Argentina el gaucho Arte tradición y Fé

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argentina- il gaucho tradizione, arte e fede

argentina argentina arte, tradizione e fede

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Pimentel, María Argentina : il gaucho : arte, tradizione e fede / María Pimentel ; Roberto Vega ; Ana María Telesca. - 1a ed. - Ciudad Autónoma de Buenos Aires : Artifex , 2013. 148 p. ; 28x24 cm. ISBN 978-987-29326-0-2 1. Costumbres. 2. Culturas Populares. I. Vega, Roberto II. Telesca, Ana María III. Título CDD 395 Fecha de catalogación: 15/04/2013


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argentina il gaucho

tradizione, arte e fede

cittĂ del vaticano braccio di carlo magno maggio - giugno loreto, cantine del bramante palazzo apostolico giugno - luglio 2013


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Mostra realizzata con la collaborazione:

delegazione pontificia di loreto

Con il patrocinio fondazione giovanni paolo ii, pontificio consiglio per i laici

Organizzazione

Crocifisso. Legno e Argento. I lavori in argento furono eseguiti da J. C. Pallarols. (catalogo 67)

fondazione giovanni paolo ii, pontificio consiglio per i laici


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argentina - il gaucho . tradizione, arte e fede artifex argentina Presidente julio pueyrredón Direttrice Generale maría pimentel Consigliere di Arte ángel navarro Amministrazione carmen alonso Direttore Comerciale jorge agote Segretaria Organizzativa alejandra demasi artifex italia Presidente giovanni morello Direttore Generale - Consigliere paolo bedeschi Amministratore Delegat - Consigliereo maria chiara carboni Relazioni estere carlos alberto maccarini Responsabile del Progetto monica manfredini maria virginia leonori divina mundo organizzazione della mostra Progetto scientifico della mostra ana telesca ángel navarro maría pimentel roberto vega andersen Mostra a cura di roberto vega andersen Fotografia contemporanea a cura di maría pimentel Traduzione martin isidoro Revisione di testi cf language services Selezione di testi della letteratura gauchesca elisa rey Trasporti e movimentazioni per Argentina delmiro méndez e hijo s.a. Trasporti e movimentazioni per l’Italia montenovi s.a. Grafica del catalogo della mostra gregorio sáenz natalia arakaki Grafica della mostra andrés san martin

Fotografia del catalogo: gustavo sosa pinilla 1, 2, 4, 5, 9, 11, 15, 16, 18, 19, 22, 27, 28, 31, 34, 40, 41, 45, 46, 48, 52, 53, 54, 55, 58, 62, 63, 66, 69, 71, 72, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 83, 84, 85, 86, 91, 92, 94, 105, 109, 110, 113. nicolás vega 3, 12, 17, 21, 24, 26, 29, 30, 32, 35, 36, 37, 39, 42, 43, 44, 47, 49, 50, 51, 56, 57, 59, 60, 61, 67, 70, 73, 74, 87, 88, 89, 93, 95, 103, 114, 115, 116, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 153 y 166. luciana elli 65 y 82. pablo cabado 64 y 68. diego mantilla 38. pedro y mathías roth 104, 106, 107, 108, 109, 111 y 113. samuel setian 6, 7, 10 y 11. Ufficio stampa per l’Argentina: platt grupo impresor Ufficio stampa per l’Italia: fontana, press & public relation

colecciones caa: abel alexander casscmba: archicofradía del santísimo sacramento. catedral metropolitana. buenos aires cbb: baldomero braga ccb: carlos belgrano ccg: césar gotta cdc: colección del curador cdm: diego mantilla ced: enrique dietrich cepp: eduardo p. pereda cfrc: fernando romero carranza cjcp: juan carlos pallarols cmb: colección museo brocheriano cpba: colección particular ciudad de buenos aires cpr: colección particular ciudad de rosario csb: sergio barbieri css: samuel setian


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si ringraziano abel alexander - sergio barbieri - juan manuel arnedo barreiro carlos belgrano - baldomero braga - liliana de denaro - enrique dietrich y sra. hna. dina mirta alcaraz, ecj. - jorge gabriele - matteo goretti - césar gotta ignacio lartirigoyen - mario lópez olaciregui - diego mantilla juan carlos montamat - museo brocheriano (cura brochero, prov. de córdoba) museo orlando binaghi, del círculo criollo el rodeo (paso del rey, prov. de buenos aires) - museo pampeano (chascomús, prov. de buenos aires) complejo museográfico enrique udaondo (luján, prov. de buenos aires) juan carlos pallarols - eduardo p. pereda - lucy pujals de pescarmona carlos vertanessian - luis priamo - al gobernador de la provincia de buenos aires señor daniel scioli - al presidente del instituto cultural de la provincia de buenos aires señor jorge telerman

héctor schenone patricio lópez méndez nicolás vega guillermo vega monseñor olivera susana reynoso braga comunicaciones martín cabrales álvaro rufiner

Un ringraziamento particolare a mons. paolo nicolini marcello tedeschi daniele bruno gabriele turella guido rainaldi gianluca mastropasqua


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sommario presentazione argentina - il gaucho. tradizione, arte e fede. María Pimentel

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introduzione il gaucho. Roberto Vega Andersen

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capitolo i: la loro cultura argenteria creola. Roberto Vega Andersen

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i pallarols, orefici da generazioni. Roberto Vega Andersen

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tessili che raccontano storie. Roberto Vega Andersen

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vita e opera del venerabile servo di dio presbitero josé gabriel del rosario brochero. Liliana de Demaro y María Luisa Abal Dutari

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capitolo ii: un’immagine. migliaia di immagini uno sguardo di artisti stranieri e locali. Ana María Telesca

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le incisioni: legno, acciaio e pietra. Roberto Vega Andersen

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il gaucho nella fotografia argentina (1840-1940). Abel Alexander

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lo sguardo contemporaneo. María Pimentel

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Schede delle opere

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Glossario

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Traduzione in spagnolo

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sommario

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Pagina precedente: Paio di mates. Argento. Base tipo calice, angeli nel manico e motivi fitomorfi cesellati nel contenitore. (catalogo: 5)

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argentina - il gaucho . tradizione, arte e fede maría pimentel direttrice artifex

a

rtifex, presentando questa esposizione in due celebri ambiti, il Braccio di Carlo

Magno in Vaticano e le Cantine del Bramante del Palazzo Apostolico di Loreto, si propone un percorso per la tradizione, l’arte e la fede di nostro paese attraverso la figura del gaucho. Oreficeria gauchesca in argento, tessili, pitture, stampe y fotografie, diverse tecniche e linguaggi, sono una prova di questa realtà attraverso la storia. La conquista spagnola è stata guidata dall’evangelizzazione dei popoli originari. Qui, sono arrivati maestri orefici che hanno trasmesso il loro mestiere, elaborando opere per essere utilizzate nella liturgia. Così, ostensori, calici, crocifissi, hanno sviluppato importanti espressioni dell’arte dell’argento. Inoltre, l’argento è stato un oggetto di consumo dal contadino, che lo ha utilizzato non solo per utensili domestici ma anche in opere di carattere personale. Rastras [fibbie], speroni, staffe e

testiere hanno ornato i suoi abiti ed i suoi finimenti. I missionari, dall’altra parte, hanno portato —oltre alle Sacre Scritture— innumerevoli immagini religiose, specialmente stampe, che sono state non solo mezzi imprescindibili per l’iniziazione alla fede ma anche una fonte di ispirazione per gli artisti del Nuovo Mondo. Nel XVIII e XIX secolo, comunque, i pittori viaggiatori europei hanno saputo captare alcune delle particolarità locali nei loro disegni e litografie. Nel XIX secolo, dopo l’indipendenza dalla Spagna e durante il processo d’organizzazione nazionale, lo sviluppo di una tecnica innovativa come la fotografia è stato utilizzato allo scopo di documentare e dare testimonianza dei diversi aspetti della vita argentina, di cui il gaucho ed i suoi lavori nella campagna sono una parte importante. L’impronta di quel tempo si vede nell’avvicinamento etnografico che questa fotografia a volte presenta. Queste immagini —pitture, stampe e fotografie—

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sono apparse in tutte le sale di quest’esposizione dedicata ai temi specifici come il personaggio e la sua moglie, l’habitat, il lavoro, il cavallo, il mate e il divertimento, ed una sala speciale riservata al poncho, l’abito essenziale nella vita del gaucho. Il tema della fede è un aspetto di grande rilevanza. Le celebrazioni religiose segnano l’anno con la loro cadenza. Ma soprattutto è importante mettere in rilievo le processioni, fatta in rapporto a certe devozioni locali come quella della Vergine di Luján, quella della Vergine del Miracolo e quella della Vergine della Valle, e via dicendo. La scultura e l’oreficeria in argento dedicano molte delle loro opere agli oggetti liturgici e, tra gli orefici dell’argento, si distingue la famiglia Pallarols, attiva in Argentina fin dalla fine del XVIII secolo.

Immagine della Vergine Maria. Argento e oro. (catalogo: 62)

Argentina - Il Gaucho. Tradizione, Arte e Fede non solo è in rapporto con il passato, ma anche con le tradizioni attuali. E questo si vede nell’opera di alcuni fotografi contemporanei, presenti in quest’esposizione, come Lucio Boschi, Daniel Sempé, Jasmine Rossi, Celine Frers, Juan Pablo Pereda, Javier Pereda. Di formazione classica, ognuno di loro ostenta uno stile proprio, con poetiche molto diverse e proposte veramente solide per testimoniare l’attualità. Infine ricordiamo José Gabriel del Rosario Brochero, sacerdote diocesano di origine argentina e tradizione famigliare cristiana, nato nel 1840 a Santa Rosa de Río Primero, Provincia di Córdoba. Il 20 dicembre 2012, Sua Santità Papa Benedetto XVI ha firmato il decreto della sua beatificazione, primo passo verso la canonizzazione.

N.d.T.: “gaucho/gauchos”: Abitanti cavallerizzi del Río de la Plata.

presentazione

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il gaucho roberto vega andersen

l

’origine

Nella zona meridionale dell’America del Sud, un cavallerizzo leggendario, il gaucho,

ha forgiato la sua personalità nelle pampas rioplatensi durante il XVIII secolo. Questo vasto territorio è stato uno spazio ideale affinché pochi cavalli e bovini, abbandonati dalle prime spedizioni europee, si potessero moltiplicare in modo inimmaginabile. Liberi, allo stato brado, il bestiame selvatico forniva cibo a chi ne aveva bisogno. Ma a causa del calo della quantità del bestiame dovuta alla caccia indiscriminata, le autorità spagnole mantennero uno stretto controllo su tale attività e le licenze di caccia crearono vere spedizioni impegnando i cavallerizzi più abili. Allo stesso modo, questi ‘protogauchos’ sono anche stati impiegati per guidare gruppi di muli dalla campagna del litorale fino ai giacimenti di Potosí (attualmente, Bolivia) e per sfruttare le pietre preziose di Minas Gerais, Brasile. Attualmente, il

gaucho ha maturato la sua personalità, ma sono dovuti trascorrere molti anni, prima che potesse essere riconosciuto con tale nome. Nelle prime cronache e fino alla fine del Settecento, egli era chiamato in modo diverso, come testimonia il peruviano Miguel Lastarríaha, che nel 1798 nella sua opera “Memoria sobre las colonias orien-

tales del río Paraguay” ci informa che questi uomini venivano chiamati gauchos, camiluchos o gauderios. Il gaucho era un cavallerizzo con abilità eccezionali che godeva della sua libertà nella pianura infinita della pampa. Era solito mangiare arrosto di carne bovina, fumare tabacco e bere mate amaro ma soltanto tra conoscenti. Lastarría ha osser-

Pagina precedente: Pugnale e escaiuolo. Il pugnale ha una lama di antica sciabola, riutilizzata, con la sua impugnatura e guaina di argento. Buenos Aires, prima metà del XIX secolo. (catalogo: 25)

vato sui gauchos che risultava loro molto facile macellare una mucca, perché tutti avevano un cavallo, boleadoras, un laccio ed un coltello. Piaceva loro la carne arrostita. Lavoravano unicamente per comperare il tabacco che fumavano o la yerba

introduzione

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[erba Mate] del Paraguay che bevevano in generale senza zucchero, tutte le volte che potevano durante la giornata. Dal XVIII secolo, il bestiame bovino e i muli divennero un bene strategico, ma con diversi usi: il primo, per il consumo umano; e, il secondo, per essere utilizzato nei giacimenti andini e nei giacimenti di pietre preziose brasiliane, dove c’era una notevole necessità. Abili senza paragone nei lavori col bestiame, il gaucho era una manodopera imprescindibile. Perciò, senza la sua capacità, lo sviluppo economico della regione sarebbe stato diverso. Tuttavia, il gaucho è sempre stato emarginato dal sistema (economico e sociale): da una parte, a causa del suo disinteresse per il lavoro e la sua disubbidienza innata; dall’altra parte, come conseguenza dell’ingiusto equilibrio sociale dell’epoca. Le caratteristiche della sua personalità hanno fatto sì che gli abitanti urbani dei territori attuali di Argentina, Uruguay, il sud del Brasile e Paraguay venissero chiamati gauchos con connotazione offensiva. Molti viaggiatori stranieri hanno però esaltato la sua cortesia, la sua ospitalità e, soprattutto, il suo amore per la libertà. J. L. Pallière: Bailando gato en el galpón [Ballando nel capannone]. Acquerello su carta. (catalogo: 107)

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Il suo esotismo ha anche attirato l’attenzione di pittori e disegnatori stranieri e, più tardi, di fotografi, che arrivarono a Río de la Plata, con un certo spirito di

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Ex voto con la raffigurazione della tipica abitazione di campagna argentina. (catalogo: 58)

avventura, dipingendo paesaggi e persone fino ad allora sconosciuti. I documenti conservati dei viaggiatori che venivano dall’emisfero nord mostrano il fascino che questi nutrivano per l’abitante delle pampas: rude ma giusto, barbaro all’apparenza ma rispettoso Il gaucho era un cavallerizzo straordinario che conosceva i segreti del ‘deserto’: un’immensa pianura originariamente popolata da diversi gruppi aborigeni chiamati pampas. La maggioranza delle cronache, che sono state scritte durante l’Ottocento, si sono focalizzate sulle trasformazioni economiche, politiche e sociali che accaddero in tutta la zona: la guerra per l’emancipazione del regime monarchico di Spagna ed il consolidamento delle nuove repubbliche; lo spostamento dei gruppi indigeni e lo sviluppo economico delle pampas rioplatensi —dove l’asse dell’attività economica si era spostata dall’allevamento del bestiame all’agricoltura—; la tecnologizzazione dei lavori rurali ed il tracciato della rete ferroviaria. In ognuno di questi cambiamenti, il

gaucho ha svolto un ruolo fondamentale. Tra tutti le fonti scritte dell’epoca, recuperiamo le parole di Lucio V. Mansilla (1831-1913), che fu un militare, politico e giornalista. Egli pubblicò nel 1870 nel giornale La Tribuna di Buenos Aires, sessantasei lettere con le sue memorie sull’incursione militare, pochi anni prima, dell’accampamento degli indigini ranqueles1. Nel giornale ha scritto in merito alla vita in frontiera con l’indiano ed il rapporto del

gaucho con questi popoli originari. Secondo Mansilla, era necessario differenziare il contadino gaucho dal gaucho propriamente detto, perché non erano lo stesso.

“Il gaucho vero —diceva—, è il creolo errante, che oggi è qui e domani là; giocatore, litigioso, nemico di tutta la disciplina; che fugge dal servizio militare, che si rifugia dagli indiani se pugnala qualcuno…”

1 Più tardi recopilate in: Una excursión a los indios ranqueles.

introduzione

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Egli è un testimone presenziale, perciò anche i suoi scritti hanno un grande

Pugnale “picazo”. Argento, oro, cuoio e acciaio. Punzone d’autore: López y Diez. (catalogo: 27)

valore, anche se, come tutti gli autori, emette giudizi da una determinata posizione:

“Il primo [il contadino gaucho] è aratore, peone, guida carrette, sposta gruppi di bestiame. Il secondo [il gaucho propriamente detto] viene assunto per la marcatura. Il primo è stato soldato varie volte. Il secondo è stato parte di un contingente, ma quando ha avuto l’opportunità si è sollevato.” Questo è il punto di vista della società portegna (cioè, degli abitanti del porto-città di Buenos Aires) che si è diretta verso la ‘civilizzazione’, allontanandosi dalla ‘barbarie’ 2, specialmente durante la presidenza di Domingo Faustino Sarmiento (1868-1874). Allo stesso tempo, un altro politico, guerriero e giornalista di origine provinciale, ha scritto un’opera fondamentale della letteratura argentina, il poema El

Gaucho Martín Fierro 3. Si tratta di José Hernández (1834-1886), che era recentemente tornato in forma clandestina dal suo esilio in Brasile ed Uruguay spinto dal suo amore per la patria. Rinchiuso a Buenos Aires, nell’ Hotel Argentino che si trovava vicino al porto, scrisse il suo poema. Verso la fine del 1872, quando i conflitti politici si furono calmati, una piccola tipografia pubblicò la sua opera che riscosse un successo inaspettato. I suoi canti hanno rivendicato la figura del gaucho di fronte al potere centralista di Buenos Aires. Nel 1879 Hernández ha pubblicato una seconda 2 La parola ‘civiltà’ è nata nel XVIII secolo contemporaneamente in italiano, francese e spagnolo. Si creava un nuovo concetto che andava oltre al fatto di vivere in armonia sociale. “La civiltà è la culminazione del progresso”. Miguel Rojas Mix. America immaginaria. Barcellona, Ed. Lumen, 1992. p. 171. 3 José Hernández. Il Gaucho Martín Fierro. La Pampa, Buenos Aires, 1872.

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parte di quel poema: La Vuelta de Martín Fierro 4. Sin dall’inizio le edizioni delle due opere riscuoterono una sempre crescente popolarità. Sulla base di questi brevi riferimenti è inevitabile concludere che il giudizio di valore sul gaucho era molto dissimile: o veniva esaltato o sminuito. Questo incrocio di sguardi sullo stesso personaggio ha fatto scrivere allo scrittore Ezequiel Martínez Estrada che ‘ognuno ha il suo gaucho’.

gauchos, contadini e possidenti Per gran parte del XIX secolo e fino al giorno d’oggi, la cultura del gaucho ha identificato l’Argentina e ha superato le sue frontiere, influenzando le nazioni vicine. Dall’idea dell’origine ribelle del gaucho si è passati all’idea di una figura in armonia con i suoi pari e con la natura. Protagonista romantico della vita rurale e feroce soldato delle giuste cause, il gaucho si raccomandava a Dio e cominciava le più audaci imprese. G. de Ibarra: La hierra en una estancia. [La marchiatura in una tenuta]. Litografía. (catalogo: 120)

4 José Hernández. La vuelta de Martín Fierro. Librería del Plata, Buenos Aires, 1879.

introduzione

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Le sue eccessive passioni si sono materializzate in un’oreficeria in argento magniloquente, ed a volte con dettagli in oro. Vestiva il suo cavallo con grande lusso. La sua poca disponibilità economica —che lo ha sempre caratterizzato— non ha penalizzato il suo gusto per le opere di argento. Con impegno, durante gli anni, cercava di creare il suo finimento e con orgoglio faceva sfoggio di ogni pezzo nuovo realizzato, ad esempio, un paio di redini con pasadores [piccoli ornamenti] di argento o un freno arricchito con le sue copas di argento… Il suo gusto per le opere di argento, nacque nel periodo coloniale e fu adottato dai possidenti delle tenute agricole —dove il gaucho era solito cavalcare— e anche dai suoi peoni, lavoratori dei possidenti che avevano ereditato l’abilità di cavallerizzi, ma senza disubbidire. La domanda massiva per tali opere ha fatto sì che le botteghe di oreficeria si diffusero in tutto il Paese. Così, la cultura creola si espanse allo stesso ritmo del suo protagonista: si spostarono i recinti di filo spinato che dividevano le tenute agricole, la ferrovia sostituì

S. Rimathé: Type de Gaucho. [Type di Gaucho]. Albumina. (catalogo: 136)

il cavallo e i nuovi macchinari sostituirono la manodopera rurale… Paradossi del

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destino, nel tempo in cui emergevano altri attori sociali, la sua cultura diventò paradigmatica e diversi gruppi sociali, incluso gli immigranti europei, in generale italiani, che arrivarono nel paese per ‘fare l’America’, si appropriarono di tale cultura. Gli stranieri stabilitisi a Buenos Aires si incorporarono ai centri tradizionali come un riflesso del creolismo nascente. La novità è che essi si avvicinarono agli studi di fotografia per farsi ritrarre in posa, con gli abiti e con la barba da gaucho. Queste ultime immagini hanno viaggiato verso le loro terre natali con un messaggio esclusorio: l’identificazione con il nostro personaggio tellurico 5. In questo momento, il gaucho è diventato un’icona culturale dell’Argentina vincolato alle sue tradizioni, alle sue arti e alla sua fede. Così, lo ha espresso José Hernández nelle prime strofe del suo poema immortale El Gaucho Martín Fierro. Paio di speroni in argento con la figura di un uccello (acquila?) nel “pihuelo”. (catalogo: 28)

Aquí me pongo a cantar [Qui, comincio a cantare] Al compás de la vigüela, [all’unisono della chitarra] que el hombre que lo desvela [che l’uomo che non può dormire a causa di] una pena estrordinaria, [una grande tristezza] como la ave solitaria [come l’uccello solitario] con el cantar se consuela. [cantando trova il conforto.] Pido a los santos del cielo [Chiedo ai santi del cielo] que ayuden mi pensamiento: [che aiutino il mio pensiero] les pido en este momento [chiedo loro in questo momento] que voy a cantar mi historia [che comincio a cantare la mia storia] me refresquen la memoria [che mi aiutino con la mia memoria] y aclaren mi entendimiento. [e che mi chiariscano il mio raziocinio.] Vengan santos milagrosos, [Venite santi miracolosi] vengan todos en mi ayuda [venite tutti ad aiutarmi] que la lengua se me añuda [che la mia lingua si frena] y se me turba la vista; [e la mia vista si annebbia] pido a mi Dios que me asista [chiedo al mio Dio che mi aiuti] en una ocasión tan ruda. [in questo cattivo momento.] (I, 1-18)

5 AAVV. Arte y Antropología en Argentina. Buenos Aires, Fundación Espigas, 2005.

introduzione

Pagine successive: Paio di speroni. Argento, oro e ferro. (catalogo: 32)


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capitolo i

la loro cultura argenteria creola i pallarols, orefici da generazioni tessili che raccontano storie vita e opera del venerabile servo di dio presbitero josĂŠ gabriel del rosario brochero


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argenteria creola roberto vega andersen

i

n una centuria pervasa di battaglie —ci riferiamo al XIX secolo— ingaggiate contro

gli spagnoli, contro i popoli originari e tra “caudillos” [capi politici] locali, il carattere di cavallerizzo indomito condusse il “gaucho” verso gli eserciti patri, e lo obbligò ad

occuparsi di diversi lavori rurali. Nella pace e nella guerra fu riconosciuto sia dai popoli originari, sia da quelli non oriundi del luogo, e le sue avventure oltrepassarono le frontiere, fra altre ragioni, per la sua affezione agli oggetti realizzati in argento. Senza grandi risorse materiali si arrangiava per vestirsi con lussi infrequenti e finalmente il centauro, “vestiva” il suo cavallo con finimenti da montare molto ostentosi. Dedicava la sua vita a riunire il migliore arnese che sfoggiava con orgoglio nelle celebrità patriottiche, nelle feste domenicali e nei campi di battaglia. Così lo facevano il gaucho propriamente detto, il compaesano, il latifondista e perfino il “caudillo” più eminente. Sprone, staffe, testiera, redini, freni… Dettagli nella sella, cinghie. Rastrelli, cinture, caraffe, mates (contenitore per preparare l’infuso del mate)… Coltelli, daghe, pugnali… Staffile, fruste… Il repertorio di opere è così ampio che diede impulso all’enorme gruppo di orafi che aprì laboratori negli angoli più remoti. Tra gli argentieri più attivi nell’Argentina del secolo XIX scopriamo le più diverse provenienze e sebbene la supremazia numerica fosse dei nativi e degli aventi origini ispaniche, nei censimenti troviamo uruguaiani, brasiliani, francesi e tra altre varie nazionalità, italiani. Fra questi ultimi ci sono stati molti prestigiosi, come lo furono Risso, Cataldi, Caccia, Carzolio e Caldara.

Pagina precedente: Paio di staffe con porta staffe. (catalogo: 50)

In questi tempi era poco frequente l’uso del punzone o marchio destinato a indicare l’autore. Evitavano tale obbligo per ragioni impositive e le opere che

Mate. Argento. Un’aquila come fusto. (catalogo: 8)

si conservano così lo dimostrano; appena alcune poche con marchio di argentiere

argenteria criolla (creola)

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evidenziano l’importanza che oggi si conferisce a quelle che lo possiedono. Alle altre,

Il dritto e il rovescio di una medaglia coniata in omaggio alla Giuramento della Costituzione Nazionale di 1860. Autore: Pablo Cataldi. (catalogo: 32)

solo le si può datare per i suoi tratti stilistici. Nomi o soltanto le iniziali e il cognome, ci situano nell’epoca: Moreyra, Orfila, Ferreira —al meno due autori con questa filiazione—, Machado e C. (di Candido) Silva rendono conto dei primi orefici dedicati all’argenteria creola nella costa occidentale del Río de la Plata. Tra i pochi argentieri identificati, Moreyra trascrive la sua origine lusitana e appare nei registri di Buenos Aires dal 1825. Orfila, chi proveniva dalla sua Spagna natale, era arrivato a queste terre in 1843. La saga dei Ferreira ci fa retrocedere sulla linea di tempo, poiché erano già radicati nella regione là verso la seconda metà del secolo XVIII e forse gli autori delle opere esposte furono i figli di quelli che avrebbero continuato il mestiere dei suoi antenati come era abitudine. Machado invece si crede sia nato a Buenos Aires. Il Nome di Candido Silva s’innalza sui suoi pari; oriundo di Montevideo con soli 14 anni attraversò l’altra sponda del gran fiume colore di leone 1, dove finalmente abilitò il suo laboratorio per creare opere iconiche dell’argenteria relativa ai gauchos. Qui lo presentiamo in un paio di staffe di eleganti linee, fedele testimone del caudale artistico del suo autore, e della sua datazione precoce, quando il “gaucherío” (relativo al gaucho) ancora no si era generalizzato l’uso di modelli di grande portamento. Con la stessa eleganza (forse anche del suo autore?), si apprezza un paio di sprone con la testa di aquila situata in modo di pihuelo [geto]. (Vedi illustrazione a pagina 19). Fra i suoi lavori più belli si conserva la figura di una Vergine di Luján realizzata in argento e d’ispirazione neoclassica.2 Precisamente la fondazione del Santuario di Luján 1 Così se lo dimostra metaforicamente al Rio de la Plata per la tonalità delle sue acque. L’espressione fu creata nel poema di Leopoldo Lugones nella sua opera “A Buenos Aires”, dove chiamò il Río de la Plata “il grande fiume colore di leone”. 2 L’opera si conserva nel Complesso Museografico Enrique Udaondo, della Provincia de Buenos Aires.

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risale ai tempi della colonia lì si custodivano migliaia di ex voti, promesse o miracoli, che dai tempi remoti si fecero in argento e portano le forme più diverse.

riguardo gli stili Fiori e foglie; volute e angeli (ereditati dai tempi della colonia); uccelli e altri animali autoctoni e quelli non originari del luogo; diverse figure religiose, naturali e fantastiche… Tutte queste risorse si conciliarono in embricate forme. Una così estesa gamma ornamentale (apparentemente spontanea) conciliò gli stili che loro stessi si differenziano per regioni ed epoche.

Rastrello. Argento. Centro con la figura de un angioletto. (catalogo: 2)

Tra la seconda e la quinta decada del secolo XIX le forme “porteñas” (portuali) (della propria città di Buenos Aires e della pampa circostante) si distinsero dalla super-

Rastrello. Argento e oro. Centro con la figura de un angioletto. (catalogo: 3)

ficie levigate, quasi senza impronte del cesello, come lo confermano un mate, un paio

argenteria criolla (creola)

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Paio di speroni. Argento, oro e ferro. Nell’arco e traforo dettagli in oro, le lettere con le iniziali del vecchio proprietario. (catalogo: 30)

di staffe e un pugnale dell’epoca qui riuniti. Quest’affezione alla sobrietà nell’ornamentazione si è anche estesa alle opere destinate all’uso liturgico; un bel leggio dell’epoca conservato nel Museo Francescano di Buenos Aires rende conto di questo fenomeno. Nella mediocrità della centuria il gaucho raggiunse il suo splendore. In quel momento si poteva riunire l’argenteria da lui utilizzata in diversi gruppi stilistici. Alle opere del litorale argentino (che comprende le provincie di Corrientes ed Entre Ríos) se le conosce per l’uso ornamentale, per esempio, certi disegni fitomorfologici (tali quali le rame di linee ondulate con foglie e fiori), di figure di uccelli subtropicali e perfino rappresentazioni di aborigeni, cesellate specialmente nelle fodere di coltelli o come figure di rilievo, situate nel manico di alcuni mates. Tutto questo repertorio circolò inoltre nell’argenteria creola di una vasta regione limitrofe che si estendeva su Paraguay, Uruguay, e il sud del Brasile. Tra i coltelli, quelli provenienti dalla provincia di Entre Ríos e di quella chiamata Banda Oriental (Repubblica Orientale dell’Uruguay) portano certi tratti, come il bottone rotondo della foglia e una piccola lamina curva sulla bocca della fodera che ricopre la stessa e la si denomina “copre bottone”. In genere, tutti i coltelli di questa regione binazionale lo possiedono. Certo che ci sono altri tratti che permettono riaffermare una filiazione; ci riferiamo per esempio alla presenza di oro nel pezzo. Se il coltello è di origine uruguaiana, sicuramente possederà numerose applicazioni di oro in lamine e tutto il suo insieme sarà profusamente cesellato. Contrariamente, se il

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coltello è di provenienza di Entre Ríos, manifesterà il suo carattere più austero essendo eseguito soltanto in argento, sebbene si insisterà sull’arte del cesello.

l’equitazione del gaucho Apparenti sottigliezze? Invece, tutti questi segni facevano l’identità del gaucho che incaricava e usava determinati elementi in argento. Lo stesso succedeva se si trattava di un’opera del suo abbigliamento personale o se faceva parte dei finimenti da montare. Nell’equitazione creola argentina si definiscono otto scuole, originate per ragioni storiche e determinanti geografiche. I conquistatori introdussero le sue forme nel Nuovo Mondo, ma di maniera che si addentravano in altri territori, i preparativi per cavalcare si furono adattando alla disponibilità di materiali locali e alle richieste della propria geografia. Nell’ambito bonaerense si manifestò il modo più antico denominato “lomillo” (arcione) che fu la base determinante della primitiva equitazione del gaucho. La sua sella da montare, derivata dal bardare da carico, rimase in uso fino alla variazione di razze equine (con l’allargarsi del lombo a causa dell’incrocio con altre razze da tiro, più pesanti), obbligò a rimpiazzarla da un modello di arcioni separati e regolabili, che passò a chiamarsi “bastos” (bastoni) o “recado porteño” (messaggio del porto). Questo cambio si manifestò verso 1865/1870. Le altre scuole ci portano per il resto dell’Argentina: nel Litorale, il “sirigote” o

“recado entrerriano” (messaggio da Entre Ríos), e la “montura correntina” (cavalcatura

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di Corrientes) o “apero chaqueño” (finimenti del Chaco); nel Centro del paese, il “reca-

do cordobés” (messaggio di Cordoba); e verso il nord, l’“apero salteño” (finimenti di Salta); sulla Cordigliera delle Andes, il “casco mendocino” (casco di Mendoza), e nella Patagonia, la “montura malvinera” (cavalcatura di Malvina) chiamata anche “cangalla”. Ognuna di queste usanze portò più o meno ornamenti. Ma lo certo è che a meno che non lo incaricasse un possidente facoltoso, ogni finimento si faceva con il trascorrere degli anni, e sfoggiava pezzi sia di argento sia di ferro e di cuoio, tutto in funzione delle risorse del cavallerizzo, e della perseveranza che occorreva per investire anni nella sua composizione.

il suo abbigliamento Come detto prima, il gaucho “vestiva” il suo cavallo e adornava il suo abbigliamento personale. Per esempio, il coltello era un prolungamento della sua mano, imprescindibile Cavallo creolo argentino sellato con un “sirigote”, elementi litoraleños per cavalcare. (catalogo: 38)

per il lavoro e la difesa di fronte a qualsiasi pericolo. Ma aldilà della funzionalità dello stesso, faceva ornare la foglia con delicati lavori di argento. Se era di dimensioni ridotte

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lo portava davanti, incrociato e sostenuto da una fascia e al centro del traino —questi si denominavano “verijeros”, e se la sua dimensione era maggiore lo portava nella vita— in tali casi così battezzati: “Coltelli da vita”—, sostenuto da una fascia e la bretella. In maniera di cintura si cingevano da una fascia e sopra, un centro d’argento e una bretella di cuoio arricchito con monete dello stesso metallo, e perfino d’oro. Ogni gaucho portava questi elementi. Se fumava, un accendino e una tabacchiera costruita con collo di struzzo 3 erano di uso imprescindibile. Per godere di un’infusione che si estese su buona parte dell’America Meridionale, disponeva del cosiddetto “mate”, una zucchetta che accompagnava con la cannuccia. La tradizione del mate risale ai tempi precolombia-

Sinistra: Yesquero/Escaiuolo. Argento e ferro. Percussore con la figura di una lira. (catalogo: 19)

ni e con l’arrivo dei primi europei fu combattuta dai religiosi che arrivarono ad evangelizzare alle popolazioni native. Ma l’abitudine persistì impulsata finalmente

Destra: Yesquero/Escaiuolo. Argento e ferro. Percussore con la figura di un leone. Punzone d’autore: Moreyra. (catalogo: 18)

3 Si tratta di un uccello non volatile che abita nell’America del Sud. Chiamata nandù comune (“Rhea americana”) e anche struzzo americano, è di dimensioni più piccole dello struzzo africano.

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dai sacerdoti gesuiti che riuscirono a coltivare le piantagioni vergini, e con il trascor-

Pagina precedente: Mate. Argento. Nel manico raffigurazione di un angelo seduto. (catalogo: 7)

rere del tempo si trasformarono in un tratto culturale della regione. Precisamente per il mate gli argentieri hanno elaborato vere opere d’arte. Fra

Brocca o “chambao”. Asta e Argento. Raffigurazione melancolica di una donna che attende dalla finestra di casa sua. (catalogo: 16)

i gauchos, il contenitore solo in occasioni porta imboccatura d’argento, ma con il suo impulso e con il peso della storia coloniale, tutto orefice creolo applicò la sua migliore grazia artistica in un mate d’argento. Ci sono di svariate forme, anche se i più vistosi possiedono una base di tratti affini a quella di un calice, con un manico di molteplici varianti ornamentali, e una cavità realizzata in argento, liscio o cesellato. Allo stesso tempo porta una cannuccia anch’essa d’argento e in occasioni si trovano decorate con capricciose figure. La sua diffusione fu così ampia che il modello ergologico del gaucho fu adottato dal suo padrone, il proprietario delle tenute che generalmente abitava a Buenos Aires e godeva dei benefici della città. Il potere economico del possidente gli permise di vincolarsi agli orefici più accreditati e vestito all’usanza del gaucho, abile cavallerizzo, seppe godere dei pezzi creoli d’argento con un orgoglio particolare. Così lo dimostrò per esempio nelle caraffe d’argento, che nella tradizione gaucha erano di cornatura di bue, lavorata con particolare grazia.

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er tradizione familiare si sa che il primo anello della saga Pallarols si forgiò nella

seconda metà del XVIII secolo, quando Vicente Pallarols imparò il mestiere che in questi giorni ancora coltivano i suoi discendenti. La storia ebbe inizio in una bottega della città comitale di Barcellona e da allora le arti dell’argenteria si sono trasmesse da padre in figlio. Nel susseguirsi generazionale ci soffermiamo nella biografia di José Pallarols e Torras, nato nella capitale catalana in 1879, chi trasferì le sue illusioni con rotta a

Buenos Aires là verso il 1907, dove, l’anno successivo, nacque il suo primo figlio. Nel Centenario della patria adottiva abilitò un laboratorio proprio e con pazienza e stilo si vincolò con i grandi collezionisti dell’epoca.1 In quegli anni nelle argenterie di Buenos Aires si creavano opere di uso religioso e civile, e di stili europei e creoli. Precisamente Carlos Pallarols Cuni (1908-1970) diede i suoi primi passi nel mestiere in quella bottega paterna. Così succede in genere tra gli artigiani: i maggiori insegnano l’arte ai bambini durante l’infanzia, e la passione si costruisce tra i giochi, consigli ed esperienze. Alla luce dei risultati, il Signor José seppe trasmettere la sua sapienza, come dice il proverbio: buon maestro è colui che riesce a farsi superare dal

Profumiera con salvilla [vasoio]. Argento. Contenitore con forma di uccello. Punzone d’autore: José Pallarols e Torras. (catalogo 68)

proprio discepolo. Essendo molto giovane, Carlos accompagnò suo padre in uno dei progetti più rilevanti della famiglia quando l’Arciconfraternità del Santissimo Sacramento della Cattedrale Metropolitana di Buenos Aires, gli incaricò l’esecuzione

Pagina precedente: Bacolo. Argento Vermeille. Inizio del XX secolo. (catalogo 63)

di diverse opere religiose. Si avvicinava il XXXII Congresso Eucaristico Internazionale di 1934, quando

1 Il Museo de Arte Hispanoamericano Isaac Fernández Blanco possiede un mate con il suo punzone di autore, opera che apparteneva al collezionista che diede origine a tale elemento.

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Buenos Aires ricevette con fervore la visita del allora Legato Pontificio, cardinale Eugenio Pacelli, chi più avanti fosse unto Sua Santità Pio XII, e i Pallarols si dedicarono al compito di foggiare il suo fervore religioso. Padre e figlio, José e Carlos, eseguirono un calice d’oro, argento e pietre preziose, e un ostensorio di grande portamento, così come aiutati dalla signora Carolina Cuni —moglie e madre di entrambi gli orefici—, elaborarono una scaletta o stendardo religioso. Tutte queste opere furono utilizzate in diverse cerimonie religiose del Congresso Eucaristico.

Stendaro. Argento, oro, smalto e pietre preziose. Autore: Carlos Pallarols Cuni. (catalogo: 64)

Sul piano tecnico, ognuna di esse rappresentò una sfida; ma quello più rilevante si manifestò nelle qualità artistiche, dove la personalità di Carlos si diffuse in

Pagina successiva: Custodia. Argento Vermeille, bronzo e pietre. (catalogo: 66)

alto volo. Il calice fu forgiato totalmente a mano e in lamine di un solo pezzo, incluso le figure in rilievo nella sua base. Già deceduto suo padre —chi scomparse in 1951—, Carlos Pallarols Cuni si applicò in una nuova sfida, questa vola vincolata al governo nazionale argentino. Gli si incaricò l’esecuzione del Sarcofago previsto per Eva Duarte de Perón, la moglie del presidente Juan Domingo Perón, e l’orefice si mise all’opera. Ma con il colpo di stato del 1955 i tempi cambiarono e il lavoro fu interrotto in maniera così brusca che tutta la famiglia dovette traslocare verso il nord di Argentina, più precisamente nella città di Corrientes, dove trovò riparo nel Convento di San Francesco di Assisi. Essendo appena un bambino, Juan Carlos Pallarols (n. 1942) adeguò la sua personalità guidato dall’insegnamento religioso e le pratiche come apprendista nella bottega che suo padre armò in terra correntina. Ore indimenticabili per l’attuale patriarca

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della famiglia, vincolata intimamente da allora alla Chiesa Cattolica argentina. I Pallarols ritornarono a Buenos Aires e Juan Carlos si incaricò di continuare il cammino tracciato dai suoi antenati. Con gli anni aprì il suo proprio laboratorio nel cuore del quartiere bonaerense [di Buenos Aires] di San Telmo e quello spazio si trasformò nel centro di riunioni di personalità dell’ambiente artistico, intellettuale e politico. Dalla sua creatività è nato l’attuale bastone del comando presidenziale dell’Argentina, elaborato con l’

Brocca. Argento. Il pezzo si trova in processo di elaborazione. Punzone d’autore: J. C. Pallarols. (catalogo 72)

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“aiuto” di migliaia di cittadini che applicarono i suoi colpi sul pezzo d’argento impregnandogli una speciale carica di affetto e speranza affinché chi lo porti guidi il paese su un buon cammino. Juan Carlos Pallarols creò così un’impronta propria della sua argenteria, trasferì il laboratorio ai grandi spazi pubblici e non dubitò di ricorrere la geografia nazionale quando l’esecuzione di opere speciali così meritava. Fu così come insieme a più di duecento mila argentini costruì un calice d’argento che accompagnato da suo figlio Adrián regalò al Papa Benedetto XVI, presentati nell’occasione dal Cardinale Jorge Bergoglio, oggi intronizzato Sua Santità Francesco. In 1982 aveva elaborato un calice che utilizzasse Giovanni Paolo II nella sua visita in Argentina, in occasione della celebrazione di una messa che facesse Sua Santità ai piedi del monumento agli Spagnoli, nello stesso posto dove in 1934 si realizzava il XXXII Congresso Eucaristico Internazionale. Con lo stesso itinerario popolare, J. C. Pallarols eseguì le corone della Vergine

Mate con cannuccia. Argento. Raffigurazione di angeli seduti in un’opera di uso civile. Punzone d’autore: J. C. Pallarols. (catalogo 69)

di San Nicolás e del Bambin Gesù, che si lavorarono con il metallo donato dai fedeli e nacquero con l’impulso di centinaia di migliaia di argentini che si avvicinavano dove Pallarols arrivava con le sue piccole opere e un pugno di ceselli.

la loro arte creola Il repertorio di pezzi che portano il suo marchio è molto variato. Ciò nonostante, ognuna conserva l’impronta delle botteghe rinascimentali, come lo manifesta Pallarols con orgoglio. Mates (contenitore per preparare l’infuso dell’erba mate), coltelli, centri di tavola, caraffe, candeliere e candelabri, marchi di specchi, staffe, sprone, rastrelli e altri arnesi creoli nascono a partire dal bozzetto dell’artista e si nutrono dei desideri dei suoi committenti. Lì nasce anche buona parte del suo merito; dall’impegno di personalizzare ognuna delle creazioni. Come in ogni opera artigianale, non c’è ripetizione e ogni pezzo possiede qualche tratto che la distingue dai suoi simili. Un’impronta che la distingue. In questo itinerario modellò una rosa di argento che oggi tesoreggia l’argentina Máxima Zorreguieta, regina consorte di Olanda, e forgiò anche con emozione la rosa che alcuni amici gli incaricarono per ricordare la sfortunata Lady Di, e che oggi le rende omaggio nella sua tomba situata nel piccolo paese di Great Brington, Inghilterra. I Pallarols segnano sette generazioni nell’oreficeria, essendo gli attuali eredi di questa tradizione i figli di Juan Carlos, Carlos e Adrián, ognuno nel suo laboratorio e impegnati nella costruzione del proprio cammino.

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resentiamo qui diversi capi lavorati a maglia, alcuni di essi appartenenti all’abbi-

gliamento del gaucho (tipico mandriano a cavallo argentino), e altri appartenenti all’attrezzatura da montare, come la “matra” (coperta di lana che il gaucho usava per

dormire per terra) e i “cojinillos” (tessuti utilizzati per ammorbidire la sella). Fra i primi, il poncho possiede una posizione che lo distingue in maniera particolare. Formato da un taglio di tessuto rettangolare o quadrato, e con un’apertura in centro per introdurre la testa, il poncho ha avuto un ampio utilizzo in buona parte del pianeta, attraversando geografie, culture ed epoche. In America del Sud lo si è confezionato dai tempi precolombiani nella regione andina, nell’Amazzonia e nelle zone pampeane. Si registrano antecedenti nella cultura Nazca 1, e incluso gli Incas portavano una specie di camicetta chiamata “unku”, aventi simili caratteristiche al noto “poncho”. Ciò nonostante si considera che l’origine etimologica della parola deriva dalla voce araucana “ponthro”, nel cui popolo si continua confezionando con le tecniche e telaio di un tempo, soltanto che vengono denominati “makuñ”, riservando la primitiva voce per identificare le coperte e mantelle. Come si vede, i diversi popoli che abitavano la regione andina dell’America meridionale precedentemente all’arrivo degli europei, tessevano in telai e con differenti materie prime un capo di uso corrente, come lo era il poncho. Allora filavano il pelo di un’assortita fauna locale —che comprendeva il guanaco, il lama, la vigogna Pagina precedente: Ñimin Makuñ. Poncho di origine mapuche con cinque strisce “di lavoro”. (catalogo: 83)

e l’alpaca—, e gli facevano persino con fibre vegetali. Con la conquista spagnola arrivarono i telai europei, la rocca e le pecore. Le 1 Le date situano questa cultura in un periodo che si estende dall’anno 200 all’800 dopo Cristo.

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Sinistra: Trarüchiripa. Fascia d’uomo, di origine mapuche. (catalogo: 91)

prime due varianti furono utilizzate per le popolazioni creole che si estesero su tutto

Destra: Trarüchiripa. Fascia d’uomo, di origine mapuche. (catalogo: 92)

lana di pecora, invece, fu adottata da tutte le etnie incorporandola al proprio abbi-

il continente e solo da alcune comunità native che furono rapidamente assimilate. La gliamento con grande entusiasmo. Fra questi popoli originari, il poncho e gli altri tessuti possedevano codici la cui interpretazione era vietata a chi non apparteneva alla loro cultura. Questo “messaggio” si manifestava attraverso i colori e i disegni. Per esempio, le cinture tessute dagli araucani si differenziano nella loro simbologia e, secondo la stessa, appartengono all’abbigliamento delle donne o degli uomini. Ma poiché quell’idioma risultava inaccessibile per gli “huincas” 2, questi la utilizzavano di maniera indifferente provocando l’ilarità delle sue creatrici quando avvertivano la presenza di un gaucho robusto e vigoroso che circondava la sua vita con una cintura femminile…

nell’abbigliamento del gaucho Il poncho si distingue tra i capi del gaucho per diverse ragioni, fra le quali si possono enumerare: riparo, eleganza, identità locale, filiazione politica e sicurezza. Infatti, gli abitanti cavallerizzi del Río de la Plata lo hanno utilizzato fin dalle sue origini. In tutta l’iconografia che ci é arrivata dalla fine del secolo XVIII così come nelle cronache dei viaggiatori che visitarono la regione da quell’epoca, si trovavano abbondanti testimoni che così lo dimostrano. Ciò che è certo è che lo usavano di diverse forme e origini; tessuti tanto in telai aborigeni come creoli. Fra questi ultimi aveva un’ampia diffusione il poncho di lana di pecora rigato —decorato con righe sottili e di diversi colori— che si confezionava nelle terre di “su”, come si denominava nella pampa bonaerense alle provincie del

2 La voce araucana o mapuche “huinca” indica la non appartenenza alla comunità aborigena. Tutti gli spagnoli e i creoli, fra questi il gaucho, erano huincas.

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Nord dell’Argentina e quelle dell’Alto Peru, attuale territorio di Bolivia.Tutti loro si formavano unendo due panni di approssimativamente 70 centimetri di largo, con un’apertura o bocca al centro, e non si includevano mai frange. Fra i gauchos del Noroeste argentino un poncho assunse identità locale e rilevanza storica, battezzato “poncho di Güemes”. In piena Guerra di Indipendenza, Martín Miguel de Güemes, capo politico e militare della regione, conduceva le forze patriottiche integrate maggiormente da gauchos. La storia racconta che, per differenziarsi dai realisti, Güemes ordinò che si tingessero i ponchos di rosso, e alla sua morte, i suoi seguaci aggiunsero una fascia nera in segno di lutto. Così gli si utilizza oggi, con il bordo nero esteso fino alla bocca del poncho, dove finisce in rispettivi fiocchi dello stesso colore. È un capo nato in un telaio creolo e porta frange nei suoi quattro bordi. Dall’altro lato del Nord argentino, nella provincia subtropicale di Corrientes, si veste un poncho leggero, estivo, il cui disegno è unico nella regione. Anche questo Poncho “salteño”. Sfondo rosso con striscia, fiocco e bordi sfilacciati neri. (catalogo 89)

tessuto nei telai creoli, sebbene la sua culla si trova nella località paraguaiana di Piribebuy, si tratta del chiamato poncho “di sessanta frange”.

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Al di là di queste espressioni regionali, il gaucho delle pampe, oltre a sfoggiare

Ñimin Makuñ. Particolare di un poncho / poncio “di lavoro” de origine mapuche. (catalogo: 85)

i ponchos “di su”, godeva della possibilità di indossare un poncho di origine araucana. Nei primi decenni del XIX secolo funzionava un “mercato aborigene” in pieno centro di Buenos Aires, dove si commercializzavano, fra altri manufatti, i ponchos tessuti nei telai araucani. Nonostante tutti loro si tessono nei “witral” o telai verticali di bastoni, in un solo panno, diciamo che è possibile classificarli per la sua tecnica di confezionamento: ci sono quelli chiamati “de labor” (di lavoro) che ottengono il disegno a partire dal proprio tessuto, specialmente nei bordi e nelle strisce, dove si riflettono diversi simboli di detta cultura, e anche in tutta la sua superficie, quando l’ornamentazione s’ispira nel ritmo degli scacchi. L’altra variante è quella denominata “de guarda atada” (di trama legata/unita) (o tinto per riserva), che si ottiene quando la trama è stata estesa sul telaio. In quel momento e seguendo un ritmo prestabilito si coprono piccole trame con fango di terra bianca argillosa, legato —e ricoprendo ogni gruppo con fibre vegetali o animali. Finito questo lavoro si toglie il capo dal telaio e si tinge per collocarlo nuovamente lì e iniziare a tessere, sciogliendo le diverse legature, dove la tinta non è potuta arrivare. Come una variazione della stessa troviamo i ponchos “de argolla” (ad anelli), anch’essi tinti e con una legatura dove si pretende conservare il colore originale; in questo caso in un insieme ritmico di cerchi (anelli). Fra i ponchos utilizzati dai gauchos del Río de la Plata nominiamo quelli industriali che si elaborarono in Inghilterra. Per conquistare il mercato bonaerense,

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gli industriali britannici copiarono i disegni artigianali più apprezzati, come i simboli araucani, e il manto del giaguaro e la vigogna, ed elaborarono un importante gamma di varianti da essere commercializzate in queste terre transatlantiche. Infine, un omaggio al tessuto araucano delle “ligas” (giarrettiera) destinate a sorreggere gli stivali di pelle di puledro. Di forma piccola (in un largo che non superava i cinque centimetri), i tessuti possedevano un ricco abbondante ornamentale, ed erano di uso corrente tra i gauchos. Paio di giarrettiere per gli stivali di cuoio di puledro. Origine mapuche. (catalogo: 94)

Questo incrocio di destini —fra produttori e usuari— ci parla di appropriazioni mutue che durante molti anni si plasmarono tra gli aborigeni e i gauchos.

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vita e opera del venerabile servo di dio presbitero josé gabriel del rosario brochero liliana de denaro e maría luisa abal dutari

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er conoscere il Padre Brochero, è necessario entrare in profondità nella sua vita,

sapendo che è stato uno dei personaggi più famosi della Chiesa Argentina. Facciamo un percorso per la sua storia attraverso otto date principali: ■

É nato il 16 marzo 1840 a Santa Rosa de Rio Primero, un piccolo paesino della

Provincia di Córdoba (Argentina). I suoi genitori: la signora Petrona Dávila di radici portoghesi e il signor Ignacio Brochero, con radici sevigliane. Il giorno dopo la sua nascita viene battezzato nella Parrocchia del paese con i nomi: José Gabriel del Rosario. ■

Il 5 marzo 1856 fa l’ingresso al Collegio Seminario “Nuestra Señora de Loreto”

[Nostra Signora di Loreto], nella città di Córdoba. Racconta uno dei suoi condiscepoli “era un allievo diligente nello studio, di una profonda pietà e amore verso il pros-

simo che commuoveva, essendo questo, la pietra angolare della sua esistenza”. Dopo il livellamento delle sue conoscenze, il 13 marzo 1858, il giovane José Gabriel del Rosario entra all’Università “Universidad de San Carlos” per iscriversi al primo anno di Filosofia. In quei tempi, i sacerdoti gesuiti, dopo il ritorno dell’espulsione, riavviano a

Immagine “La mia Immacolata”. Foto: L. de Denaro.

Córdoba la pratica degli Esercizi Spirituali di San Ignazio di Loyola e nei diversi gruppi di esercitanti, si inizia a notare l’importanza del metodo nel cammino di

Pagina precedente: Antico ritratto del Padre Brochero.

approfondimento spirituale. Il 25 aprile 1863 nel Seminario i Gesuiti iniziano una serie di Esercizi di sei giorni con grande profitto per i giovani, tra i quali si trova José Gabriel Brochero che comprende l’efficacia di essi per cercare la propria perfezione e la perfezione del prossimo. Come Dio dà la parola giusta a chi sceglie, il seminarista Brochero utilizza il linguaggio semplice di campagna così ben conosciuto, prendendo semplici esempi quotidiani e con l’aiuto di Dio entra nel cuore dei suoi ascoltatori. In questo modo

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entra profondamente nella sua anima il dono che Dio ha preparato per lui: La vocazione sacerdotale. ■

Il 4 novembre 1866 viene consacrato sacerdote nella Cattedrale di Córdoba

e il 10 dicembre dello stesso anno (giorno della Patrona del Seminario) celebra la sua prima messa. L’anno successivo è stato nominato Cappellano del Coro del Duomo, attraendo praticamente l’attenzione delle parrocchie della città durante diverse settimane; sotto la direzione del “Sacerdote Rettore del Santuario”. Come fanno gli altri religiosi della città, durante l’epidemia del 1867 assiste i malati affetti da colera e dà loro il supporto consolatore della fede. ■

Il 18 novembre 1866 viene nominato sacerdote parroco del Distretto di San

Alberto, essendo San Pedro la sede parrocchiale, che aveva un’estensione territoriale di 4.300 chilometri quadrati. Due anni dopo del suo arrivo alla Parrocchia riunisce il primo gruppo di esercitanti che viaggia alla città di Córdoba, provocando la spontanea ammirazione dei giornalisti dell’epoca perche per arrivare era necessario un viaggio di tre giorni, sopportando le inclemenze del tempo cavalcando sui muli o a cavallo, perché c’erano solo sentieri o “caminos de herradura” [cammini di ferro da cavallo] che a volte raggiungono i 2000 metri di altezza. Di fronte alle difficoltà del viaggio e il gran numero di giorni che gli esercitanti devono lasciare le loro case e mestieri, Brochero decide di costruire una Casa di Esercizi Spirituali nel villaggio di transito “Villa del Tránsito” (attuale “Villa Cura Brochero”). Lo fa disposto ad ottenere una maggiore partecipazione e inizia così la sua grande opera, dimostrando una fervida carità pastorale, preludio della santità della sua vita. Tutte le opere materiali che esegue non tolgono mai il momento di intensa preghiera; non manca mai alla lettura spirituale, la Santa Messa quotidiana e l’ascolto delle confessioni. Veramente posso dire come San Paolo: “Non so predicare

altro che Cristo Crocifisso”…

Supra: Antichi ritratti del Padre Brochero.

Quindi, non c’è da stupirsi della sua predica semplice, accessibile a tutti, ma profonda; di chi conosce e vive il Mistero Divino e sa portarlo fino al silenzio dell’anima.

gli esercizi spirituali Scrive il Sacerdote Bustamante: “Il Signor Brochero sa in prima persona quanto

grande è l’efficacia dei Santi Esercizi, per comunicare la vera Luce del Cielo alle intelligenze e fare che la Grazia trionfi nei cuori ribelli, quindi non esita un istante a prendere questo mezzo per la santificazione dei fedeli affidati alla sua cura”.

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Il 15 agosto 1875 colloca la pietra angolare della sua opera maggiore, la “Casa

de Ejercicios” [Casa di Ritiro/Casa di Esercizi Spirituali]. Mossi dalla sua parola, i vicini cominciano ad aiutare nel cantiere, trascinano il materiale, bruciano mattoni e piastrelle, portano pietra calcare, aprono fosse e trascinano tronchi. ■

Finalmente, durante il mese di agosto del 1877 viene inaugurata la Casa di

Esercizi nonostante il cantiere non era completamente finito, mancava intonacare i muri, la rifinitura del pavimento. Diverse centinaia di uomini arrivano da luoghi diversi e lontani. Silenziosamente rispondono alla chiamata della campana, ascoltano le prediche e riflettono con le letture, che sono compiti permanenti del Sacerdote. ■

Nel mese di febbraio di 1880 realizza l’inaugurazione del Collegio di Bambine.

Porta alle Sorelle “Hermanas Esclavas del Corazón de Jesús” (fondate dalla Madre Catalina de María Rodríguez), che ancora oggi là, nello stesso modo che la Casa di Esercizi. La sua importanza è radicale, perché in quegli anni c’erano pochissime opportunità educative per i bambini, in particolare per le donne, con una mancanza di formazione cristiana. Prendersi cura dei malati è una priorità nella sua vita e non esita un solo istante a venire in aiuto dei bisognosi, tra cui molti lebbrosi. Brochero contrae questa terribile malattia; per cui consegna formalmente la Parrocchia e si ritira nella

Sopra: Il Sacerdote Brochero montando il suo asino “Malacara”.

sua casa, dove viene curato da sua sorella Aurora. Celebra la messa quotidianamente già anziano in onore alla Vergine —“La mia Immacolata”—, come la chiamava lui,

Sotto: Visita del Monsignore Jorge Mario Bergoglio —oggi Sua Santità Papa Francesco—, nella Casa di Esercizi Spirituali. 2008. Foto: Mirta Figueroa / M. L. Abal Dutari.

perché rimanendo cieco è l’unica che ricorda a memoria. In una lettera al Monsignore Yaníz, Vescovo di Santiago del Estero, e compagno suo di studio, racconta: “… sono

diventato cieco, a malapena distinguo la luce del giorno, e non riesco a vedere neanche le mie mani. Inoltre, sono quasi senza tatto, dal gomito alla punta delle dita, e dai ginocchi fino ai piedi. E così, un’altra persona mi deve aiutare a vestire (…) “Guarda in che stato è rimasto il Chesche [N. del T.: in riferimento a un cavallo di un mantello particolare], l’energico, il brioso. Ma è una grande grazia che Dio

mi ha fatto nell’allontanarmi completamente della vita attiva, e lasciarmi nella vita passiva, voglio dire, che Dio mi dà il compito di cercare la mia fine e di pregare per gli uomini passati, presenti e quelli che verranno fino alla fine del mondo”. ■

Il 26 gennaio 1914 è andato ad abbracciare il Creatore, di chi aveva dato tes-

timonianza durante tutta la sua vita. Per la Grazia di Dio stiamo vivendo l’Anno della Fede, e come nella vita di noi cristiani cattolici, non ci sono casualità, tutto è Provvidenza, questo anche è l’anno della Beatificazione del Padre Brochero, sacerdote umile, semplice e abnegato fino all’eroismo. Pagine successive: D. Sempé. Arriando yeguas [Incitando un branco di cavalli]. Fotografia contemporanea. (catalogo 195)

Possa la sua vita essere un esempio per i sacerdoti, religiosi e laici, affinchè come lui, siamo “luce e impronta” per tutti nel cammino verso Dio.

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capitolo 11

un’immagine. migliaia di immagini uno sguardo di artisti stranieri e locali le incisioni: legno, acciaio e pietra il gaucho nella fotografia argentina (1840-1940) lo sguardo contemporaneo


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uno sguardo di artisti stranieri e locali ana maría telesca

s

ino alla fine del settecento, l’America ispana rimaneva ancora misteriosa per i paesi

centro-europei, a causa della politica isolazionista spagnola. Alla fine del settecento, e sotto la dinastia dei Borboni, la Corte di Madrid ha deciso di rilevare il continente mediante una spedizione politico-scientifica, accettando l’iniziativa del capitano di vascello l’egregio Alejandro Malaspina. Ma è stato il viaggio in America realizzato da Alexander von Humboldt e Aimé Bonpland tra 1799 e 1804, con la rielaborazione del materiale durante trent’anni e l’edizione di trenta volumi, quello che segnala l’inizio della ‘reinvenzione dell’America’1. Sotto il segno dell’Illuminismo e dopo le rivoluzioni americane, c’è stato l’inte-

resse di conoscere i nuovi Stati, gli abitanti ed i suoi costumi. Nei decenni posteriori al 1810 il numero di viaggiatori che visitarono le nuove repubbliche americane era cresciuto straordinariamente. Europa ha cominciato a mostrare un grande interesse per queste terre, che ne erano in parte senza cartografia ed erano in modo virtuale sconosciute per la maggioranza —ed incluso per il commercio e l’industria europea—. Allora, vengono pubblicati dei libri e degli album, che contenevano da studi precisi sulla flora e la fauna fino a rappresentazioni ‘pittoresche’ dei territori ed i suoi abitanti. Il marinaio inglese Emeric Essex Vidal (1791-1861) era un tipico rappresentante dell’artista-viaggiatore dilettante, ma molto capace con l’acquerello. Da maggio del 1816 fino a settembre del 1818 ha lavorato come contabile nella nave di guerra

Pagina precedente: A. Della Valle:

La vuelta del malón, la cautiva.

inglese Hyacinth che aveva come base per le operazione la Baia di Rio de Janeiro;

[Il ritorno degli indios, la prigioniera]. Oleo su tela. (catalogo: 111)

mentre l’Inghilterra monitorava una regione agitata non solo dalle guerre civile e di

1 Cfr. Mary Louise Pratt, Ojos imperiales. Literatura de viajes y transculturación. Buenos Aires, F.C.E., 2010. Seconda Parte, Cap. V, pp. 211-267.

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indipendenza, ma anche dall’attacco portoghese contro la Banda Oriental. Ricordiamo che in ogni nave c’era un disegnatore a bordo che realizzava la cartografia —vedute dei porti e delle città—. Vidal, come un buon marinaio inglese, era molto abile nella realizzazione di immagini all’acquerello, essendoci una certa tradizione britannica che si è sviluppata nel XVII e XVIII secolo. Ogni acquerello viene datato al dorso e ha una descrizione della scena. In uno studio scrupoloso di questi acquerelli, possiamo trovare elementi inestimabili per ricostruire il nostro passato. Vidal ha rappresentato tipi popolari in una tendenza pittoresca che è continuata per decenni in America Latina. Per esempio, il mendicante che chiede l’elemosina su un cavallo bianco, il portatore d’acqua che con il suo carro forniva l’acqua alla popolazione, ed i lattai che hanno attirato la sua attenzione e li ha dipinto incluso quattro volte. L’acquerello Boceto de un lechero mostra la semplicità dell’architettura domestica verso 1820 ed è fedele nella rappresentazione delle razze equine. (Vedi pagina 101). Vidal è tornato all’Inghilterra alla fine del 1818 e si è poi dedicato a ordinare la sua produzione artistica sudamericana. Il famoso editore Rudolf Ackermann, sta-

M. L. Boneo: Senza titolo. Oleo su tela. (catalogo 109)

bilito a Londra, ha visto i suoi acquerelli e le ha chiesto di farne una selezione per

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pubblicarli in un album di lusso, accompagnati da testo. Questo è l’origine di

Picturesque Illustrations of Buenos Ayres and Montevideo etc., editato a Londra in 1820. Qui i lattai vengono descritti così: “La città di Buenos Aires si fornisce quotidianamente di latte delle tenute agricole vicine - Il latte è portato a cavallo, in barattoli di ceramica o di ottone, ed ogni bestia da soma ne porta in bisacce di cuoio quattro ed a volta sei … Quasi si può dire che i lattai sono nati a cavallo …”2 Anche Vidal ci scriveva che era molto difficile ottenere un po’ di latte puro tanto a Buenos Aires come a Londra, e che era abituale vedere ai piccoli lattai riempiendo i suoi barattoli nel fiume per aumentare gli utili. L’importanza delle illustrazioni di Vidal consiste nell’essere stata le prime immagini del nostro territorio e degli abitanti, dei suoi daffare e dei suoi costumi agli inizi dell’epoca repubblicana. Intorno al 1830, sono arrivati diversi pittori viaggiatori ed è anche cominciata M. L. Boneo. Entierro al costado del río. [Funerale accanto al fiume]. Oleo su tela. (catalogo 110)

2 Emeric Essex Vidal, Buenos Aires y Montevideo. Buenos Aires, Emecé, 1999, p. 78.

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l’attività di pittori e litografi locali. Da giugno del 1843 vengono fatti dagherrotipi. La pittura ad olio Gaucho sudamericano, ci porta al più grande disegnatore del Nuovo Mondo: il pittore, incisore e litografo tedesco Johann Moritz Rugendas (1802-1858). Questo artista romantico che ha percorso l’America con intervalli tra 1821 e 1847, si è proposto fare un grande album di scene americane, pittoresche e istruttive, in quanto alla vegetazione, il paesaggio —sempre disegnato en plein air— , la formazione delle montagne, nuvole, gli abitanti, abiti e costumi, ritratti, monumenti, fauna, ecc. La sua immensa opera plastica può rappresentare il correlato dell’opera naturalistica e scientifica del suo grande amico, Alexander von Humboldt. In 1821, Rugendas viene assunto per partecipare ad una sfortunata spedizione al Brasile, e al ritorno ha pubblicato a Parigi in 1825 Voyage pittoresque au Bresil. Ma la sua intenzione era ancora conoscere l’America. Dunque, dal 1831 al 1834, ha percorso Messico dal Atlantico al Pacifico, e poi se ne è andato in Cile, paese in cui ha abitato fino al 1845, alternando con viaggi in Perù e Bolivia. Nell’Argentina è stato due volte per corto tempo: in 1837/38, ha attraversato la cordigliera delle Ande dal Cile, ha passato per Mendoza ed è arrivato a San Luis; e, in 1845, è stato a Buenos Aires e a Montevideo. A Buenos Aires, dopo la caduta del governo di Juan Manuel de Rosas a Caseros (1852), la cultura visuale ha cambiato con l’apparizione e la diffusione dei Saloni. I Saloni erano luoghi molto popolari dove, con l’acquisto di un biglietto, si accedeva alle sue confortabili ed arredate stanze. Qui, c’erano gabinetti di lettura con i principali giornali del Paese, dei Paesi limitrofi e di oltremare, con pareti piene di quadri dei giovani artisti locali, e con esibizione di lanterne magiche ed altri artigli ottici. Nello stesso decennio, il governo di Buenos Aires ha cominciato a dare delle borse di studio per imparare pittura in Europa. Martín Boneo (1829-1915) di cui si espone qui due opere —Sin título ed Entierro al costado del río, ne è stato favorito per imparare nella bottega di Antonio Ciseri, a Firenze, iniziando un cammino che

J. M. Rugendas. Gaucho sudamericano. Oleo su tela. (catalogo 105)

tanti artisti argentini e sudamericani hanno fatto nell’ottocento. C’erano a Buenos Aires molti artisti stranieri, come Juan León Pallière (18231887) che era discendente di francesi e nato a Rio de Janeiro. Proveniva da una famiglia di artisti: suo nonno era incisore a Bordeaux; suo padre, pittore di corte dell’imperatore Don Pedro; e suo zio León aveva vinto il Premio di Roma. Dalla sua infanzia, ha studiato disegno e pittura a Parigi. Ha abitato nel Río de la Plata tra 1856 e 1866; periodo in cui ha realizzato una grande produzione di oli ed acquerelli con paesaggi e quadri di costumi. Fra 1864 e 1865, si è editato un album di 52 litografie, chiamato Album Pallière, Escenas

Americanas, con temi raccolti dai suoi viaggi per Cile, Argentina, Uruguay e Brasile.

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Negli acquarelli La guitarreada e Bailando gato en el galpón, possiamo vedere i divertimenti dei gauchos, come suonare la chitarra o ballare nei capannoni della tenuta agricola, mentre che in La esquila, invece, vediamo uno dei suoi lavori. Questo lavoro veniva fatto principalmente dalle donne con l’aiuto dei giovani gau-

chos. A sinistra, c’è uno di loro con le forbici, senza i suoi calzoncillos e gli stivali, con il suo chiripá [calzoni da gaucho] alzato. In 1866, Pallière si è stabilito a Parigi dove partecipa dei Saloni, esponendo opere di costumi americani ed europei, e anche pittura di storia e su temi mitologici. Il pittore, litografo e architetto di giardini svizzero Adolfo Methfessel (18361909), è arrivato a Buenos Aires in 1864 per lavorare nella sua specializzazione. Con l’inizio della guerra del Paraguay, è andato con l’esercito per fare bozzetti delle azioni che poi ha pubblicato il litografo Jules Pelvilain, e in 1868, ha fatto la documentazione dei fossili e lavori cartografici nel Museo Pubblico di Buenos Aires, diretto dal saggio naturalista Germán Burmeister. Nell’acquarello Leva de gauchos, Methfessel mostra la pratica abituale nell’ottocento, la chiamata alle armi in modo forzato dei cittadini per servire nelle guerre dell’indipendenza e civili. (Vedi pagina 101). Bernabé Demaría (1824-1910) era un pittore, scrittore e senatore argentino che aveva imparato pittura durante sei anni nella bottega del sivigliano Antonio María Esquivel. È tornato al Paese in 1854. J. L. Pallière. La guitarreada. [Il suono delle chitarre]. Acquerello su carta. (catalogo 106)

Ha dipinto buoni ritratti, ma soprattutto si è dedicato a comporre scene della campagna argentina. Ci sono quadri delle peripezie dei gauchos, ad esempio, l’olio

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Cantando sus cuitas, dove si vede la presenza degli indiani, pulperías [specie di bar di campagna], ranchos [capanne] o le carrette. (Vedi pagina 102). Ángel Della Valle (1852-1903), l’autore di La vuelta del malón e La cautiva, aveva frequentato tra 1875 e 1883 la bottega fiorentina di Antonio Ciseri. In quell’ambito, che funzionava come una società cooperativa di studenti, ha conosciuto la tradizione accademica, consistente in un apprendistato del nudo, nella copia di opere d’arte dei grandi maestri e nella pittura di storia religiosa. Ma quando è tornato al Paese, utilizzerebbe la sua formazione artistica nella realizzazione di temi gaucheschi, rurali e militari. La vuelta del malón e La cautiva (1892) sono episodi della lunga guerra per le frontiere. Rapimenti di donne, saccheggi religiosi, barbarie, distruzione e morte, sono stati gli episodi di quella lotta finita dieci anni prima della realizzazione di quest’opera. Ma, senza dubbio, è stato l’uruguaiano Juan Manuel Blanes (1830-1901) chi ha approfittato di più gli insegnamenti di Antonio Ciseri e della sua bottega, che aveva frequentato tra 1861 e 1864. Li si è formato accademicamente e ha definito il suo pensiero artistico. Blanes pensava che sebbene fosse necessario dominare la tradizione pittorica europea, quella doveva mettersi al sevizio dei temi americani. Perciò, si è autoproclamato un pittore ‘americano’. Tornato a Montevideo, ha dipinto ritratti e alcuni dei suoi grandi quadri di argomento storico, ma anche temi folcloristici, ad esempio, gauchos, chinitas [mogli dei gauchos] e scene di campagna, dove c’è una certa nostalgia ed idealizzazione della vita rurale. Con l’opera Peregrinación al calvario dell’artista tucumano Alfredo Gramajo Gutiérrez (1893-1961) entriamo nel mondo delle credenze popolari, di scene di costumi e, soprattutto, delle manifestazioni popolari e delle feste religiose. (Vedi pagina 102). Gramajo Gutiérrez ha confessato essere nato “in quell’ambiente stregone e miracoloso”…“Le processioni, le feste del culto, le preghiere ai santi…e le veglie funebri dove culminava il dolore di tutti, c’erano scene di un realismo grottesco ed esuberante che hanno lasciato tracce indelebili nella mia infanzia.”3 Gramajo Gutiérrez è stato un vero protagonista del movimento indigenista che ha dato un nuovo significato alle tradizioni dei popoli originari, e ha raggiunto l’intero continente americano durante il decennio del 1920 e del 1930.

3 Francisco Romero Grasso, Alfredo Gramajo Gutiérrez y la pintura costumbrista en la Argentina. Vicente López, Ed. Pedagógica Vicente López, 1972, pp. 10/11.

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le incisioni: legno, acciaio e pietra roberto vega andersen

i

n tempi in cui il gaucho è emerso come personaggio rurale sudamericano, la regione

era appena visibile nei libri di viaggio e di costumi, frutto delle misure restrittive stabilite dalla corona spagnola per i suoi territori d’oltremare. Un’altra è stata la fortuna dell’immagine dei vari popoli aborigeni, registrata da molto prima, anche se con alcune peculiarità. Anche se ha illustrato con abbondanza le cronache e l’altra letteratura di viaggi del XVI e XVII secolo, le relative rappresentazioni erano molto lontane dal vero mondo americano, forse perché erano al servizio del discorso visivo incoraggiato dagli europei. Sono comparsi personaggi fantastici e regioni immaginarie come il luogo in cui viveva una tribù di donne (senza maschi, si capisce), di cui la denominazione che ha dato il nome al fiume più importante dell’America: l’Amazzonia. Si diceva che il cannibalismo fosse pratica comune nei diversi popoli originari; e gli animali —disegnati a partire dalle croniche scritte— rappresentavano veri mostri. Nel XVIII secolo è arrivato un cambiamento di queste rappresentazioni: le stampe presentano gli aborigeni come sculture greche. Ma la vera innovazione è arrivata con il Romanticismo —impegnato sulla scrittura di una storia più veritiera—, ed è stato Alexander von Humboldt il più grande artefice. Naturalista ed artista, quel uomo tedesco ha attraversato l’America equinoziale per comporre finalmente un’opera monumentale, diventando l’uomo più influente per scienziati e artisti viaggiatori che hanno ripreso le sue impronte nel Nuovo Mondo. In sintonia, editori europei iniziarono a pubblicare album di viste geografiche, ritratti di umani e costumi, così come elementi culturali, piante e animali.

per il fiume río de la plata Pagina precedente: G. de Ibarra. El gaucho enlazando. [Il gaucho allacciando]. Litografia. (catalogo 118)

Confusa dopo la foschia imposta dall’oscurantismo delle politiche spagnole, la regione era appena visibile nell’iconografia pubblicata. Tanto è così che quasi non

le incisioni: legno, acciaio e pietra

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c’erano registri precedenti a 1820 delle sue città più importanti —Buenos Aires e Montevideo, documentate soltanto in poche viste sollevate dal fiume Río de la Plata, con l’artista imbarcato. Di quel periodo sono state conservate due incisioni della spedizione spagnola (1788-1794) comandata dal navigatore italiano Alessandro Malaspina. Sono due scene rurali dove il gaucho è il protagonista. Fernando Brambila las grabó a partir de los bocetos y anotaciones que levantara Felipe Bauzá, dejándonos una imagen fiel de las andanzas camperas del centauro americano. Queste acquaforti sono state eseguite a Madrid verso la fine del XVIII secolo. In 1808 l’incisore londinese William Holland ha inciso tre lamine con motivi rioplatenses. In una di loro vediamo un gaucho a cavallo in primo piano (è individuato un altro più distante), munito di laccio intorno alla sua testa. Tra altri particolari, si vede il poncio avvolto alla vita e gli stivali di pelle di puledro aperte sotto da dove uscivano le dita. Questa immagine è stata replicata in molte occasioni e si è conosciuta anche una versione eseguita su una staffa del ferro in un’esecuzione di notevole qualità.1 In 1820 la casa R. Ackermann, il più prestigioso editore inglese, ha messo alla luce un album di Emeric E. Vidal (leggere pagina 51) con un repertorio importante delle immagini stampate a partire da acquerelli che quell’artista marinaio ha preso fra 1816 e 1818 nell’occasione della sua visita ad entrambe le capitali del Río de la

1 Sicuramente la staffa è stata eseguita in Inghilterra allo scopo della commercializzazione nel mercato “rioplatense”. Per qualche motivo il progetto non ha prosperato, poiché è stato conservato un solo esemplare. Staffa di ferro con scena di gaucho

enlazando [allacciando]. W. Holland. Un peone o

Modo sudamericano di allacciare. Litografia. (catalogo 116)

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Plata. Fra queste si mette in rilievo una doppia vista con le corse di cavallo che in

G. Gallina. Scena gauchesca (gioco delle carte). Stampa a colori. (catalogo 117)

quei tempi intrattenevano gli abitanti di Buenos Aires.2 Per allora si rompe con la gestione ispana aveva generato un’apertura delle nazioni dell’americano del sud dei incipientes che facilitano l’arrivo dei marinai, dei rivenditori, dei diplomatici, degli artisti e degli artigiani. Molti di loro hanno pubblicato i racconti delle loro esperienze, che sono stati rinforzati con lamine illustrative. Effettivamente dopo la comparsa dell’opera di E. E. Vidal, il repertorio visivo è stato moltiplicato in infiniti pubblicazioni. Per esempio, nel libro di costumi dell’edizione italiana intitolata “Il Costume Antico e Moderno” dove compaiono diversi tipi costumbristi, fra loro un gruppo di contadini giocando a carte ci ricorda le creazioni di Vidal. La copia era una procedura, ma come abbiamo commentato in precedenza, inoltre c’era un importante traffico di artisti viaggiatori, fra i quali abbiamo identificato 2 Tra il 1823 e il 1829, Ackermann ha pubblicato oltre un centinaio di libri e riviste in spagnolo, destinate al mercato latinoamericano e verso la fine del 1825 ha aperto diverse filiali in queste nazioni. (Natalia Majluf: “Pancho Fierro, entre el mito y la historia” (Pancho Fierro, fra il mito e la storia). In “Tipos del Perú”. “La Lima criolla de Pancho Fierro”. Ed. El Viso. Madrid. 2008).

le incisioni: legno, acciaio e pietra

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il francese Adolphe D’Hastrel. Egli è venuto al Río de la Plata integrando la flotta del su paese e ha fatto parte delle azioni di guerra che detta flotta ha svolto in queste acque sul governo di Buenos Aires. A parte la sua attività militare, D’Hastrel non trascurò la sua passione per la pittura e al suo ritorno in Europa si sono conosciuti molti dei suoi ritratti regionalisti compresi sotto forma di incisioni nell’album “Musée de Costumes”. Immerso in questa moda, nelle capitali sudamericane è emerso un autonomo processo di diffusione dalle immagini. A Buenos Aires è comparsa la prima casa di litografia nel 1833, quando Antide H. Bernard ha stampato una serie di ventidue litografie intitolata “Modes de Lima” con l’impronta editoriale di “La Litografia Argentina”. Ognuna delle immagini portava in calce una leggenda in inglese, spagnolo e francese, segno eloquente del desiderio di commercializzarle al livello internazionale. Contemporaneo a Bernard il ginevrino César Hipólito Bacle ha montato un altro stabilimento litografico da cui sono state pubblicate numerose scene e ritratti, compreso un album di vestiti e di usi e costumi. Il saga è stata continuata dal primo incisore nato in Argentina, Gregorio de Ibarra, che ha acquistato la bottega di Bernard. Si conosce della sua produzione due serie di incisioni, identificati come “la piccola serie” e “la grande serie”; la prima è stata un album ed è stata intitolata “Abiti e Abitudini della

Provincia di Buenos Ayres (sic)”. La seconda, senza titolo, includeva grandi lamine incise a partire dalle illustrazioni di Carlos Morel. Tra altri artisti, Carlos Enrique Pellegrini, pittore e litografo, è stato il titolare della casa “Litografía de las Artes” che in 1841 pubblicò a Buenos Aires l’album “Recuerdos del Río de la Plata”. Le illustrazioni sono i suoi e rispecchiano le abitudini locali con una precisione di grande qualità estetica. J. L. Pallière. Un nido nella Pampa (Reppublica Argentina). Litografia. (catalogo 128)

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Già nella seconda metà del XIX secolo un artista d’origine brasialiano e formazione europea è arrivato a Buenos Aires per lasciarci la sua opera in un album intitolato “Escenas Americanas” (Scene americane). Ci riferiamo a José León Palliere (vedere pagina 54), autore di quell’album con cinquantadue lamine incise, pubblicato nel 1864 dalla casa editrice Julio Pelvilain. I Gauchos e gli aborigeni furono i protagonisti di ogni piastra di incisione, tutte di un enorme valore iconografico. Pallière inoltre ha disegnato per il giornale “El correo de la tarde”, dove sono state pubblicate le sue numerose opere; ha pubblicato in più un libro con la storia del suo viaggio nella regione 3, ha disegnato cartoni per teatri ed è stato pure docente. Nel percorso delle rappresentazioni visive del gaucho abbiamo segnato una pietra miliare con il suo arrivo alla Mostra Universale di Parigi di 1867. La figura di quei cavallerizzi —le scene eseguite per la relativa mostra con manichini e cavalli imbalsamati— ha presentato per la prima volta in un ambito europero al nostro personaggio con il tipico abbigliamento. La sua figura aveva già oltrepassato i confini geografici originali, aiutata anche dalla fotografia. Una fedele testimonianza di quell’espressione è documentata nel libro dell’itaiano Pellegrino Strobel “Viaggi nell’ Argentina Meridionale effetuati negli anni

1865-1867” (pubblicato a Torino nel 1867), dove è stato rappresentato il gaucho delle pampas argentinas, con l’intervento di un relato fotografico eseguito da Esteban Gonnet verso il 1866. 3 È stato intitolato: “Diario de Viaje por la América del Sud”. Anonimo. Sosta nella Pampa. Manoscritto: Posta. Stampa. (catalogo 130)

le incisioni: legno, acciaio e pietra

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il gaucho nella fotografia argentina (1840-1940) abel alexander

società iberoamericana di storia della fotografia

g

auchos e dagherrotipi Il fascino della figura epica del gaucho —l’uomo a cavallo delle nostre pianure

infinite “pampas”— ha avuto una grande influenza sulla sensibilità dei primi artisti stranieri chi, a partire dei primi decenni del XIX secolo, hanno sviluppato una parte della loro opera in Argentina. Artisti europei come Carlos Enrique Pellegrini, Emeric Essex Vidal, Mauricio Rugendas, Adolfo D’Hastrel, Mauricio Rugendas o Raimundo Quinsac Monvoisin hanno dipinto, seguendo la tradizione pittorica conosciuta come “costumi e usi popolari”, la vita del gaucho attraverso uno sguardo eurocentrista. Oltre a questi artisti stranieri, ci sono artisti argentini come Carlos Morel, Prilidiano Pueyrredón ed altri, chi attraverso oli, acquerelli o disegni hanno documentato durante questo periodo la complessa realtà del nostro uomo di campagna. Il 19 agosto dell’anno 1839, si conosceva a Parigi il segreto meglio nascosto sulla incredibile invenzione dei francesi Joseph Nicéphore Niépce e Louis-Jacques-Mandé Daguerre. La novità si espande con velocità. Per la prima volta nella storia dell’umanità, uno strumento ottico combinato con formule chimiche otteneva la più fedele ed eclatante immagine della realtà, come mai si aveva visto prima. Era nato il dagherrotipo. Questo primo processo fotografico —che era un positivo unico— è arrivato al porto di Buenos Aires in 1843, cominciando così la storia della fotografia argentina. Quei costosi ritratti di studio erano parte di una esclusiva iconografia che è stata al servizio di una elite sociale ed economica dell’epoca. Seguendo con la storia del genere pittorico degli usi e costumi popolari, questi

Pagina precedente: M. Leon & J. Levy: Rappresentazione del Gaucho nell’Esposizione Universale di Parigi, 1867. (catalogo: 134)

primi “Professori nell’arte del Dagherreotypo” ed i suoi successori, i fotografi tramite il processo negativo-positivo, hanno documentato ai gauchos, contadini e vedute rurale

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con l’obiettivo di vendere queste opere nei mercati di Europa e degli Stati Uniti. Ma a differenza della visione soggettiva dei pittori da cavalletto, la nuova tecnica fotografica otteneva una fedeltà tanto eclatante che sorprendeva a la società dell’epoca. Ovviamente durante i due decenni dalla nascita del dagherrotipo, la documentazione dei gauchos era quasi inesistente, perché quegli uomini di campagna non avevano l’abitudine di farsi i ritratti e non possedevano in assoluto le risorse per accedere a questa costosa e sofisticata invenzione europea ed era ancora molto complesso spostare le apparecchiature di cattura dell’immagine e di sviluppo fino al loro ambiente naturale. Tuttavia, nel Complesso Museografico Enrique Udaondo, a Luján, c’è un dagherrotipo con l’immagine del gaucho fatto all’esterno —di autore anonimo—

Autore non identificato. Ambrotipo. Uno dei registri fotografici più antichi del gaucho, scatto realizzato probabilmente nella provincia di Corrientes. Decade del 1860.

che mostra a quattro uomini posando davanti a un rancho [capanna] nella provincia di Buenos Aires. Tra il mate, lacci e attrezzi vari, si può riconoscere un vero gaucho tra di loro che porta un coltello e degli stivali di cuoio di cavallo. Anni fa, in una vendita all’asta, lo Stato di Uruguay ha acquistato un ritratto in dagherrotipo di un

gaucho per il Museo del Gaucho di Montevideo. Negli Stati Uniti, viene offerto alla vendita un magnifico ritratto di un uomo americano vestito con costosi abiti gauchos; dagherrotipo realizzato sicuramente come ricordo del suo soggiorno in qualche tenuta agricola argentina. Noti caudillos [capi militari] hanno anche posato davanti a una fotocamera per dagherrotipia con abiti da gaucho come Justo José de Urquiza con il suo poncho [mantello] a righe o il capo Ángel Vicente Peñaloza indossando il suo famoso pugnale d’oro. Anni fa, abbiamo potuto studiare l’unica collezione di vedute argentine fatte attraverso il processo positivo chiamato ambrotipo. Si tratta di sei registri fotografici rurali della tenuta agricola Los Yngleses a Rincón del Tuyú (Buenos Aires) che appartenevano alla collezione della famiglia Boote. George Corbett era l’autore di queste opere realizzate verso 1860, una di cui mostra 14 gauchos e paesani mangiando un

asado [arrosto] nella campagna. Recentemente, viene scoperto il dagherrotipo di un gaucho correntino [della Provincia di Corrientes] mostrando le sue armi e la divisa del suo partito politico; scatto realizzato da un fotografo anonimo della provincia.

la nuova fotografia La caduta del ferreo governo di Juan Manuel de Rosas in 1852 ha portato profondi cambiamenti politici ed economici. Una delle conseguenze è stata la divisione del Paese: da un lato, la Confederazione Argentina, dall’altro, lo Stato di Buenos Aires. In 1861, l’esercito porteño [di Buenos Aires] comandato da Bartolomé Mitre ha vinto

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nella battaglia di Pavón contro Justo José de Urquiza ed il Paese ha iniziato la riunificazione definitiva con la presidenza di Mitre. Argentina apre le sue porte all’immigrazione e comincia una prosperità economica notevole; in particolare la regione pampeana si integra al sistema economico internazionale capitalista che ha bisogno di prodotti primari. In questa nuova e dinamica realtà rurale, la vita libera del gaucho inizia una definitiva decadenza; con l’arrivo delle nuove tecnologie —come la ferrovia, il telegrafo, i recinti di filo spinato— il gaucho perde protagonismo storico. In questo periodo, la fotografia presenta grandi cambiamenti. I costosi processi positivi —come il dagherrotipo, l’ambrotipo ed il ferrotipo— sono stati rimpiazzati dalla innovativa e più economica fotografia con il sistema negativo-positivo. I nuovi negativi di vetro emulsionato al collodio umido e le copie in fogli di carta albuminata vengono diffusi rapidamente e cambiano le regole del gioco. Per la prima volta, i fotografi escono dai loro studi urbani e, con i loro attrezzi e laboratori ambulanti, documentano la realtà geografica e sociale di questo vasto territorio. Tra i nuovi professionisti, si distingue il francese Esteban Gonnet —proprietario dello studio Fotografía de Mayo a Buenos Aires—. È agrimensore e va con la sua macchina fotografica per tutta la provincia di Buenos Aires, ottenendo i primi e più importanti registri fotografici di quel mondo gauchesco già quasi scomparso. Il risultato di questi viaggi è l’edizione verso 1866 dell’album fotografico E. Gonnet. Gauchos. Albumina. Scena registrata nella provincia di Buenos Aires. Circa 1866.

“Recuerdos de la Campaña de Buenos Ayres”. Gonnet edita impeccabili ritratti di gruppo e individuali del gaucho ed il suo ambiente naturale. Queste immagini non

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sono conosciute fino a quel momento. Includono fotografie di ranchos [capanne] di fango e paglia, l’accogliente ombù, il rituale del mate e l’asado vicino al fuoco. La collezione documenta inoltre i tipici mestieri del lavoratore di campagna, cioè, il raduno del bestiame, la marchiatura, la domatura, la macellazione e così via. Anche in 1866, si distingue Benito Panunzi; immigrante italiano, professore di disegno e fotografo, è l’autore di bellissime vedute di Buenos Aires. Le sue composizioni pittoriche di gauchos bonaerenses [gauchos di Buenos Aires] sono di una qualità notevole, per esempio, “Pobladores del Campo”, “Una pulpería à la fronte-

ra”, anche le immagine di ranchos con le sue chinas [donne] macinando il mais o i tipici insieme di carri attraversando le pampas. Poche fotografie del portoghese Christiano Junior vengono conosciute sui

gauchos. Ma, al contrario di quello, c’è il prolifico fotografo argentino —discendente di emigrati inglesi— Samuel Boote, la cui profonda conoscenza della campagna argentina proveniva dal suo lavoro giovanile nelle tenute agricole del bacino Cuenca

del Salado. A partire da 1880, lui ha fatto eccellenti immagini di gruppi di carrette, B. Panunzi: Pobladores del campo / Abitanti della campagna. Albumina. Circa 1865/1867. (catalogo: 133)

la nota composizione “El asado” e diverse albumine riguardanti i lavori della campagna come la marchiatura del bestiame, la macellazione di mucche, altre con greggi

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di pecore. Suo fratello minore, Arturo, è stato un noto editore di album fotografici, e ha ristampato decenni dopo le opere gauchescas di Samuel. Sono stati documentalisti fotografici del gaucho argentino durante l’ottocento non solo George Corbett, Esteban Gonnet, Benito Panunzi, Christiano Junior, Samuel e Arturo Boote, ma anche Samuel Rimathé e Harry Grant Olds. Lo svizzero Samuel Rimathé è arrivato all’Argentina in 1888, dichiarando la sua condizione di Artiste Photographe. Ma, a differenza dei suoi colleghi dedicati alla ritrattistica sociale, lui ha sviluppato una intensa attività come documentalista grafico; viaggia per tutto il Paese cercando vedute urbane, rurali, paesaggi, e catturando gli usi e costumi del suo paese di adozione. Nella sua produzione gauchesca, c’è una serie sugli ultimi centauri, dove si vedono scene di lavoro di campagna con cavalli nello stabbio; o scene drammatiche come un duello “criollo” [creolo] con pugnale e poncho, ma anche immagini di momenti di ozio con i tipici giochi della taba o il truco. Durante l’ottocento, per ottenere una fotografia era necessario tempi lunghi di esposizione, allora Rimathé —come gli altri fotografi— componeva ogni scatto: A. W. Boote: Senza Titolo

si montano diverse scene in pose predeterminate e statiche.

(Gaucho in piedi insieme al suo cavallo sellato). Albumina. (catalogo 152)

Harry Grant Olds veniva dagli Stati Uniti —e come Rimathé— ha desistito

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H. G. Olds. Sin título (Tropa de carros)/ Senza titolo (Truppa di carri). Gelatina d’Argento. (catalogo: 155)

di aprire uno studio fotografico a Buenos Aires. Ha preferito percorrere la geografia argentina scattando fotografie ed ottenendo così, a partire dal 1900, le ultime testimonianze dei tradizionali lavori dei gauchos. Uno dei casi più interessanti riguardo al gaucho e la fotografia è stato protagonizzato da un avvocato porteño [portegno] Francisco Paco Ayerza, grande dilettante della fotografia e vero motore nella fondazione della mitica Società Fotografica Dilettanti Argentina “Sociedad Fotográfica Argentina de Aficionados” (1889-1926), di cui è stato il primo presidente. F. Ayerza. Sin título (Escena romántica) / Senza titolo (Scena romantica). Gelatina d’Argento. (catalogo: 147)

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Paco Ayerza ha sviluppato un ambizioso progetto a partire dall’anno 1885: ricreare in un album fotografico l’opera “El Gaucho Martín Fierro” (prima edizione del 1872) di José Hernández, ma purtroppo non lo ha mai editato. Lui aveva l’appoggio del suo amico il possidente Leonardo Pereyra, perciò la maggior parte di quelle fotografie viene realizzata nella Estancia San Juan e con la partecipazione attorale di peoni e fattori. La costosa edizione dei grandi album è stato un serio impedimento per la circolazione massiva di queste immagini gauchescas di enorme valore. Per soluzionare questo problema, a partire dal 1860/70, queste fotografie si sono cominciate a commercializzare attraverso delle piccole ed economiche “carte-de-visite”. Ma la vera rivoluzione nella divulgazione massiva di questa speciale iconografia ha cominciato quando la tecnica di impressione fotomeccanica si è perfezionata a partire dal 1900, nello stesso momento in cui vengono stampate in Argentina le prime cartoline fotografiche. Gli editori Guillermo Kraft, Jacobo Peuser ma specialmente l’imprenditore Roberto Rosauer, hanno editato centinaia di mille di cartoline a partire dal riutilizzo delle antiche fotografie dell’ottocento. Rosauer ed altri pochi hanno fatto constare l’identità di quelli fotografi pionieri. L’edizione di cartoline con soggetti gaucheschi ha coinciso con l’auge del crio-

llismo [creolismo]. Un riconoscimento tardivo dalla società argentina a quell’abitante delle nostre pampas che ha saputo guadagnare con la sua disubbidienza e il suo anelito di libertà un luogo di rilevanza nella nostra polemica storia. H. G. Olds. Trabajo del campo. çHaciendo un recado / Lavoro di campagna. Facendo una commissione. Cartolina. (catalogo: 158)

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lo sguardo contemporaneo maría pimentel

i

paesaggi dell’Argentina, paese caratterizzato dalla varietà e dall’immensità dei

suoi orizzonti tanto diversi come ammirabili, attirano l’attenzione dei fotografi. Tuttavia, questi ultimi non solo sono attratti dal paesaggio, ma bensì anche dalla vita dei gauchos, dalle loro tradizioni e devozioni. Nella selezione creata per questa mostra, abbiamo voluto includere le opere di

fotografi contemporanei, in cui ognuno apporta la sua esperienza attraverso la quale ci è possibile raccontare tutto quello che volevamo dire sull’Argentina, sul gaucho, sulle sue tradizioni e sulla sua fede. La campagna ed i suoi lavori sono parte integrante della vita argentina come lo dimostra il lavoro di due fotografi, membri di una famiglia di tradizione rurale, che sono testimoni presenziali dell’attività del gaucho nella vita contemporanea. Da una parte, Javier Pereda capta con abilità nelle sue immagini i branchi di cavalli, i cavallerizzi, la nobiltà del cavallo. È evidente il suo amore per il gaucho, per i contadini, per i mandriani e per i domatori. Dall’altra parte, Juan Pablo Pereda si interessa soprattutto per la natura e ci mostra la pampa dei cavallerizzi gauchos: un paesaggio dove l’orizzonte è una prospettiva continua. Anche gli altri fotografi della mostra, professionisti o di formazione classica, hanno uno stile proprio, con poetiche totalmente diverse e proposte molto solide per ritrarre la realtà attuale. Lucio Boschi, fotografo argentino di talento, scatta fotografie con uno sguardo molto poetico dell’entroterra del paese. Le sue opere sono il frutto della combinazione di un completo dominio della tecnica con una grande spiritualità. Non solo fa un ritratto ma anche rivela l’intimità del dialogo con Dio.

Pagina precedente: D. Sempé. Mate. Fotografia contemporanea. (catalogo 193)

Daniel Sempé ha uno sguardo piuttosto documentale sul gaucho e sui suoi costu-

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mi, sulla sua vita quotidiana e sul suo lavoro. Sebbene la fotografia sia tradizionale, riflette con una grande bellezza la semplicità delle azioni quotidiane della vita in campagna. Jasmine Rossi, giornalista italo-tedesca, ha saputo cogliere e riflettere l’anima del nostro paese con una grande raffinatezza estetica ed una grande sensibilità per plasmare i colori del paesaggio e delle devozioni popolari. Finalmente, la giovane fotografa Celine Frers, che con la freschezza della sua visione, ci mostra il gaucho caratteristico di ogni regione —dalla Pampa alla Patagonia, da Cuyo alla regione del Litorale—, riflettendo nelle sue opere le somiglianze e le differenze e mettendo in rilievo l’immensità del territorio argentino.

C. Frers. Con el ojo puesto [Con l’occhio puntato]. Fotografia digitale, senza intervento. (catalogo 174) L. Boschi. Doña Evarista con la imagen de la Virgen [Doña Evarista con l’immagine della Madonna]. Fotografia digitale. (catalogo 170) Pagina successiva: J. Rossi. Gaucho Salteño. Fotografia digitale. (catalogo 187)

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lo sguardo contemporaneo

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abbreviazioni: Lunghezza: Lung Larghezza: Larg. Altezza: Alt. Diametro: Diam. Apertura: Ap.

schede delle opere l’oreficeria dell’argento ed il gaucho 1. fibbia e cintura. Argento. C’è nel centro una figura di un gaucho a cavallo da dove partono sei catene di canutiglie che finiscono con monete antiche a modo di bottoni. Cintura di cuoio —viene conservato parte del ricamato originale— con monete d’argento. Lung. della fibbia: 35 4

cm. Lung. della cintura: 75 cm. Larg. della cintura: 13 cm. Buenos Aires, seconda metà del XIX secolo. cbb.

4. cintura. Cuoio foderato in velluto ed argento. La cintura è stata ornata con motivi floreali e foglie ricamate, e c’è tre

2. fibbia. Argento. C’è nel centro una figura di un angelo, con sei catene corte e bottoni fatti di monete antiche (molto logorate) coniate nello stesso metallo. Lung.: 15,5

tasche con monete argentine antiche di argento, coniate in 1883. Lung.: 71 cm. Larg.: 11,6 cm. Buenos Aires, fine del XIX secolo, od inizi del XIX secolo. cbb.

cm. Larg.: 13 cm. Buenos Aires, metà del XIX secolo. cpba. 5. paio di mates. Argento. Piede in forma di calice con 3. fibbia. Argento ed oro. C’è nel centro una figura di un angelo tra fiori, con dettagli di oro cesellato. Sei catene ad annelli d’argento e monete coloniali. Diam. del centro: 7,5 cm. Lung.: 24 cm. Argentina, fine del XIX secolo. cpr. 1

diverse tipi di relievo. Il recipiente, che si appoggia su un balaustre con un coronamento di tre rami che finiscono con figure di angeli, è di stile neoclasico; diviso al centro per una decorazione. Bocca soprelevata con una modanatura. Alt.: l’uno, 20 cm., e l’altro 20,4 cm. Buenos Aires, inizi del XIX secolo. cpba.

6. mate. Argento. Tre gambe fusi con figure di angeli tra fiori. Il recipiente ha una zona centrale cesellata e la sua bocca ha decorazioni ondulate. Alt.: 11 cm. Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. css.

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7. mate. Argento. Piede in forma di calice con una fascia

12. brocca. Argento. Corpo troncoconico sfaccettato, con

centrale ed una decorazione nella base. Nel coronamento

due fasce perlate in ambi estremi, e motivi di fiori e volu-

del piede, c’è una figura di un angelo seduto. Il recipiente

te. Manico molto ornato in forma di ‘S’. Alt.: 12,2 cm.

ovoide ha decorazione nella base e nella zona centrale;

Buenos Aires, metà del XIX secolo. css.

bocca soprelevata. Alt.: 22 cm. Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. css.

13. brocca. Argento ed oro. Recipiente troncoconico, con due fasce cesellate con motivi di rami, foglie e fiori. Centro

8. mate. Argento. Piede in forma di calice segmentato e cesel-

cesellato con un’infinità di ‘0’ e monogramma centrale in

lato a flor de agua [superficialmente]. Un’aquila bicefala

oro perforato e cesellato a flor de agua [superficialmente].

come fusto ed un coronamento del piede di motivi vegetali.

Manico di linee stilizzate. Alt.: 11,6 cm. Diam.: 9,5 cm.

Il recipiente allungato ripete la decorazione del coronamen-

Corrientes, seconda mità del XIX secolo. css.

to del piede. Alt.: 20 cm. Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. Ex collezione Manuel Anchorena. cpba.

14. brocca. Argento ed oro. Recipiente troncoconico d’argento con due fasce perlate in ambi estremi. Il corpo è

9. mate con cannuccia. Argento ed oro. Base con tre

diviso in zone verticali (alternando una zona liscia e un’al-

gambe in forma di ‘S’, ognuna con la rappresentazione di

tra cesallata con figure fitomorfe e piccoli dettagli in oro).

due animali mitologici con le sue teste in ambi estremi. Il

Manico di linee stilizzate. Alt.: 11,2 cm. Diam. della

recipiente un po’ schiacciato ha un cesellato squisito di

bocca: 8 cm. Buenos Aires, fine del XIX secolo. cpba.

foglie ed applicazioni di oro con monogramma e leggende: Recuerdo e año 1892. Bocca con decorazione di oro. Cannuccia d’argento ed oro ha una lettera ‘J’ di grande dimensione ed il nome del destinario del oggetto: Julia. Alt.: 13,8 cm. Lung. della cannuccia: 24 cm. Buenos Aires, 1892 circa. css.

10. mate con cannuccia. Argento ed oro. Le sue forme si assomigliano al mate fatto con un corno, ampiamente diffuso nella regione. È un’opera di lusso, elaborata in metalli preziosi e bellamente cesellata con motivi fitomorfi. Una catena vincola ambi estremi del recipiente. Cannuccia originale, anche di argento ed oro. Alt.: 13 cm. Lung. della cannuccia: 23,6 cm. Paraguay o Litorale di Argentina, fine del XIX secolo. css.

11. cannucce. Argento. Cinque cannucce con diversi motivi ornamentali.

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15. brocca o chambao. Corno ed argento. Brocca di corno lustrato ed intagliato, con montature d’argento nella base e nella bocca (ambedue con anelli da dove si afferrava una catena, oggi scomparsa). Nel corpo del recipiente, c’è la leggenda 30 de julio de 1901 e un monogramma dentro di un cuore, e dall’altro lato, un mazzo di fiori. Lung.: 21,5 cm. Diam. della bocca: 6 cm. Argentina, 1900 circa. cdm.

16. brocca chambao. Corno ed argento. Recipiente di corno intagliato, con montature e catena d’argento. Scena intagliata con un rancho [capanna] e, nella finestra, c’è la moglie del gaucho guardando l’orizzonte; inoltre, ci sono una palma caranday, ed una gallina. Alt.: 20 cm. Entre Ríos o Corrientes, 1900 circa. cbb.

17. borraccia. Corno ed argento. Corno intagliato con disegni fitomorfi e decorazione d’argento nella base del recipiente. Lung: 35 cm. Litorale di Argentina, fine del XIX secolo. cdm.

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18. accendino all’esca. Argento e ferro. Il recipiente del-

21. daga. Argento, oro ed acciaio. Impugnatura —sfaccetta-

l’esca con forma di mascherone (un uomo barbuto con

ta e con una inusuale inclinazione— e guaina d’argento

un tappo a modo di cappello). Il percussore di ferro ed

cesellata con dettagli di rami ondulanti, foglie e fiori —

argento ha la figura di un leone. Il tappo ed il percussore

arricchita in oro—. Punta con forma di pesce mitologico

vengono uniti al recipiente con una catena. Lung. del

e nella imboccatura, piccola protezione ovale. Lama mar-

recipiente: 7 cm. Alt. del percussore: 4,8 cm. Punzone

chio Bellezza. Lung. della lama: 17,5 cm. Lung. totale:

del argentiere: Moreyra. Buenos Aires, metà del XIX

34,8 cm. Punzone: J. Podestá. Entre Ríos, fine del XIX

secolo. cpba.

secolo. cpr.

19. accendino all’esca. Argento e ferro. Recipiente dell’e-

22. coltello verijero. Argento, oro ed acciaio.

sca con forma di pera, col suo tappo. Percussore di ferro

Impugnatura e guaina di argento ed oro. L’opera ha carat-

ed argento con la figura di una lira di argento. Il tappo ed

teristiche inusuali, come l’impugnatura con la rappresen-

il percussore vengono uniti al recipiente con una catena.

tazione della Reppublica o come l’imboccatura della guai-

Lung. del recipiente: 6,2 cm. Alt. del percussore: 3,8 cm.

na perforata. Nella guaina, c’è una decorazione di motivi

Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. cpba.

fitomorfi con influenze Art Nouveau, probabilmente fatta verso 1910, l’anno della celebrazione del Centenario del-

20. coltello verijero. Argento, oro ed acciaio.

l’emancipazione argentina del regime monarchico di

Impugnatura ovale con un ricco cesellato fitomorfo;

Spagna. Lama marchio Dufour. Lung. della lama: 17,5 cm.

anche la guaina (c’è una chiusura che rappresenta un

Lung. totale: 31,7 cm. Punzone: C. (Constantino) Rey.

pugno con un mazzo di fiori). Lama inglese vittoriana,

Azul (Argentina), 1910 circa. cpba.

marchio Joseph Rodgers & Sons. Lung. della lama: 13 cm. Lung. totale: 26,8 cm. Punzone: Fernández y Casal. Buenos Aires, fine del XIX secolo. css.

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23. coltello per portare alla cintura. Argento ed acciaio. Impugnatura sfaccettata con i suoi estremi cesellati. La guaina ha una decorazione centrale, la chiusura ha una rappresentazione della testa di un cane con i suoi orecchi bassi, e la punta viene costituita da due delfini. Lama italiana (Maniago, Friuli-Venezia Giulia), marchio Fratelli Rusconi. Lung. della lama: 26,5 cm. Lung. totale: 41 cm. Punzone: Orfila. Buenos Aires, metà del XIX secolo. css.

24. daga picaza. Argento, oro, cuoio ed acciaio. Impugnatura d’argento sfaccettata con motivi vegetali cesellati. Guaina di cuoio con punta e imboccatura cesellata di argento, con una ghiera e coste di argento lisce; e protezione in forma di ‘S’. Lama incisa all’acido, marchio Armería de París. Carlos Rasetti. Buenos Aires. Lung. della lama: 39,5 cm. Lung. totale: 54,3 cm. Punzone: L. Carzolio. Buenos Aires, fine del XIX secolo. cpr.

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25. coltellaccio. Argento ed acciaio. Impugnatura e guai-

27. coltellaccio picazo. Argento, oro, cuoio ed acciaio.

na di argento; quest’ultima in origine ha sicuramente

Impugnatura d’argento ed oro, e guaina di cuoio, argento

avuto, como le opere più antiche, una custodia di cuoio,

ed oro, ambedue profusamente cesellate con motivi fito-

cui si combinava con il tallone della lama. Nella guaina,

morfi, con la sua piccola protezione —braccio di guar-

ci sono una chiusura con la rappresentazione della testa di

dia—. Lama di acciaio senza il marchio del fabbricante.

un cane con i suoi orecchi bassi ed una punta con motivo

Punzone: López y Diez. Provincia di Buenos Aires, 1950

fitomorfo che ha una pigna nell’estremo. Dettagli a buli-

circa. Lung. della lama: 28 cm. Lung. totale: 46,5 cm. cbb.

no. Lama di un’antica sciabola riutilizzata. L’opera non ha mai avuto una protezione, caratteristica di questo tipo di

28. paio di speroni. Argento e ferro. Piccoli speroni d’ar-

coltello. Lung. della lama: 19,5 cm. Lung. totale: 37,7 cm.

gento fuso e cesellato. Ambi archi con antiche restaurazio-

Punzone (del orefice o del proprietario?): B. C. Buenos

ni, fatte sicuramente per fratture a causa dell’uso.

Aires, prima metà XIX secolo. css.

Forchetta con la figura di un uccello (condor?). Rosetta di ferro, senza punte. Cinghie di cuoio e spille di argento.

26. coltellaccio picazo. Argento, cuoio ed acciaio.

Lung.: 12,8 cm. Buenos Aires, 1860 circa. cpba.

Impugnatura troncoconica circolare con un disegno speciale con fenditure. Guaina di cuoio ed argento con una ghiera centrale ed una protezione con una forma di ‘S’ quasi impercettibile. Lama coloniale di spada, riutilizzata. Lung. di lama: 30,8 cm. Lung. totale: 47,6 cm. Punzone: J. Canelo. Buenos Aires, ultimo quarto del XIX secolo. cpr.

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29. paio di speroni. Argento e ferro. Archi ampli, perforati

31. paio di speroni. Argento, oro e ferro. Archi di argento

e cesellati. Disco fuso e cesellato con motivi di foglie.

con decorazione cesellata di fiori d’oro. Cinghie superiori

Forchetta reniforme con una fiore centrale. Rosetta di

di canutiglie e forchetta con la figura di un cavallo, anche

ferro senza punte; con i parafango di argento. Cinghie

perforata e cesellata in oro. Con il monogramma in oro

superiori di canutiglie e cinghie inferiori di catene (poste-

del loro proprietario originale: E. G. Lung.: 18 cm. Larg.:

riori?), ambedue di argento. Lung.: 22,8 cm. Punzone:

10,5 cm. Punzone: Carzolio. Buenos Aires, inizi del XX

Risso. Entre Ríos, seconda mità del XIX secolo. cpr.

secolo. cbb.

30. paio di speroni. Argento, oro e ferro. Nell’arco, ci sono

32. medaglia. Argento. Una delle grandi opere della meda-

le lettere perforate in oro del loro antico proprietario:

glistica argentina, fatta per commemorare il Patto

Fulgencio Venegas (il nome nell’uno ed il cognome nell’al-

dell’Unione Nazionale di 1860, anche conosciuto come

tro). Disco tondo, tornito e con rilievo. Forchetta con la

Giura della Costituzione Nazionale. Nel rovescio e tra

figura di un dragone e rosetta di ferro perforata e limata.

due rami, la leggenda: A la Unión Nacional de la

Cinghie superiori di canutiglie. Lung.: 22,5 cm. Peso:

República Argentina. 1860, e nel perimetro: Al Gran

2.200 gr. Punzone: A. Bianchi. Provincia di Buenos Aires,

Pueblo Argentino Salud. Diam: 5,5 cm. Autore: Pablo

inizi del XX secolo. css.

Cataldi. Buenos Aires, 1860. cpr.

schede delle opere

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33. taba. Osso e bronzo. Composta dall’osso astragalo o

37. finimento: bastos de soga. Tetiera, redini, pettorale,

dallo zoccolo —della zampa della mucca— messo in

fiador [specie di collare], freno, frustino, speroni, coltello

rame. Alt.: 5 cm. Lung.: 7,3 cm. Argentina, inizi del XX

caronero, staffe, sella, sudadera [pezzo di cuoio], gualdrap-

secolo. cpba.

pa, matras [pezzi di tela], sottopancia ed encimera [parte della sottopancia], cuscinetto di filo, sobrepuesto [pezzo di

34. figura ornamentale. Argento. Due cavallerizzi (fem-

tela ricamata] e pehual [spece di sottopancia]. Autore:

minili?) montati in un cavallo; con un anello per appen-

Casimiro Gómez. Il finimento ha appartenuto a Nicanor

derla. Il design è ispirato nel motivo del centro di una

Salas Chávez, capo della zona sud della Grande Buenos

rastra [fibbia] —vedere item 1—, cui cavallerizzo originale

Aires. Buenos Aires, 1920 circa. Ex collezione Darío

è un gaucho che fuma mentre cavalca. Alt.: 9,5 cm. Larg.:

Anasagasti. Ex collezione Eusebio A. Castro. cjcp.

7,2 cm. Buenos Aires, fine del XIX secolo. csb. 38. finimento: sirigote. Argento, cuoio, lana. Sella anti35. finimento: lomillo chapeado. Sella da montare

ca (restaurata) con arcioni d’argento e marchio di bestia-

—lomillo— fatta per la Selleria Mataldi; staffe tipo de

me in oro del suo proprietario originale. Testiera di

arco, d’argento, punzone Argüello. Frustino di anello.

lamine d’argento con un mascherone con un sole nel

Speroni stile de piquería, d’argento. La testiera ed il fiador

frontale. Redini tessute in filo di argento e freno di ferro

[specie di collare] è di lamine di argento, e le redini dello

con un lucchetto, pontezuela [ornamento in forma di

stesso materiale, con bombas e pasadores [piccoli ornati].

mezzaluna che pende dal freno] e anneli massicci d’ar-

Sottopancia ed encimera [parte della sottopancia] (con-

gento; ci sono copas [ornamenti del freno] di argento.

temporanea. Autore: Alejandro Marente). Gualdrappa di

Fiador [specie di collare] di lamine di argento articolate

cuoio. Jergas [tessuti grossi] mapuches. Cuscinetto. Buenos

con tondi cesellati. Gualdrappa di cuoio. Cuscinetto di

Aires, elementi di diverse epoche. cbb.

filo. Jergas [tessuti grossi] del litorale. Sobrepuesto e sobrecincha [spece di sottopancia] di agnello. Paio di staffe di

36. finimento: bastos. Cuoio, argento, oro e lana di peco-

argento, tipo piquería, con pasadores [piccoli ornati] e

ra. Testiera, capestro, redini, freno, pastoia, sella, sudade-

mascherone con testa di leone. Litorale argentino, ele-

ra [pezzo di cuoio], due mandiles [cuscini], due matras

menti di diverse epoche. cdm.

[pezzi di tela], gualdrappa, sottopancia ed encimera [parte della sottopancia], staffe con staffile, cuscinetto,

39. testiera. Argento. Testiera con le sue cinghie laterali di

sobrepuesto de ciervo [pezzo di cuoio], cinchón de dos vuel-

lamine d’argento e rosetones [ornati circolari] di lamine

tas [specie di sottopancia], pettorale di cuoio ed argento

perforati, sovrapposti e cesellati; e nel estremo inferiore, le

con motivo di fiori (viola del pensiero), speroni, frustino,

chiusure per sostenere il freno con il motivo di un viso

coltello, e fibbia con cintura. Poncho. Tutte le opere di

umano. Ci sono uno scudo della Confederazione Argen-

argento portano il punzone J. Lanata, tranne gli speroni

tina nel centro del frontale ed un ornato —con la stessa fac-

ed il frustino, ambedue anonimi. Buenos Aires, prima

cia delle chiusure— nel centro della capezzina ma circon-

metà del XX secolo. cbb.

dato da un sole. Lung.: 42,5 cm. Lang.: 46,5 cm. Punzone: Risso. Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. cpr.

schede delle opere

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40. testiera. Argento. Testiera di lamine d’argento fuse, perforate e cesellate. C’è nel centro del frontale un sole, una mezzaluna ed il viso di un Eolo soffiando. Le lamine delle cinghie laterali si uniscono tra esse per mezzo di un anello schiacciato e scanalato; le chiusure anche di argento hanno teste di leone nei loro estremi. Lung.: 39,5 cm. Lang.: 40 cm. Argentina, seconda mità del XIX secolo. css.

41. redini. Argento. Redini schiacciate tessute in fili di argento con bombas [piccoli ornati] anche di argento e pencas [fruste]. Lung.: 200 cm. Punzone: A. Ferreyra.

48

Buenos Aires, 1840 circa. cbb. 45. freno. Lega e ferro. Aste di lega con un motivo di un 42. paio di redini. Argento. Fatte con fili di argento tessuti,

angelo con uno scudo, e pontezuela [ornamento in forma

di sezione circolare. Ambedue vengono unite da una cate-

di mezzaluna che pende dal freno] di catena. Lung.: 18

na trasversale, e vengono finite in pencas [fruste]. Lung.:

cm. Lang.: 14,6 cm. Argentina, inizi del XX secolo. cdm.

250 cm. Litorale di Argentina, XIX secolo. cdm. 46. fiador [specie di collare]. Argento. Lamine rettango43. freno. Argento, oro e ferro. Freno di argento massiccio,

lare e fioroni fusi e cesellati con anello di chiusura (per

anche le sue copas [ornamenti del freno] e la pontezuela

sostenere la pastoia). Ci sono fioroni grandi e piccoli (dove

[ornamento in forma di mezzaluna che pende dal freno]

appare la rappresentazione dello Spirito Santo). Lung.: 82

(fissa), decorata con il monogramma del suo proprietario

cm. Litorale argentino, seconda mità del XIX secolo. cdm.

originale: C. E. V. Avrebbe appartenuto al generale Conrado Excelso Villegas (1841-1884). Filetto di ferro. Lung.: 33,5 cm. Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. cpr.

47. pastoia. Argento. Maglia tessuta in fili d’argento con fiori ed anelli realizzati anche in argento. Lung.: 30,3 cm. Argentina, fine del XIX secolo. cpr.

44. freno. Argento e ferro. Aste d’argento con una rappre-

47

sentazione del corno dell’abbondanza ed un fiorone.

48. paio di staffe con staffili. Argento e cuoio. Staffe

Pontezuela [ornamento in forma di mezzaluna che pende

tipo campana con staffili ornati con pasadores [piccoli

dal freno] di catena di argento liscia. Barbozzale seconda-

ornati] cilindrici lunghi (cuoio moderno). Panca perforata

rio di ferro articolato. Lung.: 20,5 cm. Lang.: 18,5 cm.

e liscia. Baranda [parte inferiore della panca] con due fiori,

Punzone: Risso. Entre Ríos, fine del XIX secolo. cpr.

foglie ed una rocaille; fondo tipo stuoia. L’arco ha una sola curvatura nella sua base ed è ornato con un piccolo mazzo di foglie, con esfere insieme al occhio. Alt.: 19,5 cm. Ap.: 9,3 cm. Lang.: 12,2 cm. L., pasador: 21,5 cm. Punzone: C. (Cándido) Silva. Buenos Aires, metà del XIX secolo. cpba.

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49. paio di staffe. Argento. Modello chiamato ‘di arco’. L’occhio è trasversale con decorazione fitomorfi. L’arco con righe ha ornamentazioni di foglie cesellate. La panca viene perforata, con due cuori. Baranda [parte inferiore della panca] ornati con righe sviluppate in forma radiali. Alt.: 13,8 cm. Ap.: 8,3 cm. Punzone: Machado. Buenos Aires, metà del XIX secolo. cpr.

50. paio di staffe con staffili. Argento e cuoio. Staffe tipo ‘di arco’. Nella baranda [parte inferiore della panca], ci sono un personaggio barbuto e un bottone d’oro (fatto da una moneta). Staffili di cuoio (moderni) con pasadores [piccoli ornati] schiacciati e fiorone centrale con il motivo di un cuore. Marchio del autore non identificata. Alt.: 18,5 cm. Ap.: 9 cm. Lung. delle staffili: 48,5 cm. Buenos

52

Aires, metà del XIX secolo. cpba. 52. paio di staffe sureros con staffili. Cuoio ed argen51. paio di staffe. Un arco di grandi dimensioni. Baranda

to. Grandi staffe circolari di cuoio, decorato con lamine

[parte inferiore della panca] fusa e cesellata con il bordo

perforate e cesellate, con il monogramma del proprietario

inferiore ornato di festoni. Ornamentazione di foglie e

originale. Staffili con pasadores [piccoli ornati] corti e

fiori con un cartiglio centrale senza un’iscrizione.

bomba [piccolo ornato] centrale di argento. Alt., staffe:

Punzone: E. (Eugenio) Caldará. Alt.: 22,3 cm. Ap.: 8,8

20,4 cm. Ap.: 9,5 cm. Lung., staffili: 64 cm. Punzone:

cm. Rosario, provincia di Santa Fe, Argentina, fine del

Amoroso y Llera. Olavarría, provincia di Buenos Aires,

XIX secolo. cpr.

1940 circa. cjcp.

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56. frusta: azotillo. Argento. Corpo di argento di sezione circolare, cesellato con diversi motivi ed intercalati con spicchi.

Impugnatura di catena anche d’argento.

Linguetta con quattro catene di fili di argento ritorti. Lung. del corpo: 29,5 cm. Litorale di Argentina o sud del Brasile, prima mità del XIX secolo. cpr.

57. frusta. Argento e cuioi. Corpo di argento e cinghie di 53

54

55

cuoio tessute. Il corpo viene diviso in quattro parti per mezzo di applicazioni, due cesellate e due tessute in fili di

53. frustino di anello. Argento e cuoio. Corpo liscio sfac-

argento. Impugnatura in forma di testa di cavallo e catena

cettato con decorazione e cesellato nel centro ed in ambi

di argento per sostenerla. Lung. del corpo: 42,3 cm.

estremi. Anello di bordi esterni sfaccettati ed interni cir-

Uruguay o litorale argentino, fine del XIX secolo. cpr.

colari. Impugnatura e linguetta moderne di cuoio tessuto. Lung. corpo ed anello: 26 cm. Lung. totale: 90 cm.

la fede della tradizione gauchesca

Buenos Aires, seconda mità del XIX secolo. ccb.

58. ex voto. Argento. Insieme di 38 ex voto con diversi motivi rurali; come case, coltellacci, attrezzi, cavalli, mucche,

54. frustino di anello. Argento, oro e cuoio. Il corpo, di

pecore, porci, e galline. Argentina, XIX e XX secoli. csb.

diametro maggiore nel centro, ha tre applicazioni lisce

58

d’oro. Anello di argento con dettagli di oro; impugnatura tessuta di cinghie di cuoio e linguetta di cuoio. Lung. del corpo e dell’anello: 30 cm. Lung. totale: 77,5 cm. Buenos Aires, 1880 circa. ccb.

55. frustino con catena. Corno, argento, oro e cuoio. Il corpo viene composto da dischi di corno, con applicazioni di argento ed oro; con il monogramma del suo proprietario originale. Lung. del corpo: 42 cm. Lung. totale: 104,5 cm. Punzone: A. Montes. Buenos Aires, inizi del XX secolo. cbb.

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59. due ex voto. Argento. Vergine di Luján. Alt.: 6 e 4 cm. Inizi del XX secolo. csb.

60. vergine di luján. Legno intagliato e policromato, e corona d’oro perforata e saldata. Alt.: 18 cm. Argentina, XIX secolo. csb.

61. vergine di luján. Legno intagliato e policromato, e piccola corona d’oro perforata e saldata. Alt.: 9,5 cm. Argentina, fine del XIX secolo. csb.

62. vergine maria. Argento ed oro. Si è stata fusa in argento e cesellata, con decorazioni in oro di volute, foglie e fiori perforate, cesellate. Alt.: 7,5 cm. Lang.: 5,5 cm. Argentina, XIX secolo. cbb.

los pallarols, oreficeria per generazioni 63. bacolo. Argento vermeille. Autore: José Pallarols y Torras, 1905 circa. L’opera è stata trovata tra le rovine della Chiesa di San Francesco (città di Buenos Aires), è stata spezzata a causa delle profanazioni di chiese cattolica in 1955. Alt.: 36 cm. Lang.: 19,5 cm. cjcp.

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64. stendardo. Argento, oro, smalto e pietre preziose.

modanature. I lavori in argento (i candelieri, lo splendore,

Realizzata da Carlos Pallarols Cuni, con il ricamato in fili

i canti ed il teschio con le tibie incrociate) sono stati fatti

di argento fatto dalla madre dell’orefice, Carolina Cuni.

da Juan Carlos Pallarols. Alt.: 137 cm. Lang.: 70 cm.

Lung.: 81 cm. Alt.: 55 cm. Buenos Aires, 1934 circa.

Profondità: 44 cm. Buenos Aires, fine del XX secolo. cpba.

65. calice. Oro, argento e pietre preziose. Il calice è stato uti-

68. incensiere con vassoio. Argento. L’incensiere rappre-

lizzato nel Congresso Eucaristico di 1934, a Buenos Aires, dal

senta la figura di un uccelo, la pernice copetona. Alt: 35

Legado Pontificio Eugenio Paccelli. Alt.: 38 cm. Punzone:

cm. Diam. del vassoio: 28 cm. Autore: José Pallarols y

Carlos Pallarols Cuni. Buenos Aires, 1930 circa. casscmba.

Torras. 1920 circa. cjcp.

66. ostensorio. Argento vermeille, bronzo e pietre. Base con

69. mate con figura di angeli. Argento. Base triango-

tre piedi, ornati con teste di angeli. Fusto con nodo cen-

lare di lati concavi, con tre angeli seduti. Fusto con il

trale che nel suo coronamento ha un angelo, su cui viene

suo coronamento. Recipiente di forma complessa, con

posto l’ostensorio (dove si alternano volute e raggi) ed una

il suo centro più grande e cesellato, che si appoggia su

croce. Punzone: Pallarols. Buenos Aires, 1945 circa. cjcp.

una base di cui pendeno lamine di argento —ispirate in orecchini di gioielleria mapuche—. Alt.: 22,5 cm.

67. crocifisso. Avorio, legno ed argento. Scultura in Avorio. Croce di legno appoggiata su una pedana con

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Punzone: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporaneo. cjcp.

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72. brocca. Argento. L’opera è ancora in processo di elaborazione. Motivi di cardi, caratteristici della pianura 73

bonaerense. Alt.: 14,2 cm. Diam. della bocca: 10,7 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contempo-

70. mate con vassoio e con la sua cannuccia. Argento.

raneo. cjcp.

Vassoio con bordi ondulati. Sulla base del mate —di sezione circolare ed appena elevata—, ci sono sei cherubi-

73. testiera con freno e redini. Argento, oro, ferro e

ni (tre suduti, gli altri in piede che sostengono il recipien-

cuoio. Testiera di anelli di argento schiacciati, fusi e cesel-

te). La forma del recipiente si ispira nei mates fatti con

lati; con un freno di copas [ornamenti del freno] (con leg-

zucche con bocca e base di argento, ma qui tutto è di

genda a bulino) e pontezuela di argento [ornamento in

argento. La cannuccia ha due figure mitologiche. Alt.:

forma di mezzaluna che pende dal freno], con dettagli di

24,8 cm. Diam. del vassoio: 18,5 cm. Punzone: Juan Carlos

oro. Redini di argento e cuoio. Testiera: Lung. 40 cm.

Pallarols. Buenos Aires, contemporaneo. cjcp.

Lang. 40 cm. Freno: Lung. 22 cm. Lang. 19 cm. Redini: Lung. dell’argento: 92 cm. Lung. totale: 190 cm.

71. mate con cannuccia e bollitore. Argento, zucca,

Punzone: Juan Carlos Pallarols. Contemporaneo. cjcp.

legno. Il mate di zucca, con la sua bocca e cannuccia di argento. Il bollitore, ispirato in un’opera antica europea

74. pettorale. Argento. Anelli schiacciati, fusi e cesellati,

utilizzata nel Río de la Plata, è di argento e legno. Alt. del

composti di maggiore a minore, con un medaglione cen-

mate: 11,6 cm. Diam. del bollitore: 16,2 cm. Punzone:

trale. Lung.: 161 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols.

Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporaneo. cjcp.

Contemporaneo. cjcp.

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75. coltello verijero. Argento ed acciaio. Tutta l’opera con

100. coltello per portare alla cintura. Argento ed

spicchi, e dettagli di foglie e fiore. Chiusura con la rappre-

acciaio. L’ornamentazione ha un squisito lavoro di foglie

sentazione di un pesce mitologico. Lama marchio Dufour.

e fiori fatto a bulino. Nella chiusura, c’è uno spazio (ma

Lung. della lama: 13 cm. Lung. totale: 30 cm. Punzone: José

non utilizzato) per il monogramma del proprietario.

Pallarols y Torras. Buenos Aires, 1920 circa. cjcp.

Lung. della lama: 25 cm. Lung totale: 42 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols, contemporaneo. cjcp.

76. coltello verijero. Argento, oro ed acciaio. Il coltello, di stile olavarriense, è profusamente cesellato. Chiusura

79. coltello per portare alla cintura. Argento, oro

con un mascherone. Non c’e la punta perché è ancora in

ed acciaio. Liscio e con dettagli cesellati. Si distinguono

processo di elaborazione. Lama marchio J. M. Rodgers &

la bella chiusura cesellata, le applicazioni anche cesella-

Son. Lung. della lama: 12,6 cm. Lung. totale: 25 cm.

te ed il ramo di lauro che si sviluppa lungo tutto il peri-

Punzone: Juan Carlos Pallarols. Contemporaneo. cjcp.

metro. La guaina ha uno scudo nobiliare del suo proprietario originale. Lung. della lama: 23,4 cm. Lung.

77. coltello per portare alla cintura. Argento, oro ed acciaio. Impugnatura sfaccettata e guaina con applicazioni in

totale: 42 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols. Contemporaneo. cjcp.

oro; profusamente cesellati con volute, foglie e fiori. La chiusura ha una rappresentazione di un pesce mitologico. Lama marchio Defensa. Lung. della lama: 28 cm. Lung. totale: 45,8 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols. Contemporaneo. cjcp.

schede delle opere

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80. spadino correntino. Argento, oro ed acciaio. L’impugnatura con bracci di guardia fatta in argento. Guaina anche di argento, profusamente cesellata, con dettagli in oro (lo scudo nazionale, una piuma). Lama di una sciabola coloniale riutilizzata. Lung della lama: 60,6 cm. Lung. totale: 81 cm. Punzone: Juan Carlos Pallarols. Contemporaneo. cjcp.

81. bozzetti. Matita su carta. Due bozzetti di opere fatte dalla famiglia di orefici Pallarols. Buenos Aires, XX secolo. cjcp.

82. bozzetti. Matita su carta. Due bozzetti di opere fatte dalla famiglia di orefici Pallarols. Buenos Aires, XX secolo.

84

cjcp. 82

86

i tessili del gaucho 83. ñimin makuñ. poncho de labor mapuche. Lana di pecora e coloranti naturali. Fatto in un unico pezzo di tessuto, senza frange. È stata tessuta con la tecnica de labor in un telaio aborigeno, con cinque bande. Colori: nero e naturale. Lung.: 170 cm. Larg.: 157 cm. Argentina o Cile, XIX secolo. cepp.

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84. ñimin makuñ. poncho de labor mapuche. Lana di pecora e coloranti naturali. Fatto in un unico pezzo di tessuto con la tecnica de labor in un telaio aborigeno, con

88

cinque bande ispirate in una variazione della scacchiera. Con frange strutturale. Colori: nero e naturale. Lung.: 132 cm. Lang.: 160 cm. Argentina o Cile, XIX secolo. cepp.

87. poncho. Lana di pecora e seta. Tessuto in un telaio creolo in due parti, ed poi unite. Ci sono frange perimetrali e bande di colori in degradè. Lung.: 155 cm. Lang.: 119 cm. Frange: 5

85. ñimin makuñ. poncho de labor mapuche. Lana di

cm. Centro di Argentina, metà del XIX secolo. cdc.

pecora e coloranti naturali. Fatto in un unico pezzo di tessuto con la tecnica de labor in un telaio aborigeno, con

88. poncho di sessanta bande. Seta e cotone. Motivi di

cinque bande con frange strutturale. Colori: nero, natura-

bande, con nastro perimetrale e frange. Fatti nel Paraguay

le e rosso, con bande in rosso, viola e arancione. Lung.:

—si chiamano ‘ponchos di estate’— ma si sono molto uti-

193 cm. Lang.: 153 cm. Argentina o Cile, XX secolo. cepp.

lizzati nella provincia argentina di Corrientes. Si dice, per tradizione, che questo poncho è venuto utilizzato dall’uffi-

86. trarükan makuñ. poncho de guarda atada mapu-

ciale correntino Juan Vicente Pampín. Lung.: 181 cm.

che. Lana di pecora. Tessuto con la tecnica di amarrado

Lang.: 150 cm. Nastro e frange: 12 cm. Piribebuy

(tinto dell’ordito per mezzo di amarras, prima di fare il

(Paraguay), metà del XIX secolo. cdm.

tessuto). Ci sono tre bande con motivi di croci a scaglioni concentrici. Con frange strutturale. Colori: rosso e

89. poncho salteño. Lana di pecora. Rosso con frange, con

naturale. Lung.: 132 cm. Lang.: 131 cm. Argentina o Cile,

bordini ed un fiocco neri, a causa del lutto per la morte del

XIX secolo. cepp.

generale Miguel José de Güemes, governatore e capo del

schede delle opere

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nord dell’Argentina agli albori della patria. Lung.: 200 cm. Lang.: 137 cm. Salta (Argentina), 1980 circa. cjcp.

90. poncho arribeño. Lana di pecora. Poncho tessuto in due parti e decorato con bande di diverse colori. Nero con bande in colore naturale, viola, rosa, nero grafite, grigio, arancione e giallo. Lung.: 157 cm. Lang.: 136 cm. Peso: 1.770 gr. Nord di Argentina o Bolivia, inizi del XX secolo. cbb.

91. trarüchiripa. Fascia di uomo, mapuche. Lana di pecora. Tessuta in lana di peccora. Il design è complesso: ci sono diversi motivi simbolici. Lung.: 258 cm. Lang.: 5 cm. Argentina o Cile, seconda mità del XIX secolo. cepp.

92. trarüchiripa. fascia di uomo, mapuche. Lana di

95

pecora. Tessuta in lana di pecora con frange nei suoi estremi. Il design è geometrico con diversi motivi simbolici.

94. paio di cinghie mapuche. Fili di cotone mercerizzato.

Lung.: 237 cm. Lang.: 4,4 cm. Argentina o Cile, seconda

Cinghie tessute con motivi geometrici per essere utilizzate

mità del XIX secolo. cepp.

negli stivali di cuoio di puledro. Lung.: 116 cm. Lang.: 1,8 cm. Argentina o Cile, fine del XIX secolo od inizi del XX

93. ñimin-trariwe. fascia di donna, mapuche. Lana di

secolo. cepp.

pecora. Viene rappresentato il mito aborigeno del Lukutuel, dove c’è la figura di un orante. Lung., con fran-

95. matra. Lana di pecora. Tessuta a mano, tinta con colo-

ge: 334 cm. Lang.: 8,3 cm. Argentina o Cile, fine del XIX

ranti naturali e tessuta in un telaio aborigeno. È stata

secolo od inizi del XX secolo. cdc.

molto utilizzata dal gaucho nei suoi finimenti. Lung.: 93

118,5 cm. Lang.: 107 cm. Argentina o Cile, prima mità del XX secolo. cbb.

96. matra. Lana di pecora. Filata a mano, tinta con coloranti naturali e tessuta in un telaio aborigeno. È stata molto utilizzata dal gaucho nei suoi finimenti. Lung.: 103 cm. Lang.: 88 cm. Argentina o Cile, metà del XX secolo. cpba.

97. (Libro) José Hernández. El Gaucho Martín Fierro. 15º edizione. Buenos Aires. 1894. cdc.

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98. (Libro) José Hernández. La vuelta de Martín Fierro. 10º edizione. Buenos Aires. 1894. cdc.

il sacerdote brochero 99. (Libro) Fray J. de San Alberto. Voces del Pastor en el retiro. Dispertador, y ejercicios espirituales, para vivir y morir bien con la asistencia del glorioso Patriarca San Joseph, (…). Buenos-Ayres, Real Imprenta de los Niños Expósitos, 1789. 104

100. (Libro) Efraín F. Bischoff. El Cura Brochero. Córdoba, Editoriale Libreria Cervantes, 1953.

101. (Libro) Fray Contardo Miglioranza. El Cura Brochero. Buenos Aires, Misiones Franciscanas Conventuales / Casa del Cura Brochero, 1985.

102. Tre oggetti storici che appartengono alla Casa di esercizi spirituali eretta dal sacerdote Brochero: un piatto di maiolica utilizzato dai chi fanno quelli esercizi, un mat-

108

tone originale ed un piccolo pezzo di legno di carrubo, fatto da una catena del suo tetto. cmb.

106. Juan León Pallière (1823-1887). Suonando chitarre. Acquerello su carta. 24 x 32,6 cm. cpba.

103. paio di staffe. Legno e ferro. Intagliato in legno con ghiere di ferro per potere unirle agli staffili. Alt.: 15 cm.

107. Juan León Pallière (1823-1887). Ballando gato nel capan-

Lang.: 12 cm. Utillizzate da cavallerizzi di montagna, ed,

none. Acquerello su carta. 20 x 23 cm. Ex collezione

in effetto, così è stato utilizzato dal sacerdote Brochero

García Lawson. cpba.

nel ultimo quarto del XIX secolo. cpba. 108. Adolfo Methfessel (1836-1909). Leva di gauchos. Olio su

iconografia. pitture

cartone. 23 x 33 cm. cpba.

104. Emeric Essex Vidal (1791-1861). Bozzetto di un lattaio. Acquerello su carta. 23 x 31 cm. cpba.

109. Martín L. Boneo (1829-1915). Senza titolo. Olio su tela. 38 x 54 cm. cpba.

105. Johann Moritz Rugendas (1802-1858). Gaucho sudamericano. Olio su tela. 36,5 x 21 cm. cpba.

110. Martín L. Boneo (1829-1915). Funerale accanto al fiume. Olio su tela. 40 x 53 cm. 1874. cpba.

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111. Ángel Della Valle (1852-1903). Il ritorno dell’incursione degli indiani, la prigionera. Olio su tela. 76 x 63 cm. cpba.

112. Bernabé Demaría (1824-1910). Cantando le sue angosce. Olio su tela. 28 x 38 cm. cpba.

113. Alfredo Gramajo Gutiérrez (1893-1961). Peregrinazione al calvario. Olio su tela. 27 x 42 cm. cpba.

iconografia. stampe

115

114. Fernando Brambila (1750-1832). Modo di allacciare il bestiame bovino nella campagna di Buenos Aires. Litografia. 19,6 x 24,4 cm. Madrid, fine del XIX secolo. cpba.

115. Fernando Brambila (1750-1832). Caccia alle pernice nelle Pampas di Buenos Aires. Litografia. 19,6 x 24,4 cm. Madrid, fine del XIX secolo. cpba.

116. W. Holland. Un peone o Modo sudamericano di allacciare. Litografia. Londra, 1808. 55 x 70 cm. ced. 119

117. G. Gallina (1796-1874). Scena gauchesca (gioco delle

118. Gregorio de Ibarra (1814-1883). Il gaucho allacciando.

carte). Stampa a colori. 22,5 x 30 cm. Pubblicado in Il

Litografia. 25,7 x 18 cm. Foglio Nº1, dell’album Trages

Costume Antico e Moderno. Ci sono edizioni italiane tra

(sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). Pubblicato dalla

1817 e 1838. cdc.

Litografia Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba. 114

119. Gregorio de Ibarra (1814-1883). Una corsa. Litografia. 25,7 x 18 cm. Foglio Nº18, dell’album Trages (sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). Pubblicato dalla Litografia Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba.

120. Gregorio de Ibarra (1814-1883). La marcatura in una tenuta agricola. Litografia. 25,7 x 18 cm. Foglio Nº19, dell’album Trages (sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). Pubblicato dalla Litografia Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba.

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124. Adolphe D’Hastrel (1805-1875). Gaucho della Provincia di Corrientes. // (tra il fiume Paraná e Uruguay). Stampa a colori. 265 x 205 mm. È parte dell’album Musée de 122

Costumes. Parigi, Ancienne Mont Aubert, 1850. cpba.

121. Carlos Morel (1813-1894). Litografo Gregorio de G.

125. Juan León Pallière (1823-1887). La fermata nella pampa

Ibarra: Un’ora prima di partire. Litografia. 28 x 37,2 cm. È

(Reppublica Argentina). Litografia. 20 x 32,5 cm. È parte

parde della Serie grande, pubblicato dalla Litografia

dell’album Escenas americanas. Buenos Aires, Tipografia

Argentina. Buenos Aires, 1839. cdc.

Pelvilain, 1864. cdc. 125

122. Carlos Morel (1813-1894). Litografo Gregorio de Ibarra: La Media-Caña. Litografia. 23 x 31 cm. È parde della Serie grande, pubblicato dalla Litografia Argentina. Buenos Aires, 1839. cpba.

123. Oudart secondo D’Orbigny. Cocos Yatay. (…) Breton Sculpt. (Botanique, Palmiers). Stampa colorata. 35,5 x 24 cm. Parigi, Tipografia Langlois, 1840 circa.

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126. Juan León Pallière (1823-1887). Scena romantica con un gaucho ed una donna. Litografia. 20 x 32,5 cm. È parte dell’album Escenas americanas. Buenos Aires, Tipografia Pelvilain, 1864. cdc.

127. Juan León Pallière (1823-1887). Agave e ombù (Reppublica Argentina). Litografia. 20 x 32,5 cm. È parte dell’album Escenas americanas. Buenos Aires, Tipografia Pelvilain, 1864. cdc.

126

128. Juan León Pallière (1823-1887). Un nido nella Pampa (Reppublica Argentina). Litografia. 20 x 32,5 cm. È parte dell’album Escenas americanas. Buenos Aires, Tipografia Pelvilain, 1864. cdc. 124

127

129

129. Anonimo. Tipi della America del Sud. Parigi. Famiglia di gauchos stabilita attualmente nel Giardino di Acclimatazione. Stampa colorata a mano. 25,4 x 33,3 cm. Esposizione Universale di Parigi di 1867. cdc.

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134. M. Leon & J. Levy. Carte-de-visite. Leggenda: Cacciatori e cavalli, America del Sud. Fotografia all’albumina su cartone, con bolli dello studio fotografico. 9,8 x 5,8 cm. Rappresentazione del gaucho nell’Esposizione Universale di Parigi, 1867. cdc.

135. Annullato.

137

132

130. Anonimo. Sosta nella Pampa. Manoscritto: Posta. Stampa. 18 x 12,5 cm. Pubblicada nell’opera del viaggiatore italiano Pellegrino Strobel Viaggi nell’Argentina Meridionale effetuati negli anni 1865-1867. Torino, 1867. La scena riproduce con alcune variazioni una fotografia fatta nell’Argentina da Esteban Gonnet verso 1866. cpba 139

13i. Annullato.

132. Jules Lavée. Un gaucho. Stampa colorata a mano. 24,5 x 15,8 cm. Pubblicata in un giornale europeo verso 1875. cdc.

iconografia. fotografie antiche 133. Benito Panunzi (1819-1894). Abitanti della campagna. Fotografia all’albumina su cartone. 22,6 x 29,6 cm. Argentina. Data manoscritta: 1.7.1862. cdc.

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136. Samuel Rimathé (1862-?), attribuito. Tipo di Gaucho

140. Samuel Rimathé (1862-?). Il gioco della taba. Gelatina

(secondo la leggenda manoscritta ad inchiostro). Foto-

d’argento. 16,1 x 22,3 cm. Argentina. Riproduzione poste-

grafia all’albumina su cartone. 9,5 x 14,5 cm (fotografía).

riore; la foto originale è stata fatta verso il 1895. cfrc.

Argentina, 1895 circa. Si mostra la stessa immagine stampata ma come cartolina. cdc.

141. Samuel Rimathé (1862-?). Carretta. Gelatina d’argento. 16,1 x 22,3 cm. Argentina. Riproduzione posteriore; la

137. Harry Grant Olds. Corsa di cavalli. Gelatina d’argento. 14

foto originale è stata fatta verso il 1895. Rieditata come

x 20 cm. Buenos Aires, 1900 circa. L’immagine è stata ripro-

cartolina con il titolo: Carretta ‘Urrà per chi mi protegge’

dotta come cartolina con il titolo Corsa di Gauchos. cdc.

(sic). cfrc.

138. Samuel Rimathé (1862-?), attribuito. Locale commerciale

142. Francisco Ayerza. Gaucho insieme al suo cavallo.

di campagna. Fotografia all’albumina su cartone. 13,8 cm.

Fotografia all’albumina su cartone. 19 x 28,5 cm. Buenos

x 20,8 cm. Argentina, 1895 circa. cpba.

Aires, 1895 circa. cpba.

139. Samuel Rimathé (1862-?). Capanna. Fotografia all’albumina su cartone. 12,5 x 20 cm. Argentina, 1895 circa. cpba.

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143. Francisco Ayerza. Un riposo nei lavori. Gelatina d’argento su cartoncino. 18 x 24 cm. Argentina, 1895 circa. È stata riprodotta come cartolina con il titolo Per il viaggio. cmg.

144. Francisco Ayerza. Condividendo un mate. Gelatina d’argento su cartoncino. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895 circa. cmg.

148

145. Francisco Ayerza. Un ultimo tributo. Gelatina d’argento

149

su cartoncino. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895 circa. cmg.

146. Sociedad Fotográfica Argentina de Aficionados (vedere item anteriore). Costumi della Campagna della Reppublica Argentina. Un ultimo tributo. Cartolina. Editore R. Rosauer. Buenos Aires, inizi del XX secolo.

147. Francisco Ayerza. Scena romantica di una donna con un gaucho che parlano senduti sulla vera di un pozzo d’acqua. Gelatina d’argento su cartoncino. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895 circa. cmg.

148. Francisco Ayerza. Suonatore straniero di organetto con una scimmia ballando. Gelatina d’argento su cartoncino. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895 circa. cmg.

149. Francisco Ayerza. Conversando accanto ad una staccionata. Gelatina d’argento su cartoncino. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895 circa. cmg.

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150. Anonimo. Scena in un locale commerciale di campagna. Gelatina d’argento. 18 x 24 cm. Argentina, 1890 circa. cpba. 157

151. Samuel Boote (1844-1921). Gaucho con la sua chitarra: Il cantastorie. Fotografia all’albumina su carta. 15 x 18 cm.

152. Arturo W. Boote (1861-1936). Gaucho accanto al suo

Buenos Aires, 1890 circa. L’immagine è stata anche ripro-

cavallo sellato. Fotografia all’albumina su carta. 17,2 x 22

dotta in cartoline. cpba.

cm. Buenos Aires, 1890 circa. cdc.

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153. Clemente Onelli? Sempre con il mate. Gelatina d’argen-

157. Harry Grant Olds. Mettendo l’anello (gioco). Campagna

to, colorata a mano. 31,5 x 26,5 cm. Buenos Aires, 1890

Argentina. Cartolina. 8,8 x 14 cm. Argentina, 1901 circa.

circa. Questa fotografia apparteneva a Clemente Onelli.

Questa cartolina proviene della fotografia ‘Mettendo l’a-

Ex collezione Paladino Giménez. cdc.

nello, tenuta agricola Las Palmas’. cdc.

154. Harry Grant Olds (1869-1943). Arastro con buoi.

158. Harry Grant Olds. Lavori della campagna. Facendo un

Gelatina d’argento. 19 cm. x 23,3 cm. Nel rovescio, il bollo

finimento. Cartolina. Data: 6 gennaio 1928. È stata spedita

dello studio fotografico, con il suo indirizzo di Buenos

da un collezionista di cartoline. La fotografia è stata scat-

Aires: Lavalle 1059. Argentina, 1895 circa. cpba.

tata da Harry Grant Olds, malgrado l’attribuzione fatta dagli editori della cartolina a P. Riudavets. Buenos Aires,

155. Harry Grant Olds. Gruppo di carrette. Gelatina d’argen-

1920 circa. cdc.

to. 19,2 x 24,2 cm. Nel rovescio, in matita: C. Luro. ‘San Pascual’. Necochea F.C.S. 1900 circa. cdc.

159. Anonimo. Gaucho in abito elegante. Reppublica Argentina. Cartolina. 14 x 9 cm. Data: 21 gennaio 1906.

156. Harry Grant Olds. Mettendo l’anello (gioco), tenuta agri-

Casa editrice J. Peuser. Buenos Aires, 1900 circa. cpba.

cola Las Palmas. Gelatina d’argento. 13 x 18,5 cm. Vedere la sua riproduzione in forma di cartolina nel item seguente. Buenos Aires, 1901 circa. cpba.

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161. M. Ricciardi e V. Benincasa. Il creolismo ‘riconquista’ Buenos Aires. Tre fotografie gelatina d’argento su cartone.

160. Antonio Molinelli. Barbecue massivo. Gelatina d’argen-

14,3 cm. x 10,4 cm. Buenos Aires, 1900 circa. ccg.

to su cartone, con la firma stampata del fotografo. 18,3 cm. x 23,3 cm. Argentina, 1900 circa. ccg.

162. Anonimo. Gaucho a cavallo, posando per questo ritratto. Fotografia all’albumina su cartone di Cabinet Portrait. 14 x 10,3 cm. Argentina, inizi del XX secolo. cdc.

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163. Francisco M. Ferrando. La carrozza di Dávila. Gelatina

166. Anonimo. Selezione fotografica dei Solenni Atti Euca-

d’argento su cartoncino, con la leggenda: Así se viajaba allá

ristici del XXXII Congresso Eucaristico Internazionale.

por el año 1910 en la provincia de Buenos Aires. [Così si viag-

Buenos Aires, Dall’ 8 al 16 ottobre 1934. Album. Casa

giava verso il 1910 nella provincia di Buenos Aires]. 17,7 x

Editrice Tamburini Ltda. S. A. caa.

23,6 cm. Ex collezione Manuel Paladino Giménez. cdc. 167. Anonimo. Contadini a cavallo sfilando davanti alla 164. Anonimo. Gaucho con mate e chitarra. Gelatina d’argen-

Chiesa di Luján. Riproduzione attuale; la fotografia origi-

to su cartone, con passe-partout ovale. 13,5 x 10,5 cm.

nale —fatta a Luján, 1945 circa— è nel Museo Orlando

Argentina, 1910 circa. cdc.

Binaghi del Círculo Criollo El Rodeo, a Paso del Rey (Provincia di Buenos Aires).

165. Anonimo. Sacerdote Brochero montado sul suo mulo. Riproduzione attuale; la fotografia originale —fatta in Córdoba, 1910 circa— era una gelatina d’argento che è stata colorata pochi anni fa.

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iconografia. fotografie contemporanee 168. Lucio Boschi. Processione di Santi nella Quebrada di Humahuaca. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. Jujuy (Argentina), 2003.

169. Lucio Boschi. Fortunata Cayo nell’oratorio del suo padre Hermógenes Cayo. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 120 x 80 cm. Miraflores de La Candelaria (Jujuy, Argentina), 1999.

170. Lucio Boschi. Doña Evarista con l’immagine della Vergine. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. Jujuy (Argentina), 2003.

171. Lucio Boschi. Incensando gli immagine nell’oratorio. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. Huichaira (Jujuy, Argentina), 2003.

172. Lucio Boschi. Cristo fatto con semi. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. Tilcara (Jujuy, Argentina), 2000.

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173. Celine Frers. Con vista sul valle. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 230 cm. Patagonia (Argentina).

174. Celine Frers. Con l’occhio collocato. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 135 cm. Corrientes (Argentina). 183

175. Celine Frers. La gallina e la capanna. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Corrientes (Argentina).

176. Celine Frers. Pensando nel ballo. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 152 cm. Corrientes (Argentina). 184

177. Celine Frers. Tale padre… Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Salta (Argentina).

182. Celine Frers. Barbecue. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 118 cm. San Antonio de Areco (Buenos Aires,

178. Celine Frers. Con il cuore che batte. Fotografia digitale,

Argentina).

non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 112 cm. Corrientes (Argentina).

183. Celine Frers. Cacciando con boleadora. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta

179. Celine Frers. Guidando il bestiame di agosto II.

di cotone. 80 x 150 cm. Mendoza (Argentina).

Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 185 cm. Santa Cruz (Argentina).

184. Celine Frers. In pieno inverno. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Patagonia (Argentina).

180. Celine Frers. Cammino alla vendita. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Corrientes (Argentina).

185. Celine Frers. Prima dell’alba. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Chaco (Argentina).

181. Celine Frers. Finendo la sera. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica Giclée su carta di cotone. 80 x 120 cm. Entre Ríos (Argentina).

186. Celine Frers. Sotto gli alberi. Fotografia digitale, non intervenuta. Salta (Argentina).

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187. Jasmine Rossi. Gaucho di Salta. Fotografia digitale,

189. Jasmine Rossi. Piccola reliquia adorata. Processione del

stampata su carta fotografica. 100 x 67 cm. Tenuta agrico-

Miracolo. Fotografia digitale, stampata su carta fotografi-

la El Gólgota (Salta, Argentina).

ca. 80 x 54 cm. Città di Salta (Argentina).

188. Jasmine Rossi. Processione nella festa patronale di

190. Jasmine Rossi. Cappella in mattone crudo. Fotografia

Casabindo. Fotografia digitale, stampata su carta fotogra-

digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm.

fica. 40 x 171 cm. Jujuy (Argentina).

Susques (Jujuy, Argentina), 2007.

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191. Daniel Sempé. Il Gaucho ed i suoi abiti. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 105 cm.

192. Daniel Sempé. Cintura e coltellaccio. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 100 cm.

193. Daniel Sempé. Mate. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 55 cm.

194. Daniel Sempé. Bevendo mate. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm.

192

195. Daniel Sempé. Guidando le cavalle. Fotografia digitale,

196. Daniel Sempé. Prendendo al laccio nel recinto stacciona-

stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. Río Cuarto

to. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80

(Córdoba, Argentina), 2009.

x 112 cm.

schede delle opere

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197. Javier Pereda. Festa della Tradizione. Fotografia digitale,

199. Juan Pablo Pereda. Tormenta. Fotografia digitale, stam-

stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. San Antonio

pata su carta fotografica; in mostra, panoramica compo-

de Areco (Buenos Aires, Argentina), 2012.

sta. 1000 x 200 cm. Las Toscas (Buenos Aires, Argentina). 2013.

198. Javier Pereda. Confusione di cavalli. Fotografia digitale, stampata su carta fotografica. 80 x 120 cm. San Antonio de Areco (Buenos Aires, Argentina), 2012.

200. vergine di lujรกn. Argento e vermeille. Fondizzione e cisel. Alt.: 80 cm. Opera degli orifece Silva e Costa, Buenos Aires, circa 1850. Complejo Museogrรกfico Enrique Udaondo, Lujรกn, Provincia de Buenos Aires.

schede delle opere

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glossario apero: In Argentina, tranne nella regione pampeana, viene denominato così l’insieme di finimenti per bardare il cavallo o il mulo, per cavalcarli. A Buenos Aires, “aperos” sono gli arnesi o finimenti degli animali da tiro. A Corrientes vengono denominati: “calchas” e nelle provincie di Cuyo: “avíos”. asado: (N.d.T.: Tradizionale grigliata di carne). Fa parte dell’alimentazione basica del gaucho. Fatta preferentemente con carne di manzo, cotta alla brace. Per la preparazione viene adoperata una bacchetta di ferro piatta dove si infilza la carne che si mette sul fuoco. La bacchetta, denominata asador, possiede un gancio nella parte superiore e una punta nella parte inferiore per infilzare la carne per poi inchiodare la bacchetta a terra. azotillo: Tipo di frusta utilizzata nelle zone vicine al fiume Uruguay, in Argentina, Repubblica Orientale del Uruguay e Brasile. La caratteristica principale di questa frusta è che viene fatta con delle trecce di cuoio e catene di argento. boleadoras: Eredità dei popoli aborigeni, è stata adottata con grande efficacia dal gaucho. Le più primitive —le indigene— erano di una sola palla, fissata ad un laccio di corde o nervi di circa un metro di lunghezza. Venivano lanciate con grande destrezza ed essendo la palla di piedra, il colpo era molto efficace. I gauchos utilizzavano boleadoras con tre palle, essendo una di queste più piccola, era sostenuta nella sua mano per far girare le altre due. Quelle di lusso venivano fatte con palle d’avorio e ricoperte con fascie, calotte e catene d’argento. I lacci che uniscono queste palle sono composti da curate trecce di cuoio o di nervi di struzzo. bota de potro: ( N.d.T.: Stivali di cuoio di puledro). Modello di stivale realizzato dal gaucho mediante la gamba di un equino (in alcuni casi si faceva anche con la gamba di bovino. La forma anatomica originale facilitava il processo di confezione, essendo la sua caratteristica fondamentale che le dita del cavallerizzo rimangono all’aria, particolare che gli permetteva di stiparsi (afferrando la staffa con due dita), questa è una caratteristica tipica dell’equitazione creola argentina. ensillar: (Sellare). Mettere la sella a un animale per utilizzare nella cavalcatura. espuelas: (Speroni). Arnese di metallo che si applica dietro lo stivale del cavaliere, e serve a stimolare ai fianchi la cavalcatura. Lo sperone è formato di quattro parti: il collare; le braccia o branche; la forchetta, detta pure asta; la rosetta o stella dello sperone. Per fissarli possiede alzaprima “ponticello” e bajoempeine “basso collo del piede”. estribos: (Staffe) Ciascuno dei due anelli di metallo, legno o cuoio pendenti a ogni lato della sella, nei quali il cavaliere infila il piede, salendo e stando a cavallo. faja: (Fascia) Striscia di tessuto lavorato a maglia dagli aborigeni con lana di pecora. I bordi sono sfilacciati, e viene utilizzata per avvolgere e stringere il chiripá o bombacha (tipo di pantalone). fiador: Realizzato con cuoio crudo e/o argento, è una specie di collana che si colloca al cavallo. Viene utilizzato come ornamento o per afferrare l’animale. Possiede nella parte inferior un anello, nel quale a volte si colloca la manea. È stato sostituito dalla briglia.

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lazo: (Laccio) Corda di cuoio crudo intrecciato o mediante torcitura, di 12 a 25 metri di lunghezza, che finisce in un anello di ferro, bronzo o argento in una delle sue estremità, e un’asola dall’altro. Serve al gaucho, lanciandolo a distanza di metri, per catturare gli animali. A seconda delle regioni del paese i lacci possiedono caratteristiche specifiche. manea: Consiste in una striscia, in genere di cuoio, con un occhiello nelle estremità per attaccarla ad un bottone. Nella versione di lusso ci sono quelle lavorate con fili di argento. Serve per immobilizzare le zampe del cavallo. marca o hierro de ganadería: (Marchiatura o ferro per marchiare il bestiame) Ferro con una estremità di legno rifinito con una lettera, cifra o segno, che viene riscaldato e applicato sulla pelle del bestiame maggiore come segno di proprietà. Ogni allevatore possiede un marchio particolare. L’atto della marchiatura degli animali viene chiamato “hierra” o “yerra”. mate: Contenitore utilizzato per bere l’infuso dell’erba mate o denominata anche “Ilex paraguarienses”. Infuso nazionale in Argentina, Paraguay e Uruguay, anche nel sud del Brasile. pretal: (Cinghia). Elemento di cuoio e/o argento che si colloca sotto il petto del cavallo. Ha la funzione di impedire che l’apero si sposti all’indietro. pulpería: Alimentare di campagna o zona rurale dove si vendono alimenti e bibite. La “pulpería” è un alimentare ma anche taverna, osteria e sala giochi. punzón: (Punzone) Strumento di acciaio che possiede in una delle estremità un rilievo che mediante percussione si applica ad una superficie di metallo. Gli orefici hanno punzoni con la loro marca d’autore, con il nome del metallo utilizzato e inoltre con il nome della città di lavorazione. rastra: Ornamento d’argento che serve per reggere la cintura o fascia larga —chiamata “tirador”— che utilizza il gaucho. Il suo centro in genere è circolare o ovale e porta diversi motivi ornamentali, e si afferra alla cintura mediante due o tre nastri ad ogni lato, decorati con bottoni o altri elementi che permettono di attaccarlo. rebenque: (Frusta). Fusta corta con capo che misura all’incirca 45 centimetri e all’estremità possiede una striscia di quasi la stessa lunghezza. Vengono realizzati in legno, in cuoio crudo cuciti su tientos (strisce fine di questo materiale), in anelli di corna di bovino, in baffi di balena, o soltanto in argento, o in combinando alcuni di questi elementi. Tra i più antichi utilizzati dal gaucho si trova quello di “anello”. taba: Osso astragalo della zampa della mucca, pecora, ecc. Gioco che ha origine nei tempi dei greci ma è arrivato in America attraverso gli spagnoli. Consiste nel lanciare la taba e secondo come cade, si vince o si perde. Se cade inclinata, di lato, si deve ripetere il lancio. Fu un gioco ampiamente diffuso tra i gauchos argentini. tirador: (Bretella). Nastro largo, di cuoio, ornato con placche di forme diverse in argento, o con monete dello stesso metallo. In rare occasioni veniva utilizzato foderato in velluto e ricamato. Si allaccia davanti con i bottoni della rastra.

glossario

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Celine Frers. Sotto gli alberi. Fotografia digitale, non intervenuta. (Particolare). Salta (Argentina). (catalogo 186)

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Celine Frers. Prima dell’alba. Fotografia digitale, non intervenuta; stampata con tecnica GiclÊe su carta di cotone. 80 x 120 cm. Chaco (Argentina). (catalogo 185)


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traduzione in spagnolo argentina - el gaucho. tradición, arte y fe maría pimentel directora artifex Al presentar esta exposición en dos destacados ámbitos, el Brazo de Carlo Magno en el Vaticano y la Cantina del Bramante en el Palacio Apostólico de Loreto, Artifex propone un recorrido por la tradición, el arte y la fe de nuestro país a través de la figura del gaucho. Platería gauchesca, textiles, pinturas, grabados y fotografías, distintas técnicas y lenguajes, son una prueba de esa realidad a través de la historia. La conquista española estuvo presidida por la evangelización de los pueblos originarios. Con ellos llegaron maestros orfebres que transmitieron su oficio, elaborando piezas dedicadas a la liturgia. De este modo, custodias, cálices y crucifijos dieron lugar a importantes expresiones del arte de la platería. También, la plata fue objeto de consumo para el hombre de campo, que la utilizó tanto en algunos utensilios domésticos como en piezas de uso y lucimiento personal. Rastras, espuelas, estribos y cabezadas adornaban sus atuendos y cabalgaduras. Los misioneros, por otra parte, trajeron junto a las Sagradas Escrituras innumerables imágenes religiosas, principalmente grabados, que fueron útiles instrumentos en la iniciación de la fe, así como gran fuente de inspiración para los artistas del Nuevo Mundo. En los siglos XVIII y XIX, asimismo, los pintores viajeros europeos supieron captar algunas singularidades locales en sus dibujos y litografías. Durante el siglo XIX, luego de declarada nuestra independencia de España y durante el proceso de organización nacional, el desarrollo de una técnica novedosa como la fotografía sirvió para documentar y testimoniar diversos aspectos de la vida argentina, entre las que el gaucho y sus actividades en el campo ocupan un importante capítulo. El sello de ese tiempo se ve en el enfoque etnográfico que esta fotografía presenta en ciertos casos. Estas imágenes documentales —pinturas, grabados y fotografías— aparecen en todas las secciones que componen esta exposición, secciones dedicadas a temas específicos como el personaje y su mujer, el hábitat, el trabajo, el caballo, el mate y las diversiones, y una especial destinada al poncho, prenda fundamental en la vida del gaucho.

El tema de la fe ocupa un capítulo de gran relevancia. Las celebraciones religiosas marcan el año con su cadencia. Pero, sobre todo, hay que destacar las procesiones, hechas en función de ciertas figuras veneradas en nuestro país, tales como la Virgen de Luján, la Virgen del Milagro y la Virgen del Valle, entre otras. La imaginería y la platería dedican muchas de sus obras a los elementos de la liturgia y, entre los plateros, se destaca la familia Pallarols, activos en nuestro país desde fines del siglo XVIII. Esta exposición no sólo tiene que ver con un pasado, sino con la vigencia de estas tradiciones en el presente. Así lo demuestran las obras de algunos fotógrafos contemporáneos que hemos seleccionado para acompañarnos en esta exposición, tales como Lucio Boschi, Daniel Sempé, Jasmine Rossi, Celine Frers, Juan Pablo Pereda y Javier Pereda, entre otros. De formación clásica, cada uno de ellos ostenta un estilo propio, con poéticas totalmente distintas y propuestas muy sólidas para testimoniar la actualidad. Finalmente, se recordará al Cura José Gabriel del Rosario Brochero, sacerdote diocesano, de origen argentino y tradición familiar cristiana, quien nació en 1840 en la localidad de Santa Rosa de Río Primero, Provincia de Córdoba. El 20 de diciembre de 2012, su Santidad Benedicto XVI firmó el decreto para su beatificación, cumpliéndose así un nuevo paso hacia su canonización. Todos estos testimonios de la realidad nos señalarán las huellas de la tradición, el arte y la fe a través del tiempo.

el gaucho. sus orígenes roberto vega andersen En la porción meridional de América del Sur, un jinete de leyenda, el gaucho, forjó su personalidad en las praderas bañadas por las aguas del Plata a lo largo del siglo XVIII. Tan vasto territorio había sido el campo ideal para que los escasos caballos y vacunos abandonados por las primeras expediciones europeas se multiplicaran de un modo inimaginable. Libre, sin marcas de dueños, la hacienda cimarrona proveía a quien la necesitara, pero ante la merma de sus poblaciones por la apropiación indiscriminada, las autoridades hispánicas dispusieron

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su control y los permisos de ‘vaquerías’ impulsaron verdaderas expediciones que contrataban a los jinetes más avezados. De este modo, también estos ‘protogauchos’ fueron incorporados a los arreos de mulas, que desde los campos litoraleños transportaban las recuas hacia los yacimientos de Potosí (hoy, Bolivia) y las explotaciones de piedras preciosas en Minas Gerais, Brasil. En esas horas y en esos quehaceres, el gaucho maduró su personalidad, aunque debieron pasar muchos años para que se lo distinguiera por tal nombre. En las crónicas más tempranas, portaba diversas denominaciones, las cuales se extendieron hasta las postrimerías del siglo XVIII. Así, lo testimonió entre otros autores, el peruano Miguel Lastarría cuando en 1798 indicó en su Memoria sobre las colonias orientales del río Paraguay que se los llamaba gauchos, camiluchos o gauderios. El gaucho era un jinete de habilidades poco frecuentes que disfrutaba de su libertad en la llanura casi infinita de la pampa. Entre los hábitos que lo definían, la carne de vacuno asada era su alimento preferido y solo o entre pares, fumaba tabaco y bebía mate amargo a lo largo de toda la jornada. Lastarría obsevó que “les resulta […] muy fácil Carnear, pues a ninguno les falta Cavallo, volas, lazo y cuchillo con que coger y matar una res, […] satisfacciéndose con sola la Carne asada, trabajan únicamente para adquirir Tabaco que fuman, o el Mate de la Yerva del Paraguay que beven por lo regular sin Azúcar quantas veces pueden al día”. Desde el siglo XVIII, el ganado vacuno y mular se transformó en un bien estratégico aunque con distintos usos: el primero, sirvió para el consumo humano, mientras que las recuas de mulas fueron destinadas a las explotaciones mineras andinas y de piedras preciosas brasileñas, donde se las requería por millares. Diestros sin igual en los quehaceres ganaderos, los gauchos representaban una mano de obra imprescindible, al punto que sin su pericia otro habría sido el desarrollo económico de la región. Sin embargo, siempre fue marginado de las bondades del sistema: por una parte, debido a su desapego al trabajo y rebeldía innata; por la otra parte, como consecuencia del injusto equilibro social de la época. La generalización de aquellos rasgos de su personalidad hizo que la sola identificación con su nombre pudiera resultar ofensiva para un poblador urbano de los actuales territorios de Argentina, Uruguay, el Sur de Brasil y Paraguay. Sin embargo, no fueron pocos los viajeros extranjeros que en sus relatos exaltaron la cortesía y hospitalidad del gaucho y, sobre todo, su amor a la libertad. Su exotismo también atrapó a los pintores y dibujantes que cruzaron el Atlántico, y más tarde a los fotógrafos, todos convocados por un espíritu de aventura y dispuestos a retratar escenarios y gentes hasta entonces casi desconocidos. Los testimonios preservados manifiestan cuán hondo había calado entre los viajeros oriundos del hemisferio norte la fascinación por este habitante de las pampas: rudo pero justo, aparentemente bárbaro pero respetuoso. El gaucho era un jinete sin par y conocía los secretos del ‘desierto’, una inmensa llanura originalmente ocupada por distintos grupos aborígenes conocidos como pampas. La inmensa mayoría de estas crónicas fueron escritas a lo largo del siglo XIX, profundizando en las transformaciones económicas, políticas y sociales que se sucedieron en todo el área: la guerra por la emancipación de la corona hispánica y la consolidación de las nuevas

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repúblicas; el desplazamiento de las tribus indígenas y el desarrollo económico de las praderas rioplatenses —que corrió su eje desde la actividad ganadera hacia la agrícola—; la tecnificación en las labores rurales y el tendido de redes ferroviarias. En cada uno de estos cambios, el gaucho cumplió un rol sustancial. Entre tantas fuentes escritas de la época, rescatamos la voz de Lucio V. Mansilla (1831-1913). Militar, político y periodista, Mansilla publicó en 1870 en el diario La Tribuna de Buenos Aires, sesenta y seis cartas con sus memorias sobre la excursión que poco antes había realizado hasta las tolderías de los indios ranqueles.1 Allí, reflejó la vida en la frontera con el indio y se adentró en la relación que unía a los gauchos con los pobladores originarios. Según Mansilla, era necesario diferenciar al paisano gaucho, del gaucho propiamente dicho, pues si bien ambos eran pobladores rurales, se diferenciaban en mucho: “El gaucho neto —dirá—, es el criollo errante, que hoy está aquí, mañana allá; jugador, pendenciero, enemigo de toda disciplina; que huye del servicio cuando le toca, que se refugia entre los indios si da una puñalada…” Su pluma tiene el valor del testigo presencial, de modo que bien vale seguir sus escritos, aunque se hace necesario comprender que como todos los autores, emitía su juicio desde una posición determinada: “El primero [el paisano gaucho] es labrador, picador de carretas, acarreador de ganado, tropero, peón de mano. El segundo [el gaucho propiamente dicho] se conchaba para las yerras. El primero ha sido soldado varias veces. El segundo formó alguna vez parte de un contingente y en cuanto vio luz se alzó.” Era ésta la visión de la sociedad porteña, así llamada por pertenecer a la ciudad-puerto de Buenos Aires que especialmente en la presidencia de Domingo Faustino Sarmiento (1868-1874) marchó hacia la ‘civilización’ por sobre los valores de la ‘barbarie’.2 En ese mismo tiempo, otro político, guerrero y periodista de origen provinciano le daba rienda suelta a su pluma para entregarnos la obra cumbre de la literatura argentina, el poema El Gaucho Martín Fierro.3 Se trata de José Hernández (1834-1886), quien poco antes había regresado en forma clandestina desde su exilio en Brasil y Uruguay. Su amor por la patria le había dictado la orden de viajar a Buenos Aires y recluido en el Hotel Argentino, próximo al puerto de ésta ciudad, escribió su poema. Hacia fines de 1872, cuando las revueltas políticas se llamaron circunstancialmente a sosiego, una pequeña imprenta lo dio a la luz con impensado éxito. Sus cantos reivindicaron la figura del gaucho y elevaron su protesta frente al poder centralista de Buenos Aires. En el año 1879, Hernández publicó una segunda parte de aquel poema, titulada La Vuelta de Martín Fierro.4 Desde un primer momento, las ediciones de ambas se repitieron al compás de una creciente popularidad. Con estas breves referencias, se quiere marcar que disímiles eran los juicios de valor que hundían o exaltaban al poblador de las pampas argentinas. Aquel cruce de miradas sobre un mismo personaje le permitió afirmar al escritor Ezequiel Martínez Estrada que “cada cual tiene su gaucho”. gauchos, paisanos y estancieros. A lo largo de buena parte del siglo XIX y hasta nuestros días, la cultura del gaucho identifica a la Argentina y trasciende sus fronteras impregnando las naciones vecinas. Aquel origen rebelde mutó hacia una figura en armonía con sus pares y con la naturaleza. Protagonista romántico de la vida rural y fiero soldado de las causas más justas, el gaucho se encomendaba a Dios e iniciaba las empresas más audaces.

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Pródigo de pasiones desbordadas supo materializarlas en una platería voluminosa y hasta enriquecida con destellos de oro. Vistió con grandes lujos a su caballo. La baja capacidad económica que siempre acompañó su destino no hizo mella en el afecto por las piezas de plata. Con tesón, invertía largos años para ‘componer’ su recado y orgulloso lucía cada artefacto incorporado a la vestimenta de su caballo; que un par de riendas con pasadores de plata, que un freno engalanado con sus copas de plata… Su gusto por la platería, nacido en tiempos de la colonia, fue también adoptado por los propietarios de los campos donde el gaucho siempre cabalgó y por los peones de sus estancias, empleados mensuales que heredaron sus habilidades vaqueras sólo que plasmadas sin aires rebeldes. Al amparo de una demanda generalizada, los talleres de platería se extendieron por buena parte del país. Así, fue que se expandió la cultura criolla al mismo ritmo que su protagonista era desplazado por las alambradas que dividían las propiedades, por el ferrocarril que sustituía al caballo, y por las nuevas maquinarias que reemplazaban la mano de obra rural… Paradojas del destino, al tiempo que las luces del escenario iluminaban otros actores, su cultura se hizo paradigmatica y fue apropiada por distintos grupos sociales, e inclusive por los inmigrantes europeos, mayoritariamente italianos, que llegaban al país dispuestos a ‘hacer la América’. Los extranjeros afincados en la ciudad de Buenos Aires se incorporaron a los centros tradicionalistas como reflejo del criollismo naciente, y una novedad, se acercaron a los estudios de fotografía para retratarse con la indumentaria, las poses y hasta las barbas del gaucho. Estas últimas imágenes viajaron a sus tierras natales portando un mensaje excluyente: la identificación con nuestro personaje telúrico.5 Para entonces, el gaucho se había convertido en un ícono cultural de Argentina vinculado a sus tradiciones, al arte y a la fe. Así lo expresó José Hernández en las primeras estrofas de su poema inmortal El Gaucho Martín Fierro. Aquí me pongo a cantar / Al compás de la vigüela, / que el hombre que lo desvela / una pena estrordinaria, / como la ave solitaria / con el cantar se consuela. / Pido a los santos del cielo / que ayuden mi pensamiento: / les pido en este momento / que voy a cantar mi historia / me refresquen la memoria / y aclaren mi entendimiento. / Vengan santos milagrosos, / vengan todos en mi ayuda / que la lengua se me añuda / y se me turba la vista; / pido a mi Dios que me asista / en una ocasión tan ruda. (I, 1-18) 1 Más tarde recopiladas en: Una excursión a los indios ranqueles. 2 La palabra ‘civilización’ nació en el siglo XVIII simultáneamente en italiano, francés y español. Comprendía un nuevo concepto que iba más allá de vivir en armonía social. “La civilización es la culminación del progreso”. Miguel Rojas Mix. América imaginaria. Barcelona, Ed. Lumen, 1992. p. 171. 3 José Hernández. El Gaucho Martín Fierro. La Pampa, Buenos Aires, 1872. 4 José Hernández. La Vuelta de Martín Fierro. Librería del Plata, Buenos Aires, 1879. 5 AAVV. Arte y Antropología en la Argentina. Buenos Aires, Fundación Espigas, 2005.

platería criolla roberto vega andersen En una centuria teñida de batallas —nos referimos al siglo XIX— libradas contra los españoles, contra los pueblos originarios y entre los caudillos locales, el carácter de jinete indómito condujo al gaucho hacia los ejércitos patrios, y le obligó a ocuparse de las distintas labores rurales. En la paz y en la guerra fue reconocido por pueblos originarios como por aquellos no oriundos del lugar, y sus andanzas trascendieron las fronteras, entre otras razones, por su apego a los objetos realizados en plata. Sin grandes recursos materiales se las ingeniaba para vestirse con lujos infrecuentes y finalmente el centauro, “vestía” su caballo con arreos de montar de gran boato. Dedicaba la vida a reunir el mejor apero que lucía con orgullo en las celebraciones patrias, en las fiestas domingueras y en los campos de batalla. Así lo hacían el gaucho propiamente dicho, el paisano, el hacendado propietario y hasta el caudillo más encumbrado. Espuelas, estribos, cabezadas, riendas, frenos… Detalles en la montura, pretales, baticolas. Rastras, cintos, jarros, mates… Cuchillos, dagas, facones… Rebenques, fustas, arreadores… El repertorio de obras era tan amplio que le dio impulso al enorme grupo de orfebres que abrió talleres hasta en los rincones más remotos. Entre los plateros activos en la Argentina del siglo XIX ubicamos a las más diversas procedencias y aunque la supremacía numérica era de los nativos y de los de origen hispánico, en los censos hallamos a uruguayos, brasileños, franceses y entre otras varias nacionalidades, a italianos. Entre estos últimos los hubo de gran prestigio, como lo fueron Risso, Cataldi, Caccia, Carzolio y Caldará. En esos tiempos era muy poco frecuente el uso del punzón o marca destinado a indicar la autoría. Eludían tal obligación por razones impositivas y las obras que se conservan así lo expresan; apenas unas pocas con marcaje de platero fundamentan la importancia que hoy se les otorga a aquellas que si la poseen. A las demás, sólo se las puede datar por sus rasgos estilísticos. Nombres o tan solo iniciales y apellidos, nos ubican en la época: Moreyra, Orfila, Ferreira —al menos dos autores con esta filiación—, Machado y C. (por Cándido) Silva dan cuenta de los primeros orfebres dedicados a la platería criolla en la costa occidental del Río de la Plata. Entre los pocos plateros identificados, Moreyra trasunta su origen lusitano y aparece en los registros de Buenos Aires desde 1825. Orfila, quien provenía de su España natal, había llegado a estas tierras en 1843. La saga de los Ferreira nos hace retroceder en la línea de tiempo, pues ya estaban radicados en la región allá por la segunda mitad del siglo XVIII y quizás los autores de las obras expuestas fueron los hijos de aquellos que habrían continuado el oficio de sus ancestros como era costumbre. Machado por su parte se cree que nació en Buenos Aires. El nombre de Cándido Silva se eleva sobre sus pares; oriundo de Montevideo con apenas 14 años cruzó hacia la otra orilla del gran río color de león1, donde finalmente habilitó su taller para crear obras icónicas de la platería gauchesca. Aquí lo presentamos en un par de estribos de elegantes líneas, fiel testimonio del caudal plástico de su autor, y de su datación temprana, cuando entre el gaucherío aún no

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se había generalizado el uso de los modelos de gran porte. Con la misma elegancia (¿también de su autoría?), se aprecia un par de espuelas con la cabeza de un águila ubicada a modo de pihuelo. (Ver ilustración página 19). Entre sus labores más bellas se conserva la figura de una Virgen de Luján realizada en plata y de inspiración neoclásica.2 Precisamente la erección del Santuario de Luján se remonta a los tiempos de la colonia y alli se custodian miles y miles de exvotos, promesas o milagros, los que desde tiempos remotos se hicieron en plata y conllevan las formas más diversas. de estilos. Flores y hojas; roleos, volutas y ángeles (en una herencia de los tiempos de la colonia); aves y otros animales autóctonos y aquellos no originarios del lugar; distintas figuras religiosas, naturales y fantásticas… Todos estos recursos se conjugaron en imbricadas formas. Tan extenso abanico ornamental (de aparente reunión espontánea) conjugó los estilos que los mismos se diferencian por regiones y épocas. Entre la segunda y la quinta década del siglo XIX las formas porteñas (de la propia ciudad de Buenos Aires y de la pampa circundante) se distinguieron por las superficies bruñidas, casi sin huellas del cincel, como lo confirman un mate, un par de estribos y un facón de la época aquí reunidos. Este apego a la sobriedad en la ornamentación también se extendió a las obras destinadas al uso litúrgico; un bello atril de la época conservado en el Museo Franciscano de Buenos Aires da cuenta de este fenómeno. En la medianía de la centuria el gaucho alcanzó su esplendor. Para ese entonces se podía reunir la platería por él utilizada en diversos grupos estilísticos. A las obras del litoral argentino (que abarca las provincias de Corrientes y Entre Ríos) se las reconoce por el uso ornamental de por ejemplo, ciertos diseños fitomorfos (tales como ramas de líneas onduladas con hojas y flores), de figuras de aves subtropicales y hasta de representaciones de aborígenes, cinceladas especialmente en las vainas de cuchillos o como figuras de bulto, ubicadas en el astil de algunos mates. Todo este repertorio circuló además en la platería criolla de una vasta región limítrofe que se extendía por Paraguay, Uruguay, y el Sur del Brasil. Entre los cuchillos, los provenientes de la provincia de Entre Ríos y de la llamada Banda Oriental (República Oriental del Uruguay) llevan ciertos rasgos como el botón redondo de la hoja y una pequeña lámina curva sobre la boca de la vaina que recubre aquella y se la denomina “cubrebotón”. En general, todos los cuchillos de esta región binacional lo poseen. Claro que hay otros rasgos que permiten reafirmar una filiación; nos referimos por ejemplo a la presencia de oro en la pieza. Si el cuchillo es de origen uruguayo, seguramente poseerá numerosas aplicaciones de oro en lámina y todo su conjunto estará profusamente cincelado. Muy por el contrario, si el cuchillo es de procedencia entrerriana, manifestará su carácter más austero al ser ejecutado sólo en plata, aunque se hará hincapié en las artes del cincel. la equitación del gaucho. ¿Aparentes sutilezas? Por el contrario, todos estos signos hacían a la identidad del gaucho que encargaba y usaba tal o cual artefacto labrado en plata. Lo mismo sucedía si se trataba de una obra de su vestuario personal o si formaba parte de los arreos de montar. En la equitación criolla argentina se definen ocho escuelas, originadas por razones históricas y determinantes geográficos. Los conquistadores introdujeron sus formas en el Nuevo Mundo, pero en la medida que se internaban en otros territorios, los avíos de

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montar se fueron adaptando a la disponibilidad de materiales locales y a los requerimientos de la propia geografía. En el ámbito porteño se manifestó el modo más antiguo denominado “lomillo” que fuera la base determinante de la primitiva equitación gauchesca. Su silla de montar, derivada de la albarda de carga, permaneció en uso hasta que la variación de las razas equinas (con el ensanchamiento de los lomos originados por la cruza con otras razas de tiro, más pesadas), obligó a reemplazarla por un modelo de arzones separados y regulables, que pasó a denominarse “bastos” o “recado porteño”. Este cambio se puso de manifiesto hacia 1865/1870. Las otras escuelas nos llevan por el resto de Argentina: en el Litoral, el “sirigote” o “recado entrerriano”, y la “montura correntina” o “apero chaqueño”; en el Centro del país, el “recado cordobés”; hacia el Norte, el “apero salteño”; sobre la cordillera de los Andes, el “casco mendocino”, y en la Patagonia, la “montura malvinera” también llamada “cangalla”. Cada uno de estos usos portaron más o menos engalanadura. Pero lo cierto es que salvo cuando lo encargaba un estanciero adinerado, cada apero se armaba con el correr de los años, y lucía piezas de plata tanto como de hierro y de cuero, todo en función de los recursos del jinete, y de la perseverancia que se requería para invertir años en su composición. su vestuario. Como lo expresamos, el gaucho “vestía” a su caballo y engalanaba su vestuario personal. Por ejemplo, el cuchillo era una prolongación de su mano, imprescindible para el trabajo y la defensa ante cualquier peligro. Pero más allá de la funcionalidad del mismo, hacía encabar la hoja con primorosas labores de plata. Si era de dimensiones reducidas lo portaba adelante, cruzado y sostenido por una faja y el centro de la rastra —a éstos se los denomina “verijeros”—, y si su tamaño era mayor, lo llevaba a la cintura —en tal caso, así bautizados: “cuchillos de cintura”—, sujeto por la faja y el tirador. A modo de cinto se ceñían una faja y por encima, un centro de plata y un tirador de cuero enriquecido con monedas de dicho metal, e inclusive de oro. Todo gaucho llevaba estos elementos. Si fumaba, un yesquero y una tabaquera construida con cogote de avestruz3 eran de uso imprescindible. Para disfrutar de una infusión que se extendió por buena parte de la América meridional, disponía del llamado “mate”, una calabaza que acompañaba con la bombilla. La tradición del mate se remonta a los tiempos precolombinos y con la llegada de los primeros europeos fue combatida por los religiosos que llegaron a evangelizar a los pobladores nativos. Pero la costumbre perduró impulsada al fin por los sacerdotes jesuitas que lograron cultivar las plantaciones vírgenes, y con el tiempo se convirtió en un rasgo cultural de la región. Precisamente para el mate los plateros han elaborado verdaderas obras de arte. Entre los gauchos, el recipiente sólo en ocasiones lleva una embocadura de plata, pero con su impulso y con el peso de la historia colonial, todo orfebre criollo aplicó su mayor gracia plástica en un mate de plata. Los hay de muy variadas formas, aunque los más llamativos poseen una base de rasgos afines a la de un cáliz, con un astil de múltiples variantes ornamentales, y un cuenco realizado en plata, liso o cincelado. A la par, conlleva una bombilla también de plata y en ocasiones se hallan ornamentadas con caprichosas figuras. Su difusión fue tan amplia que el modelo ergológico del gaucho resultó ser adop-

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tado por su patrón, el propietario de las estancias que generalmente vivía en Buenos Aires y disfrutaba de los beneficios de la ciudad. El poder económico del estanciero le permitió vincularse a los orfebres más acreditados y vestido a la usanza del gaucho, hábil jinete, supo disfrutar de las piezas criollas de plata con especial orgullo. Así lo manifestó por ejemplo en los jarros de plata, los que en la tradición gaucha eran de cornamenta de buey, tallada con particular gracia. 1 Así se lo denomina metafóricamente al Río de la Plata por el tono de sus aguas. La expresión fue creada por el poeta Leopoldo Lugones en su obra “A Buenos Aires”, donde llamó al Río de la Plata “el gran río color de león”. 2 La obra se conserva en el Complejo Museográfico Enrique Udaondo, de la provincia de Buenos Aires. 3 Se trata de un ave no voladora que habita América del Sur. Llamada ñandú común (“Rhea americana”) y también avestruz americana, es de dimensiones más pequeñas que el avestruz africano.

los pallarols, orfebres por generaciones roberto vega andersen Por tradición familiar se sabe que el primer eslabón de la saga Pallarols se forjó en la segunda mitad del siglo XVIII, cuando Vicente Pallarols aprendió el oficio que por estos días aún cultivan sus descendientes. La historia se inició en un taller de la ciudad condal de Barcelona y desde entonces las artes de la platería se han transmitido de padres a hijos. En el devenir generacional nos detenemos en la biografía de José Pallarols y Torras, nacido en la capital catalana en 1879, quien mudó sus ilusiones rumbo a Buenos Aires allá por 1907, donde, al año siguiente, nació su primer hijo. En el Centenario de la patria adoptiva habilitó un taller propio y con paciencia y estilo se vinculó con los grandes coleccionistas de la época.1 Por esos años en las platerías porteñas se creaban obras de uso religioso y civil, y de estilos europeos y criollos. Precisamente Carlos Pallarols Cuni (1908-1970) dio sus primeros pasos en el oficio en aquel taller paterno. Así acontece en general entre los artesanos: los mayores les enseñan el arte a los niños durante la infancia, y la pasión se construye entre juegos, consejos y experiencias. A la luz de los resultados, Don José supo transmitir su sapiencia, pues como dice el refrán: buen maestro es quien logra que su discípulo lo supere. Siendo muy joven, Carlos acompañó a su padre en uno de los proyectos más relevantes de la familia cuando la Archicofradía del Santísimo Sacramento de la Catedral Metropolitana de Buenos Aires, le encargó la ejecución de varias obras religiosas. Se acercaba el XXXII Congreso Eucarístico Internacional de 1934, cuando Buenos Aires recibió con fervor la visita del entonces Legado Pontificio, cardenal Eugenio Pacelli, quien más adelante fuera ungido Su Santidad Pio XII, y los Pallarols se abocaron a la tarea de plasmar su fervor religioso. Padre e hijo, José y Carlos, ejecutaron un cáliz de oro, plata y piedras preciosas, y una custodia de gran porte, así como ayudados por Doña Carolina Cuni —esposa y madre de ambos orfebres—, elaboraron un guión o estandarte religioso. Todas estas obras fueron utilizadas en distintas ceremonias religiosas del Congreso Eucarístico. En el plano técnico, cada una de ellas implicó un desafío; pero lo

más relevante se manifestó en las cualidades artísticas, donde la personalidad de Carlos trascendió con alto vuelo. El cáliz fue forjado totalmente a mano y en láminas de una sola pieza, inclusive las figuras de bulto de su base. Ya fallecido su padre —quien murió en 1951—, Carlos Pallarols Cuni se aplicó a un nuevo desafío, esta vez vinculado al gobierno nacional argentino. Se le encomendó la ejecución del Sarcófago previsto para Eva Duarte de Perón, la esposa del presidente Juan Domingo Perón, y el orfebre puso manos a la obra. Pero con el golpe de estado de 1955 los tiempos cambiaron y la tarea fue interrumpida de manera tan abrupta que la familia toda debió mudarse hacia el interior de Argentina, más precisamente a la ciudad de Corrientes, donde fue cobijada en el Convento de San Francisco de Asís. Siendo apenas un niño, Juan Carlos Pallarols (n. 1942) amoldó su personalidad guiado por las enseñanzas religiosas y las prácticas como aprendiz en el taller que su padre armó en tierra correntina. Horas inolvidables para el actual patriarca de la familia, vinculada íntimamente desde entonces a la Iglesia Católica argentina. Los Pallarols retornaron a Buenos Aires y Juan Carlos se encargó de continuar el camino trazado por sus ancestros. Con los años abrió su taller en el corazón del barrio porteño de San Telmo y aquel espacio se convirtió en centro de reunión de personalidades del ámbito artístico, intelectual y político. De su creatividad ha nacido el actual bastón de mando presidencial de Argentina, elaborado con la “ayuda” de miles y miles de ciudadanos que aplican sus golpes sobre la pieza de plata impregnándole una especial carga de afecto y esperanza para que quien lo porte guíe al país por el buen camino. Juan Carlos Pallarols acuñó así un sello propio de su platería, mudó el taller a los grandes espacios públicos y no dudó en recorrer la geografía nacional cuando la ejecución de obras especial así lo ameritaba. Así fue como junto a más de doscientos mil argentinos construyó un cáliz de plata que acompañado por su hijo Adrián obsequió al Papa Benedicto XVI, presentados en la ocasión por el cardenal Jorge Bergoglio, hoy entronizado Su Santidad Francisco. En 1982 había elaborado el cáliz que utilizara en su visita a la Argentina Juan Pablo II, en oportunidad de la celebración de una misa que hiciera Su Santidad al pie del monumento a los españoles, el mismo sitio donde en 1934 se realizara el XXXII Congreso Eucarístico. Con el mismo itinerario popular, J. C. Pallarols ejecutó las coronas de la Virgen de San Nicolás y del Niño Jesús, las que se labraron con el metal donado por los feligreses y nacieron con el impulso de centenares de miles de argentinos que se acercaban adonde Pallarols llegaba con sus pequeñas obras y un puñado de cinceles. su arte criollo. El repertorio de piezas que portan su cuño es muy variado. Sin embargo, cada una conserva la impronta de los talleres renacentistas, como lo manifiesta Pallarols con orgullo. Mates, cuchillos, centros de mesa, jarros, candeleros y candelabros, marcos de espejo, estribos, espuelas, rastras y otras piezas del apero criollo nacen a partir del boceto del artista y se nutren de los deseos de sus comitentes. Allí radica también buena parte de su mérito; en el afán de personalizar cada una de las creaciones. Como toda obra artesanal, no hay

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repetición y cada pieza posee algún rasgo que la diferencia de su similar. Una huella que la distingue. En ese itinerario modeló una rosa de plata que hoy atesora la argentina Máxima Zorreguieta, reina consorte de Holanda, y también forjó con emoción la rosa que unos amigos le encargaran para recordar a la infortunada Lady Di, y que hoy la homenajea en su tumba ubicada en el pequeño pueblo de Great Brington, Inglaterra. Los Pallarols acuñan siete generaciones en la orfebrería, siendo los actuales herederos de esta tradición los hijos de Juan Carlos, Carlos y Adrián, cada uno actuando en su taller y comprometidos en la construcción de sus propios caminos. 1 El Museo de Arte Hispanoamericano Isaac Fernández Blanco posee un mate con su punzón de autor, obra que perteneciera al coleccionista que dio origen a tal reservorio.

textiles que cuentan historias roberto vega andersen Presentamos aquí distintas prendas tejidas, algunas de ellas parte del vestuario del gaucho, y otras pertenecientes al apero de montar, como las matras y los cojinillos de hilo. Entre las primeras, el poncho posee un señorío que lo distingue de manera particular. Formado por un corte de tela rectangular o cuadrada, y con una abertura al medio para pasar la cabeza, el poncho ha tenido un amplio uso en buena parte del planeta, atravesando geografías, culturas y épocas. En América del Sur se lo confeccionó desde los tiempos precolombinos en la región andina, en la Amazonía y en las pampas rioplatenses. Se registran antecedentes en la cultura Nazca1, e incluso los Incas portaban una especie de camiseta llamada “unku”, de similares características al conocido poncho. Sin embargo se considera que el origen etimológico de la palabra deriva de la voz araucana “ponthro”, en cuyo pueblo se los sigue confeccionando con las técnicas y telares de antaño, sólo que se los denomina “makuñ”, reservándose la primitiva voz para identificar las frazadas o mantas. Como vemos, los distintos pueblos que habitaban la región andina de la América meridional con anterioridad a la llegada de los europeos, tejían en telares y con distintas materias primas una prenda de uso corriente, como lo era el poncho. Por entonces hilaban el pelo de una variada fauna local —que comprendía guanacos, llamas, vicuñas y alpacas—, y hasta los hacían con fibras vegetales. Con la conquista española llegaron los telares europeos, la rueca y las ovejas. Las dos primeras variantes fueron utilizadas por las poblaciones criollas que se extendieron por todo el continente y sólo por algunas comunidades nativas que fueron rápidamente asimiladas. La lana de oveja, en cambio, fue adoptada por todas las etnias incorporándola a su vestuario con gran entusiasmo. Entre estos pueblos originarios, el poncho y los demás textiles poseían códigos cuya interpretación le estaba vedada a quienes no pertenecían a su cultura. Este “mensaje” se manifestaba a través de los colores y los diseños. Por ejemplo, las fajas tejidas por los mapuches se diferencian en su simbología y, de acuerdo a ésta, pertenecen al vestuario de las mujeres o de los hombres. Pero como aquel idioma resultaba

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inaccesible para los “huincas”2, éstos la utilizaban de modo indistinto provocando la hilaridad de sus autoras cuando advertían la presencia de un gaucho recio que ceñía a su cintura una faja femenina… en el vestuario del gaucho. El poncho se distingue entre las prendas del gaucho por diversas razones, entre las que podemos enumerar: abrigo, elegancia, identidad local, filiación política y seguridad. Tanto es así que los jinetes rioplatenses lo han utilizado desde sus orígenes. En toda la iconografía que nos ha llegado desde fines del siglo XVIII como también en las crónicas de los viajeros que visitaron la región desde esa época, se ubican cuantiosos testimonios que así lo demuestran. Lo cierto es que lo usaban de diversas formas y orígenes; tejidos tanto en telares aborígenes como criollos. Entre estos últimos tenía una amplia difusión el poncho de lana de oveja listado —decorado con listas delgadas y de diversos colores— que se confeccionaba en las tierras “de arriba” , como se denominaba en la pampa bonaerense a las provincias del Norte de Argentina y a las del Alto Perú, actual territorio de Bolivia. Todos ellos se formaban uniendo dos paños de aproximadamente 70 centímetros de ancho, con una abertura o boca al centro, y nunca se incluian flecos. Entre los gauchos del Noroeste argentino un poncho adquirió identidad local y relevancia histórica, el bautizado “poncho de Güemes”. En plena Guerra de la Independencia, Martín Miguel de Güemes, jefe político y militar de la región, conducía las fuerzas patriotas integradas mayoritariamente por gauchos. Dice la historia que, para diferenciarse de los realistas, Güemes ordenó se tiñeran los ponchos de rojo, y a la muerte de éste, sus seguidores le agregaron una guarda negra en señal de duelo. Así se los utiliza hoy, con el ribete negro extendido hasta la boca del poncho, donde remata en sendos moños del mismo color. Es una prenda nacida en un telar criollo y lleva flecos en sus cuatro bordes. En el otro lateral del Norte argentino, en la provincia subtropical de Corrientes, se viste un poncho liviano, de verano, cuyo diseño es único en la región. También tejido en telares criollos, aunque su cuna se encuentra en la localidad paraguaya de Piribebuy, se trata del llamado poncho “de sesenta listas”. Al margen de estas expresiones regionales, el gaucho de las pampas, además de lucir los ponchos “arribeños”, disfrutaba la posibilidad de vestir un poncho de origen mapuche. En las primeras décadas del siglo XIX funcionaba un “mercado aborigen” en pleno centro de Buenos Aires, donde se comercializaban, entre otras manufacturas, los ponchos tejidos en los telares mapuches. Si bien todos ellos se tejen en el “witral” o telar vertical de palos, en un solo paño, digamos que es posible clasificarlos por su técnica de confección: están los llamados “de labor” que obtienen su diseño a partir del propio tejido, especialmente en las guardas o listas, donde se reflejan distintos símbolos de dicha cultura, y también en toda su superficie, cuando la ornamentación se inspira en el ritmo del damero. La otra variante es la denominada “de guarda atada” (o teñido por reserva), que se obtiene cuando la urdimbre ha sido extendida sobre el telar. En ese momento y siguiendo un ritmo preestablecido se cubren pequeños tramos con un barro de tierra blanca arcillosa, atando —y recubriendo— cada grupo con fibras vegetales o animales. Terminada esta tarea se quita la prenda del telar y se la tiñe para colo-

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carla otra vez allí e iniciar el tejido, desarmando las distintas ataduras, adonde el teñido no pudo llegar. Como una variación de la misma encontramos los ponchos “de argolla”, también teñidos y con una atadura donde se pretende conservar el color original; en este caso en un conjunto rítmico de círculos (argollas). Entre los ponchos utilizados por el gaucherío rioplatense mencionamos los de factura industrial que se elaboraron en Inglaterra. Para conquistar el mercado rioplatense, los industriales británicos copiaron los diseños artesanales más apreciados, como los símbolos mapuches, y los pelajes del yaguareté y la vicuña, y elaboraron un importante abanico de variantes para ser comercializadas en estas tierras trasatlánticas. Por último, un homenaje al tejido mapuche de las “ligas” destinadas a sujetar las botas de potro. De diminuta forma (en un ancho que no superaba los cinco centímetros), los tejidos poseían un rico caudal ornamental, y eran de uso corriente entre los gauchos. Este cruce de destinos —entre productores y usuarios— nos habla de apropiaciones mutuas que a lo largo de muchos años se plasmaron entre los indígenas y los gauchos. 1 Las dataciones ubican esta cultura en un período que se extiende desde el año 200 al 800 después de Cristo. 2 La voz mapuche “huinca” indica la no pertenencia a la comunidad aborigen. Todos los españoles y criollos, entre ellos el gaucho, eran huincas.

vida y obra del venerable siervo de dios pbro. josé gabriel del rosario brochero liliana de denaro y maría luisa abal dutari Para conocer al Padre Brochero, es necesario entrar en la profundidad de su vida y saber que fue una de las más ilustres personalidades de la Iglesia Argentina. Recorremos su historia a través de ocho fechas claves: El 16 de marzo de 1840, nace en Santa Rosa de Rio Primero, un pequeño pueblo de la Provincia de Córdoba (Argentina). Sus padres, doña Petrona Dávila de ascendencia portuguesa y don Ignacio Brochero, de raíces sevillanas. Al día siguiente de su natalicio es bautizado en la Capilla del pueblo con los nombres de José Gabriel del Rosario. El 5 de marzo de 1856 ingresa al Colegio Seminario “Nuestra Señora de Loreto”, en la ciudad de Córdoba, y cuenta uno de sus condiscípulos “que era aplicado al estudio, de una profunda piedad, y amor al prójimo que conmovía, siendo esto, pilar de su existencia”. Tras nivelar sus conocimientos, el 13 de marzo de 1858, el joven José Gabriel del Rosario ingresa a la Universidad de San Carlos para inscribirse en el primer año de Filosofía. Por esa época, los padres jesuitas, tras regresar de la expulsión, recomienzan en Córdoba con la práctica de los Ejercicios Espirituales de San Ignacio de Loyola y en las diferentes tandas de ejercitantes, se comienza a advertir sobre la importancia del método en el camino de profundización espiritual. El 25 de abril de 1863 en el Seminario los Jesuitas inician una tanda de Ejercicios de seis días con gran provecho para los jóvenes, entre los cuales se encuentra José Gabriel Brochero que comprende la eficacia de los mismos para buscar la propia perfección y la perfección del prójimo. ■

Como Dios da la palabra justa a quién elige, el seminarista Brochero utiliza el lenguaje del campo que tan bien conoce, toma ejemplos sencillos y cotidianos e ingresa con la ayuda de Dios en el corazón de sus oyentes. De tal manera se enraíza en su alma el regalo que Dios le tiene preparado: La vocación sacerdotal. El 4 de noviembre de 1866 es ordenado sacerdote en la Catedral de Córdoba y el 10 de diciembre del mismo año (día de la Patrona del Seminario) celebra su Primera Misa. Al año siguiente es nombrado Capellán de Coro de la Iglesia Catedral, asumiendo prácticamente la atención del curato de la ciudad por semanas; lo hace bajo la dirección del “Cura Rector del Sagrario”. Como lo hacen los demás religiosos de la ciudad, durante la epidemia de 1867 asiste a los enfermos de cólera y les brinda el apoyo consolador de la fe. El 18 de noviembre 1866 es designado cura párroco del Departamento San Alberto, siendo San Pedro la sede parroquial de ese curato, que tenía una extensión de 4.300 km2. Dos años después de su llegada al Curato reúne el primer grupo de ejercitantes que viaja a la ciudad de Córdoba, provocando la espontánea admiración de los periodistas de la época porque para llegar es necesario un viaje de tres días, soportando las inclemencias del tiempo montado en una mula o caballo, por no existir un camino de ruedas, sino senderos o “caminos de herradura” que por momentos llegan a los 2000 metros de altura. Frente a las dificultades del viaje y al gran número de días que los ejercitantes deben abandonar sus hogares y tareas, Brochero decide edificar una Casa de Ejercicios en la Villa del Tránsito (actual Villa Cura Brochero). Lo hace dispuesto a obtener una mayor participación y así comienza su gran obra, desplegando una ardiente caridad pastoral, preludio de la santidad de su vida. Todas las obras materiales que realiza jamás le quitan un instante de intensa oración; nunca omite la lectura espiritual, la Santa Misa diaria y el escuchar confesiones. Realmente pudo decir como San Pablo: “No se predicar otra cosa que a Cristo Crucificado”… De allí que no debe asombrarnos su predicación sencilla, al alcance de todos, pero profunda; de aquél que conoce y vive el Misterio Divino y sabe llevarlo hasta el silencio del alma. los ejercicios espirituales. Escribe el P. Bustamante sj.: “El Señor Brochero sabe por experiencia propia cuán grande es la eficacia de los Santos Ejercicios, para comunicar la verdadera Luz del Cielo a las inteligencias y hacer que la Gracia triunfe en los corazones rebeldes, por eso no vacila un instante en adoptar este medio para la santificación de los fieles encomendados a su cuidado” El 15 de agosto de 1875 coloca la piedra fundamental de su mayor obra, la Casa de Ejercicios. Movidos por su palabra, los vecinos comienzan a cortar material, a quemar adobes y tejuelas, a acarrear piedras calizas, a abrir zanjas y arrastrar troncos. Finalmente, durante el mes de agosto de 1877 se inaugura la Casa de Ejercicios a pesar de no haberse revocado las paredes y ni enladrillados los pisos. Varios cientos de hombres llegan de lugares diversos y apartados. En silencio acuden al llamado de la campanilla, escuchan las pláticas y reflexionan con las lecturas, que es la tarea permanente del Cura. En febrero de 1880 inaugura el Colegio de Niñas. Lleva a las Hermanas Esclavas del Corazón de Jesús (fundadas por la Madre ■

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Catalina de María Rodríguez) que lo dirigen hasta hoy, igual que a la Casa de Ejercicios. Su importancia resulta radical, ya que por esos años son muy escasas las posibilidades educativas de los niños, especialmente de las mujeres, careciendo de formación cristiana. La atención de los enfermos es prioridad en su vida y no duda un sólo instante en acudir en auxilio de los necesitados, entre ellos varios leprosos. Brochero contrae esta temible enfermedad; hace entrega formal de la Parroquia y se retira a su casa donde es atendido por su hermana Aurora. Ya anciano diariamente celebra la Misa de la Virgen —“Mi Purísima”, como la llamaba—, porque al quedar ciego es la única que recuerda de memoria. Escribe a Monseñor Yaníz, Obispo de Santiago del Estero, y compañero suyo de estudio: “… ya estoy ciego casi al remate, y apenas distingo la luz del día, y no puedo verme ni mis manos. A más, estoy casi sin tacto, desde los codos hasta la punta de los dedos, y de las rodillas hasta los pies. Y así, otra persona me tiene que vestir o prenderme la ropa (…) “Ya ves el estado a que ha quedado el Chesche (N. del E.: refiriéndose a un caballo de pelaje particular), el enérgico, el brioso. Pero es un grandísimo favor el que me ha hecho Dios en desocuparme por completo de la vida activa, y dejarme con la vida pasiva, quiero decir, que Dios me da la ocupación de buscar mi fin y de orar por los hombres pasados, por los presentes y por los que han de venir hasta el fin del mundo”. El 26 de enero de 1914 fue a abrazar a su Creador, de Quién había dado testimonio durante toda su vida. Por Gracia de Dios estamos viviendo el Año de la Fe, y como en la vida de nosotros los cristianos católicos, no hay casualidades, sino todo es providencia, este también es el año de la Beatificación del Padre Brochero, sacerdote humilde, sencillo y abnegado hasta el heroísmo. Que su vida sirva de ejemplo a sacerdotes, religiosas y laicos, para que como él, seamos “luz y huella“ para todos en el camino hacia Dios. ■

una mirada de artistas extranjeros y locales ana maría telesca Hasta fines del siglo XVIII la América hispana permanecía misteriosa para los países europeos centrales, debido a la política aislacionista peninsular/española. A fines del siglo XVIII, y bajo la dinastía de los Borbones, la Corte de Madrid decidió relevar el continente mediante una expedición político-científica, aceptando la iniciativa del capitán de navío don Alejandro Malaspina. Pero fue el viaje realizado por Alexander von Humboldt y Aimé Bonpland a América entre 1799 y 1804, con sus materiales reelaborados a lo largo de treinta años y la edición de treinta volúmenes, el que marcó el comienzo de lo que se dio en llamar “la reinvención de América”1. Bajo el signo de la Ilustración y después de producirse las revoluciones americanas, el interés por conocer los nuevos estados, sus habitantes y sus costumbres tomó gran impulso. En las décadas posteriores a 1810 el número de viajeros que visitaron las nuevas repúblicas americanas creció extraordinariamente. Estas tierras, que en parte seguían sin cartografiar y que eran virtualmente desconocidas para los profanos e incluso para el comercio y la industria europeos, despertaron gran interés en Europa y dieron lugar a la edición de libros y álbumes, que comprendían desde minuciosos estudios sobre

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la flora y la fauna hasta representaciones “pintorescas” del territorio y sus habitantes. El marino inglés Emeric Essex Vidal (1791-1861) fue un típico representante del artista-viajero aficionado, pero muy hábil en el manejo de la acuarela. Desde mayo de 1816 hasta septiembre de 1818 desempeñó el cargo de contador en el buque de guerra inglés Hyacinth que tenía por base de operaciones la Bahía de Río de Janeiro, mientras Gran Bretaña monitoreaba una región convulsionada por las guerras civiles e independentistas y por el avance portugués sobre la Banda Oriental. Recordemos que todo barco tenía un dibujante a bordo que hacía la cartografía, la vista de los puertos y las ciudades. Vidal como buen marino inglés tenía oficio en la resolución de las imágenes a la acuarela, dentro de cierta tradición británica que tuvo mucho desarrollo durante los siglos XVIII y XIX. Cada acuarela está fechada en el dorso y contiene una descripción de la escena que se está desarrollando. Estudiándolas concienzudamente encontramos elementos invalorables para reconstruir nuestro pasado. Vidal representó los tipos populares, dentro de una corriente pintoresca y costumbrista que recorrió Latinoamérica por varias décadas. Por ejemplo, el mendigo que pedía limosna montado en su caballo blanco, el aguatero que con su carro proveía de agua a la población, y los lecheros que despertaron su atención y llegó a pintar hasta cuatro veces. La acuarela Boceto de un lechero da cuenta de la sencillez de la arquitectura doméstica hacia 1820 y es fiel en la representación de las razas equinas. (Ver página 101). Vidal volvió a Inglaterra a fines de 1818 y se dedicó a ordenar la producción artística sudamericana. El famoso editor Rudolf Ackermann, afincado en Londres, vio las acuarelas y le pidió a Vidal que hiciera una selección para publicarlas en un álbum de lujo, acompañadas de un texto. Este es el origen de Picturesque Illustrations of Buenos Ayres and Montevideo etc., editado en Londres en 1820. En este álbum los lecheritos son descriptos así: “La ciudad de Buenos Aires se provee cotidianamente de leche de las estancias circundantes… La leche es traída a caballo, en tarros de barro o latón, y cada cabalgadura lleva cuatro y a veces seis en unas alforjas de cuero… Casi puede decirse que los lecheros nacen a caballo…”2 También escribía Vidal que era tan difícil conseguir leche pura en Buenos Aires como en Londres, y que era común ver a los lecheritos volver a llenar sus tarros en el río para aumentar sus ganancias. La importancia de las ilustraciones de Vidal radica en que fueron las primeras imágenes de nuestro territorio, y los habitantes, sus quehaceres y sus costumbres, en los inicios de la etapa republicana. Hacia 1830 vemos llegar varios pintores viajeros y comienza la actividad de pintores y litógrafos locales. Desde junio de 1843 se hacen daguerrotipos. El óleo Gaucho sudamericano, nos remite al más grande ilustrador del Nuevo Continente: el pintor, grabador y litógrafo alemán Johann Moritz Rugendas (1802-1858). Este artista romántico que recorrió América con intervalos entre 1821 y 1847, se propuso hacer un gran álbum de escenas americanas, pintorescas e instructivas en cuanto a la vegetación, el paisaje —siempre captado al aire libre—, la formación de montañas, nubes, habitantes, trajes y costumbres, retratos, monumentos, fauna, etc. Su

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inmensa obra fue en el plano plástico el correlato de la obra naturalista y científica de su gran amigo, Alexander von Humboldt. En 1821 fue contratado para participar de una desafortunada expedición al Brasil, y de vuelta en París publicó en 1825 Voyage pittoresque au Bresil. Pero su intención seguía siendo conocer América. De 1831 a 1834 recorrió México del Atlántico al Pacífico, y luego pasó a Chile, país en el que residió hasta 1845, alternando con viajes a Perú y Bolivia. En la Argentina estuvo en dos ocasiones cortas: en 1837/38 cruzó la Cordillera de los Andes desde Chile, pasó por Mendoza y llegó hasta San Luis; y en 1845 estuvo en Buenos Aires y Montevideo. En Buenos Aires, después de la caída de Juan Manuel de Rosas en Caseros (1852) hubo cambios en la cultura visual con la aparición y proliferación de los Salones. Los Salones eran establecimientos muy populares donde, mediante el pago de una entrada, se accedía a interiores confortablemente amueblados, dotados de gabinetes de lectura con los principales periódicos del país, de los países limítrofes y de ultramar, con sus paredes tapizadas de cuadros de los jóvenes artistas del país, y con la exhibición de linternas mágicas y otros artilugios ópticos. En esa misma década, el gobierno de Buenos Aires comenzó a otorgar pensiones para estudiar pintura en Europa. Martín Boneo (1829-1915) del que se exhiben dos obras —Sin título y Entierro al costado del río—, fue favorecido con una beca para estudiar en el taller de Antonio Císeri, en Florencia, iniciando un camino que seguirían tantos artistas argentinos y sudamericanos en el siglo XIX. En Buenos Aires residían muchos artistas extranjeros, como Juan León Pallière (1823-1887) descendiente de franceses y nacido en Río de Janeiro. Perteneció a una familia de artistas: su abuelo fue grabador en Burdeos; su padre, pintor de Cámara del emperador Don Pedro; y su tío León, Premio de Roma. Desde su infancia estudió dibujo y pintura en París. Su permanencia en el Río de la Plata se ubica aproximadamente entre los años 1856 y 1866, cuando realizó una gran producción de óleos y acuarelas de paisajes y cuadros costumbristas. Entre 1864 y 1865 se editó un álbum de 52 composiciones litográficas, llamado Album Pallière, Escenas Americanas, con temas recogidos en sus viajes por Chile, Argentina, Uruguay y Brasil. En las acuarelas La guitarreada y Bailando gato en el galpón participamos de las diversiones de los gauchos, como tocar la guitarra o bailar en los galpones de la estancia, mientras que en La esquila somos testigos de uno de sus trabajos. En esta tarea intervenían principalmente las mujeres, ayudadas por gauchos jóvenes. A la izquierda, vemos a uno de ellos preparando las tijeras, despojado de sus calzoncillos y sus botas y con su chiripá levantado. En 1866 Pallière se radicó en París participó en los Salones, en los que expuso obras costumbristas americanas y europeas, y también cuadros de historia y temas mitológicos. El pintor, litógrafo y arquitecto suizo en jardines Adolfo Methfessel (1836-1909), llegó a Buenos Aires en 1864 para trabajar en su especialidad. Al estallar la Guerra con el Paraguay, siguió a las tropas para tomar apuntes de las acciones que luego publicó el establecimiento litográfico de Jules Pelvilain, y en 1868 ingresó al Museo Público de Buenos Aires, dirigido por el sabio naturalista Germán Burmeister, para documentar fósiles y trabajos cartográficos. En la

acuarela Leva de gauchos Methfessel da cuenta de la práctica habitual en el siglo XIX de la reunión forzosa de poblaciones para servir en las guerras de la independencia y civiles. (Ver página 101). Bernabé Demaría (1824-1910) fue un pintor, escritor y senador argentino que estudió pintura seis años en el taller del sevillano Antonio María Esquivel. Retornó al país en 1854. Pintó buenos retratos, pero fundamentalmente su inspiración se volcó a componer escenas del campo argentino. Así aparecieron en sus telas las peripecias de los gauchos, como el óleo Cantando sus cuitas, la presencia de los indios, las pulperías, los ranchos o las tropas de carretas. (Ver página 102). Angel Della Valle (1852-1903), autor de La vuelta del malón - La cautiva, concurrió entre 1875 y 1883 al taller florentino de Antonio Císeri. En ese ámbito, que funcionaba como una sociedad cooperativa de estudiantes, conoció la tradición académica, consistente en un aprendizaje basado en el estudio de desnudos, en la copia de obras de grandes maestros y en la elaboración de cuadros de historia sagrada. Al volver al país, volcó toda su formación en la resolución de temas gauchescos, rurales y militares. La vuelta del malón y La cautiva (1892) es un episodio de la larga guerra de fronteras. Raptos de mujeres, saqueos religiosos, barbarie, destrucción y muerte, fueron episodios de esa lucha concluida unos diez años antes de la ejecución de esta obra. Pero sin duda fue el uruguayo Juan Manuel Blanes (1830-1901) el que mejor aprovechó las enseñanzas de Antonio Císeri y de su taller, que frecuentó entre 1861 y 1864. En este aprendizaje se formó académicamente y definió sus concepciones artísticas. Blanes pensaba que si bien era necesario dominar la tradición pictórica europea, ésta debía ponerse al servicio de los temas americanos. Se auto-tituló un pintor “americano”. De regreso a Montevideo, pintó retratos y algunos de sus grandes cuadros de tema histórico, pero también temas folklóricos, como gauchos, chinitas y escenas de campaña, en los que aparece cierta nostalgia e idealización de la vida rural. Con la tela Peregrinación al calvario del artista tucumano Alfredo Gramajo Gutiérrez (1893-1961) ingresamos en un mundo de creencias populares, de escenas costumbristas y, sobre todo, de las manifestaciones populares de festividades religiosas. (Ver página 102). Gramajo Gutiérrez confesó haber nacido “en ese ambiente brujo y milagrero”…“Las procesiones, las festividades del culto, las plegarias a los santos… y los velorios en que culminaba el dolor de todos, eran escenas de un realismo grotesco y exuberante que dejó imborrables huellas en mi infancia.”3 Gramajo Gutiérrez fue un protagonista auténtico del movimiento indigenista que resignificó las tradiciones de los pueblos originarios, y que alcanzó a todo el continente americano durante las décadas de 1920 y 1930. 1 Cfr. Mary Louise Pratt, Ojos imperiales. Literatura de viajes y transculturación. Buenos Aires, F.C.E., 2010. Segunda Parte, Cap.V, pp. 211-267. 2 Emeric Essex Vidal, Buenos Aires y Montevideo. Buenos Aires, Emecé, 1999, p. 78. 3 Francisco Romero Grasso, Alfredo Gramajo Gutiérrez y la pintura costumbrista en la Argentina. Vicente López, Ed. Pedagógica Vicente López, 1972, pp. 10/11.

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los grabados: madera, acero y piedra roberto vega andersen En los tiempos en que el gaucho emergió como personaje rural sudamericano, la región era apenas visible en los libros de viajes y de trajes, fruto de las medidas restrictivas dictadas por la corona hispánica para sus territorios ultramarinos. Otra había sido la suerte de la imagen de los distintos pueblos aborígenes, registrada desde mucho antes, aunque con ciertas particularidades. Si bien ilustró con abundancia las crónicas y demás literatura de viajes de los siglos XVI y XVII, sus representaciones se hallaban muy lejos del verdadero mundo americano, quizás porque las mismas estaban al servicio del discurso visual alentado por los europeos. Aparecían personajes fantásticos y regiones imaginarias como el sitio donde vivía una tribu de mujeres (sin varones, se entiende), cuya denominación le diera nombre al río más importante de América: el Amazonas. Se aseguraba que el canibalismo era práctica corriente en los más diversos pueblos originarios y los animales —dibujados a partir de las crónicas escritas— representaban verdaderos monstruos. Ya en el siglo XVIII surgió un cambio en estas representaciones: las estampas reflejaron a las aborígenes cuales esculturas griegas. Pero la verdadera innovación llegó con el Romanticismo —empeñado en escribir un relato más veraz—, y fue Alexander von Humboldt su mayor artífice. Naturalista y artista, aquel alemán recorrió la América equinoccial para componer al fin una obra monumental, convirtiéndose en el hombre más influyente para los científicos y artistas viajeros que retomaron sus huellas en el Nuevo Mundo. En sintonía, las editoriales europeas comenzaron a publicar álbumes de vistas geográficas, de retratos de tipos humanos y trajes, además de artefactos culturales, plantas y animales. por el río de la plata. Desvaída tras la bruma impuesta por el oscurantismo de las políticas españolas, la región era apenas visible en la iconografía publicada. Tanto es así que casi no hubo registros anteriores a 1820 de sus ciudades más importantes —Buenos Aires y Montevideo—, documentadas sólo en unas pocas vistas levantadas desde el Río de la Plata, con el artista embarcado. De ese período se conservan dos grabados de la expedición española (1788-1794) comandada por el navegante italiano Alejandro Malaspina. Se trata de sendas escenas rurales donde el gaucho es el protagonista. Fernando Brambila las grabó a partir de los bocetos y anotaciones que levantara Felipe Bauzá, dejándonos una imagen fiel de las andanzas camperas del centauro americano. Dichas aguafuertes fueron ejecutadas en Madrid hacia fines del siglo XVIII. En 1808 el grabador londinense William Holland estampó tres láminas con motivos rioplatenses. En una de ellas vemos un gaucho a caballo en primer plano (hay otro ubicado a lo lejos), con el lazo armado girando sobre su cabeza. Entre otros detalles, se aprecia el poncho envuelto a la cintura y las botas de potro con sus dedos a la intemperie. La misma ha sido replicada en muchas ocasiones y hasta se conoce una versión plasmada en la baranda de un estribo de hierro en una ejecución de notable calidad.1 En 1820 la casa de R. Ackermann, el más prestigioso editor inglés, sacó a la luz un álbum de Emeric E. Vidal (leer página 134) con un importante repertorio de imágenes estampadas a partir de las acuare-

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las que aquel marino artista levantara entre 1816 y 1818 en ocasión de su visita a ambas capitales del Río de la Plata. Entre ellas destaca una vista doble con las carreras de caballos que por aquellos días entretenían a los pobladores de Buenos Aires.2 Para entonces el quiebre con la administración hispánica había generado una apertura de las incipientes naciones sudamericanas facilitando la llegada de marinos, comerciantes, diplomáticos, artistas y artesanos. Muchos de ellos editaron las narraciones de sus experiencias, las que eran reforzadas con láminas ilustrativas. Precisamente después de la aparición de la obra de E. E. Vidal, su repertorio visual fue multiplicado en un sin fin de publicaciones. Por ejemplo, en el libro de trajes de edición italiana titulado “Il Costume Antico e Moderno” donde aparecen distintos tipos costumbristas, entre ellos un grupo de paisanos jugando a las naipes que nos recuerda las creaciones de Vidal. La copia era una rutina, pero tal como comentáramos anteriormente, también había un tráfico importante de artistas viajeros, entre los que identificamos al francés Adolphe D’Hastrel. Llegó al Río de la Plata integrando la flota de su país y siendo partícipe de las acciones de guerra que la misma desplegó en estas aguas sobre el gobierno de Buenos Aires. Al margen de sus actividades militares, D’Hastrel no descuidó su pasión por la pintura y a su regreso a Europa se conocieron varios de sus retratos costumbristas incluidos en forma de grabados en el álbum “Musée de Costumes”. Inmerso en esta moda, en las propias capitales sudamericanas surgió un proceso de difusión autónomo de imágenes. En Buenos Aires apareció la primera casa de litografía en 1833 cuando Antide H. Bernard estampó una serie de veintidós litografías titulada “Modes de Lima” con el sello editorial de “La Litografía Argentina”. Cada una de las imágenes llevaba al pie una leyenda en inglés, castellano y francés, signo elocuente del deseo de comercializarlas a nivel internacional. A la par de Bernard, el ginebrino César Hipólito Bacle montó otro establecimiento litográfico desde donde se publicaron numerosas escenas y retratos, incluido un álbum de trajes y costumbres. La saga fue continuada por el primer grabador nacido en Argentina, Gregorio de Ibarra, que le compró a Bernard su taller. Se conocen de su producción dos conjuntos de grabados, identificados como “serie chica” y “serie grande”; la primera fue un álbum y llevó el nombre de “Trages (sic) y Costumbres de la Provincia de Buenos Ayres (sic)”. La segunda, sin título, incluyó grandes láminas grabadas a partir de los dibujos de Carlos Morel. Entre otros artistas, Carlos Enrique Pellegrini, pintor y también litógrafo, fue el titular de la casa “Litografía de las Artes” que en 1841 publicó en Buenos Aires el álbum “Recuerdos del Río de la Plata”. Los dibujos son de su autoría y reflejan las costumbres y usos locales con una veracidad no exenta de calidad plástica. Ya en la segunda mitad del siglo XIX un artista de origen brasileño y formación europea llegó a Buenos Aires para legarnos un ineludible álbum que titulara “Escenas Americanas”. Nos referimos a Juan León Pallière (veáse página 135), de cuya autoría la Imprenta de Julio Pelvilain publicó en 1864 aquel álbum con cincuenta y dos láminas grabadas. Gauchos e indígenas fueron los protagonistas de cada plancha, todas ellas de un enorme valor iconográfico. Pallière también dibujó para el periódico “El correo de la tarde”, donde se editaron numerosas creacio-

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nes de su autoría; publicó además un libro con el relato de su viaje por la región3, dibujó cartones para teatros y ejerció la docencia. En el recorrido de las representaciones visuales del gaucho marcamos un hito con su llegada a la Exposición Universal de Paris de 1867. La figura de aquellos jinetes montados en caballos —escenas ejecutadas para su exhibición con maniquíes y corceles embalsamados— presentó por vez primera a nuestro personaje con sus atuendos típicos en un ámbito europeo. Su figura ya había trascendido las fronteras geográficas originarias, ayudada también por la fotografía. Un fiel testimonio de esa expresión se documenta en el libro del italiano Pellegrino Strobel “Viaggi nell’ Argentina Meridionale effetuati negli anni 1865-1867” (editado en Torino, en 1867), donde se representó al gaucho de las pampas argentinas, con la intervención de un retrato fotográfico ejecutado por Esteban Gonnet hacia 1866. 1 Seguramente el estribo fue realizado en Inglaterra con el fin de comercializarlo en el mercado rioplatense. Por alguna razón el proyecto no prosperó, ya que apenas se conoce un ejemplar conservado. 2 Entre 1823 y 1829, Ackermann publicó más de cien libros y revistas en castellano, destinadas al mercado latinoamericano y hacia fines de 1825 abrió varias sucursales en estas naciones. (Natalia Majluf: Pancho Fierro, entre el mito y la historia. En “Tipos del Perú. La Lima criolla de Pancho Fierro”. Ed. El Viso. Madrid. 2008). 3 Se tituló: Diario de Viaje por la América del Sud.

el gaucho en la fotografía argentina (1840-1940) abel alexander sociedad iberoamericana de historia de la fotografía gauchos y daguerrotipos. La fascinación por la figura épica del gaucho —señor de a caballo de nuestras pampas infinitas— caló muy hondo en la sensibilidad de los primeros artistas extranjeros quienes, a partir de las primeras décadas del siglo XIX, desarrollaron parte de su obra en la Argentina. Siguiendo la tradición pictórica del género conocido como “tipos y costumbres populares”, artistas europeos de la talla de Carlos Enrique Pellegrini, Emeric Essex Vidal, Mauricio Rugendas, Adolfo D’Hastrel, Mauricio Rugendas o Raimundo Quinsac Monvoisin abordaron con paletas y pinceles la vida del gaucho a través de una crítica mirada eurocentrista. A estos autores extranjeros hay que sumar la obra de varios argentinos como Carlos Morel, Prilidiano Pueyrredón y otros, quienes a través de óleos, acuarelas o dibujos documentaron durante este período la compleja realidad de nuestro hombre de campo. El 19 de agosto de 1839 se liberó en París el celoso secreto que pesaba sobre el increíble invento de los franceses Joseph Nicéphore Niépce y Louis-Jacques-Mandé Daguerre. La novedad corrió por el mundo a la velocidad de un reguero de pólvora y por primera vez en la historia de la humanidad un aparato óptico combinado con fórmulas químicas obtuvo la más fidedigna y asombrosa imagen de la realidad, como nunca se había visto antes. Había nacido el daguerrotipo. Este primer proceso fotográfico —se trataba de un positivo único— recién arribó al puerto de Buenos Aires en 1843 iniciando así

la historia fotográfica argentina. Aquellos costosos retratos de estudio formaron parte de una exclusiva iconografía que estuvo al servicio de la élite social y económica de la época. En línea con la modalidad pictórica de producir retratos y escenas costumbristas, los primeros “Profesores en el arte del Daguerreotypo” y sus sucesores, los fotógrafos por el proceso negativo-positivo, encararon el registro de gauchos, paisanos y vistas rurales con destino comercial a los mercados de Europa y los Estados Unidos. Pero a diferencia de la visión subjetiva de aquellos artistas de caballete, la nueva técnica fotográfica obtenía una fidelidad tan asombrosa que causaba pasmo. Obviamente durante las dos décadas de vigencia del daguerrotipo el registro de gauchos fue casi inexistente, pues aquellos hombres de campo no cultivaban la costumbre de ser retratados, definitivamente no contaban con los medios para acceder a esta cara y sofisticada tecnología europea y aun resultaba muy complejo trasladar los equipos de toma y revelado hasta su hábitat natural Sin embargo, se han conservado algunos muy escasos daguerrotipos de aquellos años con la imagen del gaucho. Por ejemplo, el Complejo Museográfico “Enrique Udaondo” de Luján cuenta con un daguerrotipo de exteriores —de autor no identificado— que muestra a cuatros hombres posando sobre la pared de un rancho en la provincia de Buenos Aires. Entre mate, lazos y aperos, podemos confirmar que uno de ellos es un auténtico gaucho luciendo cuchillo y botas de potro. El Museo del Gaucho, de Montevideo —Uruguay— también conserva un daguerrotipo con el retrato de un gaucho, adquirido en una subasta por el estado uruguayo hace pocos años. En otra subasta, en los Estados Unidos, se ofreció a la venta un excelente retrato de un hombre norteamericano, pero vestido con las más costosas prendas gauchas; daguerrotipo realizado seguramente como recuerdo de su estadía en alguna estancia argentina. Célebres caudillos también posaron frente a las cámaras de daguerrotipo con su vestuario gaucho como Justo José de Urquiza con su poncho a listas o el caudillo Ángel Vicente Peñaloza luciendo su famoso puñal de oro. Por nuestra parte, hemos estudiado la única colección de vistas argentinas por el proceso positivo denominado ambrotipo, se trata de seis tempranos registros rurales de la estancia “Los Yngleses” en el Rincón del Tuyú (Buenos Aires) pertenecientes a la colección de la familia Boote. George Corbett fue el autor de estas obras realizadas hacia 1860, una de las cuales presenta un asado en el campo compartido por 14 gauchos y paisanos. Y recientemente se conoció el ambrotipo de un gaucho correntino exhibiendo sus armas y divisa partidaria; toma realizada por un fotógrafo provinciano no identificado. la nueva fotografía. La derrota del férreo gobierno de Juan Manuel de Rosas en 1852 produjo profundos cambios políticos y económicos; una de sus consecuencias fue la división del país entre la Confederación Argentina y el Estado de Buenos Aires. En 1861 las fuerza porteñas al mando de Bartolomé Mitre se impusieron en la batalla de Pavón sobre las tropas comandadas por Justo José de Urquiza y el país se encaminó a su unificación definitiva bajo la presidencia de Mitre. Argentina abrió sus puertas a la inmigración y se inició una prosperidad económica notable; en especial la región pampeana se integró al sistema económico internacional de neto corte capitalista y

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ansioso de productos primarios. En esta nueva y dinámica realidad rural, la vida libre del gaucho inició una definitiva declinación; avances técnicos como el ferrocarril, el telégrafo, el alambrado y otros lo relegaron a un rincón de la historia. También hacia esa fecha la fotografía presentó cambios notables, los costosos procesos positivos como daguerrotipos, ambrotipos y ferrotipos, fueron reemplazados por la novedosa y más económica fotografía por el sistema negativo-positivo. Los nuevos negativos de vidrio emulsionados al colodión húmedo y copias en papel albuminado se impusieron con rapidez y cambiaron las reglas del juego. Por primera vez los fotógrafos salieron de sus estudios urbanos y, con sus equipos y laboratorios ambulantes, documentaron la realidad geográfica y social de tan vasto territorio. Entre los nuevos profesionales se destacó el francés Esteban Gonnet —titular de la porteña Fotografía de Mayo— agrimensor de larga actuación quién recorrió con sus cámaras la provincia de Buenos Aires, obteniendo los primeros y más valiosos registros de aquel mundo gauchesco ya en retroceso. Fruto de estos viajes es la edición hacia 1866 de su álbum fotográfico “Recuerdos de la Campaña de Buenos Ayres”. Gonnet editó impecables retratos colectivos e individuales del gaucho y su hábitat natural; imágenes no conocidas hasta ese momento que incluyen ranchos de barro y paja, el acogedor ombú, mateadas y asados junto al fuego. La colección registra además las típicas tareas del peón de campo; entre otras, los rodeos de ganado, yerras, domas y carneadas. También en 1866 se inscribió el nombre de Benito Panunzi, este inmigrante italiano, profesor de dibujo y fotógrafo es autor de inmejorables vistas de Buenos Aires; y sus composiciones de gauchos bonaerenses son de una calidad notable, como por ejemplo “Pobladores del Campo” y “Una pulpería à la frontera”, así como imágenes de ranchos con sus chinas moliendo maíz o las clásicas tropas de carretas atravesando la pampa. Se conocen pocas fotografías sobre gauchos del portugués Christiano Junior; no así del fotógrafo argentino —descendiente de ingleses— Samuel Boote, cuyo conocimiento profundo del campo argentino provenía de su trabajo juvenil en estancias de la Cuenca del Salado. A Samuel Boote se le deben excelentes imágenes tomadas a partir de 1880 de tropas de carretas, la célebre composición “El asado” y diversas albúminas sobre trabajos camperos, como las tareas de marcar el ganado, carnear reses y otras labores diversas con majadas de ovejas. Su hermano menor Arturo fue un prolífico editor de álbumes fotográficos, reeditando décadas después las obras gauchescas de Samuel. A los documentalistas fotográficos del gaucho argentino durante el siglo XIX como George Corbett, Esteban Gonnet, Benito Panunzi, Christiano Junior, Samuel y Arturo Boote, hay que sumar los nombres de Samuel Rimathé y Harry Grant Olds. El suizo Samuel Rimathé arribó a la Argentina en 1888 declarando su condición de “Artiste Photographe”. A diferencia de sus colegas volcados a la retratística social, Rimathé desarrolló una intensa actividad como documentalista gráfico, viajando por todo el país en busca de vistas urbanas y rurales en las que capturó las costumbres de su país de adopción. Destaca entre ellas una serie de frescos sobre los últimos centauros, en los que muestra escenas de trabajo con caballos en el corral; momentos dramáticos como un duelo criollo a

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facón y poncho, y también las horas de ocio con los clásicos juegos de taba o truco. Debido a los largos tiempos de exposición necesarios en cada toma, Rimathé como todos los fotógrafos hasta entonces, montó las distintas escenas con poses predeterminadas y estáticas para obtener sus tomas costumbristas. Harry Grant Olds provenía del país de los cowboy, Estados Unidos de Norteamérica, y como su colega Rimathé, desistió de abrir un estudio fotográfico en Buenos Aires y se lanzó a recorrer la geografía argentina en busca de motivos dignos de su cámara. En este transitar obtuvo a partir de 1900 testimonios de los últimos gauchos en sus tradicionales tareas. Uno de los casos más interesante con relación al gaucho y la fotografía fue protagonizado por el abogado porteño Francisco Paco Ayerza, gran amateur y verdadero motor en la creación de la mítica Sociedad Fotográfica Argentina de Aficionados (1889-1926) de la cual fue designado su primer presidente. Paco Ayerza llevó adelante un ambicioso proyecto a partir del año 1885, nada menos que recrear la obra “El Gaucho Martín Fierro” (cuya primera edición es de 1872) de José Hernández, ilustrándolo con escenas fotográficas para volcarlas a un libro, sin duda un hermoso proyecto que lamentablemente no se pudo cumplir. Para esta iniciativa contó con el apoyo de su amigo el estanciero Leonardo Pereyra, siendo la mayoría de la recreaciones gauchescas realizadas en la Estancia San Juan y con la participación de peones y capataces en los papeles actorales. Debemos señalar que la costosa edición de los grandes álbumes fue un impedimento serio para la circulación masiva de estas valiosas imágenes gauchescas. Para solucionar este problema, a partir de la década de 1860 las fotografías gauchescas se comercializaron a través de las pequeñas y económicas tarjetas de visita (“carte-de-visite”). En el proceso de abaratar costos y alcanzar la divulgación masiva de esta imágenes, llegó la verdadera revolución cuando se puso a punto la técnica de impresión fotomecánica, en particular a partir del año 1900 cuando se editaron en Argentina las primeras postales fotográficas. Editores como Guillermo Kraft, Jacobo Peuser y especialmente el empresario Roberto Rosauer, publicaron cientos de miles de postales o “post card” utilizando y reciclando las fotografías del siglo XIX. Todos ellos adquirieron los viejos archivos aunque Rosauer fue uno de los pocos que consignó la identidad de aquellos fotógrafos pioneros. La edición de postales con temas gauchescos coincide con el auge del criollismo —como bien lo señalan numerosos investigadores— en un tardío reconocimiento de la sociedad argentina hacia aquel habitante de nuestras pampas que supo ganar con su rebeldía y afán de libertad un lugar de relevancia en nuestra controvertida historia.

la mirada contemporánea maría pimentel directora artifex Los paisajes en Argentina, un país caracterizado por la variedad e inmensidad de sus horizontes tan distintos como admirables, son de un gran interés para los artistas que se dedican a fotografiarlos. Pero

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no sólo se trata del paisaje , sino también la vida de los gauchos despierta el interés de ellos, junto a sus tradiciones y devociones. En la selección que hemos hecho para esta exposición hemos querido incluir fotográfos contemporáneos con obras, en las que, cada uno de ellos aporta su cuota para lograr todo lo que queríamos contar de la Argentina, del gaucho, de sus tradiciones y de la fe. El campo y sus actividades forman parte de la vida argentina. Testimonio de ello son estos dos fotógrafos, miembros de una familia de tradición rural, que son fieles testigos de la vigencia del gaucho en la vida contemporánea. Javier Pereda capta con destreza las tropillas, los jinetes, la nobleza del caballo. Es evidente su amor por el gaucho, por los paisanos, reseros y domadores a quienes retrata en sus imágenes. Juan Pablo Pereda, se interesa sobre todo por la naturaleza y nos muestra la pampa de los jinetes gauchos, un paisaje donde el horizonte es una perspectiva permanente. Por otro lado profesionales y de formación clásica, los restantes ostentan un estilo propio, con poéticas totalmente distintas y propuestas muy sólidas para testimoniar la actualidad. Entre ellos, Lucio Boschi, este talentoso fotógrafo argentino retrata con una mirada muy poética el país de tierra adentro. Sus obras son el resultado de la combinación de un excelente dominio de la técnica sumado a una gran espiritualidad. No sólo retrata sino que devela la intimidad del diálogo con Dios. Daniel Sempé, tiene una mirada mucho más documental sobre el gaucho y sus costumbres, su vida diaria y su trabajo. Si bien su fotografía es tradicional, refleja con gran belleza la simplicidad de los actos cotidianos de la vida en el campo. Jasmine Rossi, periodista ítalo alemana ha sabido captar y reflejar el alma de nuestro país con un gran refinamiento estético y una gran sensibilidad para plasmar los colores del paisaje y de las devociones populares. Por último, la joven fotógrafa Celine Frers, que con la frescura de su visión nos da un testimonio del gaucho característico de cada región, de la Pampa a la Patagonia, de Cuyo a la región del Litoral, reflejando en sus obras las similitudes y diferencias, y, destacando en ellas la inmensidad del territorio argentino.

catálogo de las piezas abreviaciones: Largo: L. / Largo total: Lt. / Ancho: An. / Altura: Al. / Diámetro: Diam. / Abertura: Ap.

platería de uso gauchesco 1. rastra y tirador. Plata. La figura de un gaucho a caballo en el centro y seis ramales de cadenas de canebones con monedas antiguas a modo de botones. Tirador de cuero —conserva los restos de su bordado original— con monedas de plata. L. rastra: 35 cm. L. tirador: 75 cm. An. tirador: 13 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. cbb. 2. rastra. Plata. La figura de un angelito en el centro, con seis ramales cortos y botones hechos con antiguas monedas (muy desgastadas) acuñadas en el mismo metal. L.: 15,5 cm. A.: 13 cm. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. cpba.

3. rastra. Plata y oro. La figura de un ángel entre flores en el centro, con detalles de oro cincelado. Seis ramales de eslabones de plata y monedas coloniales. Diam. del centro: 7,5 cm. Lt.: 24 cm. Argentina, fines del siglo XIX. cpr. 4. Tirador. Cuero forrado en terciopelo y plata. El tirador fue ornamentado con bordados de motivos de flores y hojas, y lleva tres bolsillos con antiguas monedas argentinas de plata, acuñadas en 1883. L.: 71 cm. An.: 11,6 cm. Buenos Aires, fines del siglo XIX, o principios del XX. cbb. 5. par de mates. Plata. Base tipo cáliz con distintos diseños de moleteado. El recipiente apoya en un balaustre formado por tres columnas con figuras de ángeles que emergen desde una voluta en el astil. Cuenco de estilo neoclásico, dividido al centro por un soaje. Boca sobreelevada con una decoración moldurada. Al.: 20 cm., uno, y 20,4 cm., el otro. Buenos Aires, principios del siglo XIX. cpba. 6. mate. Plata. Tres patas fundidas con figuras de ángeles contenidos entre flores. El cuenco posee un campo central cincelado y boca decorada con detalles ondulados. Al.: 11 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. css. 7. mate. Plata. Base tipo cáliz con franja central cincelada y soaje en la base. En el astil, la figura de un ángel sentado. Cuenco ovoideo con corola en su base, soaje central y boca elevada. Al.: 22 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. css. 8. mate. Plata. Base tipo cáliz segmentada y cincelada ‘a flor de agua’. Astil con la representación de un águila con sus alas desplegadas y sobre ella, una corola sobre la que apoya el cuenco. Dicho cuenco es alargado y repite la decoración de la base. Al.: 20 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. Ex colección Manuel Anchorena. cpba. 9. mate con bombilla. Plata y oro. Base con tres patas en forma de ‘S’, cada una con la representación dos animales mitológicos con sus cabezas en ambos extremos. Cuenco algo achatado con un exquisito cincelado de hojas, y aplicaciones en oro con monograma y leyendas: Recuerdo y año 1892. Boca con soaje en oro. Bombilla de plata y oro, con una letra ‘J’ de gran porte y el nombre del destinario del objeto: Julia. Al.: 13,8 cm. L. bombilla: 24 cm. Buenos Aires, 1892 circa. css. 10. mate con bombilla. Plata y oro. Sus formas interpretan el mate de asta, ampliamente difundido en la región. Es una obra de gran lujo y, por ello, fue elaborada en metales nobles y bellamente cincelado con motivos fitomorfos. Lleva una cadena que vincula ambos extremos del recipiente. Bombilla original, también de plata y oro. Al.: 13 cm. L. bombilla: 23,6 cm. Paraguay o Litoral de Argentina, fines del siglo XIX. css. 11. bombillas. Plata. Conjunto de cinco bombillas con distintos diseños ornamentales. Argentina, siglo XIX. css. 12. jarro. Plata. Cuerpo troncocónico facetado, con dos soajes perlados en ambos extremos y con diseños de flores y volutas. Asa muy ornamentada en forma de ‘S’. Al.: 12,2 cm. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. css. 13. jarro. Plata y oro. Recipiente troncocónico, con dos franjas cinceladas con diseños de ramas, hojas y flores. Centro cincelado con un sinfín de ‘0’ y monograma central en oro calado y cincelado ‘a

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flor de agua’. Asa de líneas estilizadas. Al.: 11,6 cm. Diam.: 9,5 cm. Corrientes, segunda mitad del siglo XIX. css. 14. jarro. Plata y oro. Vaso troncocónico de plata con dos soajes perlados en ambos extremos y el cuerpo dividido en campos verticales, uno liso y el otro cincelado con figuras fitomorfas y pequeños detalles en oro. Asa de líneas estilizadas. Al.: 11,2 cm. Diam. de la boca: 8 cm. Buenos Aires, fines del siglo XIX. cpba. 15. jarro o ‘chambao’. Asta y plata. Vaso o jarro de asta pulida y tallada, con monturas de plata en la base y en la boca, en ambas con argollas a las que se sujetaba una cadena hoy extraviada. En el cuerpo del contenedor, la leyenda 30 de julio de 1901 y un monograma contenido dentro de un corazón, y del otro lado, un ramo de flores. L.: 21,5 cm. Diam. de la boca: 6 cm. Argentina, hacia 1900. cdm. 16. jarro o ‘chambao’. Asta y plata. Recipiente de asta tallada, con monturas y cadena de plata. Escena tallada con un rancho y en la ventana, la mujer del gaucho mirando al horizonte; la decoración se completa con una palma caranday, y una gallina. A.: 20 cm. Entre Ríos o Corrientes, hacia 1900.cbb. 17. chifle. Asta y plata. Cornamenta tallada con diseños fitomorfos y calce de plata en la base del recipiente. L.: 35 cm. Argentina, Litoral, fines del siglo XIX. cdm. 18. yesquero. Plata y hierro. El recipiente para la yesca con forma de mascarón con un personaje barbado, y tapa a modo de sombrero. El percutor de hierro y plata con la figura de un león. Su tapita y ambas piezas unidas por una cadena. L. del recipiente: 7 cm. Al. del percutor: 4,8 cm. Punzón: Moreyra. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. cpba. 19. yesquero. Plata y hierro. Recipiente para la yesca con forma de perilla, con su tapita. Percutor de hierro y plata con la figura de una lira de plata. Su tapita y ambas piezas unidas por cadenas. L. del recipiente: 6,2 cm. Al. del percutor: 3,8 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. cpba. 20. cuchillo verijero. Plata, oro y acero. Empuñadura de sección oval y rico cincelado de inspiración fitomorfa, como la vaina, la cual ésta con la traba inspirada en un puño con un ramo de flores. Hoja inglesa marca Joseph Rodgers & Sons, de la época victoriana. L. de la hoja: 13 cm. Lt.: 26,8 cm. Punzón: Fernández y Casal. Buenos Aires, fines del siglo XIX. css. 21. daga. Plata, oro y acero. Empuñadura —facetada y con inusual inclinación— y vaina de plata cincelada con detalles de ramas ondulantes, hojas y flores, enriquecida en oro. Puntera con forma de pez mitológico y en la embocadura, pequeña defensa oval. Hoja marca Bellezza. L. de la hoja: 17,5 cm. Lt.: 34,8 cm. Punzón: J. Podestá. Entre Ríos, fines del siglo XIX. cpr. 22. cuchillo verijero. Plata, oro y acero. Empuñadura y vaina de plata y oro. La pieza posee rasgos infrecuentes, como la empuñadura con la representación de la República y la bocavaina calada. En la vaina, decoración de motivos fitomorfos con influencias Art Nouveau, probablemente ejecutada hacia 1910, año de celebración del primer Centenario de la emancipación argentina del régimen monárquico español. Hoja marca Dufour. L. de la hoja: 17,5 cm. Lt.: 31,7 cm. Punzón: C. (Constantino) Rey. Azul (Argentina), hacia 1910. cpba.

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23. cuchillo de cintura. Plata y acero. Empuñadura facetada con sus extremos cincelados. Vaina con soaje central; traba con la representación de la cabeza de un can de orejas caídas, y puntera formada por dos delfines. Hoja italiana (Maniago, Friuli-Venecia Julia), marca Fratelli Rusconi. Lh.: 26,5 cm. Lt.: 41 cm. Punzón: Orfila. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. css. 24. daga ‘picaza’. Plata, oro, cuero y acero. Empuñadura de plata facetada con motivo vegetal cincelado. Vaina de cuero con puntera y embocadura cinceladas de plata, con suncho y costillas de plata lisa; y defensa en forma de ‘S’. Hoja grabada al ácido, marca Armería de París. Carlos Rasetti. Buenos Aires. L. de la hoja: 39,5 cm. Lt.: 54,3 cm. Punzón: L. Carzolio. Buenos Aires, fines del siglo XIX. cpr. 25. facón. Plata y acero. Empuñadura y vaina de plata. Ésta última, seguramente, en su origen tuvo una funda de cuero, como las más antiguas piezas; se combina con la empatilladura que posee la hoja. En la vaina, traba con la representación de la cabeza de un perro con sus orejas caídas, y puntera de diseño fitomorfo con una piña en el extremo. Detalles burilados. Hoja de antiguo sable, reutilizada. La pieza nunca contó con una defensa, rasgo propio de los facones. L. de la hoja: 19,5 cm. Lt.: 37,7 cm. Punzón (¿de platero o de propietario?): B. C. Buenos Aires, primera mitad del siglo XIX. css. 26. facón ‘picazo’. Plata, cuero y acero. Empuñadura troncocónica circular de especial diseño con hendiduras. Vaina de cuero y plata con suncho central y defensa con una apenas perceptible forma de ‘S’. Hoja colonial de espada, reutilizada. L. de la hoja: 30,8 cm. Lt.: 47,6 cm. Punzón: J. Canelo. Buenos Aires, último cuarto del siglo XIX. cpr. 27. facón ‘picazo’. Plata, oro, cuero y acero. Empuñadura de plata y oro, y vaina de cuero, plata y oro, ambas profusamente cinceladas con motivos fitomorfos, con su pequeña defensa en forma de crucero. Hoja de acero sin identificación de fabricante. Punzón: López y Diez. L. de la hoja: 28 cm. Lt.: 46,5 cm. Provincia de Buenos Aires, hacia 1950. cbb. 28. par de espuelas. Plata y hierro. Espuelas de pequeño porte de plata fundida y cincelada. Ambos arcos con antiguas restauraciones, seguramente reparando alguna fractura originada por su uso. Pihuelo con la figura de un ave (¿cóndor?). Rodaja de hierro, despuntada. Correas de cuero y prendeduras de plata. L.: 12,8 cm. Buenos Aires, hacia 1860. cpba. 29. par de espuelas. Plata y hierro. Arcos amplios, calados y cincelados. Rodete fundido y cincelado con motivos de hojas. Pihuelo arriñonado con una flor central. Rodaja de hierro con sus puntas quitadas; con guardabarros de plata. Alzaprimas de canebones y bajoempeines de cadenas (¿posteriores?), ambos de plata. L.: 22,8 cm. Punzón: Risso. Entre Ríos, segunda mitad del siglo XIX. cpr. 30. par de espuelas. Plata, oro y hierro. En el arco, caladas en oro, las letras con la filiación de su antiguo propietario: Fulgencio Venegas; el nombre en una y el apellido en la otra. Rodete redondo, torneado y moleteado. Pihuelo con la figura de un dragón y rodajas de hierro caladas y limadas. Alzaprima de canebones. L.: 22,5 cm. Peso: 2.200 gr. Punzón: A. Bianchi. Provincia de Buenos Aires, principios del siglo XX. css. 31. par de espuelas. Plata, oro y hierro. Arcos de plata con decoración cincelada de flores de oro. Las alzaprimas formadas por cade-

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nas de canebones y en su pihuelo, la figura de un caballo, también calado y cincelado en oro. Con iniciales en oro de su original propietario: E. G. L.: 18 cm. An.: 10,5 cm. Punzón: Carzolio. Buenos Aires, principios del siglo XX. cbb. 32. medalla. Plata. Una de las grandes piezas de la medallística argentina, diseñada para conmemorar el Pacto de Unión Nacional celebrado en 1860, también conocido como Jura de la Constitución Nacional. En el reverso y entre dos ramas, la leyenda: A la Unión Nacional de la República Argentina. 1860, y en el perímetro: Al Gran Pueblo Argentino Salud. Diam.: 5,5 cm. Autor: Pablo Cataldi. Buenos Aires, 1860. cpr. 33. taba. Hueso y bronce. Formada con el hueso astrágalo o carnicol —extraído de la pata de un vacuno—, calzada en cobre. Al.: 5 cm. L.: 7,3 cm. Argentina, principios del siglo XX. cpba. 34. figura ornamental. Plata. Dos jinetes (¿femeninos?) montados en un caballo; con una argolla para colgar. Diseño inspirado en el centro de una rastra —ver ítem 1—, cuyo jinete original es un gaucho que fuma mientras cabalga. Al.: 9,5 cm. An.: 7,2 cm. Buenos Aires, fines del siglo XIX. csb. 35. apero de montar: lomillo ‘chapeado’. Silla de montar —lomillo— hecha por la Talabartería Mataldi; estribos tipo ‘de arco’, de plata, punzón Argüello; rebenque de argolla; espuelas estilo ‘de piquería’, de plata; cabeza y fiador de chapones de plata, y riendas del mismo material, con bombas y pasadores. Cincha y encimera (contemporánea. Autor: Alejandro Marente). Carona de suela. Jergas de origen mapuche. Cojinillo. Buenos Aires, con piezas de distintas épocas. cbb. 36. apero de montar: bastos. Cuero, plata, oro y lana de oveja. Bozal, cabezada, cabresto, riendas, freno, manea, silla, bajera o sudadera, dos mandiles, dos matras, carona, encimera y cincha, estribos con estriberas, cojinillo, sobrepuesto de ciervo, cinchón de dos vueltas, pretal de cuero y plata con motivo de flores de pensamiento, espuelas, rebenque, cuchillo, y rastra con tirador. Poncho. Todas las piezas de plata llevan el punzón J. Lanata, salvo las espuelas y el rebenque, ambas sin datos de autor.Buenos Aires, primera mitad del siglo XX. cbb. 37. apero de montar: bastos ‘de soga’. Cabezada, riendas, pretal, fiador, freno, rebenque, espuelas, caronero, estribos, montura, bajera o sudadera, carona, matras, encimera y cincha, cojinillo de hilo, sobrepuesto y pehual. Autor: Casimiro Gómez. El apero perteneció a D. Nicanor Salas Chávez, caudillo de la zona Sur del Gran Buenos Aires. Buenos Aires, hacia 1920. Ex colección Darío Anasagasti. Ex colección Eusebio A. Castro. cjcp. 38. apero de montar: sirigote. Plata, cuero, lana. Montura antigua (restaurada) con arzones de plata y marca de ganado de su anterior propietario en oro. Cabezada de chapones de plata con un mascarón con un sol en la frentera. Riendas tejidas en hilo de plata y freno de hierro con su candado, pontezuela y argollas macizas de plata; ornamentado con copas también de plata. Fiador de chapones articulados del mismo metal con medallones cincelados. Carona de suela. Cojinillo de hilo. Jergas litoraleñas. Sobrepuesto y sobrecincha de cordero. Par de estribos de plata, tipo ‘piquería’, con pasadores y mascarón con cabeza de león. Litoral argentino, con piezas de distintas épocas. cdm.

39. cabezada. Plata. Cabezada con sus tiros laterales de chapones y rosetones de láminas caladas, superpuestas y cinceladas; en el extremo inferior, los cierres para sostener el freno con el diseño de una cara humana. En el centro de la frentera, un escudo de la Confederación Argentina y, en el centro de la hociquera, un florón con la misma cara de los cierres sólo que rodeada de un sol. L.: 42,5 cm. An.: 46,5 cm. Punzón: Risso. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. cpr. 40. cabezada. Plata. Cabezada de chapones de plata fundidas, caladas y cinceladas. En el centro de la frentera, un sol y una media luna con la cara de un Eolo soplando. Los chapones de los tiros laterales se unen entre sí por un eslabón plano y acanalado; en sus extremos, los cierres también de plata llevan cabezas de león. L.: 39,5 cm. An.: 40 cm. Argentina, segunda mitad del siglo XIX. css. 41. riendas. Plata. Riendas chatas tejidas en hilos de plata con bombas del mismo metal y pencas. L.: 200 cm. Punzón: A. Ferreyra. Buenos Aires, hacia 1840. cbb. 42. par de riendas. Plata. Realizadas con hilos de plata tejida, de sección redonda. Ambas se unen por una cadena transversal, y rematan en pencas. L.: 250 cm. Litoral de Argentina, siglo XIX. cdm. 43. freno. Plata, oro y hierro. Freno de plata maciza, al igual que sus copas y la pontezuela (fija), decorada con el monograma de su anterior dueño: C. E. V. Coscoja de hierro. L.: 33,5 cm. Habría pertenecido al general Conrado Excelso Villegas (1841-1884). Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. cpr. 44. freno. Hierro y plata. Patas de plata con el diseño del cuerno de la abundancia y un florón. Pontezuela de cadena de plata lisa. Puente de hierro articulado. L.: 20,5 cm. An.: 18,5 cm. Punzón: Risso. Entre Ríos, fines del siglo XIX. cpr. 45. freno. Aleación y hierro. Patas de aleación con diseño de ángel con escudo, pontezuela de cadenas. L.: 18 cm. An.: 14,6 cm. Argentina, principios del siglo XX. cdm. 46. fiador. Plata. Chapones rectangulares y florones fundidos y cincelados, con argolla en el cierre (para sujetar la manea). Los florones son de dos tamaños y en el pequeño aparece la representación del Espíritu Santo. L.: 82 cm. Litoral argentino, segunda mitad del siglo XIX. cdm. 47. manea. Plata. Malla tejida en hilos de plata con flores y argollas realizadas en el mismo metal. L.: 30,3 cm. Argentina, fines del siglo XIX. cpr. 48. par de estribos con estriberas. Plata y cuero. Estribos tipo ‘campana’ con estriberas adornadas con pasadores cilíndricos largos (cuero moderno). Hondón calado y liso. Baranda con dos flores, con hojas y una rocalla en el tramo inferior; fondo tipo esterillado. El arco, de una sola curvatura en su base y decorado por un pequeño ramillete de hojas, remata en sendas esferas, ubicadas junto al ojo de la pieza. Al.: 19,5 cm. Ab.: 9,3 cm. An.: 12,2 cm. L. del pasador: 21,5 cm. Punzón: C. (Cándido) Silva. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. cpba. 49. par de estribos. Plata. Modelo llamado ‘de arco’. Su ojo, transversal, con decoración de carácter fitomorfo; el arco, surcado por líneas, tiene ornamentación de hojas cinceladas. El hondón o pisada, calado, con dos corazones, cae en sus bordes anterior y posterior en un tipo de faldón, marcado por líneas radiales.

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Al.: 13,8 cm. Ab.: 8,3 cm. Punzón: Machado. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. cpr. 50. par de estribos con estriberas. Plata y cuero. Estribos tipo ‘de arco’. En la baranda, la representación de un personaje barbado; por encima de su rostro, un botón (hecho a partir de una moneda) de oro. Estriberas de cuero (modernas) con pasadores chatos y florón central con el diseño de un corazón. Marca de autor no identificada. Al.: 18,5 cm. Ab.: 9 cm. L. de las estriberas: 48,5 cm. Buenos Aires, mediados del siglo XIX. cpba. 51. par de estribos. Arco de gran porte. Baranda fundida y cincelada con su borde inferior festoneado. Ornamentación de hojas y flores con una cartela central sin uso. Al.: 22,3 cm. Ab.: 8,8 cm. Punzón: E. (Eugenio) Caldará. Rosario, provincia de Santa Fe, Argentina, fines del siglo XIX. cpr. 52. par de estribos ‘sureros’ con estriberas. Cuero y plata. Estribos de suela de amplias dimensiones y formato redondo, decorado con chapones de plata calada y cincelada, con iniciales de un anterior dueño. Estriberas con pasadores cortos y bomba central de plata. Al. estribos: 20,4 cm. Ab.: 9,5 cm. L. estriberas: 64 cm. Punzón: Amoroso y Llera. Olavarría, provincia de Buenos Aires, hacia 1940. cjcp. 53. rebenque de argolla. Plata y cuero. Cuerpo liso facetado con soaje y cincelado en el centro y en ambos extremos. Argolla de borde exterior facetado e interior redondo. Manija y azotera modernas de cuero tejido. L. cuerpo y argolla: 26 cm. Lt.: 90 cm. Buenos Aires, segunda mitad del siglo XIX. ccb. 54. rebenque de argolla. Plata, oro y cuero. El cuerpo, de mayor diámetro en el centro, presenta tres soajes lisos de oro. Argolla de plata con detalles de oro; manija tejida de tientos de cuero y azotera de cuero. L. del cuerpo y argolla: 30 cm. Lt.: 77,5 cm. Buenos Aires, hacia 1880. ccb. 55. rebenque con cadena. Asta, plata, oro y cuero. Su cuerpo formado por discos de asta, con soajes de plata y oro; con el monograma de su propietario original. L. del cuerpo: 42 cm. Lt.: 104,5 cm. Punzón: A. Montes. Buenos Aires, principios del siglo XX. cbb. 56. azotillo. Plata. Cuerpo de plata de sección circular, cincelado con diversos motivos e intercalados, surcos galloneados. Agarradera de cadena del mismo metal. Azotillo con cuatro cadenas de hilos de plata trenzado. L. del cuerpo: 29,5 cm. Litoral de Argentina o Sur de Brasil, primera mitad del siglo XIX. cpr. 57. fusta. Plata y cuero. Cuerpo de plata y de tientos de cuero tejidos, aquel dividido en cuatro secciones por medio de soajes, dos cinceladas y dos tejidas en hilos del mismo metal. Empuñadura en forma de cabeza de caballo y cadena de plata para asir. L. del cuerpo: 42,3 cm. Uruguay o Litoral argentino, fines del siglo XIX. cpr.

la fe de tradición gaucha 58. exvotos. Plata. Conjunto de 38 exvotos que reúnen una variedad de motivos rurales; como viviendas, facones, herramientas, caballos, vacunos, lanares, porcinos, y gallinas. Argentina, siglos XIX y XX. csb. 59. dos exvotos. Plata. Virgen de Luján. Al.: 6 y 4 cm. Principios del siglo XX. csb.

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60. virgen de luján. Madera tallada y policromada, corona de oro. Imagen de bulto con corona de oro calada y soldada. Al.: 18 cm. Argentina, siglo XIX. csb. 61. virgen de luján. Madera tallada y policromada, y corona de oro. Imagen de bulto con pequeña corona de oro calada y soldada. A.: 9,5 cm. Argentina, fines del siglo XIX. csb. 62. virgen maría. Plata y oro. La pieza fue fundida en plata y cincelada, con decoración en oro de roleos, hojas y flores caladas, cinceladas. Al.: 7,5 cm. An.: 5,5 cm. Argentina, siglo XIX. cbb. los pallarols, orfebrería por generaciones 63. báculo. Plata vermeille. Autor: José Pallarols y Torras, hacia 1905. Al.: 36 cm. An.: 19,5 cm. La pieza se encontró en las ruinas de la Iglesia de San Francisco (ciudad de Buenos Aires), destrozada por efecto de las históricas profanaciones de los templos católicos, acaecidas en 1955. cjcp. 64. estandarte o guión religioso. Plata, oro, esmaltes y piedras preciosas. L.: 81 cm. Al.: 55 cm. Obra realizada por Carlos Pallarols Cuni, con el bordado en hilos de plata ejecutado por la madre del orfebre, Carolina Cuni. Buenos Aires, hacia 1934. 65. cáliz. Oro, plata y piedras preciosas. El cáliz fue utilizado en el Congreso Eucarístico de 1934, en Buenos Aires, por el entonces Legado Pontificio Eugenio Paccelli. Al.: 38 cm. Punzón: Carlos Pallarols Cuni. Buenos Aires, hacia 1930. casscmba. 66. custodia. Plata vermeille, bronce y piedras. Base con tres patas y cabezas de ángeles aplicadas. Sostén con nudo central que remata en la figura de bulto de un ángel por sobre el cual se eleva el ostensorio, decorado en forma alterna por volutas y rayos. En la porción superior, una cruz. Autor: José Pallarols y Torras. Buenos Aires, hacia 1945. cjcp. 67. crucifijo. Marfil, madera y plata. Imagen de marfil. Cruz de madera apoyada sobre una peana moldurada. Las labores de plata (los candeleros, el resplandor, las cantoneras y la calavera con las tibias cruzadas) fueron ejecutadas por Juan Carlos Pallarols. Al.: 137 cm. An.: 70 cm. Profundidad: 44 cm. Buenos Aires, fines del siglo XX. cpba. 68. sahumador con salvilla. Plata. El sahumador representa la figura de un ave, la llamada perdiz copetona. Al: 35 cm. Diam. de la salvilla: 28 cm. Autor: José Pallarols y Torras. Hacia 1920. cjcp. 69. mate con figuras de ángeles. Plata. Base tipo triangular de lados cóncavos, con tres ángeles sentados. Astil con su columna y cuenco de forma compleja, con su centro de mayor volumen, cincelado, el que apoya sobre una corola de la que penden láminas de plata inspiradas en los aros de la joyería mapuche. Al.: 22,5 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporáneo. cjcp. 70. mate con salvilla, con su bombilla. Plata. Salvilla de bordes ondulados. Sobre la base del mate, de sección circular y apenas elevada, se ubican seis querubines, tres de ellos sentados y los demás, de pie y sosteniendo el cuenco. El diseño de éste se inspira en las formas de una calabaza con boca y base de plata, aunque aquí es todo de plata. La bombilla posee dos figuras de seres mitológicos. Al.: 24,8 cm. Diam. de la salvilla: 18,5 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporáneo. cjcp. 71. mate con bombilla y pava. Calabaza, plata. El mate de cala-

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baza, con su embocadura y bombilla de plata. La pava, inspirada en una pieza antigua de factura europea y uso rioplatense, fue ejecutada en plata y madera. Al. del mate: 11,6 cm. Diam. de la pava: 16,2 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporáneo. cjcp. 72. jarro. Plata. La pieza se encuentra en proceso de elaboración. Diseño de cardos, tan propios de la llanura bonaerense. Al.: 14,2 cm. Diam. de la boca: 10,7 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Buenos Aires, contemporáneo. cjcp. 73. cabezada con freno y riendas. Plata, oro, hierro y cuero. Cabezada de eslabones chatos fundidos y cincelados de plata, con un freno de copas (éstas con leyenda burilada) y pontezuela de plata, con detalles de oro. Riendas de plata y cuero. Cabezada: L.: 40 cm. An.: 40 cm. Freno: L.: 22 cm. An.: 19 cm. Riendas: L. de plata: 92 cm. Lt.: 190 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 74. pretal. Plata. Eslabones chatos fundidos y cincelados, diseñados de mayor a menor con un medallón central. L.: 161 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 75. cuchillo verijero. Plata y acero. Diseño galloneado en toda la pieza y detalles de hojas y flores. Traba con la representación de un pez mitológico. Hoja marca Dufour. L. de la hoja: 13 cm. Lt.: 30 cm. Punzón: José Pallarols y Torras. Buenos Aires, hacia 1920. cjcp. 76. cuchillo verijero. Plata, oro y acero. Cuchillo, de estilo olavarriense, profusamente cincelado. Traba con un mascarón. Falto de la puntera, en proceso de elaboración. Hoja marca J. M. Rodgers & Son. L. de la hoja: 12,6 cm. Lt.: 25 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 77. cuchillo de cintura. Plata, oro y acero. Empuñadura facetada y vaina con soajes en oro; profusamente cinceladas con roleos, hojas y flores. La traba con la representación de un pez mitológico. Hoja marca Defensa. L. de la hoja: 28 cm. Lt.: 45,8 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 78. cuchillo de cintura. Plata y acero. La ornamentación de esta obra se manifiesta en una elegante labor de burilado dibujando hojas y flores. Traba con una reserva sin uso para un monograma de propietario. L. de la hoja: 25 cm. Lt.: 42 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 79. cuchillo de cintura. Plata, oro y acero. Liso y con detalles cincelados, destacan la importante traba cincelada y los soajes cincelados a mano, al igual que la rama de laurel que recorre todo el perímetro de la pieza. Al verso de la vaina, el escudo nobiliario de su original comitente. L. de la hoja: 23,4 cm. Lt.: 42 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 80. espadín correntino. Plata, oro y acero. La empuñadura con guardamano realizada en plata. Vaina también de plata, profusamente cincelada, con detalles en oro (el escudo nacional y la pluma que hace de puntera). Hoja reutilizada de un sable colonial. L. de la hoja: 60,6 cm. Lt.: 81 cm. Punzón: Juan Carlos Pallarols. Contemporáneo. cjcp. 81. bocetos. Lápiz sobre papel. Dos bocetos de obras ejecutadas en la última cuatro centuria por la familia de orfebres Pallarols. Buenos Aires, siglo XX. cjcp.

82. bocetos. Lápiz sobre papel. Dos bocetos de obras ejecutadas en la última cuatro centuria por la familia de orfebres Pallarols. Buenos Aires, siglo XX. cjcp. los textiles de uso gaucho 83. ñimin makuñ. Poncho ‘de labor’ mapuche. Lana de oveja y colorantes naturales. Poncho de una sola pieza sin flecos, tejido con técnica de labor en telar aborigen, con cinco guardas. Colores: negro y natural. L.: 170 cm. An.: 157 cm. Argentina o Chile, siglo XIX. cepp. 84. ñimin makuñ. Poncho ‘de labor’ mapuche. Lana de oveja y colorantes naturales. Poncho de una sola pieza tejido con técnica de labor en telar aborigen y decorado con cinco guardas diseñadas a partir de variaciones del damero. Con flecos estructurales. Colores: negro y natural. L.: 132 cm. An.: 160 cm. Argentina o Chile, siglo XIX. cepp. 85. ñimin makuñ. poncho ‘de labor’ mapuche. Lana de oveja y colorantes naturales. Poncho de una sola pieza tejido con técnica de labor en telar aborigen y decorado con cinco guardas y flecos estructurales. Colores: negro, natural y colorado, con listas en colorado, lila y naranja. L.: 193 cm. An.: 153 cm. Argentina o Chile, siglo XX. cepp. 86. trarükan makuñ. poncho ‘de guarda atada’ mapuche. Lana de oveja. Poncho tejido con la técnica de amarrado (teñido de la urdimbre por medio de amarras, antes de iniciarse el tejido). Presenta tres calles con diseños de cruces escalonadas concéntricas, contenidas por listas. Flecos estructurales. Colores: colorado y natural. L.: 132 cm. An.: 131 cm. Argentina o Chile, siglo XIX. cepp. 87. poncho. Lana de oveja y seda. Tejido en telar criollo en dos campos unidos, y con flecos perimetrales. Presenta para su decoración listas de colores en un degradé. L.: 155 cm. An.: 119 cm. F.: 5 cm. Centro de Argentina, mediados del siglo XIX. cdc. 88. poncho ‘de sesenta listas’. Seda y algodón. Diseño listado, con galón perimetral y flecos. Se los elaboraba en el Paraguay —llamados ‘ponchos de verano’— tuvieron un gran uso en la provincia argentina de Corrientes. Por tradición familiar se dice que este poncho fue utilizado por el oficial correntino Juan Vicente Pampín. L.: 181 cm. An.: 150 cm. Galón perimetral y flecos: 12 cm. Piribebuy (Paraguay), mediados del siglo XIX. cdm. 89. poncho salteño. Lana de oveja. Campo rojo con ribetes y moño negro, en representación del duelo por la muerte del general Miguel José de Güemes, gobernador y caudillo del norte de Argentina en los inicios de la patria. L.: 180 cm. An.: 160 cm. Salta (Argentina), hacia 1980. cjcp. 90. poncho arribeño. Lana de oveja. Poncho tejido en dos paños y decorado con listas de diversos colores. Campo negro con listas en natural, bordó, rosa, grafito, gris, naranja y amarillo. L.: 157 cm. An.: 136 cm. Peso: 1.770 gr. Norte de Argentina o Bolivia, principios del siglo XX. cbb. 91. trarüchiripa. faja de hombre, mapuche. Lana de oveja. Tejida en lana de oveja. Diseño de gran complejidad con diversas representaciones simbólicas. L.: 258 cm. An.: 5 cm. Argentina o Chile, segunda mitad del siglo XIX. cepp. 92. trarüchiripa. faja de hombre, mapuche. Lana de oveja.

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Tejida en lana de oveja con flecos en sus extremos. Diseño de tipo geométrico, con un complejo universo simbólico. L.: 237 cm. An.: 4,4 cm. Argentina o Chile, segunda mitad del siglo XIX. cepp. 93. ñimin-trariwe. faja de mujer, mapuche. Lana de oveja. Diseño del Lukutuel, mito aborigen con la figura del orante. L., con flecos: 334 cm. An.: 8,3 cm. Argentina o Chile, fines del siglo XIX o principios del XX. cdc. 94. par de ligas mapuche. Hilos de algodón mercerizado. Ligas tejidas con diseños de tipo geométrico, para botas de potro. L.: 116 cm. An.: 1,8 cm. Argentina o Chile, fines del siglo XIX o principios del XX. cepp. 95. matra. Lana de oveja. Hilada a mano, teñida con colorantes naturales y tejida en telar aborigen. Pieza de uso generalizado por parte del gaucho en sus aperos de montar. L.: 118,5 cm. An.: 107 cm. Argentina o Chile, primera mitad del siglo XX. cbb. 96. matra. Lana de oveja. Hilada a mano, teñida con colorantes naturales y tejida en telar aborigen. Pieza de uso generalizado por parte del gaucho en sus aperos de montar. L.: 103 cm. An.: 88 cm. Argentina o Chile, mediados del siglo XX. cpba. 97. (Libro) José Hernández. El Gaucho Martín Fierro. 15º edición. Buenos Aires. 1894. cdc. 98. (Libro) José Hernández. La vuelta de Martín Fierro. 10º edición. Buenos Aires. 1894. cdc.

el cura brochero 99. (Libro) Fray J. de San Alberto. Voces del Pastor en el retiro. Dispertador, y ejercicios espirituales, para vivir y morir bien con la asistencia del glorioso Patriarca San Joseph, (…). Buenos-Ayres, Real Imprenta de los Niños Expósitos, 1789. 100. (Libro) Efraín F. Bischoff. El Cura Brochero. Córdoba, Editorial Librería Cervantes, 1953. 101. (Libro) Fray Contardo Miglioranza. El Cura Brochero. Buenos Aires, Misiones Franciscanas Conventuales. Casa del Cura Brochero, 1985. 102. Tres testimonios históricos pertenecientes a la Casa de Ejercicios Espirituales levantada por el Cura Brochero. Comprenden un plato enlozado que se utilizó en esta Casa para servir el alimento de los ejercitantes, un ladrillo que integró su mampostería original y un pequeño tramo de madera de algarrobo, perteneciente a un tirante primitivo del techo de la Casa de Ejercicios Espirituales. cmb. 103. par de estribos. Madera y hierro. Tallados en madera con sunchos de hierro para fijarse a las estriberas. Al.: 15 cm. An.: 12 cm. P.: 21 cm. De uso corriente entre los jinetes serranos, tal como los empleara el cura Brochero en el último cuarto del siglo XIX. cpba.

iconografía: pinturas 104. Emeric Essex Vidal (1791-1861). Sketch of a Lecher [Boceto de un lechero]. Acuarela sobre papel. 23 x 31 cm. cpba. 105. Johann Moritz Rugendas (1802-1858). Gaucho sudamericano. Óleo sobre tela. 36,5 x 21 cm. cpba. 106. Juan León Pallière (1823-1887). La guitarreada. Acuarela sobre papel. 24 x 32,6 cm. cpba. 107. Juan León Pallière (1823-1887). Bailando gato en el galpón. Acuarela sobre papel. 20 x 23 cm. Ex colección García Lawson. cpba.

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108. Adolfo Methfessel (1836-1909). Leva de gauchos. Óleo sobre cartón. 23 x 33 cm. cpba. 109. Martín L. Boneo (1829-1915). Sin título. Óleo sobre tela. 38 x 54 cm. cpba. 110. Martín L. Boneo (1829-1915). Entierro al costado del río. Óleo sobre tela. 40 x 53 cm. 1874. cpba. 111. Ángel Della Valle (1852-1903). La vuelta del malón - La cautiva. Óleo sobre tela. 76 x 63 cm. cpba. 112. Bernabé Demaría (1824-1910). Cantando sus cuitas. Óleo sobre tela. 28 x 38 cm. cpba. 113. Alfredo Gramajo Gutiérrez (1893-1961). Peregrinación al calvario. Óleo sobre tela. 27 x 42 cm. cpba.

iconografía: grabados 114. Fernando Brambila (1750-1832). Representa el modo de enlazar el ganado vacuno en los campos de Buenos-Ayres. Litografía. 19,6 x 24,4 cm. Madrid, fines del siglo XIX. cpba. 115. Fernando Brambila (1750-1832). Caza de Perdices en las Pampas de Buenos-Ayres. Litografía. 19,6 x 24,4 cm. Madrid, fines del siglo XIX. cpba. 116. W. Holland. A peon o South America throwing the laso. Londres, 1808. Litografía. 55 x 70 cm. ced. 117. G. Gallina (1796-1874). Escena gauchesca, juego de naipes. Grabado en colores. 22,5 x 30 cm. Publicado en la obra Il Costume Antico e Moderno. Hay ediciones italianas fechadas entre 1817 y 1838. cdc. 118. Gregorio de Ibarra (1814-1883). El gaucho enlazando. Litografía. 25,7 x 18 cm. Estampa Nº1, del álbum Trages (sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). Editado por la Litografía Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba. 119. Gregorio de Ibarra (1814-1883). Una carrera. Litografía. 25,7 x 18 cm. Estampa Nº18, del álbum Trages (sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). ditado por la Litografía Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba. 120. Gregorio de Ibarra (1814-1883). La hierra en una estancia. Litografía. 25,7 x 18 cm. Estampa Nº19, del álbum Trages (sic) y costumbres de Buenos Ayres (sic). Editado por la Litografía Argentina, Buenos Aires, 1838. cpba. 121. Carlos Morel (1813-1894). Litógrafo Gregorio de G. Ibarra: Una hora antes de partir. Litografía. 28 x 37,2 cm. Pertenece a la Serie grande, editada por la Litografía Argentina. Buenos Aires, 1839. cdc. 122. Carlos Morel (1813-1894). Litógrafo Gregorio de Ibarra: La Media-Caña. Litografía. 23 x 31 cm. Pertenece a la Serie grande, editada por la Litografía Argentina. Buenos Aires, 1839. cpba. 123. Oudar según D’Orbigny. Cocos Yatay. (…) Breton Sculpt. (Botanique, Palmiers). Grabado coloreado. 35,5 x 24 cm. Imp. Langlois, París, hacia 1840. 124. Adolphe D’Hastrel (1805-1875). Gaucho de la Prov.ce de Corrientes. // (entre le Rio Parana et l’Urugay). Grabado de época con sus colores originales. 265 x 205 mm. Pertenece al álbum Musée de Costumes. París, Ancienne Mont Aubert, 1850. cpba. 125. Juan León Pallière (1823-1887). La parada en la pampa (República Argentina). Litografía. 20 x 32,5 cm. Pertenece al álbum Escenas americanas. Buenos Aires, Imp. Pelvilain, 1864. cdc. 126. Juan León Pallière (1823-1887). Escena romántica con un gaucho y

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una joven. Litografía. 20 x 32,5 cm. Pertenece al álbum Escenas americanas. Buenos Aires, Imp. Pelvilain, 1864. cdc. 127. Juan León Pallière (1823-1887). Pita y ombú (República Argentina). Litografía. 20 x 32,5 cm. Pertenece al álbum Escenas americanas. Buenos Aires, Imp. Pelvilain, 1864. cdc. 128. Juan León Pallière (1823-1887). Un nido en la Pampa (República Argentina). Litografía. 20 x 32,5 cm. Pertenece al álbum Escenas americanas. Buenos Aires, Imp. Pelvilain, 1864. cdc. 129. Anónimo. Tipos de la América del Sud. París. Familia de gauchos establecida actualmente en el Jardín de Aclimatación. Grabado coloreado a mano. 25,4 x 33,3 cm. Exposición Universal de París de 1867. cdc. 130. Anónimo. Sosta nella Pampa. Manuscrito: Posta. 18 x 12,5 cm. Estampa publicada en la obra del viajero italiano Pellegrino Strobel Viaggi nell’Argentina Meridionale effetuati negli anni 18651867. Torino, 1867. La escena reproduce con algunas modificaciones una fotografía tomada en Argentina por Esteban Gonnet hacia 1866. cpba. 131. Item dado de baja. 132. Jules Lavée. Un gaucho. Grabado, coloreado a mano. 24,5 x 15,8 cm. Imagen publicada en un periódico europeo hacia 1875. cdc. fotografías antiguas 133. Benito Panunzi (1819-1894). Pobladores del campo. Albúmina sobre cartón. 22,6 x 29,6 cm. Argentina. Datación manuscrita: 1.7.1862. cdc. 134. M. Leon & J. Levy. Carte-de-visite. Leyenda: Chasseurs et Chevaux, Amérique du Sud. Albúmina sobre cartón, con sellos de la casa de fotografía. 9,8 x 5,8 cm. Representación del gaucho en la Exposición Universal de París, 1867. cdc. 135. Item dado de baja. 136. Samuel Rimathé (1862-?), atribuido. Type de Gaucho (según la leyenda manuscrita en tinta). Albúmina sobre cartón. 95 x 145 mm. (fotografía). Argentina, hacia 1895. Se exhibe la misma imagen impresa como tarjeta postal. cdc. 137. Harry Grant Olds. Carrera de caballos. Gelatina de plata. 14 x 20 cm. Buenos Aires, hacia 1900. Esta imagen fue reproducida en forma de postal con el título Carrera de Gauchos. cdc. 138. Samuel Rimathé, atribuido. Pulpería de campaña. Albúmina sobre cartón. 13,8 cm. x 20,8 cm. Argentina, hacia 1895. cpba. 139. Samuel Rimathé. Rancho. Albúmina sobre cartón. 125 x 200 mm. Argentina, hacia 1895. cpba. 140. Samuel Rimathé. El juego de la taba. Gelatina de plata. 16,1 x 22,3 cm. Reproducción posterior, la foto original fue tomada hacia 1895. Argentina. cfrc. 141. Samuel Rimathé. Carreta. Gelatina de plata. 16,1 x 22,3 cm. Reproducción posterior; la foto original fue tomada hacia 1895. Argentina. Se reeditó en forma de postal con el título: Carreta ‘Viva quien me proteje’ (sic). cfrc. 142. Francisco Ayerza. Gaucho junto a su caballo. Albúmina sobre cartón. 19 x 28,5 cm. Buenos Aires, hacia 1895. cpba. 143. Francisco Ayerza. Un alto en las tareas. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Argentina, hacia 1895. Se reprodujo en forma de tarjeta postal con el título: Pa’ el estribo. cmg.

144. Francisco Ayerza. Compartiendo un mate. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Buenos Aires, hacia 1895. cmg. 145. Francisco Ayerza Último tributo. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Buenos Aires, hacia 1895. cmg. 146. Sociedad Fotográfica Argentina de Aficionados (ver ítem anterior). Costumbres de Campo en la Rep. Argentina. Último tributo. Tarjeta postal. Editor R. Rosauer. Buenos Aires, principios del siglo XX. 147. Francisco Ayerza. Escena romántica de una mujer y un gaucho, conversando sentados en el brocal de un pozo de agua. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Buenos Aires, hacia 1895. cmg. 148. Francisco Ayerza. Organillero gringo con mona bailarina. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Buenos Aires, hacia 1895. cmg. 149. Francisco Ayerza. Conversando junto a una empalizada. Gelatina de plata sobre cartulina. 18 x 24 cm. Buenos Aires, 1895. cmg. 150. Anónimo. Escena en una pulpería. 18 x 24 cm. Argentina, hacia 1890. cpba. 151. Samuel Boote (1844-1921). Gaucho con su guitarra: El payador. Albúmina sobre papel. 15 x 18 cm. Buenos Aires, hacia 1890. La imagen también fue reproducida en tarjetas postales. cpba. 152. Arturo W. Boote (1861-1936). Gaucho de pie junto a su caballo ensillado. Albúmina. 17,2 x 22 cm. Buenos Aires, hacia 1890. cdc. 153. Clemente Onelli? Siempre con el mate. Gelatina de plata, coloreada a mano. 31,5 x 26,5 cm. Original que perteneciera a Clemente Onelli. Buenos Aires, hacia 1890. Ex Colección Paladino Giménez. cdc 154. Harry Grant Olds (1869-1943). Arados con bueyes. Detrás, el sello de la casa fotográfica, con su dirección de Buenos Aires: Lavalle 1059. Gelatina de plata. 19 cm. x 23,3 cm. Argentina, hacia 1895. 155. Harry Grant Olds. Tropa de carros. Gelatina de plata. 19,2 x 24,2 cm. Al dorso, en lápiz: C. Luro. ‘San Pascual’. Necochea F.C.S. Hacia 1900. cdc. 156. Harry Grant Olds. Poniendo la argolla, estancia Las Palmas. Gelatina de plata. 13 x 18,5 cm. Buenos Aires, hacia 1901. Ver su reproducción en forma de postal en el ítem siguiente. 157. H. G. Olds. Ringing the bull. Argentine camp. Tarjeta postal. 8,8 x 14 cm. Argentina, hacia 1901. Esta postal proviene de la foto llamada Poniendo la argolla. Estancia Las Palmas. cdc. 158. Harry Grant Olds. Trabajos del campo. Haciendo un recado. Tarjeta postal. Timbrada: 6 de enero 1928. La misma fue enviada por un coleccionista de estas imágenes. La fotografía fue tomada por Harry Grant Olds, pese a la atribución de los editores de la tarjeta a P. Riudavets. Buenos Aires, hacia 1920. cdc. 159. Anónimo. Gaucho en traje de gala. República Argentina. Timbrada: 21 de enero de 1906. Tarjeta postal. 14 x 9 cm. Casa editora J. Peuser. Buenos Aires, hacia 1900. cpba. 160. Antonio Molinelli. Multitudinario asado. Gelatina de plata sobre cartón, con la firma estampada del fotógrafo. 18,3 cm. x 23,3 cm. Argentina, hacia 1900. ccg. 161. M. Ricciardi y V. Benincasa. El criollismo ‘reconquista’ Buenos Aires. Tres albúminas sobre cartones. 14,3 cm. x 10,4 cm. Buenos Aires, hacia 1900. ccg.

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162. Anónimo. Gaucho a caballo, posando para este retrato. Albúmina sobre cartón de Cabinet Portrait. 14 x 10,3 cm. Argentina, principios del siglo XX. cdc. 163. Francisco M. Ferrando. La Galera de Dávila. Gelatina sobre cartulina, con la leyenda: Así se viajaba allá por el año 1910 en la provincia de Buenos Aires. 17,7 x 23,6 cm. Ex colección Manuel Paladino Giménez. cdc. 164. Anónimo. Gaucho con mate y guitarra. Gelatina de plata sobre cartón, con paspartú ovalado. 13,5 x 10,5 cm. Argentina, hacia 1910. cdc. 165. Anónimo. Cura Brochero montado en su burro. Reproducción actual; la imagen original —tomada en Córdoba, hacia 1910— era una gelatina de plata y se coloreó hace unos pocos años. 166. Anónimo. Selección Fotográfica de los Solemnes Actos Eucarísticos del XXXII Congreso Eucarístico Internacional. Buenos Aires, del 8 al 16 de Octubre de 1934. Álbum. Ed. Tamburini Ltda. S. A. caa. 167. Anónimo. Paisanos a caballo desfilando delante de la Basílica de Luján. Reproducción actual; la imagen original —tomada en la Ciudad de Luján, hacia 1945— se conserva en el Museo Orlando Binaghi del Círculo Criollo ‘El Rodeo’, en Paso del Rey, (Provincia de Buenos Aires). fotografías contemporáneas 168. Lucio Boschi. Procesión de Santos en la Quebrada de Humahuaca. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Jujuy (Argentina), 2003. 169. Lucio Boschi. Fortunata Cayo en el oratorio de su padre Hermógenes Cayo. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 120 x 80 cm. Miraflores de La Candelaria (Jujuy, Argentina), 1999. 170. Lucio Boschi. Doña Evarista con la imagen de la Virgen. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Jujuy (Argentina), 2003. 171. Lucio Boschi. Sahumando imágenes en el oratorio. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Huichaira (Jujuy, Argentina), 2003. 172. Lucio Boschi. Cristo hecho de semillas. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Tilcara (Jujuy, Argentina), 2000. 173. Celine Frers. Con vista al valle. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 230 cm. Patagonia (Argentina). 174. Celine Frers. Con el ojo puesto. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 135 cm. Corrientes (Argentina). 175. Celine Frers. La gallina y el rancho. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Corrientes (Argentina). 176. Celine Frers. Pensando en el baile. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 152 cm. Corrientes (Argentina). 177. Celine Frers. De tal palo… Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Salta (Argentina). 178. Celine Frers. Con el corazón latiendo. Fotografía digital, sin

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intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 112 cm. Corrientes (Argentina). 179. Celine Frers. Arreo de agosto II. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 185 cm. Santa Cruz (Argentina). 180. Celine Frers. Camino a la venta. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Corrientes (Argentina). 181. Celine Frers. Terminando la tarde. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Entre Ríos (Argentina). 182. Celine Frers. Asado. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 118 cm. San Antonio de Areco (Buenos Aires, Argentina). 183. Celine Frers. Cazando con boleadora. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 150 cm. Mendoza (Argentina). 184. Celine Frers. Ya entrado el invierno. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Patagonia (Argentina). 185. Celine Frers. Antes del amanecer. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Chaco (Argentina). 186. Celine Frers. Bajo la arboleda. Fotografía digital, sin intervención; impresión Giclée en papel de algodón. 80 x 120 cm. Salta (Argentina). 186. Jasmine Rossi. Gaucho Salteño. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 100 x 67 cm. Estancia El Gólgota (Salta, Argentina). 187. Jasmine Rossi. Procesión en la fiesta patronal de Casabindo. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 40 x 171 cm. Jujuy (Argentina). 188. Jasmine Rossi. Pequeña reliquia adorada. Procesión del Milagro. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 54 cm. Ciudad de Salta (Argentina). 189. Jasmine Rossi. Capilla de Adobe. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Susques (Jujuy, Argentina), 2007. 190. Daniel Sempé. El Gaucho y sus pilchas. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 105 cm. 191. Daniel Sempé. Tirador y facón. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 100 cm. 192. Daniel Sempé. Mate. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 55 cm. 193. Daniel Sempé. Mateando. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. 194. Daniel Sempé. Arriando las yeguas. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. Río Cuarto (Córdoba, Argentina), 2009. 195. Daniel Sempé. Pialando en el corral. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 112 cm. 196. Javier Pereda. Fiesta de la Tradición. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. San Antonio de Areco (Buenos Aires, Argentina), 2012. 197. Javier Pereda. Entrevero de tropillas. Fotografía digital, impresión

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sobre papel fotográfico. 80 x 120 cm. San Antonio de Areco (Buenos Aires, Argentina), 2012. 199. Juan Pablo Pereda. Tormenta. Fotografía digital, impresión sobre papel fotográfico; panorámica compuesta 1000 x 200 cm. Las Toscas (Buenos Aires, Argentina). 2013. 200. virgen de luján. Plata y plata vermeille. Imagen de la Virgen fundida y cincelada. A.: 80 cm. Autores: Silva y Costa. Buenos Aires, hacia 1850. Complejo Museográfico Enrique Udaondo, Luján, Provincia de Buenos Aires.

glosario apero: En Argentina, excepto en la región pampeana, se llama así al conjunto de prendas con que se enjaeza el caballo o la mula, para utilizarlos como cabalgadura. En Buenos Aires, aperos son los arneses o guarniciones de los animales de tiro. En Corrientes son denominados “calchas” y en las provincias de Cuyo, “avíos”. asado: En el gaucho es un componente básico de su dieta. Se trata de carne asada, preferentemente de vacuno, la que asan colocándola sobre el fuego con una varilla de hierro chata. La varilla, denominada asador, cuenta con un gancho en su parte superior y una punta en la inferior para introducirla en la carne y luego ser clavada en el suelo. azotillo: Tipo de látigo utilizado en las áreas próximas al río Uruguay, en Argentina, República Oriental del Uruguay y Brasil. Su característica básica es que el azote se forma con varias trenzas de cuero o cadenas de plata. boleadoras: Herencia de los pueblos aborígenes, fue adoptada con gran eficacia por el gaucho. Las más primitivas —las indígenas— eran de una sola bola, sujetas a una soga de tientos o nervios de aproximadamente un metro de longitud. Se la arrojaba con gran destreza y siendo la bola de piedra, su golpe era por demás eficaz. Los gauchos utilizan boleadoras armadas con tres bolas, siendo una de ellas más pequeña, la que sostienen en su mano para que giren las otras dos. Las de lujo están hechas con bolas de marfil y recubiertas con fajas, casquetes y argollas de plata. Las sogas o ramales que unen a estas bolas estar formadas por cuidadosas trenzas de cuero o de nervios de avestruz. bota de potro: Modelo de bota realizada por el gaucho, que la obtenía a partir de la pierna de un equino (en ocasiones también se la obtenía de un vacuno. La forma anatómica original facilitaba el proceso de confección, siendo su característica fundamental que los dedos del paisano quedaran al aire, detalle que le permitía estribar con ellos (asiendo la estribera con dos de sus dedos). ensillar: Poner el apero a un animal para utilizar como cabalgadura. espuelas: Instrumentos de metal que se coloca el jinete en el talón de sus botas y sirven para picar al caballo. Cada espuela se compone de pihuelo, rodete, rodaja, guardapolvo y arco; para sujetarse posee alzaprima y bajoempeine. estribos: Piezas de metal, madera o cuero, en las que el jinete apoya sus pies. Permanecen sujetas a la montura por medio de sendas estriberas. faja: Tira de tela tejida en lana de oveja por los aborígenes. Sus extremos rematan en flecos y se usa para sujetar el chiripá o bombacha (tipo de pantalón).

fiador: Realizado en cuero crudo y/o plata, es una especie de collar que se le coloca al caballo. Se lo utiliza como ornamento o para sujetar al animal. Se advierte en su parte inferior una argolla, en la que suele prenderse la manea. Ha sido suplantado por el bozal. lazo: Cuerda de cuero crudo trenzado o torcido, de 12 a 25 metros de longitud, terminada en una argolla de hierro, bronce o plata en uno de sus extremos, y en una presilla en el otro. Sirve al gaucho, arrojándolo a distancia, para apresar el animal cuya captura desea. manea: Consiste en una lonja, generalmente de cuero, con un ojal en sus extremos para prenderse con un botón. En las versiones de lujo las hay de hilos de plata tejidos. Sirve para inmovilizar las manos o patas del caballo. marca o hierro de ganadería: Hierro con un cabo de madera terminado con una letra, cifra o signo, que se calienta y aplica sobre la piel del ganado mayor como signo de propiedad. Cada ganadero tiene su propia marca. Al acto de marcar los animales se lo denomina “hierra” o “yerra”. mate: Recipiente utilizado para beber la infusión de la hierba denominada “Ilex paraguarienses” o yerba mate. Bebida nacional en Argentina, Paraguay y Uruguay, también muy popular en el sur de Brasil. pretal: Prenda de cuero y/o plata que se coloca sobre el pecho del caballo. Su función es la de impedir que el apero se desplace hacia atrás. pulpería: Despacho de comestibles y bebidas en la zona rural. La “pulpería” es almacén, tienda, taberna y casa de juegos. punzón: Instrumento de acero que tiene en uno de sus extremos un relieve que por percusión se aplica a una superficie de metal. Los orfebres tienen punzones con su marca de autor, con el título del metal utilizado y hasta con la ciudad donde se encuentra asentado. rastra: Adorno de plata que sirve para sujetar el ancho cinto —llamado “tirador”— que utiliza el gaucho. Su centro generalmente es circular u ovalado y lleva distintos motivos ornamentales, y se fija al cinto por medio de dos o tres ramales por lado, decorados con botones u otros elementos que permiten su prendedura. rebenque: Látigo corto cuyo cabo mide alrededor de 45 centímetros y lleva en su extremidad la lonja que debe tener aproximadamente el mismo largo. Se los confecciona de madera, en cuero crudo cosidos en tientos (finas tiras de este material), en anillos de cornamenta vacuna, en bigote de ballena, y sólo en plata, o combinados algunos de estos elementos. Entre los más antiguos utilizados por el gaucho se encuentra el “de argolla”. taba: Hueso astrágalo de la pata de la vaca, oveja, etc. Juego cuyo origen se remonta a los griegos pero que llegó a América trasportado por los españoles. Consiste en arrojar la taba y según como caiga, se gana o pierde. Si cae inclinada, de costado, debe repetirse. Fue un juego ampliamente difundido entre los gauchos argentinos. tirador: Cinto ancho, de cuero, ornamentado con placas de diversas formas de plata, o con monedas del mismo metal. En raras ocasiones se lo utilizaba forrado en terciopelo y bordado. Se prende por delante con los botones de la rastra.

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finito di stampare a buenos aires, argentina nel mese di aprile 2013 presso la grafica platt grupo impresor.

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