Periodico semestrale | Bi-annual journal
Anno III, n. 5 - aprile 2024
ISSN 2785-3152
Iscrizione al Tribunale di Milano n. 233 del 29/12/2021
Direttore Responsabile | Claudia Sansò
Direttore Scientifco | Giovanni Francesco Tuzzolino
Comitato Scientifco | Roberta Albiero, Soumyen Bandyopadhyay, Michele Caja, Renato Capozzi, Romeo Carabelli, Francesco Collotti, Loredana Ficarelli, Paolo Girardelli, Lamia Hadda, Hassan-Uddin Khan, Martina Landsberger, João Magalhães Rocha, Ludovico Micara, Carlo Moccia, Julio Navarro Palazón, Marcello Panzarella, Attilio Petruccioli, Adelina Picone, Daniele Pini, Ashraf M. Salama, Francesco Siravo, Bertrand Terlinden, Federica Visconti
Comitato Editoriale | Cecilia Fumagalli, Eliana Martinelli, Claudia Sansò
Redazione | Francesca Addario, Giada Cerri, Federico Coricelli, Gennaro Di Costanzo, Cecilia Fumagalli (coordinatrice), Andrea Minella, Chiara Simoncini
Edito da Associazione Culturale NOSTOI - Viale Evaristo Stefni 2 - 20125 Milano - www.nostoi.xyz
Sahara signifca deserto Sahara means desert a cura di | edited by Cecilia Fumagalli, Francesco Marullo
Editoriale
Editorial Essay
Questioni Questions
Sahara signifca deserto
Sahara means desert
Cecilia Fumagalli, Francesco Marullo
Il deserto: un glossario arabo
The desert: an Arabic glossary
Zehra Ahmed
Il fattore kasba: storie di naufragio e sopravvivenza
The casbah factor: tales of shipwrecks and survivals
Filippo De Dominicis
Facoltà di Tecnologia a Laayoune (Marocco), di Saad El Kabbaj, Driss
Kettani, Mohamed Amine Siana
Laayoune Technology School (Morocco), by Saad El Kabbaj, Driss Kettani, Mohamed Amine Siana
Federico Perugini
I deserti sono realmente deserti? Il contributo dell’archeologia alla formazione delle città mediterranee
Are deserts really desert? The contribution of archaeology to the formation of Mediterranean cities
Ludovico Micara
Acque visibili eppur nascoste: Isfahan vive con il deserto
Visible yet hidden waters: Isfahan lives with the desert
Elnaz Najar Najaf, Negar Sanaan Bensi
Il deserto dei pozzi. Appunti per una nuova cartografa del Sahara
The desert of wells. Notes for a new cartography of the Sahara
Cristian Sammarco
Trame antropiche del deserto: i paesaggi oasiani nel Sahara Orientale
Anthropic patterns of the desert: oasis landscapes in the Eastern Sahara
Calogero Montalbano
Due domande a Sumayya Vally
Two questions to Sumayya Vally
Francesco Marullo, Cecilia Fumagalli
Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici
Giulia Annalinda Neglia
Deserts are not empty
Giulia Scotto
Nei luoghi di confne. Architettura e progetto in Giordania / In border places. Architecture and project in Jordan
Francesca Iarrusso
Sahara signifca deserto, Zzyzx non signifca niente. Il lago artifciale Tuendae, habitat del Mohave Tui Chun in via d’estinzione (Siphateles bicolor)
Sahara means desert, Zzyzx means nothing. The artificial pond Tueandae, home to the endangered Mohave Tui Chun (Siphateles bicolor )
Sahara signifca deserto
Sahara means desert
Cecilia Fumagalli,
NOSTOI Francesco Marullo, University of Illinois Chicago«Ricordaci erranti tra le spine del deserto erriamo tra le rocce dei monti ricordaci ora nel tumulto cittadino oltre I mari e I deserti, ricordaci di noi ricolma gli occhi di polvere che non va via nella rapida sosta e nell’erranza.»
Jabra Ibrahim Jabra, Nel deserto dell’esilio
In arabo sahrā’ signifca “deserto”. Anzi, è una delle numerose parole arabe che, insieme a bādiyya, barriya, baydā’, sabsab, ‘arā’, fāt, mafāza, fayfā’, raml non solo signifcano “deserto”, ma, soprattutto, lo descrivono. Mentre ṣaḥrā indica un territorio pianeggiate e arido, raml è usato per descrivere l’enorme distesa di sabbia che l’immaginario collettivo occidentale riconosce come deserto, bādiyya è lo spazio di insediamento dei beduini che, soli, sono in grado di attraversare la barriya, un’area irta di ostacoli (geografci e non). Se dunque in alcune lingue europee il termine “deserto” fa riferimento a uno spazio ostile, non abitabile, pressoché vuoto e, forse a ragione, pericoloso, in arabo ṣaḥrā indica paesaggi e luoghi abbondantemente caratterizzati da presenze variegate in termini antropici, topografci, architettonici. Mutuando i punti di vista delle culture islamiche – in cui forme di vita nomade tipiche del deserto coesistono da secoli con quelle sedentarie degli insediamenti urbani – le culture
«Remember us now wandering Among the thorns of the desert, Wandering in rocky mountains; Remember us now
In the tumult of cities beyond deserts and seas;
Remember us
With our eyes full of dust
That never clears in our ceaseless wandering.»
Jabra Ibrahim Jabra, In the deserts of exile
In Arabic, sahrā’ means “desert”. Sahrā’ is rather one of the numerous Arabic words that, together with bādiyya, barriya, baydā’, sabsab, ‘arā’, fāt, mafāza, fayfā’, raml do not only mean “desert”, but, more importantly, describe it. While ṣaḥrā stan s or a at an arid territory, raml is used to indicate the enormous expanse of sand that the Western collective imagination recognises as desert, and bādiyya is the space of the Bedouins who, alone, can cross the barriya with their livestock, an area fraught with obstacles (geographical and otherwise). If in some European languages the term “desert” refers to a hostile, uninhabitable, almost empty an er a s ustifa ly an erous s ace in Arabic ṣaḥrā indicates landscapes and places abundantly characterised by varied presences in anthropic, topographic, and architectural terms.
Appropriating the views of Islamic cultures –where nomadic forms of living typical of the desert regions coexisted for centuries with
occidentali, prima attraverso il linguaggio e poi attraverso secoli di colonizzazione, hanno contribuito a formare un’idea distorta del deserto, mistifcandone i veri signifcati e aprendo la strada allo sfruttamento di un territorio tanto vasto quanto ricco di vita e risorse. È quello che accadde in Arabia Saudita, come racconta Zehra Ahmed in uno dei due saggi in apertura del numero, con la Standard Oil of California, che introdusse un vero e proprio “vocabolario del deserto” per defnire i termini di conquista e colonizzazione estrattiva del sottosuolo: una premessa astratta, linguistica, geografca, percettiva, che inquadrava il deserto come risorsa, trasformando le diferenze implicite in una superfcie omogenea, docile ed apparentemente infruttuosa, una tabula rasa da cui trarre proftto. Ed è proprio una diversa descrizione del deserto – o dei deserti – e delle loro architetture l’obiettivo di questo numero, che intende andare oltre le barriere linguistiche che ne hanno ingabbiato la ricchezza e la diversità di signifcato, suggerendo, sulla scia di studi recenti e meno recenti (si vedano le recensioni ai libri proposti in chiusura del volume), una lettura alternativa di un’area geografca complessa e sempre più in espansione. Più nello specifco, questo numero di DAr intende contribuire a riconsiderare il deserto come uno spazio non vuoto e privo di vita, ma, anzi, come una condizione che, storicamente, ha ospitato la vita dell’uomo nelle sue manifestazioni insediative fondamentali e ha stimolato lo sviluppo di numerose civiltà, adattando gesti e rituali, architetture individuali e collettive, attività produttive e relazioni sociali, mitologie e immaginari alle caratteristiche del suo ambiente eterogeneo.
Il numero si concentra principalmente sull’equilibrio e la simbiosi delicati tra uomo, animali, vegetazione ed elementi naturali, che risultano immediatamente evidenti nelle specifche spazialità e forme architettoniche, nei materiali e nelle strategie insediative, nelle stratifcazioni storiche, nelle infrastrutture e nei dispositivi spaziali prodotti “nel” e “con” il deserto. La dimensione idrologica sotterranea del deserto e le sue architetture, naturali e artifciali, sono al centro di due saggi presentati nella sezione “temi”: da una parte Cristian Sammarco, che aspira a costruire una «nuova cartografa del Sahara» attraverso il sistema di captazione e distribuzione delle acque del deserto; dall’altra Elnaz Najar Najaf e Negar Sanaan Bensi, che presentano le infrastrutture idriche ideate dall’uomo per poter abitare gli aridi paesaggi iraniani consentendo ad una città come Isfahan di diventare una delle più importanti del Medio Oriente. La relazione implicita tra risorse naturali, infra-
sedentary urban settlements — Western cultures have contributed to forming a distorted idea of the desert, mystifying its meanings and paving the way for exploiting a vast territory prosperous in life and resources frst t rou lan ua e an t en through centuries of colonisation. This is what happened in Saudi Arabia, as Zehra Ahmed recounts in one of the two essays at the beginning of this issue, when Standard Oil of California introduced a veritable “desert voca ulary to efne t e ter s o con uest and extractive colonisation of the subsoil: an abstract, linguistic, geographical and perceptive premise that framed the desert as a resource trans or in its i licit i erences into a homogeneous, docile and fruitless surface, a tabula rasa ro w ic to roft.
T e ai o t is issue is recisely to o er a i erent escri tion o t e esert or t e eserts – and their architectures, trying to go beyond the linguistic barriers that have constrained its richness and diversity of meaning while suggesting, in the wake of recent and less recent studies (see the reviews of the books at the end of the volume), an alternative reading of a complex and increasingly expanding eo ra ical area. More s ecifcally t is issue of DAr intends to contribute to reconsidering the desert as a space that is not empty or devoid of life but, instead, a condition that has historically hosted human life in its fundamental settling manifestations and has stimulated the development of numerous civilisations, who adapted gestures and rituals, individual and collective architectures, productive activities and social relations, mythologies and imaginaries to the characteristics of its heterogeneous environment.
The issue primarily focuses on the delicate balance and symbiosis between humans, animals, vegetation, and natural elements, w ic are i e iately evi ent in t e s ecifc spatial and architectural forms, the materials and the dwelling strategies, the historical stratifcations in rastructures an s atial devices produced “in” and “with” the desert. The underground hydrological dimension of the desert and its architectures, both natural and artifcial are t e ocus o two essays resente in the “themes” section: on the one hand, Cristian Sammarco, who aspires to construct a «new cartography of the Sahara» through the system of capturing and distributing desert water on t e ot er an Elnaz Na ar Na af and Negar Sanaan Bensi, who elaborate upon the human hydraulic infrastructures devised to inhabit the arid Iranian landscapes, enabling a city like Isfahan to become one of the most important in the Middle East. The implicit relationship between natural
strutture idriche e la forma degli insediamenti è evidente nelle tante città-oasi ricche di architetture di terra che punteggiano il Sahara, il Rub al-Khali, il Badiyat al-Sham, nonché negli esperimenti che, fn dagli anni Sessanta, hanno interessato la fondazione di nuove città in luoghi che hanno bisogno di essere addomesticati per essere vissuti. Sulla questione insediativa Ludovico Micara, nel suo saggio, dipinge un deserto pieno di tracce, quasi un «contenitore di siti archeologici», attraverso cui è possibile leggere le città del Mediterraneo oggi. Di insediamenti oasiani, in particolare quelli del Sahara orientale, parla Calogero Montalbano in una lunghissima prospettiva storica di azioni antropiche sul deserto, richiamando il secondo saggio di apertura – che però funge anche da conclusione all’intero numero – di Filippo De Dominicis, che, a partire dalla preistoria, passando attraverso alcuni esperimenti di architettura moderna, ricorda l’importanza della lettura delle forme dell’insediarsi nel deserto per far fronte ad un futuro – il nostro – climaticamente incerto.
Non è dunque un caso che il deserto sia tornato al centro del dibattito architettonico contemporaneo, non soltanto come condizione materiale e come limite all’antropizzazione e allo sfruttamento sconsiderato delle risorse planetarie, ma soprattutto come una delle metafore fondanti della modernità occidentale, sulla cui crisi e fallimento deve contendersi e congetturarsi una diversa idea di futuro. Il deserto, con le sue stratifcazioni simboliche e religiose, architettoniche e culturali è il silenzioso protagonista della prima Biennale di Arte Islamica, recentemente curata all’interno dell’Hajj Terminal dell’aeroporto di Gedda da Sumayya Vally, intervistata dai curatori del numero nella sezione dedicata alle “arti”, così come della Facoltà di Tecnologia di Laayoune in Marocco, progetto di El Kabbaj, Kettani e Siana, candidato per il premio Aga Khan nel 2016 e scelto a corollario del numero di cui Federico Perugini racconta il ritmo ordinato ed i volumi misurati che emergono dalle esigenze di un luogo e dei suoi abitanti. Se è vero dunque che, come scrive Italo Calvino ne Le città invisibili, «ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone», allora non solo il fenomeno urbano non è né assente né impossibile nel deserto, ma il deserto è forse la lezione più importante per la città stessa, ancora oggi. Indagarne la natura, la complessità e la ricchezza, che ne fanno oggi uno degli ecosistemi più vasti e politicamente instabili del pianeta, è un modo non soltanto di riconsiderare l’architettura come mezzo cruciale di alterazione del contesto e di relazione tra gli esseri viventi, ma forse anche un modo per imparare, nuovamente, ad abitare il mondo.
resources, water infrastructures, and the form of settlements is indeed evident in the many oasis-cities rich in earthen architecture scattered across the Sahara, the Rub al-Khali, the Badiyat al-Sham, as well as in the experiments that, since the 1960s, have involved the foundation of new cities in places that need to be tamed to be inhabited. Considering, instead, the dwelling strategies, in his essay, Ludovico Micara describes the desert almost as a «container of archaeological sites» with plenty of traces that allow us to read contemporary Mediterranean cities. Calogero Montalbano, instead, focuses on the oasis settlements, particularly those in the eastern Sahara, retracing a long historical perspective of anthropic actions on the desert. This paper refers to the second opening essay by Filippo De Dominicis – which also serves as a conclusion for the whole issue – who moves from prehistory and passes through a few modern experiments in architecture, recalling the importance of reading the forms of settlement in the desert to cope with our climatically uncertain future.
It is, therefore, no coincidence that the desert has returned to the centre of the contemporary architectural debate, not only as a material condition and as a limit to the anthropisation and reckless exploitation of planetary resources but, above all, as one of the founding metaphors of western modernity, on whose crisis an ailure a i erent i ea o t e uture must be contended and conjectured.
The desert, with its symbolic and religious, arc itectural an cultural stratifcations is t e silent rota onist o t e frst iennial o Isla ic Art recently curated inside the Hajj Terminal at Jeddah airport by Sumayya Vally, interviewed by the issue’s editors in the section dedicated to the “arts”. Similarly, the desert is also the silent witness of the Laayoune Faculty of Technology in Morocco, designed by El Kabbaj, Kettani, and Siana and nominated for the Aga Khan prize in 2016, whose orderly rhythm and measured volumes emerge from the needs of a place and its inhabitants, as reviewed by Federico Perugini.
If it is true that «every city receives its form from the desert it opposes», as Italo Calvino writes in Invisible Cities, then not only is the urban phenomenon neither absent nor impossible in the desert, but perhaps the desert is the most crucial lesson for the city itself, still today. Thus, investigating its nature, complexity, and richness – which make the desert one of the largest and most politically unstable ecosystems on the planet today – is a way not only to reconsider architecture as a crucial means of altering the context and the relationship between living beings but perhaps also a way to learn, once again, how to inhabit the world.
La Trans-Arabian Pipeline, qui vista in prospettiva, fende il deserto in una linea virtualmente retta (fonte: Aramco Handbook, 1960, 177)
The Trans-Arabian Pipeline, seen here in perspective view, slices through the desert in a virtually straight line (source: Aramco Handbook, 1960, 177)
The desert: an Arabic glossary Il deserto: un glossario arabo
Zehra Ahmed,University of Illinois Chicago
Western encounters with the Arabian desert have, in recent history, taken two forms: the nineteenth-century experience of travel, when Arabists and adventure-seekers attracted by the lure of the unknown chronicled their journeys for audiences back home, and the twentieth-century pursuit of oil, when geologists and oil workers mapped the surface of the desert prior to resource extraction. The memoirs and maps produced by these encounters represent only partial snapshots of the intricate desert landscape, often obscuring the variety of phenomena at work, from the symbolic and poetic to the religious, social, and cultural. Coloured by exoticising tendencies or constrained by a narrow technical vision, these accounts were not only incomplete but sometimes inaccurate This essay seeks to address such historical shortcomings by adopting a structuralist approach. It leverages the Arabic language to construct a broad cross-section of the region through an exposition of ter s. S annin t e concrete a stract natural an artifcial eac entry unites text an image, historical anecdote, and cultural reference. Collectively, the entries aim to recoup the manifold richness of Arabian desert urbanism for contemporary architectural discourse.
Keywords: Arabic - glossary - extraction
Il fattore kasba: storie di naufragio e sopravvivenza
The casbah factor: tales of shipwrecks and survivals
Filippo De Dominicis, Università degli Studi dell’Aquila
In prehistoric times, the Sahara was not a desert. What we see today is the result of a long ut relentless rocess o esertifcation t at it a ristine lacustrine environ ent a u i and fertile region where animals and humans could freely roam and settle. Traces of this environment can still be seen today in the manifold oases spread over the edge of and within the Great Desert, as well as in the ruins of the many casbahs dotting the Saharan uplands. Based on this premise, this paper attempts to understand how and why, after the Second World War, architects began to look at the Sahara Desert as a model to reframe the relationship between man and nature. To this end, it dwells on how postwar architectural discourses dealt with the notion of casbah, with the aim of unveiling the contradictions and ambiguities of an actual buzzword that arose within the Dutch academic environment and then spread across many post-CIAM and Team 10 meetings. In particular, this paper ocuses on t e i ea o cas a as evelo e frst y Al o van Eyc one o t e earliest w o travelle across t e oases o t e Sout an t en y two rofles w o s are wit van Eyc a common interest in the desert habitat: on the one hand, the Kasbah 64 Study Group, who made a comprehensive survey of the Moroccan habitat at the edge of the desert; on the other, Piet Blom, the author of a middle-income housing compound in a Dutch suburbia known as De Kasbah. By intertwining their stories, this paper attempts to trace a background against which the casbah emerges as a contradictory and contested modern topic.
Keywords: Sahara - casbah - post-CIAM architectural debate
Facoltà di Tecnologia a Laayoune (Marocco) di Saad El Kabbaj, Driss Kettani, Mohamed Amine Siana
Laayoune Technology School (Morocco) by Saad El Kabbaj, Driss Kettani, Mohamed Amine Siana
Federico Perugini, Karlsruher Insitut für Technologie
Deserto di Siria, Han al-Manqoura (foto di A. Poidebard, tav. XX)
Syrian Desert, Han alMan oura oto y A. Poidebard, tab. XX)
I deserti sono realmente deserti? Il contributo dell’archeologia alla formazione delle città mediterranee
Are
deserts really desert? The contribution of archaeology to the formation of Mediterranean cities
The meaning of the word “desert” should be analysed in depth. If we observe some satellite or Google Maps images of a desert, the Syrian desert, for instance, we discover a series of natural and human traces imprinted in the ground that constitute an important identity heritage. Some of these traces have a natural origin, such as watercourses, sudden reliefs, or valley erosion, whereas others are human artefacts. These can be identifed by basic geometrical layouts and reveal the presence of abandoned cities, enclosures for animals, nomadic tents or camps, ancient defensive structures and roads, or hydraulic systems such as dams, moats, or tanks. The photographic images of the traces and remains of the Roman limes in Syria by André Poidebard, a forerunner of aerial archaeology, provide evidence of abundant and diverse archaeological presences that are still unexplored.
This is the reason why the word “desert” is not a synonym for absence, void, or death. On the contrary, it displays a density of past and present uses that highlight a living structure that can still constitute a great environmental resource. In light of these considerations, we should rethink the modern Mediterranean city on an enlarged geographical scale, which might also include the archaeological presence of the surrounding desert.
Keywords: desert - archaeology - Mediterranean city
Territorio e geografa di Isfahan (disegno di N. Razavian e N. Sanaan Bensi, 2022)
Isfahan’s territory and geography (drawing by N. Razavian and N.Sanaan Bensi, 2022)
Acque visibili eppur nascoste: Isfahan vive con il deserto
Visible yet hidden waters: Isfahan lives with the desert
Elnaz Na ar Na af independent researcher Negar Sanaan Bensi, TU Delft
Is a an is a esert city in t e i le o t e Iranian lateau next to t e yan e . T e paper demonstrates how the planners of Isfahan during the Safavid era were able to inhabit its plain despite the limitations of this desert landscape, such as lack of water, especially during war seasons extre e water uctuation o t e river an oor soil con itions. T rou st n t or t e ra ual nurturin o its in erent eolo ical an ecolo ical contin encies and the entanglement of soil, water, and air, as well as the infrastructure and architecture of locks, underground dams, pigeon towers, and gardens, they were able to activate the “latent potentialities” of this plain.
Keywords: Īstīnbāt - Zāyandeh Rūd - Isfahan - desert
L’arcipelago di bacini di acqua fossile nel Sahara (collage di C. Sammarco su disegni di A. Wilson)
The archipelago of fossil water basins in the Sahara (collage by C. Sammarco on drawings by A. Wilson)
Il deserto dei pozzi. Appunti per una nuova cartografa del Sahara
The desert of wells.
Notes for a new cartography of the Sahara
The Sahara is often represented in iconography and cartography as a sinuous surface of hills: an incessant topography of sinusoidal movements in which the oases are the only moments of epiphany or interruption. This African sand sea is inhabited by an archipelago of fossil water islands from prehistoric times that occupy an area broader than the Mediterranean Sea. These islands deliver a still architecturally unexplored cartography of the desert. Aeration wells and drainage tunnels constitute a complex hypogeal architectural organism that redraws the image of the Sahara on a territorial scale. It is thus possible to represent the Sahara as a porous, excavated monolithic structure: a system of holes and tunnels that connects the elements of underground water to the plane of the anthropic surface. The well is t e ex licit f ure o t is tec nolo ical universe o i en si ns an an instru ent o settlement organisation. The Matmata village in Tunisia consists of craters and large wells whose walls are excavated to accommodate Berber dwellings. This contribution proposes an alternative cartography of the Sahara through the hidden signs of water when drought its Italy ar . It uestions t e collective an in ivi ual ana e ent o our water resources looking at the desert and its architecture as a virtuous case study.
Keywords: topography - cartography - well
Il grande corridoio antropico del Sahara settentrionale e il complesso quadrante del deserto libiconubiano (disegno di C. Montalbano)
The great anthropic corridor of the northern Sahara and the complex ua rant o t e i yanNubian Desert (drawing by C. Montalbano)
Trame antropiche del deserto: i paesaggi oasiani nel Sahara Orientale
Anthropic patterns of the desert: oasis landscapes in the Eastern Sahara
Montalbano, Politecnico di BariThis essay analyses the environmental dynamics and the consecutive settlement transformations of the northeastern Saharan oases, starting from the Last Wet Period of North Africa (NAHP) and the climatic changes of the last 8,000 years.
The climatic history of the Sahara shows how the desert, far from the common perception of inhospitality, has experienced cycles of remarkable fertility. Here emerges the fundamental role of two northeastern Saharan territorial tracks that have historically acted as bridges between East and West Africa and the Mediterranean and the Upper Nile territories. Along t ese trac s w ic ta e on a s ecifc y ro- eolo ical connotation it is ossi le to rea the main oases of this region. The anthropic evolution of these oases developed over a cycle o 000 years ro t e frst se i-stationary settle ents to t e esta lis ent o t e frst stable desert communities. This transformation shows how the vernacular tradition of the oases and their balance with their environment are, in reality, the result of a long behavioural adaptation to profound environmental transformations and, above all, catastrophic mistakes t at ave o ten le an to estroy si nifcant ortions o t e natural lan sca e.
The Qattara region, and particularly the Siwa oasis, are extraordinarily relevant in this process ecause t ey were t e frst to co e to ter s wit t e a vance o esertifcation rocesses becoming a crossroads of cultural exchange and experimentation.
Keywords: Sahara adaptation - Siwa Oasis - trans-Saharan connectivity
Due domande a Sumayya Vally
Two questions to Sumayya Vally
Francesco Marullo, University of Illinois at Chicago Cecilia Fumagalli, NOSTOI
Attilio Petruccioli
Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici
Carucci Editore
Roma 1985
ISBN 88-85027-76-8
Con sguardo pionieristico, precursore di ricerche oggi particolarmente attuali a causa dell’accelerazione dei cambiamenti climatici e della sempre crescente richiesta di approcci più sostenibili al progetto, Attilio Petruccioli raccoglie in Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici esempi di rapporti formali emblematici per la costruzione del territorio, della città e del giardino nel deserto, o nei deserti, ricercando le invarianti temporali e spaziali di un atteggiamento tipico verso una natura e un ambiente ardui da abitare. Nella sequenza dei capitoli, i caratteri insediativi dei territori unifcati dal «monoteismo del deserto» sono organizzati in maniera scalare, delineando progressivamente le diverse forme del rapporto tra paesaggio e natura, tra territorio, insediamenti e tessuti agrari, tra ambiente, acqua e agricoltura, arrivando infne a tratteggiare gli esiti tipologici del giardino. Nel libro, che afronta temi che in seguito occuperanno molta parte dei suoi percorsi di ricerca e di didattica, è soprattutto l’analisi dell’infuenza dell’ambiente sulle strutture antropiche e del rapporto tra risorse idriche e architettura, il focus di una trattazione che apre in Italia allo studio di una cultura architettonica in cui l’acqua è alla base dello sviluppo economico e civile, e quindi anche urbanistico e ambientale. In tutti i suoi possibili contesti, dal deserto al giardino, Attilio Petruccioli mette in luce la stretta connessione tra tecnologia idraulica e forma del territorio, tra idro-morfologia del wadi e insediamenti oasiani o sistemi di palmeti, tra tecniche agrarie e caratteri morfologici. Acqua come matrice culturale di insediamenti, strutture agrarie e architettoniche che spaziano dall’Algeria all’India, attraversando il Nord Africa e il Medio Oriente.
Il libro rappresenta, pertanto, una narrazione perfetta, e ancora oggi non superata, per descrivere l’adattamento umano all’ambiente: un adattamento che ha prodotto forme paesaggistiche, architettoniche e urbane adeguate alle condizioni difcili del clima del deserto, e quindi tecnologie insediative che hanno permesso di abitare luoghi inospitali. Un approccio che si sviluppa all’interno di una linea di ricerca, all’epoca, così come già osservato da Enrico Guidoni nella prefazione al libro, ma certamente ancora oggi, all’avanguardia per la ricerca progettuale di forme sostenibili per abitare territori aridi e desertici.
With a pioneering vision, forerunner of research that is particularly relevant today due to the acceleration of climate change and the ever-increasing demand for more sustainable approaches to design, Attilio Petruccioli gathers in Dar al Islam. Architetture del territorio nei paesi islamici, examples of emblematic formal relationships for the construction of the territory, city, and garden in the desert, or in the deserts, searching for the temporal and spatial invariants of a typical attitude towards nature an an environ ent t at is i cult to inhabit. The features characterising the settlements in the territories united by the «desert monotheism» are organised in a scalar manner across the chapters, proressively outlinin t e i erent or s o relationship between landscape and nature, between territory, settlements, and agrarian fabrics, between water, environent an a riculture an t en efnin the typological traits of the garden.
Dealing with topics later occupying much of Petruccioli’s research and teaching career, the book analyses the environmental in uence u on ant ro ic structures an the relationship between water resources and architecture, opening up in Italy the study of an architectural culture wherein water is the basis of economic and civil development, and thus also of urban and environmental development. Across all possible contexts, from the desert to the garden, Attilio Petruccioli highlights the close relationship between hydraulic technology and landform, between the hydro-morphology of wadis and oasis settlements or palm grove systems, and etween a ricultural tec ni ues an orphological features: water as a cultural matrix of settlements, farming, and architectural structures from Algeria to India, crossing North Africa and the Middle East. The book is, therefore, a perfect and still relevant narrative to describe human adaptation to its environment: an adaptation that produced landscape, architectural, and urban forms suited to the harsh conditions of the desert climate and then settlement technologies that allowed people to live in inhospitable places. An approach developed within a line of research that, at that time but certainly still today, as Enrico Guidoni already noted in the book’s preface, is at the forefront of design research for sustainable forms of inhabiting arid and desert areas.
Giulia Annalinda NegliaSamia Henni (ed.)
Deserts are not empty
Columbia University Press
New York 2022
ISBN 978-1-941332-74-0
Il volume Deserts are not empty curato da Samia Henni raccoglie quattordici contributi volti a criticare l’idea falsa e fuorviante che i deserti siano “naturalmente” vuoti. Il volume questiona gli interessi nascosti dietro alla creazione e difusione di questa narrativa che non è solo superfciale ed erronea, ma nasconde interessi geopolitici, economici e militari. Come spiega Henni nell’introduzione Against the Regime of Emptiness, rendere alcuni specifci territori terra nullius è servito storicamente – e serve tutt’oggi – a legittimare la loro appropriazione, trasformazione e distruzione. Oggetto di studio della pubblicazione sono quindi gli spazi comunemente defniti come deserti (Sahara, Nubia, Sonora, Antartide) che vengono raccontati come luoghi ricchi di storia, attività umane, biodiversità e cultura, ma anche, e soprattutto, una serie di processi di desertifcazione e gli strumenti – cartografci, narrativi, ingegneristici, agro-economici e militari – che sono serviti a tale scopo. Tali processi – più o meno dichiarati e violenti – sono stati imposti a territori, popolazioni indigene ed ecosistemi da stati o imprese private con obbiettivi di volta involta diversi: dall’appropriazione coloniale all’estrazione di risorse, dalla pulizia etnica alla ridefnizione di confni territoriali e la costruzione di identità nazionali. Gli strumenti introdotti per “desertifcare” vanno dall’uso delle parole e delle immagini, che hanno storicamente contribuito a defnire l’immaginario del deserto come spazio vuoto, alle più violente tecniche di guerra e distruzione utilizzate durante la guerra del Golfo o la creazione dello stato di Israele, dalla costruzione di infrastrutture idriche volte a trasformare o cancellare gli ecosistemi, all’istituzione di piantagioni monoculturali estensive. Il volume è caratterizzato da una forma di scrittura ibrida che include classici saggi accademici e dialoghi nella forma di interviste, poesie e scritti liberi in prosa. In parte scelta stilistica, in parte scelta necessaria per raccontare un altro tipo di storia orale e dal basso. Questo conferisce all’opera uno stile che intrattiene, accessibile anche ai non accademici. Il focus geografco è globale, eppure ogni narrazione è situata e radicata in uno specifco contesto. Questa ricchezza contribuisce a “riempire” il concetto di deserto di signifcati, esperienze vissute, episodi storici, specifcità geografche ed ecosistemi. Ciononostante, facendo rientrare questa molteplicità di luoghi e processi sotto la categoria di deserto (e di desertifcazione), il rischio è quello di impoverirne nuovamente la potenza concettuale.
Editedby
SamiaHenni, the book Deserts are not empty brings together fourteen contributions to criticising the false and misleading idea that deserts are “naturally” e ty. T e volu e uestions t e i en interests behind the creation and dissemination of this narrative, which is not only su erfcial an erroneous ut also conceals geopolitical, economic, and military interests. As Henni explains in the introduction Against the Regime of Emptiness, a in certain s ecifc territories terra nullius served historically – and still serves today – to legitimise their appropriation, transformation, and destruction.
Thus, the subject of the publication is the spaces commonly referred to as deserts (Sahara, Nubia, Sonora, Antarctica) that are described as places rich in history, human activity, biodiversity, and culture, but also, more importantly, a series of desertifcation rocesses an t e instru ents – cartographic, narrative, engineering, agro-economic, and military – that have served that purpose. These processes –more or less declared and violent – have been imposed on territories, indigenous peoples, and ecosystems by states or rivate co anies wit i erent o ectives, from “settler colonialism” to resource extraction, from ethnic cleansing to the re efnition o territorial oun aries an the construction of national identities. The tools deployed to “desertify” range from the use of words and images that have istorically contri ute to efnin t e i aginary of the desert as an empty space to t e ost violent tec ni ues o war an destruction used during the Gulf War or the creation of the state of Israel, from the construction of water infrastructure aimed at transforming or erasing ecosystems to the establishment of extensive monocultural plantations.
The volume features a hybrid form of writing that includes classic academic essays and dialogues in interviews, poems, and free prose writings. Partly a stylistic choice, partly a necessary choice to tell a i erent in o oral istory an ro a bottom-up perspective, this form of writing gives the book an entertaining style that is accessible even to non-academics.
The geographical focus is global, yet each narrative is situated and rooted in a specifc context. T is ric ness contri utes to fllin t e conce t o t e esert wit eanings, lived experiences, historical episoes eo ra ic s ecifcities an ecosystems. Nevertheless, by including this multiplicity of places and processes under t e cate ory o esert an esertifcation the risk is that of once again impoverishing its conceptual power.
Questo volume di Giovanni Francesco Tuzzolino – arricchito dai contributi del Professor Ali Abu Ghanimeh e della giornalista Laura Tangherlini – è un compendio di esperienze e ricerche condotte per alcuni anni in Giordania a valle del rapporto di collaborazione tra l’Università degli Studi di Palermo, la University of Jordan di Amman e la Al al-Bayt University di Al Mafraq.
This volume by Giovanni Francesco Tuzzolino – enriched by the contributions of Professor Ali Abu Ghanimeh and journalist Laura Tangherlini – is a compendium of experiences and research conducted for several years in Jordan in collaboration between the University of Palermo, the University of Jordan in Amman, and Al alayt niversity in Al Ma ra .
Giovanni Francesco Tuzzolino
Nei luoghi di confne. Architettura e progetto in Giordania / In border places. Architecture and project in Jordan
Edizioni Caracol Palermo 2015
ISBN 978-88-98546-22-0
Se riferendosi al Medio Oriente la parola “confne” evoca immediatamente un immaginario controverso fatto di barriere e cesure brusche, la narrazione di Tuzzolino la trasforma invece in luogo alchemico dove coppie considerate antinomiche – natura e artifcio, modernità e tradizione, città e deserto – cessano di escludersi l’un l’altra, risolvendosi piuttosto in un unico fertile amalgama che permette al progetto di architettura di radicarsi. Il tentativo di superare i dualismi infuenza la stessa organizzazione del libro. Appunti, disegni, suggestioni coesistono infatti all’interno del racconto sviluppato parallelamente in forma di testo e di immagini, che, pur defnendo tracciati autonomi di lettura, concorrono insieme ad orientare il pensiero sul signifcato dei luoghi. Strutturato secondo le tappe di un viaggio che da Petra raggiunge Al Mafraq, passando per Amman e Jerash, il volume ripercorre nei singoli capitoli passaggi di un itinerario personale, un movimento che attraversa paesaggi fsici ed emotivi. Si va alla ricerca di senso negli spazi modellati dal tempo, nelle calligrafe delle rocce, nella sacralità delle soglie; nella topografa dei luoghi e nelle leggi che governano le città; nella regola del codice geometrico e nella deroga della sua manipolazione; nell’imperturbabilità archeologica e nel brulichio vitale dei mercati Si va nel tentativo di circoscrivere mondi, ma si fnisce per perdere la prospettiva da cui si guardano. Nell’intento di rintracciare limiti ci si accorge che le proprie certezze sconfnano. Ed è così che nuove visioni possono innestarsi. Non a caso si parte dal deserto, spazio instabile e indiferenziato, che si ofre come metafora dell’incedere incerto ma fecondo perché aperto alle possibilità molteplici del divenire.
Muovendosi tra archeologia e modernità, tra memoria e vita dei territori giordani, lo sguardo di Tuzzolino non cede mai al rimpianto per un passato forido che non esiste più o all’ammonimento di un presente caotico attanagliato dalle sue contraddizioni, ma coglie piuttosto l’occasione di intercettare in tale incoerenza la natura della condizione umana e di sperimentare, attraverso il progetto, modi per prendersene cura.
If, when referring to the Middle East, the word “border” immediately evokes controversial imagery of barriers and abrupt breaks, Tuzzolino’s narrative instead transforms it into an alchemic place where pairs considered antinomian – such as nature an artifce o ernity an tra ition city and desert – cease to exclude each other, resolving instead into a single fertile amalgam that allows the architectural project to take root.
The attempt to overcome dualisms inuences t e or anisation o t e oo itself. In fact, notes, drawings, and suggestions coexist within the story, developed in parallel between text and images, which contribute to orienting thought on the meanin o laces w ile efnin autono ous reading paths.
Structured according to the stages of a ourney ro etra to Al Ma ra assin through Amman and Jerash, each chapter of the book retraces passages of a personal itinerary in the individual chapters, a movement through physical and emotional landscapes. Through the journey, the author looks for meanings in the spaces modelled by time, in the calligraphy of the rocks, in the sacredness of the thresholds, in the topography of places, and in the laws that govern cities, in the rule of the geometric code and the derogation of its manipulation, in the archaeological imperturbability, and the vital bustle of markets. Along the journey, we try to circumscribe worlds, eventually losing the perspective t rou w ic we see t e . In t e e ort to trace limits, we realise that our certitudes digress. And this is how new visions can emerge. It is no coincidence that the starting point is the desert, an unstable an un i erentiate s ace w ic len s itself as a metaphor for uncertain but fertile progress because it is open to the multiple possibilities of becoming.
Tuzzolino’s gaze moves between archaeology and modernity, memory and life in the Jordanian territories, never yielding to regret a prosperous past that no longer exists or to the warning of a chaotic present gripped by its contradictions. Instead, the author seizes the opportunity to intercept the nature of the human condition in such incoherence and to experiment, through the project, ways of taking care of it.