Bramante o al Bramantino, si sono dissolti nel corso dei secoli. Ne resta qualche traccia nella parte alta, quella più riparata dalle intemperie, mentre perfetto, anche se successivo, è il balcone in ferro battuto che sovrasta il portone in pietra dell’ingresso e ben restaurate sono anche le cornici delle finestre, in terracotta decorata: provenivano dalla Fornace Curti, attiva ancora ai nostri giorni. Il nostro piccolo giro continua fino a Palazzo Serbelloni, sede dell’omonima Fondazione, che con i suoi saloni principeschi, la sua corte, il passaggio delle carrozze e il teatro privato, il giardino e la biblioteca è stato fino al 2011 sede del Circolo della Stampa (poi spostato al n. 48 del Corso, a Palazzo Bocconi). Nel 1960 venne dato qui il ricevimento per il lancio del film -“La Ciociara”- con Sophia Loren. Oggi è sede di un’importante casa d’aste che utilizza i piani nobili per l’esposizione e la successiva vendita delle sue opere d’arte di pregio. Lì accanto c’è Palazzo Bovara, dove il diciassettenne tenentino Stendhal, al seguito delle truppe francesi dimorò nel 1800, innamorandosi di Milano: ci tornerà nel 1814, dopo la caduta di Napoleone per passarvi i 7 anni migliori della sua movimentatissima esistenza. Oggi è la sede del Circolo del Commercio. Non sarebbe finita qui, ma lascio spazio alla curiosità del lettore, dicendogli solo che ogni singola dimora di questa via racchiude storie degne di essere conosciute.
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CASA FONTANA SILVESTRI - Corso Venezia 10 PALAZZO SERBELLONI - Corso Venezia 16 PALAZZO BOVARA - Corso Venezia 51
Fermata Porta Venezia
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Dalla peste... alle patatine Poco lontano da dove oggi abito, qualche secolo fa vivevano segregati gli appestati, e non a caso una delle strade adiacenti si chiama Via Lazzaretto. So che non è un tema allegro ma non possiamo prescinderne, se vogliamo piano piano penetrare la storia di Milano. Leonardo da Vinci era arrivato dalla Toscana da tre anni quando scoppiò la grande pestilenza del 1485 e questo lo portò ad occuparsi con determinazione del problema dell’igiene urbana: immaginò passaggi sotterranei dove far circolare i carri mentre i “gentili omini” passeggiavano al piano superiore all’aria, costruzioni senza angoli per dissuadere l’uso di urinare all’aperto, lavaggi delle strade e stalle dove i liquami fossero incanalati e controllati. Le modifiche da apportare all’urbanistica esistente sarebbero state eccessivamente costose perciò, come al solito, non se ne fece nulla. Pochi anni dopo invece venne avviata la costruzione di un’area fuori dalle mura dove ricoverare coloro che venivano colpiti dal male per evitare il contagio. Uno strano caso volle che sia la persona incaricata di cercare l’area cittadina adatta, sia l’architetto a cui vennero affidati i lavori si chiamassero Lazzaro (Cairati e Palazzi). Il nome Lazzaretto deriva dai veneziani che pensarono al Lazzaro evangelico, l’appestato per antonomasia. A tutti noi, e grazie al racconto suggestivo e triste che ne fa Alessandro Manzoni (vedi racconto n. 77) nei Promessi Sposi, è giunta l’eco della peste del 1630, che iniziata in sordina arrivò a portarsi via 72.000 persone, più della metà di quelle che all’epoca abitavano in città. Dell’antico Lazzaretto, demolito definitivamente nel 1880, resta un unico vestigio, oggi malridotto e soffocato tra palazzi e automobili. E’ la piccola Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, fatta erigere nel 1585 dall’Arcivescovo Carlo Borromeo per dare conforto ai ricoverati. Inizialmente non aveva pareti laterali e questo per permettere ai tanti infelici costretti a risiedervi di assistere alle funzioni anche dall’esterno. In tempi più recenti, nel 1936, poco distante da lì, in Via Lecco al 18, il signor Francesco Vitaloni aprì la Rosticceria San Carlo, chiamandola così in ossequio al piccolo tempio. Le sue patatine croccanti ebbero un successo incredibile e in pochi anni non ci fu panificio ristorante o bar che non le volesse. Dagli iniziali 20 chili di produzione si è passati alle 100 tonnellate prodotte oggi…. Ma sempre SAN CARLO si chiamano!!!
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Courtesy Azienda San Carlo
ZONA EX LAZZARETTO
Tram 1 Fermata Viale Tunisia
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L’Isola Nella zona nord di Milano c’è un quartiere edificato relativamente di recente chiamato Isola. In effetti fino a qualche anno fa era un po’ “tagliato fuori” dalla vita cittadina, e andava anche spesso sott’acqua vista la facilità con cui i fiumi che lo costeggiano, il Lambro e il Seveso, esondano ancora oggi dopo solo poche ore di pioggia. Che la zona fosse particolarmente umida lo si capisce anche dal nome che aveva il Cimitero del rione: lo chiamavano la Mojazza, che in dialetto vuol dire fangosa. Qui erano stati sepolti alcuni personaggi celebri, come Giuseppe Parini, Melchiorre Gioia, Cesare Beccaria e lo sfortunato Ministro Giuseppe Prina (vedi racconto n.75). Vennero tutti riesumati e messi in una fossa comune quando costruirono il Cimitero Monumentale, e ora “giacciono senza tomba” come scrisse Ugo Foscolo nel carme -“Dei Sepolcri”-. Ma torniamo alla nostra Isola. Una spinta ulteriore al suo isolamento arrivò dalla costruzione della ferrovia, nel 1865. La città venne letteralmente tagliata in due: i pedoni passavano da un punto all’altro tramite un’angusta passerella, mentre i veicoli avevano a disposizione solo il Ponte della Sorgente. Poco alla volta vi crebbe un certo tessuto industriale e gli operai cominciarono ad abitare nella zona nelle cosiddette “case di ringhiera” caratterizzate dall’essere affacciate sullo stesso cortile e dall’avere i servizi igienici in comune. Sorse anche qualche “condominio”, ma sempre di matrice popolare. Nessuno degli abitanti di quel periodo avrebbe mai potuto ipotizzare la trasformazione attuale del quartiere: quando 15 anni fa accompagnavo mia figlia alle serate organizzate nel centro sociale più famoso della zona, La Stecca, non avrei mai pensato che al posto di quel luogo variopinto e popolato di ragazzi sarebbe sorta la coppia di palazzi più avveniristici di Milano, progettati da uno degli architetti del Politecnico più famosi al mondo. E’ stato infatti Stefano Boeri a disegnare il Bosco Verticale con cui ha vinto l’International Highrise Awards nel 2014, composto dalle due lussuose torri residenziali divenute il simbolo della perfetta simbiosi tra natura e design e sulle cui terrazze sono allocate migliaia e migliaia di piante per un corrispettivo di 20.000 metri quadrati di bosco e sottobosco. Anche i più nostalgici ragazzi che non hanno ancora digerito l’abbattimento del loro centro sociale preferito, ammettono che il quartiere oggi è diventato proprio bello, anche se forse un po’ meno pittoresco.
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IL BOSCO VERTICALE Via Gaetano De Castillia 11
www.residenzeportanuova.com Fermata Gioia
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10 Corso Como Non sono una fashion victim e francamente della moda me ne infischio, ma guardare certe vetrine, passeggiare in alcuni spazi molto curati esteticamente, notare come gli stilisti si sbizzarriscono per stupirci, mi piace assai. Era da tanto che non entravo nello spazio che Carla Sozzani ha avuto l’intuizione di fondare 25 anni fa, anticipando tempi e tendenze e l’ho trovato molto diverso da come lo ricordavo, più sedimentato e saggio, un po’ meno fantasmagorico e assai più rilassante. Per capire dove ci troviamo è indispensabile partire dalla sua ideatrice: una donna minuta ma volitiva (anche se solo dopo le 9.30 del mattino) che non smette mai di sperimentare e osare. Nata come gallerista non si accontentò mai di esporre solo quadri, ai quali iniziò ad accostare oggetti di generi anche molto diversi tra loro, esponendoli in una romantica casa di ringhiera che fino ad allora era stata un’autofficina. Ed ecco nascere il primo concept store della città, dove arte, natura, cibo, relax, cultura e glamour si fondono tra loro tanto armoniosamente da farci dimenticare quanto lavoro richieda un’organizzazione così articolata. All’interno non c’è abito, accessorio o libro che non brilli per personalità. Il gusto con cui gli oggetti vengono offerti alla nostra vista è raffinatissimo e non ci si stanca di vagare di stanza in stanza in piena libertà. La primavera è la stagione migliore per godere del roof garden e restarci per tutto il tempo che si vuole. Nessuno verrà a disturbare o a chiederti se vuoi qualcosa da bere o da mangiare: il bar e il ristorante sono in un altro giardino, abbastanza libero e selvatico, al piano terra. All’ultimo piano invece si può stare ore e ore a leggere o prendere il sole in santa pace (e per me questo è il vero lusso!) sentendosi ugualmente coccolati e accolti. Imperdibile l’aperitivo organizzato quassù il giovedì sera con Natasha Slater , la fashion star più in voga del momento a Milano. Carla ha una sorella che le assomiglia moltissimo e si chiama Franca: le lettrici di Vogue Italia la conoscono di sicuro, visto che dirige questa rivista addirittura dal 1988 ed è considerata una vera icona della moda internazionale: non esiste sfilata milanese che inizi se lei non è seduta in prima fila. Il suo zampino in 10 Corso Como c’è di sicuro, e ben venga!
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Tutti i giorni dalle 10.30
10 CORSO COMO Corso Como 10 Tel. 02/29002674 www.10corsocomo.com Fermata Gioia
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Corso Garibaldi Una volta si chiamava “guast” o “strada del guasto” perché assai poco raccomandabile, poi divenne Corso di Porta Comasina e infine assunse il nome attuale, in onore di Giuseppe Garibaldi che dopo aver vinto alcune importanti battaglie nei pressi di Como era entrato a Milano dalla porta che ancora oggi occupa quasi tutta la Piazza XXV Aprile. Ora questa via non ha proprio più nulla di guasto, anzi è diventata perfetta per passeggiare piacevolmente guardando belle vetrine e fermandosi nei suoi numerosi locali: ben due delle tre sedi del Piccolo Teatro (vedi racconto n.68) sono qui accanto e, visto che a Milano è tradizione andare a bere e a mangiare qualcosa dopo gli spettacoli, capita di frequente di incontrare nei ristorantini di Via Garibaldi gli attori che sono appena stati sul palcoscenico. Andando verso Largo La Foppa, c’è una piccola via che sfugge un po’ all’attenzione: si chiama Via Tommaso da Cazzaniga e consiglio di percorrerla perché quando meno ve lo aspetterete vi comparirà un angolo di città del tutto particolare. Da pochi anni nell’area dove sorgevano le ex serre comunali si è insediato il WWF lombardo che, nell’ottobre 2014 in collaborazione con l’Accademia di Brera, ha indetto una manifestazione di street art chiamata “Open the cages – Aprite le gabbie”. Il risultato della tre giorni d’arte è visibile a tutti: i 3 artisti invitati hanno letteralmente riempito di colore e di gioia le pareti un po’ severe e tristi della palazzina, in un tripudio animalier che vale la pena di vedere. Ritornando verso Largo La Foppa, all’incrocio con Via della Moscova ci si imbatte in un altro famoso punto di “raccolta” dei giovani che vogliono cenare assieme o andare a bere uno degli aperitivi che ormai si trovano in tutt’Italia ma che sono nati qui a Milano. Se invece siete dei tradizionalisti e non potete rinunciare ai panini, il mio consiglio è di arrivare fino al n. 125, dove troverete uno degli 8 “Panino Giusto” della città e assaggerete qualcosa di veramente indimenticabile per gusto e originalità di accostamenti degli ingredienti. Ancora pochi passi e sarete in Piazza XXV Aprile, dove al posto del mitico Teatro Smeraldo è stato aperto da qualche mese un Eataly tra i più grandi d’Italia, dove tutto, ma proprio tutto quello che vi verrà proposto è di qualità eccellente.
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Courtesy WWF Lombardia
WWF LOMBARDIA Giardini pubblici di Via Tommaso Cazzaniga Tel. 02/831331 lombardia.wwf.com Fermata Moscova
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Museo d’arte e scienza Credo che in pochi (milanesi) sappiano dell’esistenza di questo Museo, piccolo ma molto particolare e raffinato, oltre che unico al mondo, che raccoglie collezioni rare di arte africana e buddhista, ma che ha soprattutto una spiccata vocazione didattica. Ha sede dal 1990 in Palazzo Bonacossa, dimora patrizia costruita a fine ‘800 nelle adiacenze del Castello Sforzesco e già luogo di residenza del regista Ermanno Olmi, esternamente ispirato al Palazzo dei Diamanti di Ferrara e internamente a una loggia fiorentino-medicea. È qui che il fisico Gottfried Matthaes, proveniente da una famiglia di artisti e collezionisti di Dresda, decise di fondare il Museo, senza abbandonare la sua brillante carriera di ricercatore e inventore. A lui dobbiamo la prima progettazione di macchine per la produzione di circuiti stampati, attività che lo condusse in tutto il mondo, permettendogli nel contempo di coltivare la passione che aveva ereditato dai suoi avi: il collezionismo di oggetti d’arte. Non sempre sicuro della loro autenticità, con atteggiamento molto “leonardesco” mise a punto un insieme di piccole astuzie e verifiche scientifiche alcune delle quali brevettate, per verificarne il periodo di produzione e l’originalità. Dal 2010, anno in cui il Dr. Mattahes è mancato, i suoi figli hanno preso le redini del Museo e ne hanno moltiplicato le attività: Peter Matthaes è Direttore Esecutivo, oltre che Direttore del laboratorio a cui arrivano oggetti preziosi da ogni nazione per le perizie di autenticità, mentre Patrizia Matthaes è Presidente dell’Associazione Amici del Museo d’Arte e Scienza. Assieme ad un affiatato staff di giovani collaboratori, organizzano visite guidate per le scuole e per gruppi, corsi d’arte, laboratori di pittura, mostre (ne stanno partendo due interessantissime dedicate al genio vinciano, intitolate “Apprezzare l’arte con gli occhi di Leonardo” e “Leonardo cittadino di Milano”), oltre che lezioni e conferenze sull’argomento che per il loro grande padre, è stato fondamentale: il riconoscimento dell’autenticità dell’opera d’arte.
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Courtesy Museo di Arte e Scienza
10.00 / 18.00 Chiuso sab/dom
MAS - MUSEO D’ARTE E SCIENZA Via Quintino Sella 4 Tel. 02/72022488 www.museoartescienza.com Fermata Cairoli
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Il Castello Sforzesco Ogni volta che varco l’ingresso principale del Castello Sforzesco e passo sotto alla Torre del Filarete (ricostruita nel ‘900 a 300 anni dalla sua distruzione, grazie alle pitture che la ritraevano) vado all’indietro nei secoli, come se una parte di me avesse abitato in passato questi luoghi. Questa sensazione di “deja-vu” proviene sicuramente dalle tante letture fatte nel corso degli anni e dalla mia passione per la vita di corte. Per due volte nel giro di soli quattro anni, quello che assieme al Duomo è il simbolo più noto di Milano rischiò di essere raso al suolo: nel 1796 a causa di una petizione popolare, poi caduta nel nulla, e nel 1800 per decreto napoleonico. Il volere dell’Imperatore fortunatamente venne esaudito solo parzialmente e vennero demolite in parte le torri laterali e la cinta di fortificazione più esterna detta “la Ghirlanda”. Sempre nello stesso periodo, il Castello corse il rischio di essere rimaneggiato in stile neo-classico, ma questa volta fu la mancanza di risorse economiche a salvarlo dallo scempio così furono solo costruiti i palazzi in stile francese che ora ammiriamo nell’area antistante l’ingresso principale, detta Foro Bonaparte, in onore di Napoleone. Quello che oggi ammiriamo e visitiamo è il nucleo centrale della più grande dimora che mai gli Sforza si fecero costruire, ricca di cortili, passaggi segreti, logge e saloni di rappresentanza, nei quali sono ospitate opere d’arte di notevole pregio come la Pietà Rondanini di Michelangelo. In occasione dell’Expo è stata restaurata la leonardiana Sala delle Asse che a breve sarà nuovamente aperta al pubblico. Molti spazi sono però ancora “segreti” e a volte i conservatori museali trovano reperti inattesi: negli anni Cinquanta, ad esempio, è stata ritrovata un’anonima cassa di legno nella quale era conservato Brusavalle, il falcone imbalsamato di Giangaleazzo Sforza. Come tutti i castelli che si rispettino anche questo ha il suo fantasma: Bianca Maria Scapardone, sposata a un Visconti venne decapitata qui il 20 ottobre 1526 e ancora oggi nelle notti di luna piena qualcuno dice di vederla, inquieta, impaurita e con la testa mozzata tra le mani. Se dopo tante emozioni ci si vuole rilassare, l’ideale è fare una passeggiata nell’adiacente Parco Sempione, oggi il polmone verde più grande di Milano, ma ai tempi dei duchi un vero bosco dove si organizzavano battute di caccia memorabili.
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9.00 / 17.30 Chiuso lun
CASTELLO SFORZESCO Piazza Castello Tel. 02/88463700 www.milanocastello.it Fermata Cairoli
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La colonna della vergogna Nel 1840 Alessandro Manzoni scrisse nella sua “Storia della Colonna Infame”: “E’ sollievo pensare che se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume o perde a suo piacere, che non è una scusa ma una colpa”: E’ evidente la sua netta condanna nei confronti dell’umanità tutta quando agisce in modo becero e ottuso. Manzoni non ammette scusanti: la colpa, quando è condita con l’ignoranza è persino più orribile. L’indignazione è postuma e si riferisce alla caccia all’untore che nel 1630 si scatenò durante il momento più virulento della pestilenza che mise in ginocchio Milano. A tutti i costi si doveva condannare qualcuno, accusandolo di aver provocato volontariamente e per interesse economico il contagio. Un’intera città, resa folle dalla paura della morte, si scagliò contro un incolpevole commissario di sanità, Guglielmo Piazza, accusato di avere imbrattato i muri con una sostanza sospetta di colore giallastro. Torturato a lungo confessò di aver ricevuto l’unguento da un barbiere, Giangiacomo Mora, che sottoposto ad altrettante sevizie confessò di aver reso l’intruglio infettivo con la saliva dei morti. La condanna inflitta ai due fu tremenda: li misero su un carro e li portarono tra ali di cittadini urlanti e infuriati, li morsero con tenaglie roventi, mozzarono loro la mano destra e infine li legarono ad una ruota issata sul patibolo della Vetra. Dopo averli percossi con delle mazze fino a spappolare loro le ossa, li lasciarono agonizzanti per ore, bruciando infine i corpi e la casa del barbiere. Al suo posto innalzarono una colonna e affissero una targa dove veniva spiegato, a futura memoria, cosa avevano provocato i due sciagurati. Solo nel 1778 la colonna fu abbattuta e la targa spostata sotto il Portico della Rocchetta al Castello Sforzesco. Al suo posto, nel 2005, è stata posata una scultura in bronzo di Ruggero Menegon, chiamata “Colonna di Luce” con un testo che recita: “Qui sorgeva un tempo la casa di Giangiacomo Mora, ingiustamente torturato e condannato a morte come untore della pestilenza del 1630” Nessun accenno al povero Guglielmo Piazza, a quanto pare ucciso una seconda volta dall’indifferenza dei posteri.
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7.00 / 19.00 Ingresso libero
CASTELLO SFORZESCO Portico dell’Elefante - Piazza Castello Tel. 02/88463700 www.milanocastello.it Fermata Cairoli
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La Borsa Valori di Milano e il Monopoli Molti “giocano in borsa” e utilizzano questo modo di dire senza prestare troppa attenzione a quanto di importante questa locuzione contenga. Mi ricordo che da bambina chiedevo spesso cosa significasse la frase: il mio immaginario veniva colpito soprattutto dalla parola gioco ma a fatica riuscivo a collegarlo al concetto di borsa (e di borsetta!) e men che meno a quelle pagine di giornale piene di numeri che il mio papà osservava con tanta attenzione tutti i giorni. Dovevo essere proprio piccola perché, per quanti sforzi lui facesse, ogni volta doveva ricominciare daccapo, raccontandomi che esistevano delle aziende il cui valore (ecco perché la borsa era detta “valori”) veniva stabilito da alcuni esperti (?) che poi vendevano le “azioni” (e neanche qui si trattava delle azioni di cui mi parlavano a scuola, riferendosi a quelle che compiva la mamma tutti i giorni) che i risparmiatori comperavano nella speranza che il loro valore aumentasse. Qualche volta però succedeva il contrario e il papà si strappava qualche capello, non troppi però perché sapeva “giocare” con moderazione e a parte quella volta che le Finsider lo fecero davvero soffrire molto, più o meno restava sempre in pari. Qualcosa di più cominciai a capire quando entrò in casa la prima scatola di Monopoli, che non mi era difficile catalogare come gioco, e dove la borsa era rappresentata dal denaro, che seppur finto, serviva a comprare delle case o degli alberghi e andava tenuto sotto controllo perché non finisse sul più bello, interrompendo anche il piacere di giocare. Francamente fino a qualche giorno fa non mi ero resa mai conto che i nomi delle vie della versione italiana fossero tutti milanesi: ho dovuto imbattermi in uno degli articoli del divertentissimo blog Onalim di Isabella Musacchia, che mi ha illuminato e permesso di diventare sua social/amica oltre che sodale, per la mia innata caratteristica di fare tutto al contrario, compreso nascere con i piedi anziché con la testa come sarebbe opportuno fare. Che Milano sia importante per la finanza internazionale lo abbiamo capito, che Palazzo Mezzanotte sia un luogo architettonicamente interessante anche, ma cosa voglia esattamente significare quel 4,60 metri di dito indice in candido marmo di Carrara puntato verso il cielo che Maurizio Cattelan ha scolpito e che è stato piazzato proprio davanti alla Borsa Valori, lo dovrete capire da soli: non vorrei mai darvi suggerimenti irriverenti! Vi dico solo che lo ha battezzato L.O.V.E.: e le iniziali stanno per Libertà, Odio, Vendetta, Eternità.
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PALAZZO MEZZANOTTE Piazza degli Affari 6 Tel. 02/80287554 www.palazzomezzanotte.it Fermata Cordusio
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La Pinacoteca Ambrosiana e l’Esselunga Probabilmente vi starete chiedendo qual è il nesso tra queste due realtà., e tra un attimo ve lo spiegherò. La Biblioteca Ambrosiana fu voluta nel 1600 dal Cardinale Federico Borromeo, al quale Alessandro Manzoni dedicò un intero capitolo dei Promessi Sposi per celebrare l’ammirazione nei suoi confronti. Il prelato riteneva che la cultura fosse indispensabile per governare in modo saggio e illuminato, ma soprattutto sosteneva che doveva essere divulgata, mentre ai suoi tempi era ancora appannaggio di pochi. Fu per questo che decise di dare libero accesso ai volumi di sua proprietà creando uno spazio dedicato a tutti. Nel giro di qualche anno, mise a disposizione anche la sua collezione d’arte, fondando la Pinacoteca in cui ancora oggi possiamo ammirare opere d’arte di valore inestimabile, come Il ritratto di Musico di Leonardo Da Vinci, il Cartone Preparatorio dell’Affresco della Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, la Canestra di Frutta del Caravaggio. La fama planetaria dell’Ambrosiana è dovuta soprattutto al fatto che fin dal 1637 è il luogo dove vengono custoditi i 1119 fogli che compongono il Codice Atlantico di Pompeo Leoni, il collezionista che raccolse e catalogò gran parte del lavoro di Leonardo. Passarono poi al Marchese Galeazzo Arconati che infine lì donò alla Biblioteca. Da allora sono sempre stati conservati in questo luogo, tranne quando Napoleone li portò al Louvre per 17 anni. Recentemente, le suore benedettine del Monastero di Viboldone, esperte di restauro di libri antichi, hanno sfascicolato le pagine, rendendole più consultabili e meno rovinabili. Ma ora arriviamo al nesso con Esselunga. Da qualche anno, nella severa sala centrale della Bibilioteca troneggia una “Testa di Cristo” attribuita a Giangiacomo Caprotti detto il Salaì, il giovane che Leonardo adottò quando aveva 10 anni. Nel 2007 il quadro fu acquistato ad un’asta newyorkese da un altro Caprotti famoso, a nome Bernardo: dopo un buon restauro, decise di donarlo all’Ambrosiana, ribattezzandolo “Il Caprotti di Caprotti”. Lui è il fondatore della Catena Esselunga, e la somiglianza fisica con il suo antico omonimo c’è tutta… quindi qualsiasi illazione è ammessa, anche se non ufficialmente!
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10.00/18.00 Chiuso il lunedì
PINACOTECA E BIBLIOTECA AMBROSIANA Piazza Pio XI, 2 Tel. 02/806921 www.ambrosiana.eu Fermata Duomo
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Peck, il salumiere di Praga Sono 132 anni che a Milano esiste un luogo di delizie che ho sentito definire in molti modi: Paradiso in Terra, Shangri-là del Buongustaio, Mecca dei Ghiottoni (soprattutto per quelli che non badano a spese per soddisfare i loro peccati di gola). Tutto iniziò nel 1883, quando dalla Boemia arrivò un ragazzo sicuro di sé che si chiamava Francesco Peck. Probabilmente aveva capito che Milano era la città giusta per far fortuna, era all’avanguardia e i suoi abitanti amavano le cose particolari. Lui voleva vendere i salumi affumicati che si producevano nella sua terra di origine ed ebbe il coraggio di avviare un’attività che in pochi anni, lo portò dall’essere un perfetto e anonimo sconosciuto a gestire un negozio e poi un laboratorio di tutto rispetto, oltre che a divenire fornitore della Real Casa Italiana. La Centrale elettrica di Santa Radegonda era stata inaugurata proprio nel 1883 e Milano scintillava di luci e voglia di vivere. Quell’anno gli spettatori della Scala erano rimasti a bocca aperta quando, durante la rappresentazione della Gioconda di Ponchielli, si erano accese migliaia di lampadine e la platea era stata illuminata a giorno. Tutto andava veloce e le signore cominciavano ad apprezzare l’idea che qualcuno si occupasse al posto loro di preparare i pranzi e le cene, specie quelle dopo lo spettacolo. Si era agli albori del concetto di catering che avrebbe poi avuto tanto successo. Nel 1912 il negozio e il laboratorio vennero trasferiti in Via Spadari, dove ancora oggi si trovano, anche se adesso coprono 4.500 metri quadri e danno lavoro a 130 tra chef, pasticceri, commessi specializzati, che tutti i giorni preparano pietanze sopraffine che si possono acquistare e portare a casa o degustare nell’elegante ristorante del primo piano. Il negozio propone una gamma di prodotti alimentari freschi e conservati talmente vasta da accontentare qualsiasi esigenza e al piano inferiore c’è una delle enoteche più ricche d’Italia per numero di etichette e preziosità di bottiglie. Dal 2013 l’intera proprietà è passata al Conte Pietro Marzotto, e a quanto pare la sua capacità imprenditoriale sta ulteriormente diffondendo a livello internazionale la fama del marchio. I visitatori di Expo avranno modo di verificare in Fiera il livello qualitativo del team Peck, dato che il Ristorante Italia sarà gestito da loro.
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9.30/19.30 Chiuso la domenica
PECK GASTRONOMIA E RISTORANTE Via Spadari 6 Tel. 02/8023161 www.peck.it Fermata Duomo
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Donato Bramante Uno dei periodi di massima espansione architettonica di Milano fu quello che va dal 1450 (quando vennero avviati i lavori di costruzione del Castello) al 1510, quando per i Visconti e gli Sforza lavoravano eminenze del calibro di Filarete, Leonardo da Vinci, Bartolomeo Gadio e Donato Bramante, nato ad Urbino e cresciuto come artista alla corte dei Montefeltro con Piero della Francesca. Fu Ludovico il Moro a volerlo a corte, perché la sua fama di maestro della prospettiva era giunta a Milano, rendendolo ambito e prezioso. Di lui troviamo tracce importanti in molti punti della città, in Duomo, dove progettò il Tiburio, in Santa Maria delle Grazie, nella Pinacoteca di Brera, ma a mio parere il suo capolavoro assoluto si può ammirare nella Chiesa di Santa Maria di San Satiro (che era il fratello minore di Sant’Ambrogio) bella anche perché inattesa e quasi invisibile, stretta com’è tra le case e i negozi della trafficata Via Torino. Galeazzo Sforza aveva affidato al Bramante un incarico al limite dell’impossibile: costruire una Chiesa di maggior respiro che inglobasse la primitiva San Satiro costruita nell’879 d.C. Pur non avendo a disposizione molto spazio specie nella parte absidale perché limitata dalla Via del Falcone, l’architetto riuscì con uno stratagemma a dare all’ambiente un respiro completamente diverso. Dimostrando di padroneggiare in modo esemplare l’arte della prospettiva come mai nessuno prima di lui, dipinse una finta abside in stucco, creando l’illusione ottica di uno spazio dieci volte più ampio rispetto ai soli 97 cm di profondità realmente a disposizione, dando vita così al primo “Trompe l’oeil” della storia dell’arte, il cui inganno è riconoscibile solo se ci si avvicina molto alla parete di fondo. Le sorprese bramantesche di questo luogo sacro non finiscono qui: un po’ nascosta alla destra dell’ingresso c’è una delle Sacrestie più belle che abbia mai incontrato sul mio cammino. Piccola, raccolta ed incredibilmente suggestiva, a pianta ottagonale, venne trasformata in Battistero in un tempo successivo. Nel braccio opposto si trova invece l’antichissimo sacello di San Satiro, il cui altare è ornato dal bel Compianto su Cristo Morto che Agostino De Fundulis scolpì nel 1483.
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9.00/17.00 Tutti i giorni
SANTA MARIA DI SAN SATIRO Via Torino 17/19 Tel. 02/874683
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La Bissa Ora chiudete gli occhi e pensate alla prima cosa che vi viene in mente sentendo la parola Biscione. Avete pensato subito a Mediaset, all’Alfa Romeo, e a cascata a Mister Berlusconi e quindi al Milan? Tutto giusto tranne il Milan: è l’Inter che lo utilizza come simbolo. Gli appassionati di hockey su ghiaccio avranno anche pensato ai Vipers Milano, e avranno azzeccato. Ora richiudete gli occhi e pensate a cosa tiene in bocca. Giusto: un bimbo o forse un uomo. Ma lo sta per inghiottire o per sputare, facendolo “nascere”? Chissà… Qui ci si deve fermare perché le leggende che circolano sono assolutamente contraddittorie. Una mi piace più delle altre e ci porta addirittura alla Crociata del 1100, quando un capostipite della famiglia Visconti, tale Ottone, sconfisse in duello il saraceno Voluce che recava un vessillo su cui era raffigurato un drago con un uomo di pelle chiara tra le fauci. Ottone se ne appropriò, lo riportò in patria per assumerlo a simbolo, ma solo dopo aver tramutato in scura la pelle dell’uomo: quel che è giusto è giusto! Anche la leggenda che narra del Tarantasio del Lago Gerundo non è male. Poi c’è quella che narra di Uberto Visconti che uccise un basilisco nei boschi… Ma vi voglio bene e la pianto qui, dandovi un altro spunto per inseguire la bissa: l’ho presa da una canzone popolare di Nanni Svampa.
Oh la bissa la bissa la bissa L’è la Regina del Parco Ravizza La gh’ha trent’ann ne dimostra desdott L’è la Regina di tücc i casott
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L’Arengario e il Museo del Novecento In Piazza Duomo c’è un palazzo molto particolare detto l’Arengario. Deve il suo nome al fatto che in epoca medievale ogni città era dotata di un luogo elevato e terrazzato da cui la folla veniva arringata. Quello che vediamo oggi, in realtà, è di epoca fascista e di recente costruzione: fu eretto nel 1936 su disegno degli architetti Purtaluppi, Magistretti, Muzio e Griffini quando venne demolita la cosiddetta “Manica Lunga” di Palazzo Reale ed edificata Piazza Diaz. Dopo aver ospitato varie mostre temporanee, solo nel 2010 il Palazzo è diventato sede permanente del Museo del Novecento, a seguito di un restauro durato 10 anni e costato moltissimo al Comune di Milano, ma molto apprezzato per la suggestione che evocano le sue sale prospicienti alla facciata del Duomo e la linea perfetta che si crea con la Galleria Vittorio Emanuele. A mano a mano che si percorre la sinuosa rampa elicoidale, dopo essere stati accolti dalla grande opera Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, la prospettiva si modifica fino ad aprirsi in tutta la sua meraviglia all’ultimo piano, nella Sala tutta vetrate interamente dedicata a Lucio Fontana, alla quale si accede mediante una scala mobile. Le 350 opere conservate in questo spazio sono state scelte tra le oltre 4.000 appartenenti alle Civiche Raccolte D’Arte del Comune e si spazia dai Picasso, ai Boccioni, Klee, Modigliani, Balla, De Chirico, Matisse, Morandi, Sironi, Carrà, solo per citarne alcuni tra i moltissimi. A mio parere, l’indiscussa regina di questo spazio è la Sala Fontana: non si può che rimanere incantati dalla bellezza del suo “Soffitto Spaziale”, realizzato dall’autore nel 1956 per la sala da pranzo dell’Hotel Golfo” di Procchio, nell’isola d’Elba con la tecnica dell’affresco. Nel 2003 i proprietari dell’albergo lo vollero rimuovere e donare al Ministero per i Beni Culturali. Il lavoro di rimozione e successiva reinstallazione dei 25 pannelli che lo compongono, è documentato in un filmato a disposizione dei visitatori, perché possano rendersi conto della complessità e delicatezza dell’operazione. Dal sagrato del Duomo si vede risplendere giorno e notte un’altra opera magistrale di Lucio Fontana: la Struttura al Neon del 1951 che ormai è diventata il simbolo di questo Museo.
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9.30/19.30 Domenica 14.30/19.30 Lunedì 9.30/19.30 Martedì-Venerdì Sabato chiuso
MUSEO DEL NOVECENTO Via Marconi 1 Tel. 02/88444061 www.museodelnovecento.org Fermata Duomo
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La prima mostra leonardesca Per quanto abbia cercato, non sono riuscita a trovare informazioni attendibili sulla prima esposizione dedicata interamente a Leonardo Da Vinci nel mondo: nel 1933 era stato “ospitato” a Chicago, ma all’interno di una rassegna dedicata ai maggiori scienziati italiani. Posso quindi affermare con buona certezza che questo primato va all’Italia e al capo di Governo di quel periodo, che chiese al suo Ministro della Cultura di organizzare una Mostra monografica dedicata a Leonardo nei saloni della nuovissima Triennale di Milano. (Vedi racconto n. 32) Eravamo nel 1939 e Benito Mussolini intuì che dedicare attenzione ad una figura tanto geniale quanto “nazionale” avrebbe sottolineato la forza e la grandezza dell’Italia tutta. L’orgoglio di Patria fu espresso enfaticamente come era tipico del periodo e di quell’ambito politico, ma indubbiamente venne resa più tangibile l’eredità lasciata da Leonardo al genere umano in termini artistici, ingegneristici e culturali. Fu prodotto molto materiale divulgativo, assolutamente alla portata dei numerosi visitatori di ogni grado di istruzione che affollarono, fin dal primo giorno i saloni della Triennale, attirati da una martellante campagna pubblicitaria che inneggiava a Leonardo come Onore del Genere Umano. Dai disegni leonardeschi vennero tratti gli spunti necessari alla realizzazione di modelli di grandi dimensioni e coloratissimi, forse per dare brio e vivacità all’intero allestimento. Piacquero molto, specie agli americani che li vollero per l’Esposizione Universale di New York del 1940. Da lì avrebbero dovuto essere spostati in Giappone, ma la nave che li trasportava venne bombardata e affondò. Non ne abbiamo più traccia ed è un vero peccato. Se ne esistesse ancora anche solo uno il Professor Pietro Marani lo avrebbe sicuramente voluto nella Mostra che ha allestito con Maria Teresa Fiorio e che avrà titolo “Leonardo a Palazzo Reale”. L’inaugurazione è avvenuta il 15 di aprile e trovo sia un modo magnifico di festeggiare il cinquecentosessantatreesimo compleanno dell’essere umano più noto del pianeta.
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PALAZZO REALE Piazza Duomo 12 Tel. 02/0202 www.comune.milano.it/palazzoreale
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Gillo Dorfles Il Dottor Dorfles in realtà è nato a Trieste, ma fa parte di quei personaggi che Milano ha adottato da tempo immemore. E nel suo caso, è proprio il caso di dirlo. Ho deciso di dedicargli una tappa di questo racconto milanese per due motivi: 1) l’anno scorso tornando una sera da teatro con il mio amico Pierluigi Sposato, gli abbiamo dato un passaggio in macchina 2) il 12 aprile 2015 ha compiuto 105 anni e capita ancora di vederlo bello pimpante in giro per la città Che sia un uomo assolutamente eccezionale lo si capisce da come è scolpito il suo volto. Non è altissimo, ma è magro ed elegante come sapevano esserlo solo gli Ufficiali di Cavalleria di un tempo, ha un naso importante che indossa come un trofeo ed emana ancora un’energia invidiabile. Attraversare tutto il ‘900 non lo ha affatto stancato, è ancora attivo e partecipe, come se non volesse perdere un istante, come se essere laureato in medicina, specializzato in neuropsichiatria, aver insegnato Estetica in tre Università, essere uno dei più importante critici d’arte e pittore lui stesso, aver scritto diversi libri e infiniti saggi, non gli bastasse. Ancora oggi rilascia interviste e riesce ad incantarci, parlando delle centinaia di persone che ha conosciuto e delle mille esperienze che ha collezionato, con una lucidità e una fermezza di linguaggio difficile da trovare anche in chi di anni ne ha la metà di lui. E’ come se Lachesi e Cloto si fossero accordate per renderlo immortale, beffando Atropo e mettendola in un angolo. Credo che il suo segreto stia nelle parole che spesso ricorrono nelle interviste che rilascia puntualmente ad ogni compleanno: “Il passato ho cercato di dimenticarlo (in realtà non lo ha dimenticato affatto!) per fare spazio al presente e tenere un po’ di posto al futuro”. Ad Majora!
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Š Monica Silva - www.monicasilvaart.com
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Anni di piombo - Sanbabilini e paninari Purtroppo ci siamo tutti un po’ dimenticati degli episodi cruenti e delittuosi che hanno funestato l’Italia in quelli che vennero chiamati gli “Anni di piombo” dal titolo del film di Margarethe Von Trotta e dal numero di vittime che lo scontro tra il terrorismo rosso di sinistra e il terrorismo eversivo di destra provocò. Nel 1969 non abitavo a Milano e l’eco dell’orrore provocato dalla Strage di Piazza Fontana, quando la Banca Nazionale dell’Agricoltura esplose uccidendo 13 persone e ferendone 90, mi era giunta solo attraverso giornali e televisione. Da quel momento prese l’avvio uno decenni più duri e cruenti per l’Italia tutta, da nord a sud, costellato come fu di lutti e desolazioni che ebbero il loro culmine nella strage della Stazione di Bologna che, nell’agosto del 1980, tra morti e feriti coinvolse quasi 300 persone. Anche a livello giovanile fu un periodo particolarmente tormentato. A Milano con le prime contestazioni studentesche del ’68, si erano formati vari gruppi di estrema destra che vennero chiamati Sanbabilini per la loro abitudine di incontrarsi nella sede del’Movimento Sociale Italiano che si trovava a pochi passi da Piazza San Babila. Erano violenti e facinorosi tanto quanto i loro “nemici rossi”, e non passava giorno che non si fronteggiassero, non si tendessero agguati, non si pestassero a sangue e talvolta ci scappava anche il morto. Erano tempi in cui mantenersi neutrali era pressoché impossibile: ci si doveva per forza schierare da una parte o dall’altra, e gli animi erano sempre molto accesi. Fu proprio il raggiungimento di una troppo acuminata e vorticosa escalation di violenza che provocò l’inversione di tendenza che decretò l’avvento dei cosiddetti “Paninari”, dal nome del loro bar preferito: Il Panino di Piazza Liberty. Erano decisamente ragazzi più frivoli, attenti al look e alle vacanze a Santa Margherita e a Cortina, quasi per nulla coinvolti nel sociale e poco interessati alla politica. Avevano i soldi dei genitori da spendere e avevano molta voglia di divertirsi, senza pensare troppo all’ideologia. Fu uno stile facile da imitare e ben presto dilagò in tutt’Italia, prendendo nomi diversi a seconda delle località: Bondolari (a Verona la mortadella si chiama bòndola); Tozzi (a Roma); Chiattilli (a Napoli); Zanari (a Bologna).
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PIAZZA FONTANA
www.piazzafontana.it
Fermata Duomo
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Milano la dolce Siamo di nuovo alla Corte di Ludovico il Moro durante uno dei tanti banchetti che Leonardo criticava perché troppo abbondanti: questa volta i cuochi si sono prodigati più del solito perché è Natale e vogliono che il Duca sia orgoglioso di loro. Qualcosa però va storto al momento di servire il dolce: Toni, un giovane aiutante di cucina ha dimenticato di togliere le torte dal forno e ora sono impresentabili. Proprio Toni salverà la situazione ricordandosi di aver preparato nei giorni precedenti un pane speciale, arricchito di uvetta, canditi, zucchero e burro che porterà in tavola al posto dei dolci bruciati. Da quel momento Il “Pan de Toni” ebbe un tale successo che la ricetta volò di panettiere in panettiere, ed entrò di un balzo nella tradizione culinaria milanese. Passarono alcuni secoli e si arrivò al 1919, quando un altro giovane garzone di panetteria, arrivato povero dalla provincia, ebbe l’idea di avviare una produzione industriale di questi pani dolci. Si chiamava Angelo Motta e assieme a un altro milanese, il suo concorrente storico Gioacchino Alemagna divenne il re del panettone, aprendo la strada a una folta schiera di pasticceri che si cimentano per sfornare ogni anno varianti inconsuete e sfiziose della versione tradizionale. Milano è seconda solo a Napoli per il numero di pasticcerie artigianali, e ve ne sono alcune di davvero imperdibili: in molti sostengono che la migliore sia Sissi e consigliano di assaggiare i croissant dolci e salati che sfornano i proprietari di origine senegalese. Io amo andare alla Sant’Ambroeus, perché la trovo semplicemente perfetta: gli arredi, le vetrine impeccabili, le specialità stagionali sempre freschissime e un’aria tradizionale e rassicurante la rendono ai miei occhi il luogo migliore dove sostare quando non sono a dieta. Molto curata è anche Cova, fondata nel 1817 da Antonio Cova, un soldato di Napoleone che riuscì a farsi la miglior clientela della città: qui hanno bevuto il caffè Mazzini, Garibaldi e Tito Speri e ci veniva anche Hemingway durante la prima guerra mondiale. Ora il gruppo francese Louis Vuitton l’ha acquistata, ma per fortuna almeno all’apparenza tutto è rimasto identico a prima, anche perché tutta l’organizzazione continua a fare capo all’antico proprietario Mario Faccioli e alla sua famiglia, garantendo la continuità della tradizione.
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COVA Via Montenapoleone 8 Tel. 02/76005599
SANT’AMBROEUS Corso Giacomo Matteotti 7 Tel 02/76000540
www.pasticceriacova.it
www.santambroeusmilano.it
SISSI Piazza Risorgimento 6 Tel. 02/76014664
Fermata San Babila Tram 9 Fermata Piazza Tricolore
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L’alce di A&F Abercrombie & Fitch era un nome che fino a qualche anno fa conoscevano solo coloro che avevano fatto un viaggio negli States. Tutti i fortunati ragazzini in gita a New York obbligavano i loro genitori ad un pellegrinaggio nella Fifth Avenue per fare acquisti di abbigliamento in un negozio molto particolare: praticamente buio, profumato in modo esagerato, pieno di musica sparata a volume pazzesco, ma soprattutto zeppo di bellissimi commessi palestrati. Anche la mia “adolescente” di allora mi ci aveva trascinato a forza, e ricordo che in quella circostanza avevo molto apprezzato che gli arredatori avessero posizionato a tutti i piani dei comodi divani di pelle, dove madri e padri dall’aria annoiata attendevano con pazienza che i pargoli finissero il loro shopping. Il primo negozio aperto a NY nel 1892 vendeva fucili, canne da pesca, e abbigliamento sportivo personalizzato con il disegno dell’alce. Ma il grande successo arrivò qualche decennio dopo, quando fu stampato un catalogo di vendita per corrispondenza di 456 pagine e venne aperto un grande emporio dedicato allo sport, dove c’erano persino un poligono di tiro, una scuola di golf e una piscina sul tetto. Andavano a vestirsi lì Kennedy e Lindbergh, Greta Garbo e Clark Gable. Nel 1964 vi fu ambientato un film di successo con Rock Hudson che impersonava un commesso millantatore ma affascinante. Titolo: Lo sport preferito dall’uomo. In Italia il marchio è approdato nell’ottobre 2009 ed ha come unica sede il bel Palazzo milanese che Giò Ponti progettò nel 1939, in Corso Matteotti. Per i primi 4/5 mesi la zona era letteralmente invasa di ragazzi che si sobbarcavano ore di fila pur di accedere al negozio e farsi fotografare con i belloni che presidiavano l’ingresso, apparentemente incuranti delle temperature polari e degli spifferi. Ora le acque si sono un po’ calmate, ma solo per i ragazzi che abitano in città: dal resto d’Italia continuano ad arrivarne a frotte, e spesso si tratta di intere classi in gita scolastica!
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10.00 / 20.00 12.00 / 20.00 Domenica
ABERCROMBIE & FITCH Corso Matteotti 12 Tel. 800 977 839 www.abercrombie.com Fermata San Babila
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Il Quadrilatero della moda Vietato venire a Milano senza fare almeno una passeggiata nelle vie del centro, piene zeppe delle boutique delle firme più famose. Non vietato ma sconsigliato esclamare troppo spesso frasi del tipo “Oddiooooo, ma guarda che prezzi” “Quel coso non me lo metterei neanche se me lo regalassero” “Ma chi può entrare in un abito così stretto” … pena sentirsi frustrati invece che divertiti. Le vie della moda vanno prese così, senza rancori e rimpianti, pensando, al massimo, che si vede proprio che gli stilisti si lasciano andare alle fantasie più sfrenate, sicuri che qualcuno al mondo troverà le loro creazioni irresistibili. A me piace guardare le vetrine, anche se raramente entro nei negozi. Un po’ per i prezzi decisamente alti, ma soprattutto perché non mi piace essere squadrata dalle solerti e un po’ annoiate vendeuse che sanno riconoscere benissimo i potenziali clienti fin dal primo istante. Il consiglio che vi do è di gironzolare un po’ a caso, ma di non perdervi assolutamente almeno 3 flagship store milanesi. Se non conoscete ancora questo vocabolo di nuovo conio vi metto subito al corrente: è il nome che viene dato al negozio principale di un marchio, il portabandiera, per intenderci Prima di tutto dovete andare da Dolce&Gabbana in via della Spiga (a proposito: Spica in latino è l’anagramma di Pacis e questa è proprio una via tranquilla): la sicilianità di questi due stilisti esce a fiotti da ogni particolare dell’arredo, degli abiti e degli accessori proposti e ha il suo apice sotto Natale, quando gli allestimenti sembrano dei fermo-immagine tratti dal film –“Il Gattopardo”-. Divertenti e ironiche sono sempre le vetrine di Moschino che ha di recente aperto il suo flag all’inizio di Corso Venezia: visitatelo con la stessa attenzione che riservereste ad un Museo. Infine fatevi un giro nel Palazzo Armani di Via Manzoni: re Giorgio ha comprato tutto lo stabile che negli anni ’60 ospitava la mitica Alemagna e ora ha completato il suo capolavoro. Non ha dimenticato nulla: Discoteca, Ristorante (il giapponese Nobu), Hotel di stralusso, Lounge, Spa con piscina sul tetto, e ovviamente Store. Vi potrete trovare cioccolatini, hi-tech, abbigliamento, articoli per la casa, accessori e persino fiori e piante e tutto ha l’inconfondibile e stilosissima impronta Armani.
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DOLCE & GABBANA BOUTIQUE - www.dolceegabbana.it Via della Spiga 26 - Tel. 02/76001155 MOSCHINO - www.moschino.com/it Corso Venezia 2 - Tel. 02/84256142 Fermata San Babila ARMANI - www.armani.com Via Manzoni 31 - Tel. 02/72318600 Fermata Montenapoleone
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Giuseppe Verdi e la suite 105 (che non è una sinfonia) Esisteva un tempo in cui i Vip vivevano in hotel. Giuseppe Verdi aveva 59 anni ed era già ricco e famoso, quando decise che avrebbe trascorso alcuni mesi invernali a Milano. Si accordò con i proprietari di un hotel che si trovava a pochi passi dal teatro alla Scala e si fece riservare la Suite 105, al primo piano, con le finestre che si affacciavano in quella che all’epoca si chiamava Corsia del Giardino e che oggi è Via Manzoni. Anche l’hotel allora non si chiamava come oggi. Era semplicemente l’Albergo di Milano. Nella stessa via ce n’era un altro, molto più alla moda, con un nome roboante e pretenzioso: il Grand Hotel Continental, dove scendevano personaggi del calibro di Enrico Caruso e Mistinguette. Ma il Maestro amava l’eleganza e adorava la tranquillità che si respirava nella sua suite, quindi per quasi trent’anni vi arrivò puntuale all’inizio della stagione operistica, dopo aver trascorso i mesi estivi nella sua Tenuta di Sant’Agata di Villanova, nel piacentino (visitabile e bellissima) dove dimorò per quasi 50 anni con la sua adorata Giuseppina Strepponi. Dalla morte della compagna, avvenuta nel 1897, preferì soggiornare più a lungo in città e la suite 105 diventò praticamente la sua abitazione. Quasi all’improvviso, nel gennaio del 1901, la sua salute cominciò a cedere. Venne colpito da una emiplagia che in soli 6 giorni lo portò alla morte. Forse è una leggenda metropolitana, ma è così delicata che ve la voglio riportare: si narra che la notizia dell’aggravamento del Maestro abbia fatto il giro della città in men che non si dica. Prontamente il tratto di strada antistante all’Albergo venne ricoperto di paglia per attutire il rumore che le ruote dei carri provocavano rotolando sui lastroni di porfido della pavimentazione. Qualcuno addirittura dice che le ruote di tutte le carrozze della città furono ricoperte di panno. Sappiamo invece con certezza che non appena la notizia della sua morte si diffuse, in poche ore tutti gli stendardi cittadini vennero listati a lutto e negozi e teatri restarono chiusi per ben tre giorni. Solo due anni prima di morire Giuseppe Verdi aveva generosamente fondato in città un’istituzione ancora esistente al giorno d’oggi: la Casa di Riposo per Musicisti (vedi racconto n. 3) che porta il suo nome e ospita la sua tomba.
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Aperitivo al Genny’s bar Aperto al pubblico
GRAND HOTEL ET DE MILAN Via Manzoni 29 Tel. +39 02/723141 www.grandhoteletdemilan.it Fermata Montenapoleone
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Indro e il parco Montanelli La mia nonna materna era una fedelissima abbonata alla rivista femminile Grazia: la leggeva ogni settimana dalla prima all’ultima riga, ma in special modo adorava la rubrica di galateo “Saper Vivere” di Donna Letizia, pseudonimo della scrittrice Colette Rosselli, moglie del giornalista toscano Indro Montanelli. Bella coppia stranamente assortita che aveva trovato un modo originale per andare d’accordo: si dichiaravano entrambi “scapoli” e preferivano risiedere a 600 chilometri di distanza uno dall’altra. Lui viveva all’Hotel Manin di Milano, lei in un bellissimo attico in Piazza di Spagna a Roma. Però andavano in vacanza insieme nella loro villa di Cortina D’Ampezzo, e lì si erano anche sposati civilmente. Forse Colette non era a Milano nemmeno la mattina del 2 di giugno 1977, quando suo marito venne gambizzato. Stava andando in ufficio, anche in quel giorno di festa, e doveva fare a piedi i pochi metri che separavano l’albergo dal Palazzo della stampa di Piazza Cavour, dove c’era la redazione del Giornale che dirigeva. Per i due ragazzotti che gli tesero l’agguato non fu difficile coglierlo di sorpresa: si nascosero tra le macchine in sosta, attesero che imboccasse il marciapiedi che costeggiava il Parco Palestro e gli spararono alle spalle 7 colpi di pistola. Poi si dileguarono velocemente su un’auto che li aspettava in Via Turati. Montanelli fu fortunato e coraggioso: invece di accasciarsi a terra si aggrappò alle inferriate di un cancello e riuscì a rimanere in piedi, evitando che i proiettili raggiungessero parti vitali. Il Comune di Milano, oltre a dedicargli il Parco, ha fatto erigere proprio in quel punto un monumento in bronzo dorato che lo raffigura nella sua posa più tipica: seduto su una pila di giornali mentre batte a macchina un articolo, appoggiando la “Lettera 32” Olivetti alle sue lunghe zampe di pollo, come chiamava ironicamente le sue estremità inferiori. Già dalla clinica, il giorno stesso, dettò ai suoi collaboratori la linea da seguire: niente retorica, né sentimentalismi. Le Brigate Rosse rivendicarono nel pomeriggio l’attentato contro un “fascista mascherato, finanziato dalle multinazionali” dicendo di “voler portare un attacco allo Stato Imperialista”. Montanelli, come era sua abitudine, rispose con parole pacate ma taglienti: “Dico che questi poveri diavoli meritano più disprezzo che odio. Hanno piena la testa di parole di cui non sanno il senso.”
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PARCO MONTANELLI MONUMENTO A INDRO MONTANELLI Ingresso di Via Palestro
Fermata Turati
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Il Corriere della Sera Una delle gloriose istituzioni cittadine è, senza dubbio, il grande palazzo in stile liberty che da più di un secolo ospita il Corriere della Sera in Via Solferino n. 28. La redazione del giornale e tutte le nuovissime rotative americane vennero spostate lì nel 1904, dopo che per molti anni gli articoli erano stati scritti nella residenza di Via Verri dell’industriale cotoniero Benigno Crespi, azionista di maggioranza. Ancora prima e fin dai tempi della fondazione, si scriveva nei piccoli uffici sopra alla Galleria Vittorio Emanuele, mentre la tipografia era nei sotterranei. Il fondatore nel 1876 era stato Eugenio Torelli Viollier, che con i suoi quattro amici/soci volle fortemente un quotidiano di nuovo respiro, anche se a Milano ne esistevano già parecchi, perché a dir suo, il Corriere sarebbe stato il più sincero e diretto. “Pubblico, voglio parlarti chiaro. In 17 anni di regime libero tu hai imparato molte cose. Ormai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d’altri tempi.” Questo l’incipit del lungo editoriale che comparve nel primo numero del quotidiano con data 5/6 marzo 1876 al costo di 5 centesimi a copia, fatto uscire con mossa a sorpresa il primo giorno di quaresima, quando tutti gli altri per tradizione non pubblicavano. Vennero stampate 15.000 copie quel giorno e tutto il ricavato andò in beneficienza per evitare le polemiche. La tiratura media giornaliera agli inizi non andava oltre i 3.000 pezzi, ma la prima occasione per crescere si presentò alla morte di Vittorio Emanuele II: le copie vendute raddoppiarono e continuarono a crescere tanto che le edizioni giornaliere divennero prima due e poi tre nel 1890. La sete di notizie era inarrestabile e si lavorava giorno e notte per scrivere e stampare, mentre il distacco del Corriere della Sera dai suoi concorrenti cresceva inesorabilmente. Ancora oggi è il giornale più letto d’Italia, anche se nel corso degli anni le abitudini dei lettori sono cambiate: dopo aver vissuto anni d’oro con tirature vicine al milione di copie giornaliero, oggi la cifra si attesta attorno alle 400.000 unità, compresi i lettori on-line. Il palazzo è in vendita e si paventano licenziamenti e trasferimenti. Quindi chi vuole respirare l’atmosfera gloriosa degli inizi del secolo scorso e visitare i suoi uffici e saloni deve assolutamente affrettarsi.
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CORRIERE DELLA SERA - RCS via Solferino 28 Tel. 031/698051 www.corriere.it
Autobus 94 Fermata Moscova Solferino
94 139
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Brera Il quartiere più bohemien di Milano è decisamente quello di Brera, il cui nome viene da braida, che significa pianura, distesa: è quasi tutto pedonale e animatissimo sia di giorno sia di sera. Anche se detesto camminare sulle pietre di fiume che lo lastricano e che mi obbligano a guardare continuamente dove metto i piedi, ci vado sempre volentieri e ogni volta ci ritrovo la stessa atmosfera vagamente retrò. Sarà perché nell’800 tutti gli artisti abitavano in questa zona (mentre ora i costi sono diventati proibitivi) ed esponevano i loro quadri in strada, sperando di venderli alle ricche coppie in passeggiata o perché qui c’erano quasi tutte le case di tolleranza della città, tanto da far meritare al quartiere il soprannome pittoresco di “Contrada de’ tett”. Non si alludeva affatto ai tetti, per quanto fossero suggestivi e un po’ parigini, bensì ai “davanzali” delle belle signorine che si affacciavano alle finestre per invitare i giovanotti a salire da loro. Per evitare queste sconvenienti manovre di avvicinamento, nel 1888 venne emanata l’odiosa legge Crispi, che tra le altre cose, ordinò di murare le finestre: da qui deriva il nome di “case chiuse” che da lì in poi presero i casini. Il più famoso era il Fior Ciar, al 17 della via che si chiama ancora Fiori Chiari. Camminando ancora un po’, magari mettendo i piedi sulle lastre lisce che venivano usate dalle carrozze per non consumare le ruote di legno, si arriva al meraviglioso Palazzo Brera e si viene accolti da un inconsueto Napoleone Nudo bronzeo e svettante. L’autore è Antonio Canova, che all’epoca era l’artista ufficiale della famiglia Bonaparte. Ogni singolo angolo del cortile merita di essere osservato con cura perché contiene le statue di molti uomini importanti per Milano. Dallo scalone principale si accede alla famosa Pinacoteca, voluta da Maria Teresa d’Austria nel 1776 e ricca di capolavori assoluti provenienti da chiese e conventi di tutt’Italia, così come sono da vedere assolutamente la Biblioteca Braidense e l’Orto Botanico con il Museo Astronomico. Durante i sei mesi dell’Expo, verranno organizzate ben quattro mostre d’arte e un numero notevole di concerti a cui si potrà accedere con il biglietto pagato per vedere la Pinacoteca.
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8.15 / 19.15 Chiuso lunedì
PALAZZO BRERA - PINACOTECA Via Brera 28 Tel. 02/72263264 www.beniculturali.it Fermata Lanza
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Il grande Piccolo (e il raggio di sole) A poco tempo dalla morte di uno dei più famosi registi che ha legato gran parte della sua carriera al Piccolo Teatro di Milano, non posso che rendere omaggio a questa gloriosa istituzione cittadina, la cui fama ha varcato le frontiere italiane ed è approdata con le sue tournèe in tutti i continenti. Fondato nel 1947 da Giorgio Strheler, Paolo Grassi e Nina Vinchi, il Piccolo è stato in assoluto il primo teatro stabile d’Italia, con sede nel Palazzo già Carmagnola (quello donato a Cecilia Gallerani da Ludovico il Moro , vedi racconto n. 70) poi chiamato Broletto. Narrano le cronache che i tre amici fossero da tempo alla ricerca del luogo adatto per dare stabile dimora alla loro attività artistica. Durante una passeggiata verso il Castello si trovarono davanti all’abbandonato Cinema Broletto. Spinsero il portone e comparve alla loro vista uno spettacolo desolante: la platea con le poltrone divelte, il sipario stracciato, polvere ovunque. Improvvisamente da un lucernario apparve un raggio di sole che attraversò la sala come una lama, un proiettore, una freccia. Da lì partì tutto e per loro iniziò una stagione entusiasmante. Dalla fine degli anni ’90, le sale sono diventate tre e propongono decine di spettacoli di ottima qualità ad ogni stagione. Fino a pochi giorni fa i direttori artistici erano due: Sergio Escobar e Luca Ronconi, che era anche il Direttore della Scuola di Teatro del Piccolo. È stato un regista all’avanguardia, che ha avuto il coraggio di mettere in scena spettacoli originali ed innovativi che a volte hanno fatto discutere, ma che difficilmente possono essere dimenticati. Il suo “Infinities” dedicato alla matematica e ambientato in forma itinerante nei magazzini teatrali della Scala alla Bovisa mi è rimasto nel cuore in modo definitivo, come non posso dimenticare il terribile cane segugio meccanico di “Fahrenheit 451” capace di incutere timore fino in platea. La scomparsa di Luca Ronconi ha lasciato tutti i milanesi interdetti e sgomenti: aveva lavorato con energia fino a qualche settimana prima e il suo ultimo spettacolo dedicato alla Lehman Brothers e al suo fallimento è restato in scena per quasi un mese dopo la sua morte, come a volercelo far sentire presente ancora un po’. Credevo di non riuscirci e invece ce l’ho fatta: mi sono messa pazientemente in lista d’attesa e alla fine il biglietto per assistere all’ultimo spettacolo di Ronconi mi è arrivato… e pure in prima fila!
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TEATRO STRHELER Largo Greppi 1 (Fermata Lanza) TEATRO STUDIO Via Rivoli 6 (Fermata Lanza) TEATRO GRASSI Via Rovello 2 (Fermata Cordusio) Biglietteria unificata: tel. +39 848800304 www.piccoloteatro.org
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Il giullare da Nobel Sono solo 20 gli italiani ad aver ricevuto il più prestigioso riconoscimento mondiale da quando Alfredo Nobel lo istituì in Svezia nel 1901. Di questi uno è stato Dario Fo, varesino di nascita, ma milanese nel cuore. Già nel 1975 era stato nominato tra i candidati, ma fu nel 1997 che il Premio Nobel per la Letteratura gli venne assegnato con la seguente motivazione: “Nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere riabilita la dignità agli umiliati.” Non a tutti fece piacere che un personaggio tanto anticonformista, anticlericalista e per certi versi irriverente ricevesse il riconoscimento più ambito al mondo, ma alla pur severa commissione esaminatrice dell’Accademia di Svezia interessava sottolineare l’originale efficacia comunicativa del suo linguaggio intriso di cultura e verve satirica, oltre che la sua notevole produzione letteraria e teatrale. Il filmato che immortala il momento della consegna del Diploma da parte del Re Gustavo di Svezia ci mostra un Dario Fo a cui non siamo troppo abituati: elegantissimo, quasi timido, stranamente silenzioso e forse stupito, anche se immensamente soddisfatto. Molto bella anche l’espressione della inseparabile compagna di tutta la vita, Franca Rame, impegnata socialmente come lui e spesso al suo fianco sul palcoscenico, altrettanto sincera e libera di esprimere le sue idee anche se scomode e controcorrente. Il Premio internazionale dovette apparire davvero odioso a coloro che avevano bandito la coppia da tutti gli spettacoli pubblici di Radio e Televisione per un lungo quindicennio, fomentando nell’ombra affinché venissero isolati e dimenticati più in fretta possibile. Ma la loro grande tempra, unita a un indubbio talento creativo e a un’ottima solidità matrimoniale, ha permesso loro di vincere tutte le sfide e di rimanere costantemente attivi nonostante gli atti tragici che hanno dovuto subire. Il momento più atroce fu il sequestro e la violenza subita nel 1973 da Franca Rame ad opera di un gruppo di 5 uomini: si era nel bel mezzo degli Anni di Piombo (vedi racconto n. 60). I violentatori, individuati dal Giudice Salvini come “stragisti” fomentati dall’alto, con intenzione intimidatoria, la scaricarono dal furgone dove le avevano usato violenza abbandonandola sanguinante e mortificata in un parco. Lei ebbe la grinta e la forza di denunciarli ma soprattutto scrisse un monologo intitolato “Lo stupro” che portò coraggiosamente in tutti i tutti i palcoscenici d’Italia e non solo e che è rimasto unico nel suo genere.
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145 credit: @ foto di Guido Harari per gentile concessione archivio.francarame.it
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Cecilia Gallerani, Lucrezia Crivelli, Ginevra Benci… Non sono i nomi delle mie compagne di Liceo e non sono neanche mie amiche di Facebook. Per scoprire qual è il filo conduttore che le unisce, bisogna saltare all’indietro di 5 secoli e atterrare dritti dritti nella Milano della corte di Ludovico il Moro e nella Firenze di Lorenzo il Magnifico. All’epoca, il libertinaggio era molto più tollerato e praticato, specie in certi ambienti altolocati, e le nobildonne facevano a gara per divenire le favorite degli uomini in vista con il consenso dei mariti, interessati ai vantaggi economici e di carriera che ne potevano derivare. Se eri brava e fortunata poteva anche capitarti in dono un intero palazzo e Cecilia Gallerani, oltre che bellina era anche intelligente. Era giovanissima, 16 anni, e già sposata con il Conte Ludovico Carminati, molto più vecchio di lei, come usava al tempo. L’altro Ludovico, potente e fascinoso anche se piuttosto brutto le mise gli occhi addosso e dall’unione, che di clandestino aveva molto poco, nacque Cesare. Per Beatrice d’Este, moglie legittima e altrettanto adolescente del Duca di Milano, pure lei intelligente oltre che innamorata del marito, fu troppo. Ottenne che Cecilia venisse sistemata con marito e figlioletto a Palazzo Carmagnola, oggi sede del Piccolo Teatro e degli uffici Expo. Il Duca invaghito aveva commissionato a Leonardo da Vinci un ritratto famoso in tutto il mondo: è lei la divina Dama con l’ermellino che si può ammirare a Cracovia, e che ogni tanto arriva anche in Italia per gentile concessione dei polacchi. La fedeltà del Duca durò un soffio ed ecco comparire la nuova favorita: conosciamo il suo nome, Lucrezia Crivelli, sappiamo che anche lei gli diede un figlio, e che di nuovo Beatrice si infuriò e si incupì, chiudendosi in se stessa e morendo al termine di una gravidanza resa difficile dalla sua depressione ormai cronica. Aveva solo 21 anni e dalla vita con Ludovico il Moro aveva tratto più sofferenze che gioie. Forse dedicato a Lucrezia è un altro quadro famosissimo di Leonardo: La Bella Ferroniere, esposto al Louvre. La terza dama famosa, dipinta dal Maestro, è Ginevra Benci, nobildonna fiorentina di bell’aspetto, figlia di un banchiere vicino alla casata Medici, colta e raffinata. Di lei non si conosce quasi nulla, quindi possiamo presumere che fosse assai riservata. Per conoscerla di persona bisogna andare fino a Washington, alla National Gallery, dove ci si troverà davanti a un capolavoro assoluto di piccole dimensioni…. nemmeno 40 cm x 40, ma di una bellezza inaudita!
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PALAZZO CARMAGNOLA CHIOSTRO NINA VENCHI Via Rovello 2
Fermata Cordusio
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Curia Ducis Nel 570 d.C., in pieno periodo longobardo (il nome Lombardia deriva da Longobardia) il re generale Alboino risiedeva nel palazzo detto Curia Ducis, ossia Corte dei Duchi, che sorgeva nel luogo di Mediolanum che via via venne chiamato prima Cortedoxi, poi Corduce, Corduso e finalmente, come oggi, Cordusio. Prima era un Largo, poi divenne una Piazza. È sempre stato un punto centrale e importante, ma è nel 1800 che viene ridisegnato ed assume le caratteristiche architettoniche che ancora oggi possiamo ammirare. Se ci mettiamo nel centro dell’ellissi che i palazzi vanno a formare, magari stando attenti a non finire sotto un tram visto che ne passa uno al minuto, potremo vedere il Castello Sforzesco con la Torre del Filarete alla fine di Via Dante e dalla parte opposta scorgeremo il Duomo. Tutto intorno a noi potremo ammirare quattro dei più bei palazzi della città, tutti con la facciata concava, a sottolineare la forma della piazza. Prima di essere trasferita a Palazzo Mezzanotte, la Borsa Valori di Milano era qui, in quel Palazzo Broggi che poi è divenuto sede centrale delle Poste, e che forse diventerà sede dei magazzini francesi Galerie Lafayette. Nel Palazzo chiamato delle Assicurazioni Generali ci sono ancora gli uffici milanesi della Compagnia che ha il suo head quarter a Mogliano Veneto, mentre nel Palazzo chiamato Biandrà, recentemente ristrutturato e re illuminato, c’è la Cattolica Assicurazioni. Resta da guardare il Palazzo Unicredit che, se vi dovesse interessare, è in vendita, visto che la Banca si è trasferita da poco a Porta Nuova nella sua nuova avveniristica sede progettata da Cèsar Pelli, in quel grattacielo che in un balzo solo è diventato il più alto d’Italia con i suoi 231 metri di altezza e ha reso Piazza Gae Aulenti il punto più all’avanguardia della città. C’ero anch’io quel 16 ottobre 2011 assieme a una folla di milanesi con il naso all’insù a guardare l’elicottero che con precisione millimetrica posava in cima alla torre il terminale della guglia Spire di 78 metri, trasformando per sempre lo skyline della città. Nelle giornate in cui il cielo di Milano è blu cobalto (e sono tante) la Torre Unicredit sfavilla come una star mentre spesso la notte viene illuminata di luci colorate, come nelle migliori tradizioni newyorkesi.
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PALAZZO DELLE GENERALI ASSICURAZIONI Piazza Cordusio
Fermata Cordusio
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La Loggia dei Mercanti Se da Piazza Duomo si vuole andare verso il Castello, si deve per forza attraversare un tratto di strada che è rimasto quasi inalterato dal 1300 e ci trasferisce ancora una forte suggestione. Sotto la “Loggia dei Mercanti” che durante il fascismo venne battezzata per un breve periodo Piazza Giovinezza, per secoli si sono ritrovati commercianti, banchieri e magistrati, mentre nel Palazzo soprastante chiamato Broletto o della Ragione, venivano svolte tutte le attività giudiziarie della città. Dal Balcone degli Osii, detto la “parlèra dei trombetti” venivano annunciati gli editti e le sentenze più importanti: i popolani erano giustiziati alla Vepra, mentre ai nobili era riservato l’onore di essere impiccati proprio qui. Dalle finestre del palazzo pendevano delle corde minacciose: era lì che venivano appesi per le braccia i condannati “ai tiri”, la pena assai dolorosa destinata a coloro che avevano commesso reati minori e che venivano alzati ed abbassati il numero di volte stabilito dai giudici. Sul lato anteriore della parlèra ci sono tre bassorilievi molto ben conservati che rappresentano il Biscione e l’Aquila, (vedi racconto n. 56) entrambi simboli della città, mentre su un capitello del porticato si può vedere la scrofa semilanuta, probabile responsabile involontaria delle sorti della città. La leggenda narra che furono i Galli a fermarsi qui e fondare i primi insediamenti urbani. Era il 623 a.C. quando le staffette videro un fiume (forse il Lambro, il cui nome deriva da Lampròs = lucente, pulito, limpido) vicino al quale pascolava un maiale con il corpo ricoperto parzialmente di lana: ed ecco spiegato il perché del primo nome della città MEDIO-LANUM. Oggi il Palazzo della Ragione ospita importanti mostre di fotografia. Una delle ultime, bellissima, è stata quella dedicata a Sebastiao Salgado e alla sua “Genesi”. Per il periodo dell’Expo, sono previste collettive di fotografi italiani e stranieri che hanno dedicato i loro scatti all’Italia, declinandola in mille modi sempre diversi.
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PALAZZO DELLA RAGIONE Piazza dei Mercanti Tel. 02/43353535 palazzodellaragionefotografia.it Fermata Cordusio
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La Scala Ero molto giovane e adoravo le serate mondane, forse perché ero abituata a frequentare i Circoli Ufficiali, dove si andava alle feste da ballo in abito lungo e i cavalieri indossavano lo smoking. Alla Scala però non avevo mai messo piede. La mia prima indimenticabile volta fu nel 1980. Come oggi, anche allora i dipendenti dell’Ente Scala avevano sempre qualcosa di cui lamentarsi e non aspettavano altro che una “prima” importante per minacciare e, a volte, attuare uno sciopero. Noi avevamo comperato i biglietti per la “seconda”, non potendoci permettere i prezzi folli della serata inaugurale di un balletto con Rudolf Nureyev, il russo più in voga del momento. Mai sciopero fu più gradito: la seconda sera venne proposto interamente il programma saltato il giorno prima, ed entrando nel foyer tutto stucchi dorati e lampadari di cristallo, fummo accolti da un’interminabile fila di giovani allieve della Scuola di Ballo in tutù candido e scignoncino che inchinandosi con garbo consegnarono alle signore una rosa bianca e un profumo di Oscar De La Renta. L’atmosfera elegante, ma anche un po’ classista, che aleggiava in quegli anni è andata perduta. Ora gli spettatori vestiti con abiti normali non si trovano più solo tra i loggionisti, nel sesto anello, dove l’acustica è ottima, ma da dove partono severi “buuuuuu” e fischi quando lo spettacolo non è gradito. Anche nelle prime file di platea può capitare di vedere qualche jeans sbiadito e qualche maglioncino. Ma la bellezza delle decorazioni e dei velluti rossi vince su tutto, facendoci sentire partecipi di una magia che si mantiene quasi intatta dal giorno dell’inaugurazione del Teatro Alla Sscala, il 3 agosto 1778, quando venne rappresentata per la prima volta “Europa Riconosciuta” di Antonio Salieri e che attrae spettatori da tutto il mondo. Se decidete di provare l’emozione sappiate che qui la puntualità è proverbiale: se arrivate anche solo con un minuto di ritardo vi spediscono in piccionaia fino all’inizio dell’atto successivo. E non importa se vi siete indebitati per comperare un biglietto in prima fila. Consigliatissima è una visita al Museo Teatrale dove si possono ripercorrere le tracce dei quasi 250 anni di vita del teatro che tutto il mondo ci invidia: particolarmente intrigante è la parte legata ai “giochi” che vi si svolgevano nel periodo in cui la Scala doveva assomigliare parecchio ad un Casinò.
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Courtsey Teatro alla Scala
BIGLIETTERIA TEATRO ALLA SCALA Via Filodrammatici 2 Tel. 02/88791
MUSEO TEATRALE ALLA SCALA Largo Ghiringhelli 1 Tel. 02/88792473 www.teatroallascala.org Fermata Cordusio
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Leonardo3 Di Leonardo da Vinci ne esistono molti più che tre: ce ne sono moltissimi, forse sono addirittura infiniti, tante quante sono state le sue attitudini e sfaccettature. Ma il “3” del titolo sta per 3D e vuole sintetizzare il tipo di indagine che i fondatori di questa realtà hanno messo a regime per studiare ed analizzare il grande patrimonio di informazioni, molte delle quali ancora inesplorate, che il Grande Maestro ha lasciato ai posteri e trasformarle in materiale espositivo e didattico. Il punto di origine di questa attività va fatto coincidere con la smisurata passione dell’ingegner Mario Taddei, che già da bambino si era accorto di quanto inaccessibile, riservato a pochi eletti, oltre che complicato da decifrare fosse questo patrimonio. Con una perseveranza e una testardaggine molto leonardesca completò il suo ciclo di studi laureandosi in Disegno Industriale con una tesi sull’Edutainment (l’intrattenimento educativo) nei Musei, e ponendo così le basi per il suo futuro lavoro di traduzione in modelli di grafica computerizzata di facile e immediata comprensione, dei progetti che Leonardo ha spesso solo abbozzato e quasi mai portato a realizzazione. Con due amici altrettanto appassionati, Edoardo Zanon e Massimiliano Lisa, ha fondato nel 2011 Leonardo3 e ha iniziato a portare le sue opere in varie nazioni del mondo. Il successo che queste esposizioni hanno a tutte le latitudini dipende dalla semplicità didascalica delle realizzazioni, ma soprattutto dalla loro interattività: ogni argomento viene svolto virtualmente e il progresso evolutivo del progetto avviene sotto gli occhi stupiti degli spettatori, non importa se tecnicamente preparati o meno, se giovani o adulti. A Milano siamo molto fortunati: la Mostra allestita in Galleria Vittorio Emanuele, lato Piazza della Scala, nel marzo del 2013 è stata prorogata per tutta la durata dell’Expo. Qualche voce ben informata sostiene che non chiuderà nemmeno nell’ottobre 2015, e che continuerà a deliziare i visitatori con le sue stazioni multimediali, i modelli presentati in anteprima, i laboratori per i più piccoli, nel nome di una sempre maggiore divulgazione delle migliaia di invenzioni geniali che Leonardo ha donato all’umanità tutta.
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© Copyright Leonardo3
10.00 / 23.00 Tutti i giorni
LEONARDO3 - LA MOSTRA Galleria Vittorio Emanuele Cal center 199 757 414 www.leonardo3.net
Fermata Duomo
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20 Aprile 1814 Questa non è affatto una data qualsiasi per Milano: anzi verrà ricordata per un fatto increscioso e molto doloroso che darà il via a una nuova fase politica per l’Italia tutta. Qualcuno ricorderà l’episodio che la storia ha battezzato come “La rivolta degli ombrelli” e che vide protagonista da una parte, l’allora Ministro delle Finanze nominato da Napoleone per i suoi meriti tecnici e la sua capacità di portare fiumi di denaro nelle casse imperiali e, dall’altra, una folla inferocita composta da tutta la popolazione senza distinzione di censo. Pioveva quel giorno e da qui il nome della barbara rivolta: i ricchi avevano ombrelli di seta, i borghesi di cotone e i poveri né l’uno né l’altro, ma brandivano tutti qualcosa. L’esasperazione popolare era arrivata alle stelle a causa dell’inarrestabile aumento di tasse e balzelli e quando si sparse la notizia che Napoleone era caduto e stava partendo per il suo esilio all’isola d’Elba la folla impazzì letteralmente. Dapprima si diresse verso la dimora di Francesco Melzi d’Eril, l’italiano più alto in carica in quanto Capo del Governo, ma qualcuno urlò che andava invece raggiunta Piazza San Fedele dove c’era la casa dell’odiato Giuseppe Prina, reo di essersi arricchito alle spalle della gente. L’uomo, in realtà, era solo un solerte e preciso professionista, che non aveva mai approfittato della sua posizione e per svolgerla al meglio, aveva persino rinunciato ad una sua vita privata. Era tanto ligio al dovere da non aver nemmeno ascoltato chi gli consigliava di fuggire, nonostante su tutti i muri fossero apparse scritte minacciose. Provò a nascondersi nella soffitta della sua abitazione, ma venne presto trovato, denudato e lanciato dalla finestra. Fu a questo punto che, senza alcuna pietà, venne seviziato e picchiato selvaggiamente da tutti coloro che avevano gli ombrelli in mano. A nulla valse la misericordia di un amico che cercò di ricoverarlo a casa sua: la folla appiccò fuoco a tutto il palazzo e fu il Prina stesso a consegnarsi spontaneamente Non gli concedettero nemmeno un prete e morì sotto le percosse della gente. Il Vicerè Eugenio di Beauharnais si salvò solo grazie al fatto che la popolazione amava molto sua moglie, così come si può desumere da queste strofe anonime: El Vicerè l’è tutt affacendaa A fa fagott di quel che n’ha robaa Che se nol füss pe la Viceregina El fariss anca lü la fin del Prina
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PIAZZA SAN FEDELE STATUA DI ALESSANDRO MANZONI
Fermata Duomo
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Ma che Omenoni! I Milanès per omenone intendono un uomo grande e grosso, un omaccione, un colosso insomma, che incute timore con la sua stazza. I più dotti usano il termine telamone che significa grande uomo in pietra che sostiene con le robuste braccia parti architettoniche. E’ il marito della cariatide, per intenderci, anche se lei regge tutto con la testa. (Ogni commento è superfluo!) A Milano gli Omenoni abitano una bellissima dimora ubicata nella omonima piccola via in pieno centro, vicinissima a Piazza della Scala e a Palazzo Marino. Stanno all’aperto, sulla facciata, e pare scrutino la via con i loro capi abbassati, attenti a non farsi sfuggire nulla di ciò che accade nel tratto di strada che hanno da secoli il compito di presidiare. Sono otto e rappresentano i barbari sconfitti ma fieri e assolutamente non sottomessi. I più severi sono quelli messi a controllare chi entra e chi esce dal palazzo: tanto per essere più minacciosi hanno anche le braccia conserte come a dire…” Dove credi di andare, piccola creatura?” Risiedono lì dal 1565 e li ha fortemente voluti Messer Leone Leoni che li fece eseguire, su suo disegno, da Antonio Abbondio. Più famoso è il figlio di Leone, Pompeo, che fu cesellatore e collezionista d’arte come il padre, e che è passato alla storia per essere riuscito ad acquistare da uno degli eredi di Francesco Melzi ben 1119 tavole di Leonardo Da Vinci. Era il 1588. Da quel momento in poi e fino alla fine dei suoi giorni lavorò alla catalogazione di quel prezioso materiale realizzando quello che è universalmente conosciuto come Codice Atlantico, detto così per la sua dimensione simile a quello degli atlanti geografici dell’epoca. Ma questa storia è lunga….. e le ho dedicato un capitolo a parte (vedi racconto n. 53) Vi consegno un’ultima chicca: dal 1928 e fino ad oggi, il Palazzo degli Omenoni è sede del Clubino Dadi, uno dei tre circoli per gentlemen della città. Conta 600 soci, rigorosamente di sesso maschile, appartenenti alla ‘crème de la crème’ cittadina ed è talmente esclusivo da non poter essere nemmeno visitato. Gli Omenoni, a quanto pare, sanno fare bene il loro mestiere…vi dovrete accontentare di restare in strada, ma ne vale la pena!
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PALAZZO DEGLI OMENONI Via Omenoni 3
Fermata Montenapoleone
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Alessandro Manzoni Ieri passeggiavo con un amico straniero tra il Duomo e via Manzoni, facendogli un po’ da guida e mostrandogli la bellezza dei palazzi che incontravamo strada facendo. Dopo aver percorso Via degli Omenoni siamo sbucati in Piazza Belgioioso e con orgoglio gli ho indicato la Casa del Manzoni. Lui è una persona di indubbia educazione e non ha emesso verbo, ma dalla sua espressione desolata ho capito che non sapeva proprio di chi stessi parlando e che non si perdonava questa tremenda lacuna. Ha ascoltato con attenzione mentre gli spiegavo quanto Alessandro Manzoni sia stato importante per Milano e per l’Italia tutta, al punto che la lettura de “I Promessi Sposi” e lo studio della poesia “Il 5 maggio”, dedicata alla morte di Napoleone sono obbligatori per tutti i ragazzi che vanno a scuola, che la città gli ha dedicato una delle vie più belle del centro perché venga ricordato e celebrato nei secoli, per i suoi indubbi meriti di scrittore e uomo sociale. Gli ho anche raccontato che scelse questa dimora soprattutto perché aveva un bellissimo giardino interno, silenzioso e tranquillo, dove amava meditare e scrivere durante i mesi caldi, oltre che curare personalmente le piante e i fiori e ricevere gli amici. Oggi volevo fargliela visitare, ma mi è stato detto che fino a luglio non sarà possibile: i lavori di ammodernamento e ristrutturazione sono andati a rilento e il Comune ha bisogno ancora di qualche mese per riaprire la biblioteca, i saloni e il chiostro prediletto e metterli a disposizione dei visitatori. Per il momento bisogna accontentarsi di guardare l’armonia della piazza, il bel palazzo Belgioioso del Piermarini, di cui fu proprietario l’imprenditore Raul Gardini, che qui si suicidò negli anni ‘90, a seguito di una serie di speculazioni sbagliate che lo travolsero e sconvolsero. In un’ala del palazzo si trova il più antico ristorante di Milano: ha trecento anni e il suo nome è Boeucc (che in dialetto milanese significa buco in onore del tipico ossobuco milanese): è davvero molto bello e raffinato, ma anche piuttosto caro. Sappiate che il conto può essere pagato solo in contanti o con la carta American Express, quindi se decidete di provarlo andateci attrezzati!
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Aperta da Luglio 2015 Mar / Ven 9.00-12.00 14.00-16.00
CASA DI ALESSANDRO MANZONI Via Gerolamo Morone 1 Tel. +39 02/86460403 www.casadelmanzoni.it
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Le case museo Dopo aver passeggiato nel Quadrilatero della Moda e aver lasciato “balà l’oeucc” (ballare gli occhi) guardando le centinaia di stranezze modaiole, è probabile che sentiate il bisogno di rientrare nella tradizione e nell’eleganza classica. Niente di meglio allora che fare una piccola deviazione nella tranquilla Via del Gesù e raggiungere la sontuosa dimora dove a cavallo tra ‘800 e ‘900 vissero i Baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, collezionando per tutta la vita oggetti d’arte di provenienza cinquecentesca e investendo ingenti somme per ristrutturare il Palazzo e renderlo adeguato all’ambiente rinascimentale che intendevano ricostruire. Nel 1974, i loro eredi crearono una Fondazione e donarono l’intero patrimonio alla Regione Lombardia, che si impegnò a mantenere inalterato il lascito e ad aprire il Museo che venne inaugurato vent’anni dopo. Quello che possiamo ammirare è uno dei più preziosi tesori cittadini, ed è una testimonianza unica al mondo dello stile di vita domestico di una famiglia cinquecentesca di alto livello: gli oggetti infatti non sono “messi in mostra” ma calati della realtà quotidiana e per questo ancora più affascinanti. A Milano esistono altre dimore antiche trasformate in Musei aperti alle visite: la Villa Necchi Campiglio e la Casa Museo Boschi di Stefano, entrambe dell’architetto Portaluppi, meravigliosi esempi di arredo e stile degli anni ’30 del Novecento, e la Casa Museo Poldi Pezzoli, ricca di capolavori artistici di artisti sommi, come Botticelli, Canaletto, Pollaiolo, Mantegna, donata alla città fin dal 1881.
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Scalone d’onore del Museo Podli Pezzoli
MUSEO POLDI PEZZOLI Via Alessandro Manzoni 12 (Fermata Montenapoleone) Tel. 02/794889 - www.museopoldipezzoli.it MUSEO BAGATTI VALSECCHI Via del Gesù 5 (Fermata Lanza) Tel. 02/76006132 - www.museobagattivalsecchi.org VILLA NECCHI CAMPIGLIO Via Mozart 14 (Fermata Palestro) Tel. 02/76340121 - www.fondoambiente.it CASA MUSEO BOSCHI DI STEFANO Via Giorgio Jan 15 (Fermata Lima) Tel. 02/74281000 - www.fondazioneboschidistefano.it
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Il rito della Nivola Se devo essere sincera ho fatto fatica a mettere insieme le informazioni un po’ contraddittorie in merito a questo antichissimo rito religioso, che si celebra da secoli nel Duomo di Milano il sabato più vicino al 14 settembre di ogni anno per onorare la Sacra Reliquia del Chiodo. Si dice che uno dei Chiodi della Croce di Cristo venne portato a Milano dalla Palestina forse dall’Imperatore Costantino o da Sant’Elena, sua madre, e da allora fu custodito nella Cattedrale di Santa Tecla fino al suo abbattimento. Nel 1461 venne trasferito con una solenne processione in Duomo e posizionato dove ancor oggi lo possiamo vedere, a 45 metri di altezza, sulla sommità irraggiungibile della cupola absidale di destra, al sicuro da atti vandalici o profanatori. Come facessero a portarlo lassù resta un mistero, anche se qualcuno sostiene che sia stato Leonardo da Vinci a costruire il primo “ascensore” azionato dalla forza delle braccia di molti uomini che lo avrebbero issato dall’esterno. Credo sia solo una leggenda, anche perché all’epoca aveva appena 9 anni e non era ancora arrivato a Milano. Abbiamo invece traccia documentale dell’incarico dato nel 1612 al pittore Paolo Camillo Landriani, di dipingere la lamiera che circondava la cesta dentro a cui potevano sedere fino a quattro persone e che funziona ancora oggi. Il dipinto raffigura una suggestiva scena a base di angeli e cherubini, avvolti in una nuvola vaporosa e soffusa, da cui il nome “nivola”. In anni successivi, è stato aggiunto il baldacchino rosso e la coppia di angeli lignei che lo reggono e, molto recentemente, il meccanismo elettrico di elevazione. L’insieme è un po’ kitch ma evidentemente di forte suggestione, stando al numero di persone che ogni anno partecipa alla cerimonia. Ora la nuvola pesa ben 800 chili e viene collaudata due volte l’anno per non far correre alcun rischio all’Arcivescovo e ai Sacerdoti che con lui salgono fino all’abside per recuperare il Chiodo Sacro che verrà lasciato su un altare a terra fino al lunedì sera, quando il rito verrà ripetuto per riporre la reliquia al sicuro.
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9.00-18.00 Tutti i giorni
DUOMO DI MILANO Piazza del Duomo 1 Tel 02/72022656 www.duomomilano.it
Fermata Duomo
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Napoleone in Duomo Guardando indietro nel tempo, a volte riesce difficile rendersi conto di quali strane situazioni ha creato la Storia. Mi riferisco, ad esempio, a quanto avvenne a Milano il 26 maggio del 1805, quando nell’imponente e maestoso Duomo pavesato a festa, l’Imperatore di Francia Napoleone Bonaparte si autoproclamò Re d’Italia, ponendosi sul capo la Corona Ferrea dei Longobardi. Il Corteo imperiale era giunto in città una ventina di giorni prima e mentre di giorno si svolgevano gli incontri “di lavoro” tra gli alti magistrati civili e militari, il clero, le rappresentanze diplomatiche, i futuri collaboratori e ministri, la sera le famiglie in vista di Milano facevano a gara tra loro per organizzare ricevimenti da favola. A raccontare anche al popolo cosa stava accadendo in quei giorni ci pensava “Il Corriere delle dame”, un settimanale che era stato fondato l’anno prima dall’intraprendente e moderna signora Carolina Lattanzi e che viene considerato il primo rotocalco di moda italiano. All’inizio era composto da 8 pagine e conteneva un’unica illustrazione: ogni settimana veniva proposto un modello d’abito ed una serie di articoli che si rivolgevano soprattutto alle donne con l’intento di dare loro dignità e consapevolezza, in politica e in famiglia, toccando temi fino ad allora mai affrontati. Persino la suffragetta Lattanzi subì però il fascino glamorous dei mesi che precedettero l’incoronazione, di cui tutti volevano leggere e sentir narrare. Dalla Francia per la circostanza erano arrivate decine di mercanti di stoffe alla moda, di parrucchiere e di stilisti, con l’intento di aiutare le dame italiane che desideravano essere presentate a corte, ad essere “à la page” e a non sfigurare al cospetto di Giuseppina e delle mademoiselle del suo seguito. La tiratura del giornale si impennò e da lì in poi per 70 anni praticamente non ebbe rivali. Oggi entrando in Duomo si fatica ad immaginare l’atmosfera sfarzosa e un po’ frivola che l’architetto Luigi Canonica aveva ricreato per rendere l’incoronazione italiana di Napoleone ancora più imponente di quella avvenuta in Notre Dame qualche anno prima. Colpisce piuttosto la severità maestosa delle 53 altissime colonne nervate, che suddividono le navate e fanno apparire questo luogo sacro e suggestivo ben più esteso dei suoi reali 158 metri di lunghezza e 108 di altezza, di una bellezza tanto perfetta da provocare quasi un capogiro, e di una solennità capace di risvegliare i più sopiti sentimenti religiosi.
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Murales Gianbattista Leoni/Giuseppe GEP Caserta
9.00-18.00 Tutti i giorni
DUOMO DI MILANO Piazza del Duomo 1 Tel 02/72022656 www.duomomilano.it
Fermata Duomo
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La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio. Da “Le Città Invisibili di Italo Calvino”
Maria Grazia Innecco: donna imprevedibile, fuori dal comune, colta, curiosa e sensibile, ha scoperto questo nuovo modo di descrivere le città italiane. Pioniera di un modello descrittivo insolito dedicato a luoghi e a persone, fa cogliere e legare tra loro il passato e la contemporaneità con uno stile frizzante e che trasmette entusiasmo. La sua Guida sicura è il suo tanto amato Leonardo da Vinci che, proprio della Milano più insolita e stupefacente, rappresenta lo specchio fedele. Da una donna che ama la vita, per percorrere ed amare una città.