FOTOGRAFIE DI PEPPE DI SALVO DANIELE RAVENNA
Edizione: Consorzio Agrobelice Progetto editoriale: Meditazioni Fotografie ©: Peppe Di Salvo e Daniele Ravenna Ideazione & design: www.meditazioni.info Testi: Ninni Ravazza e Mariza D’Anna
CONSORZIO AGROBELICE Regione Siciliana Assessorato Cooperazione Artigianato Commercio e Pesca
Iniziativa Finanziata dalla Comunità Europea
Questa Pubblicazione è stata realizzata con i finanziamenti del POR SICILIA 2000/2006 misura 4.17 sottomisura “a” codice 1999.IT.16.1 PO 011/4.17a/8.3.7./ 0020
la tonnara
“Ora tutte le reti, di cittade a guisa, su pe’ flutti ne camminano. Avvi ricetti, ed avvi porte, ed avvi profonde gallerie, ed atrii e corti …”. La città nel mare è disegnata dai cavi di ampelodesmo tenuti a galla dai grassi sugheri, mentre il chiarore delle Pleiadi indica il cammino ai Tonni, che abbandonati i gelidi mari del nord inseguono le cicirelle e il loro sogno d’amore nel caldo Mediterraneo, dove troveranno le condizioni ambientali ottimali per la riproduzione ma anche le trappole che per millenni l’uomo gli ha preparato. Così Oppiano di Cilicia, raffinato poeta greco del II secolo, descrive la Tonnara, mirabile costruzione effimera di corde che da aprile ad agosto è apparecchiata per quegli enormi pesci che con la loro carne di cui nulla
Ninni Ravazza
va perduto sfameranno interi villaggi e famiglie. I Tonni sanno che dalla notte dei tempi hanno un appuntamento con la Natura per perpetuare la loro specie; gli Uomini hanno imparato a tendergli l’agguato “quando assillo di nozze ne li punge”. E’ la Sicilia la terra delle tonnare: lungo i mille e trentanove chilometri delle sue coste hanno operato oltre ottanta impianti fissi di pesca al tonno. Dal Peloro a Lilibeo, da Messina a Marsala, in primavera venivano calati gli impianti “di corsa”, per fermare il cammino dei tonni nel pieno delle migrazione genetica. Da Siracusa a Mazara del Vallo le reti pescavano i pesci “di ritorno” sotto la canicola di luglio e agosto, quando la stella di Arturo tramonta, tonni smagriti
dopo gli amori e veloci come lampi col muso e il cuore allo Stretto di Gibilterra che avevano attraversato appena cinque mesi prima, dove sarebbero tornati ancora dopo l’inverno, alla ricerca del loro mare promesso. A Favignana, Bonagia, San Vito lo Capo, Scopello, Trabia, Milazzo, Marzamemi, Capo Passero, Sciacca, Torretta Granitola, all’ombra degli imponenti stabilimenti che prendono lo stesso nome delle reti a mare, Tonnara, eleganti testimonianze di archeologia industriale, sembra di sentire ancora le grida degli scugghiaturi che con abili colpi di mannaia dividevano il tonno in trenta parti, tante quanti erano i tagli da sottoporre alla salatura prima che l’industria del 19mo secolo inventasse
la scatoletta che tutto omologa. E abbandonati sulla riva stanno ancora ad aspettare il loro equipaggio i vascelli e le muciare che per secoli hanno portato uomini e pesci, ancore e reti al nauto, il luogo incantato dove i Santi del mare, Sant’Antonino e San Francesco, la Madonna di Trapani e San Pietro, su una croce di legno sormontata da un ciuffo di palma sorvegliavano l’ingresso della tonnara, una porta dantesca da cui i tonni potevano entrare ma non uscire. Ma era a mare, nei giorni della pesca, che il mito della tonnara si trasformava in rito, e insieme davano vita allo spettacolo più affascinante che l’Uomo abbia mai rappresentato. Dopo i lunghi giorni delle speranze e dell’attesa – che il padrone li chiami,
che il tempo sia bello per calare reti e ancore, che i tonni arrivino, che la corrente si quella giusta e non soffi in direzione contraria – per i pescatori è giunto finalmente il momento tanto desiderato: si aprono le “porte” della città sottomarina e i tonni si fanno passare dalle “camere” di levante a quelle di ponente, ordinaro, bastardo, picciolo, e poi ancora nell’ultima, quella dove sono intrecciati i fiori gialli di maggio, la camera della morte. Qui gli uomini gridano, invocano Dio e i Santi, tirano a forza di braccia la rete pesantissima, sudano, imprecano, cantano le cialome che sono una preghiera ma anche un esorcismo contro i mostri del mare e la sfortuna, e infine imbracciano i corchi e arpionano i tonni morenti, li
issano sui barconi neri di pece che i mastri ‘marina siciliani hanno costruito assolutamente identici per dieci secoli, li accarezzano sul muso e poi li gettano alle loro spalle, a battere con la coda sempre più debole il fasciame lordo di lische e sangue. E’ la mattanza. Schizzi d’acqua e di sangue dappertutto, grida selvagge e bestemmie, e infine urla di gioia e lodi a Jèsu perché quel giorno a casa dei pescatori arriverà il premio di tanti sacrifici. Un ultimo sguardo ai pesci ormai senza vita, sfigurati dagli uncini, la pietà propria dei marinai, “a tutti li tunni cercami perdono” cialomavano i tonnaroti di Calabria, poi il ritorno a terra,mentre nello stabilimento si preparavano le chianche e i coltellacci per lavorare la tunnina.
i tonnaroti Ninni Ravazza
Si chiamano Turi, ‘Ndrja, Cola, Peppe. Indossano giacchette lise col bavero alzato acquistate tanti anni prima per il matrimonio di un amico, il battesimo di un nipote. La pelle del volto è percorsa da mille canali per cui scorrono i ricordi. Portano in testa il berretto, che secondo Predrag Matvejevic il Mediterraneo ha attribuito solo ai suoi Capitani. Negli occhi bruciati dal sole e dal sale si riflettono secoli di storia, generazioni di pescatori. Sono i tonnaroti, la “ciurma” della più bella avventura che il Mare possa raccontare a chi ne voglia apprendere i segreti: la pesca dell’Orcino, il Leviatano che altrove chiamano Tuna, Atun, Blue fin, Thon, e che per loro è sempre e solo il Tonno, la vittima sacrificale per vincere la povertà, l’avversario da battere per
non venire sconfitti dalla vita, l’amico a cui riservare l’estremo omaggio quando ormai morto sul fondo del vascello diventa semplicemente tunnina. Tonno è quello sfuggito alla trappola di rete, ancora libero per i mari. La mattina arrivano alla spicciolata in banchina, portano con sé i sogni della notte e si interrogano sul loro significato: cosa troveranno oggi fra le reti, i nuovi branchi guidati dalla luna, o lo sfracello causato dal bistino, lo squalo bianco terrore dei mari? Fra le mani callose stringono il camillino, la gamella di metallo che la moglie gli ha riempito con gli avanzi della cena: sarà questo il loro povero pranzo. Davanti alla croce dei Santi si leveranno il berretto e stringendolo in pugno si affideranno agli Dei del mare affidandogli la loro sorte:
Santo buongiorno! E fra i tonnaroti ci sono i Signori dei tonni, i capitani della leggenda, sciamani in grado di fare da tramite fra il Mare e gli Uomini: i Rais. Già l’appellativo richiama storiche fascinazioni: rays, capo che viene dall’oriente, ma anche rex, re, dominus, detentore del potere e custode della sapienza antica che mille e mille anni fa insegnò agli uomini come catturare quei pesci argentei e grassi che i loro antenati Fenici inseguivano fin oltre le colonne d’Ercole e che assieme alla preziosa ambra furono la molla per le prime grandi navigazioni d’altura. Sulle rive del Mediterraneo si narrano ancora le gesta dei rais Mercurio di Favignana, forse il più grande di tutti; Mommo Solina di Bonagia che portò la
tonnara dove nessun altro ha mai osato, a più di cinquemila metri dalla costa; Vincenzo Oliva di Scopello che con solo la terza elementare scrisse un diario delle stagioni dal 1940 al ’60 diventato un documento socio antropologico eccezionale; Luigi Grammatico che in Sicilia e Libia conoscevano come rais Giotto per la precisione con cui disegnava la “sua” tonnara a mare; Giuseppe Rallo che a ottant’anni veniva portato in braccia sulla sua muciara come se il contatto con la terra potesse fargli perdere i poteri sacri, così come l’imperatore Montezuma non toccò mai il suolo del suo Messico; e ancora Salvatore Spataro e Sarino Renda, che divennero capi a soli 35 anni, e Gioacchino Ernandes nella tonnara che fu dei Florio e Lareato Fi-
gliomeni nell’isola di Formica, la generazione dei Barraco rais a Trapani, Siculiana, Tripoli. Eroi solitari, personaggi epici che nel momento della verità, quando era il momento di aprire l’ultima “porta” ai tonni, si rivolgevano al “loro” Dio parlandogli a tu per tu, come l’omerico Achille faceva con la dea amica Atena, non visti e non sentiti dagli altri. Perché loro e loro soli, in quel momento, potevano ergersi al loro cospetto. La ghirlanda di fiori con cui un tempo si cingevano il collo nelle giornate felici della pesca – lu raisi cu li ciuri recita un’antica cialoma – era la loro corona. “I pesci non finiranno mai, prima di loro scompariranno i rais”, si doleva il rais Solina guardando malinconico i vecchi tonnaroti sbarcare dalle muciare sconfitti dagli anni. Solo in
questo, il vecchio e saggio condottiero di tante ricche mattanze ha sbagliato. Delle ottanta tonnare siciliane, oggi è attiva solo quella di Favignana, ma le catture sono scese dai diecimila tonni dell’Ottocento ai cento di queste ultime stagioni. La tonnara di Bonagia ha sospeso l’attività nel 2003, quelle di Scopello nel 1984, Formica nel 1979, San Vito lo Capo nel 1969. In precedenza si erano “spenti” tutti gli altri impianti. Nel resto del Paese vengono calate ormai solo le tonnare sarde di Carloforte. I metodi di ingrasso dei tonni in gabbia hanno reso non più remunerativa l’antica pesca tradizionale con le tonnare.
il tonno dei miracoli
Le antiche muciare sono «spiaggiate» dietro quella che un tempo fu la loro casa. A Bonagia, a pochi passi da Trapani, l’antica e florida tonnara è stata trasformata in una grande ed accogliente struttura alberghiera lasciando alla memoria storica il ricordo di un grande e produttivo stabilimento che le fonti riportano attivo sin dal XV secolo. Innumerevoli i segni e le fonti. Nell’atto del notaio V. Salerno di Erice rogato nel 1804 venivano elencate le spese necessarie per sostenere il vitto della ciurma della tonnara di Bonagia «per la mangia allo ciurma allo stile di Scopello vengono acquistati... frumento vino, olio e altri commestibili, si compravano botti di vino e di aceto e anche 5 mondelli di fave e di lenticchie che saranno cotte in quattro quartare». Bonagia, la tonnara della famiglia Castiglione, ha goduto di grandi fortune ed è stata anche l’ultima a calare, in senso proprio, le reti perchè ancora oggi sull’isola di Favignana si perpetua una tradizione che tuttavia ha assunto
ben altri significati e ben altro sapore. È la mattanza studiata «a tavolino», con la forza delle idee ed altri intendimenti, ad uso e consumo del turista, sgorgata da un folkloristico pensiero di nuova generazione che ha portato persino i rudi tonnaroti ad indossare magliette e cappellini variopinti per farsi immortalare dagli obiettivi di agguerriti stranieri a caccia di emozioni ma ignari di tradizione. Una delusione vederli in posa sorridere all’occorrenza, un mutare dei tempi per chi ha conosciuto ed appreso della vera mattanza, pesca del tonno in senso stretto, con le sue rigidissime regole a mare e a terra; i rais, i capi di tonnara, sono solo un ricordo da custodire nella memoria e nel fascino dei racconti raccolti dalle loro voci. Storie di una tradizione secolare oggi nelle Egadi, diventate ripiego e motivo di businness turistico; Favignana continua a calare le reti appena fuori dalle coste dell’isola, con il sostegno della Regione e con l’idea che tutto si trasforma e nulla si distrugge. Arriveranno
Mariza D’Anna
pochi tonni e di piccola pezzatura, finiranno nel mercato locale, nelle tavole dei ristoranti e appesi dinanzi la porta di qualche pescheria. Nulla d’altro se non riportare alla labile memoria di un passato operoso ed economicamente remuneravo. Dunque la mattanza, cruenta e sanguinaria pesca del tonno che ha fine solo in una camera che diventa di morte per pesci che agonizzano in pochi centimetri d’acqua, prede indifese di arpioni uncinati che si colorano di sangue – è scomparsa, non è più cronaca, non è più pesca, non è spettacolo. La pesca tradizionale del tonno nelle coste della Sicilia occidentale così come nel Mediterraneo orami... è stata, ha prodotto lavoro per le popolazioni, economia e fatica. E pensare che San Cusumano (o anche Bonagia) e Favignana erano state tra le due tonnare più prolifiche del Mediterraneo. Quando tutte le altre avevano segnato il passo avviandosi verso un inesorabile declino, i due baluardi della pesca del tonno, relativamente vicini
uno dall’altro, continuavano a resistere grazie alla tenacia e all’impegno degli uomini, calavano le reti e raccoglievano pesci. La tradizione era assicurata anche se con il tempo i tonni iniziavano a scarseggiare; i pesci sceglievano altre rotte per andare a deporre le uova perchè quelle, per millenni percorse su e giù per il Mediterraneo, erano diventate troppo affollate di barche e di uomini che creavano inquinamento e cacciavano come “pirati” i pesci in alto mare con sistemi “volanti” di intercettazione. Il mercato, intanto, subiva i suoi mutamenti: gli acquirenti si avviavano a considerare nuovi e più facili mercati, le esigenze dei giapponesi che per anni si erano riforniti dalle tonnare Castiglione con attrezzate navi container capaci di arrivare in Estremo Oriente con il pesce pronto per essere commercializzato, hanno rivolto l’interesse altrove per assecondare sempre più specifici interessi: tonni solo di una certa pezzatura e interesse esclusivo per alcune parti pregiate dell’animale. Tanto che i con-
tratti che imponevano erano diventati per gli imprendiori locali un capestro così come le richieste impossibili da esaudire. I tempi delle pesca “miracolosa” sembrano lontanissimi – migliaia di tonni catturati ad ogni mattanza – e i ricordi quasi affievoliti ma solo sei anni fa, nel maggio del 2001, si era ripreso a sperare: pesci di grossa stazza erano rimasti ammagliati nelle reti e la stagione sembrava propizia. Nel 2000 l’audace (perchè calava il sistema di reti lontano dalla costa) Bonagia aveva pescato 1.100 esemplari, che l’anno prima erano stati 2.780 e l’anno ancora precedente circa 2.000. Ma il lento declino fu inesorabile fino alla chiusura avvenuta nel 2004. Oggi non resta più nulla di quella tradizione, s’impongono altri progetti per la pesca del tonno e si fa strada l’idea che lo stesso o migliore risultato possa essere ottenuto con altre tecniche, più sicure. Oggi il tonno si «coltiva», si pasce, si segue nella sua breve vita e infine si mattanza sotto controllo. Un’idea, che a poca distanza
dalla costa di Castellammare del Golfo, si è già concretizzata grazie alla costituzione di una società mista con capitali italiani e stranieri che ha realizzato cinque vasche in mare dove il tonno si coltiva e se ne segue la crescita fino a giungere alla richiesta specifica dell’acquirente. Un sistema poco romantico ma più facile che prevede altre procedure di «pesca» e strategie di marketing e che ha trovato a Castellammare come a Siracusa, la strada sbarrata dagli ambientalisti perchè ritenuto inquinante soprattutto se realizzato sottocosta e a pochi passi dalla Riserva Orientata dello Zingaro. Un sistema che tuttavia oggi funziona e ha i suoi guadagni, che ha soppiantato l’antica tradizione della pesca del tonno, quando servivano ben altre qualità per far sì che fosse copiosa e quando un errore di un rais poteva costare un’intera stagione.
TUNNA&TUNNARI la filiera del tonno del trapanese
FOTOGRAFIE DI PEPPE DI SALVO DANIELE RAVENNA
Le immagini di questa pubblicazione sono state realizzate principalmente nella Tonnara di Bonagia. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, interamente o in parte, senza il previo consenso scritto degli autori. Referenze Fotografiche: Peppe di Salvo da pag. 12 a 27 e da pag 30 a 45 Daniele Ravenna pag 8,11 e da pag. 47 a 60 Si ringrazia per la collaborazione la Nino Castiglione srl ed il Rais Salvatore Spataro Finito di stampare ad Aprile 2007
FOTO PEPPE DI SALVO
LE BARCHE + LE RETI
I RITI
=LA PREPARAZIONE
FOTO PEPPE DI SALVO
=LA MATTANZA
FOTO DANIELE RAVENNA
+ LA TUNNINA
=LA CONSERVAZIONE