Gioia_28_09_13
real life
& COOL
Avvocato, medico, ingegnere? No, dopo il liceo Girando le spalle a strade già tracciate. Perché cucinare è una forma d’arte. Sempre più d’avanguardia di Francesca Tumiati - foto Matteo Carassale «Se non studi ti mando a pelar patate», la minaccia rituale del genitore esasperato dalla reiterata cialtroneria del figlio, si è trasformata in promessa che fa brillare le stelline, magari Michelin, negli occhi del giovane aspirante chef. Altro che avvocato o professore. I ragazzi non hanno più voglia di impallidire sul codice civile. O di stordirsi nei labirinti filosofici di Heidegger. Vuoi mettere saper aprire un riccio di mare o cucinare un soufflé di verdure? Se poi lo impari ad Alma, nella scuola di Gualtiero Marchesi, che da Colorno, in quel di Parma, sforna i futuri talenti della cucina, allora è davvero il massimo. E proprio Marchesi è stato scelto come testimonial dal ministero dell’Istruzione, nella brochure dedicata al rilancio delle scuole tecniche e professionali. Tanto di cappello, e non solo da cuoco, all’istituto alberghiero! Che è avanzato dall’ultimo banco, quello del “tanto prima
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o poi un lavoro lo trovo”, per allinearsi e competere con i primi, quelli dei professionisti. Diventando tendenza. Basta un dato: le iscrizioni sono aumentate del 30 per cento. Con grandi effetti sull’occupazione giovanile: solo nel 2012 sono più di 10.000 i cuochi assunti in Italia. E un recente sondaggio di Coldiretti svela: un ragazzo su due preferisce sbattere uova in cucina, piuttosto che sbadigliare dietro lo sportello di una banca. Ma c’è posto per tutti gli aspiranti chef? Molti scappano all’estero a far gavetta nei ristoranti oltreoceano. Qualcuno riesce alla grande. Almeno stando alla lista di Bruce Palling, che sul Wall street journal elenca il Gotha dei fornelli mondiali: tra i dieci migliori chef europei, ben due sono italiani. Il diploma serve, ma da solo non basta. Ci vogliono talento, passione e tanto senso estetico per diventare l’“artista dei fornelli” (il cuoco è un’altra cosa!).
Ho il risotto nel Dna Carlotta Vigo, 26 anni
Vengo da una famiglia dove è impossibile ignorare il richiamo del gusto: mio nonno era il miglior risottiere della Lombardia. Poco più che adolescente, dopo essere scappata dal clima provinciale di Vigevano, mi sono iscritta a Scienze dell’educazione in Cattolica a MIlano. Volevo fare l’insegnante per disabili. Ma la ristorazione era il richiamo che avevo dentro. Così ho smesso di studiare e sono finita in uno dei migliori ristoranti di sushi a Milano, il Bentobar di corso Garibaldi: ora sono imbattibile nelle crudité di pesce. E sui vini. Ho fatto un corso da sommelier, fino al secondo livello. I dessert, invece, non m’interessano, ho solo un debole per i dolcetti sardi. Ma il vero salto di qualità è arrivato con il ristorante Alice, sempre a Milano (una stella Michelin, ndr). All’inizio stavo in sala, ma avevo sempre la testa in cucina, finché Viviana, la chef, sfinita dalla mia curiosità, un giorno, consegnandomi la divisa, mi ha detto: «In tre mesi ti faccio diventare cuoco». Così è stato. Un’esperienza tostissima, dove ho imparato tutto. Poi mi sono ammalata: due ernie alla schiena. Avevo esagerato caricando casse di pesce al mercato. Mi sono operata e, appena guarita, sono stata da Bulgari due anni. Oggi lavoro allo Château Monfort, un albergo a cinque stelle a Milano. ll mio sogno? Fare l’aiuto chef di Nadia Santin Dal Pescatore, a Canneto sull’Oglio, Mantova.
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Cucinare è la più bella delle poesie Giulia ScialanGa, 26 anni
Ho scoperto la cucina dopo aver lavorato nella moda. Ho stravolto la mia vita, mi sono trasferita a Parigi e ho frequentato il corso base al Cordon Bleu, poi mi sono diplomata ad Alma, la scuola di Gualtiero Marchesi: l’esperienza più bella della mia vita. Penso che cucinare sia una professione intensa e appagante, perché coinvolge e combina ogni senso. È la forma d’arte più poetica e completa. Il cibo unisce le persone, ma io amo anche la parte intellettuale di ogni piatto: storia, tradizioni, materia prima. Ecco, l’aspetto materico è una delle cose che preferisco, la manualità per gli impasti, i gesti. Mi sono innamorata della cucina guardando mio padre, grandissimo artista che mi ha insegnato molte cose. Forse l’amore più grande che condividiamo è la passione per la pesca: soprattutto il rito di attendere, insieme, il pesce per ore sotto il sole. «Perché vuoi fare la cuoca?», mi hanno chiesto più volte: non è semplice rispondere. Esprime quello che sento dentro: l’amore per la natura, la generosità. Le preparazioni sono un insieme di tanti cicli vitali che io unisco e creo con la magia dei prodotti.
Moda e cibo a Milano Attorno al (buon) cibo, un vorticar di eventi: come Good food in good fashion, il nuovo aperitivo “a filiera corta” proposto durante la Settimana della moda, fino al 24 settembre: otto chef presentano, in altrettanti hotel a cinque stelle di Milano, le loro prelibatezze prêt à manger per palati raffinati (www.goodfoodingoodfashion.it). Contemporaneamente, ha appena aperto il punto vendita milanese (il primo è a Roma) di Red, read eat dream (Leggi, mangia, sogna), colossale libreria Feltrinelli nel nuovo centro nevralgico di Porta Nuova: 500 metri quadrati divisi tra libreria e ristorante, che diventa uno “spazio esperienziale” per serate a tema, cene dedicate, incontri di degustazione. www.lafeltrinelli.it P.M.
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Meglio i noodle del diritto
BENIAMINO NESPOR, 31 anni
Mio padre voleva che diventassi avvocato come lui. Ci ho provato, ma non era la mia strada. Mi riusciva molto meglio cucinare. Lo facevo per tutti, genitori e amici. Un giorno, complice la mia fidanzata (oggi mia moglie), ho iniziato come commis (aiutante, ndr), in cucina. Dopo un anno sono andato in Spagna da Martín Berastegui, tre stelle Michelin. Una scuola formidabile: 18 ore di lavoro al giorno, due di sonno. Eravamo in 60 in cucina. Tornato a Milano ho fatto l’aiuto chef al Don Carlos del Grand Hotel et de MiIan. Lì in cucina eravamo in due, con 60 coperti ogni sera. Ed è lì che sono arrivati i primi veri guadagni. Dopo due anni, con Eugenio, amico e socio, a Milano ho aperto Al mercato, ristorante gourmet con hamburgeria. E a luglio, il nuovo noodle bar, proprio di fronte all’università Bocconi. Ci sono tanti modi per diventare chef. Io credo nella gavetta più che nella scuola: quelle valide sono troppo care. A quel punto con gli stessi soldi un ragazzo può comprarsi un biglietto round the world facendo esperienza per gli stellati di tutto il mondo e lavorando gratis.
Per diventare chef professionali ci sono i corsi di Alma, a Colorno (Parma). L’iscrizione a un corso di tecniche base di cucina italiana costa 4.800 euro, quella al corso superiore 12.000 circa (www.alma.scuolacucina.it). Al prestigioso Cordon Bleu di Parigi è possibile conseguire il grand diplôme (www.lcbparis.com). L’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, unica in Italia per la formazione nel settore agroalimentare, propone un corso di laurea triennale in Scienze gastronomiche, uno di laurea magistrale in Promozione e gestione del patrimonio gastronomico e turistico e, da quest’anno, due corsi d’alto apprendistato per panettieri, pizzaioli e mastri birrai. www.unisg.it S.O.
ClAIRE lACROutS, 20 anni
Tutte le estati a Juan-les-Pins, in Costa Azzurra, con mia nonna cucinavo le cotolette alla milanese più buone del mondo. A lei devo molto. Certo, ho deluso mio padre quando ho deciso di non fare l’università: non me l’ha mai detto, ma lo capivo dai suoi sguardi. Anche le professoresse del liceo hanno strabuzzato gli occhi quando ho confessato di voler fare la chef. Pazienza: una laureata in meno, una soddisfatta in più. Mi sono iscritta al corso di base ad Alma: due mesi a sfilettare il pesce, a tagliar cipolle a 0,5 centimetri. Ora eccomi qua, Dal Corsaro, a Cagliari. Orari lunghi, fino all’una di notte. Ma il momento della comanda dello chef è emozione pura. La mia specialità? Primi e dolci. Con la carne e il pesce, invece, ho ancora molto da imparare. Vita sociale zero, ragazzi zero. Ma non si sa mai, con tutti questi chef... Magari, tra un tortello e l’altro, scatta la scintilla.
ALESSAnDrO CArrA
Le scuole
Che emozione quando arriva la “comanda”
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Come ti riciclo una laurea nei cupcake lucia cotugno, 29 anni
Dopo una laurea in Economia, ho lavorato nella moda. Ma tutto quello scintillio non mi bastava. A 25 anni desideravo qualcosa di mio. Così ho mollato tutto, seguendo la passione per la cucina che è nel Dna di famiglia. Sono passati tre anni da quando ho firmato il contratto d’affitto per la mia piccola bottega di pasticceria tra le vie di Brera. Anni con il batticuore, faticosi e bellissimi. Giorno dopo giorno, ho prodotto con le mie mani tonnellate di cupcake, cheesecake e macaron. Intercettando i desideri dei clienti e trasformandoli in dolci. È stata dura far crescere un’attività negli anni della crisi, ma fa parte della sfida. Ce l’ho fatta anche perché ho avuto una famiglia che ha creduto nei miei sogni. E una madre che, per aiutarmi, si è rimessa in gioco, salendo da Napoli a Milano. Per lavorare fianco a fianco e trasmettermi tutto quello che aveva imparato quando faceva torte per me e mio fratello. Ora che è tornata giù, a casa, io continuo a lavorare e a studiare sui suoi ricettari. Il mio modello? Leonardo di Carlo: campione del mondo di pasticceria. Ha seguito il mio negozio dall’inizio, dai disegni alle ricette, che sono cresciute con noi. Il mio dolce preferito è il cupcake al pistacchio: il mio asso nella manica.
I consigli di Moreno Cedroni 1) Prima di fare lo chef, fai il cuoco. 2) Impara a fare bene il minestrone e il pollo arrosto, il piatto creativo viene dopo. 3) Se non sai affilare bene il coltello, lascia perdere. 4) Pulizia innanzitutto: chi arriva da me senza essersi fatto la barba, va a casa. 5) Usa il sale con moderazione. 6) Scordati una vita privata. Divertimenti e sabato sera: banditi. Lavori anche a Natale e a Capodanno.
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7) Fare il cuoco è una grande fatica. Le cucine sono posti difficili, spesso la tensione è militare. Non c’è posto per i fighetti in cucina, bisogna essere umili per relazionarsi con gli altri. 8) Occorre essere veloci, reattivi, intelligenti e disposti a enormi sacrifici. Di solito lavori quando gli altri si rilassano. Questo va messo in conto e, credimi, nella professione di cuoco non è un aspetto secondario.
BrAMBILLA SErrANI
(Chef alla Madonnina del Pescatore a Senigallia, due stelle Michelin)