La crisi asiatica sui giornali italiani

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Scienze della Comunicazione

LA CRISI ASIATICA SUI GIORNALI ITALIANI

Tesi di Laurea di:

Relatore:

Davide Acerbi

Prof. Gian Paolo Caselli

Anno Accademico 2004-2005



A mia madre, a mio padre e a mia sorella Monica



Sud Est asiatico, carta politica - fonte: nuovissimo Atlante Geografico Mondiale, 2002, Touring Editore, Milano -



INDICE

INTRODUZIONE

I

PARTE PRIMA –

2.2.2 Il contagio

19

2.2.3 Bailouts

22

2.2.4 Le ristrutturazioni

22

2.2.5 I cambiamenti di dicembre

23

STORIA E INTERPRETAZIONI DELLA CRISI ASIATICA 1 PRIMA DELLA TEMPESTA

1

3 DOPO LA TEMPESTA

25

3.1 Miglioramenti economici e

25

fine della crisi 1

3.1.1 La Thailandia

25

1.1.1 La conquista dell’Asia

1

3.1.2 L’Indonesia

27

1.1.2 La crescita economica

2

3.1.3 La Corea del Sud

28

1.1.3 Chiavi di lettura dello sviluppo

2

3.1.4 La Malesia, un caso atipico

30

1.1.4 Un’espansione controversa

5

3.1.5 Le Filippine

31

1.1.5 Il ruolo dello stato nell’economia

6

3.1.6 Taiwan

32

1.1 Il miracolo asiatico

1.2 L’economia negli Stati Uniti

8

1.2.1 Da Reagan a Clinton

8

PARTE SECONDA –

1.2.2 Il boom borsistico

10

LA CRISI ASIATICA

1.2.3 Wall Street e la Silicon Valley

10

SUI GIORNALI ITALIANI

1.2.4 La nuova ideologia

11

1.2.5 Il costo del dominio

12

1.2.6 Da New York a Tokyo

12

1 L’INIZIO DELLA CRISI

37

1.1 Un momento di transizione

37

1.2 La locomotiva americana

38

1.3 L’empasse giapponese

46

14

1.4 Echi dalla Thailandia

51

2.1.1 Il vento sui castelli di carte

14

1.5 Le elezioni indonesiane

54

2.1.2 Ritorno a Bangkok

15

1.6 La crisi immobiliare

56

2.1.3 Primi interventi del FMI

17

1.7 La globalizzazione avanza

57

2.2 La crisi economica

18

1.8 Il passaggio di Hong Kong

60

2.2.1 La strategia del FMI

18

1.9 Il futuro dell’Asia

65

2 LA TEMPESTA 2.1 La crisi valutaria

14


2 SVILUPPO DELLA CRISI

69

3.10 La difesa di Hong Kong

160

3.11 Fibrillazione e incertezza

164

2.1 Thailandia infelix

69

3.12 Il crollo di Wall Street

167

2.2 Segnali di crisi

72

3.13 Crack e correzione

172

2.3 Effetto domino

73

3.14 Soccorso all’Indonesia

183

2.4 Conseguenze politiche

77

3.15 Tra cronaca e scenari

184

2.5 I danni del dollaro

80

3.16 Crepe nei pilastri dell’Asia

189

2.6 Ritorno in Asia

81

3.17 La Corea

190

2.7 Primi interventi dell’Fmi

85

3.18 Il Giappone

197

2.8 Le opinioni degli esperti

86

3.19 Lo sguardo occidentale

203

2.9 Dure riforme

89

3.20 Una finestra a Vancouver

210

2.10 Visioni della globalizzazione

93

3.21 Sospesi sul baratro

215

3.22 Dal mercato allo Stato

220

2.11 Attacchi ad Hong Kong, crisi a Seul

96

3.23 Ginevra, Kuala Lumpur,

2.12 Il crollo delle borse

100

Washington e Seul

2.13 La natura della crisi

105

2.14 Risveglio cinese

109

2.15 Verso Hong Kong

113

2.16 Il vertice di Hong Kong

114

226

3.24 Le banche salvano la Corea

230

4 IL CROLLO

236

2.16.1 Le questioni sul tavolo

114

4.1 Trattative per la Corea

236

2.16.2 L’Asia rovina la festa

115

4.2 Il riflusso dei dollari

239

2.16.3 Una crisi positiva?

117

4.3 L’Indonesia verso il disastro

242

2.16.4 L’alfiere della globalizzazione

122

4.4 Tra politica ed economia

247

2.16.5 Il Giappone: medico o paziente?

124

4.5 Disordini sociali a Giakarta

254

2.16.6 Il duello

125

4.5 L’FMI sotto accusa

257

4.6 Da Seul a Davos

261

4.7 Ottimismo e disperazione

267

4.8 Il ruolo del Fondo monetario

274

3 L’ESPLOSIONE DELLA CRISI

129

3.1 Il Messico

129

4.9 L’Indonesia sfida l’Fmi

279

3.2 L’Indonesia scivola

130

4.10 Governare la globalizzazione

284

3.3 La Thailandia malata

132

4.11 La tempesta è finita

287

3.4 L’egemonia di mercato

137

4.12 Indonesia, ultimo atto

292

3.5 Le ultime speranze

140

4.13 L’imperatore di carta

295

3.6 L’Oriente crolla

142

4.14 G-7 a Washington

300

3.7 I rischi per l’Occidente

150

4.15 Riformare e regolare

303

3.8 Il problema Hong Kong

154

4.16 Passaggio a Sud Est

307

3.9 Manovre di salvataggio

157


PARTE TERZA

3.4.3 L’esplosione della crisi

356

– APPARATI DI ANALISI

3.4.4 Il Crollo

358

1 RACCOLTA E ORGANIZZAZIONE DEI DATI

313

PARTE QUARTA – CONCLUSIONE

1.1 Raccolta e catalogazione degli articoli

313

1.2 Precisazioni sulla suddivisione interna dei giornali 1.3 Precisazioni sugli altri campi 2 ANALISI QUANTITATIVA 2.1 Il totale degli articoli

1 LA GLOBALIZZAZIONE 314

COME ORIZZONTE POSITIVO

363

1.1 L’informazione nella globalizzazione

363

1.2 La copertura giornalistica

364

1.3 L’interpretazione della crisi

366

318

APPENDICI

371

321

BIBLIOGRAFIA

381

315 317 317

2.2 Variazione nel tempo del numero degli articoli 2.3 Suddivisione degli articoli nelle sezioni dei giornali 2.4 Rilevanza attribuita alle notizie sulla crisi

329

2.5 Lo sguardo sui paesi

330

3 ANALISI QUALITATIVA

341

3.1 Liberisti e keynesiani

341

3.2 La Repubblica

343

3.2.1. L’inizio della crisi

343

3.2.2 Lo sviluppo della crisi

344

3.2.3 L’esplosione della crisi

346

3.2.4 Il Crollo

348

3.3 Il Corriere della Sera

349

3.3.1. L’inizio della crisi

349

3.3.2 Lo sviluppo della crisi

349

3.3.3 L’esplosione della crisi

351

3.3.4 Il Crollo

353

3.4 Il Sole 24 Ore

353

3.4.1. L’inizio della crisi

353

3.4.2 Lo sviluppo della crisi

355



INTRODUZIONE



1 ECONOMIA GLOBALE E INFORMAZIONE NAZIONALE

“Oh, East is East, and West is West, and never the Twain shall meet Till Earth and Sky stand presently at God’s Great Judgment Seat” Rudyard Kilping – Ballad of East and West –

1.1 Chi si ricorda della crisi asiatica? La crisi asiatica del 1997 forse non è entrata nella memoria collettiva italiana. Questo per il naturale oblio in cui cadono i fatti di cronaca, ma anche perché gli effetti sull’economia nazionale non sono stati percepiti dalla maggioranza della popolazione. È quindi probabile che dopo nove anni i più non abbiano idea di cosa sia avvenuto nel sud est asiatico tra il luglio del 1997 e l’estate del 1998, visto che anche su alcuni libri di storia generale il tutto viene liquidato in poche righe. Una superficialità inspiegabile dato l’impatto che questo evento ha avuto per i paesi coinvolti e l’importanza del suo significato nel percorso di riassetto degli equilibri mondiali dopo la caduta dell’Urss e l’avvento della globalizzazione. Alla metà degli anni ’90 infatti, la volontà della superpotenza rimasta, gli Stati Uniti d’America, di porsi quale modello di sviluppo per il mondo, mise in crisi i legami strategici retaggio della diarchia bipolare. In Asia, l’importanza del rapporto con il Giappone, l’alleato storico, venne ridimensionata, mentre nuovi stati di recente sviluppo industriale alimentarono il dinamismo economico e sociale di una regione estremamente popolosa. Questi paesi, tra cui la Thailandia, la Malaysia e l’Indonesia, per via degli elevatissimi tassi di crescita economica basati sulle esportazioni, vennero identificati con l’appellativo di “tigri asiatiche”. La loro I


Introduzione

espansione commerciale sui mercati del mondo suscitò stupore e interrogativi nell’occidente industrializzato su quale fosse il segreto alla base di questo sviluppo straordinario.

1.2 Due visioni a confronto Era la globalizzazione, con l’espansione planetaria dei commerci, ad offrire tali opportunità di crescita, o i risultati delle tigri provenivano da un modello “diverso”, con proprie peculiarità socio-culturali? E se era così, nel mondo dovevano valere per tutti le regole della scuola neoliberista americana, o c’era la possibilità di un pluralismo nel pensiero economico e sul mercato? Per i sostenitori della globalizzazione le tigri erano la dimostrazione vivente dei vantaggi seguiti alla liberalizzazione dei commerci, che offriva opportunità di sviluppo a chiunque avesse messo a frutto le proprie risorse e competenze. Altri studiosi, pur senza negare l’importanza degli sbocchi per le produzioni asiatiche e la forza della domanda globale, continuavano a ritenere che alla base di quello sviluppo straordinario ci fossero particolari condizioni socio-culturali. All’emergere della crisi in quei paesi, queste due visioni vennero messe a dura prova. La liberalizzazione dei movimenti di capitale, avanzata in alcuni paesi dell’area di pari passo a quella dei commerci, rivelò la fragilità dei sistemi finanziari di detti paesi. Tanto che, dinanzi ai crolli di banche e aziende, venne indicata da alcuni come la causa scatenante della crisi, falsificando le teorie di chi sosteneva i vantaggi della globalizzazione e dell’apertura dei mercati. In modo analogo, le idee sulla diversità “virtuosa” delle economie asiatiche dovettero fare i conti col fatto che le Tigri non erano né immuni, né isolate dal sistema internazionale. Paradossalmente i sostenitori della globalizzazione, favorevoli al moltiplicarsi delle relazioni finanziarie e commerciali, smentirono le paure sui possibili effetti globali della crisi. La definirono inizialmente come “una crisi di crescita”, un “intoppo sulla via dello sviluppo”, un “necessario consolidamento” che sarebbe presto passato, ridando slancio alle economie locali. Altri economisti invece misero in guardia dalla incipiente pericolosità dei fatti asiatici, identificandone la causa in un “virus” che avrebbe potuto contagiare anche i mercati occidentali, globalizzando di fatto la crisi.

1.3 La ricerca Ma riprendiamo dall’inizio e torniamo in Italia nel 1997. Che idea poteva farsi leggendo i giornali un cittadino qualunque? Che copertura hanno dedicato i giornali italiani alla crisi asiatica, come la hanno trattata, quali analisi hanno pubblicato e quali visioni hanno II


Economia globale e informazione nazionale

sostenuto? Questa è la domanda alla base dell’indagine giornalistica che si propone questo lavoro. Siccome l’intento della ricerca è l’analisi dell’informazione a disposizione del lettore medio, abbiamo evitato settimanali e riviste specializzate, selezionando tre quotidiani a tiratura nazionale: La Repubblica, Il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore. L’ipotesi di fondo che ha guidato questa scelta è che la diversità del punto di vista politico, intesa come visione della società, fosse legata a un diverso paradigma economico di riferimento. Secondo questo assunto, La Repubblica, identificata come un giornale della sinistra moderata legata alla socialdemocrazia, avrebbe dovuto sostenere una visione tendenzialmente keynesiana, Il Corriere della Sera, identificato come un quotidiano liberal conservatore, avrebbe dovuto avere una visione tendenzialmente liberista così come Il Sole 24 Ore, storicamente legato alla Confindustria. A favore di quest’ultima scelta più che il punto di vista ha inciso la specializzazione economica del quotidiano, che useremo come punto di riferimento per la quantità di articoli e l’ordine di priorità assegnato agli eventi trattati. Di questo dovremo tener conto per non fraintendere i risultati statistici che emergeranno dall’analisi.

1.4 Struttura del lavoro La prima parte è scritta in prospettiva “storica” e analitica. Trattando la crisi asiatica alla stregua di una tempesta, la sua descrizione è stata suddivisa in tre momenti, con i relativi capitoli. In “Prima della tempesta” viene fornita un’interpretazione dello sviluppo economico asiatico attingendo da contributi di vari autori e contestualizzandoli nel panorama strategico della regione seguito alla seconda guerra mondiale. La vittoria degli Stati Uniti contro il Giappone e la loro ascesa quale potenza egemone dell’area ha infatti avuto una forte influenza sul modello che ha avuto origine in Asia, specialmente nel Sol Levante. Per questo motivo, abbiamo ritenuto utile dedicare un sottoparagrafo all’evoluzione dell’economia statunitense partendo dalla metà degli anni ’80 fino ad arrivare all’amministrazione Clinton, descrivendo brevemente la nascita della globalizzazione e della new economy. In “La tempesta”, viene riportata l’evoluzione della crisi, alternando gli eventi storici alle interpretazioni degli economisti, in particolare Jospeh Stiglitz e Jeffrey Sachs. Come la crisi è iniziata, come si è aggravata, quali sono state le risposte delle istituzioni internazionali, le conseguenze delle politiche di salvataggio finanziario e le critiche mosse dai due autori al Fondo Monetario Internazionale. “Dopo la tempesta” riassume le conseguenze della crisi e mette in luce le politiche attuate dai singoli paesi per rimettere in sesto le rispettive economie. Di tutti i paesi dell’area sono stati scelti i più significativi, in base al loro grado di coinvolgimento e alla originalità delle politiche intraprese. III


Introduzione

La seconda parte è dedicata alla lettura di tre dei maggiori quotidiani nazionali: Il Corriere della sera, La Repubblica e Il Sole 24 Ore, dal maggio 1997 fino all’aprile 1998. La crisi asiatica viene spiegata e raccontata da editoriali, cronache, commenti, interviste a esperti, andamenti di borsa, ecc. Ne emerge una “storia della crisi sui giornali” complessa e appassionante, dove il criterio cronologico lascia spazio al confronto contenutistico tra le testate. Per fare questo, abbiamo suddiviso il periodo in esame in quattro capitoli e raggruppato per argomento nei relativi paragrafi gli articoli dedicati da ciascun giornale. Relativamente ai capitoli, il primo è riferito ai mesi precedenti la crisi, il secondo all’emergere della crisi, dalla svalutazione del baht fino alla riunione annuale del Fondo monetario internazionale a Hong Kong, il terzo all’esplosione e al contagio della crisi, il quarto al cambiamento di strategia del Fondo Monetario e all’evoluzione della situazione in Asia fino all’aprile del 1998. La terza parte è dedicata agli apparati di analisi. Verrà descritta la modalità di raccolta e catalogazione degli articoli e sulla base dei dati verranno rappresentate statisticamente la copertura informativa, gli aspetti della crisi che i giornali hanno privilegiato, lo spostamento di attenzione sui paesi colpiti e la rilevanza attribuita alle notizie sulla crisi. A ciò si aggiunge una analisi qualitativa, che fungerà da verifica finale dell’ipotesi di partenza: se cioè una visione della società è necessariamente legata a un determinato paradigma economico di riferimento. La quarta e ultima parte è dedicata alle conclusioni. L’intento è formulare un giudizio sui giornali analizzati nel loro rapporto coi problemi e le sfide del mondo globalizzato. Per questo la crisi asiatica è un argomento privilegiato, in quanto mette alla prova la capacità di descrizione e l’interpretazione di eventi non solo geograficamente distanti, ma difficilmente comprensibili senza un’adeguata spiegazione delle culture locali e delle tendenze dell’economia mondiale.

IV


PARTE PRIMA Storia e interpretazioni della crisi asiatica



1 PRIMA DELLA TEMPESTA

“Cupe nuvole celavano il fiume Sumida. Dal finestrino del piccolo treno a vapore, egli contemplava i ciliegi dell’isoletta Mukojima. I ciliegi fioriti gli parevano uno spettacolo triste, quasi fossero una fila di stracci. Eppure in quegli alberi piantati all’epoca di Edo, egli finì per riscoprire sé stesso.” Ryunosuke Akutagawa – Vita di uno stolto – “«Fu una cena alla bistecca», prosegue il racconto, «in cui i convitati interrogarono un uomo dal modesto salario ma dalla lingua d’argento. E questo fu un altro show in cui il governatore Bill Clinton fece del suo meglio impressionando i manager con la sua disponibilità ad abbracciare il libero commercio e i liberi mercati»” Giulietto Chiesa, Marcello Villari – Superclan –

1.1 Il miracolo asiatico 1.1.1 La conquista dell’Asia Dopo la vittoria americana contro l’Impero del Sol Levante e la pace firmata il 14 agosto 1945 dai comandanti delle forze armate americane e giapponesi a bordo della corazzata “Missouri”, il Sud Est asiatico lasciava le vestigia dell’effimera “sfera di prosperità comune” per diventare il teatro della rovente sfida tra le due nuove superpotenze. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica erano ormai gli unici super-stati a coltivare aspirazioni di egemonia mondiale e, nel mezzo di un turbolento processo di decolonizzazione, a spartirsi i resti dei vecchi imperi coloniali. Con la sconfitta e l’occupazione militare del Giappone, atto conclusivo della guerra del Pacifico, gli Stati Uniti iniziarono a porre le basi per la loro egemonia nei paesi del sud est asiatico. La ridefinizione strategica dell’area fu un processo storico lungo e controverso, nel quale gli americani oltre alla forza militare (ricordiamo le sanguinose guerre di Corea e del Vietnam) svilupparono programmi di ricostruzione e riorganizzazione economica dei singoli stati, di pari passo a quanto avveniva in Europa grazie al piano Marshall. Il Giappone, ex potenza egemone nell’area, era uno stato che usciva distrutto dalla guerra, ma era l’unico ad aver raggiunto un grado di organizzazione industriale paragonabile al livello occidentale, sebbene tecnologicamente più arretrata.

1


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

Il paese si prestava a diventare la vetrina americana del capitalismo in Asia, “un modello e un esempio di cosa gli asiatici avrebbero potuto sperare di ottenere qualora si fossero alleati agli americani anziché ai comunisti”1. Questo ambizioso obiettivo poggiava sull’installazione di basi militari americane dell’area2, in cambio della ricostruzione economica e della simultanea concessione a paesi come il Giappone e la Corea del Sud di vantaggiosi accordi commerciali. 1.1.2 La crescita economica Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni ’90, l’area del sud est asiatico si è resa protagonista di una delle crescite economiche più sostenute e durature della storia, essendo riuscita a sollevare dalla povertà, secondo i dati della banca mondiale, circa 370 milioni di persone3. In Malesia, Indonesia e Thailandia il reddito pro capite è più che quadruplicato tra il 1965 e il 1995, mentre in Corea del Sud i redditi sono saliti di sette volte. Il reddito medio in questi quattro paesi sono cresciuti dal 10% del reddito medio degli Usa al 27% odierno. L’aspettativa di vita è salita da 57 anni nel 1970 a 68 nel 1995, e il tasso di alfabetizzazione è passato dal 73% al 91%4. Al di là degli aumenti del reddito medio, i tassi di alfabetizzazione e un così significativo aumento dell’aspettativa di vita mostrano come i risultati della crescita economica siano stati largamente ridistribuiti sul totale della popolazione. In Indonesia, ad esempio, la quota di popolazione al di sotto della soglia di povertà è scesa dal 60% negli anni ‘60 al 15% nel 1996 5. 1.1.3 Chiavi di lettura dello sviluppo La rapida crescita economica dell’Asia orientale è stata un esempio unico di sviluppo intenso e concentrato in una sola regione. Uno studio di Ozawa6 mette in luce i punti cardine

Johnson Ch. (2003), Gli ultimi giorni dell’impero americano, Milano,Garzanti, p.249 “Nel 1965 l’ammiraglio americano Grant Sharp, comandante in capo delle forze americane nel Pacifico, affermò che senza le basi sull’isola di Okinawa gli USA non avrebbero potuto combattere in Vietnam senza le basi di Okinawa” in Johnson Ch., op. cit., p. 66 Nel 1998 il Giappone risultava ancora il secondo paese al mondo per numero di militari americani stanziati sul proprio territorio nazionale (41.257), mentre la Corea del Sud risultava terza (35.663), in Todd E. (2003), Dopo l’impero, Milano, Marco Tropea Editore, p. 82 3 Sideri S. (2000), Asia orientale tra globalizzazione e integrazione regionale, p. 6 4 World Bank (1997) e Deininger-Squire (1996) in Radelet S., Sachs J. (1998), The east asian financial crisis, diagnosis, remedies, prospects, Harvard Institute for International Development, <http://www.eldis.org/static/DOC5069.htm >, p.11 5 Radelet S., Sachs J. (1998), The east asian financial crisis, diagnosis, remedies, prospects, Harvard Institute for International Development, <http://www.eldis.org/static/DOC5069.htm >, p. 11 6 Ozawa T. (2002), Pax-Americana-led Macro-Clustering and Flying-Geese-Style Catch-Up in East Asia: Mechanism of Regionalized Endogenous Growth, Colorado State University, <http://www2.gsb.columbia.edu>, p. 4-6, 1 2

2


Prima della tempesta

di questa crescita, che egli definisce “hegemon-led macro-clustering”, che starebbe per “macro concentrazione (economica) guidata dall’egemonia”. L’egemonia in questione è chiaramente quella statunitense, che negli anni, per i motivi sopradetti ha trapiantato in Giappone interi settori manifatturieri, con annesse tecnologie, conoscenze (know-how) e informazioni di mercato, garantendo al tempo stesso una domanda sostenuta dai consumi interni americani7. La descrizione di Ozawa rielabora in parte il noto “modello delle oche volanti”, formulato originariamente da Kaname Akamatsu negli anni’30. Questa teoria presuppone che il ciclo di vita di uno specifico settore può essere tracciato in base a un indicatore di competitività, che incrociato con la linea del tempo dà luogo a una curva a V rovesciata (che è la formazione di volo migratorio delle oche selvatiche). La competitività prima aumenta, poi si riduce nel tempo.

[ Fig.1]: Esempio del trasferimento del vantaggio comparativo. Il primo grafico mostra il progressivo sviluppo di settori tecnologicamente avanzati all’interno di un solo paese. Il secondo mostra il trasferimento di uno stesso settore (in questo caso il tessile) verso i paesi a più alta intensità di manodopera. Fonte: C. H. Kwan, op. cit., p.3

L’accumulazione di capitale (incluso l’afflusso di investimenti stranieri diretti) e i collegamenti a monte e a valle con altri settori hanno l’effetto di mutare il vantaggio comparativo del paese coinvolto8. Questo comporta una ricollocazione di settori ad alta intensità di lavoro verso i paesi più poveri, mentre il più ricco si specializza in nuovi prodotti. Un paese, nel nostro caso il Giappone, diventa l’“oca di testa” che apre la strada a tutto lo 7

Ivi, p. 4-6 Kwan C. H. (2002), The rise of China and Asia Flying geese Pattern of Economic Development: An Empirical Analisys Based on US Import Statistics, NRI Papers, n.52, <http://www.nri.co.jp/english/opinion/ papers/2002/pdf/np200252.pdf>, p.2

8

3


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

“stormo” dei paesi della regione che mantengono con esso intensi rapporti commerciali. Avviene così un vero e proprio spostamento di settori produttivi da un paese all’altro [fig.1]. Dobbiamo focalizzare però un punto importante. Il processo di internazionalizzazione delle imprese dopo gli anni ’50 e la globalizzazione seguita al 1991, avevano già mostrato la possibilità da parte delle multinazionali americane ed europee di spostare all’estero linee produttive inseguendo il vantaggio comparato del basso costo della manodopera. Questo fatto di per sé non è però sufficiente a spiegare l’enorme crescita tecnologica (fino a raggiungere in certi settori i vertici mondiali) di paesi come il Giappone e la Corea del Sud. Gli stabilimenti impiantati da aziende estere in determinati contesti possono ad aumentare il reddito medio pro-capite, ma non sempre contribuiscono alla costruzione di una forte industria nazionale. Radelet e Sachs propongono una lettura che integra e amplia il paradigma delle “oche volanti”. Il successo dei paesi asiatici secondo questa visione, si basa sulla loro capacità di integrare la produzione nazionale con quella internazionale, non semplicemente attraverso l’orientamento all’export, ma con specifiche istituzioni come l’acquisizione di brevetti tecnologici, manifatture di attrezzature originali e distretti industriali per le produzioni estere che aiutarono ad attrarre finanziamenti stranieri votati alle esportazioni. Questa strategia rese le economie capaci di partire con attività manifatturiere a basso costo e poi gradualmente specializzarsi in prodotti ad alta tecnologia. Alla luce di queste considerazioni, si può comprendere come il modello elaborato da Akamatsu, non rappresenti un automatismo verso lo sviluppo. Ciò che Akamatsu definiva come un “modello evolutivo di recupero sequenziale attraverso relazioni di insegnamentoapprendimento tra nazioni attraverso gli stadi di sviluppo industriale”9, ha

bisogno di

strutture “coscienti” che perseguano precisi obiettivi, il che significò un forte ruolo da parte delle amministrazioni statali. Secondo lo studio di Ozawa10, relativamente al Giappone, furono perseguite: 1. una politica di miglioramento industriale da prodotti a basso valore aggiunto a industrie ad alto valore aggiunto e alta produttività 2. una politica di sostituzione delle importazioni e promozione delle esportazioni, sostituendo le importazioni con produzioni interne e successivamente promuovere le esportazioni.

Akamatsu K., (1962), in Ozawa T. (2001), The hidden side of the flying geese catch-up model, <http://www2.gsb.columbia.edu>, p. 4 10 Ozawa T. (2001), The hidden side of the flying geese catch-up model, <http://www2.gsb.columbia.edu>, p. 4-5 9

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Prima della tempesta

3. una politica di trasferimento delle industrie che avevano perso il vantaggio comparativo o di settori industriali verso altri paesi (prevalentemente paesi in via di sviluppo dell’area) per mantenere in casa industrie ad alto valore aggiunto, processo denominato riciclo del vantaggio comparativo e rafforzamento dell’efficienza adattiva per l’industria nazionale Se il Giappone può essere considerato “l’oca di testa” che ha trainato negli anni le economie dei paesi dell’est-asiatico, politiche simili vennero adottate anche dai paesi (come la Corea del Sud e Taiwan), che per ragioni storiche e culturali implementarono il modello di sviluppo “a guida statale”. Sulla base di obiettivi macro-economici similari, in generale tutti questi paesi svilupparono internamente alcune condizioni fondamentali quali: 1. alti tassi di risparmio a livello statale e privato 2. fiducia nella proprietà privata del settore industriale 3. bassa inflazione e politiche di credito interno controllate 4. valute convertibili, con scarso o assente guadagno sul mercato nero delle valute estere11 1.1.4 Un’espansione controversa Il processo di migrazione dello sviluppo industriale iniziò nei primi anni ’60. I prodotti a basso costo delle prime esportazioni nipponiche generarono profitti che si trasformarono in investimenti in patria e all’estero. In patria vennero orientati al potenziamento dei sistemi produttivi, mirando all’aumento della produttività e a una riduzione dei costi su prodotti di sempre maggior sofisticazione tecnologica. All’estero crearono le condizioni per il trasferimento di lavorazioni ad alta intensità di manodopera come il settore tessile, la produzione di manufatti in plastica o la componentistica elettronica. Nei primi anni ’60, emersero così oltre al Giappone altri quattro paesi “esportatori”, Hong Kong, Singapore, Taiwan e la Corea del Sud, che, tornando alla metafora coniata da Akamatsu, costituirono “il primo stormo di anatre” e vennero denominati N.I.C. (New Industrialized Countries)12. A questo primo stormo, si aggiunsero, a partire dal decennio successivo, altri paesi dell’area: la Malesia, l’Indonesia e la Thailandia (alcuni studiosi vi includono anche le Filippine) mentre nell’ultimo decennio, la Cina e il Vietnam. Questi ultimi, denominati Radelet S., Sachs J., op. cit., p.13 Eva F., La crisi asiatica 1997, solo crisi economica o anche socioculturale, Università di Milano, <http:// www.fabrizio-eva.info/La%20crisi%20asiatica.doc>

11 12

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

convenzionalmente N.I.Es (New Industrialized Economies) non beneficiarono per la loro crescita unicamente di investimenti da parte dei NIC, ma anche degli effetti dell’incipiente globalizzazione dei mercati. Si svilupparono così economie molto dinamiche ma caratterizzate da: 1. mancanza di sviluppo di grandi industrie nazionali, 2. sudditanza ai capitali stranieri 3. mancanza di controlli sui flussi di capitali, specie dall’estero 4. finanziamento di progetti di lungo periodo con crediti esteri a breve termine. 1.1.5 Il ruolo dello stato nell’economia Come si spiegano queste evidenti differenze strutturali tra NIC (in particolare Giappone, Taiwan, Corea del Sud) e NIEs (Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine)? Certo non possiamo accontentarci di addossarle unicamente al differente periodo storico del loro sviluppo. La globalizzazione influì fortemente sui NIEs, ma il vero discrimine tra essi e i NIC era lo sviluppo di solidi ed efficienti apparati burocratici statali. Il Giappone, ad esempio, subito dopo la seconda guerra mondiale si trovò ad avere un apparato burocratico amministrativo “prima ancora di uno stato centralizzato”13. La presenza di questo elemento riuscì a incanalare i cosiddetti “valori asiatici” nel solco di un’economia che rifletteva in qualche modo la struttura gerarchica tradizionale della società giapponese, sviluppando una forma di “autoritarismo morbido”14. Le autorità statali riuscirono cioè ad attuare una politica economica di rilancio della nazione attraverso una specie di “intesa corporativa” tra forze produttive, imprenditoriali e stato. Ne derivò un’economia “dirigista” dove lo stato non divenne proprietario delle aziende, ma assunse (facendo talvolta di necessità virtù) il controllo dell’erogazione dei capitali, dirottando scientemente le risorse finanziarie interne verso i settori industriali ritenuti più importanti e pianificando nei settori prescelti programmi di R&S. Le caratteristiche culturali di questo modello si potrebbero così sintetizzare: 1. economia diretta dallo stato e mirata alla crescita e allo sviluppo, cioè dirigismo; 2. scelte di politica economica non ideologiche, ma pragmatiche;

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Jones, 1998, p.191, in Sideri S. (2000), Asia orientale tra globalizzazione e integrazione regionale, p. 6 Ivi, p.6


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3. stato autoritario, ma paternalistico, che considera la crescita economica come costruzione della nazione; 4. società non individualistica, ma fortemente centrata sulla famiglia; 5. ordine sociale garantito da una complessa macchina di controllo e da una cultura egemonica comune, il cosiddetto “collettivismo spontaneo”; 6. politica attiva riservata ad una ristretta elite, mentre è scarsa la mobilizzazione politica della popolazione; 7. vita politica pragmatica e non centrata sulla sfera pubblica; 8. cultura che mescola tradizioni sanzionate ufficialmente e consumi sanzionati dal mercato; 9. cultura che privilegia il consenso e l'armonia ed evita il conflitto; 10. crescente importanza dei “valori asiatici”. Il caso del Giappone evidenzia come lo sviluppo degli apparati burocratici affonda le proprie radici nella storia e nelle tradizioni culturali, ma la presenza di forti apparati burocratici permise (come anche in Corea del Sud e Taiwan) di effettuare le necessarie riforme economiche (attraverso il reperimento di linee di credito interne) e provvedere a decisive regolamentazioni dell’economia sulla base delle esigenze nazionali. Nelle loro realizzazioni concrete, sia il “dirigismo” nipponico che il nuovo “liberismo” dei NIEs non erano esenti da difetti. Nel primo caso, un effetto negativo dell’economia diretta dallo stato, fu quello di intessere fitti rapporti tra quest’ultimo e i grandi trust (in Giappone keiretsu, in Corea chaebol) formando un modus operandi molto lontano dalla trasparenza informativa cui tendevano i mercati occidentali. Un altro aspetto negativo fu la creazione di una delicata “coerenza strutturale”, dove gli obiettivi e le prassi di governo del sistema mal si integravano con quelle di possibili investitori esteri. Il “liberismo” dei NIEs era sì più orientato al massiccio afflusso di investimenti esteri, ma soffrì in generale di scarse strutture industriali nazionali e di apparati pubblici e istituzioni finanziarie poco efficienti rispetto a quelle occidentali. Di fronte alle pressioni politiche esercitate dalle istituzioni finanziarie internazionali (FMI in testa) per la liberalizzazione dei mercati di capitali, Giappone, Corea del Sud e Taiwan reagirono molto tiepidamente, per non minare la suddetta “coerenza strutturale” delle proprie economie. La Thailandia, la Malesia e l’Indonesia, che dipendevano dall’ingresso dei 7


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

capitali esteri, non poterono opporre una forte resistenza e misero in cantiere riforme strutturali che all’arrivo della crisi non erano ancora state completate, specie nelle parti riguardanti controlli e regolamentazioni. Secondo il lavoro di Radelet e Sachs, si possono disporre su un ipotetico spettro paesi come il Vietnam e la Cina, che non avevano intrapreso significative riforme di liberalizzazione, paesi come il Giappone e la Corea del Sud, che difendevano con modeste riforme la loro “coerenza strutturale”, paesi come Singapore e Hong Kong fortemente liberalizzati, ma con sistemi finanziari efficienti e sofisticati, e paesi, come la Thailandia, la Malesia e l’Indonesia, che avevano iniziato ma non completato il processo di riforma dei sistemi finanziari15.

1.2 L’economia negli Stati Uniti Una volta descritto nella sostanza il modello delle oche volanti e le modalità di gestione dello sviluppo economico in Giappone e nei vari paesi dell’area, per completare lo scenario in cui si è svolta la crisi del 1997 bisogna attraversare il Pacifico e osservare l’evoluzione dell’economia americana dagli anni ’80 alla fine degli anni novanta, con l’avvento della New Economy e della globalizzazione. 1.2.1 Da Reagan a Clinton L’accelerazione verso l’ultima salita della guerra fredda, compiuta durante la presidenza Reagan a suon di riduzioni fiscali ed enormi spese militari (6,2% del Pil usa)16 condite dall’ideologia della supply side economics, aveva lasciato agli Stati Uniti un enorme deficit [fig.2]. Si pensava che la riduzione fiscale e la deregolamentazione di alcuni settori avrebbe

resuscitato forze economiche, rilanciato la produzione e alla fine, reso maggiore ricchezza. Purtroppo questa ricetta non diede i risultati sperati. Di fronte alle pressioni della Banca Centrale (Federal Reserve) per la riduzione dell’inflazione attraverso l’innalzamento dei tassi di interesse, le casse di risparmio americane si trovarono nella condizione di dover pagare interessi fissi sui mutui erogati in precedenza (in maggioranza a famiglie) e contemporaneamente interessi più che doppi sui depositi correnti. Questa situazione mandò le casse di risparmio sull’orlo della bancarotta. L’amministrazione Reagan cercò allora un espediente per salvare le banche. Questo poteva essere dato dalla sopravvalutazione del

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Radelet S., Sachs J., op. cit., p. 14 Stiglitz J. (2004), I ruggenti anni novanta, Torino, Einaudi, p. 34


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capitale “all’avviamento” (sopravvalutazione dei profitti futuri previsti) nel bilancio in corso o, grazie alla deregulation, dalla concessione di investire in “titoli spazzatura” in borsa. Le casse di risparmio reagirono concedendo forti prestiti agli investitori del mercato immobiliare, gonfiando una bolla speculativa che, con il ritiro delle agevolazioni fiscali nel 1986, inevitabilmente scoppiò, riportandole a una situazione di bilancio talvolta peggiore di quella di partenza. Il compito di “salvare” la banche fu lasciato all’amministrazione Bush, con una spesa per il bilancio federale di oltre 100 miliardi di dollari. Questo salvataggio tuttavia non fu sufficiente a scongiurare la crisi che sarebbe sopraggiunta di lì a pochi anni.

[Fig.2]: Andamento del debito nazionale statunitense in misura percentuale al Prodotto interno lordo dal 1950 al 2010 (previsione). Fonte: <http://www.zfacts.com>

Da una situazione di deregolamentazione, si passò in breve tempo, dopo il 1988-89, a una in cui furono imposti severi limiti per il pareggio dei bilanci degli istituti di credito, con una conseguente riduzione dei prestiti e una grave siccità finanziaria nel campo degli investimenti per le attività produttive. La recessione generale che ne derivò pose in forte crisi il bilancio federale, il cui risanamento divenne prioritario per l’amministrazione Clinton. Attraverso una riduzione delle spese statali e al tempo stesso un aumento delle imposte, Clinton assunse una politica rischiosa dal punto di vista del consenso che però restituì i frutti della ripresa economica, una politica che innescò un circolo virtuoso (abbassamento dei tassi di interesse, ricapitalizzazione delle banche, nuovi investimenti, crescita, fiducia degli investitori, ecc.). Gli anni ’90 sancirono l’apertura della grande stagione dell’economia americana. 9


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

1.2.2 Il boom borsistico Negli anni ’90 negli Stati Uniti si cominciarono cogliere i frutti delle applicazioni delle tecnologie informatiche sviluppate e diffuse su larga scala a partire dagli anni ’80, con una novità: Internet. I vantaggi delle reti in termini di scorte di magazzino, logistica industriale, scambio di notizie e informazioni e, in ultimo, compravendita di azioni, furono decisivi. La massiccia immissione dell’informatica nell’economia non si esauriva infatti nel supporto tecnico e organizzativo ai sistemi produttivi tradizionali, ma apriva un nuovo potenziale spazio di scambio, dove il crollo dei costi di transazione e dei trasporti, avrebbero moltiplicato i guadagni. Se questo valeva per i beni fisici, figurarsi per i servizi. Di conseguenza, nei mercati azionari, i titoli delle aziende connesse alla rivoluzione informatica, aziende che fornivano software, componentistica hardware, servizi di consulenza e compravendita on line, ma anche le aziende fornitrici di infrastrutture quali ad esempio la posa di cavi a fibre ottiche, presero a salire costantemente fino a raggiungere valori elevatissimi anche per un’economia tradizionalmente forte come quella americana. Questo fu l’inizio della cosiddetta New Economy, la nuova economia. L’informatizzazione aveva creato in pochi anni un aumento di produttività senza precedenti, che unita alle condizioni descritte, avvalorava il sogno della fine delle recessioni, della crescita infinita. 1.2.3 Wall Street e la Silicon Valley Affluirono così sul mercato azionario americano i titoli di centinaia di nuove aziende grandi e piccole, che operavano in servizi e commerci in rete, le cosiddette dotcom. Ma per capire l’espansione del mercato azionario bisogna mettere a fuoco alcuni avvenimenti nel settore degli operatori finanziari. Il primo di questi è l’abolizione, verso la metà degli anni ’90 della legge Glass-Steagall, che imponeva la separazione tra istituti di credito e banche d’investimento. Tale separazione incentivava gli istituti di credito ad esprimere un giudizio indipendente sull’affidabilità creditizia delle aziende17. Con l’abolizione della legge, fortemente voluta dalle banche per incrementare i profitti sui mercati azionari, c’era il rischio di storture informative da parte degli operatori finanziari. Se una banca infatti vendeva azioni di una determinata azienda, diventava contemporaneamente propensa a concedergli prestiti anche quando la situazione della stessa fosse risultata molto grave. Il caso Enron fu un esempio su tutti. La liberalizzazione di alcuni settori chiave dell’economia, come l’energia elettrica e le telecomunicazioni, assieme alla deregolamentazione (deregulation), portò ad una situazione critica allorquando fornire le corrette informazioni per un mercato efficiente e 17

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Stiglitz J. (2004), op. cit, p. 152-155


Prima della tempesta

trasparente entrava in conflitto con la ricerca di guadagni sempre maggiori (spinti ulteriormente dalla riduzione d’imposta sugli utili di capitale approvata sotto la presidenza Clinton). Si era creata una classica bolla speculativa. Lo stesso Greenspan, direttore della Federal Riserve, nel 1996 affermò a Washington: “Come facciamo a sapere quando l’esuberanza irrazionale ha gonfiato eccessivamente il valore delle attività?”18. 1.2.4 La nuova ideologia Come descritto da Stiglitz, la New Economy rese simbiotici i rapporti tra Wall Street e la Silicon Valley, cioè tra i capitali e le nuove idee. “Su entrambe le sponde dei due oceani, l’informazione era il segreto del successo: il codice macchina della Silicon Valley; i dati finanziari a Wall Street. La Silicon Valley e le sue società d’investimento in capitale di rischio prosperavano grazie alle informazioni sulla tecnologia, alle opinioni su quello che avrebbe funzionato e alle conoscenze necessarie per costruire una start-up”19. Le storture soprattutto informative e di trasparenza prima descritte, minavano alla base tutta la struttura finanziaria della New Economy. Era inevitabile che prima o poi la bolla scoppiasse.La New Economy rilanciò nel volgere di pochi anni l’economia americana, proprio nel momento in cui gli Stati Uniti erano rimasti l’unica superpotenza. E mentre l’ideologia comunista, dopo l’esperienza europea, era ormai destinata a non avere più nessuna attrattiva, la sua controparte, il neoliberismo, veniva riconosciuto come sistema vincente, in grado di assicurare democrazia e benessere a chiunque ne avesse intrapreso la via. Il mercato divenne il luogo ideale della giustizia e dell’efficienza e per essere tale, andava ulteriormente sgravato dai vincoli e dalle regole che gli apparati statali dei paesi occidentali avevano sviluppato internamente dai tempi della grande depressione o dopo la seconda guerra mondiale. Questa visione, che pur tra mille contraddizioni appariva vincente negli Usa, fu quella incoraggiata anche all’estero, attraverso le Istituzioni economiche internazionali e le politiche del Washington Consensus, cioè degli stretti legami e identità di vedute tra i dirigenti del Ministero del Tesoro Americano e del Fondo Monetario Internazionale (istituzioni con sede a Washington). Sull’onda espansiva dei nuovi, enormi capitali generati da Wall Street e alla globalizzazione degli istituti finanziari, si erano aperti enormi spazi di manovra per i capitali speculativi.

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Ivi, p. 54 Ivi, p.139-140 11


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

1.2.5 Il costo del dominio Dopo il crollo dell’URSS, la posizione “imperiale” degli Usa negli anni ’90 assunse caratteri problematici. La west coast, che rappresentava la porta di accesso ai mercati Usa per le merci asiatiche, era rimasta aperta per un quarantennio senza particolari tariffe doganali, rimanendo sempre il primo mercato d’esportazione. Le ragioni strategiche descritte nel par. 1.1.1, cioè di far prosperare le economie della regione a fronte di una massiccia presenza militare, si rivelarono economicamente molto costose per gli Stati Uniti, che dovettero affrontare in patria la crisi di importanti settori, non ultimo quello dell’acciaio20. Di pari passo allo smantellamento di impianti ed energie produttive, e al licenziamento di migliaia di lavoratori, il flusso di ricavi delle esportazioni giapponesi prese la via degli investimenti in titoli del Tesoro americano. Secondo lo studio di Emmanuel Todd, gli Stati Uniti rafforzarono nel tempo il loro ruolo guida del mondo “occidentale” divenendo il centro delle importazioni mondiali21. Ma il conseguente disavanzo commerciale li rese dipendenti da un massiccio afflusso di capitali esteri. Tra Giappone, divenuto uno dei maggiori finanziatori, e Usa si creò un legame simbiotico: strategico, economico e politico. Strategico per le basi americane sul territorio nazionale giapponese, economico in quanto l’interscambio tra Usa e Giappone era pari al 25% dell’interscambio tra i due paesi sul totale del commercio da e verso il mondo, politico dato che il Giappone era il paese leader del sud est asiatico. Il crollo del Giappone avrebbe causato effetti devastanti sul commercio mondiale22 e ciò forniva i dirigenti giapponesi di una certa “forza” contrattuale nei confronti della vecchia balia americana. 1.2.6 Da New York a Tokyo Ma le necessità americane di ridurre il deficit commerciale si rafforzarono e nel 1985 i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali di Giappone, Stati Uniti, Francia, Germania Ovest e Gran Bretagna si riunirono a New York, all’Hotel Plaza, nella ricerca di misure atte a ridurre il disavanzo economico e commerciale tra i loro paesi23. Giappone e Stati Uniti decisero in modo concertato la rivalutazione dello yen rispetto al dollaro. Si pensava che questa misura avrebbe rilanciato la domanda di beni americani e ridotto le esportazioni giapponesi, ma il contesto su cui tale accordo andava ad agire era tale da Johnson Ch., op. cit., p. 274 Todd E., op. cit., p. 70. 22 Tescari A. (1998), Il Giappone è ancora il numero uno in Asia, in Asia Major 1998, cap. IV, par. 5, <http://www.unipv.it/cspe/am984.htm> 23 Ministry of Foreign Affairs, Japan, Japan-United States Relations, 1945-1997, <http://www.mofa.go.jp/region/n-america/us/> 20 21

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Prima della tempesta

rendere improbabile il raggiungimento di un equilibrio attraverso la mera modificazione del tasso di cambio. Non vennero infatti imposte da parte Usa barriere commerciali al Giappone24. Il paese, che si reggeva sulle esportazioni in usa, sull’onda delle innovazioni organizzative e tecnologiche alla base del suo successo commerciale, abbatté i costi grazie a un ulteriore aumento di produttività delle sue fabbriche. La riduzione interna dei tassi di interesse liberò ulteriori capitali, e il ministro delle finanze incoraggiò i grandi gruppi industriali a investire maggiormente nelle loro imprese. Il problema del surplus nipponico venne in tal modo aggravato e crebbe un’economia “gonfiata” oltre misura25. Le banche giapponesi, concedendo prestiti alle imprese in un momento in cui i prezzi schizzavano alle stelle, accumularono debiti enormi, mentre coi capitali derivanti dalle esportazioni investivano in fondi e titoli di stato Usa. Contemporaneamente, per favorire gli investimenti stranieri, alcuni paesi dell’area, tra cui la Thailandia, la Corea del Sud, l’Indonesia, la Malesia e le Filippine, ancorarono la loro valuta al dollaro, acquisendo un vantaggio di prezzi rispetto al Giappone stesso, cosa che li rendeva estremamente attraenti per gli investitori in virtù delle loro esportazioni in forte crescita26. Il dollaro basso durò per un decennio, il tempo che vide la crescita delle “nuove tigri”, Thailandia, Indonesia e Malesia. Ma il rallentamento dell’economia giapponese e l’insorgente crisi degli istituti di credito nipponici a causa dello scoppio della bolla immobiliare, misero fine alla loro espansione. Forte dei legami con gli Usa, il governo del paese infatti ottenne, tra il 1995 e il 1997, un accordo del Plaza “a rovescio”, che rivalutò il dollaro rispetto allo yen per permettere un aumento delle esportazioni giapponesi e ridare fiato all’economia27. Questo fatto causò una frenata alle esportazioni dei paesi emergenti che avevano la valuta ancorata al dollaro.

Johnson Ch., op. cit., p.284 Ivi, p.284 26 Ivi, p.285 27 Ivi, p.285 24 25

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2 LA TEMPESTA

“L’uomo non è e non sarà mai il padrona del proprio destino: la stessa ragione progredisce sempre portandolo verso l’ignoto e l’imprevisto, dove egli impara nuove cose” Friedrich Von Hayek – Legge, legislazione e libertà –

2.1 La crisi valutaria 2.1.1 Il vento sui castelli di carte La crisi dei paesi del Sud Est Asiatico del 1997, che iniziò come crisi finanziaria e degenerò in seguito in crisi economica tout court, accade in un momento di congiuntura globale, che può essere riassunto nei seguenti punti: 1. Dopo il dissolvimento dell’URSS gli Usa rimasero l’unica superpotenza mondiale, che a seguito dello sgretolamento dei blocchi, sulla base di costi ritenuti insostenibili o non più giustificabili, modificò molte delle relazioni strategiche ed economiche in Asia orientale. 2. Le istituzioni finanziarie mondiali quali l’FMI attuarono pressioni politiche sui paesi estasiatici perché questi aprissero le frontiere agli investimenti esteri. 3. La crescita a due cifre nell’area asiatica attrasse negli anni ingenti investimenti da parte di multinazionali e fondi di investimento americani ed europei. 4. Le nuove tecnologie informatiche e i sistemi correlati permisero un crollo dei costi di transazione per lo spostamento istantaneo dei capitali da un paese all’altro.

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La tempesta

Più in particolare, nell’area: 1. l’eccesso di capacità produttiva in alcuni settori trainanti dell’economia (automobili, semiconduttori e componentistica hardware) a fronte di un calo della domanda globale, causò una stagnazione delle esportazioni a questa si aggiunse la rivalutazione dello yen tra il 1995 e il 1997 e la svalutazione dello yuan, dal 1994, che tagliarono notevolmente i prezzi di tali prodotti 2. gli investimenti stranieri nei paesi asiatici non si indirizzarono solo negli investimenti produttivi, ma anche nei settori immobiliare e in borsa, aumentando il valore patrimoniale delle imprese (a scapito della loro solidità di bilancio) e invitando ulteriori investimenti28 3. il massiccio afflusso di denaro e l’espansione dei settori finanziari di alcuni paesi della regione portò al progressivo deterioramento della qualità degli investimenti29 4. lo scoppio della bolla dei mercati immobiliari e azionari causò l’immediata svalutazione dei patrimoni di banche e aziende, svelandone la sproporzione debitoria. 2.1.2 Ritorno a Bangkok Il differente modus operandi assieme alla moltiplicazione degli istituti di credito che contraddistinse i NIEs, non aveva spinto alla creazione di un sistema finanziario abbastanza sofisticato e preparato ad affrontare emergenze valutarie. Tuttavia, tra le funzioni dei sistemi finanziari dei paesi dell’area e di un qualunque sistema finanziario in generale, non sta solo quello di reagire a repentini squilibri o attacchi speculativi, ma anche di creare condizioni tali da evitarli.

In particolare, per quanto riguarda la Thailandia, si possono riscontrare tre

condizioni30: 1. un deficit di parte corrente pari all’8% del PIL 2. un apprezzamento del tasso di cambio reale (la moneta era ancorata al dollaro) del 17% tra il 1995 e il 1997

Vaggi G. (1998), La crisi delle tigri in Asia orientale, in Asia Major 1998, cap. VII, <http://www.unipv.it/cspe/am981.htm> 29 Radelet S., Sachs J., op. cit., p. 24 30 Vaggi G., op. cit. 28

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

3. un elevato debito estero e soprattutto un rapporto tra riserve valutarie e debiti esteri a breve assai elevato (tra il 1990 e il 1996, il 46% dei flussi privati di capitali erano costituiti da prestiti esteri a breve) Queste condizioni favorirono due considerazioni da parte degli investitori. A fronte del rallentamento dell’economia tailandese, la restituzione dei prestiti era diventata ardua, ma gli investitori sapevano bene che il solo fatto di ridurre i rischi, e quindi di spostare i propri capitali, avrebbe ingenerato un comportamento “da gregge”. Il ritiro in massa dei capitali avrebbe costretto le autorità finanziarie tailandesi a sganciare il baht dal dollaro per consentirne la svalutazione. La successiva corsa da parte dei soggetti economici all’accaparramento del dollaro per cercare di contenere il valore crescente dei debiti contratti, avrebbe aggravato ulteriormente la situazione, dando luogo a una crisi valutaria. Con il tasso di cambio vincolato al dollaro, di fronte a una fuga in massa di capitali, l’unica possibilità per sostenere il valore della valuta era quella di impiegare le riserve estere della banca centrale per comprare baht. Ma questa soluzione, considerate le quantità in gioco, non poteva che avere un effetto temporaneo, legato alla quantità delle riserve stesse. Dopo il tentativo di sostenere il cambio con l’aiuto di Singapore a seguito dell’attacco speculativo del 14 e 15 maggio 1997, le autorità tailandesi, sprecate inutilmente ingenti risorse monetarie, furono costrette a chiedere l’aiuto del FMI, dopo aver più volte sostenuto sui media nazionali (l’ultima solo il 30 giugno) che non avrebbero lasciato svalutare il baht. La richiesta ufficiale di aiuto al FMI il 2 luglio 1997, considerato il comportamento ambiguo delle autorità, ebbe per gli investitori l’effetto della comparsa dell’ambulanza davanti alla porta di qualcuno31. Infatti le successive dichiarazioni dell’FMI, dovute al punto di vista istituzionale e alla volontà di esercitare pressioni negoziali, motivarono la crisi non con il panico finanziario degli investitori esteri, il cosiddetto “herding behaviour”, ma con la strutturale debolezza degli indicatori economici fondamentali32. Il fallimento, occorso nel gennaio 1997, del colosso coreano dell’acciaio, la Hanbo Steel Corporation, (cui seguiranno quelli di altri otto chaebol), a causa dell’elevatissimo rapporto tra indebitamento e valore del capitale assieme alla percezione che anche in paesi forti come la Corea del Sud ci fossero fragili debolezze intrinseche, contribuì alla rapida perdita di fiducia degli investitori, e l’implacabile azione degli speculatori.

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Radelet S., Sachs J., op. cit., p. 34 Ivi, p. 34


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2.1.3 Primi interventi del FMI Intervenendo su richiesta della Thailandia il 2 luglio 1997, l’FMI concesse un prestito di 17,2 mld di dollari alla banca centrale per fare in modo che le sue riserve restassero attorno ai 25 mld di dollari. Le condizioni richieste alla Thailandia per tale prestito furono sostanzialmente quattro: innalzamento dell’imposta di valore aggiunto dal 7 al 10% per generare un aumento del gettito fiscale, il mantenimento dell’inflazione entro il 9%, la riduzione del rapporto tra deficit dei current account e PIL dall’8,2% del 1996, al 5% del 1997 e al 3% l’anno successivo, taglio del bilancio 1998 di spese per circa 100 mld di baht, da operare in tutti i settori ad esclusione dell’istruzione e della salute33. Ciò che l’FMI stava chiedendo alla Thailandia nel momento della crisi era di rimettere in sesto i bilanci, basandosi sull’idea che per “ridare fiducia” agli investitori e far tornare capitali dall’estero era necessario agire sugli indicatori economici “fondamentali”. Nonostante i crediti per 1,1 mld di dollari forniti alle Filippine il 14 luglio, il 24 luglio 1997 il baht thailandese, la rupia indonesiana, il ringgit malesiano e il peso filippino scesero e anche il dollaro di Singapore cominciò un graduale declino. L’11 agosto il FMI annunciò a Tokyo un altro pacchetto di 16 mld di dollari per la Thailandia, ma la crisi non si arrestò. Il 14 agosto anche l’Indonesia fu costretta ad abbandonare il tasso vincolato al dollaro e assistette impotente al crollo della rupia. I ministri delle finanze dei paesi estasiatici riuniti nella conferenza coi leader finanziari del mondo a Hong Kong nel settembre 1997, capivano che quanto stava accadendo si presentava come un disastro di enormi proporzioni. La volatilità dei capitali in un sistema finanziario e industriale con strutture particolari e senza strumenti di difesa contro le speculazioni era causa di grandi preoccupazioni. Nonostante ciò, i leader occidentali e l’FMI risposero piuttosto placidamente, secondo la visione condivisa che il crollo della valuta tailandese era solo “un intoppo sul cammino” verso la prosperità economica34. Ma una volta chiara la gravità della situazione nonché i motivi scatenanti dell’incipiente crisi, come mai i ministri delle finanze dei paesi coinvolti non riuscirono ad attuare una strategia efficace? Secondo l’analisi di Stiglitz, gli uomini di governo estasiatici avevano in mente misure economiche diverse da quelle proposte dall’FMI, ma di fronte all’aggravarsi della crisi, e quindi a un necessario ricorso a prestiti, essi temevano che porsi “contro” alle direttive di Washington avrebbe avuto come conseguenza delle ritorsioni sulla linea di crediti

Vizioli G. (1998), Thailandia: crisi economica e ripercussioni politiche, in Asia major 1998, cap. VII, <http://www.unipv.it/cspe/am987.htm> 34 Stiglitz J. (2002), La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi, p. 92. 33

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

concessi, nonché l’ulteriore crollo di fiducia degli investitori internazionali. Le autorità economiche della regione in poche parole si sentirono impotenti, in una condizione di sudditanza psicologica rispetto agli investitori occidentali, dai quali fino a pochi mesi prima avevano ricevuto fiumi di denaro. La soluzione più a portata di mano era sottostare alla ricetta del Fondo Monetario pur di ricevere prestiti di salvataggio. Nell’arco di pochi mesi già quattro paesi avevano risentito fortemente di quello che inizialmente era stato classificato come un attacco speculativo al baht prese le forme di una grave crisi, che avrebbe intaccato di lì a poco non solo i sistemi finanziari ma anche i sistemi produttivi dei maggiori paesi dell’area.

2.2 La crisi economica 2.2.1 La strategia del FMI Dall’agosto al dicembre 1997 il Fondo Monetario Internazionale firmò tre accordi di emergenza con Thailandia, Indonesia e Corea del Sud, per un totale di 110 miliardi di dollari, ma queste cifre sovrastimano il reale afflusso di fondi a questi paesi. In generale le caratteristiche di fondo di questi tre accordi erano simIli. Le linee guida del progetto del FMI possono essere così esplicitate: 1. prestiti alle relative banche centrali e governi per aiutare il pagamento dei debiti pendenti rispetto ai creditori esteri, e, direttamente o indirettamente, aiutare a stabilizzare il tasso di cambio 2. un progetto macroeconomico basato sul pareggio dei bilanci o l’avanzo, alti tassi di interesse nominali e crediti domestici restrittivi, orientati alla stabilità del tasso di cambio 3. un programma di drastica ristrutturazione del sistema finanziario, costruito sulla chiusura immediata o la sospensione di molti istituti finanziari, e una significativa intensificazione della supervisione, in varie forme, del sistema finanziario 4. altre misure di buon governo e riforme strutturali, mirate ad aumentare la trasparenza e la competitività del sistema economico, comprese: una veloce riforma del commercio, demonopolizzazione e privatizzazione.

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La tempesta

I concetti sottostanti queste programmi possono essere sintetizzati come segue. Primo, il FMI pensò che l’obiettivo più immediato era ristabilire la fiducia dei mercati, fondamentalmente stabilizzando il tasso di cambio. La stabilizzazione del tasso di cambio si doveva fondare su una combinazione di disciplina macroeconomia (pareggio fiscale, alti tassi di interesse, crediti restrittivi), aumentata disponibilità di riserve di valuta estera e fiducia nella prosecuzione delle riforme nel sistema economico. Queste riforme a loro volta sarebbero state segnalate da azioni decisive all’inizio del programma, come la chiusura o la sospensione delle istituzioni finanziarie in debito, l’annuncio di una serrata tabella di marcia per riforme di lungo periodo nei mercati finanziari, corporate governance, e aumentata competizione in varie aree35. Nonostante l’ammontare dei prestiti dichiarati, in realtà il FMI, nei due casi similari di Corea del Sud e Thailandia, sostenne il pagamento dei debiti solo indirettamente, tenendo un comportamento differente da quello del “creditore di ultima istanza”. Questo per due ragioni sostanziali: 1. il pensiero di riuscire a stabilizzare il tasso di cambio, ridare fiducia agli investitori esteri e fare tornare capitali prima del pagamento dell’intero ammontare dei debiti contratti 2. il timore che l’immediata donazione dei prestiti senza un riscontro sull’effettiva prosecuzione delle ristrutturazioni finanziarie, avrebbe lasciato in balia dei governi locali la ricerca e l’implementazione delle soluzioni Nonostante gli accordi siglati con Indonesia, Corea del Sud e Thailandia, il FMI non riuscì a evitare il contagio della crisi valutaria, né a ridare fiducia agli investitori36. 2.2.2 Il contagio La banca mondiale espone tre definizioni, ognuna più restrittiva, di contagio37: 1. “la trasmissione da un paese all’altro di crisi o gli effetti generali di un’espansione della stessa. Il contagio può aver luogo in tempi di crescita o di recessione, esso non per forza è legato a una crisi, ma è enfatizzato nei periodi di crisi.”;

Radelet S., Sachs J., op. cit, p. 28 Ivi, p. 30 37 World Bank, Definition and causes of contagion, <http://www1.worldbank.org/economicpolicy/ managing%20volatility/contagion/definitions.html > (tr.it dell’autore) 35 36

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

2. “la trasmissione di crisi ad altri paesi o la correlazione tra paesi, al di là di ogni fondamentale legame tra questi e al di là di crisi comuni. Questa definizione è comunemente riferita ad eccessivi co-movimenti, comunemente spiegati col “comportamento da gregge”; 3. “Esso avviene quando le relazioni tra paesi aumentano durante i periodi di crisi, relativamente alle relazioni esistenti nei periodi tranquilli. Il contagio di una crisi economica si diffonde principalmente attraverso tre tipi di legami: 1. finanziari 2. reali (commercio) 3. politici A partire dall’esistenza di queste relazioni, lo studio di Roubini38, mette in luce quattro possibili cause fondamentali: 1. A1le svalutazioni monetarie. La perdita di competitività di un paese esporta crisi ai suoi partner commerciali, che subiranno la pressione degli investitori sulle loro valute 2. le svalutazioni competitive. Se il mio vicino svaluta e questo porta a una mia perdita di competitività, posso essere più propenso a svalutare per prevenire questa perdita di competitività. Perciò può scattare una svalutazione competitiva 3. le “chiamate di sveglia”. La crisi di una paese esorta gli investitori a riconsiderare la loro valutazione di economie con simili problemi strutturali o simili regimi di cambio. 4. l’effetto del “creditore comune”. Se le banche in un centro finanziario hanno perdite sul loro portafoglio di prestiti in un mercato emergente che sta passando una crisi, possono tagliare i loro investimenti in altri mercati emergenti, senza attenzione ai parametri fondamentali dei paesi. La overall lesson dello studio di Roubini è che comunque le crisi sono maggiormente provocate dal comportamento degli investitori, piuttosto che dai tradizionali “parametri fondamentali”. Volgendo uno sguardo ai casi della Thailandia e della Corea del Sud, nonostante le deficienze strutturali illustrate, la febbre valutaria è stata propagata dal deflusso

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Rubini N. (2003), Contagion, Stern School of Business, New York University


La tempesta

in massa dei capitali esteri legato a due delle possibili cause evidenziate da Roubini: le “chiamate di sveglia” (con la fuga in massa dei capitali dalla regione), e l’effetto del “creditore comune” (le banche e i fondi di investimento che avevano investito nei paesi della regione, non rinnovano i crediti nonostante la apparente “solidità” dei fondamentali). Questi due fenomeni sono intrinsecamente legati l’uno all’altro ed evidenziano il comportamento degli investitori come variabile fondamentale. Ma qui sorge una domanda: il comportamento degli investitori è “razionale” o “irrazionale”? Si basa cioè su evidenze quantitative o sull’osservazione del comportamento degli altri investitori? E ancora, cosa dobbiamo considerare razionale? Ritirare gli investimenti da un paese in accordo alla massa degli investitori al fine di minimizzare le perdite o fidarsi dei “fondamentali”? Purtroppo non si possono distinguere con nettezza i due aspetti per altrettanti motivi: 1. L’asimmetria informativa: chi può dire che un importante investitore stia ritirando i suoi risparmi per motivi legati alla propria gestione o per il possesso di informazioni relative al reale andamento dell’economia del paese o alla quantità di riserve estere della banca centrale? 2. La riduzione del rischio: la ricerca di informazioni è sempre costosa, mentre l’adeguamento alle scelte della maggioranza riduce i rischi senza aggiungere costi. In più la stessa ricerca di informazioni può rivelarsi vana quando il comportamento della maggioranza influenza massicciamente proprio i parametri fondamentali L’obiettivo del FMI di risolvere la crisi ricercando la fiducia degli investitori è dunque fondato se li poniamo come i principali agenti del mercato, ma qual è il miglior modo per reinfonderla, se i “parametri fondamentali” non sono sempre presi in considerazione? Dobbiamo fare un passo indietro. La crisi asiatica, nella sua complessità, è iniziata con un brusco calo delle esportazioni delle “seconde tigri”, che riducendo la liquidità in entrata in quei paesi, incise fortemente sulla crescita degli stessi e quindi sulla redditività degli investimenti. L’attrattività del sud est asiatico per i capitali esteri era costituita dall’espansione economica più che dalla solidità intrinseca di alcune economie. Risulta chiaro allora come l’obiettivo primario fosse quello di rimettere in moto l’economia dei paesi colpiti dalla crisi. Il tentativo dell’FMI di rimettere in moto l’economia attirando i capitali dall’estero sulla base della ritrovata fiducia nei fondamentali, appare, secondo l’analisi di Stiglitz e dallo studio di Radelet e Sachs piuttosto fragile. 21


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

2.2.3 Bailouts Nel suo saggio Stiglitz39 critica le politiche seguite dal FMI, etichettandole come “beggar thyslef” (impoverisci te stesso). L’FMI impose ai paesi in crisi, come condizione al ricevimento dei prestiti, il raggiungimento del pareggio di bilancio, da attuarsi mediante una politica fiscale restrittiva (alte tasse e spesa pubblica ridotta), unita a una politica monetaria restrittiva (innalzamento dei tassi di interesse) per prevenire l’inflazione. L’effetto fu un brusco calo delle importazioni, che si espanse ai paesi dell’area sulla base dei legami commerciali e causò un’ulteriore calo delle esportazioni e la stagnazione produttiva. Contemporaneamente, i vincoli posti alla concessione di crediti da parte delle banche nel timore della frenesia speculativa di ricapitalizzare con gli alti tassi di interesse di investimenti a rischio, limitarono fortemente i crediti alle aziende produttive privandole del capitale di esercizio necessario e impedendo loro di sfruttare a fini commerciali il vantaggio competitivo della svalutazione monetaria. Questa politica, secondo Stiglitz aggravò la recessione già esistente col solo magro di incrementare le riserve monetarie, dopo aver ridotto drasticamente il tenore di vita delle popolazioni coinvolte. L’aumento dei tassi di interesse, per incentivare gli investimenti esteri, si rivelò particolarmente dannoso. Ricordando il caso dei fallimenti degli otto grandi chaebol coreani, si può comprendere la grossa quota di aziende fortemente indebitate con gli istituti di credito. Ma anche le aziende che avevano contratto debiti in modo oculato, dinanzi ad un aumento astronomico dei tassi di interesse, si trovarono in grandi difficoltà. In più il FMI (coi pacchetti di salvataggio promessi) avallò l’azione delle banche centrali di Corea del Sud, Thailandia e Indonesia a fornire crediti in valuta estera agli istituti finanziari per pagare i debiti con l’estero. Ma essendosi le banche centrali assunte i debiti delle altre banche sulla base degli accordi con l’FMI, il ritardo dei fondi promessi ebbe l’effetto di socializzare le perdite private. I creditori esteri vennero per la maggior parte ripagati a spese delle banche centrali, cioè dello stato, cioè della collettività40. 2.2.4 Le ristrutturazioni Dopo il risanamento dei bilanci, la condizione principale per l’erogazione di crediti da parte del FMI, fu la ristrutturazione del sistema creditizio e finanziario. Ciò significò in primis la chiusura delle banche e delle aziende con crediti in sofferenza sui loro libri contabili. Queste attività dovettero venire chiuse o passare nelle mani dei creditori esteri. In particolare, 39 40

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Stiglitz J., op.cit., p. 92. Stiglitz J., op.cit., p. 173. Anche: Radelet S., Sachs J., op.cit., p. 11


La tempesta

la limitazione dei crediti concessi dalle banche era dovuta al ristabilimento del coefficiente di patrimonizalizzazione, cioè il rapporto tra prestiti e totale dell’attivo, che non doveva scendere al di sotto di un certo livello, pena la chiusura. Questo permetteva di distinguere le banche in salute da quelle insolventi, dividendole in banche d chiudere immediatamente e banche con possibilità di guarigione41. Ma la repentina chiusura di molte banche scatenò l’effetto perverso di una corsa agli sportelli, che aggravò ulteriormente il problema debitorio. Per quanto riguarda il sistema produttivo, quando l’intero sistema bancario è in sofferenza e l’obiettivo del coefficiente di patrimonializzazione può essere raggiunto solo attraverso la riduzione dei prestiti, il flusso di capitali verso le aziende si assottiglia drasticamente e considerando i legami a monte e a valle della filiera produttiva di molte piccole e grandi aziende, ciò determinò una spirale al ribasso che rischiò di paralizzare l’economia. Un secondo luogo Stiglitz distingue i due aspetti della ristrutturazione: quella finanziaria (debiti, conversione in capitale, proprietà) e quella produttiva (modi di produzione, organizzazione interna, ecc.). Il FMI si concentrò prevalentemente sulla prima e le lungaggini burocratiche derivate dalla chiarificazione delle nuove proprietà incisero negativamente su tutto il sistema economico. 2.2.5 I cambiamenti di dicembre Il 24 dicembre 1997, l’imminente bancarotta della Corea del Sud portò il governo americano (su pressioni della Federal Reserve e del Ministero del tesoro) a esercitare pressioni sulle banche commerciali estere perché rinnovassero i loro prestiti a breve termine su una base più forte invece che attendere il ristabilimento della fiducia degli investitori. L’accordo tra banche governo coreano fu raggiunto il 28 gennaio. Tale accordo prevedeva la conversione di 24 miliardi di debiti a breve termine in claim on maturities tra uno e tre anni42. Il FMI insistette sul rinnovamento dei crediti come condizione per ulteriori esborsi di pacchetti di salvataggio. Questo fatto, nell’analisi di Radelet e Sachs, rappresentò una risposta fuori mercato, sebbene intrapresa di concerto dai partecipanti al mercato. L’accordo pose un freno alla svalutazione del won coreano. In Indonesia tuttavia, ciò avvenne parecchie settimane dopo la strategia “di successo” attuata in Corea del Sud. Nel secondo accordo che il governo indonesiano firmò col FMI il 15 gennaio 1998, non si fece menzione dei recenti sviluppi e fu reiterata la vecchia strategia: pacchetti di salvataggio e riforme strutturali. La strategia fallì di

41 42

Stiglitz J., op. cit., p.115 Radelet S., Sachs J., op. cit., p.30 23


I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

nuovo. L’Indonesia riuscì a frenare il crollo della rupia quando il governo annunciò formalmente la sospensione dei pagamenti sui debiti a breve termine e la garanzia governativa su tutte le disponibilità delle banche commerciali verso creditori interni e stranieri. L’annuncio, anche se rifletteva una situazione già esistente, riuscì a calmare i mercati una volta inteso che non ci sarebbero state misure di ritorsione da parte dell’FMI. L’accordo finale con l’FMI venne firmato il 10 aprile 1998. Tutto questo, che doveva risultare tra i primi obiettivi del Fondo congiuntamente all’azione dei governi, avvenne in corrispondenza di un “rilassamento” degli obiettivi fiscali imposti dal FMI43. A fronte di questi cambiamenti, Radelet e Sachs riformulano i nuovi principi dell’azione del FMI nei primi mesi del 1998: 1. la parziale sospensione del pagamento dei debiti esteri, basata su accordi collettivi tra creditori e debitori (Corea del Sud) o azioni unilaterali che dovevano essere seguite da accordi tra creditori e debitori (Indonesia); 2. le garanzie governative di tutte le disponibilità bancarie; 3. riduzione dell’obiettivo della chiusura delle banche nel breve termine, e più attenzione a ristrutturazioni sul lungo periodo e ricapitalizzazione delle banche; 4. abbandono dell’obiettivo dell’avanzo di bilancio; A fronte di questi nuovi principi, rimasero invariati: 5. la ricerca della stabilizzazione del tasso di cambio mediante alti tassi di interesse e politiche di credito interno restrittive 6. l’implementazione di un ampia varietà di misure strutturali, in finanza, commercio e corporate governance.

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Ivi, p.32


3 DOPO LA TEMPESTA

“Quanti altri crolli come quello asiatico, quello russo o quello dell’America Latina e quelli nordamericani che avverranno dovremo sopportare prima di capire che l’intero progetto di costruzione di un solo mercato mondiale integrato, con standard universali – il culmine dell’ideale illuminista europeo – è un errore?” Robert Wade – Governing the market –

3.1 Miglioramenti economici e fine della crisi La crisi asiatica finisce tecnicamente quando a metà del 1998, la discesa delle valute si arrestò in tutti i paesi coinvolti e qualche economia cominciava già a mostrare segni di ripresa. Ciononostante, secondo lo studio di Cerra e Saxena44, i livelli di output delle economie colpite hanno registrato un abbassamento quantitativo così forte da lasciare ampi dubbi su un pieno recupero. Vediamo ora per sommi capi le strategie seguite da ogni paese per uscire dalla crisi.. 3.1.1 La Thailandia La Thailandia affrontò in sequenza i problemi relativi alla stabilizzazione, alla stimolazione dell’economia e alle riforme strutturali. Il paese seguì quasi alla lettera le prescrizioni dell’FMI, e cominciò a vedere i segni della ripresa nel primo e secondo quarto del 1999, misurata rispettivamente in un aumento dello 0,8 e poi del 3,5% del PIL. Il governo thailandese dovette perseguire politiche monetarie restrittive per ricostituire le riserve di valute estera, ridare fiducia agli investitori e controllare l’inflazione. Cerra V., Saxena S. C. (2003), Did output recover from the asian crisis?, IMF Staff Papers, Vol. 52, No. 1, 2005, <http://www.imf.org/External/Pubs/ FT/staffp/2005/01/pdf/cerra.pdf >

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

La ricostituzione delle riserve e la stabilizzazione del cambio permise gradualmente al governo di ridurre i tassi di interesse. Ciò a sua volta rimise in moto i crediti e il deprezzamento del tasso di cambio reale portò a sfruttare una maggiore competitività nelle esportazioni. Tuttavia per rimettere in sesto il settore creditizio ci volle parecchio tempo, per tre fattori determinanti: 1. la

limitazione

ai

patrimonializzazione

crediti e

di

imposta

alle

restrizioni

di

banche capitale

sulla sulle

base

di

perdite

indici

di

operative.

Ricominciarono a effettuare prestiti di pari passo a una lenta ricapitalizzazione 2. la domanda di investimenti privati crollò letteralmente e ci volle tempo prima di recuperarla del tutto 3. le aziende private preferirono finanziarsi emettendo issuing debt securities che chiedendo prestiti alle banche Con l’aspra contrazione del PIL il ruolo di rilancio dell’economia toccò particolarmente alla politica fiscale per due ragioni di fondo: 1. la difficoltà delle banche commerciali 2. la scarsa possibilità di aumento a breve della domanda estera,

in più i sovra

investimenti passati avevano causato un aumento della capacità produttiva, inibendo altre richieste da parte delle industrie private. La disoccupazione e l’abbassamento dei salari erano dietro al calo della domanda interna. Per queste ragioni, la ripresa economica si fondò su una maggiore spesa pubblica. Coerentemente all’analisi di Radelet e Sachs, il FMI rilassò gli obiettivi riguardanti il deficit di bilancio e il deficit concordato dal governo della Thailandia passo dall’1% della prima Lettera di intenti al 3%. Il pacchetto di stimolo varato nel 1999 comprendeva misure di spesa per assorbire la disoccupazione e garantire un reddito alle persone maggiormente colpite dalla crisi, misure di abbassamento delle tasse sui beni di consumo per aumentare la quota di reddito spendibile, e misure per la riduzione dei prezzi dell’energia. Tutto ciò venne accompagnato dalla creazione di reti sociali per espandere programmi di istruzione e riduzione della disoccupazione. Altre importanti politiche di rilancio economico furono le ristrutturazioni del sistema finanziario, il rafforzamento delle istituzioni di controllo, e la ricapitalizzazione degli istituti di credito. Nonostante queste riforme, nel 1999 i crediti non produttivi rappresentavano 26


Dopo la tempesta

ancora il 47,7% del totale dei crediti. Il livello dei crediti non produttivi venne progressivamente ridotto grazie ai bassi tassi di interesse, all’alta liquidità e alla ripresa della domanda. Inoltre venne perseguito il programma di ristrutturazione del debito, con a creazione di una Corte per il diritto fallimentare e la firma di un accordo debitori-creditori e un accordo tra creditori che vide la firma di ottantaquattro istituzioni finanziarie tailandesi ed estere45. Gli strumenti messi in atto per raggiungere questi obiettivi non erano in accordo totale con le iniziali prescrizioni del FMI, specie riguardo al pareggio dei bilanci e l’innalzamento dei tassi di interesse, ma la progressiva stabilizzazione della valuta e della situazione economica spinse l’FMI ad approvare politiche fiscali espansive. Nonostante queste misure, la ripresa dell’economia andò molto a rilento e si mantenne comunque molto lontana dai valori antecedenti il 1997. 3.1.2 L’Indonesia L’Indonesia fu il paese che venne maggiormente prostrato dagli effetti della crisi economica. Oltre alla descrizione delle caratteristiche generali dei NIEs, nel caso dell’Indonesia si ebbero forti ripercussioni politiche, cui seguirono disordini e instabilità ad aggravare ulteriormente la situazione. Il presidente Suharto, che prese il potere nel 1975 dopo un sanguinoso golpe militare, dopo aver richiesto l’aiuto del FMI, non fu in grado di gestire la crisi, sia nel senso di non aver implementato efficaci misure di riforma, sia nella gestione delle relazioni pubbliche del suo governo. La spiegazione alla scarsa incidenza sulle riforme sta nel modus operandi di un governo autoritario che gestì il potere politico ed economico su base familiare, in una fitta rete di collusioni e corruzione. Ciò fu causa di trattamenti differenziati nella riduzione dei prezzi nei vari settori, a tutto vantaggio di parenti o membri della famiglia di Suharto. Inoltre, mentre nel settembre 1997 il governo aveva firmato la lettera di intenti con il FMI, esso agì successivamente in modo incoerente, continuando a programmare ingenti spese per infrastrutture pubbliche, ritardare l’aumento del prezzo del carburante, ecc., tutte misure che produssero un effetto deprimente sui mercati. Se infatti le condizioni dell’FMI, con la politica monetaria e fiscale restrittiva, vennero riconosciute troppo “dure” dalla stessa istituzione, il connubio tra obiettivi assai difficili da raggiungere e un governo corrotto incurante delle conseguenze crearono il disordine sociale, con conflitti montanti tra le diverse comunità etniche e religiose. Tutto questo, nonostante la rielezione del presidente Suharto, portò alla sua caduta il 21 maggio del 1998, sull’onda di un estremo

Ministry of Finance, Thailand, Thailand’s economic reform (II), <http://www.mof.go.th/ther_2/index_ther.html >

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

malcontento popolare e un escalation di proteste e di scioperi (con scene di feroce violenza urbana). Le forze armate indonesiane, di impronta laica e nazionalista, funsero da elemento di stabilizzazione nel momento della sostituzione di Suharto al vertice del potere, il 20 maggio 1998. Dopo la richiesta di aiuto al FMI, la ricetta da applicare per risolvere la crisi fu la ristrutturazione del sistema finanziario e il governo, il 1 novermbre 1997, decise di chiudere ben sedici banche private46. Il problema fu che queste vennero chiuse senza garanzie per i risparmiatori e investitori privati. Invece di fungere da segnale della ferrea volontà di riforma delle autorità, la decisione del governo, così come fu attuata scatenò il panico e la corsa agli sportelli. Il panico bancario, unito al fatto del mantenimento della convertibilità con le valute estere portò molte banche all’insolvenza e il panico bancario divenne crisi bancaria47. Panico che terminò solo dopo le assicurazioni delle disponibilità finanziarie da parte governativa. Nel 1998 venne creata l’Agenzia Governativa per la Ristrutturazione Bancaria, che provvedette a vendere e riconsolidare le proprietà delle banche “congelate”, liquidare le disponibilità di queste ultime e implementare il programma di ricapitalizzazione, lasciando alla Banca Centrale il ruolo di supervisore. La ristrutturazione finanziaria consentì gradualmente una maggior afflusso ai crediti e una lenta uscita dalla crisi economica, ma secondo i dati Unescap nel 2000, il reddito pro-capite è inferiore di un terzo a quello del 1995. 3.1.3 La Corea del Sud La crisi asiatica ha colpito la Corea del Sud a causa della riduzione delle esportazioni in un momento di crisi congiunturale e per il forte indebitamento dei suoi colossi produttivi, i chaebol. La ricetta iniziale del FMI, con politiche monetarie restrittive ebbe il pernicioso effetto di lasciare prive di credito anche le aziende sane, che avrebbero potuto approfittare della svalutazione del cambio. Dopo gli accordi del dicembre 1997, il paese ha intrapreso la via delle riforme. Esse riguardarono: 1. la ristrutturazione del sistema finanziario 2. la creazione di istituzioni di garanzia 3. la riforma dei chaebol

Harun C. (2005), Banking restructuring process in Indonesia 1997-2003: to save or to freeze?,<http:// www.bu.edu>, p. 8 47 Ivi, p. 8 46

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Dopo la tempesta

Per quanto riguarda la ristrutturazione del sistema finanziario, le banche che mantenevano forti investimenti nei gruppi industriali, vennero incoraggiate a fornire nuovi prestiti, dato che il loro eventuale fallimento, avrebbe trascinato nel baratro le stesse banche. Questo legò la ristrutturazione bancaria alla ristrutturazione societaria, integrando riforma dei settori industriali con la ricapitalizzazione delle banche, facendole diventare de facto soci azionari dei gruppi. Il governo, per implementare le riforme, creò istituzioni regolative come la FSC (Financial Supervisory Commission), un’agenzia indipendente che operava riforme nel settore aziendale e finanziario. Tra le azioni compiute da questa agenzia risultarono: 1. la conversione dei debiti in azioni 2. l’allungamento dei termini di pagamento 3. i pagamenti differiti di capitale o interessi 4. riduzioni dei tassi di interesse 5. deroga all’indebitamento 6. fornitura di nuovi crediti 7. cancellazione degli esistenti obblighi di garanzia 8. vendita delle produzioni slegate dal core business 9. nuove emissioni di azioni La strategia perseguita fu quella di attuare le riforme sui chaebol di media grandezza, verificarne i risultati per poi applicarle anche ai cinque grandi chaebol nazionali. Questi sono stati spinti a ridurre la proprietà di attività collaterali per concentrarsi nei settori principali della produzione, nel nome di una razionalizzazione industriale necessaria a far fronte alla concorrenza globalizzata. Il governo si fece carico di una vera ondata di riforme per ottimizzare le produzioni e ridurre l’eccesso di capacità produttiva in alcuni settori, facendo leva per la loro implementazione sulla restrizione creditizia. Il governo ha cercato di spalmare il peso dei salvataggi del FMI su tutte le classi sociali, ma i licenziamenti dovuti alle ristrutturazioni sono continuati. Ma la volontà governativa di un maggior convolgimento delle forze lavorative nelle decisioni riguardanti le ristrutturazioni, ha limitato un’ondata di scioperi nonostante l’aumento della disoccupazione48. Woo Cumings M. (2001), Corea del Sud: democracy and reforming the corporate sector, <http://www.cipe.org/publications/fs/ert/e31/e31-7.htm > 48

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

La decisa reazione riformatrice alla crisi economica delle autorità coreane, dopo gli insuccessi e i rischi legati alle strategie iniziali del FMI, è andata nel senso di una ripresa di controllo economico da parte dello stato. Ma differentemente dai decenni precedenti, senza più creare rapporti collusivi e applicando il controllo dell’efficienza delle produzioni industriali e dei prestiti bancari. 3.1.4 La Malesia, un caso atipico La Malesia, contrariamente a Tailandia e Indonesia non chiese l’aiuto del FMI. Come riportato in un articolo firmato dallo Staff dell’FMI nel giugno 200049, la Malesia, all’emergere della crisi, si trovava in condizioni economiche migliori rispetto alla Tailandia e all’Indonesia, specie sul versante del debito estero, dell’inflazione e del risparmio interno, senza contare il surplus di bilancio dello stato. La prima risposta della Malesia alla crisi fu improntata su politiche monetarie restrittive, in accordo alle disposizioni del FMI, ma in seguito questa linea, e i suoi sostenitori politici, furono emarginati dal primo ministro Mahathir. Le riforme strutturali del settore finanziario e la giuntura tra decisioni politiche, quale la fissazione del tasso di cambio col dollaro nel settembre 1998 e la riduzione dei tassi di interesse, con la progressiva applicazione di controlli sui capitali da e verso l’estero, contribuirono a stabilizzare l’economia. La progressiva stabilizzazione permise la ristrutturazione del sistema produttivo e la ricapitalizzazione delle banche. L’implementazione di controlli sui capitali durante la crisi permisero alla Malesia di tenere bassi i tassi di interesse e quindi di non gravare eccessivamente sui debiti delle imprese. Allo stesso modo, gli interventi statali per il salvataggio delle industrie in difficoltà furono inferiori, rendendo più rapido il raggiungimento del surplus di bilancio. Il rapido ristabilimento dei fondamentali, e la ristrutturazione produttiva, unita al mantenimento delle promesse di togliere i controlli sui capitali una volta passata la crisi, hanno inciso positivamente sulla fiducia degli investitori e hanno facilitato il ritorno degli investimenti esteri. Il successo delle misure politiche per uscire dalla crisi fu dovuto anche alla consolidata democrazia Malese, nonché a un alto grado di stabilità politica. Il fatto che, contrariamente all’Indonesia, le gerarchie militari non fossero un elemento determinante al governo del paese, né esistesse un regime di nepotismo economico come in Thailandia, non fu

IMF Staff (2000), Recovery from the Asian Crisis and the Role of the IMF, <http://www.imf.org/external/np/exr/ib/2000/062300.htm>

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Dopo la tempesta

di poco conto. L’implementazione delle riforme si basò infatti su una buona coesione sociale e su un generale consenso popolare50. 3.1.5 Le Filippine Le Filippine adottarono negli anni novanta i consigli e i pacchetti di riforma del FMI, riguardanti le liberalizzazioni di alcuni settori chiave dell’economia, e la ristrutturazione del sistema finanziario. Le prime videro la deregolamentazione e la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, dei trasporti e dell’industria petrolifera. La seconda l’introduzione di una banca centrale, la libera entrata dei capitali stranieri, senza contare la liberalizzazione del mercato valutario. La crisi colpì le Filippine quando si trovavano nel mezzo delle riforme avviate. Le società più grandi poterono contrarre prestiti sul mercato interno ed esterno, anche emettendo azioni, che fecero salire il mercato borsistico. Ma, come evidenziato nello studio di Lamberte, queste riforme non furono accompagnate da adeguate politiche macroeconomiche. La cosiddetta “trinità impossibile”, cioè la compresenza di stabilità del tasso di cambio, indipendenza monetaria e integrazione del mercato finanziario non era ben vista dalle autorità monetarie. La crescita più lenta rispetto ai paesi limitrofi, fece sì che le Filippine non si trovassero all’alba della crisi con enormi debiti verso l’estero. Tuttavia, tra le prime misure adottate, vi fu la decisione di lasciare fluttuare il tasso di cambio, mantenendo gli obiettivi dell’indipendenza monetaria e integrazione dei mercati finanziari. Il mantenimento di alte riserve di valuta estera nelle casse della banca centrale, rassicurò i risparmiatori e il problema si spostò sui crediti non redditizi causati dal rallentamento delle esportazioni. Tuttavia a differenza dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi, l’indebitamento delle banche filippine e la ristrutturazione del sistema finanziario poté essere effettuata dal settore privato, senza che lo stato dovesse a forza socializzare le perdite delle banche private. Successivamente al 1997 il governo filippino attuò una politica fiscale espansiva, cercando allo stesso tempo di finanziare il deficit di bilancio con prestiti esteri per non elevare i tassi di interesse interni, cosa che ha creato un ambiente espansivo per la domanda di crediti da parte delle imprese. Ma questa politica espansiva dovette tener conto della crescita del deficit di bilancio del governo, denominato in valuta estera. L’aumento delle esportazioni, grazie alla ripresa delle economie di Taiwan, Singapore e Hong Kong aiutò particolarmente la ripresa.

Stiglitz J., op.cit., p.121-124. Anche: Montessoro F. (1998), Il crollo economico dell'Indonesia e della Malesia, in Asia Major 1998, cap. VI, <http://www.unipv.it/cspe/am986.htm > 50

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I Storia e interpretazioni della crisi asiatica

3.1.6 Taiwan Come descritto nel paragrafo 1.1.5, a Taiwan la liberalizzazione finanziaria degli anni ’90 fu messa in opera con molta cautela, lasciando misure di garanzia per evitare il rischio di speculazioni finanziarie. Ad esempio: 1. le banche taiwanesi non furono libere di contrarre debiti con l’estero senza aver prima informato le autorità governative con appositi report annuali. 2. La banca Centrale proibì l’uso di contratti a termine a mancata consegna per le società taiwanesi per difendersi dai rischi delle valute estere 3. Nel mercato dei capitali e delle assicurazioni la massima quota di investimento per ogni investitore istituzionale straniero era 600 milioni di dollari prima del 1999, successivamente salita a 2 miliardi di dollari. 4. Ogni investitore estero era autorizzato a investire fino a 5 milioni di dollari, mentre ogni persona giuridica o ogni fondo non incorporato aveva un limite di investimento di 50 milioni di dollari. Oltre a ciò, durante la crisi, le risposte del governo non si fecero attendere. Dinanzi a imprese che usavano un alto tasso di indebitamento per le loro operazioni finanziarie, il governo richiese alle banche di rinnovare i prestiti alle ditte che stavano operando normalmente, per evitare il possibile riflusso di credito che si sarebbe creato alla percezione di un aumento del rischio da parte delle istituzioni finanziarie. Il governo procedette per gradi nell’affrontare la crisi delle istituzioni finanziarie e impose a quelle in crisi la sottomissione a un nuovo management della DIC (Deposit Insurance Corporation), riducendo le incertezze del mercato. Un’altra efficace mossa fu la messa a disposizione di fondi postali a basso tasso di interesse per rivitalizzare il mercato immobiliare. Le vie di riforma del sistema taiwanese andarono in quattro direzioni: 1. Incentivo al recupero della competitività bancaria attraverso la riduzione delle tasse per le fusione di istituti di piccola e media grandezza 2. Consistenti revisioni del diritto bancario al fine di ottenere stabilità finanziaria, sostenere il sistema finanziario e adempiere ai bisogni economici e finanziari

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Dopo la tempesta

3. Aumentare l’efficienza del mercato dei titoli attraverso misure di trasparenza, garanzia degli azionisti di minoranza, aumento della responsabilità dei contabili pubblici certificati 4. Promozione dei controlli e della supervisione di un’unica agenzia la FSC (Financial Supervisory Commission) La capacità di ripresa dell’economia taiwanese fu legata a vari fattori: 1. alto tasso di risparmio 2. bassa percentuale di debiti esterni 3. severa liberalizzazione 4. alto numero di piccole e medie imprese Non dipendendo da istituti esteri per reperire fondi, l’economia di Taiwan non subì il terremoto dovuto al repentino ritiro dei finanziamenti esteri e il mercato azionario non generò panico e turbolenze. Il processo di ristrutturazione dell’industria, nel passaggio dal settore edilizio a quello elettronico quale motore della crescita, riparò Taiwan dalla tempesta della crisi51.

Chen M. H. (2001), How Could Taiwan Have been Insulated from the 1997 Financial Crisis?, <http://www.npf.org.tw/English/Publication/FM/FM-R-090-043.htm> 51

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PARTE SECONDA La crisi asiatica sui giornali italiani



1 L’INIZIO DELLA CRISI (1 maggio- 2 luglio 1997)

“Avete visto i costruttori di questa città, questi acrobati analfabeti che scalano il cielo su impalcature di bambù? Avete comprato i pantaloni più a buon mercato E dormito nei letti più costosi del mondo? Hans Magnus Enzensberger – Hong Kong, 1997 –

1.1 Un momento di transizione In questo capitolo si analizzano i contenuti dei giornali partendo da maggio fino al 2 luglio 1997, data dello sganciamento del baht dal dollaro, e inizio “convenzionale” della crisi. L’analisi inizia da maggio perché in quel mese il baht thailandese comincia già a subire gli attacchi speculativi che condurranno alla sua svalutazione. Seguendo una linea cronologica verranno focalizzati i toni e le modalità con cui i giornali presi in esame hanno descritto i principali avvenimenti. Per una panoramica della situazione, negli Stati Uniti Clinton è al primo anno del suo secondo mandato presidenziale sorretto da strabilianti risultati economici, in Europa i paesi aderenti al sistema monetario europeo perseverano sull’impervio cammino dell’unificazione delle monete, in Asia il Giappone è alle prese con una serie di importanti riforme economiche e sociali, le elezioni in Indonesia vedono la riconferma del presidente Suharto, al potere dal 1967, mentre la Cina si prepara all’annessione, dopo lunghe trattative con il governo di Sua Maestà Britannica, della città stato di Hong Kong. Solo alla metà di maggio arriveranno le prime notizie dalla Thailandia, riportate dal Sole 24 Ore. All’inizio non sembra nulla di grave, solo un rallentamento delle esportazioni e attacchi speculativi a una valuta che sembra comunque difesa da solidi fondamentali e da buone prospettive di crescita anche se in calo rispetto agli anni precedenti. Nulla sembra presagire la crisi, tanto che Repubblica e il Corriere della Sera fino a luglio non nominano la Thailandia.

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II. La ricerca sui giornali

1.2 La locomotiva americana La vera grande protagonista della cronaca economico-finanziaria è Wall Street. L’importanza conferita sulla stampa quotidiana alla tendenza dell’economia americana non è dovuta solo agli straordinari risultati della seconda metà degli anni ’90, ma chiaramente al ruolo che gli Stati Uniti rivestono a livello di motore e regolatore dell’economia mondiale. Questo non solo per il fatto che gli USA mantengono sostanzialmente il controllo delle principali

istituzioni

economiche

mondiali

(Banca

Mondiale,

Fondo

Monetario

Internazionale), ma anche perché a New York c’è il primo mercato mondiale dei cambi, e i livelli di import-export dell’economia a stelle e strisce sono un parametro fondamentale per le produzioni estere. Basterebbe ricordare l’importanza per i prodotti giapponesi ed europei dell’accesso al mercato americano e l’effetto delle variazioni dei tassi di interesse e della svalutazione o rivalutazione del dollaro rispetto alle altre valute mondiali. Il 1 maggio 1997 La Repubblica riporta a pagina 21 un articolo asciutto e non firmato che descrive i dati della borsa americana1. “La locomotiva Usa corre a ritmi esplosivi: nel primo trimestre del 1997, secondo il dipartimento del commercio, il Pil, Prodotto interno lordo è cresciuto del 5,6 per cento su base annua, il passo più rapido dalla fine del 1987. E Wall Street ha superato quota 7.000, avvicinandosi di nuovo al massimo storico. […]”. All’interno una dichiarazione di Bill Clinton coglie

il significato dei dati “[…]. Bill Clinton ha definito “positive” le notizie sullo stato di salute dell’economia: “Sono nuove prove che confermano una forte crescita con inflazione a livelli moderati. Ciò significa più posti di lavoro, utili più alti per grandi e piccole imprese, salari migliori per i lavoratori statunitensi”. L’articolo

prosegue elencando più nello specifico altri risultati e le quotazioni del dollaro rispetto alla lira adducendo anche le ragioni profonde della crescita. Infatti “[…] Il Dipartimento al Commercio Usa ha attribuito la forte accelerazione soprattutto al forte aumento delle spese dei consumi personali, cresciute del 9,9 per cento. Alla crescita del 5,6% del Pil hanno anche contribuito l’aumento degli investimenti nelle immobilizzazioni (con un aumento dell’11,9%, contro una crescita del 5,5% registrata nel quarto trimestre) e nei beni strumentali durevoli (con un aumento del 12,9%, contro un incremento dello 0,9% nel quarto trimestre). La crescita è però stata frenata da un rallentamento delle esportazioni, che nel primo trimestre ’97 hanno segnato un aumento dell’8,1%, contro una crescita del 25% registrata nel quarto trimestre 1996”.

Emergono immediatamente alcuni punti chiave. Clinton giudica “positivi” i dati dell’economia, ma le vera novità è rappresentata dal basso tasso di inflazione, il quale garantirà posti di lavoro e più utili per le imprese. In secondo luogo l’economia americana è in pieno boom nonostante le esportazioni siano in calo rispetto all’anno precedente.

1 * Non firmato, Usa, il Pil cresce a ritmi record. Wall Street supera quota 7.000, «La Repubblica», 1 maggio 1997, sezione “Economia”, p.21 38


L’inizio della crisi

Lo stesso giorno il Corriere della Sera riporta nella sezione “Economia” a pagina 20, un articolo più lungo a firma di Ennio Caretto2. Se Repubblica descrive l’economia americana come una “locomotiva” che “corre a ritmi esplosivi”, sul Corriere si parla di “[…] …vero “miracolo” che dura da oltre cinque anni e di cui non si scorge ancora la fine. La prova del successo del libero mercato e della linea della Federal Riserve di Alan Greenspan e dell’amministrazione di Bill Clinton. Una lezione per l’Europa che avvia all’unione monetaria in una dura congiuntura e con pesanti rigidità strutturali. […]”. La

dichiarazione di Clinton si aggiunge di un commento sul ristagno euro-giapponese: “Gli Usa sono nuovamente un modello per tutti gli alleati”. Il pezzo prosegue con le valutazioni

dell’economista Allen Sinai, che pone in evidenza tre punti: l’apprezzamento del dollaro dovuto alla forza dell’economia, le ripercussioni negative che una frenata americana potrebbe avere su Europa e Giappone e il controllo dell’inflazione. “[…] C’è un contrasto di fondo tra Greenspan, che vorrebbe limitare la crescita annua al 2,5% per evitare il ritorno dell’inflazione –dice– e Clinton che invece ne vorrebbe una del 3,5% per mantenere alta l’occupazione. Ma finché non si aumenteranno le tasse e si ridurrà il deficit, e finché la pressione dei prezzi e dei salari rimarrà sotto controllo, gli Usa non correranno pericoli. […]”.

Se la Repubblica e il Corriere pubblicano le notizie “confinandole” nella rispettive sezioni “economiche”, Il Sole 24 Ore, giornale “economico” per eccellenza, il 1 maggio dedica la prima pagina, con rimando in ottava, al commento dell’andamento Usa3. L’autore è Mario Platero. Dopo aver riportato i dati del boom, prende sempre più corpo il dibattito sul problema inflazionistico. Mentre Clinton, come riportato dall’articolo del Corriere dice alla Fed: “Non toccate i tassi”, i mercati sono sempre in attesa di una “stretta” da parte di Greenspan. Cosa sta succedendo? Grazie all’aumento di produttività e di profitti delle imprese, il rialzo dei consumi interni agli Stati Uniti e il calo del tasso di disoccupazione rischiano di far lievitare i prezzi. L’amministrazione Clinton e la Fed stanno tentando di compiere la quadratura del cerchio: cioè la crescita economica senza inflazione. Solo non ci si intende sulle cifre. Mentre l’obiettivo di ogni politico è infatti quello di garantire un buon tenore di vita ai cittadini e di lasciar quindi esprimere al meglio l’economia perché garantisca l’occupazione ei consumi, la preoccupazione delle autorità economiche, “indipendenti” dall’amministrazione politica, è quella di prevenire sul nascere qualsiasi segno inflazionistico per paura di una spirale. Perciò obiettivo della Fed parrebbe quello di raddrizzare il prezzo del denaro in modo da favorire gli investimenti ma non a tal punto da sviluppare una crescita del Pil di oltre il 2,5% annuo.

* Caretto E., L'economia Usa mette il turbo, «Il Corriere della Sera», 1maggio 1997, sezione “Economia”, p. 20 3 * Platero M., Economia Usa a passo di carica, «Il Sole 24 Ore», 1maggio 1997, p. 1/8 2

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II. La ricerca sui giornali

Si può senz’altro dire che l’obiettivo del pareggio del bilancio statale, con ovvi tagli alla spesa pubblica, e il controllo spasmodico dei tassi di interesse fanno parte di una politica fiscale e monetaria restrittiva. Il rialzo dei consumi, se è visto come un fattore positivo al rilancio delle produzioni, comporta anche un aumento delle importazioni dall’estero e quindi un aggravio del deficit commerciale americano, come sottolineava l’economista Sinai. Del resto, se l’economia è in fase di espansione, come si può spiegare un aggravarsi del deficit commerciale? Questa situazione è tipica degli Stati Uniti, che grazie alle mirabolanti imprese dei mercati azionari, riescono ad attrarre i capitali esteri verso la loro economia (in titoli del tesoro, mercato azionario, ma anche in investimenti diretti). L’economista Henry Kaufmann, intervistato da Mario Platero sul Sole 24 Ore, afferma: “[…]Il nostro paese ha fatto da calamita per la forte liquidità internazionale a causa della crisi in Europa e in Giappone. Se l’anno prossimo entrambi dovessero riprendersi diventeranno un polo di attrazione di liquidità e gli Usa avranno meno capitali a buon mercato disponibili per finanziare la crescita e per tenere su la borsa.” 4.

Il 2 maggio nuove notizie dal fronte Usa. I democratici e i Repubblicani sono vicini al raggiungimento di un accordo strutturale per un taglio del deficit pubblico. Clinton, presidente democratico, in rottura con la tradizione del suo partito (si ricordino i programmi keynesiani di Roosevelt, ma anche i programmi sociali varati da Kennedy e Johnson) persegue l’obiettivo dell’austerità fiscale. Non a caso lui proviene da quella parte del partito chiamata “New Democrats”, che ha compiuto una svolta culturale a favore della liberalizzazione dei mercati. I dati sembrano dargli ragione del fatto che la crescita economica si basa anche sulla riduzione del deficit pubblico (siccome gli interessi sui buoni del tesoro causano inflazione) e quindi mette mano ai bilanci dello stato con una serie di tagli. Ennio Caretto, sul Corriere del 3 maggio, riporta che “[…] Clinton e i repubblicani, che controllano il congresso, sarebbero d’accordo su un drastico taglio del deficit che consentirà agli Usa di raggiungere il pareggio entro il 2002. Il presidente acconsentirebbe a una riduzione delle tasse in cambio di una delle spese militari, rassegnandosi a sacrificare in parte i servizi sociali, tranne che nell’infanzia e nelle terza età.” in più “Ultimamente Wall Street aveva reagito negativamente al calo della

disoccupazione. Ma la

strategia antinflazionista del congresso e

dell’amministrazione l’ha rasserenata. […]” . All’interno dell’articolo c’è però un piccolo trafiletto, 5

che ricorda che le vendite di auto giapponesi negli Stati Uniti stanno lasciando al palo quelle di Chrysler e General Motors e si pone attenzione a una delle inevitabili conseguenze della congiuntura economica: il dollaro forte. La salita del dollaro nei confronti dello yen reca

* Platero M., Kaufman: batteremo il record di crescita, «Il Sole 24 Ore», 1 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 5 * Caretto E., Usa, sempre meno disoccupati, «Il Corriere della Sera», 3 maggio 1997, sezione “Economia”, p. 21 4

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L’inizio della crisi

infatti un vantaggio commerciale al Giappone, cosa che si ripercuote negativamente sulla bilancia commerciale americana. Alcuni di questi elementi sono riportati nell’intera prima pagina della sezione “Economia” che Repubblica dedica il 3 maggio agli andamenti americani. Addirittura un articolo di Vittorio Zucconi, che segue dalla prima, titola “Niente miracoli, è tutto calcolato”6. Sopra al titolo:“Dietro la “festa” di oggi ci sono le ristrutturazioni dovute al crollo delle commesse militari e la capacità di rivedere il welfare”. Stupisce il tono trionfalistico con cui si presenta la nuova ricetta

americana. C’è infatti una bella differenza tra le parole di Ennio Caretto sul Corriere del 1 maggio, “vero miracolo” e il titolo dell’articolo di Zucconi. Un miracolo è infatti qualcosa di inatteso e stupefacente, che non è diretta conseguenza di una strategia predeterminata. La “negazione del miracolo” sulle pagine di Repubblica riporta magari le parole nel loro alveo, dato che in economia non v’è nulla di trascendente, ma afferma che ciò che sta accadendo è il frutto di un calcolo, cioè di una precisa scelta politica. Zucconi infatti sostiene la validità della “ricetta” economica liberista: riduzione del bilancio pubblico e liberalizzazione del mercato. Scrive Zucconi: “[…] Il miracolo degli anni ’90, il boom che chiude in maniera anche simbolica, la fine del “secolo americano”, è certamente fenomenale, come scrive il Times, ma non è –come i miracoli economici non sono mai– inspiegabile. Le cifre di oggi sono un prodotto atteso di un lungo sacrificio, di scelte politiche coerenti e di una vittoria strategica. La fine della guerra fredda e l’inizio della guerra economica globale hanno imposto all’industria americana non più drogata dalle commesse militari una dolorosa razionalizzazione che l’ha portata all’appuntamento del mercato globale in ottima forma finanziaria e tecnologica. […]”. E

continua: “Tra sfumature diverse, tra sensibilità diverse, il consenso è ormai generale sulla insopportabilità dello stato assistenziale e sugli effetti controproducenti che esso ha sull’economia nazionale, dunque sugli stessi ceti deboli che pur vorrebbe proteggere. Il dibattito è chiuso. Resta aperta soltanto la discussione su come demolire il “welfare state” e attutirne gli effetti sociali. La fiscalità, stampella essenziale dello stato sociale, ha quindi cominciato ad abbandonare il dogma delle tasse come strumento della ridistribuzione forzosa della ricchezza, e oggi è sempre più orientata a una tassazione di sviluppo, che serva a incoraggiare la formazione della ricchezza e a incanalarla verso gli investimenti produttivi.” Nelle ultime righe, Zucconi si cautela

dal declamare un futuro roseo o suggellare in pieno la ricetta americana, ma citando le parole del Professor Sinai: “Finalmente i sacrifici pagano e anche i lavoratori incassano”. Nella stessa pagina appare anche il resoconto del corrispondente Arturo Zampaglione7, che conferma le tendenze generali della locomotiva America, ma in modo meno trionfalistico, ponendo l’accento sulla disoccupazione presente nelle fasce deboli della popolazione quali gli afroamericani, gli ispanici e gli strati più giovani, sottolineando che il costo medio del lavoro * Zucconi V., Niente miracoli, è tutto calcolato, «La Repubblica», 3 maggio 1997, sezione “Economia”, p. 23 * Zampaglione A., Usa, mai tanto lavoro negli ultimi 25 anni, «La Repubblica», 3 maggio 1997, sezione “Economia”, p. 23. Vedere anche: * Zampaglione A., Wall Street a quota 7.300 è un'arrampicata infinita, «La Repubblica», 14 maggio 1997, sezione “Economia”, p. 27 6 7

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II. La ricerca sui giornali

è addirittura sceso di un centesimo l’ora. Non emerge però dall’articolo alcuna critica strutturale, affermando anzi che questi dati di disoccupazione sono giudicati positivamente, dato che rallentando la crescita, allontaneranno la possibilità di una rialzo dei tassi da parte della Fed. Il 3 maggio il Sole 24 Ore a pagina 8, nella sezione “Politica ed economia internazionali” mette in chiaro i dati dei tagli alla spesa statale dell’amministrazione Clinton secondo l’accordo raggiunto coi repubblicani e ci si accorge che i tagli maggiori riguardano le tasse (135 mld di dollari) e la spesa sanitaria (115 mld di dollari). A seguire riduzioni negli stanziamenti per i programmi di spesa nazionale per 68 mld di dollari in cinque anni e una crescita della spesa militare inferiore a quella richiesta dall’esercito (aumento di 23 mld, con una “riduzione”, rispetto alle richieste, di 80 mld di dollari). L’articolo, a firma di Plateroti è a pagina 8 e titola: “Sull’assistenza medica, risparmi per 115 miliardi” 8. Questo è inserito all’interno di quello di Mario Platero: “Accordo sul bilancio Usa” 9, che descrive in modo più generale la situazione, ponendo l’accento sul fatto che l’accordo tra il presidente e il congresso, unito al lieve aumento del tasso di disoccupazione e alla diminuzione del costo medio del lavoro, è un grande elemento di sicurezza sui mercati, che manda il mercato azionario ai massimi storici. Dopo il 4 maggio su Repubblica e il 2 maggio sul Corriere, la tendenza di Wall Street scende nella scala di priorità, tanto che rispettivamente, fino al 14 e al 21 maggio non appaiono più sui due quotidiani significativi articoli sulla borsa americana. Il Sole 24 Ore in questo periodo è più attento, e segue le sue evoluzioni con costanza. Il 6 maggio titola senza mezzi termini “Wall Street vola al record”10, con l’indice Dow Jones oltre i 7.200 punti, ma la notizia scivola già a pagina 33, nella parte dedicata alla finanza internazionale della sezione “Finanza & Mercati”. Il trend della borsa americana sembra ormai un fatto consolidato e gli ulteriori aumenti del Dow Jones non destano sorpresa. La forza del dollaro però subisce qualche limitazione. Il 13 maggio 1997, il Sole 24 Ore titola “Dollaro ipersensibile cade poi recupera”11 e nella riga di sintesi: “Grande nervosismo in attesa delle decisioni della Fed”. Nell’articolo

si afferma che “[…] …il quadro d’insieme ha per cornice un pronostico inquietante: la valuta americana potrebbe essere giunta al giro di boa, all’esaurimento della spinta che l’ha sostenuta nel periodo di crescita continua degli ultimi mesi rispetto alle principali valute. […]”. E tra queste ultime spicca il recupero

dello yen a 118 per un dollaro. Le notizie riguardanti Wall Street che appaiono sul Sole 24 * Plateroti A., Sull'assistenza medica risparmi per 115 miliardi di dollari, «Il Sole 24 Ore», 3 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 9 * Platero M., Accordo sul bilancio Usa, «Il Sole 24 Ore», 3 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 10 * Plateroti A., Wall Street vola al record, «Il Sole 24 Ore», 6 maggio 1997, sezione “Finanza&mercati”, p. 33 11 * Platero M., Dollaro ipersensibile cade poi recupera, «Il Sole 24 Ore», 13 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 8

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L’inizio della crisi

Ore nel mese di maggio12 (16, 17, 21, 24 e 31), delineano un quadro di crescita rampante. Nessuna di queste però è pubblicata sulla prima pagina del giornale. Non emerge fin qui una spiccata differenza tra i tre giornali, che bene o male si “inchinano” alla forza dell’economia americana dati gli effetti positivi anche su quella europea e mondiale. Ma ciò che stupisce è il grado di accettazione della “ricetta” americana. Anche La Repubblica, giornale tendenzialmente di sinistra, presenta infatti toni entusiasti nei confronti della economia americana, che talvolta superano il visibile ottimismo del Corriere della Sera, mentre il Sole 24 Ore, mantiene un taglio più “imparziale”. Questa posizione non si può spiegare unicamente con la “vicinanza politica” al partito democratico, dato che comporta l’abbandono dello schema tradizionale della socialdemocrazia portato avanti per anni dalla sinistra moderata. Invece di mantenere qualche ragionevole dubbio sul modello sociale ed economico americano, si accettano le proposte economiche di chi è riuscito nel mantenere forte l’innalzamento della crescita economica, specie nei confronti di un’Europa con tutti i segni della stagnazione. Questa tendenza continua anche nel mese di giugno. Il 3 del mese, il Sole 24 Ore riporta l’aumento degli indici dell’economia Usa, che mettono in evidenza la forza del settore manifatturiero 13. Si aggiungono nei giorni successivi le analisi e i dati di un modello che appare vincente sotto tutti gli aspetti: inflazione bassissima, crescita delle imprese e una piccola riduzione media degli stipendi dopo un sensibile aumento (0,7% in marzo). Nel mezzo dell’euforia per questa cavalcata economica, l’interrogativo si sposta sui ritmi della crescita futura, dipendenti dalle decisioni della Fed circa il possibile rialzo dei tassi di interesse. Il giorno seguente, di fronte a un lieve calo del “superindice” della crescita americana, quello che contiene i leading indicators, si apre la disputa tra chi ritiene che ci sarà una “drastica moderazione della crescita” che consentirà un naturale “atterraggio morbido” dell’economia e

* Valsania M., Inflazione Usa sotto controllo. Nuovo massimo a Wall Street, «Il Sole 24 Ore», 16 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Non firmato, Wall Street, nuovi massimi aspettando la Fed, «Il Sole 24 Ore» 17 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 * Platero M., La Fed resta alla finestra, «Il Sole 24 Ore», 21maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 * Non firmato, Wall Street, nuovo record per il Memorial day, «Il Sole 24 Ore», 24 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 34 * Non firmato, Protagonista a Wall Street è ancora l'high tech, «Il Sole 24 Ore», 31 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 13 * Valsania M., Stati Uniti, aumentano gli ordini delle aziende, «Il Sole 24 Ore», 3 giugno 199, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 12

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II. La ricerca sui giornali

chi ritiene che dopo la riunione del Federal Open Market Commitee la Fed deciderà comunque di ritoccare i tassi 14. La Repubblica e Il Corriere della Sera, unitamente al Sole 24 Ore, descrivono la situazione americana il 7 giugno, in occasione dell’uscita dei dati sull’occupazione del mese di maggio. Le cifre e i toni sono entusiasti, ma differiscono commenti e valutazioni. Arturo Zampaglione, inviato di Repubblica, cita le parole di Allen Sinai: “[…] «Di che stupirsi?» […] «I dati di venerdì dimostrano che i lavoratori americani hanno più occasioni di impiego, più scelta e stipendi più alti e che tutto questo avviene senza turbamenti nel sistema economico». Il segreto, naturalmente, è nei rapidi aumenti di produttività dell’azienda America. […]”15. Il Corriere sotto all’articolo che sciorina i dati

economici16 pubblica un’intervista a Robert Reich, ex ministro del lavoro americano, che pone i dati sull’occupazione sotto un’altra luce. Alla domanda: “[…] Che cosa non dice un tasso di disoccupazione ai minimi storici come quello Usa?”, Reich risponde: “«Non dice che negli Stati Uniti, insieme a un tasso di disoccupazione molto basso, c’è anche molta povertà. 40 milioni di americani non hanno copertura sanitaria. L’economia cresce, ma crescono anche le disparità e la maggioranza della middle class si sente meno sicura di prima. Non è vero che i salari medi e i benefit sono aumentati. Il 40% dei lavoratori ha avuto un declino stabile dei salari reali. Pur in presenza di grande flessibilità, infatti, il governo non investe come dovrebbe in educazione, in daycare, nei trasporti pubblici. […]»”17. Inoltre Reich afferma che il

pareggio di bilancio “[…] …è diventato una vera ossessione per tutti.”18. Ma come si può definire, da parte di un’economista come Reich, “ossessione” quello che sembra stare alla base dei successi economici statunitensi e che sta per essere avviato sia in Giappone che nella nascente Europa unita? E’ evidente che le idee di tipo liberista concernenti la riduzione del ruolo dello Stato nell’economia si stanno facendo largo nel mondo quasi come una ideologia cui è impossibile sfuggire. La posizione del Corriere della Sera, pubblicando la voce di Reich si mostra improvvisamente critica e cauta sulla reale situazione americana, mentre Repubblica, affidandosi alle dichiarazioni di Sinai, si schiera a favore del nuovo corso. Ancora più esplicito in questo senso l’articolo di Renata Pisu del 12 giugno: “L’America ci crede, arriva l’età dell’oro”, dove si arriva a dire che: “[…] Il Nuovo Continente –secondo alcuni economisti e sociologi Usa– sta aprendo le porte ad un’età dell’oro in cui il ruolo di Pericle sarà interpretato dal Presidente democratico Bill Clinton. […]”19. In quest’articolo vengono riportate anche le opinioni

* Valsania M., Il superindice Usa cala (-0,1%) e frena la corsa dell'economia, «Il Sole 24 Ore», 4 giugno 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 11 15 * Zampaglione A., Disoccupazione Usa ai minimi, «La Repubblica», 7 giugno 1997, sezione “Economia”, p. 7 16 * Caretto E., America, la fabbrica del lavoro, «Il Corriere della Sera», 7 giugno 1997, sezione “Economia”,p.1 17 * Ferraino G., Europa, investi sulle persone, «Il Corriere della Sera», 7 giugno 1997, sezione “Economia”, p. 1 18 Ivi 19 * Pisu R., L'America ci crede, arriva l'età dell'oro, «La Repubblica», 12 giugno 1997, sezione “Economia”, p. 29 14

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L’inizio della crisi

dell’economista James K.Glassman. “[…] Glassman con una decisione salomonica attribuisce a Ronald Reagan e a Bill Clinton il merito di avere spianato la strada alla ripresa. […]”. Affermazioni paradossali,

dove l’economia dell’offerta seguita da Reagan, fautrice di un enorme deficit di bilancio, va a braccetto con il rigore di Clinton sui conti pubblici e con la Fed di Greenspan. “[…] Se a Reagan viene attribuito il merito di aver precostituito le basi della ripresa a colpi di libero mercato, tocca al Presidente della Fed Alan Greenspan il ruolo di eroe della crescita: con una gestione accorta della politica monetaria ha impedito il decollo dell’inflazione ma non ha mai tirato troppo la cinghia del credito. […]”20. L’articolo si

conclude però, citando le posizioni dei critici dell’”età dell’oro”, secondo i quali la globalizzazione sarà favorevole al 20% della popolazione del globo, mentre per il restante 80% sarà fonte di frustrazione ed emarginazione. Nella prima metà di giugno, gli articoli più rilevanti sulla situazione dell’economia americana vengono pubblicati il 7 e il 12 sul Corriere della Sera, così come su Repubblica (vedi note relative). Sul Sole 24 Ore il 3, 4, 7, 11 e 13 giugno21. Gli articoli dell’11 e 12 sono importanti ai fini di questo studio. Il primo riguarda il boom degli investimenti stranieri negli Stati Uniti e il secondo l’inversione di tendenza della bilancia commerciale giapponese. L’attrazione che l’America esercita sui capitali internazionali è ben motivata dal Sole 24 Ore: “La forza dell’economia americana, la stabilità politica, la credibilità attribuita alle politiche del rigore degli ultimi anni, sono alcune delle ragioni che hanno indotto gli operatori stranieri a compiere investimenti record negli Stati Uniti nel 1996. […]”22. Ma la cosa di cui tener conto è che tali investimenti sono

aumentati di quasi la metà del valore del 1995. Più avanti, nell’articolo si “sfata un luogo comune”: “[…] Una cifra, questa dei 100mila miliardi di investimenti totali da parte europea, che contribuisce da sola a sfatare il mito che i flussi di investimento si concentrano principalmente in paesi in via di sviluppo. E che aggiunge un elemento in più, un “premio” derivante dall’effetto a cascata del circolo virtuoso americano: se l’occupazione è elevata, se l’economia cresce, se non vi sono ostacoli seri all’efficienza produttiva, sia in termini di regolamentazioni, oneri fiscali, complicazioni burocratiche e criminalità, si creano i presupposti ideali del sistema paese per attirare gli investitori stranieri. […]”23.

20

Ivi Oltre a quelli già citati: * Platero M., Vola l'occupazione negli Usa, «Il Sole 24 Ore», 7 giugno 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 * Platero M., I segreti di un modello vincente, «Il Sole 24 Ore», 7 giugno 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 * Non firmato, Wall Street macina record sull'onda dell'occupazione, «Il Sole 24 Ore», 7 giugno 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 34 * Non firmato, Borse record. E Wall Street tira la volata, «Il Sole 24 Ore», 13 giugno 1997, p. 1 22 * Platero M., Boom negli Usa dei capitali esteri, «Il Sole 24 Ore», 11 giugno 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 23 Ivi 21

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II. La ricerca sui giornali

1.3 L’empasse giapponese Il 1 maggio 1997 il Sole 24 Ore riporta, nella sezione “Politica ed economia internazionali”, un articolo sulle riforme costituzionali in Giappone24. L’amministrazione militare americana che governò il paese nei primi anni del dopoguerra, lasciò al paese non solo un forte vincolo strategico con l’ex nemico, ma anche una nuova costituzione, adattata da quella degli Usa. Una delle modifiche più rilevanti fu il divieto al Giappone di usare proprie truppe se non in caso di autodifesa. Dopo la guerra del Golfo del 1991, cui il Giappone poté contribuire solo finanziariamente, emerse la necessità di una revisione. Michele Calcaterra nell’articolo riporta: “… […] il paese ha rinunciato, per principio, all’offesa e alla guerra. Ora, nel caso in esame, non è che il Giappone voglia tornare sui propri passi, ma vorrebbe riesaminare la materia in modo da adattarla alle nuove esigenze e da renderla più flessibile al mutare della situazione. […]”25. Il tono

dell’articolo è tecnico e imparziale nella descrizione delle vicende interne del paese, ma risulta chiaramente che dopo aver raggiunto lo status di seconda potenza economica mondiale, la posizione di comprimario nella gestione dei rapporti strategici nell’area comincia ad andare stretta ai leader giapponesi. Non a caso “[…]…il Giappone sta cercando di forzare i tempi per ottenere un posto permanente nel consiglio di sicurezza dell’Onu. […]” e “[…] …l’amministrazione nipponica e statunitense stanno studiando una revisione dei principali termini su cui si basa la cooperazione dei due paesi nel settore della difesa. […]”26.

Del paese del sol levante si continua a parlare il 3 maggio sul Sole 24 Ore a causa di un record tutt’altro che positivo: quello del tasso di disoccupazione. Scrive Michele Calcaterra: “[…] Una fotografia in grigio, dunque, per il paese che non sembra in grado di scrollarsi di dosso lo stato di apatia in cui si trova dopo essersi lasciato alle spalle la pesante crisi degli anni ’90. I segnali provenienti dall’economia sono di stasi. Nel senso che la domanda interna è gracile e si è indebolita ulteriormente dopo l’avvenuto aumento dell’Iva dal 3 al 5% (a partire dal primo di aprile), mentre la produzione e soprattutto l’export continuano a crescere sensibilmente. La tenuta economica, sembra di capire, è proprio drogata dalla debolezza dello yen, (giovedì ha toccato il minimo da 54 mesi contro dollaro, oltre quota 127) che ha fatto da volano alla ripresa delle esportazioni. […]”27. In più, dopo aver descritto in cifre, i mutamenti del

mercato del lavoro relativamente al settore, Calcaterra aggiunge: “[…] E’ interessante notare comunque, come il Giappone stia gradualmente cambiando anche la struttura stessa del rapporto di lavoro. Passando dalla tradizionale pratica del posto garantito a vita, a una struttura occupazionale e salariale che si basa sulla meritocrazia e sull’incentivazione per obiettivi. A pesare sui futuri livelli (d’occupazione, n.d.r.) c’è

* Calcaterra M., Tokio si prepara ad affrontare un'ampia revisione costituzionale, «Il Sole 24 Ore», 1 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 25 Ivi 26 Ivi 27 * Calcaterra M., Disoccupazione record in Giappone, «Il Sole 24 Ore», 3 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 24

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L’inizio della crisi inoltre il costante spostamento degli investimenti manifatturieri all’estero, nei paesi dove il costo della manodopera è inferiore e dove esistono dei mercati locali interessanti.”28. Gli elementi che emergono

nella descrizione della situazione giapponese descrivono un paese che si trova a fare i conti con problemi strutturali di sviluppo. Crisi della domanda interna, messa in discussione di principi quali il posto fisso “a vita”, dirottamento di investimenti produttivi verso paesi con manodopera a basso costo. Le soluzioni prospettate, descritte nell’articolo riguardante la riforma costituzionale, vanno nel senso di una maggiore liberalizzazione, deregolamentazione e sburocratizzazione. Il Giappone sta rispondendo alla crisi dell’economia globalizzata post guerra fredda, con politiche di impostazione liberista. Nello specifico, politica fiscale restrittiva (aumento dell’Iva), delocalizzazione manifatturiera e progressiva “precarizzazione del lavoro”. Il 7 maggio continua l’evoluzione delle riforme giapponesi. Con un articolo dal titolo “Il Giappone prepara entro il 2001 bilanci austeri e burocrazia smagrita”29, riparte il dibattito sulla

“transizione giapponese”. I settori di riforma sono la “[…]… pubblica amministrazione, il sistema fiscale, la struttura economica, il sistema finanziario, l’istruzione pubblica e il sistema socio-previdenzialepensionistico. […]”. Calcaterra descrive il Giappone come un paese “[…]… dove cambiamenti e novità sono sempre digeriti con una certa difficoltà e dove la tradizione e la seniority contano ancora parecchio. […]” e nota le voci discordanti di alcuni ministri verso alcune riforme, quali ad esempio quella

della pubblica amministrazione. Infatti, “[…] La situazione generale del paese impone, tra le altre cose, un drastico taglio alla spesa (pubblica n.d.a.), tale da consentire di ridurre il consistente deficit di bilancio (sarà pari al 5,7,% del Pil alla fine ’97 e il pesante indebitamento pubblico complessivo (superiore al 90% del Pil). […]”. Dopo aver decantato il 3 maggio la ripresa delle esportazioni giapponesi, il 7 maggio

viene lasciata in secondo piano. Occupano la scena i futuri tagli previsti (difesa, pubblica amministrazione, allungamento dell’età pensionabile, ecc.) e le preoccupazioni per la stabilità politica di un governo che deve attuare tutte queste misure in tempi rapidi. Lo stesso giorno, nelle pagine della sezione “Finanza” si titola “Wall Street fa volare Tokio”. Wall Street infatti “tira” l’investimento in titoli giapponesi causando un rialzo dell’indice Nikkei quale non si era visto da mesi. “[…] …Il forte rialzo è stato innescato da un’ondata di acquisti, generata sia dai fondi pensione nazionali sia dagli investitori stranieri, che ha fatto balzare il volume di scambi a 715 milioni di azioni (il terzo in assoluto di quest’anno). Nel mirino titoli tecnologici come Hitachi eFujitsu ma anche blue chip come Sony e Toyota. Gli acquisti dagli Usa hanno contribuito a far calare la quotazione del dollaro nei confronti dello yen: la valuta Usa ha ripiegato a 125,92 yen dai 126,54 della chiusura di lunedì a New York. Secondo gli osservatori la forza del mercato azionario migliora le prospettive per i titoli bancari e

28

Ivi * Calcaterra M., Il Giappone prepara entro il 2001 bilanci austeri e burocrazia smagrita, «Il Sole 24 Ore», 7 maggio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 29

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II. La ricerca sui giornali finanziari, e rimuove così uno dei principali ostacoli a un prossimo rialzo dei tassi di interesse da parte del governo. […]” 30.

Da questa prima serie di articoli, si notano evidenti somiglianze con quanto succede negli Stati Uniti. Pur trovandosi in due situazioni economiche diverse, il Giappone che fatica uscire dalla stasi e gli Usa che macinano record e innalzano il Pil, le priorità di politica economica sono sostanzialmente le stesse: 1. riduzione del deficit pubblico (con tagli nella pubbliche amministrazioni, decentramenti burocratici, risparmi della spesa sanitaria negli Usa, riduzione della spesa militare in entrambi i paesi) 2. riforme di deregolamentazione e liberalizzazione di alcuni settori dell’economia (negli USA la liberalizzazione del settore energetico) riforma del mercato del lavoro (stipendio in azioni, allungamento dell’età pensionabile in Giappone, maggiore flessibilità occupazionale, contenimento del costo del lavoro) 3. continua attenzione ai mercati finanziari e ai reali o paventati aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed (negli Usa) e dalla Banca Centrale del Giappone. Nel mese di maggio si occupa del Giappone unicamente il Sole 24 Ore. L’inviato nell’area, Michele Calcaterra, pur dimostrando una personale “simpatia” nei confronti del Sol Levante accetta senza riserve la politica economica del governo del Giappone, anche se questa muove in controtendenza alla linea seguita fino a questo momento e che ha garantito lo sviluppo industriale del paese. Invece che attribuire il momento di difficoltà della domanda interna a fattori geopolitici esterni, come la debolezza dello yen e le conseguenze dei danni della speculazione immobiliare, Calcaterra “delegittima” il modello giapponese sostenendo le “necessarie” riforme di stampo liberista. Certo permangono dubbi politici sulla loro attuabilità, ma il 21 maggio questi vengono ridimensionati31: “[…] Il Giappone, con tutte le cautele del caso, è in buona salute. E lo stesso discorso vale per le sue principali industrie. La conferma verrà tra breve con l’annuncio dei risultati di bilancio al 31 marzo scorso, automobilistici, elettronici e società di beni a largo consumo continuano a macinare utili e ad espandere i loro investimenti. Spinti dallo yen e dai tassi di interesse che dal settembre 95 sono ai minimi storici. Purtroppo la domanda interna rimane debole e l’aumento della tassa sui consumi non ha certo aggravato l’economia. Ma il Giappone continua ad andare avanti per la sua strada, incurante delle critiche e di chi afferma che l’elevato deficit di bilancio (compreso tra il 6 e il 7 % rispetto al Pil) e l’indebitamento complessivo

* Fi. R., Wall Street fa volare Tokio, «Il Sole 24 Ore», 7 maggio 1997, sezione”Fnanza italiana”, p. 31 * Calcaterra M., La ripresa giapponese compie 43 mesi, «Il Sole 24 Ore», 10 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p.5 30 31

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L’inizio della crisi (oltre il 90% del Pil) metteranno prima o poi in ginocchio il paese. […] Le riforme necessarie al paese per progredire e continuare ad essere competitivo stanno progredendo. Inoltre il quadro politico è sufficientemente solido, con i liberaldemocratici comodamente in maggioranza per prevedere anche sul prossimo futuro una situazione di stabilità.[…]”. Questa descrizione ottimista non coincide del tutto con quanto

affermato nei precedenti articoli. Alla crescita dell’attivo commerciale32, al rafforzamento dello yen33 e alla continuazione delle riforme economiche34, si alternano la volatilità della Borsa35, l’emersione di scandali riguardanti collusioni tra politici e società finanziarie36, il calo delle partite correnti37 e l’aumento di prezzi e disoccupati38. Dopo le ennesime notizie di tagli alla spesa pubblica39, il paese mostra la sua forza di potenza industriale e di fronte alla debolezza della domanda interna, sfrutta il basso valore dello yen per aumentare l’export. Già il 2 giugno Repubblica titola “Il ritorno dei samurai”40, dove si legge che il Giappone potrebbe diventare, al pari degli americani, “la primadonna dell’economia mondiale nel 1997”. Il 12 giugno, il Sole 24 Ore annuncia infatti l’aumento del surplus giapponese nella bilancia commerciale 41, sottolineando le preoccupazioni dei partner del G-7, che discuteranno la questione al vertice di Denver. I cambiamenti economico-sociali in Giappone vengono evidenziati da Repubblica il 24 giugno, in un breve articolo intitolato “Kamikaze flessibili”. Nell’alveo degli articoli sul lungo elenco di riforme di liberalizzazione sul tavolo del governo giapponese, viene messo in crisi il

* Calcaterra M., Vola l'attivo commerciale in Giappone, «Il Sole 24 Ore», 20 maggio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 5 33 * Calcaterra M., Lo yen vola a 111,98 contro dollaro, «Il Sole 24 Ore», 21 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 34 * Calcaterra M., Tokio vara il maxipiano di riforme economiche, «Il Sole 24 Ore», 16 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., Via libera alla totale deregulation del mercato dei cambi giapponese, «Il Sole 24 Ore», 17 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 35 * Non firmato, Nikkei sulle vette del 1997, «Il Sole 24 Ore» 17 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria” p. 36 * Non firmato, Nikkei ancora in altalena, «Il Sole 24 Ore» 24 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 34 36 * Calcaterra M., Tokio sospende la Nomura, «Il Sole 24 Ore» 14 maggio 1997, sezione “Finanza&mercati”, p. 31 * Calcaterra M. Il caso Nomura sfiora Hashimoto, «Il Sole 24 Ore», 21 maggio 1997, sezione “Finanza&mercati”, p.25 * Calcaterra M., Svolta nello scandalo Nomura: va in carcere l'ex presidente, «Il Sole 24 Ore», 31 maggio 1997, sezione “Finanza internazionale”, p. 32 37 * Calcaterra M., Forte calo nel 1996-97 per l'attivo giapponese delle partite correnti, «Il Sole 24 Ore», 15 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 38 * Calcaterra M., Crescono in Giappone prezzi e disoccupati, «Il Sole 24 Ore», 31 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 10 39 * Calcaterra M., Maxi-tagli alla spesa per Tokio, «Il Sole 24 Ore», 4 giugno 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 11 40 * Non firmato, Giappone, il ritorno dei samurai, La Repubblica, 2 giugno 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 20, p. 3 41 * Margiocco M., Esplode il surplus giapponese, «Il Sole 24 Ore», 12 giugno 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 32

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II. La ricerca sui giornali

“modello giapponese”. “Qualcuno sicuramente ricorderà la mitizzazione del “modello giapponese”. Le fabbriche-città dove tutto era programmato, dove ognuno produceva prima per l’azienda e poi per sé anche perché l’azienda provvedeva a tutto. Si nasceva in fabbrica, lì si studiava, si lavorava, ci si sposava. E la fabbrica pensava anche alla vecchiaia e al funerale. Almeno per cinquant’anni i giapponesi hanno considerato il peggiore dei tradimenti quello di passare da un posto di lavoro a un altro. Si è ironizzato – talvolta a torto – sui kamikaze del lavoro. Quel modello ha consentito a un paese iperpopolato, ferito a morte dalle atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, quasi privo di materie prime, di diventare la seconda potenza economica mondiale. […] oramai anche quel modello ha fatto il suo tempo e i giapponesi, eccezionali imitatori, hanno preso a prestito la iper-flessibilità americana. […] Il secondo gruppo nipponico di automobili (la Nissan, n.d.r.) vuole estendere […] contratti flessibili anche ai colletti bianchi. […] Come dire: l’eccesso di sicurezza ha fiaccato anche i kamikaze della produttività. […]” 42.

Ma la flessibilità e la liberalizzazione non sono certo cure indolori per l’economia giapponese, tanto che successivamente al summit di Denver, il premier Hashimoto, il 23 giugno dichiara in una conferenza alla Columbia University di New York, che il Giappone è pronto a vendere parte delle sue quote di buoni del tesoro americani. La notizia rimbalza il giorno successivo sul Corriere e il 25 giugno sul Sole 24 Ore. Mentre il Corriere titola: “Bomba giapponese su Wall Street”43, dando una connotazione minacciosa alle parole di Hashimoto, il

Sole 24 Ore riporta la notizia il giorno dopo, assieme alle smentite del ministro delle finanze: “Tokio «corregge» Hashimoto”44. Il Corriere riporta le parole del premier: “[…] «Speriamo che gli Stati Uniti facciano tutti gli sforzi necessari per mantenere la stabilità dei tassi di cambi, così che noi non dobbiamo soccombere alla tentazione di vendere i titoli del governo americano. Una massiccia vendita di titoli obbligazionari denominati in dollari potrebbe avere un significativo impatto sul mercato» […]”45. Il

commento: “[…] Un «avvertimento»? Certo a Wall Street lo hanno interpretato così. E le conseguenze di un «cedimento alla tentazione di vendere» da parte di Tokio non sono difficili da immaginare, visto che il debito pubblico americano (diversamente, per esempio, da quello italiano) è per una grande parte in mano gli investitori istituzionali internazionali, un villaggio globale della finanza nella quale i giapponesi giocano una parte davvero da leone. […]”.

Il Sole 24 Ore del 25 giugno: “«Il Giappone – ha dichiarato ieri il ministro delle Finanze Hiroshi Mitsuzuka – non ha mai pensato in passato, né pensa per il futuro di vendere i titoli obbligazionari statunitensi in suo possesso» che costituiscono buona parte dei 222 miliardi di dollari in riserve valutarie che il Paese attualmente detiene. Queste stringate righe sono le uniche uscite ieri dal potente e riservato ministero delle Finanze insieme al fatto che le dichiarazioni di lunedì sera del primo ministro Ryutaro Hashimoto alla Columbia University, sono state «interpretate male» Quali sono dunque i motivi del messaggio del leader

* Non firmato, Kamikaze flessibili, «La Repubblica», 22 giugno 1997, sezione “Commenti”, p. 12 * Ne. R., Bomba giapponese su Wall Street, «Il Corriere della Sera», 24 giugno 1997, sezione “Economia”, p. 24 44 * Calcaterra M., Tokio corregge Hashimoto, «Il Sole 24 Ore», 25 giugno 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 33 45 Vedi nota 43 42 43

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L’inizio della crisi nipponico e perché proprio a conclusione della riunione del G-7 di Denver? Difficile dare una risposta sicura, anche perché, visti gli sviluppi di ieri della vicenda, sembra di capire che i giapponesi abbiano voluto disinnescare la bomba e gettare acqua sul fuoco. Le dichiarazioni di Mitsuzuka, infatti, sono andate nella direzione opposta di quelle di Hashimoto qualche ora prima e hanno ribadito il fatto che il Giappone farà di tutto per collaborare con gli Stati Uniti nella stabilizzazione del mercato dei cambi. La sensazione è comunque quella che Hashimoto, forse stanco di subire le pressioni (più o meno velate) di Washington a causa del crescente aumento del surplus commerciale, abbia voluto dimostrare di avere il coltello dalla parte del manico e abbia voluto fare capire che i sacrifici non devono ricadere sempre da una sola parte. […]”. La Repubblica

riporta la notizia il 26 giugno nella rassegna di stampa estera “Opinioni dal mondo”, e cita il Wall Street Journal: “Le oscillazioni di Wall Street […] sono dovute ad alcune contraddittorie posizioni giapponesi, ma devono far riflettere perché il mercato è cresciuto troppo i fretta nelle ultime sei settimane. In ogni caso, la minaccia di Hashimoto di ritirare gli investimenti nipponici se gli Usa non trovano il modo di stabilizzare il dollaro, contiene un chiaro messaggio: “La sovranità sulle nostre riserve è solo nostra”. E contiene anche la rabbia di non essere riusciti ad ottenere a Denver un accordo sulla normalizzazione dei cambi. Lo yen è sui massimi e le esportazioni giapponesi ne soffrono.” 46.

1.4 Echi dalla Thailandia Relativamente al periodo preso in esame, la Thailandia viene nominata per la prima volta il 15 maggio. L’articolo appare sul Sole 24 Ore, che per tutto il mese sarà l’unico giornale a descrivere la situazione nel paese asiatico. La notizia viene riportata a pagina 24, nella sezione “Mondo & Mercati” e titola: “Thailandia, attenti alle garanzie”47. L’autrice dell’articolo è Simonetta Acri, un’operatrice di Deutsche Morgan Grenfell, nota azienda di investimenti finanziari, e parla di una crisi che si starebbe verificando da qualche tempo in Thailandia. La Acri parte da lontano:“Il mercato finanziario thailandese ha conosciuto un lungo trend di crescita negli ultimi anni, […], tuttavia in quest’ultimo periodo, la crescita è stata rallentata da fattori congiunturali che si sono aggiunti ad altri fattori contingenti, la cui portata non può essere sottovalutata. […]”. Ci si comincia

ad accorgere che l’economia thailandese non sta andando per il meglio, specie per l’esposizione che molte società finanziarie hanno nel ristagnante settore immobiliare, oltre a miliardi di “prestiti non esigibili”. “[…] Questa crisi si è verificata mentre l’economia thailandese sta attraversando una fase molto difficile le cui cause possono essere identificate in un generale rallentamento della crescita (infatti il mercato azionario ha raggiunto il livello più basso dagli ultimi 5 anni), nel conseguente incremento del debito straniero a breve termine, nei problemi strutturali che hanno pregiudicato la competitività dei prodotti thailandesi e nella crisi dei settori finanziario e immobiliare. […]”. Tutte queste circostanze

* Non firmato, -The Wall Street Journal-, Giapponesi contro il dollaro, «La Repubblica», 26 giugno 1997, sezione “Commenti”, p. 15 47 * Acri S., Thailandia, attenti alle garanzie, «Il Sole 24 Ore», 15 maggio 1997, sezione “Mondo&Mercati”, p. 24 46

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II. La ricerca sui giornali

hanno prodotto “[…] …un peggioramento della valutazione del rischio governativo e nei rating dei debiti bancari da parte delle agenzie di rating “Moody’s” e “Standard & Poor’s”. Tale peggioramento, che riflette la qualità degli asset delle banche thailandesi e l’instabilità del sistema finanziario del paese ha messo sotto pressione il Baht… […]”. Il governo e le autorità monetarie si sono affrettati a iniettare liquidità

nel sistema finanziario, senza produrre risultati significativi ma lamentandosi con le agenzie di rating per non aver tenuto conto di questi sforzi e del fatto che il crollo delle esportazioni è secondo la loro valutazione, più dovuto a fattori ciclici che strutturali. Se non si possono ignorare i fattori ciclici, quelli strutturali risiedono nella recente salita del dollaro, attenuata solo in parte nell’ultimo periodo da un apprezzamento dello yen. Bisogna ricordare che il baht thailandese è “pegged to the dollar”, cioè mantiene cambio fisso col dollaro, e l’economia del paese, le cui esportazioni non sono costituite da prodotti ad alto valore aggiunto, ne ha risentito moltissimo. L’articolo mette infatti in guardia coloro che in Italia hanno interessi in Thailandia dall’accettare operazioni di finanziamento da banche thailandesi che non siano di prim’ordine. Emergono alcuni elementi significativi: 1. La fragilità del sistema finanziario thailandese, che oltre a versare in una situazione difficile, data l’esposizione verso il ristagnante settore immobiliare, è aggravato da fragilità strutturali 2. Il rallentamento dell’economia, con il calo delle esportazioni, dovuto a fattori congiunturali non ben specificati 3. L’attacco alla valuta nazionale dopo i pessimi verdetti delle agenzie di rating. Le raccomandazioni di cautela per chi investe in Thailandia vengono seguite da notizie sugli attacchi speculativi alla moneta. Il 16 maggio, nella sezione “Economia internazionale”, Il sole 24 Ore titola: “Aiuti alla Thailandia, il baht recupera terreno” 48. Il ritmo è al cardiopalmo, molto diverso dall’articolo precedente. “La banca centrale thailandese per ora ha vinto. E’ stato respinto l’attacco speculativo contro il baht che mercoledì aveva portato la valuta thailandese a 26,30 sul dollaro. Dopo la decisione dell’istituto centrale di alzare i tassi di interesse a breve, ieri il baht è rimbalzato fino a raggiungere quota 25,40, il livello massimo degli ultimi sei mesi. La banca ha anche ammesso di aver venduto dollari per mantenere basso il baht, ma ha preferito non quantificare l’intervento. […]”. Il fatto che

la banca centrale abbia preferito non rendere nota la quantità di denaro speso, è chiaramente dovuto alla necessità di non lasciar trapelare informazioni sulle proprie riserve. Per non rinunciare all’ancoraggio col dollaro, la banca deve infatti appianare gli squilibri di prezzo tra

* Non firmato, Aiuti alla Thailandia, il baht recupera terreno, «Il Sole 24 Ore», 16 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 48

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L’inizio della crisi

le due monete ponendo mano a ingenti riserve (il dato conosciuto è che la banca centrale sta impiegando risorse per un milione di dollari al giorno). Ma per quanto grandi, queste sono limitate, e una volta che l’ancoraggio non sia più sostenibile, l’unica via di uscita è lo sganciamento dal dollaro e l’obbligata svalutazione. Su questo puntano gli speculatori. L’articolo cita infatti che “[…] Nelle ultime settimane erano circolati indiscrezioni secondo le quali il finanziere Gorge Soros si stava apprestando a un attacco contro il baht […]”. In via cautelativa, altre

banche centrali dei paesi vicini, Singapore, Hong Kong e Malesia, sono intervenute in difesa del baht. “[…] Il premier Chavalit ha dichiarato di avere chiesto anche l’intervento della Banca centrale giapponese, ma Tokio non ha confermato, definendosi però “molto sollevata” per il rimbalzo di ieri”.

Il giorno seguente, 17 maggio, continua la preoccupazione. Nonostante la crescita si mantenga intorno al 5%, il forte rallentamento, specie dell’export, ha causato turbolenze nei mercati, cui è seguita la crisi di fiducia degli investitori. Nella sezione “Borse internazionali” Il Sole 24 Ore, il 17 maggio 1997 titola: “Thailandia in caduta libera”.49 “[…] La crisi che dall’inizio dell’anno si è abbattuta sulla borsa di Bangkok non accenna infatti ad arrestarsi e anzi sta cominciando a far sentire i suoi effetti destabilizzanti sui mercati limitrofi del Sud Est asiatico. Sono sempre più numerosi, infatti, gli operatori che si chiedono se la crisi immobiliare che ha scaraventato in profondo rosso i conti delle banche di una delle economie emergenti più attive possa ripetersi altrove. E le potenzialità destabilizzanti sono enormi… […]”. Rispetto alla speculazione valutaria: “[…] La valuta locale, il baht, continua ad essere estremamente instabile , in seguito ai continui attacchi della speculazione internazionale, nonostante i ripetuti interventi di sostegno della banca centrale thailandese e l’affermazione che non ha alcuna intenzione di provvedere a una svalutazione della moneta”. La Banca centrale spera cioè attraverso le azioni di

difesa e le dichiarazioni di intransigenza rispetto a una possibile svalutazione, di scongiurarne il pericolo. Nel mese di giugno Repubblica e il Corriere della Sera non riportano notizie dalla Thailandia nemmeno negli inserti dedicati all’economia. Il Sole 24 Ore riporta il 20 giugno le dimissioni del ministro delle finanze thailandese Amnuay Viravan50. Mentre le autorità ufficiali vorrebbero far passare le dimissioni del ministro delle finanze come il frutto di una crisi politica annunciata e quindi stemperare le preoccupazioni riguardo agli indirizzi della politica economica del governo, i mercati “reagiscono male”. C’è stata infatti “[…] un’ondata di vendite da parte di investitori preoccupati per la direzione della politica economica. L’indice ha chiuso in ribasso del 3,76% a quota 464,77. La valuta thailandese ha invece recuperato terreno dopo un crollo iniziale ha chiuso sul mercato offshore a 25,150 per dollaro dopo u picco di 27,500, dovuto al timore di una svalutazione. Il baht è stato oggetto di una serie di attacchi speculativi egli ultimi tempi, ma la banca di Singapore ha ribadito * Non firmato, Thailandia in caduta libera, «Il Sole 24 Ore», 17 maggio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 50 * Non firmato, Thailandia, mercati in crisi dopo le dimissioni del ministro, «Il Sole 24 Ore», 20 giugno 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 49

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II. La ricerca sui giornali

che continuerà a sostenerlo.[…]”

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. Pare che il ministro si sia dimesso in seguito a una lotta

interna alla coalizione di governo e alla bocciatura della sua proposta di aumentare i dazi per ridurre il deficit di bilancio, ma in fondo all’articolo viene descritta senza mezzi termini la crisi in cui versa la thailandia: “[…] La Thailandia sta attraversando la peggiore crisi dell’ultimo decennio: le esportazioni sono crollate, consumi e investimenti hanno subito un rallentamento e le previsioni di crescita per quest’anno variano tra il 3 e il 5%, contro il 6,4% del ’96. Gli analisti concordano che la scelta del nuovo premier, annunciata oggi, sarà determinante per l’andamento dei mercati. Un ministro giudicato troppo debole per affrontare la crisi economica farebbe precipitare Borsa e baht”.

Voci sulla precarietà della situazione thailandese erano già apparse sul Sole 24 Ore il mese precedente, il 15, 16 e 17 maggio delineando una situazione preoccupante. Nell’articolo del 16 maggio si dichiarava: “[…] A ribaltare la situazione (la svalutazione del baht, n.d.r.) hanno contribuito le assicurazioni da parte del premier Chavalit Yongchaiyudh che non ci saranno cambiamenti nel team economico del governo e che il ministro delle finanze Amnuay Viravan resterà al suo posto. […]”. Appena un mese dopo, il ministro perde il suo posto. Di fronte alla diminuzione

del tasso di crescita, unico valore forse in grado di rassicurare i mercati, la fragilità finanziaria del paese comincia a scricchiolii sinistri, amplificati dall’incapacità (o impossibilità) politica di tener fede ai proclami circa le politiche economiche. Nella sezione dedicata alle borse internazionali della sezione “Finanza & mercati” sul Sole 24 Ore del 21 giugno52, si scrive che: “Resta fortemente depressa la Borsa thailandese, nonostante la fiammata di ottimismo che ha fatto segnare all’indice Set un rialzo del 3,3% nella seduta di venerdì, sull’onda delle attese per la nomina a Ministro delle finanze di Thanong Bidaya […]. Il mercato azionario ha schiuso l’ottava a quota 480, 25 punti, un livello che rappresenta comunque un ribasso del 42% rispetto agli 831,57 punti della fine del 1996 […]”.

In sei mesi la borsa di Bangkok ha ripiegato del 42% del suo valore. Se fosse capitata una cosa simile a New York il mondo sarebbe in ginocchio. Ma tutto questo sta succedendo a Bangkok, una borsa importante per l’economia thailandese ma non certo una pilastro della finanza internazionale. Non ne sentiremo più parlare sui giornali fino allo sganciamento del baht dal dollaro, il 2 luglio.

1.5 Le elezioni indonesiane Il 30 maggio La Repubblica e Il Corriere della Sera riportano l’esito delle elezioni in Indonesia. L’articolo sul Corriere è a firma di Renato Ferraro53: “Nessuna incertezza sul vincitore delle elezioni che si sono svolte ieri in Indonesia. Il partito Golkar del presidente Suharto, che in trent’anni ha 51

Ivi * Non firmato, Continua la crisi in Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 21 giugno 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 53 * Ferraro R., Suharto sicuro del voto “Più libertà fa male”, «Il Corriere della Sera», 30 maggio 1997, sezione “Esteri”, p. 12 52

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L’inizio della crisi portato la nazione dalla povertà al miracolo economico, e che ha un pieno controllo del processo elettorale, compresa la capacità di manipolarne i risultati. L’attesa dell’esito oggi è tuttavia accompagnata da ansie e timori, perché la violenza della campagna politica, conclusasi con 300 morti indica che una parte degli indonesiani non è più disposta a subire brogli e prepotenze. […] Golkar, esercito e burocrati hanno orientato il voto in ogni villaggio grazie a una macchina elettorale gigantesca”. L’Indonesia non è certo un modello

di democrazia, e le dichiarazioni del presidente Suharto riportate dal Corriere fanno riflettere sulle relazioni tra sistema politico e mercato. Egli afferma infatti: […] “E’ vero –ha riconosciuto– la nostra democrazia non è perfetta, ma può solo migliorare poco alla volta, in parallelo con la modernizzazione economica. […] Non si può lasciare spazio al dissenso, chi critica il mio governo non capisce quanto è fragile l’Indonesia. La stabilità è necessaria in un paese che è un mosaico di etnie, culture, lingue, fedi.”. Ferraro, dando voce agli oppositori, obbietta che forse è proprio la tendenza alla

repressione di ogni opinione diversa la causa dell’instabilità indonesiana. Anche La Repubblica, il 30 maggio si unisce al coro di critiche contro il governo indonesiano per l’andamento delle elezioni, ma vi dedica un piccolo spazio nella parte alta della pagina. Prevale un tono asettico, che spiega la situazione dei partiti in lizza, riportando le violenze accadute e descrivendo la tempistica per la composizione del nuovo governo, che certamente avrà ancora come premier Suharto. Il Sole 24 Ore dedica alle elezioni indonesiane due articoli, il 29 e il 31 maggio, cioè il giorno stesso del voto e due giorni dopo. L’articolo di Calcaterra del 29 presenta l’Indonesia come un paese che ha bisogno di riforme e il leader Suharto come un vecchio satrapo54. “[…] la sensazione è che Suharto stia perdendo di vista una visione strategica del paese in favore di una politica da tardo impero, e che si stia arroccando sempre più su sé stesso. Favorendo la famiglia (che ha ammassato fortune per 10 miliardi di dollari) e sempre meno l’amalgamarsi del paese in un’unica vera nazione. I problemi sociali dell’Indonesia sono infatti stridenti. La distribuzione della ricchezza è iniqua, così come iniqui sono i privilegi per favorire lo sviluppo di certe zone e di certe isole. […] Di sicuro c’è da fare molta attenzione per il futuro e il rischio Indonesia è cresciuto. Non a caso gli investimenti dall’estero si sono fatti più cauti (anche se nella vicina Singapore non appaiono affatto allarmati), in attesa di un segnale politico chiarificatore. […]”.

Mentre la Repubblica e il Corriere non riportano più articoli sulla situazione indonesiana, il Sole 24 Ore il 31 maggio commenta il risultato delle elezioni55. “[…] C’è qualcosa di artefatto e di pilotato nelle elezioni indonesiane mentre restano immutate le incognite che gravano sul paese. […]”. Il Golkar, partito del presidente Suharto ha infatti vinto col 74% dei voti. Una

percentuale che ha superato le aspettative ma che risulta falsata da brogli elettorali, tanto che “[…] Dagli Stati Uniti è arrivata ieri una critica ufficiale: il dipartimento di stato ha definito non democratico il sistema elettorale, invitando Giakarta da introdurre un “sistema politico che permetta alla vice della * Calcaterra M., Elezioni in Indonesia tra tensioni e violenze, «Il Sole 24 Ore», 29 maggio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 55 * Degli Innocenti N., Vittoria per Suharto ma pesa il sospetto di irregolarità, «Il Sole 24 Ore», 31 maggio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 9 54

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II. La ricerca sui giornali popolazione di essere sentita”. Giakarta respinge con sdegno le accuse e le (blande) pressioni dell’Occidente. Evoca, come Pechino, la frase “affari interni”, che trasforma ogni obiezione in un’inammissibile ingerenza. E soprattutto ricorda che la via asiatica alla democrazia prevede tempi diversi e assai lunghi. […]”. La messa

in evidenza delle “blande” critiche occidentali fa naturalmente da eco al fatto che “[…] I mercati ieri hanno reagito positivamente all’annuncio dei risultati, festeggiando un ritorno a un clima di stabilità. Gli investitori stranieri, decisamente cauti durante le quattro settimane di violenze pre-elettorali, sembrano pronti a un ritorno in grande stile. […]” 56. Come acutamente osservato però, anche il 74%

dei voti non basta a stabilizzare un paese scosso da tensioni etniche ed economiche. Le notizie di scontri e di violenze dall’Indonesia continueranno ad apparire sulle pagine dei tre giornali. Questi però, non seguono con costanza gli avvenimenti che accadono nel mondo, e le violenze vengono descritte come il risultato di un paese arretrato dove la scarsa democrazia e le tensioni etniche formano una miscela esotica e poco comprensibile che risalta per le violenze e i sospetti di irregolarità elettorali. Appare bislacco lamentarsi per i brogli elettorali in un paese il cui leader è salito al potere con un colpo di stato e mantiene il suo posto dal 1965 (rieletto ogni 5 anni dal 1973). Dietro l’aggettivo “blande” riferito alle pressioni occidentali e americane, c’è il fatto, sottaciuto da tutti i giornali, che proprio gli Stati Uniti sostennero il colpo di stato di Suharto e contribuirono alla crescita economica dell’Indonesia nei decenni seguenti. Del resto, se il leader indonesiano è ritenuto un pericoloso tiranno, come mai i mercati hanno reagito bene alla sua ennesima rielezione?

1.6 La crisi immobiliare Quattro giorni prima delle elezioni in Indonesia, il 25 maggio 1997, il Sole 24 Ore pubblica un ampio servizio sulla crisi immobiliare nei paesi dell’area firmato Luca Vinciguerra 57. L’autore pone due esempi limite di cosa vuol dire investire nel Far East: cita gli andamenti azionari di una società di costruzioni di Shangai che ha avuto un aumento del 200% e di una industria tessile di Bangkok i cui titoli sono crollati verso le zero. Dinanzi a questi rischi, Vinciguerra identifica nei tassi di espansione e nella progressiva sofisticazione del settore produttivo e dei servizi, non ultimi quelli bancari e finanziari, buoni motivi per investire nella regione, delineando i possibili scenari futuri. “[…] I prodromi per un futuro radioso, dunque, ci sono, ma la questione resta aperta: i mercati mobiliari del Pacifico riusciranno nel lungo termine a recitare un ruolo di primi attori sulla scienza della finanza mondiale? La risposta è al bivio di due sentieri di crescita che si biforcano in direzioni opposte: da un lato uno sviluppo sostenuto da massicci investimenti

56

Ivi * Vinciguerra L., La crisi del mattone scuote il Far East, «Il Sole 24 Ore», 25 maggio 1997, sezione “Risparmio&mercati”, p. 19

57

56


L’inizio della crisi finalizzati a trasformare rapidamente questi paesi in competitori del mondo occidentale sotto il profilo industriale, finanziario e di servizio; dall’altro un’espansione tradizionale imperniata sul basso costo dei fattori e su produzioni dal basso valore aggiunto. […]” 58.

La comparazione tra la Malesia, che ha preferito incentivare gli investimenti privati puntando meno su un governo dirigista dell’economia e la Thailandia, che ha continuato a crescere in modo disordinato, esprime concretamente le due alternative. Il crollo del mercato immobiliare di Bangkok ha abbattuto la Borsa thailandese e l’effetto domino ha colpito anche la Malesia (che ha contenuto le perdite), le Filippine e l’Indonesia. La descrizione presenta caratteri di ambiguità. Gli alti tassi di crescita delle tigri hanno attirato capitali esteri, ma l’abbandono di misure dirigistiche per il controllo dei capitali da parte di paesi come la Malesia, implica che sta proprio alle banche internazionali decidere in quali settori investire. Il crollo del mercato immobiliare thailandese, cresciuto in un’economia “disordinata”, c’entra poco con la scelta di politica economica di continuare lo sviluppo basandosi su produzioni a basso costo. Ci dovremmo piuttosto riferire alla classificazione proposta all’inizio, di “prime tigri” e di “seconde tigri”. La progressiva sofisticazione dei sistemi finanziari in delle economie in crescita è inevitabile, ma siamo sicuri che sia per questa ragione che la Malesia abbia resistito meglio al calo della borsa? Ciò che appare con disarmante chiarezza è che nessuno teme davvero una grave crisi. Anzi, il rallentamento è visto come “[…] …un naturale rallentamento fisiologico che è servito e servirà a raffreddare i focolai inflazionistici. […]”59. Il Sole 24 Ore presta maggiore attenzione alle notizie

politiche ed economiche che vengono dall’Asia, mentre Il Corriere e La Repubblica, seguono in modo discontinuo gli avvenimenti nella regione.

1.7 La globalizzazione avanza Ma come la pensano i giornali sulla globalizzazione? La prima, lunga valutazione della tendenza in atto, che si muove sul binario neoliberista appare sul Sole 24 Ore già il 24 maggio. L’autore è un economista di fama internazionale: Rudiger Dornbusch60. Il professore, in una prospettiva storica analizza i due grandi filoni di pensiero sul futuro dell’economia capitalista, la “distruzione creativa” schumpeteriana, che afferma che le ristrutturazioni dei vecchi assetti ridistribuiscono il potenziale di crescita su nuove strutture che saranno in grado di garantirla ancora in avvenire, e quella “socialista”, che afferma che il 58

Ivi Ivi 60 * Dornbusch R., Il mercato genera ricchezza, «Il Sole 24 Ore», 24 maggio 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 6 59

57


II. La ricerca sui giornali

capitalismo avrebbe fatto il suo tempo perché non in grado di gestire i rapporti umani all’interno del mercato. Di seguito elenca quattro fattori determinanti la svolta che il mondo sta compiendo: 1. Il progresso tecnologico, specie le telecomunicazioni 2. La fine del comunismo, l’ascesa di nuovi mercati, la ridefinizione delle alleanze tradizionali 3. Il deterioramento delle strutture stataliste e corporativisti, compreso lo stato sociale 4. La fine dell’inflazione nei paesi industrializzati Partendo da queste premesse, arriva alla conclusione che “[…] Ci sono buone ragioni per pensare che assisteremo a un periodo prolungato di ricchezza: la liberalizzazione degli scambi commerciali in tutto il mondo, la mobilità di due miliardi di persone per uscire da mercati chiusi e penalizzati alla ricerca di fortuna e di un futuro nel commercio internazionale; una mobilità delle idee senza precedenti, la possibilità di rapportarsi a parametri di calibro internazionale; la diffusione delle tecnologie e della ricchezza anche nelle parti più remote del globo. […]”. Interessante la valutazione del nuovo quadro strategico: “[…] Oggi, in tempi di pace le vecchie potenze sono stanche di lottare, mentre quelle nuove non sono ancora pronte. Questo è l’elemento di maggiore garanzia per assicurare uno spettro di opportunità in vista di un significativo sviluppo mondiale in un’economia globale libera, aperta e competitiva.”.

Il Sole 24 Ore è l’unico giornale che nel mese di maggio pubblica riflessioni sul tema della globalizzazione. Un fenomeno assai più concreto delle analisi e aspettative “illuministe” di Dornbusch. I rapporti di forza sui mercati e gli equilibri strategici non sono passati di moda e saranno argomento di discussione al prossimo G-7 di Denver. Il Sole 24 Ore pubblica sull’argomento il 18 giugno un articolo introduttivo61. L’oggetto è una proposta degli Stati Uniti per la stabilità del sistema finanziario globale. “[…] A Denver, fra pochi giorni, in occasione del “Summit degli Otto” si introdurranno finalmente le regole per limitare il rischio di contraccolpi e di crisi improvvise derivanti dalle sfide quotidiane dei mercati globali. L’obiettivo, secondo indiscrezioni raccolte al Dipartimento al Tesoro è molto concreto: creare una serie di “supervisori” fra i membri del gruppo dei sette che si terranno in contatto diretto per accogliere i primi segnali di pericolo attraverso un fitto scambio di informazioni sulle attività delle istituzioni finanziarie nazionali. […] Il segretario del Tesoro, Bob Rubin, ha tuttavia confermato ufficialmente ieri che «durante il vertice di Denver ci concentreremo su un aumento delle attività di cooperazione in materia di regolamentazione nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali globali e stabiliremo dei principi di supervisione adeguati per i sistemi finanziari dei mercati emergenti».”

62

.

Diviene rilevante una dichiarazione di Michel Cadmessus: “[…] «Non so da dove potrà venire la * Platero M., L'occhio del G-7 sui mercati, «Il Sole 24 Ore», 18 giugno 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 62 Ivi 61

58


L’inizio della crisi prossima crisi del sistema finanziario internazionale, ma so che presto o tardi ci confronteremo con situazioni di emergenza –aveva detto–. Ma se mi chiedessero di guardare con maggiore attenzione per anticipare segnali di pericolo, allora guarderei al sistema bancario internazionale». […] Cadmessus aveva richiesto che, nell’interesse comune, i governi rendessero trasparenti molte delle loro transazioni e informassero con tempestività il Fondo in caso di un rischio di crisi di liquidità. L’obiettivo dichiarato al vertice di Denver […] è proprio quello di stringere le maglie della rete virtuale all’interno della quale si muovono ogni giorno centinaia di miliardi di dollari di transazioni. […]”. Ma assieme alla proposta di un sistema di controllo

finanziario internazionale, il confronto avviene anche sui paesi in via di sviluppo. Il 19 giugno, Alessandro Merli scrive un articolo intitolato “In difesa della globalizzazione”63, che fa il punto sulla nuova tendenza in atto e confuta, attraverso i dati delle

ricerche del Fmi, le maggiori critiche avanzate nei confronti di questo modello di sviluppo. “[…] Le economie avanzate si sono trovate a fronteggiare negli ultimi anni tre fenomeni: la contrazione dell’occupazione nel settore manifatturiero, la stagnazione dei salari reali e l’aumento delle disuguaglianze negli Stati Uniti dal 1973 in poi e il massiccio aumento della disoccupazione, a partire dai primi anni 70 in molta parte d’Europa”. «Il fatto che questi sviluppi abbiano coinciso con quello che viene comunemente ritenuto un periodo di crescita insolitamente rapida nei commerci e nei movimenti di capitale, ha alimentato la percezione – sostengono in uno studio recente Robert Rowthorn, dell’Università di Cambridge e Ramana Ramaswamy, del Fondo Monetario Internazionale – che ci sia un legame di causa ed effetto fra la globalizzazione e i problemi del mercato del lavoro nei paesi avanzati». […]” . Il Sole 24 Ore dà

comunque forza all’idea espressa da Renato Ruggiero, presidente del Wto: “[…] (le iniziative protezionistiche, n.d.r.) «Sarebbero l’equivalente in questo secolo delle pratiche buddiste […]. Le tendenze geopolitiche che sorgerebbero da questi atti di protezionismo renderebbero il mondo un luogo più pericoloso» […]” 64.

Ma la globalizzazione è costituita da un processo “irreversibile” o da una volontà politica soverchiante? E’ questa la domanda che sorge alla lettura dell’articolo del Sole 24 Ore del 21 giugno, all’indomani dell’inizio del vertice di Denver. Infatti se “[…] … la globalizzazione può offrire un forte impulso alla crescita e quindi anche alla creazione di posti di lavoro, i Governi devono però anche decidere come adeguarvi le rispettive economie, […]”, “[…] …l’amministrazione Clinton ha inteso fare del summit di Denver l’occasione per mettere in vetrina il proprio modello e reiterare le richieste al Giappone di deregolamentare la propria economia e ai partner europei di promuovere maggior flessibilità nei mercati del lavoro […]”65. Di conseguenza, si comprende bene che la maggiore

preoccupazione che spinge a creare la rete di sicurezza finanziaria: “[…] «La nostra cooperazione […] contribuirà a prevenire che uno shock finanziario in un paese straniero minacci la prosperità dei nostri»

* Merli A., In difesa della globalizzazione, «Il Sole 24 Ore», 19 giugno 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 7 64 Ivi 65 * Platero M., La parola d'ordine è globalizzazione, «Il Sole 24 Ore», 21 giugno 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 63

59


II. La ricerca sui giornali

[…]”

66

. Oltre a ciò, “[…] il G-7 chiede al Fondo monetario internazionale di raggiungere, in tempo per

l’assemblea annuale di settembre a Hong Kong, un accordo sostanziale sulla modifica dello statuto dell’Fmi stesso per dare all’istituzione di Washington un mandato specifico a promuovere la liberalizzazione dei movimenti di capitale. […]”. Malgrado i sospetti di “parzialità” che incombono sulle riforme

proposte, emerge ancora una volta che: “[...] Una maggiore attenzione dell’Fmi ai problemi del settore finanziario, che possono avere significative implicazioni macroeconomiche e alla promozione di una buona governance e trasparenza, contribuirà a prevenire le crisi finanziarie” 67.

Al vertice del G-7 emergono anche le tensioni tra Giappone e Stati Uniti. Adriana Cerretelli, del Sole 24 Ore, il 24 giugno esprime una sintesi del summit di Denver dal titolo: “L’ordine Usa regna sulle debolezze altrui”68. L’autrice scrive: “L’ordine americano regna e regnerà sul mondo perché la leadership globale degli Stati Uniti non ha uguali e nemmeno serie alternative a breve. […] E’ questo il messaggio inequivocabile scaturito a Denver: un appuntamento eccezionalmente privo di grossi contenziosi economici, un rito di più o meno allegre cooptazioni piuttosto che di plateali contrapposizioni di potenza, un vertice finito ancora prima di cominciare. Perché tutti i giochi erano già stati fatti prima e altrove. […] Ne ha dovuto prendere atto anche il Giappone, che sogna di contrapporre alla satellizzazione americana della Russia, la propria della Cina, ergendosi a gigante d’oriente, a leader dell’altra metà del cielo, delle economie aggressive ed emergenti dell’Asia. Un sogno nel cassetto per ora confinato allo scambio di qualche battuta a Denver, un sogno che a sua volta dovrà fare i conti con il solo gigante che oggi domina incontrastato la scena mondiale. […]” 69.

1.8 Il passaggio di Hong Kong Centro finanziario mondiale in cui convivono arcaismi e tecnologia, dove tra scintillanti grattacieli vanno in scena le contraddizioni di una moderna economia di mercato, Hong Kong è il luogo che sotto le vestigia coloniali britanniche ha visto realizzarsi uno dei più riusciti sistemi democratici in Asia. Nel momento cruciale del passaggio politico dall’autorità britannica a quella cinese, tutti questi elementi emergono dalle cronache del Corriere e di Repubblica durante il mese di giugno ’97. Ma perché i giornali di casa nostra, e in particolare Repubblica e Il Corriere della Sera, si appassionano tanto alla questione di Hong Kong? Unitamente alle bandiere ammainate e al requiem per l’impero inglese, in questa parte dell’Asia si gioca una partita tra giganti. La Cina è infatti ormai diventata una potenza mondiale che fa sentire il suo influsso nell’area, e Hong Kong è la “perla” economica

66

* Merli A., Una rete contro le crisi finanziarie, «Il Sole 24 Ore», 22 giugno1997, sezione “In primo piano”, p.

3 67

Ivi * Cerretelli A., L'ordine Usa regna sulle debolezze altrui, «Il Sole 24 Ore», 24 giugno 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 69 Ivi 68

60


L’inizio della crisi

attraverso cui sono passati e passano ingenti flussi finanziari e commerciali da e verso l’Asia. L’integrazione di Hong Kong appare dunque come una sfida per la Cina, che ha l’occasione non solo di “prendere il controllo” della città e delle sue risorse, ma dimostrare di fronte al mondo la sua capacità di integrare economia di mercato e rispetto dei diritti civili. Il primo articolo su Hong Kong appare su Il Corriere della Sera, il 4 giugno 1997, dove sono riportare dichiarazioni di Jospeh Yam, chief executive della Hong Kong Monetary Authority: “La regola generale sulla base della quale avviene il “passaggio di mano” è quella di “un paese due sistemi”. Nell’area monetaria, dice Yam: «significa che saremo un solo paese ma con due valute, due sistemi monetari e due autorità monetarie che saranno reciprocamente indipendenti» […]”70. Su Repubblica,

l’inserto “Affari & finanza” del 9 giugno, alla sezione “Investimenti”, mette maggiormente a fuoco lo sviluppo della borsa di Hong Kong e l’interesse della Cina a mantenerlo tale. “[…] Hong Kong si presenta dunque con le carte in regola per divenire la capitale finanziaria dell’Asia e la Cina sembra ben decisa a trarne il massimo beneficio. Non a caso la componente più dinamica della Borsa è costituita ormai dalle «red chips», ovvero da imprese quotate ad Hong Kong ma facenti capo a interessi cinesi. Negli ultimi otto mesi le quotazioni delle red chips, che rappresentano il 10% del listino sono cresciute mediamente del 70% a fronte del 20% dell’indice Hang Seng. Una blue chip di nuova quotazione, La Bejing Entrerprises ha registrato un rialzo di oltre il 21% in una sola seduta. […] Un paese dalla cultura pragmatica come la Cina farà di tutto per preservare un mercato che si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro. […]” 71.

Il giorno successivo, cominciano ad apparire sulle pagine interne al giornale, ad esempio nella sezione cultura, articoli che spiegano la lunga storia di Hong Kong, dai tempi della guerra dell’Oppio fino al suo status di porta del “paradiso” per l’Impero del Cielo. Parlando di un libro dato alle stampe in Cina, che spiega Hong Kong al grande pubblico, Renata Pisu (autrice di due lunghi articoli) afferma: “[…] Ma inutile guastare la festa, devono aver pensato gli autori di questo libro fatto apposta per la grande festa della restituzione della colonia alla madrepatria e che presenta un’immagine tanto ingenuamente osannante alle meraviglie di Hong Kong da aver contribuito a fare salire a 40 gradi quella febbre che divampa in Cina e che tutti chiamano, appunto, “la febbre di Hong Kong”. E’ una febbre che si manifesta con l’incontrollabile frenesia di andarci finalmente nella città dove la favole bella del capitalismo è diventata realtà materializzata. […]”72. Tra queste frasi si viene a sapere che “[…] A Shenzhen, la città cinese più prossima a Hong Kong, le forze di polizia sono tate rafforzate con un contingente di cinquemila uomini che hanno simulato esercitazioni con gas lacrimogeni e manganelli per tenere a bada eventuali ondate di uomini e donne contagiati dalla “febbre di Hong Kong”, la febbre di un futuro che riguarda i cinesi. […]”72

* Taino D., La muraglia di Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 4 giugno 1997, sezione “Economia”, p. 27 * Calenda F., La lunga marcia del listino, «La Repubblica», 9 giugno 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n.21, p. 21 72 * Pisu R., La febbre di Hong Kong divora la Cina, «La Repubblica», 15 giugno 1997, sezione “Cultura”, p. 30-31 70 71

61


II. La ricerca sui giornali

Ma torniamo ai dati politico-economici. Il 17 giugno, il Sole 24 Ore (nel primo di una serie di tre articoli): “[…]«Nessuno –spiega John S. Wadsworth, presidente di Morgan Stanley Asia– può sapere quale sarà in futuro l’appetito di Pechino per i capitali di Hong Kong». In teoria tutto dovrebbe rimanere come ora, un centro finanziario e commerciale indipendente, con le sue leggi, i suoi regolamenti e la sua moneta legata al dollaro statunitense. Certo è che se la Cina decidesse di cambiare politica (o entrasse in una fase economica negativa) e di drenare ricchezza e riserve della colonia, allora la situazione potrebbe radicalmente cambiare in peggio. […] Il primo obiettivo a medio termine è, a ottobre, il congresso del partito, dove una nuova generazione di politici dovrebbe salire nella gerarchia cinese e portare una nuova ondata di liberalizzazione. A Hong Kong poi, anche se non lo dicono apertamente, vorrebbero che Zhu Rongji, “zar” economico della Cina, diventasse primo ministro al posto di Li Peng. Sarebbe questo, nella sostanza, un segnale forte della volontà di Pechino di proseguire nella riforma dell’economia e di confermare il ruolo di centro finanziario-commerciale della nuova provincia. […]”

73

. E ancora, il 18 giugno, Michele Calcaterra

firma nella sezione economia internazionale il secondo articolo sugli attuali sviluppi economici dell’ex città stato. “[…] La giostra della finanza e del commercio gira a ritmi vertiginosi e nessuno, proprio nessuno, si aspetta una inversione di tendenza all’orizzonte. Nel settore immobiliare, comunque, qualche preoccupazione sta affiorando. Oltre il 40% dei prestiti complessivi erogati dal settore bancario finisce nei mattoni: una percentuale molto elevata, tanto che si sta seriamente pensando di mettere dei limiti su livelli inferiori e fare rientrare così il sistema di parte dei finanziamenti concessi. […] Del resto poi, come riferisce Timothy C. Chang di Peregrine, Hong Kong ha creato un sistema economico finanziario complessivo che dipende fortemente dal settore immobiliare e che è difficile da cambiare. […]”

74

.

Emergono dall’articolo alcuni interessanti elementi: 1. Hong Kong è una piazza finanziaria che dipende fortemente dal mercato immobiliare 2. A causa delle red chips il mercato azionario rischia di surriscaldarsi troppo, mentre le quotazioni dei titoli immobiliari sono a dei livelli da bolla speculativa 3. In rapporti di grandezza del volume d’affari, Hong Kong è un quinto di Taipei (Taiwan) e un terzo di Shangai. 4. Insieme le tre borse arriverebbero alla metà del valore giornaliero di scambi di Wall Street con un listino pari a un decimo di quello della borsa americana 5. Il dollaro di Hong Kong, legato a quello Usa, svolge un ruolo fondamentale per lo sviluppo proprio e della Cina.

* Calcaterra M., Hong Kong è già cinese, «Il Sole 24 Ore», 17 giugno 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 7 74 * Calcaterra M., A Hong Kong la giostra gira a pieno ritmo, «Il Sole 24 Ore», 18 giugno 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 73

62


L’inizio della crisi

Più ci si avvicina alla data fatidica, la notte tra il 30 giugno e il 1 luglio, più viene dato spazio non solo alle considerazioni economiche e politiche, ma agli articoli “di colore”, alle cronache che descrivono la vita quotidiana nella futura ex-colonia. Il Corriere della Sera il 20 giugno affida a Terzani T. la cronaca dell’addio. Emergono chiaramente i problemi connessi al passaggio di sovranità. “[…] …la fine del regime coloniale a Hong Kong è davvero un “ritorno all’abbraccio della madrepatria” … […]. Resta il fatto che questo abbraccio può essere mortale e che sei milioni di cinesi si sveglieranno all’alba del 1° luglio non più sudditi di Sua Maestà Britannica, ma della Repubblica popolare. […] Si teme che la Cina non rispetterà i diritti civili di cui Hong Kong ha goduto dal 1842 […]”. Terzani continua: “[…] …la sola idea che unità dell’esercito di liberazione, lo stesso che soffocò il movimento per la democrazia sulla Piazza di Tien An Men nel 1989, stiano già per installarsi nel cuore di Hong Kong, manda già dei brividi giù per tante schiene… […]” 75. Nonostante la realtà economica messa in

luce dal Sole 24 Ore faccia presagire ben altro che un pugno di ferro cinese sulla “perla d’Asia”, continua il tono liberal-nostalgico. La Repubblica il 23 giugno titola addirittura “«Mamma, arrivano i cinesi», Hong Kong scopre la paura” 76. Una ridda di aneddoti cerca di rendere

ragione di tutte le ansie e le paure degli hongkongesi, la prepotenza da parte dell’esercito cinese, le incomprensioni linguistiche, i rischi di illibertà e censura. Ma queste paure non sono egualmente ripartite tra la popolazione. “[…] In realtà tutto il passaggio è orchestrato e gestito come una grande festa di regime e tutti gli hongkongesi che hanno un business purché sia, si sentono dei santi festeggiati perché si fanno tanti soldi in questi giorni. […]”77. Il Corriere della Sera dedica al passaggio

di Hong Kong alla Cina almeno un articolo al giorno dal 25 giugno al 30 giugno, inserendo anche una sottosezione intitolata “Diario da Hong Kong” a firma di Terzani T., per un totale di sei articoli datati 25, 27, 29 e 30 giugno, 1 e 2 luglio78. Questo piccolo resoconto è intervallato da rilevanti notizie economiche. La formula ideata da Deng Xiaoping, “un paese, due sistemi”, sembra svanire miseramente sulle pagine del Corriere nell’opinione di Philip Bowring, ex-direttore del settimanale hongkongese Eastern Economic Review: “Sì –dice– Hong Kong diverrà una città cinese, ma a trarre vantaggi * Terzani T., Hong Kong, addio per sempre, «Il Corriere della Sera», 20 giugno 1997, p. 1/18 * Pisu R., “Mamma, arrivano i cinesi” Hong Kong scopre la paura, «La Repubblica», 23 giugno 1997, sezione “Mondo”, p. 13 77 Ivi 78 * Terzani T., Così i ricchi trasformano tutto in folklore. Le guardie rosse? Camerieri, «Il Corriere della Sera», 25 giugno 1997, sezione “Esteri -diario da Hong Kong-”, p. 9 * Terzani T., Lacrime inglesi per le ultime cornamuse. E io brindo alla fine dell'impero, «Il Corriere della Sera», 27 giugno 1997, sezione “Esteri -diario da Hong Kong-”, p. 9 * Terzani T., Arrivano i comunisti come a Saigon. Il potere rosso è già dappertutto, «Il Corriere della Sera», 29 giugno 1997, sezione “Esteri -diario da Hong Kong-”, p. 11 * Terzani T., L'ultima messa nella cattedrale. Il grande addio tra i ventilatori, «Il Corriere della Sera», 30 giugno 1997, sezione “Esteri -diario da Hong Kong-”, p. 12 * Terzani T., Il seme della colonia bianca, «Il Corriere della Sera», 1 luglio 1997, p. 1/7 * Terzani T., Viaggio al termine dell'ultima notte da colonia, «Il Corriere della Sera», 2 luglio 1997, sezione “Esteri -diario da Hong Kong-”, p. 9 75 76

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II. La ricerca sui giornali dall’unione sarà non chi detiene competenze e tecnologie, ma chi detiene il potere: la Repubblica Popolare. I clan politico-economici del nord poco alla volta imporranno la loro supremazia e le loro regole del gioco. È inutile illudersi che martedì (1 luglio, n.d.r.) cambi solo la bandiera” […]” 79.

Anche La Repubblica illustra le importanti modifiche dei rapporti tra Cina e Hong Kong, con un articolo di Bernardo Valli. “[…] …soltanto il sei per cento delle (551) società quotate in Borsa producono beni di consumo o attrezzature da riversare sul mercato. Tutte le altre sono società finanziarie o immobiliari o di servizi. Le fabbriche sono in Cina e gran parte di quello che viene prodotto nelle sue province meridionali passa attraverso il porto e l’aeroporto […] di Hong Kong. La città, tagliata dalla Cina, morirebbe come un ramo secco. La Cina non ha alcun interesse a sacrificare una cassaforte in cui giacciono sessantotto miliardi di dollari di riserve monetarie (cinque volte superiori alla massa in circolazione), in cui operano centottantadue banche e in cui prospera una Borsa con transazioni quotidiane che toccano in media i tre miliardi e mezzo di dollari. […] Prima ancora di mandare i soldati dell’Armata popolare di liberazione, i dirigenti comunisti vi hanno mandato i loro capitali. Hanno “comperato” Hong Kong. […]”

80

. Le

osservazioni di Valli del 27 giugno, riverberano nell’articolo del 29 sul passaggio di sovranità: “[…] Il dilemma è immediato: festa o dramma? C’è dunque una certa agitazione. Non si sa dietro a quali sorrisi si nasconda un dolore. E’ festa perché arriva la Cina, patria comune e terra in grande espansione economica che dà lavoro e ricchezza. E’ dramma perché insieme arriva un regime autoritario di non buona reputazione. […]”

81

. Infatti l’annuncio da parte della Cina dell’invio di quattromila soldati a

Hong Kong la vigilia dell’annessione, non è di buon auspicio. E viene criticato sia da Repubblica che dal Corriere 82 . Il 1 luglio 1997, Hong Kong passa ufficialmente alla Cina. L’ex governatore inglese Chris Patten lascia al nuovo governatore cinese Tung. Gli articoli si susseguono il 1 e il 2 luglio. Su Repubblica: “Bandiera rossa su Hong Kong” 83, “I soldati di Mao entrano a Hong Kong” 84, “Il primo giorno da cinese”85. Il Corriere: “Sulla storia le lacrime di Patten”86, “L’Impero è davvero finito, un trauma in diretta tv”87, “Mezzanotte, Hong Kong è cinese”88, “Il seme della colonia bianca”89, “Il mandarino

* Ferraro R., Azzardi in borsa, brividi a Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 26 giugno 1997, sezione “Esteri”, p. 10 80 * Valli B., Hong Kong, cassaforte della Cina comunista, «La Repubblica», 27 giugno 1997, sezione “Mondo”, p. 15 81 * Valli B., L'ora di Hong Kong tra festa e dramma, «La Repubblica», 29 giugno 1997, sezione “Mondo Addio a Hong Kong-”, p. 18 82 * Ferraro R., Hong Kong, la Cina spedisce quattromila soldati, «Il Corriere della Sera», 28 giugno 1997, p. 1/8 * Non firmato, Il nuovo governatore Tung: “Sì alle truppe cinesi”, «La Repubblica», 29 giugno 1997, sezione “Mondo -Addio a Hong Kong-”, p. 19 83 * Valli B., Bandiera rossa su Hong Kong, «La Repubblica», 1 luglio 1997, p. 1/4 84 * Pisu R., I soldati di Mao entrano a Hong Kong, «La Repubblica», 1 luglio 1997, sezione “Hong Kong addio”, p. 4 85 * Valli B., Il primo giorno da cinese, «La Repubblica», 2 luglio 1997, sezione “Hong Kong addio”, p. 10 86 * Ferraro R., Sulla storia le lacrime di Patten, «Il Corriere della Sera», 1 luglio 1997, p. 1/6 87 * Altichieri A., L'impero è davvero finito, un trauma in diretta tv, «Il Corriere della Sera», 1 luglio 1997, p. 1/6 88 * Ferraro R., Mezzanotte, Hong Kong è cinese, «Il Corriere della Sera», 1 luglio 1997, p. 1/7 79

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L’inizio della crisi

rosso di Hong Kong”90. Il Sole 24 Ore: “La perla d’Asia torna alla Cina”91, “Un primo passo verso un nuovo impero”92.

1.9 Il futuro dell’Asia “Un primo passo verso un uovo impero”. L’articolo del Sole 24 Ore del 1 luglio 1997, data del

passaggio di Hong Kong, delinea la scacchiera di un nuovo “grande gioco”, nel quale la Cina entra da protagonista. Una nazione che già vanta una posizione commerciale “privilegiata” con gli Stati Uniti d’America93, che si avvantaggia delle riserve monetarie di Hong Kong (anche se sono vincolate agli investimenti interni in quanto “Regione amministrativa speciale”), e che sfrutta commercialmente il meccanismo di convertibilità tra il renmimbi (la moneta cinese) e il dollaro di Hong Kong e tra il dollaro di Hong Kong e il dollaro Usa. Il 1 luglio il Sole 24 Ore scrive. “[…] Per potenza militare, capacità di ricrearsi da una generazione all’altra e inventiva tecnologica, anche gran parte del prossimo continuerà ad essere un secolo americano. Ma sempre di più sarà anche un secolo cinese. […]”94. La ricerca di similitudini per il passaggio di Hong Kong

alla Cina non si rivolge solo al passato (“[…] Come la Spagna di Isabella e Ferdinando quando liberarono Granata dai Mori o gli italiani quando arrivarono allo spartiacque alpino. […]”95) ma diventa

esso stesso il modello di riferimento per le successive “riunificazioni” con la colonia portoghese di Macao e dell’ex nemico: Taiwan. Proprio sulla questione Taiwan si aprono discussioni sui nostri giornali. Lo status economico dell’ex-Cina nazionalista è da far invidia a Hong Kong e l’isola è annoverata tra le “Tigri” del Sud Est asiatico. Nell’isola, il rinnovo delle facilitazioni economiche alla Cina da parte degli Stati Uniti

("[...]...superando così il

problema connesso ai diritti umani […]”96), è fonte di preoccupazione. Questo il 2 luglio, mentre la

Repubblica, a fianco dell’articolo “Il primo giorno da Cinese”, scrive, interpretando le dichiarazioni dei leader comunisti: “E ora tocca a Taiwan”. “Se ancora c’erano dubbi sul significato che la Cina attribuisce al ricongiungimento di Hong Kong alla madrepatria, ieri il primo ministro cinese Li Peng ha reso nota la sua opinione: anche l’isola di Taiwan dovrà essere riunificata, dopo che Macao, colonia

Vedi p. 63, nota78, Terzani T., Il seme della colona bianca * Ferraro R., Il mandarino rosso di Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 2 luglio 1997, sezione “Esteri”, p. 8 91 * Calcaterra M., La perla d'Asia torna alla Cina, «Il Sole 24 Ore», 1 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 92 * Tramballi U., Il primo passo verso un nuovo impero, «Il Sole 24 Ore», 1 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 93 * Valsania M., Clinton vuole rinnovare alla Cina lo status di nazione più favorita, «Il Sole 24 Ore», 21 maggio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 * Calcaterra M., Per il business un futuro color rosa, «Il Sole 24 Ore», 1 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 94 Vedi nota92 95 Ivi 96 Vedi nota94 89 90

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II. La ricerca sui giornali portoghese, sarà stata riassorbita nel 1999, secondo accordi già da tempo perfezionati. Quindi la riacquisizione di Hong Kong non è che la prima tappa del processo di ricostituzione della Grande Cina entro i confini che conobbe all’epoca della sua massima espansione territoriale, cioè nel XVIII secolo. [...]”. Repubblica però

focalizza la situazione e afferma, il 4 luglio, che “[…] …gli interessi di Taiwan sono ormai troppo legati a quelli della Cina, al punto che si può parlare di una «interdipendenza». Ma paradossalmente quello che più si teme a Taipei è che la formula “un paese due sistemi” funzioni a Hong Kong perché allora, come mi diceva giorni fa un deputato del partito pro-indipendentista di Taiwan, “la pressione internazionale nei nostri confronti crescerebbe, ci chiederebbero di adeguarci anche noi […]”97. Il Sole 24 Ore il 2 luglio,

all’interno dell’articolo “Taiwan come Hong Kong”, riportato nella sezione “Politica ed economia internazionali”, pubblica un pezzo di Ugo Tramballi che titola “Ma la riunificazione non è certo per domani”. Mettendo in evidenza che al di là delle similitudini con Hong Kong e dell’attesa per i

risultati degli accordi sul mantenimento dello status economico e politico della città, Taiwan è altra cosa, con un entità statuale ben strutturata e una popolazione di 21 milioni e mezzo di abitanti. Infatti nell’articolo, un portavoce del governo taiwanese precisa: “Il modello di Hong Kong non solo non può essere applicato a Taiwan per ragioni oggettive, ma contrasta con le aspirazioni di 21 milioni e mezzo di abitanti dell’isola. […] «Taiwan è uno Stato sovrano con la sua costituzione, i suoi rapporti internazionali, le sue forze armate» […]”98. Tramballi sottolinea però i retroscena della contesa, con

Washington come “giocatore esterno” ipoteticamente pronta a scendere in campo nel caso in cui Pechino, in seguito a una dichiarazione ufficiale d’indipendenza taiwanese, decidesse di dare la parola ai militari. Emergono domande importanti riguardo al destino dell’Asia. E’ proprio vero, come sostiene Alberto Cavallari su Repubblica99 che in Asia l’occidente è “stato cancellato, spazzato via da mezzo secolo di decolonizzazioni”? La sparizione degli imperi coloniali sancirà la rinascita di un imperialismo a marca cinese nell’area, con possibili tensioni con India e Giappone? E ancora, la Cina, definita “impero di mezzo” tra Stato e mercato, sarà il nuovo modello da seguire al posto di Stati Uniti, Europa e Giappone? Posta così la questione sembra un grande risiko internazionale con vecchi soldatini di piombo a minacciare guerre e a bramare conquiste. Lo sviluppo economico della regione dipende ancora oggi da imperi dai soldati invisibili, fatti di accordi internazionali, relazioni diplomatiche, modelli di sviluppo, da relazioni commerciali e da flussi finanziari sui quali il dollaro e la Federal Reserve, hanno talvolta l’ultima parola. E’ facile lasciarsi trascinare dagli eventi e servirsi di similitudini per tracciare il futuro di un continente come l’Asia, ma

* Pisu R., Parte da Hong Kong la marcia su Taiwan, «La Repubblica», 4 luglio 1997, sezione “Mondo”, p. 16 * Tramballi U., Ma la riunificazione non è certo per domani, «Il Sole 24 Ore», 2 luglio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 99 * Cavallari A., La lunga marcia dell'impero di mezzo, «La Repubblica», 6 luglio 1997, p. 1/21 97 98

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L’inizio della crisi

abbagliati dalle luci scintillanti di Hong Kong e della nuova Grande Cina, si perdono di vista avvenimenti importanti che avvengono nell’“ombra informativa”. Mentre Repubblica e Corriere nell’ultima decade di giugno si occupano principalmente di Hong Kong e della crescita giapponese, sul Sole 24 Ore del 20 giugno 1997, appare la seguente notizia “Thailandia, mercati in crisi dopo le dimissioni del ministro”100. Il trafiletto, non firmato, descrive gli ultimi avvenimenti thailandesi. Mentre le autorità ufficiali vorrebbero far passare le dimissioni del ministro delle finanze Amnuay Viravan come il frutto di una crisi politica annunciata e quindi stemperare le preoccupazioni riguardo agli indirizzi della politica economica del governo, i mercati “reagiscono male”. C’è stata infatti “[…] un’ondata di vendite da parte di investitori preoccupati per la direzione della politica economica. L’indice ha chiuso in ribasso del 3,76% a quota 464,77. La valuta thailandese ha invece recuperato terreno dopo un crollo iniziale ha chiuso sul mercato offshore a 25,150 per dollaro dopo u picco di 27,500, dovuto al timore di una svalutazione. Il baht è stato oggetto di una serie di attacchi speculativi egli ultimi tempi, ma la banca di Singapore ha ribadito che continuerà a sostenerlo.[…]”101. Pare che il ministro si sia dimesso in seguito a una lotta interna

alla coalizione di governo e alla bocciatura della sua proposta di aumentare i dazi per ridurre il deficit di bilancio, ma in fondo all’articolo viene descritta senza mezzi termini la crisi in cui versa la thailandia: “[…] La Thailandia sta attraversando la peggiore crisi dell’ultimo decennio: le esportazioni sono crollate, consumi e investimenti hanno subito un rallentamento e le previsioni di crescita per quest’anno variano tra il 3 e il 5%, contro il 6,4% del ’96. Gli analisti concordano che la scelta del nuovo premier, annunciata oggi, sarà determinante per l’andamento dei mercati. Un ministro giudicato troppo debole per affrontare la crisi economica farebbe precipitare Borsa e baht”102. Voci sulla precarietà della

situazione thailandese erano già apparse sul Sole 24 Ore il mese precedente, il 15, 16 e 17 maggio, delineando una situazione preoccupante, come riportato nel paragrafo 1.3. Nell’articolo del 16 maggio si dichiarava: “[…] A ribaltare la situazione (la svalutazione del baht, n.d.r.) hanno contribuito le assicurazioni da parte del premier Chavalit Yongchaiyudh che non ci saranno cambiamenti nel team economico del governo e che il ministro delle finanze Amnuay Viravan resterà al suo posto. […]”103. Appena un mese dopo, il ministro perde il suo posto. Di fronte alla diminuzione

del tasso di crescita, unico valore forse in grado di rassicurare i mercati, la fragilità finanziaria del paese comincia a far sentire scricchiolii sinistri, amplificati dall’incapacità (o impossibilità) politica di tener fede ai proclami circa le politiche economiche. Nella sezione dedicata alle borse internazionali della sezione“Finanza & mercati” sul Sole 24 Ore del 21 giugno, si scrive che: “Resta fortemente depressa la Borsa thailandese, nonostante la fiammata di ottimismo che ha fatto segnare all’indice Set un rialzo del 3,3% nella seduta di venerdì, sull’onda delle attese per la 100

Vedi cap. 1, p. 53, nota50 Ivi 102 Ivi 103 Vedi cap.1, p. 52, nota48 101

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II. La ricerca sui giornali nomina a Ministro delle finanze di Thanong Bidaya […]. Il mercato azionario ha schiuso l’ottava a quota 480, 25 punti, un livello che rappresenta comunque un ribasso del 42% rispetto agli 831,57 punti della fine del 1996 […]”104.

In sei mesi la borsa di Bangkok ha ripiegato del 42% del suo valore. Se fosse capitata una cosa simile a New York il mondo sarebbe in ginocchio. Ma tutto questo sta succedendo a Bangkok, una borsa importante per l’economia thailandese ma non certo una pilastro della finanza internazionale. La Repubblica il 4 luglio si limita a riportare la notizia della crisi thailandese dal Wall Street Journal. Unicamente il Sole 24 Ore spiega l’evoluzione della situazione in Thailandia intervistando esperti di settore e monitorando la borsa di Bangkok nella sezione “Settimana finanziaria”. Il giornale il 3 luglio annuncia lo sganciamento del baht dal dollaro Usa e lo giudica un fatto positivo che permette alla Banca centrale di uscire da una situazione insostenibile nella quale avrebbe dilapidato inutilmente ingenti risorse105. Il Corriere non ne parla fino al 28 luglio, quando le dimensioni e le implicazioni della crisi non possono più essere ignorate.

104

Vedi cap. 1, p. 54, nota52 * Es. R., Economia in crisi in Thailandia. Il baht fluttuerà liberamente, «Il Sole 24 Ore», 3 luglio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 105

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2 SVILUPPO DELLA CRISI (2 luglio- 27 settembre 1997)

“La correlazione tra i mercati cresce, soprattutto quando essa è meno desiderata e cioè quando i mercati perdono” Bill Goodall (First Quadrant)

2.1 Thailandia infelix “Economia in crisi in Thailandia. Il baht fluttuerà liberamente”, così titola il 3 luglio il Sole 24

Ore. La soluzione di “sganciare” il baht dal cambio fisso con il dollaro lasciando “fluttuare” il suo valore a seconda della domanda di mercato, sembra la soluzione logica alla raffica di attacchi speculativi cui la moneta thailandese era stata vittima fin dal mese di maggio. Ma è una decisione molto sofferta che smentendo per l’ennesima volta le assicurazioni politiche sulla stabilità economica del paese (Il Sole 24 Ore aveva riportato il 20 giugno che la Banca di Singapore aveva annunciato che avrebbe continuato a sostenere il baht1) dà luogo ad una situazione assai critica dove gli speculatori e quanti scommettevano sul ribasso del baht hanno infine la meglio. Tuttavia nell’immediato questa misura è giudicata positivamente dal Giappone, dove il ministro delle finanze Mitsuzuka in una conferenza stampa, dichiara “[…] che le misure prese ieri incoraggeranno lo sviluppo dell’economia thailandese, rendendola più flessibile e sono quindi «appropriate». […]”2. L’articolo però, continua con toni preoccupati. “[…] Ma qualsiasi soluzione si trovi al problema della bilancia dei pagamenti, l’economia thailandese sembra destinata a una fase di stagnazione. […] Le previsioni aggiornate degli analisti oscillano tra il 2 e il 4%: percentuale che legittima l’uso del termine “recessione”, dato che nel 1995 l’economia thailandese era cresciuta del 8,5% e l’anno scorso 1 2

Vedi cap.1, p. 53, nota50 105 Vedi cap. 1, p. 68, nota

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II. La ricerca sui giornali del 7,2%. Resta anche l’incognita di come reagiranno gli investitori stranieri di fronte a una prospettiva di instabilità e in assenza di tassi di interesse abbastanza alti da compensare il rischio dei tassi di cambio. […]”3.

La conclusione contiene un avvertimento implicito: “[…] Qualche Cassandra ha però espresso seria preoccupazione soprattutto per le imprese thailandesi che devono ripagare entro un anno i debiti contratti in dollari: le corporation sono esposte per oltre 45 miliardi di dollari, una cifra superiore alle riserve valutarie del paese (passate da 37,3 a 33,3 miliardi di dollari, n.d.r.). La Thailandia potrebbe trovarsi ad affrontare una crisi della bilancia dei pagamenti persino peggiore di quella messicana.”4. All’interno

dell’articolo c’è una breve analisi del campo dei possibili aiuti al paese. “[…] Ieri la banca centrale thailandese ha comunicato di avere chiesto al Fondo solo «assistenza tecnica» che l’Fmi è pronto a concedere. […] Ma se l’Fmi offrirà assistenza tecnica e nient’altro, ad offrire un aiuto più concreto penseranno con ogni probabilità istituti più vicini a Bangkok. Assicurazioni di sostegno sono arrivate ieri dalla Banca centrale giapponese, dall’Istituto centrale indonesiano e dall’autorità monetaria di Singapore.”5.

Su Repubblica, il 4 luglio, nella sezione “opinioni dal mondo” viene riportata una notizia del Wall Street Journal con titolo “La lezione della Thailandia”. “Il disastro economico della Thailandia fa riflettere sulle capacità di tenuta di un’economia che cresce forsennatamente, ma –per il Wall Street Journal– si presta ad altre riflessioni: “Per arrestare la caduta del baht, la Banca centrale ha alzato in un sol colpo di due punti il tasso di sconto fino al 12,5%. Di conseguenza i profitti delle aziende sono scesi del 60%, e la dura medicina può ridurre a zero la crescita nella seconda metà del ‘97. Bangkok sta disperatamente cercando di convincere qualche forte istituzione finanziaria internazionale ad assorbire “porzioni” dei debiti in sofferenza”6.

Sempre il 4 luglio, il Sole 24 Ore riporta notizie dall’Asia: “Pechino frena Hong Kong, Bangkok vola grazie al baht”. “[…] La piazza thailandese ha guadagnato ieri un altro 8,6%, il balzo più consistente dal ’92, dopo la decisione del governo di lasciar fluttuare liberamente il baht. In due giorni Bangkok ha così recuperato il 17,5%, quanto basta a far felici gli investitori locali e tamponare in parte le perdite di quelli esteri. Tra ieri e mercoledì infatti il baht ha perso il 17% nei confronti del dollaro. E malgrado il rally degli ultimi tre giorni la borsa thailandese ha la maglia nera per performance a livello mondiale nel ’97 avendo perso in dollari il 35% del suo valore. […]”7. Ancora una volta lo sganciamento del baht appare

come una logica conseguenza della pressione insostenibile sulle riserve valutarie thailandesi, ma non si fa mistero della grave situazione dell’economia in Thailandia. Il 9 luglio, sul Sole 24 Ore appare un articolo dal titolo: “Bangkok, è morto il boom senza fine”8.

3

Ivi Ivi 5 Ivi 6 * Non firmato, -The Wall Street Journal- La lezione della Thailandia, «La Repubblica», 4 luglio 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 11 7 * Fi. R., Pechino frena Hong Kong, Bangkok vola grazie al baht, «Il Sole 24 Ore», 4 luglio 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 25 8 * Martinelli L., Bangkok, è morto il boom senza fine, «Il Sole 24 Ore», 9 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 4

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Sviluppo della crisi

L’autore, Leonardo Martinelli, evidenzia gli elementi di crisi della situazione thailandese: 1. La speculazione immobiliare “[…] in Thailandia il mattone è stata una vera follia […]. Il risveglio da questa overdose è stato duro: prima una serie di grosse società finanziarie, indebitate all’estero per alimentare il boom immobiliare, si sono trovate sull’orlo della bancarotta. Poi la settimana scorsa, il baht, la valuta nazionale si è svalutato in seguito alla libera fluttuazione. […] Un cosa è certa: il mito della corsa senza ostacoli si è incrinato. […]”.

2. Il crollo della competitività “[…] Da dieci anni Bangkok aveva abituato a tassi di crescita superiori all’8%, alimentati da un export in pieno boom. “Siamo stati un modello per gli altri paesi dell’area ed eravamo “corteggiati” dagli investitori straieri –osserva Narongchai Akrasanee, ministro del Commercio estero– . I problemi sono iniziati tra il ’94 e il ’95: siamo diventati molto meno competitivi per i costi di produzione rispetto a Paesi come la Cina, l’Indonesia e il Vietnam, soprattutto per la manodopera che in media da noi è pagata anche il triplo. Nel frattempo non abbiamo sviluppato con sufficiente rapidità le nostre infrastrutture. […]”

3. La caduta dell’export “[…] Questi problemi sono venuti a galla nella seconda metà del 1996, quando le esportazioni sono cresciute solo dello 0,4%, contro un aumento del 3,6% nel ’95. Una cattiva notizia che ha coinciso con una forte instabilità finanziaria. […]”.

4. La liberalizzazione finanziaria “[…] E dal ’91 la Thailandia ha liberalizzato completamente il mercato finanziario, eliminando qualsiasi limite alla crescita dei tassi di interesse. –sottolinea Gerard Kruithof, analista della Deutsche Morgan Grenfell di Bangkok– “È inevitabile che mantenendo un cambio fisso con il dollaro, il mercato interno dei crediti sia diventato progressivamente più caro di quello estero”.

Nonostante tutti questi segnali, Martinelli fa notare che la Thailandia sarebbe comunque in linea ai parametri di Maastricht, e dato che essa è considerata un paese con un forte tasso di risparmio interno, il periodo di turbolenza viene visto “[…] più come una messa in guardia che altro. Contro i crediti facili e gli investimenti troppo spregiudicati.” 9. Fonti governative però affermano che il

paese potrebbe aver bisogno di crediti all’estero per 20 miliardi di dollari. Ma mentre le notizie dalla Thailandia continuano a peggiorare, gli altri paesi asiatici non sembrano ancora compromessi.

9

Ivi 71


II. La ricerca sui giornali

2.2 Segnali di crisi Il 4 luglio la Borsa di Hong Kong reagisce bene ai mercati dopo l’integrazione cinese. Anche a Hong Kong non si fa mistero che il settore immobiliare sia il maggior traino dell’economia e che spinga a un aumento costante dei prezzi. Gli ammonimenti del nuovo governo di Hong Kong per l’eccessivo rialzo dei prezzi, hanno causato un ribasso nell’indice del settore. “[…] I titoli di questo settore hanno così aperto la nuova era in decisa flessione, spingendo l’Hang Seng (su cui pesano moltissimo) in calo dello 0,9%, con l’indice di comparto che ha lasciato sul terreno il 3,4%. La giornata nera del mattone è stata però ammortizzata dall’entusiasmo per le Red Chips, le azioni di aziende che operano direttamente in Cina. […] Vista la reazione composta di ieri, gli analisti rimangono ottimisti sul futuro della Borsa di Hong Kong: “Se non saranno prese drastiche misure anti-speculative sul settore immobiliare, anche il downside di questo settore sarà limitato” ha detto ieri Alfred Lo, della Impac asset Management. […]” 10.

Cosa siano le red chips e da quale meccanismo siano generate, lo spiega un articolo del Corriere della Sera del 7 luglio, “Azioni rosse”. “[…] Red chips sono state chiamate quelle azioni di società che hanno origine nella Repubblica Popolare cinese, quindi formalmente comuniste, ma sono quotate alla borsa della ex-colonia. Per il momento la loro caratteristica è piacevole: crescono di prezzo continuamente, molto più di quelle capitaliste. Dall’ottobre scorso l’indice Bloomberg delle red chips è salito di circa il 70 per cento, l’indice generale Hang Seng della Borsa del 20%. [...] Sono i titoli del momento: i prezzi salgono e in certi giorni costituiscono fino al 40 per cento del volume d’affari. Insomma a Hong Kong prima prosperarono le hongs, società commerciali controllate dagli inglesi. Poi, dagli anni ’70, furono i giorni dei cinesi espatriati che avevano costruito fortune e iniziarono a quotare le loro società in Borsa […]. Questo, infine, è il momento delle azioni rosse, meglio ancora, della scommessa sull’economia della Repubblica Popolare. A dire il vero, la febbre da Fattore Cina in questi giorni a Hong Kong va oltre. Sembra che soltanto quello che è accarezzato dal regime di Pechino possa avere successo. […]”11. Nonostante l’euforia, il Corriere riporta le analisi della

società di ricerca Indipendent Strategy: “[…] (la Indipendent Strategy, n.d.r.) non crede che, per la Borsa nei prossimi mesi la transizione sarà indolore: prevede anzi che l’indice Hang Seng, che nei giorni scorsi ha toccato il massimo storico sopra quota 15 mila, scenda attorno a 10 mila nel giro di un anno anche se il passaggio sarà tranquillo. Se dovessero esserci problemi politici seri e la Hong Kong Monetary Authority dovesse alzare i tassi di interesse per difendere l’ancoraggio del dollaro della città alla valuta americana (in vigore dagli anni ’80), la previsione di Indipendent Strategy è che il crollo possa addirittura arrivare sotto quota 5 mila. […]” 12 .

L’articolo del Sole 24 Ore riporta però anche le notizie da Bangkok dopo la decisione di “sganciare” il baht dal dollaro. “Pechino frena Hong Kong. Bangkok vola grazie al baht” , cita il titolo, infatti “[…] La piazza thailandese ha guadagnato ieri un altro 8,6%, il balzo più consistete dal ’92, dopo la 10 11

Vedi p. 70, nota 7 * Taino D., Azioni rosse, «Il Corriere della Sera», 7 luglio 1997, sezione “CorrierEconomia”, anno IX, n.24, p.

1 12

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Ivi


Sviluppo della crisi decisione del governo di lasciar fluttuare liberamente il baht. In due giorni Bangkok a così recuperato il 17,5%, quanto basta a far felici gli investitori locali e a tamponare in parte le perdite di quelli esteri. Tra ieri e mercoledì, infatti, il baht ha perso il 17% nei confronti del dollaro, e malgrado il rally degli ultimi due giorni, la Borsa thailandese ha la maglia nera per performance a livello mondiale, avendo perso in dollari il 35% del suo valore. […]” 13.

Il 4 luglio il Sole 24 Ore descrive la situazione in vari paesi dell’Asia. Dall’ Indonesia: “Buone notizie su quasi tutti i fronti per l’economia indonesiana: la crescita prosegue, l’inflazione è sotto controllo e aumentano le esportazioni. L’Indonesia in aprile ha registrato un surplus commerciale di 590.5 milioni di dollari, in netto aumento sui 243,3 milioni di marzo. Unica preoccupazione è che l’export è sempre più dominato da gas e petrolio, mentre segnano il passo gli altri settori. L’inflazione è scesa anche in giugno, calando sotto il 5% a livello annuale, ampiamente al di sotto dell’obiettivo del governo di un tasso di inflazione sotto il 7% nel ’97, e questo potrebbe far scendere i tassi di interesse. La Banca Mondiale ha avvertito che nell’anno fiscale in corso, il deficit della partite correnti potrebbe raggiungere i 10,1 miliardi di dollari, pari al 4% del prodotto interno lordo.” 14. A Singapore, dove si vuole “[…] ridurre le imposte sulle imprese per rendere Singapore più competitiva a livello internazionale… […]. Secondo indiscrezioni, il ministro delle Finanze Richard Hu annuncerà una riduzione dell’imposta societaria di un punto al 25%. Questo per restare “attraente” all’estero: negli ultimi tempi infatti il vantaggio competitivo di Singapore in settori chiave come elettronica, servizi finanziari e telecomunicazioni è stato in parte eroso dall’emergere dei Paesi vicini. [...]”15.

Al Vietnam, dove “[…] Il deficit sarebbe quindi pari a 1,7 miliardi di dollari, in aumento sugli 1,4 miliardi del primo semestre. L’Ufficio generale di Statistica ha reso noto che mentre l’economia è cresciuta a un tasso del 9,1% nel primo semestre, negli ultimi mesi c’è stato un netto rallentamento. La produzione industriale è calata e l’obiettivo del governo di una crescita tra il 14 e il 15% non è più realistico. […]”16.

A parte l’Indonesia, (che pure lamenta un aumento della quota di materie prime e una riduzione delle manifatture sul totale dell’export) Singapore e il Vietnam sono al di sotto degli obiettivi di crescita economica.

2.3 Effetto domino Anche le Filippine, sulla cui economia il Corriere della Sera esprimeva giudizi positivi il 23 giugno17, cominciano a soffrire degli effetti finanziari del crollo di Bangkok, tanto che si parla di “spettro del Messico”, a ricordo della crisi finanziaria che colpì il paese nel 1994. Il 12 luglio il Sole 24 Ore: “[…] A dieci giorni dalla svalutazione “di fatto” del baht thailandese, anche le 13

p. 70, nota 7 * Non firmato, Indonesia, crescita e meno inflazione, «Il Sole 24 Ore», 4 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 15 * Non firmato, Singapore, budget di rilancio, «Il Sole 24 Ore», 4 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 16 * Non firmato, Crescita frenata in Vietnam, «Il Sole 24 Ore», 4 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 17 * Ferraro R., Manila prova a fare la tigre, «Il Corriere della Sera», 23 giugno 1997, sezione “CorrierEconomia”, anno IX, n.22, p. 21 14

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II. La ricerca sui giornali Filippine hanno dovuto gettare la spugna, abbandonando un cambio praticamente fisso sotto i colpi di una speculazione diventata insostenibile. Dopo aver bruciato in una settimana più di un miliardo di dollari e aver alzato i tassi a breve al 32% per difendere la valuta, la Banca centrale di Manila ha infatti allargato ieri all’1,5% la banda di oscillazione nei confronti del biglietto verde. […]”18 (appendice 1). Il Giappone

comincia a valutare un piano di intervento per fronteggiare la grave situazione, cercando di venire incontro alle richieste di Bangkok per un salvataggio finanziario stimato attorno ai 20 miliardi di dollari. Ma sulla valuta thailandese pesa anche il gioco degli speculatori finanziari, come riporta il Sole 24 Ore del 12 luglio19. Tanto che la decisione di sganciare il baht dal peg col dollaro, è valutata positivamente perché “[…]La Banca centrale ha giocato così sul tempo, prevenendo il formarsi di nuovi possibili attacchi. Tra gli speculatori vi era naturalmente l’immancabile George Soros. […]. Non si fa mistero del fatto che: “[…] Libertà dei movimenti di capitali e tassi di cambi fissi costituiscono un’esca irresistibile per gli speculatori, che ripetono lo stesso giuoco, vincente, in tutte le aree del globo. […]”20. Le autrici dell’articolo mettono anche in luce ciò che la svalutazione ha prodotto

o rischia di produrre: 1. Grandi perdite per le imprese con debiti denominati in valute estere 2. Squilibri valutari e il fallimento del coordinamento tra le Banche centrali della regione. Gli aiuti e le promesse della Banca centrale del Giappone e di quella di Singapore, non sono serviti a evitare alle autorità monetarie thailandesi lo sganciamento del baht. Ciò ha inoltre ha creato un precedente poco rassicurante, esplicitato dalle autrici dell’articolo nella frase: “[…] …la Banca centrale (thailandese, n.d.r.) ha sacrificato la credibilità al buon senso, […]”. Ma se non si può chiamare buon senso ciò che porta a una perdita di credibilità, dobbiamo credere che sia stata una decisione spinta da pesanti condizioni fattuali.“[…] La capitolazione di Bangkok ha infatti mandato un brivido nell’intera regione. Ci si domanda chi sarà il prossimo. Già le Filippine e Hong Kong hanno dovuto aumentare i tassi, e si dice che Manila è dovuta intervenire massicciamente a difesa della propria moneta. […]”

. Del resto, come si può difendere il valore della valuta senza dover

21

vendere le riserve di valuta estera? Si possono alzare i tassi di interesse, facendo in modo che il rischio di investimento in un paese con una potenziale svalutazione sia compensato dalla alta remuneratività dell’investimento data dai tassi di interesse. Ma gli inconvenienti di questa scelta sono specificati nell’articolo. * Soldavini P., Spettro messicano per l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 12 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 19 * Carabelli A. & Simonazzi A., La girandola degli speculatori, «Il Sole 24 Ore», 12 luglio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 32 20 Ivi 21 Ivi 18

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Sviluppo della crisi

Un innalzamento dei tassi di interesse rischierebbe “[…] di far crollare l’economia nel caso delle Filippine e il mercato immobiliare e dunque le banche nel caso di Hong Kong (che pure ha enormi riserve e un disavanzo trascurabile delle partite correnti). […]”22. Tornando al caso della Thailandia, tale

mossa causerebbe la bancarotta delle imprese con prestiti denominati in valute estere nonché la crisi del sistema bancario, legato a doppio spago al settore immobiliare. ”[…] Il ricorso al tasso di interesse, come strumento di difesa del cambio, è un’arma a doppio taglio: se da un lato, attirando capitali a breve, contribuisce a sostenere il cambio nel breve periodo, dall’altro non è in grado di scongiurare la svalutazione, perché infligge costi che sono alla lunga insopportabili all’interno. Solo in teoria le banche centrali possono discriminare tra fini dell’indebitamento: cioè tra la speculazione e i prenditori di fondi finalizzati all’investimento reale. […]”23. Nella grave situazione che si delinea, Anna Carabelli

(Università di Torino) e Annamaria Simonazzi (Università La Sapienza) sottolineano alcune note positive: 1. “[…] La cooperazione tra banche centrali e la disponibilità a introdurre controlli sui capitali, anche se nel caso specifico(Thailandia, n.d.r.) non è stata sufficiente a impedire una svalutazione, può tuttavia infliggere gravi perdite agli speculatori.

2. Queste misure, se perseguite sistematicamente da ciascun paese sotto attacco speculativo potrebbero determinare un cambiamento notevole nel clima di fiducia e nell’atteggiamento di self confidence degli speculatori, abituati a pensare di poter sempre contare su scommesse vincenti contro le banche centrali, scommesse cioè in cui essi non devono mai sopportare alcun costo. […]”24.

Sempre il 12 luglio, Il Sole 24 Ore, nella sezione dedicata alle Borse internazionali, titola “Manila replica il caso Bangkok”. Anche nelle Filippine decidono di allentare la presa del dollaro e vedono subito innalzarsi la Borsa del 7,6%. Tuttavia, questo rialzo è ben al di sotto (15% circa) del valore di fine 1996. In più “[…] La decisione della Banca centrale filippina di consentire una più ampia banda di oscillazione dei tassi di cambio tra peso e dollaro, […] sì è tradotta ieri in una flessione del 10% della valuta locale rispetto a quella americana […]”25. I rialzi della Borsa

thailandese e filippina non sono allora che lievi rallentamenti di una disastrosa ritirata. L’articolo di Repubblica del 14 luglio: “Il baht in crisi aiuta la Borsa”26, con sottotitolo “Segnali di ripresa per la Thailandia”, nonostante il titolo ottimista, lancia segnali preoccupanti.

Vengono descritti gli sviluppi della situazione thailandese dal 2 luglio in poi, citando i fattori strutturali che hanno messo in crisi l’economia e sotto attacco speculativo la valuta nazionale: 22

Ivi Ivi 24 Ivi 25 * Non firmato, Manila replica il caso Bangkok, «Il Sole 24 Ore», 12 luglio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 32 26 * Fonzi F., Il baht in crisi aiuta la borsa, «La Repubblica», 14 luglio 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 26, p. 22 23

75


II. La ricerca sui giornali 1.

“[…] I flussi finanziari di capitale dall’estero hanno favorito un aumento incontrollato degli investimenti in beni capitali, finanziati esclusivamente con l’indebitamento,

2.

mentre l’impennata dell’inflazione è andata di pari passo con il boom del comparto immobiliare.

3.

Uno sviluppo culminato in un eccesso strutturale della capacità produttiva e in un allargamento pericoloso del deficit delle partite correnti, giunto all’8% del Pil.

4.

Quando poi le esportazioni, penalizzate da fattori strutturali, come i margini in calo dell’industria tessile e congiunturali, come le difficoltà dell’elettronica, hanno segnato il passo, i nodi sono arrivati al pettine e la moneta è finita sotto pressione. […]”27.

Secondo l’autore, Francesco Fonzi, la Thailandia dovrà fare i conti con un aumento dell’inflazione (stimata in un +6%), e con un aumento dei tassi di interesse (dal 10,5% al 12,5%). “[…] Soltanto più avanti i benefici della moneta debole si faranno sentire sulla competitività delle esportazioni, rilanciando la crescita, […]” 28.

Le cause della crisi evidenziate dal Sole 24 Ore e quelle di Repubblica sostanzialmente coincidono29. Ma il Sole 24 Ore, giornale economico, dà una copertura degli eventi abbastanza seguente e completa, mentre Repubblica si limita a citazioni dei giornali internazionali nella sezione “Opinioni dal Mondo” e ad articoli complessivi che operano una sintesi degli eventi, come quello di Fonzi apparso il 14 luglio. Il grande assente in questa fase, dopo le cronache da Hong Kong, è il Corriere della Sera. Non una parola sullo sganciamento del baht, né sulla situazione thailandese. Solo il 14 luglio, in un articolo nell’inserto “CorrierE conomia” che delinea il panorama degli investimenti più promettenti, afferma che: “[…] L’imprenditore in vena di investire all’estro deve comunque tenere presente alcuni concetti base per navigare con sicurezza sui mercati oltre confine: 1) per i prossimi cinque anni, fino al 2001, i Paesi in via di sviluppo cresceranno a un ritmo pari a più del doppio –la media è del 6,5%– dei paesi avanzati (area Ocse media del 2,9%); 2) i bassi tassi di interesse delle economie forti favoriranno gli investimenti nei paesi emergenti in quanto attirati da rendimenti maggiori anche se in presenza di rischi più elevati; 3) l’affermazione dell’economia di mercato sta creando una stabilità economica livello mondiale senza precedenti. […] …l’area dell’economia asiatica resta la tigre a più alto tasso di sviluppo economico. Impressionante è la crescita del Pil della Cina che pour avendo registrato una media di oltre il 10-11% nell’ultimo quinquennio, viaggia a quota 9,5 anche verso il Duemila. «Questi dati, però, vanno presi un po’ con le molle –ammette Franco Zallio– in quanto sono basati su informazioni fornite dai singoli Paesi, anche se vagliati dal Fondo Monetario Internazionale. Ma il trend di crescita è comunque formidabile e con un basso rischio politico nonostante la morte di Deng Xiaoping. Nell’area asiatica in ogni caso, l’immagine non è fatta solo di rose e fiori: bisogna imparare a

27

Ivi Vedi p. 75, nota 26 29 Vedi p. 75, nota 26 e p. 70, nota 8 28

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Sviluppo della crisi selezionare, perché il risparmio interno e l’afflusso di capitali esteri potrebbero risultare comunque insufficienti a finanziare l’eccezionale crescita» 30.

Una visione tutto sommato molto ottimista, tanto che in una tabella a lato dell’articolo, la classifica dei migliori paesi vede in successione: Cina, Indonesia, Malaysia, Iraq, Thailandia, Filippine. Di fronte ai rischi, paventati da Repubblica (che riporta il Wall Street Journal), di crescita zero da parte della Thailandia nella seconda metà del ’9731, dove trarre considerazioni così rosee? La cosa impressiona, specie di fronte alle notizie che nel frattempo appaiono su La Repubblica e sul Sole 24 Ore.

2.4 Conseguenze politiche La crisi infatti si aggrava e cade un’altra tessera del domino asiatico. Il 15 luglio il Sole 24 Ore titola: “Sotto tiro ora è la Malesia”. Si capisce benissimo che le cose sono molto oltre le previsioni di Repubblica sui futuri vantaggi commerciali di una svalutazione della moneta thailandese. L’autore dell’articolo però prospetta una soluzione: “La crisi thailandese, quella filippina e quella delle altre nazioni limitrofe dovrà dunque essere superata lasciando sfogare il più possibile l’attuale situazione in modo da fare pulizia e da ricominciare su basi più solide. Naturalmente, ove ce ne fosse bisogno, con l’aiuto di pacchetti finanziari esterni, garantiti da nazioni quali Giappone, Stati Uniti e Unione Europea. [...]”32 (appendice 2). Il quadro descritto dal Sole 24 Ore coinvolge nella descrizione

dell’economia anche la situazione storico-politica delle Tigri citate, presentendo le conseguenze della crisi in Paesi con regimi fragili. Già le elezioni indonesiane della fine di maggio, ad esempio, avevano mostrato quanto fosse anacronistico, in un paese grande, multirazziale e con una rilevante crescita economica, il regime di Suharto. La situazione economica si complica. Le uniche soluzioni sembrano essere i pacchetti di finanziatori esterni, da parte cioè di Stati Uniti, Giappone e Unione Europea. Si fanno valutazioni per aiuti finanziari, ma intanto anche la rupia indonesiana comincia a sentire gli effetti della crisi. Sempre il Sole 24 Ore, il 22 luglio: “Dopo il baht thailandese, il peso filippino, il dollaro di Singapore il ringgit malese è stata ieri la volta della rupia Indonesiana. La valuta di Giakarta, la scorsa settimana toccata solo di striscio dal maremoto che ha investito i mercati valutari asiatici, ha perso ieri oltre il 3,3% del suo valore […]. La caduta della rupia –che durante la giornata era arrivata a calare del 6% rispetto al dollaro Usa– ha colto di sorpresa gli osservatori. La Banca centrale indonesiana infatti ha riscosso il plauso degli economisti per aver orchestrato, nell’ultimo anno e mezzo un progressivo allargamento della banda di oscillazione della moneta rispetto al dollaro Usa. Così facendo, Bank Negara

* B. R., Meglio fidarsi di Saddam, dei cinesi o delle tigri?, «Il Corriere della Sera», 14 luglio 1997, sezione “CorrierEconomia”, anno IX, n.25, p. 20 31 Vedi p. 70, nota 6 32 * Es. R., Sotto tiro ora è la Malesia, «Il Sole 24 Ore», 15 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 30

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II. La ricerca sui giornali Indonesia era riuscita –sino a ieri– a limitare il calo della rupia a meno del 3%, contro il 15% perso dal baht e il 7% di deprezzamento del peso dall’inizio di luglio. […]”33. L’autrice dell’articolo, Francesca

Mengarelli, chiarisce che non tutti i paesi asiatici soffrono le stesse condizioni economiche della Thailandia, ma che anche quelli come Singapore e Hong Kong, dove gli indicatori economici fondamentali sono in ordine, non possono considerarsi immuni alla crisi. “[…] Un esempio eclatante è quello di Singapore: il dollaro Usa è attualmente trattato rispetto a quello dell’isola-Stato ai livelli più alti dell’ultimo anno e mezzo, a quota 1,4650. E nonostante Singapore abbia accumulato un forte avanzo nella bilancia delle partite correnti (unica in Asia), gli economisti prevedono nel breve termine un ulteriore indebolimento della moneta locale, puramente causato dall’effetto domino che ha colpito quasi tutti i mercati valutari del Sudest asiatico. È per questo che neanche Hong Kong, con i suoi 63 miliardi di dollari Usa di riserve valutarie e l’ottimo stato di salute sotto il profilo macroeconomico e finanziario può considerarsi immune dalla tempesta sino a quando il peggio sarà passato. […]”

34

. Si è generato un meccanismo

perverso per cui anche i paesi “sani” economicamente, possono essere intaccati alla crisi. Tornando alle questioni politiche, vengono descritte da Nicol Degli Innocenti il 23 luglio sul Sole, in occasione del summit dell’Asean (Association of South East Asian Nations): “Il summit dell’Asean che inizia oggi avrebbe dovuto essere il festoso coronamento di trent’anni di associazione. La realizzazione di un di un duplice sogno: unire tutti i paesi del Sudest asiatico formare un’alleanza-baluardo contro la minaccia cinese, il presenzialismo americano, la potenza giapponese, la ricchezza europea. E creare nel 2000 un’area di libero scambio regionale, un grande mercato da 482 milioni di persone, più grande dell’Unione Europea, con un Pil complessivo di 600 miliardi di dollari. Invece l’Asean si trova oggi diviso e disorientato, rassegnato a dover cambiare, ma incerto sulla direzione e la portata dei cambiamenti necessari. […]” 35. Le ragioni di questa situazione si possono così sintetizzare:

1. Problemi economici: “[…] Sul fronte economico i sette paesi membri, dopo anni di crescita strepitosa, registrano una battuta d’arresto: l’export rallenta e il deficit della partite correnti si allarga. Nelle ultime settimane poi la crisi valutaria ha messo a dura prova mercati e Governi di Thailandia, in primis, seguita da Malaysia, Filippine e Indonesia. Le tigri sono state costrette a svalutare, scoprendo così di essere diventate vulnerabili. […]”.

2. Eterogeneità economica dei paesi membri e dei nuovi entrati: “[…] Ora l’ingresso dei nuovi paesi membri presenta dei problemi. L’Asean racchiudeva già Paesi dalla ricchezza e dal livello di sviluppo assai diversi, con le emergenti Filippine a un estremo e la ricchissima Singapore all’altro. L’ammissione del Vietnam, due anni fa, ha poi fatto drasticamente scendere il Pil medio pro-capite. Adesso, l’ingresso di Paesi “poveri” come Laos, Cambogia e Birmania, che sono stati “chiusi” per

* Mengarelli F., La crisi delle valute asiatiche tocca anche la rupia indonesiana, «Il Sole 24 Ore», 22 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 34 Ivi 35 * Degli Innocenti N., Asean, crisi politica dietro le valute deboli, «Il Sole 24 Ore», 23 luglio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 33

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Sviluppo della crisi decenni e non conoscono i meccanismi dell’economi di mercato, farà ulteriormente scendere il livello medio di ricchezza e presenterà problemi nuovi. […]”.

3. Problemi connessi alla democrazia politica e ai diritti umani: “[…] Finora l’Asean per raggiungere i propri obiettivi aveva rigorosamente seguito quella che si chiama la “via asiatica”, mettendo l’accento sulle somiglianze e minimizzando i problemi politici, all’insegna della “non interferenza” negli affari interni. Posizione d’altronde quasi obbligata per un’associazione che accanto a democrazie come Thailandia e Filippine, annovera tra i paesi membri la monarchia autoritaria di Brunei, la città stato paternalista di Singapore, il regime assolutista dell’Indonesia e quello comunista del Vietnam. […] La decisione di escludere la Cambogia (con un governo illegittimo e mancato rispetto dei diritti umani, n.d.r.) […] …è quindi poco coerente e rischia di ritorcersi contro l’associazione. [...]”.

Mentre le notizie sulla crisi e dall’Asia cominciano ad occupare stabilmente le pagine del Sole 24 Ore lungo tutto il mese di luglio e di Repubblica a partire dalla seconda metà del mese, il Corriere non fa menzione della crisi fino al 26 luglio. Vengono riportate però dai tre giornali notizie riguardo ai due paesi “naturalmente coinvolti” nelle soluzioni della crisi stessa, il Giappone e gli Stati Uniti. Mentre l’America, tra accelerazioni e lievi rallentamenti, assiste alla corsa della propria economia, il Giappone è ancora sulla strada delle riforme, scosso da scandali finanziari e da alcuni fallimenti di importanti aziende, ma continua a spingere l’export36.

36

Sugli Stati Uniti: * Non firmato, Fed e disoccupazione trainano Wall Street al record, «Il Sole 24 Ore», 5 luglio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 * Valsania M., Per la crescita degli Stati Uniti gli economisti vedono solo rosa, «Il Sole 24 Ore», 8 luglio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 * Non firmato, Wall Street procede a passi alterni verso quota 8.000, «Il Sole 24 Ore», 12 luglio 1997, sezione” “Settimana finanziaria”, p. 32 * Carrer S., Wall Street polverizza quota 8.000, «Il Sole 24 Ore», 17 luglio 1997, sezione “Finanza italiana”, p. 35 * Valsania M., Sinai: A Wall Street quota 10mila nel '99, «Il Sole 24 Ore», 18 luglio 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 * Non firmato, Wall Street supera il muro degli 8.800 punti, «Il Corriere della Sera», 17 luglio 1997, sezione “Economia”, p. 19 * Taino D., Greenspan mette le ali a dollaro e Wall Street, «Il Corriere della Sera», 23 luglio 1997, sezione “Economia”, p. 19 * Cometto M. T., Borse e superdollaro macinano record, «Il Corriere della Sera», 24 luglio 1997, sezione “Economia”, p. 17 * Ferraro R., Senza ostacoli la corsa del dollaro, «Il Corriere della Sera», 26 luglio 1997, sezione “Economia”, p. 26 * Fonzi F., Occorsio E., Wall Street e la corsa del toro, «La Repubblica», 21 luglio 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n.27, p. 4 Sul Giappone: * Calcaterra M., Tokio, in netta discesa le sofferenze bancarie, «Il Sole 24 Ore», 5 luglio 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 32 * Non firmato, Gli scandali deprimono Tokio, «Il Sole 24 Ore», 5 luglio 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 → 79


II. La ricerca sui giornali

2.5 I danni del dollaro Anche negli articoli che descrivono l’andamento della Borsa americana e il rafforzamento del dollaro, traspaiono affermazioni sull’incipiente crisi asiatica. Il Corriere della Sera del 17 luglio: “[…] Il problema è che quando la moneta americana si muove fa onde alte. Alcuni economisti stanno già sottolineando che il dollaro ha ritrovato la status di moneta rifugio, per la prima volta negli anni ’90. Col risultato che tutti sono sotto pressione. Nel Sud Est asiatico la crisi è cominciata in Thailandia ma l’effetto domino delle svalutazioni ha già colpito Filippine, Malesia e Indonesia, messo in difficoltà Singapore e Hong Kong e provocato la convocazione di un vertice dei banchieri centrali della regione. […]” 37. Lo stesso concetto viene ribadito il 26 luglio: “Da Bangkok a Praga i danni della supervaluta Usa”. Dopo aver elencato le somiglianze tra ciò che sta accadendo in Repubblica Ceca e in

Thailandia, Stefano Cingolani, autore dell’articolo, afferma: “[...] Una tempesta valutaria nell’Europa Centrale […] potrà bruciare le dita ai cambisti delle grandi banche internazionali, ma è difficile che trascini i mercati mondiali. Così non è per la bufera che ha colpito il baht thailandese (svalutato di fatto il 2 luglio) e si sta abbattendo sulla rupia indonesiana, sul peso filippino, sul ringgit della Malaysia, sul dollaro di Singapore. E da qui può passare a Hong Kong e a Tokio con la velocità di un uragano del Pacifico. Il superdollaro è la causa più immediata della crisi. In primo luogo perché ha fatto salire alle stelle in termini nominali, il forte indebitamento dell’intero Sud-Est asiatico, denominato quasi tutto in valuta americana. Un effetto «contabile» dal potenziale dirompente in Paesi che hanno aumentato il rapporto tra debito e prodotto interno lordo a ritmi che non hanno precedenti nella storia dei paesi industriali. Tra il 1980 e il 1995, la Thailandia è passata dal 27,5 all’88,7%, la Malaysia dal 33 al 76,9, l’Indonesia dall’8 al 49%. [...]” 38.

Di seguito, Cingolani mette i puntini sulle i: “[…] La fuga da valute un tempo considerate fonti di guadagni ormai impossibili speculando sul marco, sul dollaro o sullo yen, deriva dal fatto che i mercati temono l’esplosione della bolla creditizia e l’ulteriore ampliamento dei deficit nelle bilance dei pagamenti. La Thailandia e la Malaysia possono diventare come il Messico nel 1994, con la differenza che questa volta non ci sono gli Stati Uniti pronti al salvataggio. Il Financial Times giudica improbabile che scoppi una crisi di fiducia così profonda e il Fondo Monetario –al quale, per la prima volta, il governo thailandese si trova costretto a ricorrere– sostiene che le pillole, per i Paesi asiatici, saranno meno amare di quelle ingoiate dall’America

→ * Calcaterra M., Il Giappone dimezzerà il deficit portandolo al 3% del Pil, «Il Sole 24 Ore», 9 luglio 1997, sezione, “Economia internazionale”, p. 8 * Calcaterra M., Giappone, partite correnti record, «Il Sole 24 Ore», 10 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 * Non firmato, Tokio, continua la corsa al surplus commerciale, «Il Sole 24 Ore», 18 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Padoan B., Gli effetti sui mercati del big bang nipponico, «La Repubblica», 14 luglio 1997, sezione “Affari&finanza”, anno XII, n.26, p. 21 * Non firmato, Il Sol Levante guida la corsa del Pil, «La Repubblica», 21 luglio 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n.27, p. 3 37 Vedi p. 79, nota 36, Taino D. 38 * Cingolani S., Da Bangkok a Praga i danni della supervaluta, «Il Corriere della Sera», 26 luglio 1997, sezione “Economia”, p. 26 80


Sviluppo della crisi

Latina. […]” 39. L’articolo fa una prima rassegna dei fattori strutturali della crisi asiatica. Dopo

aver indicato il rialzo del dollaro come causa “più immediata”, ne elenca altre tratte dalle valutazioni di P.Krugman e dalla Banca dei regolamenti internazionali: 1. Economie basate sul vantaggio comparato del costo della manodopera, derivate da “[…] un modello basato sull’espansione di fattori produttivi a basso costo e non sull’aumento dell’efficienza… […]” –Krugman–

2. Eccesso di capacità produttiva “[…] …sviluppo trainato da esportazioni che crescono a ritmi ben superiori a quelli dell’interscambio mondiale e soprattutto fondato su una sorta di “monocultura” (concentrazione produttiva in pochi settori, ad esempio l’elettronica, n.d.r.) […]” 40

3. Recessione del mercato dell’elettronica 4. Crisi dell’export (a causa dell’apprezzamento della valuta) La forza del dollaro però non risiede solo nei muscoli dell’economia americana. Il Sole 24 Ore il 29 luglio: “[…] I mercati dei cambi sono convinti che le due ragioni fondamentali della valuta Usa –il valore della crescita non inflazionistica negli Stati Uniti, confrontata ai timori della nascita di un euro “debole” e il deflusso dei capitali dal Sudest asiatico travolto da un’epidemia di crisi valutarie– non siano destinati a scomparire molto presto. […]”

41

. Mentre il Corriere della Sera indica l’apprezzamento

del dollaro come la causa “più immediata” della crisi, il Sole 24 Ore, tre giorni dopo, sottolinea come sia la crisi stessa a sostenere il dollaro, che diviene per gli investitori una “moneta rifugio”42. Ne risulta un meccanismo che si autoalimenta, con l’azione aggravante degli speculatori valutari.

2.6 Ritorno in Asia Ci siamo spinti fino al 29 luglio per descrivere la crescita dell’economia americana e il continuo rafforzamento del dollaro. È opportuno ora un piccolo passo indietro sulle pagine dei giornali per osservare le descrizioni che vengono dai paesi dell’area. Il 21 luglio Repubblica, mentre commenta la situazione di Tokio, annuncia senza mezzi termini “Tigri in crisi” e commenta il declino del “modello asiatico”43: “[…] Tra le tigri asiatiche si aggira lo spettro della crisi valutaria. Dopo un lungo braccio di ferro con la speculazione internazionale, il 39

Ivi Ivi 41 * Valsania M., Il superdollaro re dei mercati, «Il Sole 24 Ore», 29 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 42 Vedi p. 79, nota 36, Taino D. 43 * Calenda F., Big bang a Tokio, tigri in crisi, «La Repubblica», 21 luglio 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 27, p. 6 40

81


II. La ricerca sui giornali baht thailandese ha svalutato del 25% rispetto al dollaro, seguito dal peso filippino. Più contenute le perdite del ringgit malese (-3%) e della rupia indonesiana (-1,5), ma comunque indicative delle tensioni che serpeggiano sulle coste del Pacifico, […]. È il capolinea del miracolo asiatico? Gli osservatori propendono per una crisi di crescita che richiede anche correzioni del modello di sviluppo. […]”44. Fabio Calenda, autore

dell’articolo, elenca di seguito le cause della crisi: 1. Eccesso di investimenti e manodopera a basso costo a scapito di efficienza e produttività 2. Eccesso di capacità produttiva nei settori maturi e perdita di competitività 3. Mancanza di flessibilità nella gestione valutaria 4. Liberalizzazione selvaggia che ha esposto le banche a forti correnti speculative L’autore continua con toni ottimistici: “[…] Nel complesso tuttavia gli emerging Asia possiedono spalle abbastanza larghe per gestire una correzione di rotta: il risparmio privato abbonda, i bilanci pubblici sono generalmente abbastanza in ordine. Inoltre essi si avviano diventare la più vasta area di consumo del mondo […]”

45

. Nell’analisi della crisi, i fattori indicati dal Corriere della Sera il 26 luglio e

quelli indicati da Repubblica il 21 luglio, differiscono sostanzialmente su un punto: la liberalizzazione. Su Repubblica infatti viene chiamato “eccesso di liberalizzazione” l’insieme di riforme che hanno permesso l’apertura dei mercati finanziari, senza adeguate misure di controllo, rendendoli vulnerabili alla speculazione. Relativamente alla Thailandia, Gerard Kruitof, analista della Deutsche Morgan Grenfell di Bangkok, spiega sul Sole 24 Ore del 24 luglio, nello speciale dedicato al paese nella sezione “Mondo & Mercati”,gli effetti della liberalizzazione46: “[…] «Dal ’91 Bangkok aveva liberalizzato completamente il mercato finanziario, eliminando qualsiasi limite alla crescita dei tassi di interesse […] è inevitabile che mantenendo un cambio fisso con il dollaro, applicato fin dalla metà degli anni ’80, il mercato interno dei crediti sia diventato progressivamente più caro di quello estero». E così via all’indebitamento oltre frontiera, fino alla constatazione più recente che si stava costruendo troppo e che gli investimenti fatti non avrebbero reso affatto. […]”

47

.

La sezione "Mondo & mercati” è una guida agli investimenti e nella descrizione generale del paese dà voce a chi sostiene che la crisi è dovuta alla mancanza di azione decisiva da parte del governo, che anzi si sarebbe “lavato le mani” dinanzi ai debiti delle aziende private48 (appendice 3).

44

Ivi Ivi 46 * Non firmato, Banche locali poco toccate dal crack delle finanziarie, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 26 47 Ivi 48 * Non firmato, Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Mondo & Mercati”, p. 25 45

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Sviluppo della crisi

Non tutti i paesi però sembrano soffrire gli effetti economici della crisi valutaria. Ad esempio Hong Kong, che il Sole 24 Ore il 24 luglio riconferma “tigre”, grazie alla forza della sua moneta49 (appendice 4). Nell’articolo però si focalizza anche sulla Thailandia, sulle Filippine, la Malesia e l’Indonesia. “[…] Ieri è tornata in primo piano la Thailandia. La Borsa di Bangkok ha perso il 4,3% del proprio valore, scivolando a 631,28 punti sotto la pressione di risultati aziendali negativi e di un nuovo minimo della moneta thailandese rispetto al dollaro Usa. A spingere al rialzo la moneta americana è stato, secondo alcuni operatori locali, il torrente di acquisti da parte di alcune aziende thailandesi nel tentativo di proteggersi contro la svalutazione della loro moneta e per poter finanziare la restituzione di ingenti prestiti in valuta estera. In flessione anche la Borsa di Manila […], in ripresa invece Giakarta (+1%) e Kuala Lumpur (+1,6%). […]”50 .

Il 26 luglio, ancora

Il Sole 24 Ore riporta i risultati dell’incontro a Shangai dei

rappresentanti di undici Banche centrali dell’Asia e del Pacifico. I convocati hanno fatto sapere che: “Nonostante la tempesta valutaria che scuote il SudEst asiatico da oltre un mese, le economie della regione sono “fondamentalmente sane” […]” 51. Inoltre è stato annunciato il rinnovo di un patto

per lo scambio di valute tra cinque Paesi del gruppo Asean (Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia). “[…] Il patto, siglato nel 1977 e del valore attuale di 200 milioni di dollari è stato esteso per un altro anno, consentendo a ciascuna delle banche centrali signatarie di acquisire dollari usa delle altre per ovviare a eventuali difficoltà temporanee nella bilancia dei pagamenti. […]” 52. Tuttavia, Il Sole

24 Ore riporta che questo accordo non ha destato grande apprensione nei mercati e che l’assenza di misure per contenere l’ascesa del dollaro americano rende ancora inerti i destini di molte valute dell’area. Si aggiunge però un elemento importante. Dopo le notizie delle ulteriori discese del baht, della rupia, del ringgit e del peso, l’autrice, Francesca Mengarelli afferma: “[…] Né la situazione sembra in via di miglioramento sul piano macroeconomico, almeno in Thailandia: sotto la pressione degli elevati tassi di interesse imposti per frenare l’esodo dal baht, il Paese si trova infatti stretto nella morsa di una crisi di liquidità. A questo punto, secondo alcune stime, la Thailandia potrebbe aver bisogno di 10-20 miliardi di dollari per ridare fiato all’economia. Il Governo di Bangkok intanto, ha preannunciato che varerà un piano di stabilizzazione in agosto”53.

La Thailandia, dalla crisi

valutaria, sta scivolando in una crisi economica tout court. Mentre a Shangai si svolge la riunione dei rappresentanti delle banche Centrali, a Kuala Lumpur ha luogo quella dei nove ministri degli esteri degli stati aderenti all’Asean. In chiusura degli incontri viene emesso un comunicato congiunto. “[…] In esso viene espressa una 49

* Mengarelli F., Hong Kong si conferma tigre, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “In primo piano”, p.

3 50

Ivi * Mengarelli F., Economie Asean rischi dalle valute, «Il Sole 24 Ore», 26 luglio 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 52 Ivi 53 Ivi 51

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II. La ricerca sui giornali «seria apprensione» per gli sforzi «ben coordinati» di coloro che vogliono destabilizzare le monete Asean per «motivi egoistici» , minacciando la stabilità di tutte le economie Asean. […]”54. Ma il giorno seguente, il

27 luglio, emerge chiaramente su Repubblica e Il Sole 24 Ore a chi si alludeva nel comunicato: George Soros. La Repubblica e il Sole 24 Ore, riportando le dichiarazioni del primo ministro Mahathir, titolano rispettivamente: “Soros uccide il miracolo asiatico”55, “È Soros il nemico dell’Asean”56.

Il presidente malese lancia accuse forti contro il famoso finanziere di origine ungherese, credendo che gli attacchi speculativi alle monete asiatiche siano una rappresaglia per aver ammesso nell’Asean la Birmania e la Cambogia (31 maggio). Una mossa che è apparsa un po’ in anticipo sui tempi, data l’instabilità politica della prima e la violazione dei diritti umani da parte della seconda. Ma questa ammissione, secondo l’inviato del Sole 24 Ore Michele Calcaterra, “[..] è comunque un segnale preciso della volontà dell’Asean di diventare un gruppo geograficamente ed economicamente più importante. Un segnale nei confronti di Cina, Giappone e Corea del Sud che in Asia sono i partner commerciali prioritari, del fatto che l’associazione crede in un centro motore del Sud-est asiatico forte, in grado di bilanciare i rapporti esistenti nell’area e di essere concorrenziale. […]”57.

Come riportato il 24 luglio dal Sole 24 Ore58, l’ammissione della Cambogia è stata rinviata a causa dell’instabilità interna del paese. Gli Stati Uniti si oppongono però all’ingresso della Birmania nell’Asean a causa del mancato rispetto dei diritti umani. Sempre sul Sole 24 Ore del 24 luglio, si nota che: “[…] Dietro la decisione dell’Asean di ammettere Myanmar (la Birmania, n.d.r.), non c’è solo la volontà di mostrarsi indipendenti o di completare il “quadro geografico”. Ci sono anche considerazioni di carattere strategico e politico. I legami tra il regime comunista cinese e i generali birmani sono molto stretti, Rangoon è da tempo un fedele acquirente di armi cinesi e ha reagito all’annuncio delle sanzioni americane firmando un ampio accordo di cooperazione economica e commerciale con la Cina. Accogliere Myanmar nella “grande famiglia” asiatica è, secondo l’Asean, il modo migliore per sottrarla al pericoloso abbraccio di Pechino.”59. Il Corriere dà notizia dell’ammissione della Birmania il 27

luglio, nella sezione esteri: “E nove. L’Asean, l’associazione che riunisce i paesi del Sudest asiatico, si è ampliata inglobando Birmania e Laos. Sospesa l’ammissione della Cambogia dopo il colpo di stato del 5 e 6 luglio, quando il “primo” premier Ranariddh è stato esautorato dal “secondo” premier Hun Sen. […]”60.

54

Ivi * Franceschini E., Soros uccide il miracolo asiatico, «La Repubblica», 27 luglio 1997, sezione “Mondo”, p. 13 56 * Es. R., E' Soros il nemico dell'Asean, «Il Sole 24 Ore», 27 luglio 1997, p. 1/3 57 * Calcaterra M., Ammesse all'Asean Birmania e Cambogia, «Il Sole 24 Ore», 1 giugno 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 7 58 * Non firmato, L'Asean boccia la Cambogia, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 59 * Degli Innocenti N., Contro le resistenze Usa Myanmar entra nel club, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 60 * R. E., La lega asiatica accoglie la Birmania, «Il Corriere della Sera», 27 luglio 1997, sezione “Esteri”, p. 9 55

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Sviluppo della crisi

Tornando allora alle dichiarazioni di Mahathir contro George Soros, La Repubblica, il 27 luglio, scrive che queste non sono condivise dagli altri leader asiatici, in quanto, riportando le dichiarazioni del premier filippino Domingo Siazon, “[…] «Sono molti gli occidentali che stanno prendendo di mira le monete dell’Asean per trarne profitto». […]”

61

. La speculazione è sotto gli occhi

di tutti, solo non ci si accorda sui simboli. L’analisi fatta da Gianfranco Modolo su Repubblica del 27 luglio, si chiede se “[…] veramente Soros e gli altri grandi speculatori internazionali, gli Hedge funds delle Bahamas e del Lichtenstein, sono responsabili di cotanti sconquassi? Gli addetti ai lavori rispondono che la speculazione si scatena laddove trova margini per correggere situazioni monetarie insostenibili. […]” E aggiunge, dopo aver riportato le

cause scatenanti della crisi (rafforzamento del dollaro e conseguente calo delle esportazioni): “[…] Che succede ora? Il Fondo Monetario Internazionale si sta apprestando ad intervenire con prestiti e “suggerimenti” (in realtà dei diktat) per eliminare gli squilibri strutturali interni che hanno contribuito insieme al rialzo del dollaro a provocare gli sconquassi, dalle crisi immobiliari e bancarie alla crescita del debito interno, ai forti passivi commerciali. […]”62.

2.7 Primi interventi dell’Fmi Dopo aver nominato più volte un suo possibile (e talvolta auspicabile) intervento63, il Fondo Monetario si appresta a intervenire in Asia. Il Primo intervento risale al 22 luglio: un maxiprestito alle Filippine. Il Sole 24 Ore: “[...] Stanley Fischer, vicedirettore del Fmi, ha detto ieri in una conferenza stampa che sia L’Indonesia che la Thailandia potranno superare questa fase senza conseguenze troppo negative per l’economia se adotteranno le misure necessarie. […] Hong Kong e Singapore non destano preoccupazioni perché le loro valute sono “immensamente forti e non vulnerabili in alcun modo” […]. Per quanto riguarda gli altri paesi dell’area la Malaysia, ha detto Fischer, ha già adottato misure per ridurre il deficit delle partite correnti, mentre il Governo di Manila si è impegnato a perseguire una politica fiscale più rigorosa. Questo impegno è valso alle Filippine un prestito d’emergenza di 1 miliardo di dollari, annunciato ieri dall’Fmi in quello che viene considerato dagli esperti un importante “test” per verificare la capacità di fronteggiare l’instabilità dei mercati finanziari internazionali. […] Il prestito alle Filippine è un passo straordinario, seguito alle tensioni e alle crisi che si sono verificate nelle ultime settimane nel sud-est asiatico. Il prestito a Manila, richiesto dal Governo delle Filippine, servirà alla Banca Centrale locale per risollevare il valore del peso filippino, che da quando è stato lasciato fluttuare l’11luglio ha perso il 12% del suo valore. […]”64. Nell’articolo si legge che le riserve monetarie delle Filippine aumenteranno così a 11

61

Vedi p. 84, nota 55 * Modolo G., Quelle economie dai piedi d'argilla, «La Repubblica», 27 luglio 1997, sezione “Mondo”, p. 13 63 Vedi p. 69, nota 2 Vedi p. 82, nota 48 Vedi p. 80, nota 38 Vedi nota 62 64 * Mengarelli F., Maxiprestito dell'Fmi alle Filippine, «Il Sole 24 Ore», 22 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 62

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II. La ricerca sui giornali

miliardi di dollari, ma “[…] Singson (governatore della Banca Centrale filippina, n.d.r.), ha rivelato che la difesa del peso nei giorni precedenti la svalutazione era costata alla Banca centrale due miliardi di dollari.”65.

Dalle dichiarazioni di Singson il prestito di 1 miliardo di dollari da parte del Fondo, non sembra un’operazione così grande da definirla “maxiprestito”. Il Sole 24 Ore non scrive alcuna critica alla linea d’azione del Fondo Monetario, presentando anzi la richiesta di aiuto da parte della Thailandia66 come un evento recepito positivamente dai mercati, considerati alla stregua di giudici dell’economia di un paese (appendice 5). Le riluttanze della Thailandia di fronte alle condizioni del Fondo, il

riconoscimento (da parte di alcuni economisti dell’area) delle colpe degli investitori stranieri e la difesa da parte degli Usa degli operatori finanziari sono un mero oggetto di cronaca per il Sole. Si comprende inoltre come l’intervento dell’Fmi sia auspicato più dagli investitori privati che dai governi, una cosa strana se pensiamo che la responsabilità delle condizioni economiche e sociali fa capo proprio a questi ultimi. Il Corriere della Sera, il 28 luglio titola: “La febbre asiatica scuote i mercati” 67. Si comincia a parlare non più di difficoltà valutarie o economiche dei singoli stati accomunati da uno sviluppo intenso quanto fragile, ma di un vero e proprio fenomeno che appare nella sua gravità e grandezza.

2.8 Le opinioni degli esperti Dopo aver riportato le accuse contro Soros del presidente Mahathir, Il Corriere cita una dichiarazione di Jeffrey Sachs, presentato come il consulente del libero mercato nell’ex impero sovietico, il quale ammette che: “[…] l’Occidente non è senza colpe e che «bisogna riparare in fretta i ponti»”. L’articolo continua: “[..] A parere di Sachs le Tigri del Sud-Est asiatico sono vittime del fatto che le loro monete sono agganciate al dollaro e della globalizzazione dell’economia. «Il boom economico americano è così forte –ha dichiarato al New York Times– che non possono tenerne il ritmo e le loro valute ne soffrono. D’altra parte la finanza globale facilita i prestiti bancari e questi paesi s’indebitano troppo. Ci vogliono iniziative del Fondo Monetario, della Banca mondiale, degli Stati occidentali e di investitori privati». […]” 68.

Le dichiarazioni di Sachs rappresentano una critica esplicita alle misure di liberalizzazione finanziaria e imputano alla globalizzazione parte delle colpe del crack 65

Ivi * Mengarelli F., Bangkok chiede aiuto all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 29 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 67 * Caretto E., La febbre asiatica scuote i mercati, «Il Corriere della Sera», 28 luglio 1997, sezione “Esteri”, p. 11 68 Ivi 66

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Sviluppo della crisi

asiatico. A rafforzare tali opinioni, nella stessa pagina, è Milton Friedman, celebre monetarista, che intervistato dal Corriere afferma69: “[…]«… scosse di questo genere sono inevitabili nei paesi emergenti: passata la fase iniziale di sviluppo molto rapido, c’è sempre una fase di assestamento, anche dolorosa. E su di essi pesa la globalizzazione dell’economia, un fenomeno nuovo che non hanno ancora tutti i mezzi per affrontare come invece li abbiamo noi» […]”. Alla domanda sulle differenze tra il caso

del Messico del 1995 e quella dell’Asia, Friedman risponde: “[…] «Quello del Messico s’inquadrava nel grave problema del debito dei Paesi latino americani: il contagio era quasi automatico e infatti ebbe un effetto a valanga. Quello della Thailandia no: sospetto che non ci fossero buoni motivi per la fuga di capitali dal resto dall’Asean se non le speculazioni» […]”. E continua: “[…]« La mia impressione è che i loro sistemi bancari e le loro politiche monetarie siano inadeguate. Ho sentito infatti che la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno mandato sul posto équipes di esperti per valutare la situazione». […]” 70.

A breve distanza dalle dichiarazioni di Sachs e Friedman, il Corriere della Sera, il 29 luglio pubblica un’intervista a Rudiger Dornbusch, di cui vale la pena citare un breve stralcio: “[…] D: Lei attribuisce la crisi dell’Asia a cause interne. Ma le “tigri” accusano l’Occidente, la globalizzazione e gli speculatori. R: «L’Unico fattore esterno negativo sono state le forti oscillazioni tra dollaro e yen. Anche lì, però, è colpa delle “tigri”, che si sono ostinate a tenere le loro valute agganciate al dollaro, il quale resta il re perché l’economia americana va meglio delle altre, una situazione che non accenna a cambiare». D: Non c’entra la globalizzazione? R: «Globalizzazione significa accesso ai capitali, ai mercati e ai commerci internazionali. È un incentivo a competere. Sta costringendo l’Asia a modificare il suo modello di sviluppo, ma è nel suo interesse. È un’area in fase di transizione». D: E gli speculatori? Il premier malaysiano ha accusato George Soros di boicottare le valute asiatiche. R: «È un’idiozia. Soros prende a calci le porte per vedere quale si apre. Non causa, sfrutta la congiuntura. Il premier malaysiano ha peccato d’orgoglio. Non poteva pensare di placare la tempesta senza misure» […]. D: Tuttavia c’è stata una fuga di capitali dall’Asia. R: «Sa che cosa si dice degli investimenti? Che hanno la memoria da elefante, il cuore del cervo e le gambe della lepre. Non dimentichiamo, sono pavidi e scappano al primo allarme. Ma se è comprensibile per la Thailandia non lo è per gli altri paesi» 71.

* Caretto E., Ma la crisi di Bangkok non contagerà America e Europa, «Il Corriere della Sera», 28 luglio 1997, sezione “Esteri”, p. 11 70 Ivi 71 * Caretto E., Dornbusch: Europa e Giappone si diano una sveglia, «Il Corriere della Sera», 29 luglio 1997, sezione “Iin primo piano”, p. 5 69

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II. La ricerca sui giornali

Nel continuo dell’intervista Dornbusch mette a fuoco i seguenti punti: 1. Eccesso di investimenti nella regione 2. Natura a breve termine dei prestiti 3. Fragilità e obsolescenza delle banche e dei sistemi finanziari 4. Bolle immobiliari che hanno causato sofferenze bancarie 5. Passaggio da regimi statalisti al libero mercato Dornbusch prevede che per Malesia e Indonesia non ci sarà alcun rischio, mentre sarà necessario per la Thailandia un ricorso repentino al Fondo Monetario. Egli afferma: “[…] «…se avesse agito mesi fa, con un intervento coordinato delle Banche centrali dell’area in difesa del baht, le sarebbe bastato un modesto appoggio del Fondo, ciò che io chiamo un solo arredatore. Adesso di arredatori ce ne vorranno molti e subito».”72 . Certo è possibile che le Banche centrali non si siano coordinate a

dovere, ma il tentativo di difendere il baht è stato effettuato a partire dal 16 maggio73. Il sole 24 Ore a differenza del Corriere74 e di Repubblica75, forse per la copertura abbastanza continua riservata agli avvenimenti dall’Asia, non dedica spazio ad analisi di grandi personalità internazionali, preferendo gli analisti di mercato che lavorano in luogo76, nonché le analisi dei propri inviati. Agli inizi d’agosto, quando dopo un primo lieve recupero delle valute77, le incertezze thailandesi sugli aiuti del Fondo monetario faranno riprendere la discesa78, La Repubblica e il Corriere della Sera rimangono pressoché assenti dallo scenario asiatico. La Repubblica riporta solo il 1 agosto nella sezione “Opinioni dal mondo”, una notizia del Wall Street Journal: “Le Tigri e l’Albright”79. Vi si afferma che: “[…] La crisi finanziaria delle Tigri è tale che hanno accettato gli aiuti del Fondo monetario internazionale, un passo che nessuno dei paesi asiatici era disposto a compiere.”. La

gravità della crisi aumenta.

72

Ivi Vedi cap. 1, p. 52, nota 48, 74 Vedi p. 80 nota 38, p. 87 nota 69 75 Vedi p. 81, nota 43 76 Vedi p. 70, nota 8, * Non firmato, Banche locali poco toccate dal crack delle finanziarie, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione Mondo & Mercati, p. 26 77 * Fi. R., In ripresa le valute del Sud Est asiatico, «Il Sole 24 Ore», 30 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 78 * Non firmato, Valute asiatiche in calo, pesano le incertezze sugli aiuti a Bangkok, «Il Sole 24 Ore», 31 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 79 * Non firmato, -The Wall Street Journal- Le tigri e l'Albright, «La Repubblica», 1 agosto 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 11 73

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Sviluppo della crisi

2.9 Dure riforme Non è un caso che nessuno dei paesi asiatici era disposto a chiedere aiuto all’Fmi, a causa delle “condizioni” imposte dal Fondo. Nell’articolo del Sole 24 Ore del 30 luglio, che riporta la decisione thailandese di ricorrere agli aiuti del Fondo, si afferma che: “[…] Di fatto […] sarà il Fondo monetario internazionale a dirigere la politica economica thailandese nei prossimi mesi: ieri infatti il Consiglio dei ministri ha autorizzato il Governo di Bangkok a chiedere ufficialmente un prestito all’Fmi, impegnandosi ad attuare un pacchetto di misure economiche e finanziarie volte a rilanciare la sofferente economia del paese. […] Ma, per concedere il via libera agli aiuti, l’Fmi chiederà l’attuazione di severe misure economiche. A cominciare da una forte riduzione dei costi della politica, particolarmente alti in Thailandia. Il piano di austerità che potrebbe essere imposto a Bangkok dal Fondo Monetario includerà quasi certamente misure destinate a risanare la spesa corrente e a migliorare la bilancia dei pagamenti. Un prerequisito indispensabile sarà poi l’abolizione del doppio mercato valutario (domestico e offshore) finora utilizzato dalla banca centrale per prevenire speculazioni ai danni del baht. Con l’attuale sistema, la valuta thailandese ha costi più alti sul mercato offshore.” 80.

Il primo agosto arrivano altri dati sull’economia thailandese, con “[…] deficit commerciale in calo (16,8 miliardi di baht), ma più per il crollo delle importazioni (140,8 miliardi, -10,2% annuale) che per la crescita delle esportazioni (124 miliardi) cresciute appena dello 0,8% su base annuale. E le esportazioni sono sempre state il motore della crescita thailandese, e più in generale del Sud Est asiatico. In calo anche investimenti e attività industriale. Ora si attendono chiarimenti sul prestito Fmi alla Thailandia e sulle misure collegate di risanamento economico. In generale “[…] Sono tempi duri per la regione, tralasciando il baht (che si è svalutato del 13% sul dollaro in un solo giorno, il 2 luglio), in un mese il peso filippino ha perso il 10%, il ringgit malaysiano il 6% e anche il più solido dollaro di Singapore il 2%. E ieri la giapponese Fuji Bank, nel suo rapporto sulle valute asiatiche, ha previsto un agosto difficile, soprattutto se la crisi thailandese alimenterà altre manovre speculative e allontanerà gli investitori. A rischio di contagio anche gli altri paesi, in particolare l’Indonesia. […]”.81.

Quattro giorni dopo si parla di un’importante notizia al Fondo Monetario Internazionale. Viene riportato (Il Sole 24 Ore) che il consiglio direttivo della organizzazione multilaterale ha autorizzato lo staff esecutivo a un ampliamento dell’articolo 4, che spinge il Fondo ad assumere un ruolo più attivo nell’indicare ai paesi la via verso il buon governo. Ciò significa che “[…] Dal punto di vista generale il Fondo porrà maggiore attenzione alle tematiche della governabilità attraverso: 1 un approccio di più ampio respiro, sempre nel contesto dell’articolo 4 e dei programmi Fmi, a tematiche di governabilità che ricadono nel contesto del mandato e dell’expertise del Fondo; 2 un approccio più attivo nel suggerimento di politiche e nello sviluppo di istituzione e sistemi amministrativi che possono eliminare l’opportunità di corruzione, pagamento di tangenti e attività fraudolente nella gestione

* Fi. R., In ripresa le valute del Sud Est asiatico, «Il Sole 24 Ore», 30 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 81 * Es. R., Gli ultimi dati sull'economia confermano la crisi thailandese, «Il Sole 24 Ore», 1 agosto 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 80

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II. La ricerca sui giornali delle risorse pubbliche. 3 un trattamento equo per tutti i paesi membri sulle tematiche in questione; 4 un aumento della collaborazione con altre istituzioni multilaterali, in particolare con la Banca Mondiale, per meglio utilizzare aree complementari di expertise. […]”82. Nella stessa pagina, si danno maggiori

notizie del piano di aiuti messo a punto per la Thailandia. Il Fondo Monetario si impegna in credito stand-by (vincolato all’attuazione delle riforme) compreso tra i 10 e 20 miliardi di dollari83, ma il governo del paese si dovrà impegnare a “[…] varare una serie di pesanti misure di risanamento finanziario e di bilancio. In particolare, Bangkok dovrà:

1. aumentare le tasse, 2. tagliare la spesa, 3. azzerare i contributi per il contenimento delle tariffe energetiche e 4. accelerare l’attuazione del piano di dismissione delle aziende pubbliche. Altre misure concordate dalla delegazione dal Governo thailandese e dalla delegazione negoziale del Fondo potrebbero comprendere anche un piano per risanare il settore dei servizi finanziari e soprattutto l’adozione di una precisa tabella di marcia per l’abolizione del controllo sulla valuta nazionale. […] Un impegno di risanamento questo, che dovrebbe non solo mettere fine ai timori di un’imminente crisi della bilancia dei pagamenti, ma anche portare più stabilità alle valute dei paesi limitrofi […]84.

Il Sole 24 Ore è abbastanza ottimista sulle prospettive che sembra assicurare la ricetta del Fondo Monetario. Anche il Corriere della Sera, il 2 e il 5 agosto85, in due articoli dedicati al rafforzamento del dollaro, scrive alcune righe sulla notizia dell’accordo tra il Governo thailandese e l’Fmi. Aggiungendo, il 5 agosto che anche “[…] la Malaysia ha introdotto controlli su alcune operazioni a termine per frenare la speculazione. Sia il baht, la moneta thailandese, che il ringgit, la valuta malesiana, hanno recuperato sul dollaro. […]” 86. Da notare però che la Malesia non ha chiesto

l’aiuto del Fondo. Su La Repubblica non appaiono notizie dal continente asiatico fino al 3 agosto (riportando una notizia del New York Times sulla Cina) e poi fino al 17 agosto, quando parla

* Platero M., Fmi: è il buongoverno la chiave della crescita, «Il Sole 24 Ore» 5 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 83 * Plateroti A., Pronto il piano internazionale per l'operazione Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 5 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 84 Ivi 85 * Caretto E., L'uragano dollaro travolge i mercati, «Il Corriere della Sera», 2 agosto 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 * Taino D., Superdollaro e Bundesbank fanno tremare i mercati, «Il Corriere della Sera», 5 agosto 1997, sezione “Primo piano”, p. 7 86 Ivi 82

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Sviluppo della crisi

di Cina e India come dei “giganti corrotti dell’Asia”87. Nessuna notizia quindi, dopo il 29 luglio88, sulla situazione thailandese, che continua invece sulle pagine del Sole 24 Ore. Nicol Degli Innocenti è l’autrice dell’articolo del 6 agosto sul Sole 24 Ore. “La Thailandia inizia la «cura»”89. In questo articolo si specificano alcuni degli accordi tra il governo

thailandese e l’Fmi. Innanzi tutto il denaro preso a prestito dal Fondo non supererà i 12-15 miliardi di dollari e sarà integrato da prestiti di altri governi dell’area, Giappone in testa. I fondi serviranno al rafforzamento delle riserve valutarie del paese, mentre il governo dovrà: 1. “[…] aumentare l’Iva dal 7 al 10% a partire dal 14 agosto. […]” 90 2. tagliare la spesa pubblica di 100 miliardi di baht dal bilancio ‘97-‘98 3. prendere le misure necessarie per ridurre il deficit delle partite correnti al 5% del Pil entro la fine dell’anno Ma “[…] Una parte decisiva del “pacchetto” annunciato ieri riguarda il risanamento del disastrato settore finanziario. La Banca centrale thailandese ha sospeso dall’attività 42 società finanziarie, portando a 58 (su un totale di 91) le società sospese dall’inizio della crisi. […] Le società sospese hanno sessanta giorni di tempo per presentare un piano di ristrutturazione altrimenti dovranno essere assorbite da compagnie più forti. La Banca centrale si è impegnata a garantire i depositi effettuati presso gli istituti finanziari sospesi dall’attività […]”91. Verso la fine dell’articolo, l’autrice fa capire il quadro finanziario d’insieme che

circonda la Thailandia: “[…] Bangkok prende la medicina dell’Fmi, anche perché non ci sono altri medici a cui rivolgersi. Il Giappone, che ha la metà del totale degli investimenti stranieri nel paese, ha palesemente scelto di “nascondersi” dietro le possenti spalle del Fondo monetario e interverrà solo una volta concluso l’accordo con l’Fmi. L’Asean Development Bank ha fatto sapere che potrebbe aiutare la Thailandia, ma solo come “contorno” all’intervento dell’Fmi. Alcui paesi membri dell’Asean si sono detti pronti a concedere prestiti a Bangkok, ma poco più che simbolici. Resta da vedere se la fiducia del Fondo Monetario nel futuro dell’economia thailandese è condivisa dai mercati e dagli investitori. […]”92. Il tono dell’articolo toglie un

po’ di spazio all’ottimismo rispetto all’incertezza. Emergono chiaramente due elementi: 1. La solitudine economia (e politica) della Thailandia 2. L’importanza della “fiducia” degli investitori

* Valli B., Il destino di India e Cina, i giganti corrotti dell'Asia, «La Repubblica», 17 agosto 1997, sezione “Mondo”, p. 15 88 * Modolo G., Bangkok, appello al Fmi, «La Repubblica», 29 luglio 1997, sezione “Economia e politica”, p. 2 89 * Degli Innocenti N., La Thailandia inizia la cura, «Il Sole 24 Ore», 6 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 90 Ivi 91 Ivi 92 Ivi 87

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II. La ricerca sui giornali

Il giorno seguente, sempre Nicol Degli Innocenti, riporta le reazioni dell’opinione pubblica e dell’opposizione all’accordo con l’Fmi: “[…] La decisione di aumentare l’Iva dal 7 al 10% a partire da metà agosto è fortemente impopolare, mentre la chiusura di un totale di 58 società finanziare viene considerata una mossa troppo drastica che lascia comunque irrisolto il problema dei 430 miliardi di baht (quasi 14 miliardi di dollari) “bruciati” nel tentativo di salvarle. L’entità della cifra, che sfiora i 10% del Pil, ha sorpreso molti analisti ed è diventata un’altra freccia all’arco dei critici del governo. L’opposizione inoltre aspetta lumi da Chavalit sulla questione dei tagli al bilancio: […] La critica più frequente è che il Governo, che in pochi mesi ha cambiato due ministri delle Finanze e due governatori della Banca centrale, ha ormai perso credibilità: prima per non essere corso ai ripari in tempo e poi per aver accettato le drastiche misure del Fondo monetario, nonostante il costo al paese a breve termine. […]” 93. Oltre a ciò, l’articolo prosegue con la

descrizione della fragilità della coalizione di governo e con la posizione dei militari, che dal 1932 hanno tentato ben 17 colpi di Stato. In conclusione “[…] La crisi valutaria e la decisione, forzata dagli eventi, di ingoiare l’amara medicina del Fmi potrebbero portare quindi a riforme sostanziali nella gestione sia dell’economia che della politica. In questo caso si potrà dire che in Thailandia il male della crisi estiva non è poi venuto per nuocere.”94.

Ancora notizie dalla Thailandia il 12 agosto sul Sole 24 Ore: “Alla Thailandia 16 miliardi di $”. Si modifica il quadro diplomatico: “[…] Il Fondo monetario contribuirà al pacchetto per 4 miliardi di dollari, mentre il Giappone si è impegnato a concedere la stessa cifra. Australia, Malaysia, Hong Kong e Singapore forniranno un miliardo di dollari ciascuno. Corea del Sud e Indonesia, infine, interverranno con 500 milioni di dollari. Per il momento resta invece imprecisato l’ammontare del finanziamento che sarà stanziato dalla Banca Mondiale e dalla Asian Development Bank, mentre la Cina sta attivamente considerando l’opportunità di contribuire a sua volta. […]”95. Non si fa mistero del fatto che: “[…] Il pacchetto di aiuti, [...] ha un significato che va oltre l’obiettivo immediato di far uscire l’economia thailandese dalla crisi: è il più importante esempio di collaborazione fattiva nell’area. È l’Fmi a decidere le strategie e i piani di risanamento, ma è significativo che due terzi dei fondi stanziati per la Thailandia arrivino dai paesi asiatici. Il Giappone si pone sullo stesso piano dell’Fmi e torna a proporsi non solo come maggiore investitore e potenza economica nella regione, ma come coordinatore degli altri paesi asiatici. La solidarietà regionale va oltre le buone intenzioni e diventa concreta. Malaysia, Singapore, Indonesia e Corea del Sud hanno offerto contributi sostanziali, anche per evitare che torni a verificarsi “l’effetto domino” e i problemi thailandesi si riversino sui paesi vicini. […]”96. Nell’articolo però, che sintetizza le notizie precedenti, si fa

risalire la crisi thailandese al 2 luglio, data della “liberalizzazione del baht”. In seguito a quella decisione “[…] In poche settimane, la divisa thailandese ha perso circa il 20% del suo valore, costringendo la Banca di Thailandia ad intervenire ripetutamente sul mercato con le proprie riserve. Alla crisi valutaria si è accompagnato poi il disastro delle società finanziare, che hanno pagato duramente il crollo del * Degli Innocenti N., Thailandia, la difficile fuga dalla crisi, «Il Sole 24 Ore», 7 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 94 Ivi 95 * Degli Innocenti N., Alla Thailandia 16 miliardi di $, «Il Sole 24 Ore», 12 agosto 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 96 Ivi 93

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Sviluppo della crisi mercato immobiliare. Per sostenerle, l’istituto centrale thailandese ha versato circa 430 miliardi di baht nel sistema (oltre 14 miliardi di dollari), senza però riuscire ad arrestarne la caduta. […]”97. La seguente

affermazione nulla toglie alla presunta necessità di svincolare il baht dal dollaro sotto la pressione degli speculatori e di un cambio insostenibile, ma ciò che sembrava una soluzione al problema dell’erosione delle riserve monetarie e veniva salutato con soddisfazione dal ministro giapponese Mitsuzuka98, si è dimostrato alla fine una sconfitta. I dati dell’economia thailandese confermano infatti che il deprezzamento della moneta ha contribuito più a far calare i consumi interni che crescere le esportazioni99. Con la conseguenza di aver reso gli aiuti dell’Fmi non solo auspicabili100, ma assolutamente necessari.

2.10 Visioni della globalizzazione Il 5 agosto, cioè una settimana prima dell’annuncio da parte del sole 24 Ore del prestito a Bangkok, La Repubblica presenta un articolo di Giorgio Ruffolo che fa un commento sulle tendenze della globalizzazione e sulla finanziarizzazione dell’economia. Ruffolo riporta alcuni assunti presi dal recente libro di un’economista americano, Dani Rodrick101: “[…] La globalizzazione dell’economia mondiale sta provocando tre grossi guai:

1. una redistribuzione troppo favorevole ai profitti e ai redditi elevati 2. uno smantellamento delle regole-quadro del mercato – sul lavoro, sull’ambiente, sulla concorrenza, sulla corruzione – senza le quali lo stesso mercato finisce per autodistruggersi

3. una contrazione delle risorse destinate alla protezione sociale, a vantaggio di quelle investite nella corsa sfrenata alla competizione. Il «proditorio» attacco del liberale Rodrick non ha mancato di suscitare reazioni imbarazzate e infastidite nel campo dei fondamentalisti […]”102. E ancora: “[…] Il suo (della globalizzazione, n.d.r.) aspetto più estremo e caratterizzante è proprio l’abnorme espansione dei mercati finanziari. Che i mercati finanziari (i mercati per antonomasia) – questi nuovi Dei dell’Olimpo elettronico – siano diventati, al tempo stesso, «il gendarme e il giudice dell’economia mondiale» (Financial Times) non sembra contestabile. Il problema è: possiamo delegare a questi gendarmi e a questi giudici la guida economica del mondo?

97

Ivi Vedi cap.1, p. 68, nota 105 99 * Es. R., Gli ultimi dati sull'economia confermano la crisi thailandese, «Il Sole 24 Ore», 1 agosto 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 100 * Non firmato, Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 25 101 * Ruffolo G., Nell'olimpo dei mercati, «La Repubblica», 5 agosto 1997, p. 1/19 102 Ivi 98

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II. La ricerca sui giornali Lo stesso giornale ne dubita fortemente: «Ciò non può non inquietare, data la loro propensione a considerare gli eventi e le politiche attraverso le lenti deformanti della paura e della cupidigia» […]”103.

Citando un articolo dell’Economist, Ruffolo osserva che: “[…] la globalizzazione finanziaria è una rivoluzione nata dalla concentrica combinazione della deregolazione competitiva, delle nuove tecnologie del tempo istantaneo, delle innovazioni degli strumenti finanziari. Questa massa critica ha liberato energie formidabili, ma, non regolata, ha provocato un’esplosione che fatto del mercato dei capitali «un mistero e una minaccia». […]”104. Con la conseguenza, secondo l’autore, che:

1. I flussi di capitali affluiti nei paesi del terzo mondo hanno creato sì sviluppo e consumi, ma una volta fuori controllo hanno anche alimentato un’immensa economia sommersa, legata ai paradisi fiscali (definiti «isole della vergogna») e alla finanza illegale. 2. E’ cresciuto il tasso di instabilità dei cambi e dei tassi di interesse, con tutti i rischi che ciò comporta 3. Le spese abnormi per la soluzione delle crisi finanziarie date dalle bolle speculative (la soluzione della crisi delle banche americane, il salvataggio del Messico, ecc.) hanno sottratto risorse agli investimenti per la produzione di ricchezza reale. Alla fine Ruffolo pone un pesante interrogativo: “[...] È economicamente sano e moralmente giusto che questi costi siano sostenuti da coloro che non hanno avuto alcuna responsabilità nel provocarli? È giusto che gli errori degli speculatori siano premiati? […]”105 e riporta la risposta di Michel Cadmessus

(direttore del Fondo monetario): “[…] «Certo, abbiamo favorito gli speculatori, ma è un fatto: il mondo è nelle mani di questi ragazzi»[...]”106. La visione dell’autore, pur non facendo riferimento agli

avvenimenti asiatici, è molto critica verso la globalizzazione che sta avendo luogo nel mondo. Anche se Ruffolo ammette che “non si può tornare indietro”, afferma però con forza che la politica deve riprendere il controllo di questi fenomeni e fa alcune proposte come un nuovo accordo internazionale sulla stabilità dei cambi (tipo Bretton Woods), l’applicazione della Tobin Tax sui trasferimenti a breve di capitale, l’accorpamento di piccoli stati in “più ampie e robuste unità politiche” per riequilibrare mercato e politica. Un’altra visione emerge invece dalle pagine del Sole 24 Ore del 15 agosto, a firma di Fabrizio Galimberti. Nel suo articolo intitolato: “La globalizzazione non è una minaccia”, propone tre argomentazioni in risposta alle critiche “classiche” riportate da Ruffolo. Opponendosi alla 103

Ivi Ivi 105 Ivi 106 Ivi 104

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Sviluppo della crisi

visione che la globalizzazione sia un “[…] cavallo di Troia dell’impoverimento delle classi lavoratrici, […]”107 (meccanismo secondo cui i lavoratori dei paesi industrializzati, spinti dalla

concorrenza e dalla fuga all’estero delle produzioni, importano le condizioni di vita dei paesi produttori), Galimberti presenta tre argomentazioni: 1. “[…] Dietro l’accresciuta pressione concorrenziale, c’è l’affrancamento dalla miseria di milioni di lavoratori che, come nei tempi passati dei paesi ricchi, lasciano la sottoccupazione delle campagne per cercare più possibilità di guadagno. Anche se questo dovesse comportare un arretramento delle condizioni di vita nei paesi ricchi (ma vedremo che non è vero) la media delle situazioni sarebbe sempre migliore di prima. […] …la globalizzazione fa innalzare tutte le barche […] e non solo quelle dei paesi emergenti. […]”108.

2. “[…] L’esperienza del Sud-est asiatico, […] conferma graficamente questo assunto. […] L’import dei paesi nuovi cresce quanto e più del loro export. La “fame” di un più alto tenore di vita veniva immediatamente trasformata in un assorbimento massiccio di prodotti del “primo mondo”. […]”109.

3. “[…] La maggior parte delle ricerche ha ridimensionato il ruolo della concorrenza dei Paesi nuovi nel ridistribuire il reddito nei paesi ricchi. Il fattore più significativo è piuttosto la tecnologia […], che premia le abilità complesse e svantaggia […] coloro che hanno poca istruzione. […]110.

Appare una differenza evidente tra i due giornali. Mentre La Repubblica chiama in causa un maggior ruolo della politica, Il Sole 24 Ore, difende con argomentazioni pratiche e teoriche la globalizzazione vista come libertà di traffico e commercio (anche se non fa menzione dei mercati finanziari). Nonostante tali argomentazioni, qualcuno ci “perde” sempre e in questo caso sarebbero “[…] coloro che hanno poca istruzione. […]”. Dopo aver elencato i benefici della globalizzazione rimane da spiegare come l’innalzamento medio del livello di vita possa risolvere quest’ultimo problema. Un’ulteriore contributo al dibattito viene fornito dall’intervista che il 27 agosto il Sole 24 Ore fa a Robert Lucas, Nobel per l’economia, della scuola delle aspettative razionali. Il professor Lucas, da un punto di vista teorico e storico, riprende in modo più sintetico alcune delle considerazioni di Galimberti sul Corriere della Sera111: 1. L’apertura economica dei paesi “[…] «L’apertura. La chiave per la crescita è l’apertura. […] Noi usciamo da un periodo definito dalle resistenze all’apertura. E chi ha resistito è rimasto indietro. * Galimberti F., La globalizzazione non è una minaccia, «Il Sole 24 Ore», 15 agosto 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 108 Ivi 109 Ivi 110 Ivi 111 * Platero M., Lucas: Fallisce chi resiste al mercato, «Il Sole 24 Ore», 27 agosto 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4 107

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II. La ricerca sui giornali Pensi agli anni Trenta e Quaranta. Pensi alla chiusura del Giappone. Pensi alla chiusura dell’Unione sovietica. Pensi alle prospettive di successo per la Cina, ora che sta cominciando ad aprirsi agganciandosi al mondo moderno» […]”112.

2. Globalizzazione come sviluppo dei commerci “[…] «Forse se ne parla troppo, ma il fenomeno esiste. E il più grande beneficio della globalizzazione è lo sviluppo dei commerci» […]”113.

3. La resistenza alla globalizzazione “[…] «Resisterle è un errore. Ce lo dice la storia. Spesso la resistenza è determinata da ragioni legate a rivendicazioni salariali, al Welfare… ma cosa si può fare? Isolarsi? Anche se ci si trovasse in un’economia chiusa e autosufficiente completamente isolata, resistere ai cambiamenti sarebbe una follia » […]”114.

Anche il Sole 24 Ore, sebbene a mezzo di un’intervista a uno dei maggiori economisti mondiali, sostiene la realtà positiva della globalizzazione. Tanto che la crisi asiatica non viene nemmeno citata (siamo al 27 agosto) né dall’intervistatore né dall’intervistato. Forse si vogliono ricordare solo i benefici e non i costi della globalizzazione?

2.11 Attacchi ad Hong Kong, crisi a Seul L’economia americana continua a salire fin dagli inizi di agosto con rallentamenti momentanei, mentre il valore del dollaro rispetto alle altre monete mondiali sta raggiungendo livelli record, tali da impensierire Europa e Giappone. Il 2 agosto, La Repubblica, Il Corriere e Il Sole 24 Ore titolano rispettivamente: “Dollaro sempre più super”115, “L’uragano dollaro travolge i mercati”116 e “La locomotiva Usa fa volare il dollaro”117. I continui successi dell’economia americana

rafforzano la moneta. Il meccanismo è chiaro, nell’articolo del Sole 24 Ore del 5 agosto: “[…] L’America è certamente una delle destinazioni più contese di fine secolo, e per investire in America occorrono dollari. […]”118. Questa situazione mette ovviamente in crisi le altre monete, soprattutto il

marco (che con il dollaro è in aperta sfida) e lo yen. Poco dopo la metà di agosto però la borsa americana frena bruscamente. Il commento di Giusepe Turani, su Repubblica del 18 agosto, cerca di delineare lo scenario economico tra borsa e andamenti valutari. “[…] …se eliminiamo tutte le ipotesi di catastrofe (di fronte alle quali è difficile fare previsioni), e prendiamo per buona la tesi che 112

Ivi Ivi 114 Ivi 115 * Signoretti F. M., Dollaro sempre più super, «La Repubblica», 2 agosto 1997, sezione “Economia e politica”, p. 2 116 * Caretto E., L'uragano dollaro travolge i mercati, «Il Corriere della Sera», 2 agosto 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 117 * Valsania M., La locomotiva Usa fa volare il dollaro, «Il Sole 24 Ore», 2 agosto 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 118 * Platero M., I profitti spingono il dollaro, «Il Sole 24 Ore», 5 agosto 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 113

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Sviluppo della crisi punta su una normale correzione tecnica di Wall Street (tesi prevalente sui mercati) che cosa può accadere? […]”119. Turani mette a fuoco i seguenti elementi:

1. Un arretramento della Borsa americana su determinati valori può essere un movimento positivo, per poi ripartire. 2. Dopo che le Borse europee hanno seguito Wall Street, potrebbero subire un arretramento contenibile al 5-10 per cento. 3. La discesa di Wall Street potrà far scendere con sé anche il dollaro 4. Il ribasso del dollaro dovrebbe rilanciare il marco tedesco, rallentando l’economia europea ma frenando le pressioni inflazionistiche. 5. La lira italiana affronterà una prova di stabilità sulla base del riaggiustamento tra dollaro e marco 6. Questi movimenti potrebbero facilitare la creazione dell’euro. Il Sole 24 Ore del 23 agosto nota come le vette di Wall Street causino vertigini negli investitori: “[…] Wall Street viaggia pericolosamente su ripide montagne russe, ipersensibile ai movimenti del dollaro e delle obbligazioni, ai dati macroeconomici, come alla comunicazione degli utili di aziende chiave. Gli investitori, però, si possono consolare soffermandosi sul fatto che il mercato è riuscito a reagire al venerdì nero di settimana scorsa (quando il Dow Jones cedette di 247 punti, il 3,1%), con tre sedute consecutive di consistente recupero, prima di tornare a scivolare guidato dalla debolezza dell’obbligazionario e chiudere l’ottava su livelli più alti. […]” 120.

Dopo la descrizione della discesa americana di metà agosto, tornano le notizie dall’Asia. Il Sole 24 Ore il 22 agosto riporta la posizione del Fondo monetario sugli aiuti varati per Bangkok. “Secondo il Fondo monetario internazionale il rischio di una reazione a catena nelle economie del Sud Est asiatico dopo la risi thailandese dovrebbe essere scongiurato. «Abbiamo avuto severi casi di contagio – ha dichiarato ieri mattina Michel Cadmessus – ma non mi aspetto un’altra crisi bancaria». Il direttore del Fondo monetario ha illustrato l’approccio dell’organizzazione multilaterale: si è trattato di un normale intervento preventivo che punta da una parte all’introduzione di importanti riforme strutturali, dall’altra a ristabilire l’ordine finanziario. […] …Cadmessus ritiene che il peggio della crisi dovrebbe essere passato. Sempreché la Thailandia, si impegni ad applicare strenuamente le riforme necessarie per attuare una rigorosa disciplina fiscale e una progressiva riduzione degli squilibri di parte corrente garantendo la libera fluttuazione

* Turani G., La grande paura di Wall Street, «La Repubblica», 18 agosto 1997, p. 1/18 Non firmato, Wall Street sulle montagne russe, «Il Sole 24 Ore», 23 agosto 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 25 119 120

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II. La ricerca sui giornali

della valuta. […]”121. A queste considerazioni, su cui si è basata la linea di intervento dell’Fmi, si

aggiunge però che il pacchetto del Fondo (3,9 miliardi di dollari), sarà erogato in “tranches” soltanto dopo la verifica delle riforme effettuate. Inoltre molto dipenderà dalla volontà delle banche giapponesi (le maggiori creditrici in Thailandia) di concedere un “roll over”, cioè un rinnovo delle scadenze dei prestiti a breve termine122. Bisogna ricordare infatti che il Giappone è il maggiore investitore in Thailandia

123

e che assumerà una parte simile a quella

sostenuta dal Tesoro americano nella crisi messicana. Alla fine dell’articolo però si osserva che “[…] nonostante le parole di Cadmessus la tensione nella regione rimane ancora elevata. In particolare si sta seguendo molto da vicino l’andamento della battaglia fra mercati e autorità monetarie di Hong Kong per difendere la stabilità del dollaro di Hong Kong sottoposto al fuoco di fila degli investitori internazionali. Rispetto alla situazione tailandese tuttavia gli analisti sottolineano che le banche di Hong Kong sono fra le meglio gestite del mondo. Le riserve inoltre sono molto più consistenti di quelle a disposizione della Thailandia. […]”124. Le preoccupazioni per Hong Kong (e per la Cina) non mutano l’umore dell’inviato del

Sole 24 Ore, che conclude con un cauto ottimismo: “[…] le redini per il controllo della situazione sono in mani più salde di quanto non fossero soltanto una settimana fa”125.

Anche Hong Kong è dunque sottoposto ad attacchi speculativi, come ben descrive l’articolo del Sole 24 ore del 20 agosto126, da cui emergono due elementi importanti: 1. la quantità delle riserve di Hong Kong rappresenta un forte deterrente per gli speculatori 2. c’è la necessità, da parte della Cina, di mantenere l’ancoraggio al dollaro come segnale di stabilità, nonostante la perdita di competitività data dalle svalutazioni a catena dei paesi confinanti. Francesca Mengarelli, autrice dell’articolo, afferma infatti: “[…] Sembra però altamente improbabile che le autorità abbiano intenzione di cambiare rotta (sganciare il dollaro di Singapore dal dollaro Usa, n.d.r.), quanto meno nel breve periodo. A soffrire di più per l’ondata speculativa potrebbe così essere la Borsa. […]”127.

* Platero M., Cadmessus: un aiuto per Bangkok, «Il Sole 24 Ore», 22 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 4 122 Ivi 123 Vedi p. 92, nota 93 124 Vedi nota121 125 Ivi 126 * Mengarelli F., A Hong Kong la tempesta valutaria travolge anche l'azionario (-3,8%), «Il Sole 24 Ore», 20 agosto 1997, sezione “Finanza e mercati”, p. 19 127 Ivi 121

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Sviluppo della crisi

Mentre in Giappone l’economia soffre la mancata ripresa dei consumi interni e continua a puntare sulle esportazioni128, l’occhio del vortice si sposta in Corea del Sud. La situazione viene spiegata dall’articolo di Guido Busetto, sul Sole 24 Ore del 26 agosto: “[…] Il fatto è che la Corea, sia il sistema-Paese che le singole aziende, hanno bisognosi tassi di crescita a due cifre per servire i propri debiti. Fonti private ritengono che l’esposizione complessiva dell’industria coreana arrivi a 100 miliardi di dollari, il 20% del Pil dell’intero paese. […]”129. L’articolo riassume la storia recente della Corea

del Sud, raccontando che dopo i vari governi dei militari, “[…] …Kim Young Sam, il primo presidente civile della storia coreana recente, […] decide di aprire il Paese. Una doccia fredda per le aziende Sud coreane che ben presto si rendono conto che la competitività dei loro prodotti si giocava su un prezzo che gli aumenti salariali avevano eroso, più che sulla qualità, era limitata a pochi articoli e si riduceva moltissimo nel mercato interno. «Con Kim è saltata l’autarchia economica precedente – dice Roberto Pelo, responsabile dell’ufficio Ice di Seul – all’inizio tutti erano contenti, ma col progredire del processo di liberalizzazione, il Governo si è reso conto di aver aperto alla concorrenza internazionale senza avere i prodotti per contrastarla». […]” (appendice 6).

Il problema di riformare l’economia coreana è però collegato al problema politico. Gli scandali del presidente Kim, e la sua scarsa contiguità alla lobby dei militari, non fanno presagire che egli abbia il tempo e la forza necessari ad attuare le riforme. Michele Calcaterra, in un box all’interno dell’articolo di Busetto, sciorina gli ultimi dati coreani con toni allarmati. Si possono così riassumere brevemente gli elementi di crisi coreani: 1. L’entità dei debiti bancari con l’estero 2. L’aggravamento del deficit commerciale 3. Il crollo della valuta 4. Gli scandali politico-finanziari 5. Instabilità politica La situazione coreana per il mese di agosto non viene ripresa né da Repubblica né dal Corriere della Sera. La prima si occupa principalmente della situazione americana, con riferimenti ai paesi dell’area asiatica in altre tre occasioni dopo il 1 agosto: la situazione politica in Cina il 3 agosto e il 7 agosto130, l’evoluzione cinese e indiana131 e le accuse a

* Calcaterra M., Timori per la ripresa a Tokio, «Il Sole 24 Ore», 26 agosto 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 129 Busetto G., Corea, il miracolo è in panne, «Il Sole 24 Ore», 26 agosto 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 9 130 * Non firmato, The Times - Una sfida per gli eredi di Deng , «La Repubblica», 3 agosto 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 9 128

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II. La ricerca sui giornali

Soros132. Il secondo dedica il 10, 12 e 15 agosto133 cronache e commenti dall’India, mentre il 17 agosto in un trafiletto, ricorda l’aumento delle riserve auree di Cina e Giappone134. A Seul la situazione politica rimane fragile, mentre le altre Borse asiatiche cominciano a scivolare lungo discese molto ripide.

2.12 Il crollo delle borse Il 29 agosto, Il Sole 24 Ore titola: “A picco le Borse asiatiche soffocate dai tassi”135. Due articoli descrivono la situazione. Nel primo “Una giornata nera” si scrive: “[…] E’ stata una giornata nera su tutti i principali mercati azionari asiatici. In un effetto-domino che non ha risparmiato quasi nessuno, le Borse di Manila, Hong Kong, Singapore, Kuala Lumpur, Jakarta, Taipei, Bangkok, Seul, Shenzen e Shangai, hanno tutte perso vistosamente terreno. [...] In ciascuno dei casi una serie di fattori locali erano all’opera: a esempio nelle Filippine è stata la decisione della Banca Centrale di aumentare dal 5 all’8% le riserve di liquidità obbligatorie per le banche locali, scoraggiando così l’attività speculativa sul mercato monetario ma al tempo stesso alimentando e incertezze degli investitori sul futuro dell’economia. A Hong Kong è stata la scadenza di contratti “future” sull’indice Hang Seng per il mese di agosto a esercitare la principale pressione. E a Seul sono state le voci, poi smentite, di severe difficoltà economiche del gruppo Hanwha. Su tutte, però, ha pesato soprattutto la volatilità dei mercati regionali, nell’occhio del ciclone ormai da quasi due mesi, e il timore che l’instabilità valutaria possa aver minato alle fondamenta le prospettive di crescita economica di questi Paesi. […]”

136

. Nell’articolo a fianco137, si afferra un dettaglio importante. Come hanno

fatto le “seconde Tigri”, da forti esportatori quali erano, a raggiungere dei deficit commerciali così elevati come risultano dalle analisi del Fondo monetario? Risponde a questa domanda Kenneth Courtis, Senior Strategist alla Deutsche Morgan Grenfell: “[…] A molti di questi paesi asiatici a un certo momento non è sembrato vero, forti della moneta di casa che si apprezzava di pari passo con le valute di riferimento e forti di tassi interni elevati, di approvvigionarsi di fondi all’estero a interessi contenuti, per poi reinvestire sui mercati domestici. Un meccanismo che ha costretto le autorità monetarie di Thailandia, Malaysia, Indonesia e Filippine ad assumersi i rischi di cambio di coloro che si finanziavano all’estero. Da qui, anche, la scarsa qualità di molti investimenti provenienti dall’estero (che hanno gonfiato a dismisura la bolla * Non firmato, The New York Times - Pechino all'esame Wto, «La Repubblica», 7 agosto 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 11 131 Vedi p. 91, nota 87 132 * Zampaglione A., C'è l'ombra di George Soros sul crack delle borse asiatiche, «La Repubblica», 31 agosto 1997, sezione “Economia”, p. 27 133 * Cianfanelli R., India, ritorno al futuro con Sonia, «Il Corriere della Sera», 10 agosto 1997, sezione “Esteri”, p. 8 * Cianfanelli R., India, l'oro dei tecno-maharaja, «Il Corriere della Sera», 12 agosto 1997, sezione “Esteri”, p. 8 * Cianfanelli R., India, un muro divide le feste, «Il Corriere della Sera», 15 agosto 1997, sezione “Esteri”, p. 8 134 * Non firmato, Giappone e Cina primi al mondo, «Il Corriere della Sera», 17 agosto 1997, sezione “Economia”, p. 23 135 * Calcaterra M., A picco le borse asiatiche soffocate dai tassi, «Il Sole 24 Ore», 29 agosto 1997, p. 1/6 136 * Mengarelli F., Una giornata nera, «Il Sole 24 Ore», 29 agosto 1997, p. 1/6 137 * Calcaterra M., Uno sviluppo senza regole dietro la crisi del Sud Est, «Il Sole 24 Ore», 29 agosto 1997, p. 1/6 100


Sviluppo della crisi speculativa nel settore immobiliare-finanziario) e, cosa non da poco, la venuta meno concorrenzialità, rispetto ad altre nazioni (ad esempio la Cina) per quel che riguarda l’export. L’elevato costo del lavoro e delle merci, di riflesso a un rafforzamento (illusorio) di queste valute, ha fatto così crollare le esportazioni e nel contempo aumentare le importazioni. Tanto che da surplus commerciali, si è direttamente passati a pesanti deficit. [...]”138. Le prospettive non sono rosee, ma viene salutato positivamente l’accordo tra i vari

paesi per cercare di aiutarsi reciprocamente oltre al fatto dell’intervento della Cina. Sulla crisi in Corea del Sud, l’opinione di Courtis è che: “[…] …Seul ha scommesso di investire e di indebitarsi contando su un rapporto yen-dollaro di 80-90. Mentre oggi siamo a 118 e si è arrivati fino a oltre 125. L’indebolimento dello yen ha dunque spiazzato l’export coreano, tanto che non è più possibile per il sistema finanziare i debiti. […]”139.

Il 30 agosto il Sole 24 Ore dedica la prima pagina alla crisi delle Borse asiatiche: “Le Borse asiatiche nell’occhio del ciclone”140. All’interno i servizi di Michele Calcaterra, Fabrizio

Galimberti e Francesca Mengarelli. L’articolo della Mengarelli titola: “Le Tigri nella gabbia del dollaro”141. Si spiega infatti come sia proprio dalle oscillazioni del dollaro che derivi la

turbolenza sulle Borse, anche se ogni paese presenti peculiarità sue proprie. L’articolo di Galimberti fa un’analisi delle tendenze borsistiche e delle cause dell’attuale situazione. L’autore infatti attribuisce le cause della crisi a uno sviluppo “[…] …a tappe bruciate, che hanno visto ingrossarsi gli inevitabili sottoprodotti di una crescita senza briglie: bolle speculative immobiliari, overdose di capacità in alcuni settori dell’industria pesante – dall’acciaio al cemento –, sofferenze bancarie, negligenze della politica del cambio, noncuranza verso i deficit esterni e così via. Questi problemi erano comuni a molti paesi della regione. Ed è bastato che i nodi venissero al pettine per uno di questi paesi – nella fattispecie, la Thailandia – perché gli investitori, allertati ai problemi dell’area, decidessero di ridurre la loro esposizione nella regione. […] E si è sviluppato così un “effetto domino” in cui le ondate di vendite – sulle Borse e sulle valute – rimbalzavano da un paese all’altro, aggravandosi poi nel “secondo round” proprio per il senso di fuga dall’area che permeava questa ricomposizione (dei portafogli di investimento, n.d.r.). […]” 142.

A seguire, l’articolo di Calcaterra, riprende la situazione giapponese, il paese cui è delegato un ruolo di primo piano negli aiuti alla crisi143. “[…] Il paese è in evidente affanno e sembra esserlo ancora di più da quando i Paesi asiatici come Thailandia, Malaysia, Indonesia e Filippine, sono in crisi. Il tutto mentre Tokio sta tentando di organizzare una task force di salvataggio dei mercati, con la messa a punto di un fondo regionale che possa intervenire nelle situazioni di crisi. Qualcosa di più rispetto agli incontri

138

Ivi Ivi 140 * Non firmato, Le borse asiatiche nell'occhio del ciclone, «Il Sole 24 Ore», 30 agosto 1997, p. 1 141 * Mengarelli F., Le tigri nella gabbia del dollaro, «Il Sole 24 Ore», 30 agosto 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 142 * Galimberti F., Ma il Far East può correre ancora, «Il Sole 24 Ore», 30 agosto 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 143 Vedi p. 91, nota 89, p. 92, nota 95 139

101


II. La ricerca sui giornali accademici avvenuti nei mesi scorsi tra i Governi di quasi tutti i principali Paesi dell’area, convinti che gli interventi, per avere effetto, debbano essere concertati. I dati economici resi noti ieri confermano il fatto che l’economia giapponese è stagnante, ma che le forze interne al Paese […] dovrebbero consentire di evitare di entrare in una nuova fase di recessione. […]” 144.

Anche nella sezione "Settimana finanziaria" (30 agosto), l’analisi di Giovanni Grimaldi (amministratore delegato di Prime-Merrill Funds S.p.a.), riprende i punti già visti. Ma nota come dai mercati finanziari, interni e asiatici, sia assente la massa del risparmio giapponese. A causa delle perdite successive alla grande bolla speculativa immobiliare e all’erosione delle certezze sociali derivate dalle riforme in senso liberista del mercato del lavoro145, i risparmiatori mettono i loro soldi in depositi bancari, postali, o titoli di stato nazionali. La Borsa giapponese però resiste

146

, nonostante le perdite, alla “volatilità asiatica”, mentre a

Manila, il mercato azionario perde il 16,8%. Il trend continua anche a settembre e il caso asiatico comincia ad occupare con maggiore frequenza la prima pagina del Sole 24 Ore, che il 2 settembre titola: “Nuovi crolli nelle Borse del Far East”147 . Vengono evidenziati tre elementi:

1. In difesa del cambio della valuta, si innalzano nei singoli paesi i tassi di interesse, che a loro volta, così come accade negli Stati Uniti, rallentano l’economia e diffondono pessimismo 2. L’effetto domino si è allargato anche a paesi come Singapore (la cui Borsa scende dell’1%), mentre i paesi dell’area stanno studiando un organismo che possa intervenire in situazioni d’emergenza. 3. L’economia giapponese ha subito la pressione dei ribassi dell’area e il dollaro si è ulteriormente rafforzato sullo yen All’interno dell’articolo, a p. 6, Michele Calcaterra accoglie solo in parte nel suo giudizio le accuse di speculazione rivolte all’occidente, puntando il dito contro la crescita disordinata delle economie delle nuove tigri. Riportando il parere di Chalongphob Sussangkarn, presidente della Thailand Development Research Institute Foundation, l’entità degli aiuti promessi dal Fondo monetario potrebbe rivelarsi insufficiente, dato che queste economie hanno anche perso la fiducia del proprio mercato interno. “[…] Non è chiaro, quindi, * Calcaterra M., Tokio fa i conti con la stagnazione, «Il Sole 24 Ore», 30 agosto 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 145 Vedi cap. 1, p. 50, nota 42 146 * Non firmato, Il Kabutocho resiste alla volatilità asiatica, «Il Sole 24 Ore», 30 agosto 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 28 147 * Calcaterra M., Nuovi crolli nelle borse del Far East, «Il Sole 24 Ore», 2 settembre 1997, p. 1/6 144

102


Sviluppo della crisi come si riuscirà a superare questo empasse. Ieri Mitsui Sato, presidente dell’Adb, ha dichiarato che quella asiatica non è solo una crisi da considerarsi regionale, ma piuttosto di portata internazionale, globale. Nel senso che tutti dovranno concorrere, pro quota, per risolverla il più velocemente possibile. Europa, Stati Uniti e Giappone compresi. […] Inoltre si sta parlando sempre più insistentemente […] di introdurre riforme ai sistemi di controllo, legali e anche a livello politico (per quanto riguarda le varie costituzioni), per permettere a queste nazioni di maturare in modo da diventare più affidabili e trasparenti. Non si tratta ovviamente di idee originali, ma nessuno sa quale ricetta consigliare per risolvere questa crisi. Molti affermano che non si tratta di una crisi strutturale e che queste economie (almeno buona parte di loro) sono ancora sane, in grado di offrire ampie possibilità di sviluppo. Ovviamente nessuno contesta queste affermazioni, ma è anche vero che tornare sui propri passi, introducendo delle misure di emergenza come è stato il caso di molti di questi Paesi, potrebbe contribuire a raffreddare sensibilmente lo sviluppo economico di queste nazioni, o, nel caso contrario, a stimolare spinte inflazionistiche. […]”148. All’interno dell’articolo c’è un box che riporta le

dichiarazioni

del

premier

malese

Mahathir,

che

nel

quarantesimo

anniversario

dell’indipendenza del paese, coglie l’occasione per scagliarsi ancora una volta contro la speculazione internazionale. Nonostante le accuse di crescita disordinata, la Malaysia offre effettivamente opportunità di sviluppo. “[…] Ciò non toglie che il sentimento di sfiducia che sta pervadendo il Paese non sia affatto positiva. E lo stesso vale per la situazione politica. Domenica Mahathir ha personalmente smentito le voci di imminenti dimissioni del ministro delle Finanze, Ibrahim Anwar, di fatto il numero due del Paese ed erede naturale del premier. Ma qualche polemica all’interno del Governo, sul come è stata gestita finora la crisi ci deve essere stata. Un fatto fa poi pensare: Mahathir ha fatto anticipare, poiché non potrà essere presente, l’approvazione del budget al secondo venerdì di settembre, dall’usuale terzo venerdì. Come mai, ci si chiede, questa nuova assenza, dopo aver passato prima dell’estate due mesi all’estero? Forse che qualche cambiamento è imminente? […]”

149

. Non sappiamo ancora di preciso cosa avviene nei

palazzi malesiani, ma intanto, la “perla d’Asia”, Hong Kong, sta iniziando a soffrire. Dopo il calo della Borsa e gli attacchi speculativi riportati il 2 settembre dal Sole 24 Ore, per il giornale se “[…] gli investitori, innervositi dal cedimento delle valute e delle piazze azionarie asiatiche […] tendono a ritirarsi dai fondi che investono in Asia, i gestori non possono che rifarsi su Hong Kong, prima che gli effetti del boom del ’96 e del ’97 svaniscano. Le preoccupazioni per eventuali attacchi speculativi al dollaro di Hong Kong hanno contribuito ieri al trionfo dell’Orso (calo della Borsa, n.d.r.), a dispetto di fondamentali economici che continuano a essere giudicati positivi. L’effetto-domino insomma – per cui le debolezze di un mercato e di una valuta provocano reazioni a catena – non accenna a diminuire. […]” Dopo aver riportato

gli ultimi dati delle Borse e delle valute, sul Sole 24 Ore si scrive che “[…] La febbre asiatica

* Calcaterra M., Le Tigri in ritirata di fronte all'Orso, «Il Sole 24 Ore», 2 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 149 * Calcaterra M., Ma la Malaysia insiste: la crisi del ringgit è colpa della speculazione, «Il Sole 24 Ore», 2 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 148

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II. La ricerca sui giornali insomma, resta alta e contagiosa, e settembre si preannuncia quantomeno all’insegna di una forte volatilità, che la correzione in corso a Wall Street non fa che accentuare.” 150.

Fortunatamente però il rialzo di Wall Street del 2 settembre, riportato dal sole 24 Ore due giorni successivo, ridà fiato alle Borse asiatiche. Riescono a risalire Hong Kong (+7,1%), Tokio (+2,7%), Singapore (+1,3%), Manila (+2,24%), Giakarta (+7%). “[…] In netta controtendenza invece la Borsa di Kuala Lumpur, sempre più sotto la pressione delle vendite degli investitori istituzionali esteri. Dopo aver lasciato sul terreno 1,4% martedì, l’indice guida ha perso ieri quasi il 5,7% a quota 750 ,76. Gli operatori internazionali continuano così a mostrare la loro preoccupazione per gli effetti sulla liquidità del mercato provocati dalle norme introdotte la scorsa settimana dalle autorità per limitare le vendite short sui 10 titoli che compongono l’indice, mentre il primo ministro Mahathir Mohamed, intanto, ha annunciato ieri che i fondi istituzionali pubblici della Malysia hanno 60 miliardi di ringgit a disposizione per acquistare azioni e sostenere così il mercato. […]”151.

La Malaysia sta tentando di “regolamentare” il mercato finanziario, mentre la Thailandia, che ha accettato l’aiuto dell’Fmi ha subito un declassamento da parte dell’agenzia di rating Standard and Poor’s, che ha frenato la ripresa della Borsa di Bangkok, dichiarando che ulteriori declassamenti arriveranno se la Thailandia non “[…] saprà adeguarsi ai criteri imposti dall’Fmi nell’ambito del pacchetto di assistenza internazionale da 15 miliardi di dollari annunciato il mese scorso. L’indice guida della Borsa di Bangkok ha così perso un altro 0,25%, a quota 514,07 mentre il baht è scivolato a quota 35,3 rispetto al dollaro Usa.” 152.

L’articolo seguente, nella stessa pagina del Sole 24 Ore, illustra le risposte dei singoli paesi alla crisi. Si impara così che il Governo dell’Indonesia ha varato un pacchetto di riforme per ridare stabilità al mercato finanziario e valutario, riscuotendo il favore degli operatori di mercato. Il presidente della Malaysia Mahathir invece, insiste nella condanna della speculazione e persevera su riforme a breve termine (stabilizzare il mercato investendo grandi masse di capitali pubblici), obiettando ai critici che: “[…] «Non ci possono essere misure di lungo periodo se non riusciamo a superare il nostro problema al più presto» […]” 153.

Fino al 6 settembre continua sul Sole 24 Ore la copertura del crollo delle Borse asiatiche. Il 5 settembre la Borsa malaysiana “guida” ancora il ribasso delle altre Borse154. Le misure implementate da Mahathir non hanno sortito l’effetto sperato. “[…] Si tratta di un quadro poco rassicurante, tanto che qualche Paese – il Giappone che in Malaysia è fortemente impegnato – starebbe

* Calcaterra M., Hong Kong in testa al bollettino della disfatta, «Il Sole 24 Ore», 2 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 151 * Mengarelli F., Tigri asiatiche, impennata d'orgoglio, «Il Sole 24 Ore», 4 settembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 152 Ivi 153 * Fi. R., La Malaysia spara le ultime cartucce, «Il Sole 24 Ore», 4 settembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 154 * Calcaterra M., La Malaysia guida il nuovo ribasso dei mercati del Sud Est asiatico, «Il Sole 24 Ore», 5 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 150

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Sviluppo della crisi seriamente riconsiderando la propria presenza in fatto di investimenti. Il rischio è elevato, perché la crisi che sembrava rimanere circoscritta sta assumendo dimensioni inimmaginabili solo qualche tempo fa. È come se non ci fossero più i margini di manovra per fra fronte allo sgretolarsi della situazione e che si sia sul punto di gridare “si salvi chi può” […]”

. Michele Calcaterra, autore dell’articolo ribadisce che “[…]

155

Sarebbe ingiusto, però, non riconoscere al Sud-Est asiatico una situazione economica, relativamente ai fondamentali, ancora più che soddisfacente. Ma comunque preoccupa che autorità monetarie e politiche non abbiano saputo intervenire con rigore per limitare i danni. […]” 156 .

Sempre riguardo alla situazione Malaysiana, il 6 settembre la Borsa risale grazie ad alcune riforme, come l’ “[…] (allentamento di alcuni provvedimenti capestro sulla Borsa e il rinvio nel tempo di grossi progetti infrastrutturali) … […]” 157 ma nel complesso, rimane alta l’incertezza.

Secondo la valutazione espressa dal Sole 24 Ore, “[…] Il tifone che si è abbattuto sulle piazze finanziarie asiatiche nel corso dell’estate lascerà sicuramente degli strascichi. Ma non necessariamente negativi perché questa caduta potrebbe essere stata la base su cui riconsolidare una nuova crescita. Per questo la ventata di moderato ottimismo che si respirava ieri nella capitale malaysiana è la stessa che si aveva contemporaneamente a Bangio, Manila e Giakarta, tutte piazze in cui ieri si è assistito a buoni recuperi. […]”

S241. Inoltre: “[…] L’Istituto giapponese delle Economie in via di sviluppo ha reso noto di prevedere una crescita media di queste economie nella prossima decade del 7,9%, lo 0,4% in più rispetto alla precedente. Questo anche dopo aver tenuto conto delle recenti difficoltà. […]” 158.

2.13 La natura della crisi Fino a questo punto, la prima decade di settembre, sono stati espressi giudizi contrastanti circa la natura di questa crisi. I giornali presi in esame, con la voce dei rispettivi inviati e analisti economici o con quella di grandi economisti internazionali, non esprimono una valutazione univoca e spesso presentano visioni differenti persino al proprio interno (si ricordino le dichiarazioni di Jeffrey Sachs e di Milton Friedman sul Corriere della Sera a confronto con quelle di Rudiger Dornbusch sempre sullo stesso giornale)159. Sul Sole 24 Ore l’analisi di Gerard Kruitof, che mostrava i danni della liberalizzazione del mercato finanziario interno in Thailandia160 e le opinioni di Fabrizio Galimberti e Robert Lucas a sostegno della globalizzazione161. Su Repubblica l’analisi Gianfranco Modolo del 27 luglio162, confrontata

155

Ivi Ivi 157 * Calcaterra M., In Malaysia vola la Borsa ma resta l'incertezza, «Il Sole 24 Ore», 6 settembre 1997, p. 1/7 158 Ivi 159 Vedi p. 86-88 160 Vedi p. 82 161 Vedi p. 95-96 162 Vedi p. 85 156

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II. La ricerca sui giornali

con quella, a dire il vero più generale, di Giorgio Ruffolo del 5 agosto163. Tutti sembrano essere d’accordo sul fatto che le economie asiatiche hanno sofferto per carenze e distorsioni strutturali, cioè per la mancanza di meccanismi di difesa e per una gestione squilibrata degli investimenti (si ricordino le bolle immobiliari), che non hanno retto di fronte alla liberalizzazione dei mercati finanziari portata dalla globalizzazione. Non si capisce però se questa sia una crisi “di consolidamento” o “strutturale”. Se sia cioè la normale conseguenza di uno sviluppo troppo rapido o il crollo di un modello economico che ormai segna il passo dinanzi alla globalizzazione. A favore della prima ipotesi, si schierano eminenti economisti come Friedman164 e lo stesso Fondo monetario, le cui opinioni vengono in parte confermate dai risultati di queste economie, che nella prima decade di settembre, dopo qualche aggiustamento da parte dei vari governi, hanno visto la ripresa delle Borse e mantengono comunque dei “fondamentali” di tutto rispetto165. Certo è vero che le Borse hanno recuperato poco del terreno perduto in precedenza, ma ciò fa ben sperare, anche perché è diffusa l’opinione che, con l’intervento del Fondo monetario, la situazione possa cambiare, spinta dalla fiducia nella ripresa. E’ interessante a tal proposito una dichiarazione di Michel Cadmessus, direttore del Fondo, nell’intervista fattagli da Alessandro Merli e Mario Platero il 6 settembre sul Sole 24 Ore: “[…] «E’ al di là della nostra portata il fatto che, grazie a Dio, i Paesi sono sovrani e siamo nelle mani di leader politici. Qualche volta prendono le decisioni sbagliate, talvolta le giuste decisioni troppo tardi». Forse le vostre critiche non sono state sufficientemente pubblicizzate? «Abbiamo fatto il possibile, ma non potevamo andare in giro a dire ai mercati: non siamo d’accordo con le autorità e la Thailandia va verso la catastrofe. Noi siamo qui per evitare le crisi, non per farle precipitare. E quindi dobbiamo agire con fiducia reciproca nei confronti dei Paesi membri. I mercati erano pienamente al corrente della situazione, […] ma c’erano profitti facili da fare. […] »166. Di

fronte a una tale dichiarazione, è difficile non dubitare della strumentalità di visioni ottimistiche167. Il punto fondamentale è però illustrare l’evoluzione di questo dibattito lungo il mese di settembre, fino alla conferenza di Hong Kong del Fondo monetario. Il Sole 24 Ore, il 4 settembre, riporta il resoconto di Michele Calcaterra: “All’Asian development bank (Adb), ma anche alla Banca centrale filippina e alla Philippine commercial international bank sono convinti che la crisi asiatica sia di carattere contingente e non strutturale. Sono ancora convinti, inoltre, che l’emergenza durerà ancora qualche tempo, ma che prima di fine anno si dovrebbe assistere a una

163

Vedi p. 93-95 Vedi p. 87, nota 69 165 Vedi p. 105, nota 157 166 * Merli A. e Platero M., Cadmessus: Europa puoi farcela, «Il Sole 24 Ore», 6 settembre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 167 Vedi p. 98, nota 121 164

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Sviluppo della crisi

certa normalizzazione della situazione. […]”

168

. C’è dunque un superficiale ottimismo, basato sulla

qualità dei fondamentali, sul fatto che la crisi sia dovuta a un “effetto-domino” più che a problemi interni a ciascun paese, sul recupero di competitività dovuto al deprezzamento valutario. Non si nega che “[…] «La liberalizzazione – spiega Rafael B. Bonaventura, presidente di Pei Bank – è avvenuta troppo velocemente. Eravamo impreparati e ci siamo trovati spiazzati. Per questo, almeno per quanto riguarda le Filippine, sarebbe interessante poter ridiscutere con la Wto la reintroduzione delle tariffe in certi settori». […]”

. La conclusione di Calcaterra è che: “[…] I prossimi mesi saranno

169

quindi decisivi per capire quale sarà la durata della crisi. Certo non sarà facile recuperare la fiducia della comunità internazionale, ma anche quella delle istituzioni domestiche. […] Queste economie restano quindi potenzialmente interessanti, ma forse è necessaria in futuro una maggiore selettività. […] Senza dimenticare, noi occidentali, che non possiamo sempre applicare i nostri parametri a Paesi che sono culturalmente, storicamente, politicamente e socialmente molto diversi.”

170

. Questa presa di coscienza delle differenze

socio-culturali mette in crisi tutta la politica di salvataggio dell’Fmi, basata su una concezione economica ben precisa, in base alla quale viene progettata la “cura” della crisi. Calcaterra è ancora più esplicito il giorno successivo. In un articolo dal titolo “Non solo risposte all’emergenza. Necessarie cure di ampio respiro” 171, mette in evidenza che:

1. Il Sud Est asiatico si trova di fronte a una vera emergenza, dato che è molto difficile avere a disposizione pacchetti di salvataggio da parte dell’Fmi anche per gli altri paesi 2. Non c’è nessuna garanzia che le “terapie d’urto” basate su interventi fiscali, monetari e riforme di regolamentazione di settore, diano gli effetti sperati 3. Le terapie d’urto servono per attaccare la crisi ma non sono sufficienti a sanarla. Occorrono anche politiche di medio-lungo periodo con serenità di vedute e prospettive 4. Le instabilità politiche all’interno dei singoli paesi aggravano ulteriormente il quadro, mettendo in crisi la fiducia degli investitori 5. L’area è strategica a livello di mercato e di investimenti produttivi e sarebbe miope lasciarla a sé stessa

* Calcaterra M., Non è la fine del miracolo ma è ora di gestirlo, «Il Sole 24 Ore», 4 settembre 1997, sezione In primo piano, p. 3 169 Ivi 170 Ivi 171 * Calcaterra M., Non solo risposte all'emergenza. Necessarie cure di ampio respiro, «Il Sole 24 Ore», 5 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 168

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II. La ricerca sui giornali

6. La fiducia, sulla base di indicatori fondamentali “buoni”, è un elemento essenziale per procedere alla stabilizzazione economica172. L’intervista a Michel Cadmessus a p. 97-98 afferma la necessità di riforme strutturali, ma non si espone sul futuro della crisi. Nell’articolo di Repubblica dell’8 settembre173, l’autore, Fabio Calenda, illustra il quadro della situazione e conferma che “[…] A giudizio di diversi osservatori, tuttavia, più che di una malattia grave, si tratta di un’acuta crisi di crescita. La flessione del tasso di sviluppo delle esportazioni nel Sud Est asiatico è stata rilevante (dal 23% nel 1995 al 5,6 nel 1996 in dollari), ma la Banca dei regolamenti internazionale ne ha sottolineato i fattori ciclici: flessione dell’elettronica, rallentamento del commercio infraregionale, impatto negativo dell’apprezzamento delle valute (dal febbraio 1995 al giugno 1997, il baht thailandese si è rafforzato del 16% nei confronti dello yen). […] Conclusioni. Le tensioni attuali sembrano riconducibili non tanto alla gravità della crisi quanto alla riluttanza dei paesi coinvolti a farvi fronte in modo adeguato, come dimostra il riaffiorare di tentazioni protezionistiche sul fronte finanziario e valutario (Indonesia e Malesia). Le incertezze della politica appaiono dunque i principali ostacoli alla ripresa dei mercati, che presentano in molti casi valori fortemente ridimensionati. […]”174. Il Corriere

della Sera nella prima decade di settembre non pubblica riflessioni sulla natura della crisi. Lo farà il 18 settembre, in occasione della conferenza annuale del Fondo monetario a Hong Kong. L’opinione secondo cui la crisi sarebbe risolvibile con serie riforme e fiducia degli investitori, è la prevalente sul Sole 24 Ore e su Repubblica, nonostante quest’ultima opponga critiche più dure alle tendenze della globalizzazione. Non si parla mai però di “modello asiatico”. Si criticano gli errori di politica economica dei paesi colpiti dalla crisi, come se fossero “errori umani” all’interno di un sistema economico globalizzato cui è sbagliato resistere175, e i cui canoni sono l’unico metro di giudizio delle scelte altrui. In quest’ottica, indicare la crisi come strutturale, chiamerebbe in causa i processi di liberalizzazione su cui il Fondo monetario ha tanto insistito (non solo col Giappone), visto che è proprio in conseguenza di queste riforme che si sono prodotte determinate storture176. Nel tempo però, anche coloro che scongiurano la crisi strutturale e rifiutano i paragoni con il Messico, dovranno tornare sui propri passi.

172

Ivi * Calenda F., Il tallone d'Achille orientale, «La Repubblica», 8 settembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 28, p. 21 174 Ivi 175 Vedi p. 95, nota 111 176 Vedi p. 70, nota 8 173

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Sviluppo della crisi

2.14 Risveglio cinese Dopo le trionfanti pagine del ritorno di Hong Kong alla madrepatria, la Cina torna ad occupare le pagine dei tre giornali. Nei giorni tra il 10 e il 24 settembre, vengono pubblicati parecchi articoli sull’evoluzione economico-politica della nazione dalla Grande muraglia. Il colosso comunista durante il governo di Deng Xiaoping ha infatti cominciato a muovere i primi passi nell’economia di mercato e, specie dopo l’annessione di Hong Kong, sembra deciso a proseguire la via delle riforme economiche. La morte di Deng, forse ultimo dei leader carismatici, ha aperto la via della successione e del rinnovamento dei quadri dirigenti. Sono in ballo riforme economiche (dismissioni delle grandi industrie di stato, privatizzazioni, ripartizione del credito anche a favore delle industrie private, lotta all’inflazione) e ringiovanimento dei quadri. Francesco Sisci, per il Sole 24 Ore, scrive il 9 settembre177: “[…] Uno scontro più deciso fra le maggiori personalità del politburo e in particolare fra il numero uno e il numero tre del partito, Jiang Zemin e Qiao Shi, potrebbe arrivare entro un paio di anni, quando le attuali nomine ministeriali saranno sedimentate e le riforme economiche saranno instradate con sicurezza. È tradizione del Pc cinese dividere la battaglie politiche alte da quelle di più basso livello per non mettere a rischio la stabilità generale del paese. Ciò è tanto più vero oggi, quando il crollo dell’economia thailandese e i pesanti vacillamenti delle altre economie del Sud Est asiatico lanciano un’ombra pesante sulla Cina, la quale ha promesso di rendere pienamente convertibile la sua moneta entro il 2000. […]”. Il Corriere della Sera, l’11 settembre

titola “Il «socialismo per azioni» scuote la Cina” 178. L’articolo fa riferimento alla dismissione delle industrie di stato, “[…] «La scelta è obbligata, non ci sono alternative – dichiara l’economista Cao Siyuan, autore della legge che ha introdotto in Cina l’istituto del fallimento –. Non si può proseguire a gettare denaro nella voragine senza fondo di fabbriche decotte, […]» […]”179. La scelta è quella di privatizzare le

industrie di stato mediante il trasferimento di azioni a gruppi di imprenditori o a singoli individui. Il momento sembra quello giusto, dopo che Zhu Rongji è riuscito a sconfiggere l’inflazione (dal 24 al 3%) e Hong Kong può “[…] mettere tutte le sue competenze al servizio del processo di privatizzazione” 180.

Sempre l’11 settembre anche il Sole 24 Ore cita la dismissione delle industrie di stato presentandola come una grande opportunità di riforma e di sviluppo per la Cina (anche se mette in luce il risvolto oscuro della disoccupazione)181. Mentre il Sole stigmatizza

* Sisci F., Pechino, l'economia domina il congresso del dopo-Deng, «Il Sole 24 Ore», 9 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 178 * Ferraro R., Il "socialismo per azioni" scuote la Cina, «Il Corriere della Sera», 11 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 9 179 Ivi 180 Ivi 181 * Sisci F., La nuova Cina punta sulle privatizzazioni, «Il Sole 24 Ore», 11 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 177

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II. La ricerca sui giornali

l’opposizione della minoranza maoista del Pc cinese, definita come “[…] alcuni grand commis di stato che vedono sottrarsi poteri e privilegi e inalberano vetuste bandiere rosse per difendersi. […]”182, Il

Corriere riporta le dichiarazioni del segretario generale: “[…] «Se non ci difendiamo dall’ultrasinistra lo sviluppo rallenterà e perderemo tutti il potere»” e aggiunge che “A quanti hanno riserve non ideologiche, perché ad esempio temono squassi sociali, è stato consigliato di tacere, e non correre il pericolo di essere accomunati al campo maoista […]”183. Anche nella maggioranza del Pc cinese però,

la situazione non è facile. Il Sole afferma che: “[…] …non c’è una dirigenza capace di ordinare a tutto il partito repentini cambiamenti di rotta. I nuovi dirigenti sono dei tecnocrati che devono convincere altri tecnocrati ad abbandonare i privilegi e le fortune costruite attorno alle aziende di Stato […]”184.

Il 13 settembre, sempre il Sole 24 Ore, pone l’accento sul fatto che nell’intenzione riformatrice dei leader cinesi mancano le riforme politiche in senso democratico. “[...] …il settore non statale potrà diventare predominante, con la benedizione del potere centrale, ma le riforme politiche segnano il passo e il partito rafforzerà il suo controllo sul complesso dell’apparato statale. […]”

185

. Le

riforme economiche cui si appresta la Cina sono: 1. Implementazione delle società per azioni 2. Legge per la tutela della proprietà privata 3. Miglioramento dell’efficienza anche attraverso i licenziamenti 4. Protezione degli investimenti stranieri 5. Riduzione e modernizzazione dell’esercito In conclusione dell’articolo, si ricorda l’importanza dell’appuntamento tra il leader cinese Jiang Zemin con il presidente americano Bill Clinton. “[…] Jiang ha inoltre un importante appuntamento estero che lo attende: il suo prossimo viaggio negli Stati Uniti per un vertice con il presidente Bill Clinton gli darà una nuova investitura internazionale. Gli Usa sono stati molto attenti alla retorica nazionalista cinese sfoderata ai tempi delle tensioni con Taiwan. Ieri Jiang su questo tema è stato molto cauto. Con il fronte economico e quello militare aperti e controversi, forse sarebbe stato superificiale aprirne altri, come quello nazionalista e delle riforme politiche, ancora più delicati”186.

182

Ivi Vedi p. 109, nota 178 184 * Sisci F., Cina, aspettative frenate per le riforme politiche, «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 7 185 * Sisci F., Jang: capitalismo alla cinese, «Il Sole 24 Ore», 13 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 186 Ivi 183

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Sviluppo della crisi

Il Corriere della Sera il 13 settembre187: “[…] Cosciente dei pericoli di destabilizzazione, Jiang si è impegnato da una parte a garantire l’ordine, applicando la «dittatura democratica del popolo», e dall’altra a introdurre un sistema di sicurezza sociale e sussidi di disoccupazione. […]” Tra le altre riforme “[…] Il sistema giuridico sarà sviluppato e l’economia potrà basarsi su uno Stato di diritto, crescerà la democrazia interna nel partito, gli intellettuali avranno maggiori spazi di libertà creativa, ha promesso. Però nessuno potrà discutere la leadership del Pcc, la stampa dovrà seguire la linea del governo, il controllo sulla produzione culturale di massa sarà più stretto, non verranno tollerate interferenze straniere sul tema dei diritti civili.[…]”.

La Repubblica, sempre il 13 settembre: “[…] Da militante che era e per molti aspetti contadina, la fisionomia s’è fatta manageriale. […] La dirigenza comunista è una casta, e le caste non rinunciano al loro status e ai privilegi che ne discendono. Nessun accenno di pluralismo e non parliamo di vita democratica, è infatti emerso dal rapporto di Jiang. La chiusura politica resta totale. […] Il fatto è che nonostante le patologie, deformazioni e alienazioni che l’accompagnano, il prodigioso sviluppo economico di questi anni ha conferito al Pc e ai suoi leader un surrogato di legittimità. Non più quella ideologica che veniva dalla vittoria nella guerra civile e dall’unificazione del grande paese, bensì una credibilità gestionale. […] La maggioranza della popolazione ritiene che la crescita economica sia più importante di un’eventuale evoluzione democratica. D’altronde l’esperienza di altri paesi asiatici insegna che la democrazia può aspettare. […]”188.

Ma Il Sole 24 Ore, nelle parole di Francesco Sisci189, ribadisce i costi sociali delle riforme economiche cinesi. Costi che almeno per il momento erano sempre stati evitati e solo ora forse il Pc cinese si accinge ad affrontare. Il 14 settembre si aggiunge che anche l’esercito cinese, inserito in tutti i settori industriali secondo l’assunto della propria indipendenza economica, dovrà ritirarsi dai settori di attività (originariamente solo l’industria militare e pesante e successivamente anche le produzioni leggere e i servizi)190. Il verdetto del XV Congresso del Partito Comunista cinese viene pubblicato sul Sole 24 Ore e sul Corriere della Sera il 19 settembre: Jiang Zemin, confinando i due avversari Qiao Shi e Liu Huaqing a posti di secondo piano, è il nuovo padrone della Cina191. Il Sole 24 Ore indica in Zhu Rongji il possibile nuovo leader della Cina, mentre il Corriere propende per Hu Jintao. Dopo l’articolo del 13 settembre Repubblica non parla della Cina fino al 29 del mese, riportando i successi della Borsa. Il Sole 24 Ore e il Corriere invece, dedicano spazio alla transizione cinese lungo tutto il mese192.

* Ferraro R., Cina, il grande balzo nel capitalismo, «Il Corriere della Sera», 13 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 8 188 * Viola S., L'ultima rivoluzione cinese, «La Repubblica», 13 settembre 1997, p. 1/10 189 Vedi p. 110 , nota 185 190 * Sisci F., Cina, al congresso comunista i militari si inchinano al partito, «Il Sole 24 Ore», 14 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 191 * Sisci F., Pechino, tutto il potere a Jang Zemin, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 192 * Tramballi U., Il miracolo del comunismo riformabile, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 187

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II. La ricerca sui giornali

E’ significativo che l’esplicitazione ufficiale delle riforme economiche di mercato in Cina, durante il mese di settembre viene intervallata, sul Sole 24 Ore dalle notizie che vengono dal Giappone. Entrambi questi paesi, pur con enormi differenze, stanno procedendo sul cammino impervio delle riforme economiche. Le diversità politiche, culturali, economiche e sociali rimangono tutte, ma le riforme di apertura al mercato sembrano necessarie al proseguimento della crescita economica cinese, così come alla ripresa giapponese. Le situazioni sono molteplici, ma la risposta è una: liberalizzare. Il problema però è che in fase di stagnazione, l’unico modo per Tokio di trovare i fondi necessari alle riforme è quello di puntare sull’export e la accresciuta competitività data dal cambio col dollaro, fa gonfiare gli introiti e innervosire gli americani193. Il Corriere parla del Giappone il 13 settembre, mettendo in luce il rallentamento della crescita dovuto all’aumento delle imposte indirette sul mercato interno194, mentre Repubblica vi dedica un articolo il 29 settembre, ribadendo la crisi del paese malgrado l’export195.

∗ Sisci F., Il boom che è nato dall'invidia, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 * Sisci F., Cina alla svolta delle privatizzazioni, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti -Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 8 * Platero M., Zhu: la Cina sposa l'economia di mercato, «Il Sole 24 Ore», 23 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Ferraro R., Jiang Zemin trionfa, ora il dragone è lui, «Il Corriere della Sera», 19 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 * Ferraro R., Cina, il mandarino sceglie la corte, «Il Corriere della Sera», 20 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 * Cingolani S., L’“agente” e il “pescecane”: i capitailsti che pechino ama, «Il Corriere della Sera», 20 settembre 1997, sezione “Esteri -storie della nuova Hong Kong-”, p. 11 * Cingolani S., Pechino: avanti con le riforme, ma senza lezioni da occidente, «Il Corriere della Sera», 24 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 193 * Valsania M., Attacco Usa al Giappone: punta troppo sull'export, «Il Sole 24 Ore», 10 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Calcaterra M., Pil giapponese in caduta libera. Solo l'export traina l'economia, «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., Hashimoto cambia la squadra. Sostituiti 17 ministri su 20, «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., Giappone, giro di vite sulle pensioni, «Il Sole 24 Ore», 16 settembre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 6 * Calcaterra M., Tokio, crescita a rischio. Due le risposte possibili, «Il Sole 24 Ore», 17 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., A Tokio raddoppia l'attivo commerciale, «Il Sole 24 Ore», 18 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Valsania M., E il Giappone vara misure di deregulation per rilanciare l'economia, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 194 * Talamona M., Ripresa lenta, attenti però a non copiare il Giappone, «Il Corriere della Sera», 13 settembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 195 * Ricci M., Tokio, crisi malgrado l'export, «La Repubblica», 29 settembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 17 112


Sviluppo della crisi

2.15 Verso Hong Kong Nei giorni che precedono la riunione annuale del Fondo monetario internazionale a Hong Kong, dopo aver parlato delle riforme cinesi, riprendono sui giornali presi in esame le notizie della crisi. L’11 settembre il Sole 24 Ore torna a parlare della situazione in Corea del Sud e lo fa con parole piuttosto dure. “[…] Mai come nel ’97 la Corea del Sud ha dovuto affrontare problemi a catena. Pesanti scioperi a gennaio con forti riflessi sociali, scandali finanziari, fallimenti a catena di importanti gruppi industriali, banche in crisi di liquidità, esportazioni in calo […], Borsa e valuta sotto attacco dall’esterno. Il tutto mentre a fine anno (18 dicembre) si deciderà il futuro politico del Paese, con le elezioni per il nuovo presidente in sostituzione del non rieleggibile Kim Young Sam. Nonostante i messaggi di fiducia che il Governo continua a mandare, il modello coreano sembra ormai al capolinea. Non che si possa parlare di un paese in emergenza, ma con tutta probabilità dovrà affrontare una serie di importanti riforme se vorrà che il successo e lo sviluppo economico evidenziati nell’ultima decade continuino anche in futuro. […]”196 . Ma già

il 26 agosto, Michele Calcaterra, sul Sole 24 Ore scriveva che “La Corea del Sud ha sostanzialmente dichiarato lo stato di emergenza economica […]”197. La differenza è però che questa

volta si parla di “sistema Corea” e all’interno dell’articolo, di “modello coreano”, applicato a sua volta sulla base del “modello giapponese”. Sembra ora che tutti questi “modelli” siano in crisi e quello americano sia rimasto l’unico a fungere da paragone e da esempio. Il 12 settembre il Sole 24 Ore titola “Wall Street doma le Tigri”198 e “La Banca mondiale al Far East: più riforme per scacciare la crisi”199. La Borsa americana infatti scende e trascina con sé

anche i mercati asiatici: “[…] Nuova doccia fredda sui mercati azionari asiatici, che hanno risentito dell’effetto combinato dell’arretramento di 132 punti di Wall Street di mercoledì, e della miriade di fattori locali il cui potenziale negativo viene amplificato dalle recenti turbolenze valutarie. […] Anche le Borse asiatiche hanno chiuso una sessione da dimenticare. In Malaysia l’indice ha perso il 3,37% anche se gli investitori avrebbero dovuto essere incoraggiati dalle misure anti-deficit decise dal Governo; hanno prevalso i realizzi, in un’atmosfera decisa dalla continua debolezza del ringgit. In Indonesia il calo è stato del 3,28%, mentre la piazza delle Filippine ha registrato un secco arretramento del 3,05% legato alle voci di difficoltà del settore bancario e al clima di incertezza politica. Lo Strait Times di Singapore è però riuscito a contenere i danni entro l’1% al pari dell’indice di Seul, dove i problemi del gruppo industriale Kia continuano a tenere banco. Solo in Thailandia gli acquisti sono prevalsi sulle vendite a causa di un sospirato rimbalzo tecnico (+1,95%). […]”

200

.

La Banca mondiale intanto esorta i paesi in crisi ad ultimare i processi di liberalizzazione e riforma dei sistemi finanziari dei paesi in crisi. È singolare che “[…] Pur riconoscendo i timori dei * Calcaterra M., E' entrato in crisi nel 1997 anche il sistema-Corea, «Il Sole 24 Ore», 11 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 197 * Calcaterra M., Won in caduta libera, Seul corre ai ripari, «Il Sole 24 Ore», 26 agosto 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 9 198 * Fi. R., Wall Street doma le tigri, «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 31 199 * Mengarelli F., La Banca Mondiale al Far East: più riforme per scacciare la crisi, «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 31 200 Vedi nota198 196

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II. La ricerca sui giornali Governi della regione di fronte alla rapida internazionalizzazione dei servizi finanziari, soprattutto per i possibili effetti sui rapporti di cambio e sulla politica monetaria, la Banca mondiale invita però i paesi dell’area a non tirarsi indietro. […]”201 nel nome di una più efficiente allocazione delle risorse e quindi

anche di competitività. La Repubblica, nei giorni precedenti l’inizio della conferenza, dopo l’ampia analisi di Fabio Calenda l’8 settembre, riporta solo due brevissime notizie nella sezione “Opinioni dal mondo”, tratte rispettivamente dall’International Herald Tribune il 9 settembre e dal Washington Post l’11 settembre. La prima s’intitola: “Speculatori e valute”202 e riprende la battaglia personale tra il presidente Mahathir e il miliardario Gorge Soros. “[…] «Ora il premier – informa l’Herald Tribune – ha lanciato un appello all’intera comunità finanziaria internazionale perché siano messe fuori legge tout court le evidenti manipolazioni sui mercati valutari. Mohamad, affermando così tante economie più esposte alle mire di avventurieri senza scrupoli, ha chiarito che non intende colpire le “normali” speculazioni, ma non ha chiarito come fare a distinguerle dalle famigerate “manipolazioni”»”203. La notizia

ripresa dal Washington Post riporta il sunto dell’analisi che il giornale americano fa della crisi in Asia: “La crisi dei Paesi del Sud est asiatico […] è dovuta a un intersecarsi di fattori, dalla sopravvalutazione dei valori immobiliari alla pura e semplice speculazione, ma è anche il riflesso in molti casi della mancanza di trasparenza e affidabilità politica. A questo punto lo sforzo maggiore compete a organizzazioni come la Banca Mondiale, che già ha avuto meriti notevoli nel riscatto di centinaia di milioni di abitanti in queste aree dall’analfabetismo e dalla povertà: nella sola Indonesia, per esempio, la percentuale di quanti vivevano con meno di un dollaro al giorno è scesa fra il 1975 e oggi dal 64 al 10%, in Cina dal 60 al 22, in Malesia e Thailandia è stata azzerata.”204. Il Corriere della Sera non riporta notizie dall’Asia fino

al 18 settembre, secondo giorno della riunione di Hong Kong, dalla quale riporta la notizia del varo del “pacchetto” per Bangkok 205.

2.16 Il vertice di Hong Kong 2.16.1 Le questioni sul tavolo Il 17 settembre 1997 comincia a Hong Kong la riunione annuale del Fondo monetario e della Banca mondiale, la cui durata sarà di dieci giorni. Il Sole 24 Ore, il giorno stesso, delinea le questioni che saranno sul tavolo degli economisti del Fondo e degli esperti dei paesi partecipanti: 201

Vedi p. 113, nota199 * Non firmato, -International Herald Tribune- Speculatori e valute, «La Repubblica», 9 settembre 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 11 203 Ivi 204 * Non firmato, -Washington Post- La crisi dell'Asia, «La Repubblica», 11 settembre 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 11 205 * Cingolani S., Varato il "pacchetto" per Bangkok, «Il Corriere della Sera», 18 settembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 202

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Sviluppo della crisi

1. La incipiente crisi finanziaria dell’area 2. Le riforme economiche cinesi 3. Il problema della ripresa della domanda interna giapponese 4. La globalizzazione, ovvero la continuazione delle riforme di liberalizzazione finanziaria 5. La organizzazione delle quote di partecipazione al fondo (bloccate dagli Usa)

Più due iniziative promosse congiuntamente dalla Banca mondiale e dall’Fmi: 1. La riduzione del debito dei paesi poveri 2. La lotta alla corruzione e lo stimolo di misure per il buon governo dei paesi in via di sviluppo Un programma di lavori molto intenso attende i delegati della conferenza, nel clima surriscaldato dai crolli finanziari della crisi asiatica. Alessandro Merli, autore dell’articolo, auspica che: “[…] Quanto è accaduto alla Thailandia e ai suoi vicini non dovrebbe comunque bloccare il cammino della liberalizzazione dei movimenti di capitale, tanto che sul tavolo dell’Fmi a queste riunioni c’è la proposta di emendamento degli statuti perché il Fondo diventi il promotore e il custode di questa liberalizzazione, …[…]” 206.

2.16.2 L’Asia rovina la festa Nonostante la relazione dell’Fmi riporti dati positivi sulla crescita mondiale, emergono interrogativi sul comportamento del Fondo nella soluzione della crisi asiatica. Tanto che il 18 settembre, lo stesso giornale, a firma di Merli, titola: “L’Asia rovina la festa del Fondo”207. Merli afferma, citando fonti ufficiali, che: “[…] La crisi finanziaria del Sud-Est asiatico non dà segni di placarsi e per la prima volta ieri il Fondo monetario internazionale, per bocca del suo capo economista Michel Mussa, ha ammesso che la fiducia e la calma tardano a tornare più di quanto l’Fmi stesso non pensasse dopo aver messo assieme un pacchetto di aiuti alla Thailandia per 17 miliardi di dollari […]”208. Il Fondo stima

che la Thailandia subirà un rallentamento della crescita pari all’8% del Pil a cavallo della fine del 1997 e l’inizio del 1998. Una previsione piuttosto grave, che non prende il nome di * Merli A., Occidente e Oriente a confronto all'assemblea del Fondo monetario, «Il Sole 24 Ore», 17 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 207 * Merli A., L'Asia rovina la festa del Fondo, «Il Sole 24 Ore», 18 settembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 208 Ivi 206

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II. La ricerca sui giornali

recessione, in quanto una piccola percentuale di crescita rimarrà per l’economia thailandese. “[…] Secondo Mussa, tutto dipende dalla ricostruzione della fiducia dei mercati internazionali, che sono passati da un eccesso di ottimismo a una correzione che l’economista ritiene altrettanto eccessiva, con il crollo del baht del 30%. […] Quanto ai paesi vicini, escludendo la Cina, che ancora una volta registrerà tassi di crescita attorno al 10%, è difficile valutare l’esatta conseguenza delle difficoltà in Thailandia. Ma potrebbero a loro volta accusare una riduzione della crescita prevista dell’ordine del 3% rispetto alle stime dell’aprile scorso e del 4% rispetto al potenziale delle loro economie. […] Il caso Thailandia induce l’Fmi a mettere l’indice sul problema della sostenibilità dei forti flussi di capitali internazionali verso i mercati emergenti. […] La disponibilità di questi flussi, sostiene il “World Economic Outlook” è vulnerabile a tassi di interesse internazionali più alti, e alla percezione che forti disavanzi delle partite correnti della bilancia dei pagamenti non siano sempre sostenibili. È da quest’area che vengono i rischi maggiori per l’economia mondiale. […]”209.

Il 18 settembre, il Corriere della Sera riporta notizie dalla conferenza di Hong Kong, dedicando un breve articolo al varo ufficiale del pacchetto di salvataggio per la thailandia. Il giornale pone in una luce molto critica il comportamento delle istituzioni internazionali. Definisce poco più di uno “scongiuro” le affermazioni di Michel Mussa, secondo cui la crisi asiatica non è una nuova crisi messicana, dato che “[…] La crisi thailandese che il Fmi sostiene di aver capito in tempo (mentre non si era accorto del crollo messicano) sta trascinando, in un effetto domino, l’intero Sud-Est asiatico e coinvolge ormai anche il Giappone, che attraversa una fase di caduta della domanda interna in seguito alle misure fiscali prese quest’anno. […]”

. Riprendendo i toni del dibattito: “[…]

210

L’Fmi e la World Bank sono stati accusati di scarso monitoraggio, ma si difendono sostenendo che la Thailandia non aveva nessuna linea di credito aperta con le due istituzioni che avevano avvertito il governo. Ora il pacchetto di salvataggio è stato avviato e ieri è stata resa nota la lettera di intenti in base alla quale vengono erogati 17,2 miliardi di dollari. […]”211. In conclusione arriva finalmente la domanda

fatidica: “[…] La liberalizzazione finanziaria, dunque, è fallita in un paese chiave tra quelli in via di sviluppo? Torna a suonare il richiamo del protezionismo”212. Il Corriere è decisamente più duro e sintetico del

Sole 24 Ore, che a parte le analisi di Calcaterra213, mantiene toni specialistici e mette in relazione i dati asiatici con quelli mondiali. La Repubblica, il 19 settembre titola: “Le Tigri in crisi sotto i diktat dell’Fmi”214. L’analisi della crisi, condotta da Petrini R., occupa un’intera pagina e così come sul Corriere della Sera, il tono è quello di chi è conscio di una imminente catastrofe. Petrini, dopo aver elencato le cause recenti della crisi, ricorda quelle passate: “[…] Il giocattolo thailandese, la cui storia ha molte 209

Ivi Vedi p. 114, nota205 211 Ivi 212 Ivi 213 Vedi p. 107 , nota171, * Calcaterra M., Le Tigri del Sud Est asiatico non graffiano più i mercati, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti -Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 6 214 * Petrini R., Le tigri orientali in crisi sotto i diktat dell'Fmi, «La Repubblica», 19 settembre 1997, sezione “Economia”, p. 33 210

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Sviluppo della crisi analogie con lo sviluppo degli altri paesi dell’area del Sud Est asiatico, ha cominciato a rompersi nel 1995 quando i giapponesi hanno fatto scattare una serie di svalutazioni dello yen e a fare concorrenza nelle esportazioni ai tigrotti della propria nidiata. Contro l’impero del Sol Levante la sconfitta era segnata in partenza ed è proprio da quel momento che la bolla finanziaria thailandese cominciò a gonfiarsi. […]”215.

Successivamente allo scoppio della bolla finanziaria, Petrini così commenta la gestione dell’ancoraggio del baht al dollaro: “[…] La decisione di flirtare con il dollaro e con gli gnomi che lo amministrano sul pianeta fu fatale. […]”216. Ma sulle ultime conseguenze, l’autore non ha certezze

disponibili: “[…] Ora si teme per il futuro: l’effetto domino scatterà inesorabile? Alcuni analisti del Fondo Monetario spiegano che Malesia, Indonesia e Filippine hanno gli stessi problemi della Thailandia ma meno evidenti e che si è ancora in tempo per evitare una caduta collettiva. Per questo motivo volano a Bangkok in continuazione, a cominciare dal direttore generale Michel Cadmessus che ieri ha incontrato il governo. La parola d’ordine è tappare la falla di Bangkok prima che sia troppo tardi. Il pacchetto di austerità posto come condizione dall’Fmi per il prestito è da lacrime e sangue: discesa del rapporto deficit-pil all’1,6% nel ’97, tagli allo stato sociale, stretta monetaria, privatizzazioni e chiusura delle finanziarie pirata. […]”217.

Il giudizio di Petrini sulle misure “lacrime e sangue” del Fmi è molto critico, tanto che il titolo indica come “diktat” le riforme e gli indirizzi di politica economica del Fondo. A sostegno di questa tesi, l’autore cita un articolo del “South China Morning Post”, il quale “[…] ha pubblicato l’indiscrezione secondo la quale l’Fmi avrebbe minacciato il governo di revocare il prestito se non scattano immediatamente i tagli. […]”218. Petrini continua: “[…] Ricreare un clima di fiducia, è questa la parola d’ordine degli “sceriffi” del Fondo e l’altro giorno, ad Hong Kong, lo ha ricordato il capo economista Michel Mussa. […]”. Ma la preoccupazione dell’autore è che: “[…] Il governo guidato dal generale centrista e tecnocrate Chavalit apparentemente non tentenna e annuncia misure rigorose, ma in realtà non sembra avere la forza per imporre un pacchetto severo e, soprattutto, di rischiare il malcontento popolare. […]”219. Il 19 settembre Michele Calcaterra conferma e rafforza la sua analisi del quadro

asiatico, arrivando a definire la crisi come “strutturale” e lasciando aperti gli interrogativi sulla sua soluzione220 (appendice 7). 2.16.3 Una crisi positiva? Il 19 settembre il Sole 24 Ore commenta la conferenza stampa di Cadmessus alla conferenza del Fondo monetario, nella quale elenca otto ragioni per riscoprire la fiducia. L’articolo di Alessandro Merli comincia in un tono ironico e corrosivo: “Fmi vuol dire fiducia. Sembrava un vecchio carosello dei formaggini la conferenza stampa di ieri di Michel Cadmessus, il direttore del

215

Ivi Ivi 217 Ivi 218 Ivi 219 Ivi 220 Vedi p.116, nota213, Calcaterra M. 216

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II. La ricerca sui giornali Fondo monetario internazionale. Otto volte fiducia nell’economia mondiale, ha ripetuto ieri Cadmessus, prendendo le mosse dall’area nella quale i mercati in questi giorni dimostrano proprio di non averla, questa fiducia: quella del Sud-Est asiatico. «I paesi della regione – ha detto il direttore del Fmi – possono trasformare la crisi in un’opportunità per ottenere una crescita magari più bassa ma più sostenibile». Cadmessus ha detto che la Thailandia […] sta rispettando tutti gli elementi macroeconomici del “duro” programma concordato con il Fondo. Negli ultimi giorni, Cadmessus ha notato anche “un senso di urgenza” nell’affrontare le difficoltà del settore finanziario, che hanno fatto da detonatore e hanno esacerbato la crisi. «La nostra ultima valutazione delle misure prese per il settore finanziario è positiva e siamo fiduciosi che accelereranno nelle prossime settimane» ha affermato. […]”221. I dubbi posti da Petrini su Repubblica222 circa la capacità del

governo del generale Chavalit di intraprendere misure così rigorose da rischiare il malcontento popolare e la stabilità al governo, vengono fugati da Cadmessus le cui dichiarazioni sono riportate e commentate dal Sole 24 Ore: “[…] Il Governo thailandese (il cui futuro appare quantomeno incerto) ha avuto coraggio nel concordare il programma con l’Fmi, ha affermato Cadmessus, il quale ha ammesso che, se per ipotesi il governo dovesse cadere, è possibile un periodo di «agitazione», ma il Fondo conta di poter lavorare con il successore senza interruzione […]”

223

. Dopo le

preoccupazioni circa il difficile cammino asiatico verso la democrazia e i diritti umani e il fatto che molti dei paesi colpiti dalla crisi siano stati vittime più volte di governi e colpi di stato militari, le dichiarazioni di Cadmessus trasudano un certo cinismo. Ma tutto questo è fondato su otto ragioni “per sperare in una crescita durevole”: 1. Azione di concerto con il governo thailandese per la soluzione della crisi 2. Crescita mondiale positiva, nonostante la crisi asiatica 3. Nascita dell’Unione monetaria Europea quale fattore di stabilità 4. Emendamento allo statuto del Fondo perché diventi promotore del processo di liberalizzazione dei capitali (anche se sono previsti controlli dei flussi) 5. Riforme nei paesi in via di sviluppo che permettano loro di integrarsi nella globalizzazione 6. Transizione di molti paesi ex comunisti all’economia di mercato 7. Riforma “liberista” dell’economia cinese e interazione con Hong Kong 8. Reperimento delle risorse necessarie ai compiti dell’Fmi. * Merli A., Cadmessus: sono otto le ragioni per sperare in una crescita durevole, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 222 Vedi p. 116, nota214 223 Vedi nota221 221

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Sviluppo della crisi

Cadmessus pone inoltre l’accento sul caso thailandese, in quanto dimostra che “[…] «La trasparenza […] è la migliore protezione di un Paese contro l’istinto da gregge dei mercati» […]”224.

Nessuno fa mistero del fatto che la Thailandia in particolare e gli altri paesi asiatici in generale, siano vittima di storture interne per una complessa serie di ragioni, tra cui il fatto che sistemi statali dirigisti o autoritari abbiano prodotto condotte avide e nepotistiche, ma si può sottintendere in modo così logico che queste nazioni “meritino” la crisi e affermare che questa abbia conseguenze positive? A questo proposito Dornbusch R., già intervistato dal Corriere della Sera il 29 luglio, pubblica un suo intervento sul Sole 24 Ore del 19 settembre, all’interno dell’inserto dedicato al vertice di Hong Kong. “Il collasso dell’Asia è stata una sorpresa per molti. Fino a poco tempo fa, tigri e “tigrotti” asiatici erano un modello per le economie emergenti: finanza pubblica solida, forte risparmio ed investimento, volontà di integrarsi nell’economia mondiale. […] L’attuale crisi non è né l’inevitabile conseguenza della crescita economica del continente asiatico, né dei mercati finanziari internazionali in quanto tali. […] L’attuale crisi dell’Asia è soprattutto crisi della finanza interna, non crisi valutaria. […] L’imprudente mossa di giocarsi le riserve […] poteva solo tradursi in svalutazione. Resisene conto, i finanziatori hanno tentato di uscire, ma troppo tardi. Sui mercati azionari i prezzi sono crollati e si è creato un circolo vizioso di svalutazione, crollo delle quotazioni e impennata dei tassi. […]” Dopo aver elencato le cause economiche, Dornbusch afferma che: “[…] Sia che si tratti dei loro oppositori politici o degli investitori internazionali, dittatori e “semidittatori asiatici non amano i guastafeste. Rovinano l’apparenza di pace e prosperità, mostrando il re nudo. Il dramma dell’Asia di oggi ha le sue radici nell’illegittimità del potere di leader corrotti e megalomani non meno che nei problemi di natura strettamente finanziaria.

Inutile dare la colpa agli

speculatori, il loro mestiere è di rischiare denaro, non di perderlo. […] Gli operatori non sono né “stupidi” né “razzisti”. Ma sanno fiutare il pericolo,e fuggono quando si sentono minacciati. […]”

225

.

Dornbusch nel suo intervento elenca i seguenti elementi: 1. Importanza degli investimenti nei paesi in via di sviluppo 2. Il problema dei tassi di interesse elevati in Thailandia 3. La svalutazione inevitabile seguita alla sperpero delle riserve monetarie 4. Leader politici asiatici corrotti e “megalomani” 5. Scarsa incidenza degli speculatori (la colpa è delle banche di Tokio e non degli speculatori di New York)

224

Ivi * Dornbusch R., La lezione che viene dall'Asia, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 1/3

225

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II. La ricerca sui giornali

6. Pesanti responsabilità delle banche giapponesi, della vigilanza nipponica e delle autorità thailandesi 7. Difesa dell’operato del Fondo monetario Su quest’ultimo punto è interessante riportare le parole di Dornbusch: “[…] Oggi la sua influenza e il suo senso di responsabilità sono assai maggiori (di un tempo, n.d.r.). Se dà la sua benedizione, i capitali affluiscono verso quel Paese. Se aggrotta le ciglia, il flusso di capitali si interrompe. Se indica un problema, i capitali fuggono precipitosamente. L’Fmi ha pertanto assunto il ruolo di poliziotto della buona finanza. In un periodo di profonda crisi sistemica nella regione i suoi allarmi sono giustificati. È vero infatti che la propensione della Malesia ai megaprogetti è pericolosa, che la Thailandia deve rimettersi in sesto, che il deficit dell’Indonesia è eccessivo. Il mondo intero non può che guadagnarci se l’Fmi rafforza il suo potere di sorveglianza. […]”

. Dornbusch infine esprime la sua opinione sulla crisi: “[...] Il nuovo mondo di

226

Paesi periferici che si finanziano aggressivamente produce maggiore incertezza, maggiore instabilità e periodiche crisi. Ma dopo tutto le crisi sono un bene: hanno una funzione educativa nell’indurre chi dà e chi riceve denaro e controllare esposizioni rischiose, a limitare la propria invulnerabilità, a prevedere i problemi. C’è un gran bisogno di tutto questo nei mercati emergenti, e questa è la nota positiva della crisi attuale.” 227.

Nella descrizione di Dornbusch appare chiaro come il Fondo monetario abbia un’importante funzione comunicativa, oltre che di sorveglianza e consiglio. Questa consapevolezza è già stata riscontrata nelle parole di Cadmessus in occasione dell’intervista al Sole 24 Ore del 6 settembre228. Il potere di condizionamento del Fondo monetario verso gli investitori però, sembra valere più efficacemente in senso negativo, quando cioè riporta segnali di allarme, che non in senso positivo, mediante assicurazioni sulle possibilità di crescita e sulla tenuta economica di un paese. Per ristabilire la fiducia degli investitori non bastano le parole, né gli annunci di pacchetti di salvataggio, ci vogliono dati macroeconomici di crescita, ormai difficilmente reperibili in Asia. Il dramma infatti è che anche con l’attuazione delle riforme e delle politiche prescritte dal Fondo Monetario, la crescita richiederà ancora tempo. Che la crisi, come sostiene Dornbusch, abbia anche conseguenze positive dal punto di vista della gestione economica e della ristrutturazione dei sistemi finanziari, è indubbio, ma i costi economici, politici e sociali, potrebbero superarli di gran lunga. A sostenere una visione “ottimista” della crisi e ad alimentare il dibattito riguardante la sua “natura”, su Repubblica del 22 settembre appare un’intervista a Harinder Kohli, capo economista della Banca mondiale per il sud est asiatico, nonché per il settore «infrastrutture» globale. Afferma il professor Kohli: “No, non credo proprio che le recenti tempeste finanziarie che hanno scosso il Sud Est asiatico rappresentino l’inizio di una crisi devastante nell’area. La crescita in quei 226

Ivi Ivi 228 Vedi p. 106, nota166 227

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Sviluppo della crisi paesi è talmente impetuosa che non conoscerà battute d’arresto. Tutt’al più rallenterò leggermente, diciamo dal 9 al 6 per cento in media nel 1997. Come vede siamo ben lontani da qualsiasi situazione che possa vagamente avvicinarsi a una recessione. E dall’anno prossimo si tornerà su valori assai più consistenti […]” 229. Alla

domanda su cosa si fondi il suo ottimismo, Kohli risponde: “[…] Su alcuni elementi. Intanto la crescita si stava surriscaldando e un rallentamento non è altro che un bene. Ci sono poi le implicazioni positive che ha un cambio con il dollaro, oltre con lo yen, più favorevole alle esportazioni, soprattutto se pensiamo che la crisi globale per il settore dell’elettronica è passata. E questi paesi esportano soprattutto elettronica. […]” 230

. Kohli è parimenti ottimista per il flusso di investimenti verso i paesi colpiti dalla crisi:

“[…] Di fatto il flusso d’investimenti dal settore privato verso quest’area si è tutt’altro che arrestato. Solo in pochi casi c’è stato un arretramento prudenziale. […]”231. Messo alle strette dall’intervistatore sui casi

più gravi, Kohli afferma critica le misure “un po’ troppo radicali” del presidente Mahathir Mohamad: “[…] In Malesia, grazie ai nostri interventi “consultivi”, alcune misure un po’ troppo radicali intraprese dal premier Mahathir Mohamad, probabilmente sull’onda emotiva di una serie di crolli, sono già oggetto di revisione, a partire proprio dai provvedimenti che tendevano a scoraggiare gli investitori occidentali. […]”232. Scorrendo l’intervista, si possono così sintetizzare gli elementi che Harinder Kohli

cita a sostegno del suo pensiero: 1. I tassi di crescita della regione sono troppo alti perché subiscano una vera e propria battuta d’arresto 2. Il flusso di investimenti internazionali nell’area non si è fermato 3. Non tutte le economie della regione hanno avvertito la crisi nello stesso modo: la Cina, l’Indonesia, la Corea del Sud, non ne hanno minimamente risentito. Altri paesi come Taiwan ne sono stati “appena lambiti”, mentre in altri ancora come le Filippine, la crisi “non è devastante”. 4. La crisi in Thailandia è grave e può avere risvolti politico-sociali, ma la cifra messa disposizione è alta, più di quella che venne stanziata per il Messico. 5. Così come il Messico è strategico per gli usa, la Thailandia è un partner strategico per molti paesi industrializzati. Inoltre, data la forte interconnessione tra le economie dell’area, una crisi irreversibile in Thailandia o in Malesia sconvolgerebbe tutto il sud est asiatico.

* Occorsio E., Niente paura: in Asia la crisi passerà presto, «La Repubblica», 22 settembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 30, p. 14 230 Ivi 231 Ivi 232 Ivi 229

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II. La ricerca sui giornali

Il professore cita però alcuni elementi preoccupanti: 1. Gli investimenti locali e internazionali per lo sviluppo delle infrastrutture nell’area sono stati poco meno della metà di quelli mondiali e rappresentano un settore cruciale. 2. Del totale di questi investimenti, quelli privati sono una quota tra il 12 e il 18%, la restante quota sono investimenti statali. Preso atto del fatto che gli investimenti infrastrutturali sono un importante fattore di crescita per i paesi della regione, essi, nei paesi che hanno richiesto l’aiuto del Fondo monetario, rischiano di essere soppressi o fortemente limitati in virtù del raggiungimento del surplus di bilancio imposto come condizione dei prestiti finanziari. Da questa intervista appare come La Repubblica non abbia una posizione coerente sugli avvenimenti in corso e chiami in causa vari esperti, specie all’interno dell’inserto “Affari & Finanza”. Si alternano voci preoccupate come quella di Petrini R.233, che non si spiega l’ottimismo del direttore dell’associazione bancaria thailandese, ad interventi che sponsorizzano una rapida uscita dalla crisi, sottolineando le “potenzialità dell’area”. Dopo l’approvazione dei pacchetti di salvataggio, rimane la grande questione delle riforme nei paesi che hanno chiesto aiuto. Riusciranno i paesi in crisi a rispettare i parametri imposti senza incorrere in crisi sociali? Riusciranno a implementare le dure riforme e ristrutturazioni di settore senza rischiare contraccolpi politici? E le stesse riforme saranno efficaci nel rilancio dell’economia e della crescita? 2.16.4 L’alfiere della globalizzazione Il 19 settembre, all’interno dello speciale sul vertice di Hong Kong, il Sole 24 Ore a firma di Alessandro Merli titola: “Globalizzazione avanti tutta”234. L’autore scrive: “[…] La sfida di oggi è quella della globalizzazione, in particolare dei mercati finanziari, che impongono vincoli alle politiche economiche e possono proiettare in alto e far precipitare in basso valute ed economie. Cadmessus non crede a chi se la prende con la speculazione, un vecchio vizio della demagogia di tutto il mondo: «Gli attacchi speculativi – dice – vanno dove ci sono le debolezze. Gli speculatori non provano contro chi è invulnerabile: perder soldi non piace. Per questo bisogna fare estrema attenzione perché ogni debolezza di un’economia non si trasformi in un problema» […]”235(appendice 8). In queste parole si esplicita il pensiero anche di altri

economisti, come Dornbusch.

233

Vedi p. 116, nota214 * Merli A., Globalizzazione avanti tutta, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti -Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 1/3 235 Ivi 234

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Sviluppo della crisi

Alessandro Merli e il Sole 24 Ore si allineano al pensiero del Fondo e fanno rientrare la lotta alla corruzione nel sistema di mercato. Due giorni dopo, riprendendo il tema nella sezione “In primo piano”, Mario Platero cita le parole di un funzionario dell’Fmi, che afferma: “È inutile mantenere un ruolo esteso, costoso e inefficiente dello Stato – dice ancora Ahmed, funzionario di origine pakistana che lavora da 18 anni presso l’Organizzazione multilaterale – piuttosto è meglio ridurre le funzioni dello Stato a poche responsabilità con un buon contenuto di qualità». Ogni Paese, secondo Ahmed, dovrà trovare una sua formula per recuperare un’efficienza dello Stato. Per questo occorre eliminare quanto più possibile regole, leggi e leggine che rendono il sistema più rigido, quasi costringendo il cittadino a ignorarle. […] «Se le leggi sono arcaiche, complicate e contraddittorie e la gente non le osserva, è molto meglio non averle, bisogna eliminarne il più possibile delegando la responsabilità al mercato: è più anonimo e rende più efficiente il rapporto fra il proprietario e la gente» […]”236. Alessandro Merli, nel

box all’interno dell’articolo, nota però che: “[…] Il Fondo monetario vede la sua possibilità di intervento, attraverso la consulenza alla formulazione delle politiche e l’assistenza tecnica, soprattutto in due aree: il miglioramento della gestione delle risorse pubbliche e il sostegno allo sviluppo e al mantenimento di un ambiente economico e normativo stabile che consenta attività efficienti nel settore privato […]” 237. Non si

tratta allora di lasciare unicamente al mercato la responsabilità del proprio funzionamento, ma anche di incentivare le politiche al rispetto e alla promozione di trasparenza e stabilità. Il 19 settembre Michele Calcaterra, nella sua analisi del quadro finanziario asiatico, riprende un tema già affrontato a fasi alterne dai giornali, e qui introdotto nel paragrafo 2.13 . “[…] Sicuramente siamo di fronte a un periodo di forte transizione in cui i pilastri su cui poggiavano queste economie stanno venendo meno. […] È evidente che un consolidamento era necessario e che aspettarsi tassi di sviluppo attorno al 6-8%, senza interruzione, era fisiologicamente impossibile. Ma la situazione evidenziata negli ultimi mesi è di quelle che va al di là delle semplici crisi di crescita. È la crisi di un sistema, la crisi di un modello che finora è stato di grande successo. Per questo è quanto mai difficile individuarne le cause reali (esistono molte concause) e trovare i giusti antidoti. Il salvagente lanciato dal Fondo monetario internazionale e da altre istituzioni (per il totale di una ventina di miliardi di dollari) a favore della Thailandia, se da un lato ha avuto un effetto-tampone sulla situazione del Paese, dall’altro ha messo in evidenza i limiti di queste misure: si tratta, infatti, di una diga fragile, contro una voragine finanziaria ben più ampia, che ha eroso buona parte delle riserve del paese e che ha convinto a elevare i debiti a livelli vicini al non ritorno. […]”238. Calcaterra si era

espresso in tal senso già il 5 settembre

239

e non fa che confermare la sua analisi con i nuovi

fatti avvenuti.

* Platero M., Solo l'economia di mercato può frenare la corruzione, «Il Sole 24 Ore», 21 settembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 237 * Merli A., Un poliziotto a difesa del buon governo, «Il Sole 24 Ore», 21 settembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 238 Vedi p. 116, nota213, Calcaterra M. 239 Vedi p. 107, nota171 236

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II. La ricerca sui giornali

2.16.5 Il Giappone: medico o paziente? Repubblica il 20 settembre riporta la preoccupazione del G-7 per la situazione asiatica: “Tokio, i grandi temono la crisi”240. L’autore (R. Petrini): “È stato il timore dell’effetto-domino che può scatenarsi in conseguenza del crac delle Tigri asiatiche a segnare il vertice dei sette Grandi (Usa, Canada, Giappone, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia) che si è tenuto ieri ad Hong Kong. [..] La crisi delle ex tigri orientali e la debolezza dell’economia nipponica corrono il rischio di interagire rovinosamente tra loro. […] I Sette Grandi hanno convenuto sulla necessità di “minimizzare il contagio” del virus di Bangkok e hanno invitato il governo thailandese ad adottare immediatamente il pacchetto di misure concordato con l’Fmi. E proprio per poter fronteggiare più efficacemente crisi finanziarie pari o più gravi di quella sud orientale, i paesi aderenti al Fondo monetario hanno deciso di aumentare, dopo due anni di trattativa, le quote dell’Fmi del 45%. Il capitale passerà così da 197 a 285 miliardi di dollari […]. […]”241.

Sulla situazione giapponese: “[…] Nell’angolo per una difficile crisi economica e in pericolo per l’effetto-domino, i giapponesi hanno dovuto subire l’offensiva americana contro la svalutazione dello yen e l’eccesso di surplus commerciale. Hanno tentato di giustificare il loro export con la necessità di sostenere un’economia a terra per l’incertezza dei consumatori in attesa delle misure di politica economica annunciate dal governo ma ancora avvolte nell’incertezza. […] Del resto i toni del pre-vertice nippo-statunitense, che si è tenuto ieri ad Hong Kong hanno dato la sensazione che una sorta di compromesso sia stato raggiunto. [...]”242.

Dal fronte giapponese le notizie vengono riportate prevalentemente da Repubblica e dal Sole 24 Ore. Quest’ultimo giornale, mette in evidenza il raddoppio dell’attivo commerciale attraverso la spinta dell’export, la difficoltà di implementazione delle riforme e la ricerca del rilancio della Borsa243 (18 e 19 settembre), la deregulation economica e le riforme in senso liberista come la riduzione delle tasse alle imprese244 (19 e 25 settembre), le previsioni al ribasso del pil nipponico245 (20 settembre), l’accordo per la difesa con gli Stati Uniti246 (24 settembre), fino alla constatazione di una ripresa economica assente247 (26 settembre). La

* Petrini R., Tokio, i grandi temono la crisi, «La Repubblica», 21 settembre 1997, sezione “Economia”, p. 31 Ivi 242 Ivi 243 * Calcaterra M., A Tokio raddoppia l'attivo commerciale, «Il Sole 24 Ore», 18 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Calcaterra M., I cambiamenti frenano il Giappone, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 4 * Calcaterra M., Il Kabutocho alla ricerca del rilancio, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, inserto “Rapporti Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 10 244 * Valsania M., E il Giappone vara misure di deregulation per rilanciare l'economia, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., Tokio: stimoli all'economia e meno tasse alle imprese, «Il Sole 24 Ore», 25 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 245 * Calcaterra M., Il Giappone rivede al ribasso la crescita del Pil, «Il Sole 24 Ore», 20 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 246 * Calcaterra M., Difesa, accordo Usa-Tokio, «Il Sole 24 Ore», 24 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 247 * Calcaterra M., In Giappone la ripresa non c'è, «Il Sole 24 Ore», 26 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 240 241

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Sviluppo della crisi

Repubblica conferma la “crisi malgrado l’export” del Sol Levante il 29 settembre248 . Appare strano allora come proprio il Giappone possa farsi promotore di un fondo per l’Asia249. Michele Calcaterra però avverte: “[…] Nell’esaminare il Giappone vale dunque la pena di fare dei distinguo tra quella che è la sua situazione interna e quella che è invece la sua situazione internazionale. La prima sta sicuramente soffrendo di una certa difficoltà a causa della scarsa propensione al consumo evidenziata negli ultimi tempi e quindi a causa di una limitata dinamicità. La seconda invece, appare brillante e spumeggiante, grazie ai consistenti investimenti effettuati all’estero dai principali gruppi industriali, che hanno permesso di ridurre i rischi e di accumulare importanti riserve oltreoceano. La debolezza dello yen ha inoltre consentito di ridare fiato alle esportazioni. Chi reputa dunque il Giappone in crisi sottovaluta il Paese e la sua forza. Forza che si è chiaramente espressa non appena la cosiddetta bolla economica è scoppiata e che ha permesso al Paese di non affondare, ma al contrario di resistere, pur se tra mille difficoltà. […] Il Giappone dovrà quindi contare solo sulle proprie forze, e in particolare sul proprio tessuto industriale. Non solo i grandi gruppi, le cosiddette keiretsu, ma anche quelle di piccole-medie dimensioni, che rappresentano il vero volano economico del Paese. […]” 250.

2.16.6 Il duello “[…] Cosa succederà se la crisi thailandese dovesse dilagare? Se a Bangkok, come alcuni temono a Hong Kong, dovessero scoppiare disordini? […]”, si chiede Mario Platero sul Sole 24 Ore il 20

settembre nella sezione “Economia internazionale”251. “[…] È per questo che il G-7 avrà all’ordine del giorno una discussione approfondita della crisi, delle possibilità di gestirla e, più in generale, delle riforme a livello multilaterale e nazionale per poterle in futuro controllare in tempo. Gli Stati Uniti proporranno che le banche centrali di tutti i Paesi membri del Fondo siano pronte a pubblicizzare i loro conti in modo molto più trasparente di quanto non facciano oggi. Le istituzioni multilaterali chiedono margini di manovra più vasti per comunicare segnali di allarme ai mercati. I paesi della regione saranno pronti a intervenire ma non vogliono organizzare un fondo di assistenza speciale.[…]”252. Ma più che delle riforme proposte dagli Usa,

l’argomento che occupa le pagine del Sole, di Repubblica e del Corriere dal 20 al 22 settembre, riguarda proprio la discussione sui banchi del G-7 della crisi che sta avvenendo in Asia. Il tema viene monopolizzato da due personaggi che abbiamo già incontrato: Gorge Soros, lo speculatore per antonomasia e Mahathir Mohammad, il presidente della Malesia, che rappresenta un po’ tutti i leader asiatici che hanno portato i loro paesi alle soglie dello sviluppo economico. Il duro scontro tra queste due personalità, nessuna esente da luci e

* Ricci M., Tokio, crisi malgrado l'export, «La Repubblica», 29 settembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 17 249 * Merli A., Tokio: un fondo per l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 23 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 250 Vedi p. 124, nota243, Calcaterra M., I cambiamenti frenano il Giappone 251 * Platero M., G-7, gli Usa vanno all'attacco, «Il Sole 24 Ore», 20 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 252 Ivi 248

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II. La ricerca sui giornali

ombre, incarna la lotta tra i sostenitori della liberalizzazione finanziaria legata alla globalizzazione e coloro che resistono opponendosi alle conseguenze di questo processo, usando talvolta un linguaggio demagogico, ma raccogliendo la voce di quanti hanno visto sfumare il risultato di tanti anni di lavoro. Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore, 20 settembre: “[…] In un duello memorabile si scontrano Mahathir Mohamad, primo ministro malese, “vittima” e grande accusatore della speculazione finanziaria internazionale e George Soros, re degli speculatori. Non sarà un duello sulla pubblica via e non sarà, si spera, a colpi di pistola, anche perché Mahathir, che ha denunciato un complotto della finanza internazionale (complice persino l’Fmi) per rovinare il suo Paese e ha dato a Soros pubblicamente del «cretino» arriva oggi e il suo “rivale” solo domani. Non si sa se il primo ministro malese vorrà smorzare i toni e difficilmente Soros vorrà recitare un “mea culpa”. Certo che lo scontro, anche se solo virtuale è emblematico del grande dibattito di questi giorni dopo la crisi estiva della Thailandia e dei paesi suoi vicini. Crisi che è tutt’altro che debellata. […]”

253

. L’articolo del Sole 24 Ore pone i seguenti

problemi: 1. “[…] Le istituzioni finanziarie internazionali sono chiamate a far da arbitro, camminando sul filo di un difficile equilibrio fra la necessità di avvisare i Paesi membri degli errori che stanno commettendo e la preoccupazione di non mettere ulteriormente in subbuglio i mercati finanziari. Il loro cuore, se ce l’hanno, batte con i Paesi investiti dalla crisi, ma la ragione gli dice che in fondo il comportamento dei mercati è del tutto giustificato. Fino a un certo punto. […]”

2. “[…] Fondo monetario e Banca mondiale presentano una facciata ottimista sul futuro di lungo periodo del Sud-Est asiatico. […]”

3. “[…] Sono due […] i problemi sollevati dalle recenti turbolenze finanziarie, ha detto Fischer (numero due dell’Fmi, n.d.r.): a.

non solo la sostenibilità del miracolo asiatico, ma anche

b.

i rischi della liberalizzazione dei movimenti di capitale […]”

4. “[…] È qui che il Fondo, che proprio domani chiederà ai ministri riuniti nel comitato interinale di dargli il mandato politico di promuovere per statuto la liberalizzazione, non può più essere un arbitro neutrale fra i politici che strepitano slogan che sanno di vecchia demagogia nazionalista e i mercati. I benefici della liberalizzazione, sostiene Fischer, superano i potenziali costi. […]”

5. “[…] Una ricetta per i Paesi che aprono le frontiere ai movimenti di capitale il Fondo monetario ce l’ha: seguire politiche macroeconomiche solide, rafforzare i sistemi finanziari e introdurre la

* Merli A., E sull'Fmi si abbatte il ciclone Asia, «Il Sole 24 Ore», 20 settembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 253

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Sviluppo della crisi liberalizzazione gradualmente in modo appropriato, cioè mantenendo alcuni controlli sui capitali nella fase di transizione. […]” 254

Il 22 settembre, sul Corriere della Sera, viene ripreso da Stefano Cingolani il duello Mahathir-Soros: “[…] Il cavallo pazzo malese ha rincarato la dose (di accuse a Gorge Soros, n.d.r.) proprio qui, minacciando di bloccare tutte le transazioni finanziarie del suo Paese che non servano a pagare lo scambio di merci. Insomma verrebbe alzata la barriera del protezionismo valutario e la liberalizzazione finanziaria crollerebbe come un castello di carte. «È una minaccia che non avrà seguito, un altro escamotage populistico per ottenere consenso interno» minimizza George Soros, il quale, tuttavia, non ci sta ad essere dipinto come un nemico del popolo. […] «(Mahathir, n.d.r.) Mi sta usando come capro espiatorio per coprire i suoi fallimenti. Quanto al bando contro il commercio di valuta, è la ricetta per il disastro: Mahathir rappresenta una minaccia per il suo stesso Paese». [...]”255. Al di là delle dichiarazioni dei due avversari, il Corriere della

Sera afferma: “[…] Ma le schermaglie tra uno speculatore e un semidittatore sono tutt’altro che colore locale. Le minacce della Malaysia hanno allarmato anche gli Stati Uniti, soprattutto per il messaggio politico che esse lanciano agli altri Paesi: in Thailandia, in Indonesia, nelle Filippine, reazioni protezionistiche darebbero un colpo pesante alla globalizzazione che ieri il ministro del Tesoro americano (Robert Rubin, n.d.r.) ha difeso a spada tratta, arrivando a giustificare la speculazione valutaria come la conseguenza inevitabile del libero mercato. Per salvare un processo di importanza strategica per gli Usa, Robert Rubin chiede al Fondo monetario di trasformarsi nel guardiano del movimento dei capitali, modificando il suo statuto per dotarsi di nuovi poteri. I giapponesi hanno proposto di costituire un “fondo asiatico”. Ma europei e americani sono contrari. Dalla crisi delle tigri può scaturire un terremoto geopolitico che cambia gli equilibri del Pacifico custoditi per un secolo dagli Stai Uniti i quali temono una erosione della loro egemonia, tanto più ora che la Cina ha rafforzato le sue ambizioni.”256. A detta del Corriere dunque, sarebbero in gioco questioni

ben più importanti di una crisi finanziaria: nel momento di crisi del “modello asiatico”, gli Stati Uniti contano di promuovere la globalizzazione quale strumento per il mantenimento della propria egemonia. La Repubblica il 22 settembre titola: “Soros, il demonio dell’Oriente”257. “[…] Il premier islamico malese Mahathir si è messo alla testa di un vero e proprio fronte anti Soros e ieri, in una intervista a un giornale di Hong Kong ha usato toni pesanti: «I commercianti di denaro diventano ricchi, molto ricchi – ha detto minaccioso – facendo diventare poveri interi popoli». Battute già pronunciate da Mahathir durante l’estate, subito dopo il tracollo delle monete del Sud Est, e fatte proprie anche dal leader filippino Fidel Ramos. Il capitalismo asiatico dal sapore autoritario sta per lanciare una campagna contro la globalizzazione? Non è escluso giacché Mahathir ha anche minacciato, come hanno fatto i thailandesi nei giorni scorsi, di chiudere le frontiere valutarie gettando nel caos la valanga di produzioni giapponesi e americane impiantate in quei paesi e mandando su tutte le furie l’Fmi. E non a caso lo stesso G-7 ha inviato un severo monito alla Thailandia per

254

Ivi * Cingolani S., Un ring a Hong Kong: duello tra il finanziere Soros e l'uomo forte della Malesia, «Il Corriere della Sera», 22 settembre 1997, sezione “Esteri”, p. 9 256 Ivi 257 * Petrini R., Soros, il demonio dell'oriente, «La Repubblica», 22 settembre 1997, sezione “Economia”, p. 22 255

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II. La ricerca sui giornali

impedire la propagazione della crisi. […]”258. Anche La Repubblica pone l’accento sull’effettivo

potere di ricatto che i paesi investiti dalla crisi possiedono nei confronti dei Grandi di chiudere le frontiere valutarie, mandando a monte la libera circolazione dei capitali. Petrini, l’autore dell’articolo, conclude dicendo che “[…] Soros non se ne cura”259 delle accuse, infatti il vero problema sono le minacce di Mahathir e del Governo thailandese, la reazione protezionista alle conseguenze della globalizzazione. La Repubblica il 29 settembre, nella sezione “Estero” dell’inserto “Affari e finanza”, riprende un po’ più approfonditamente la situazione Malesiana dopo le accuse del presidente Mahathir a Gorge Soros. Partendo dall’aspro confronto al G-7, Eugenio Occorsio si chiede: “[…] Chi ha ragione? Soros avrà i suoi interessi, ma di certo Mohamad ha esposto il fianco: a fine agosto ha vietato gli acquisti di azioni allo scoperto, provocando l’ennesimo crollo della Borsa di Kuala Lumpur, dopodiché ha annunciato di voler limitare le transazioni in ringgit alle sole «esigenze commerciali», bandendo quindi del tutto le negoziazioni «speculative». […] Ma la mossa di Mohamad […] ha provocato una valanga di dichiarazioni da parte dei governanti degli altri paesi del sud-est asiatico, tutte sullo stesso tono: la decisione del premier malese è isolata, noi ci rendiamo conto che le trattative puramente finanziarie non possono escludere nessun paese, pena l’isolamento di quest’ultimo. «Fermare il currency trading – ha insistito Thanong Bidaya, ministro delle Finanze della Thailandia […] significa tornare indietro sulla strada della globalizzazione». E ha confermato che il suo paese intende adempiere ai dettami del Fondo Monetario, contropartita agli aiuti internazionali. […]”260. Citando dati economici, la tesi sostenuta da Occorsio

è che più di un anatema anti-globalizzazione, quello di Mahathir è una mossa politica volta a contrastare un’opposizione interna che con la crisi si fa sempre più aggressiva. “[…] …una crescita media del 8% dal 1987 al ’96 si spiega solo con il fatto che i capitali stranieri sono affluiti copiosamente, e continuano a farlo specialmente nel settore infrastrutturale. Questo ovviamente Mohamad lo sa benissimo, e rende più difficili da interpretare i suoi exploit anti-stranieri. Sembra che il premier sia in difficoltà di fronte alla crescente arroganza dell’opposizione interna degli integralisti islamici, che hanno rialzato la testa appunto sull’onda della crisi. […]”261. La posizione di Occorsio su Repubblica del 29 settembre, è

quindi molto diversa da quella di Petrini del 22 settembre. Occorsio è molto più critico verso Mahathir che non Soros e legge le decisioni del premier malese come una risposta politica interna invece che una difesa protezionistica.

258

Ivi Ivi 260 * Occorsio E., La guerra contro Soros, il pirata della Malesia, «La Repubblica», 29 settembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 15 261 Ivi 259

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3 L’ESPLOSIONE DELLA CRISI (27 settembre-31 dicembre1997)

“Una forma di dominio coloniale non avrebbe dovuto finire solo per lasciare il posto ad una ancora più ferrea tirannia” John Fitzgerald kennedy – The inagural address – “Quando non sta andando bene o quando si è in dubbio, uscire dal mercato. Se avete una bussola nel mezzo del deserto, e l'oasi è a nord, non fatevi abbagliare dal miraggio ad ovest! Non c'è niente di meglio che uscire velocemente dal mercato quando si è sbagliato” George Kleinman

3.1 Il Messico Negli ultimi giorni di settembre, concluso il vertice di Hong Kong, Il Corriere della Sera non riporta più notizie dall’Asia. La Repubblica stampa le ultime il 29 settembre sulla crisi giapponese1, sulla conquista del settore high-tech da parte di Taiwan2 e sulla crescita della Borsa in Cina3. Il Sole 24 Ore, dal 26 al 30 settembre, riporta ancora analisi della crisi e notizie provenienti dai singoli paesi. Così è per la Malesia, “bocciata” da Standard and Poor’s, nella sezione “Brevi dall’Asia” il 26 settembre4, per la Thailandia che riesce ad approvare la nuova costituzione (28 settembre)5 e ad ottenere un nuovo prestito (30 settembre)6. In quest’ultima notizia, si viene a sapere che ci saranno “Nuovi prestiti internazionali alla Thailandia: 1,2 miliardi di dollari per ristrutturare l’industria e rilanciare le esportazioni. I fondi […] arrivano da Banca mondiale e da Banca asiatica per lo sviluppo. […] La nuova somma va ad aggiungersi ai 17,2 miliardi di * Ricci M., Tokio, crisi malgrado l'export, «La Repubblica», 29 settembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 17 2 * Azimonti F., Taiwan scala l'hi-tech, «La Repubblica», 29 settembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 20. 3 * Fonzi F., Cina, l'anno della Borsa, «La Repubblica», 29 settembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 31, p. 23 4 * Non firmato, Malaysia bocciata, in flessione il ringgit, «Il Sole 24 Ore», 26 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 5 * Calcaterra M., Thailandia: il governo supera la crisi e vara una nuova costituzione, «Il Sole 24 Ore», 28 settembre 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 14 6 * Calcaterra M., Nuovo prestito per la Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 30 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 16 1

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II. La ricerca sui giornali dollari prestati dal Fondo monetario internazionale per sostenere le riserve in divisa della Thailandia, in serie difficoltà dopo il deprezzamento accusato dal baht. […]”

Tuttavia, nonostante i prestiti, nello stesso articolo il giornale tratteggia un quadro allarmante7 (appendice 9). A conferma della gravità della situazione, già il 27 settembre l’analisi di Alessandro Merli titola: “I domatori spaventati dalle Tigri”8, mentre nella stessa pagina Stefania Pensabene scrive: “L’Asia? Un nuovo Messico”9. Nell’articolo di Merli, appare la dichiarazione di Gavyn Davies, responsabile dell’analisi economica internazionale alla Goldman Sachs di Londra, che sostiene che “[…] …l’opinione dominante fra gli investitori dedicati al Sud Est asiatico è che l’impatto economico della crisi sarà più prolungato del previsto e che le difficoltà soprattutto dei sistemi finanziari della regione non saranno facili da risolvere. Racconta lo stesso Davies che molti sono pronti a entrare in questi mercati sfruttando la svalutazione e il crollo delle Borse, ma che finora ben pochi hanno fatto. C’è bisogno di ulteriori progressi su fronte macroeconomico e la riforma dei sistemi bancari, afferma, prima che le valute si stabilizzino e non tutti sono convinti che queste riforme verranno mai realizzate. […]”

10

.

L’articolo della Pensabene esplicita quello che nessuno finora ha avuto il coraggio di affermare e che anzi tutti si sono ostinati a negare: il paragone di somiglianza tra la crisi asiatica e quella messicana11 (appendice 10). L’autrice, coerentemente all’approccio del giornale, mantiene un occhio molto critico verso i governi dei paesi colpiti dalla crisi, i soli che possono risolvere la situazione attuando riforme strutturali.

3.2 L’Indonesia scivola Il 2 ottobre il Sole 24 Ore, nella sezione “Politica ed economia internazionali”, aggiorna la situazione in Asia con delle notizie flash dai vari Paesi. Mentre le valute asiatiche continuano a scendere12, in Indonesia avviene il rinnovo del Parlamento13. “Il nuovo Parlamento indonesiano ha prestato giuramento ieri per un mandato quinquennale. L’Assemblea, che comprende dieci parenti stretti del presidente Suharto e numerosi suoi soci in affari, ha il compito tra l’altro di scegliere un nuovo presidente in marzo. Con ogni probabilità la scelta ricadrà ancora una volta su Suharto, che ha dominato la vita politica del Paese negli ultimi trent’anni.”14. Due giorni dopo, il 4 ottobre il giornale riprende

7

Ivi * Merli A., I domatori spaventati dalle Tigri, «Il Sole 24 Ore», 27 settembre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 31 9 * Pensabene S., L'Asia? Un nuovo Messico, «Il Sole 24 Ore», 27 settembre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 31 10 Vedi nota8 11 Vedi nota9 12 * Non firmato, Sud-Est, continua la crisi delle valute, «Il Sole 24 Ore», 2 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 13 * Non firmato, Nuovo Parlamento in Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 2 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 14 Ivi 8

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L’esplosione della crisi

la cronaca economica dal paese asiatico, riportando l’ulteriore discesa della rupia15 (appendice 11). Il 7 ottobre, sulle pagine del Sole 24 Ore, la crisi peggiora16 (appendice 12) e, nonostante le

intenzioni di Suharto di non rivolgersi alle istituzioni internazionali, alla fine, il 9 ottobre, avviene l’inevitabile: “L’Indonesia chiede aiuto all’Fmi per superare la crisi finanziaria”17. L’articolo è firmato da Nicol Degli Innocenti, che scrive: “[…] La mossa, impensabile fino a poco tempo fa, è stata accolta positivamente ma senza entusiasmo dai mercati. La Rupia si è rafforzata toccando quota 3.640 per poi chiudere a 3.690 sul dollaro, mentre la Borsa di Giakarta ha segnato un rialzo dell’1%. Michel Cadmessus, direttore dell’Fmi, ha confermato ieri che il Fondo agirà in “stretta cooperazione con la Banca mondiale e l’Asian development bank per definire un piano in tempi rapidi seguendo le procedure di emergenza”. Secondo indiscrezioni, i fondi che saranno messi a disposizione di Giakarta non supereranno i 6 miliardi di dollari, una cifra ben lontana dal maxi-prestito di 17,2 miliardi concesso alla Thailandia, e il bisturi dell’Fmi potrebbe concentrarsi solo sul settore bancario. Per l’Indonesia, ha detto Cadmessus, «è un’occasione per rafforzare le proprie politiche economiche anche se i fondamentali sono buoni» […]”18. L’autrice rileva che il vero

problema sarà quello per il governo indonesiano, di accettare la “conditio sine qua non” delle riforme chieste dal Fondo monetario. “[…] A fronte di una crisi finanziaria senza precedenti, anche l’inossidabile presidente-padrone si sarebbe convinto della necessità di riformare il sistema. Ma riforma necessariamente significa scardinare il meccanismo che lega politica e affari, allentare la presa che Suharto e famiglia hanno non solo sul governo, ma su contratti e appalti, su banche e imprese, su ogni nicchia dell’economia, dell’industria, della finanza. […] Con le elezioni presidenziali fra tre mesi, Suharto vuole presentarsi come salvatore dell’economia. […] Se Suharto dimostrerà di voler mantenere invariati monopoli e affari, di avere chiesto l’aiuto dell’Fmi solo per indossare vistosamente all’occhiello il fiore dell’approvazione di Washington, l’equivoco diventerà un braccio di ferro.”19. Il 7 ottobre il giornale presenta quale

opportunità politica per Suharto quella di non richiedere l’aiuto internazionale per evitare il “clamore”, mentre due giorni dopo la Degli Innocenti afferma il contrario. Due opinioni differenti? Forse, ma è probabile che sia stata la gravità della crisi a forzare gli eventi. Infatti dopo il momentaneo rimbalzo della rupia, in seguito all’annuncio dell’avvio delle riforme nel paese uscito dai colloqui con gli esperti del Fondo monetario il 10 e 11 ottobre20, il 14 ottobre

* Non firmato, Indonesia, la rupia ai minimi, «Il Sole 24 Ore», 4 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 16 * Es. R., Indonesia, rupia in picchiata, «Il Sole 24 Ore», 7 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 17 * Degli Innocenti N., L'Indonesia chiede aiuto all'Fmi per superare la crisi finanziaria, «Il Sole 24 Ore», 9 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 18 Ivi 19 Ivi 20 * Es. R., Le riforme aiutano il ringgit e la rupia, «Il Sole 24 Ore», 10 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 8 * Non firmato, Primi segnali di riforma, la rupia indonesiana sale, «Il Sole 24 Ore», 11 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 15

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II. La ricerca sui giornali

sembra che gli aiuti siano stati portati a 12 miliardi di dollari dai 6 di partenza21. Repubblica e il Corriere della Sera non riportano notizie della situazione indonesiana per tutto il mese di ottobre.

3.3 La Thailandia malata La Thailandia, il paese in cui la crisi ha avuto inizio, continua il suo travaglio anche dopo l’annuncio del prestito organizzato dal Fondo monetario. Il Sole 24 Ore il 1 ottobre dà notizia della cancellazione di una maxi-commessa industriale da parte del governo per la costruzione di una rete ferroviaria a Bangkok. “[…] La decisione di annullare il progetto (dal costo di 3,2 mioliardi di dollari, n.d.r.) è stata giustificata ufficialmente con i ritardi accumulati (è stata cominciata nel ’91 e meno del 20% è stato completato), ma sembra collegata alla crisi finanziaria che sta attraversando il Paese. È la prima cancellazione di un’importante infrastruttura in Thailandia dopo la svalutazione del baht nel luglio scorso, che ha innescato la crisi delle valute e dei mercati del sud-est asiatico. […]”22. Ma c’è di più

nella notizia riportata dal Sole 24 Ore: “[…] Il sottosegretario alle Finanze thailandese, Chaturong Chaiseng, ha ammesso ieri che il Paese potrebbe non riuscire a rispettare una delle condizioni poste dal Fondo monetario internazionale per la concessione del pacchetto di aiuti da 17 miliardi di dollari, cioè un attivo di bilancio dell’1,1% del Pil. Ma fino a quando i dati finali dell’esercizio ’97 non saranno resi noti è prematuro ipotizzare una rinegoziazione degli accordi con l’Fmi. […]”23. Ciò significa che, contrariamente a

quanto sembrava, i prestiti del Fondo non sono ancora arrivati in Thailandia, dato che essendo prestiti stand-by, la loro concessione è vincolata al raggiungimento degli obiettivi macroeconomici. L’articolo continua: “Gli ultimi dati economici, diffusi ieri, mostrano un miglioramento dell’export grazie alla debolezza del baht, mentre il deficit della bilancia dei pagamenti ha registrato un netto peggioramento. In luglio le esportazioni sono aumentate del 24,2% su base annua, contro un calo del 1,2% nello stesso mese dello scorso anno, facendo scendere il deficit commerciale a 22 miliardi di baht. Il deficit delle partite correnti in luglio è invece aumentato a 20,5 miliardi dai 20,1 miliardi in giugno.”24. Il 3 ottobre,

come se la situazione non fosse già di per sé grave, arriva la “bocciatura” di Moody’s. L’agenzia di rating statunitense infatti declassa il rating sul debito a lungo termine in divisa della Thailandia e lascia intravedere nuove possibili bocciature. Il Sole afferma che “[…] Secondo gli analisti l’economia thailandese non si stabilizzerà fino al 1999 […]” 25.

* Non firmato, Indonesia, il piano Fmi potrebbe arrivare a 12 miliardi di dollari, «Il Sole 24 Ore», 14 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 11 22 * Non firmato, Thailandia in crisi: cancellata una maxi commessa, «Il Sole 24 Ore», 1 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 11 23 Ivi 24 Ivi 25 * Non firmato, Moody's boccia la Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 3 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 10 21

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L’esplosione della crisi

Interessante il 4 ottobre, la lunga analisi che Rudiger Dornbusch fa del caso Thailandia e della crisi asiatica in generale, analizzando più nello specifico il comportamento dei singoli attori, compreso il Fondo monetario. L’economista esordisce dicendo che: “Dovremmo trarre qualche insegnamento dalla crisi valutaria della Thailandia anziché limitarci ad incolpare qualcuno dell’accaduto. Come può un Paese cadere in una situazione catastrofica quando, solo pochi mesi prima, esisteva a malapena un problema? […]”26.

Dornbusch riassume la cause della crisi thailandese nella concomitanza di tre fattori: 1. un sistema bancario instabile 2. un ingente debito estero a breve scadenza 3. la totale mancanza di trasparenza unita a una corruzione diffusa Da qui le “lezioni” che dovremmo trarne: 1. “[…] La superficialità è causa di problemi. Un problema, ad esempio un sistema bancario debole non viene affrontato subito. Quando accade qualcosa di grave, ad esempio una svalutazione che viene percepita come trascurabile, in men che non si dica si dimentica tutto ciò che il Paese ha fatto di buono. I mercati lo considerano un paria: si verifica una catastrofe nonché una fuga di capitali. […]

2. Evitare la vulnerabilità. Una buona gestione macroeconomica non cerca di sfruttare al massimo un’economia […], lascia spazi di manovra su più fronti (politica monetaria e fiscale) e offre un grado elevato di trasparenza in modo che tutti gli investitori capiscano che il sistema economico è in gradi di affrontare le difficoltà sul nascere.

3. È impossibile sapere con esattezza quanto è grave il problema. Sono pochi i finanziatori e i politici che tengono sotto controllo l’entità e la scadenza del debito estero. Il punto fondamentale consiste nel sapere se il debito è nell’ordine di miliardi e rischia facilmente l’inadempienza”.

4. Chi sono i finanziatori? Un problema finanziario diventa grave solo in presenza di un ingente indebitamento. […] Anche i finanziatori, nel caso della Thailandia le banche giapponesi, rivestono un ruolo fondamentale: hanno la necessità di essere in attivo senza però avere alcuna idea dei rischi che possono correre […].

5. Non cercare di combattere, bensì di stare a galla. Le banche centrali non possono far fronte agli speculatori, nemmeno tramite i controlli dei movimenti di capitale. Le banche centrali non possono continuare a mantenere elevati i tassi di interesse, in quanto non possiedono riserve illimitate né uno spazio di manovra politico. Alla fine dovranno arrendersi, incoraggiando * Dornbusch R., Le lezioni del caso Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 4 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5

26

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II. La ricerca sui giornali così gli speculatori. […] …la difesa della valuta rischia di sfociare in una catastrofe ancora più grave, in quanto sempre più speculatori entreranno nella mischia.

6. Stallo dei costi. Dopo che i ministri dichiarano per mesi che tutto va bene, e che non verrà presa alcuna misura, una svalutazione del 10-15% non può far altro che sollecitare gli speculatori a forzare la mano […]

7. I politici sono più stupidi (ostinati) di quanto si possa pensare. Persistono nei loro errori. Le idee sbagliate permangono; i politici si rifiutano di ammettere la realtà dei fatti; cercano conferme tramite la difesa della valuta. Solo in presenza di un sistema coerente è possibile attuare i cambiamenti strutturali necessari.

8. L’Fmi esita. […] L’Fmi conosceva i problemi della Thailandia, ma non ha reso pubblici i propri timori. Tuttavia non lo si può biasimare, dopotutto gli ospedali non obbligano i pazienti a curarsi, ma aspettano che questi si rivolgano al pronto soccorso.

9. Ogni crisi porta alla morte di un mito. In Thailandia è crollato il mito secondo il quale le economie asiatiche sono diverse dalle altre, così come l’idea che i deficit siano accettabili quando sono finalizzati ad investimenti o che un ingente indebitamento non rappresenti un problema se privato. Ogni volta che cade un mito, gli operatori internazionali si mettono alla ricerca di casi analoghi. L’attuale contagio asiatico è di questo tipo ma è eccessivo nei casi della Malaysia e dell’Indonesia, anche se non nel caso delle Filippine […].

10. Aspettare l’intervento del Fondo monetario. Quando una valuta subisce un violento attacco, la situazione destabilizzante permane fino al momento dell’intervento dell’Fmi (budget contenuti, valute convertibili, riforma bancaria). Nel momento in cui viene mobilitato il team dell’Fmi si vengono sempre a creare situazioni difficili: la politica interna si oppone a questo o quel cambiamento. Solo quando il programma dell’Fmi sarà accettato la valuta potrà stabilizzarsi e i mercati azionari riprendersi. Per questo i governi dovrebbero smetterla di parlare a vuoto e “mandare giù la pillola”. L’unica questione consiste nel capire fino a che punto arriverà la devastazione finanziaria intanto che i politici si decidono.” 27.

Sostanzialmente il professor Dornbusch ribadisce le idee di fondo espresse nell’intervista al Corriere della Sera del 29 luglio28 e nel suo intervento riportato dal Sole 24 Ore il 19 settembre, con la differenza che le sue previsioni di allora su Malaysia e Indonesia si stanno rivelando sbagliate, così come la ripresa delle Filippine. In più, nonostante questa analisi partisse da un caso particolare (la Thailandia), emerge da essa una importante 27 28

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Ivi Vedi cap. 2, p. 87, nota71


L’esplosione della crisi

considerazione che contrasta con la posizione di altri articolisti del Sole 24 Ore, come Michele Calcaterra. Dornbusch afferma infatti che la “diversità” delle economie asiatiche non è che un mito. “[…] L’idea che “questo paese fosse diverso”, e che no fosse possibile applicarvi le regole del global finance, si è rivelata un’assoluta sciocchezza”29. Non esisterebbero peculiarità di carattere

culturale, l’economia è la stessa in tutto il mondo e deve funzionare secondo le stesse regole: quelle del libero mercato. Nell’intervista al Corriere Dornbusch definiva “un’ulteriore complicazione” il passaggio da sistemi statalisti al libero mercato in quanto avrebbe causato “contraccolpi” in quelle economie, ma si tratta di una mossa obbligata, in quanto il libero mercato è un sistema che è “destinato a durare”. Si può inoltre riscontrare nell’approccio di Dornbusch una certa contraddizione: la libertà dei capitali porta inevitabili sconquassi cui le banche centrali “non possono resistere”, ma alla fine le crisi accadono per errori di politica economica interna ai singoli paesi. Certo Dornbusch è un economista e non un politico e osserva i fatti dalla sua prospettiva, ma il suo ragionamento assomiglia troppo a una globalizzazione degli introiti e una nazionalizzazione dei costi. Stupisce inoltre un’altra sua affermazione: “i governi dovrebbero smetterla di parlare a vuoto e “mandare giù la pillola”30. Se, come notato da alcuni giornalisti come Marco Ansaldo di Repubblica31, il vero problema dell’Asia non è economico ma politico, perseguire la rotta delle riforme drastiche (con la cancellazione di opere pubbliche e sussidi) potrebbe portare a disordini sociali e mettere a rischio anche i governi democratici di alcuni paesi della regione (tra cui la Thailandia e le Filippine). La via delle riforme non garantisce di per sé stessa un miglioramento progressivo delle condizioni economiche durante la sua attuazione, tanto che lo stesso Dornbusch afferma: “[…] È necessario risolvere ogni singolo problema prima di veder rientrare una sola lira. […]”32. Seguendo questo

ragionamento, molti governi, democratici e non, potrebbero vacillare sotto i colpi della crisi. Dopo l’analisi di Dornbusch, la situazione thailandese viene ripresa il 9 ottobre dal Sole 24 Ore, contemporaneamente alla notizia della richiesta di aiuto dell’Indonesia all’Fmi. “Thailandia, resta forte l’incertezza”33, titola il giornale. “[…] L’andamento contrastato della moneta negli ultimi due giorni, dopo la nuova caduta di inizio settimana, rispecchia, secondo gli operatori, l’incertezza sul piano di salvataggio del sistema finanziario che il Governo dovrebbe presentare mercoledì prossimo. Sono infatti in molti a essere convinti che il piano potrebbe rivelarsi inefficace, così come il pacchetto di aiuti da 17 miliardi di dollari del Fondo monetario. Continuano intanto a crescere i timori sulle capacità di tenuta di un

29

Vedi p. 132, nota26 Ivi 31 * Ansaldo M., Ormai quel che resta è solo polvere di record, «La Repubblica», 29 settembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n.31, p.15 32 Vedi p. 132, nota26 33 * Degli Innocenti N., Thailandia, resta forte l'incertezza, «Il Sole 24 Ore», 9 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 30

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II. La ricerca sui giornali sistema creditizio gravato da sofferenze stimate attorno a un quarto degli impieghi. Il nervosismo è palpabile, tanto che ieri l’associazione bancaria thailandese ha dovuto smentire le voci secondo sulla possibilità che il Governo studi il congelamento dei depositi bancari, che non potrebbero essere così più ritirati. […]”34.

Per rientrare nei parametri imposti dal Fondo monetario, il governo thailandese decide di tagliare i fondi per grandi opere infrastrutturali. Il Sole dell’11 ottobre: “[…] Il maxi-prestito da 17,2 miliardi di dollari è stato concesso dall’Fmi a patto che la Thailandia abbia un surplus di bilancio pari almeno all’1% del Pil. Ma gli aiuti dell’Fmi saranno sufficienti, ha avvertito il ministro delle Finanze Thanong Bidaya, solo se i creditori e gli investitori internazionali riacquisteranno fiducia nell’economia del Paese: «Se la fiducia non torna, il futuro è incerto». […] Sono le banche giapponesi da sole a detenere metà del debito estero thailandese, che è di 91,6 miliardi di dollari. […]”35.

Il 14 ottobre il giornale economico descrive le azioni del governo thailandese: “[…] il Governo ha annunciato ieri un allentamento dei criteri di ripresa dell’attività per 58 società finanziarie sospese a giugno durante la crisi valutaria. In base al pacchetto annunciato dal ministro delle Finanze Thanong Bidaya, gli investitori stranieri potranno assumere il controllo delle società per un periodo massimo di dieci anni, rispetto ai cinque programmati in precedenza. Le 58 società finanziarie avranno otto anni a disposizione, e non soltanto tre, per ripagare i 430 miliardi di baht complessivi (11,9 miliardi di dollari) presi in prestito dalla banca centrale. «Vogliamo rafforzare la fiducia dei risparmiatori, dei creditori finanziari e degli investitori stranieri e non – ha dichiarato Thanong –, sul fatto che i problemi delle istituzioni finanziarie thailandesi saranno affrontati con misure adeguate e accettate internazionalmente». Gli analisti sono più scettici: anche nelle nuove condizioni, le società finanziarie faranno fatica a riprendersi. E man mano che vengono diffusi dettagli sul pacchetto che verrà presentato oggi, si rafforza l’opinione che le nuove misure siano troppo severe. […]” 36. La Repubblica, nella sezione “Opinioni dal mondo”, riporta il fatto con poche e scarne

parole tratte dal Wall Street Journal: “La crisi thailandese può essere paradossalmente risolta molto prima della crisi giapponese. Il motivo è che Bangkok non ha la forza necessaria per dettare i termini del suo riscatto, come ha cercato di fare Tokio per anni con una sorta di politica dello struzzo che ha portato la rovina economica ad avvitarsi su sé stessa. La Thailandia dovrà accettare che le istituzioni estere comprino le loro banche a prezzo di saldo, e poi che siano esse a organizzare e gestire la riorganizzazione che serve al sistema finanziario.”37. Le parole sono ben diverse da quelle del Sole 24 Ore, che pubblica un articolo

anche il giorno seguente, il 15 ottobre38.

34

Ivi * Non firmato, La Thailandia in crisi cancella grandi progetti per tagliare il budget, «Il Sole 24 Ore», 11 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 36 * Non firmato, La Thailandia allenta i criteri per il rilancio delle finanziarie sospese, «Il Sole 24 Ore», 14 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 11 37 * Non firmato, The Wall Street Journal - La soluzione thailandese, «La Repubblica», 14 ottobre 1997, sezione “Commenti -opinioni dal mondo-”, p. 15 38 * Es. R., Pacchetto di riforme in Thailandia per ristrutturare il settore finanziario, «Il Sole 24 Ore», 15 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 35

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L’esplosione della crisi

Queste le mosse thailandesi per l’attuazione delle riforme (appendice13): 1. Tagli alle spese 2. Nuove tasse 3. Due agenzie istituite per curare gli istituti finanziari in difficoltà 4. Apertura ai capitali stranieri Nella prima metà di ottobre il Corriere della Sera non riporta notizie, mentre come si è visto la Repubblica si affida ai commenti internazionali. Il Sole 24 Ore segue la situazione, che avrà rilevanti sviluppi nella seconda metà del mese.

3.4 L’egemonia di mercato Dopo la politica e i negoziati che li hanno visti impegnati nel vertice di Hong Kong in difesa della globalizzazione e nel tentativo di arginare le esportazioni giapponesi, gli Stati Uniti assistono ad un rallentamento momentaneo del passo folgorante della loro economia. Il 4 ottobre il Sole 24 Ore riporta che l’occupazione Usa rallenta39, mentre un’analisi di Stefania Pensabene definisce gli Stai Uniti e l’Europa “mercati rifugio”40. Infatti “I mercati asiatici sono per il momento off-limits, in attesa che si alzino le nubi della tempesta valutaria e si possano realmente valutare i danni. L’America Latina è considerata un’area ad alto rischio, soprattutto per le preoccupazione relative al deficit commerciale del Brasile e alla scarsa trasparenza dei suoi mercati. E allora gli investitori preferiscono puntare su due cavalli potenzialmente sicuri: gli Stati uniti e l’Europa. […]”.

Il 7 ottobre un altro titolo significativo nella sezione “Commenti e dibattiti”: “Usa: l’economia governa il mondo”41. Scrive l’autore (Ugo Tramballi): “«Non è mai scoppiata una guerra tra due Paesi che hanno un Mac Donald’s» sosteneva il New York Times. È una sintesi estrema ma non sbagliata dei successi della politica estera dell’era Clinton: un mondo in pace è un mondo di commerci nel quale un prodotto di consumo americano non è meno potente di una portaerei. La dottrina del presidente per governare il mondo non è che l’estensione della sua politica interna, il fondamento del suo doppio successo elettorale: l’economia. […] Nei primi quattro anni dal collasso dell’Urss, 117 Paesi hanno scelto i loro governi votandoli. Ma il modo di votare, i livelli di rappresentatività, i margini di libertà non sono mai uguali dappertutto. La democrazia che garantisce l’alternanza di governo, l’equilibrio tra diritti della maggioranza e dell’individuo, l’assorbimento delle diversità etniche, c’è dove esiste una vasta classe media. Cioè in un numero limitato di Paesi. Altrove la democrazia è un concetto in fieri, un’ipotesi, il prodotto di valori diversi, o non esiste affatto.

* Valsania M., Rallenta l'occupazione negli Usa, «Il Sole 24 Ore», 4 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5 40 * Pensabene S., Usa e Europa mercati rifugio, «Il Sole 24 Ore», 4 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 41 * Tramballi U., Usa, l'economia governa il mondo, «Il Sole 24 Ore», 7 ottobre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 39

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II. La ricerca sui giornali Così, per rendere globale e ammissibile il suo “allargamento democratico”, Clinton ha puntato più sui valori del mercato che della politica, facendo di quella americana una diplomazia economico-centrica. […] Ora la crisi finanziaria del Sud Est asiatico e i tamburi di guerra anti-occidentali echeggiati al vertice di Hong Kong, sembrano indicare dei limiti alla supposta universalità della dottrina Clinton. Li Peng, ha proposto vecchie contrapposizioni lasciando intendere come Von Clausewitz che la globalizzazione potrebbe non essere che la continuazione del colonialismo con altri mezzi. […]”42. Ma “L’identificazione dei suoi interessi nazionali col mercato non farà mai della Cina un nemico ideologico, come fu l’Urss per quasi tutto il secolo. Anche le esternazioni del presidente Mahathir bin Mohamad sono solo un segno di nervosismo. La crisi finanziaria del Sud Est asiatico, un incidente di percorso di uno sviluppo che avrà una lunga durata, non indica il fallimento di un modello ma la necessità di perfezionarlo. […] Ma nessuno in Asia è alla ricerca di un’alternativa alla globalizzazione, per quanti dubbi giustificati essa sollevi. […]”43. È sufficientemente chiara la posizione

del giornale nella sua analisi, che viene ribadita, in senso storico-politico da Alessandro Corneli, in un box interno all’articolo della Pensabene44 (appendice14). Il Sole 24 Ore sostiene come ineluttabile l’egemonia americana, basata sul presupposto dell’universalità dei valori di cui è portatrice. I nemici e gli oppositori di questa visione vengono etichettati come protezionisti, conservatori, corporativisti, nepotisti, corrotti, ecc. Ma questo modo di vedere le cose, che emerge dalle parole dei politici come dagli economisti Usa, fonda sulla dimostrazione di maggiore efficienza e produttività l’esportazione di un modello economico vestito di trasparenza e razionalità. Questo si riscontra nelle parole di Dornbusch quando afferma essere “una sciocchezza” la presunta “diversità” delle economie asiatiche. Il progetto di globalizzazione connesso all’egemonia americana si basa sull’allargamento a tutti i Paesi delle stesse regole, ad esempio la libera circolazione dei capitali. Ma la questione della coincidenza tra mercato e democrazia politica, se non fosse stata inizialmente smentita dai successi dello “statalismo autoritario” asiatico, si infrange ora alle porte di Pechino. Ma tornando alle cronache sullo stato dell’economia americana è come al solito sulle mosse della Federal Reserve che si concentrano le notizie e i commenti. Il 9 settembre, La Repubblica e il Sole 24 Ore riportano le dichiarazioni di Alan Greenspan, secondo il quale “l’economia corre troppo”. Sul Sole 24 Ore ne parlano Luca Paolazzi e Mario Platero. Paolazzi scrive: “[…] Il copione è il seguente. Anziché azionare il grilletto e sparare un aumento dei tassi, il presidente della Fed fa «buh» e ottiene quasi lo stesso effetto, spaventando gli investitori […]. Così l’economia rallenta a un passo più sostenibile. Tuttavia rispetto alle recenti audizioni, quella di ieri registra un netto mutamento di enfasi nel segnalare l’insostenibilità della crescita e l’eccesso di ottimismo sugli utili futuri

42

Ivi Ivi 44 * Corneli A., E l'egemonia americana viaggia con Internet, «Il Sole 24 Ore», 7 ottobre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5 43

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L’esplosione della crisi incorporati negli attuali valori azionari. E nel confutare quel “nuovo paradigma” nella relazione tra disoccupazione e inflazione usato da economisti e guru per spiegare l’assenza di tensioni sui prezzi in presenza di una manodopera sempre più scarsa e giustificare il rialzo senza fine di Wall Street. (nonostante la minor creazione di posti di lavoro in agosto e settembre, n.d.r.) È però, già oggi chiaro che Greenspan vuol frenare l’economia. Ciò spiega il ribasso del dollaro, finora sostenuto dalle prospettive di maggior dinamismo degli Stati Uniti rispetto ad altre aree. […]”45. Paolazzi mette in guardia anche l’Europa dal ribasso del

dollaro, che potrebbe frenare il suo export già danneggiato (insieme a quello Usa) dalla crisi in Asia. Platero invece sottolinea maggiormente i motivi “strategici” della mossa di Greenspan. “Il governatore della Federal Reserve ha lanciato ieri il suo secondo messaggio contro «l’esuberanza irrazionale» dei mercati. […] Ha indicato che l’economia potrebbe essere su un sentiero di crescita “non sostenibile”; ha mostrato tutto il suo dissenso nei confronti dei fautori del “nuovo paradigma”, della tesi cioè che siamo entrati in una nuova fase storica per gli andamenti economici, che consente di proseguire lungo la crescita senza rischi di surriscaldamento. Ha anche affermato che sarebbe chiaramente irrealistico aspettarsi una continuità di guadagni di Borsa della dimensione registrata negli ultimi anni. […] L’intervento di Greenspan, certamente il più deciso e il più esplicito degli ultimi mesi è stato dunque determinato da due fattori, uno di richiamo al realismo per il mercato e l’altro di richiamo alle responsabilità fiscali dei politici, appannate nelle ultime settimane. […]”46.

Su La Repubblica il titolo occupa la prima pagina della sezione “Economia”: “Greenspan gela Wall Street: «L’economia corre troppo»”. Arturo Zampaglione ripete quanto già espresso da

Platero sul Sole 24 Ore, ma aggiunge verso la fine: “[…] Il comportamento dei mercati è stato del tutto prevedibile. Molto meno chiare invece sono le ragioni che hanno spinto Greenspan a uscire allo scoperto. Che bisogno c’era di ricordare a Wall Street che stava vivendo sopra un vulcano? Perché accennare all’inflazione o ad altri fantasmi economici? […]”47. Il commento finale, rafforzato dal parere di Alan

Ackerman, presidente della Fahenstock, è che Greenspan abbia voluto “[…] buttare acqua sulle quotazioni azionarie e sulle prospettive industriali, in modo che si assestassero, che diventassero più «normali» minimizzando così i rischi di un crollo come quello dell’ottobre ‘87. […]”48. L’11 ottobre, giorno della

tregua tra Giappone ed Usa sui mercati dell’auto, il Sole 24 Ore dedica nella sezione “Settimana finanziaria” un articolo di commento alle recenti mosse del governatore della Fed. “Chi ha paura del lupo Greenspan?” Stefania Pensabene, facendo i dovuti paragoni con le borse

europee, descrive l’azione di Greenspan più come una moral suasion, che ha effetti solo nel breve termine senza influenzare il trend dei mercati azionari49.

* Paolazzi L., La frenata della Fed, «Il Sole 24 Ore», 9 ottobre 1997, p. 1/2 * Platero M., Greenspan: crescita insostenibile, «Il Sole 24 Ore», 9 ottobre 1997, p. 1/7 47 * Zampaglione A., Greenspan gela Wall Street. L'economia corre troppo, «La Repubblica», 9 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 29 48 Ivi 49 * Pensabene S. e Riolfi W., Chi ha paura del lupo Greenspan?, «Il Sole 24 Ore», 11 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 33 45 46

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II. La ricerca sui giornali

3.5 Le ultime speranze Dopo aver seguito gli avvenimenti interni alla Thailandia e l’evoluzione politica in Indonesia, ritorniamo ad analizzare la copertura informativa sulla crisi asiatica nel suo complesso. Il 2 ottobre, insieme alla notizia del nuovo parlamento indonesiano, il Sole 24 Ore, nello spazio “Brevi dall’Asia” scrive della continuazione della crisi valutaria nei vari paesi. “[…] Non c’è pace per le valute del sud-est asiatico. In Malaysia il ringgit è crollato ai minimi dal 1973, raggiungendo quota 3,4080 per un dollaro. Il calo è stato provocato da un discorso del premier Mahathir Mohamad, con il quale ha lanciato l’ennesimo attacco contro gli speculatori stranieri e riproposto l’idea di bandire la speculazione sulle valute. Il ringgit è crollato del 35% dall’inizio della crisi in luglio, mentre la Borsa malese ha perso il 40 per cento dall’inizio dell’anno. In Thailandia il baht è sceso ieri a 36,55 per dollaro, in seguito all’annuncio, poi smentito, delle dimissioni del ministro delle Finanze Thanong Bidaya. [...]”50. Lo

stesso giorno viene riportato il dato confortante per la Corea del Sud della riduzione del suo deficit commerciale grazie al deprezzamento del won51, mentre il giorno seguente, il 3 ottobre, è subito scontro tra Corea e Usa sul mercato dell’auto con implicazioni politiche più generali riguardanti le elezioni coreane di fine anno e i rapporti con la Corea del Nord52. Dopo la notizia di ulteriori accuse di Mahathir verso presunte cospirazioni ebraiche dell’11 ottobre, il 16 il Sole 24 Ore dedica uno speciale alla Malaysia nella sezione “Mondo & mercati”. Ne emerge un quadro abbastanza rassicurante, che sottolinea in primo luogo la stabilità politica e i buoni rapporti diplomatici con gli altri paesi della regione. Esistono però possibili problemi politici legati alle varie etnie presenti nel paese, dato che i malesi di origine godono di agevolazioni e preferenze in molti aspetti della vita sociale. “[…] Nel passato non sono mancate tensioni, tanto che sono state adottate misure a favore dei bumiputra, i “figli della terra”, che sono i malesi Doc. L’obiettivo era facilitarli nell’accesso al potere economico e finanziario che era (e lo è ancor oggi) nelle mani dei cinesi. Negli ultimi anni, nessuno ha protestato perché della crescita impetuosa, in un modo o nell’altro, hanno beneficiato tutti. Ora però bisogna stringere la cinghia, le vecchie rivalità potrebbero risvegliarsi e i cinesi, ad esempio, potrebbero avanzare qualche rivendicazione. […]”53. Per quanto riguarda

i vantaggi degli investimenti in Malaysia, Leonardo Martinelli scrive che la Malesia è un’ottima “base” per attaccare i mercati dell’Asia grazie anche agli accordi commerciali vigenti tra i paesi Asean, “una sorta di Unione Europea formato Asia”54 (appendice 15). * Non firmato, Sud-Est, continua la crisi delle valute, «Il Sole 24 Ore», 2 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 51 * Non firmato, Crolla in Corea del Sud il deficit commerciale, «Il Sole 24 Ore», 2 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 52 * Calcaterra M., Scontro commerciale sull'auto tra Corea del Sud e Stati Uniti, «Il Sole 24 Ore», 3 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 10 53 * Martinelli L., Malaysia, «Il Sole 24 Ore», 16 ottobre 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 26 54 * Martinelli L., Una porta aperta sull'Asean, «Il Sole 24 Ore», 16 ottobre 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 26 50

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L’esplosione della crisi

Però: “[…] (la situazione finanziaria del Paese, n.d.r.) risente dei tassi tenuti molto bassi , in controtendenza rispetto agli altri Paesi dell’area, che hanno dato un giro di vite. C’è poi da tenere in considerazione che il settore bancario è afflitto dalla debolezza delle società finanziarie, che sono troppe e che hanno un equilibrio patrimoniale non sufficientemente stabile. Se le finanziarie dovessero incappare i una crisi seria, il pericolo è che venga destabilizzato l’intero sistema bancario. […]” Il parere di un funzionario Carialo per i mercati del Sud Est: “«Il sistema finanziario malese è impregnato di politica. Più che al rischio di una singola operazione, bisogna guardare al rischio generalizzato Paese. […] La Malaysia domanda più mercato, meno vincoli, meno dipendenza dal potere politico: è questa la ricetta che può servire per uscire veramente dalla crisi, perché i dati fondamentali dell’economia sono buoni, […]. Problemi per l’export ci potranno essere più a lungo termine, legati a un eventuale blocco di grandi progetti, di grandi commesse e subappalti, come è già successo per la Thailandia o come sta per succedere in Indonesia». […]”55.

Il 17 ottobre, il giornale ritorna nelle pagine dedicate all’economia internazionale, per raccontare la situazione56. È un susseguirsi di crolli e ribassi. 1. Crolla la Borsa di Seul ai minimi da cinque anni (-4%), con gli analisti che sono pessimisti sull’efficacia di “qualsiasi misura” economica. Mentre i dubbi vengono alimentati dall’incertezza della situazione politica (elezioni a dicembre) e la crisi di molte società. 2. Le incertezze sugli aiuti Fmi all’Indonesia (non si è ancor arrivati a un accordo formale sugli aiuti e sulle riforme da attuare) hanno innervosito i mercati e fatto scendere ancora la rupia (2%) e la Borsa (-0,35%) 3. Il ringgit malese è sceso in seguito a un’ondata di pessimismo sul budget 4. Il baht thailandese è arrivato a quota 36,73 sul dollaro in seguito ai timori della insufficienza degli aiuti Fmi e alle richieste di altri aiuti da parte del ministro delle finanze, assieme all’annuncio che il Pil della Thailandia salirà meno del previsto (1%). 5. In ribasso la valuta e la Borsa di Taiwan (-3,2%). Si comincia a profilare all’orizzonte una crisi generalizzata dove anche Paesi tradizionalmente forti come Taiwan subiscono speculazioni valutarie e vecchie tigri come la Corea del Sud si trovano schiacciate dai debiti. Ogni paese mantiene le proprie peculiarità, ma appare chiaro dalle parole del Sole 24 Ore che gli aiuti promessi dal Fondo monetario (e non ancora versati) non stanno avendo nemmeno l’effetto “mediatico” sperato. Di fronte ai ritardi

55

* Alf. S., I rischi della finanza facile, «Il Sole 24 Ore», 16 ottobre 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 27 * Es. R., Pessimismo sui mercati, valute asiatiche a rischio, «Il Sole 24 Ore», 17 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 56

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II. La ricerca sui giornali

nelle contrattazioni, hanno anzi esacerbato il nervosismo dei mercati, contribuendo ad alzare contemporaneamente le stime sull’ammontare di prestiti necessario ad uscire dalla crisi. A instillare ottimismo ci pensano i responsabili dell’Asean, al termine della conferenza di Kuala Lumpur. “«La crisi valutaria ha colpito la maggior parte dei Paesi Asean – recita il comunicato congiunto finale – ma siamo certi che l’Asean continuerà gli alti livelli di crescita e resterà una regione dinamica». La crisi finanziaria verrà superata grazie ai buoni fondamentali dell’economia, sostengono i ministri, alle ottime opportunità di investimento, alle buone politiche economiche adottate e agli elevati tassi di risparmio. […]”57. Le liberalizzazioni di vari settori dell’economia (servizi, trasporti) non sono

però arrivate fino al settore finanziario, deludendo l’Occidente58. Il pensiero del presidente malese Mahathir, che ha messo in guardia l’Asean da una liberalizzazione troppo spinta del commercio, è nel senso di “[…] «Non perdere la nostra indipendenza e sovranità nel nome di una totale apertura delle frontiere»”59. Questo il 17 ottobre, mentre le Repubblica riporta nello spazio

“Opinioni dal mondo” il commento del Washington Post sulla crisi: “«Ora che i diplomatici stanno discutendo i progetti di soccorso del Fondo Monetario […] si possono esaminare le lezioni che ci arrivano dalla crisi del sud-est asiatico: la principale è che le carenze di democrazia lasciano spesso il posto ad un capitalismo corrotto e viziato che non ha niente a che vedere con una corretta economia di mercato. Né meritano attenzione le proteste del primo ministro malesiano Mahathir Mohamad, che sta dando tutte le colpe alla finanza internazionale dimenticando che era stata proprio quella finanza ad alimentare il boom del suo paese».”60. Continuano le tesi “americane” in assenza di commenti da parte della testata di

Repubblica, che seguendo in modo discontinuo i fatti della regione, non cita i “limiti” dell’operato dell’istituzione internazionale.

3.6 L’Oriente crolla Il 21 ottobre, la notizia appare su tutti e tre i giornali. Il Sole 24 Ore titola: “Far East:: a picco i mercati”61, Il Corriere della Sera “Si allarga la crisi del Sud Est asiatico”62, La Repubblica “Le tigri non corrono più, crollano le Borse asiatiche”63 .

* Es. R., Ma è ottimista l'Asean: la crisi passerà presto, «Il Sole 24 Ore», 17 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 58 Ivi 59 Ivi 60 * Non firmato, The Washington Post - Lezioni dalla Malesia, «La Repubblica», 17 ottobre 1997, sezione “Commenti”, p. 11 61 * Es. R., Far East, a picco i mercati, «Il Sole 24 Ore», 21 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 62 * Non firmato, Si allarga la crisi del Sud Est asiatico, «Il Corriere della Sera», 21 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 27 63 * Ricci M., Le tigri non corrono più, crollano le borse asiatiche, «La Repubblica», 21 ottobre 1997, sezione “Mondo”, p. 17 57

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L’esplosione della crisi

Gli ultimi avvenimenti: 1. Le dimissioni del ministro delle Finanze thailandese Bidaya 2. Ulteriore deprezzamento delle valute, in particolare il won, e vistosi cali anche nelle Borse considerate “protette” come quella di Hong Kong 3. Difficoltà politiche in Thailandia e manifestazioni per le strade contro il governo, manifestazioni “governative” contro la speculazione internazionale in Malaysia Il Sole 24 Ore: “La crisi riparte dalla Thailandia. La breve tregua sui mercati del sud-est asiatico si è conclusa ieri con un nuovo assalto alle valute dell’area, che hanno tutte perso terreno sul dollaro. E anche per le Borse, tutte in forte ribasso, è stata una giornata molto negativa. A una concomitanza di fattori locali – le dimissioni del ministro delle finanze e l’imminente rimpasto di Governo in Thailandia, la deludente legge finanziaria in Malaysia, le incertezze sul piano di aiuti dell’Fmi in Indonesia, si è aggiunto l’ormai collaudato “effetto domino” delle crisi regionale. […]”64. Dopo l’ulteriore discesa del baht (37,50 contro

dollaro), il ministro delle finanze Thanong Bidaya ha annunciato le sue dimissioni e “[…] tutti e 48 i ministri si sono detti pronti a lasciare l’incarico in vista di un rimpasto di governo annunciato per questa settimana. […] La rinuncia del ministro delle Finanze dopo solo quattro mesi di incarico getta un’ombra sull’operato e sulle reali prospettive di implementare il piano concordato con il Fondo monetario internazionale. Secondo credibili indiscrezioni, Thanong Bidaya si sarebbe dimesso per le continue pressioni e interferenze che hanno reso possibile implementare le misure volute dall’Fmi. […] Le dimissioni di Thanong Bidaya hanno causato rabbia e sconcerto nel mondo degli affari thailandese. Offrendo uno spettacolo inusuale per l’Asia, oltre mille persone ieri hanno bloccato Silom Road, la via degli affari di Bangkok, per protestare contro le dimissioni del ministro e per chiedere le dimissioni del premier. Quando la polizia ha tentato di disperdere la folla ci sono stati scontri. Alla peggiore crisi finanziaria del dopoguerra si aggiunge ora una situazione di incertezza politica e di diffuso malcontento. In Malaysia il ringgit è sceso del 4,4% da quando venerdì il governo ha reso noti i contenuti della finanziaria ’98. A penalizzare la valuta è stata l’assenza di misure specifiche di sostegno del ringgit e la sensazione diffusa tra gli analisti che il budget non sia abbastanza “austero”. […] L’ondata di crisi di ieri ha investito anche Paesi più a nord come Taiwan e Corea del Sud, dove dopo settimane di strenua difesa della valuta locale, le Banche ventrali hanno rinunciato a intervenire. […] La valuta di Taiwan ha perso il 9,7% da aprile, mentre il dollaro di Singapore, altra economia abbastanza solida da opporre una certa resistenza alla speculazione, ha perso l’8%. A Seul il won coreano ha perso un ulteriore 1% dopo il calo di venerdì, in seguito a una catena di fallimenti e problemi finanziari di società coreane. La Banca centrale è inizialmente intervenuta sul mercato vendendo 500 milioni di dollari a 914,50 won, ma si è poi ritirata in seguito anche al calo della Borsa e ha lasciato che il won chiudesse al minimo storico di 924 sul dollaro”65. Nell’articolo all’interno “Lunedì nero a Hong Kong (-4,6%)”66, l’autore aggiunge che:

* Es. R., Far East, a picco i mercati, «Il Sole 24 Ore», 21 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 65 Ivi 66 * Carrer S., Lunedì nero a Hong Kong (-4,6%), «Il Sole 24 Ore», 21 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 64

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II. La ricerca sui giornali “[…] le Borse asiatiche hanno vissuto ieri una sorta di “lunedì nero” (dal giorno del crack di Wall Street del 1987, n.d.r.), depresse non solo da fattori regionali, ma dai cedimenti di Wall Sreet sul finale della scorsa settimana e dagli scenari prospettici in senso rialzista sul fronte dei tassi. Le maggiori perdite sono state sofferte dal mercato di Hong Kong, dove l’indice Hang Seng ha perso il 4,6%, e un segno marcatamente negativo ha caratterizzato le altre principali piazze: da Seul scesa ai minimi da cinque anni con un uetriore ribasso del 3,26%, a Taiwan, che ha ceduto circa il 4%; a Kuala Lumpur (-3,38%) a Bangkok (-3,07%). Più limitati sono stati i cedimenti di Singapore (-1,78%) e Giakarta (-1,25%). […] Secondo buona parte degli analisti e dei gestori di fondi internazionali, la crisi ministeriale thailandese rappresenta un altro freno alle speranze di una pronta ripresa dei mercati finanziari del Sud Est asiatico, mentre la debolezza delle valute di Taiwan e Sud Corea potrebbe inasprire il fronte di turbolenza nella regione nord-orientale continuando a reprimere le Borse: il rischio di un circolo vizioso negativo appare sempre più alto”67.

Il Corriere della Sera così esordisce nella colonna che parla della crisi: “Sta diventando politica la crisi del Sudest asiatico. Fatto che peggiora ulteriormente le cose sui mercati e contagia Paesi che finora erano sembrati ai margini delle svalutazioni e dei crolli di Borsa. Ieri tutta la regione ha visto indebolirsi le valute nazionali rispetto al dollaro e cadere di nuovo i mercati finanziari. Con in più la novità che la crisi è arrivata anche nel Nordest asiatico […]”68. Le dimissioni di Bidaya secondo il giornale “[…] mettono in discussione sia le riforme che il pacchetto dell’Fmi. Conseguenza: il baht thailandese ha perso un altro 2,5% e ha toccato il minimo storico e la Borsa di Bangkok è scesa del 3,1%. In Malaysia, il piano di austerità presentato dal vice primo ministro Anwar Ibrahim, è stato giudicato poco concreto, con il risultato che sono caduti sia il ringgit (meno 4,4%) che la Borsa (-3,4%). Problemi per le monete di Indonesia e Filippine.”69.

La Repubblica, dopo una intensa e pittoresca descrizione degli usi locali di Singapore connessi al rispetto dei “valori asiatici”, scrive: “[…] Ma, alle soglie del duemila, la corsa delle tigri è diventata, di colpo, un certo trotticchiare. Da luglio le monete del Sud Est asiatico hanno perso fra il 20 e il 40 percento rispetto al dollaro, i capitali internazionali scappano, la fila della banche sull’orlo della bancarotta si allunga, Fmi e World Bank temono una crisi finanziaria tipo Messico 1995. Per un economista noto come Rudiger Dornbusch non è più il caso di parlare di miracolo: nei prossimi cinque anni, le economie del Sud Est asiatico cresceranno al massimo del 4 % l’anno […]. Dopo decenni di boom vorticoso e tranquillo, le economie del Sud Est sono faccia a faccia con i serpenti. Per cavarsela non basta una pausa di respiro. Scatenate dalla globalizzazione mondiale della produzione, le tigri sono state azzoppate dalla globalizzazione finanziaria. I piani di austerità lanciati in questi giorni da Thailandia e Malaysia sono caduti nel vuoto e nello scetticismo dei grandi fondi di investimento. Monete e Borse hanno continuato a precipitare, a Bangkok come a Kuala Lumpur. E il contagio si allarga al resto del continente”70. Dopo aver descritto la situazione taiwanese e

coreana, riprende le parole di un funzionario ella Salomon Brothers, grande banca di investimento: “[…] «L’economia della regione resta sostanzialmente sana, […] quel che ci si aspetta […] è 67

Ivi * Non firmato, Si allarga la crisi del Sud Est asiatico, «Il Corriere della Sera», 21 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 27 69 Ivi 70 * Ricci M., Le tigri non corrono più, crollano le borse asiatiche, «La Repubblica», 21 ottobre 1997, sezione “Mondo”, p. 17 68

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L’esplosione della crisi

un periodo di consolidamento diciamo di due-tre anni. E sarà un consolidamento doloroso»”71. L’articolo

continua: “capace di innescare tensioni che, in Asia, sembravano essere dimenticate. Nelle ultime settimane un milione di edili indonesiani ha perso il posto […]. In Malaysia il governo fa scendere in piazza la gente per protestare contro “la speculazione internazionale”. A Bangkok, invece, ieri migliaia di persone sono scese nelle strade contro il governo che ha appena approvato il programma di austerità e riforma imposto dal Fmi e dalla World Bank. […] Intanto il governo si è spaccato fra chi vuole andare avanti con il programma del Fmi e chi non vuole tagliare il cordone ombelicale con la finanza locale, mettendo in liquidazione le decine di banche pesantemente in rosso, all’origine della crisi. Per ritrovare fiducia il grande capitale vuole trasparenza nei conti, la fine della collusione fra politici e banchieri, un alt agli sprechi della corruzione, una svolta decisa nella politica economica. Per il modo tradizionale con cui le economie asiatiche sono state gestite per tutta la fase del decollo industriale, è un inquietante giorno del giudizio”72. Le dimissioni di Bidaya sono solo l’ultima

di una serie di turbolenze e cambiamenti di rotta politici che hanno contribuito all’aggravarsi della situazione in Thailandia. Il Sole 24 Ore scrive che il paese “…non vuole bere la medicina dell’Fmi” ed è Nicol Degli Innocenti che focalizza la condotta ondivaga del governo di

Bangkok. “[…] All’inizio della crisi le autorità thailandesi hanno prima minimizzato il problema, poi accusato «forze esterne» di orchestrarlo, poi dichiarato che lo avrebbero risolto “in casa”. Ci sono volute settimane perché Bangkok arrivasse prima a una svalutazione de facto del baht e poi chiedere l’aiuto dell’Fmi. E il governo thailandese ha aspettato altri due mesi per mettere a punto i dettagli del piano di salvataggio. […] Il primo pensiero del premier sembra essere la propria sopravvivenza politica e non un duraturo risanamento. La programmazione a lungo termine, cruciale per ottenere gli aiuti dell’Fmi, è vittima dell’ostruzionismo politico e delle pressioni di gruppi di potere. […] Nei fatti le autorità sembrano disposte a fare troppo poco e troppo tardi, danneggiando così non solo le prospettive di risanamento del Paese, ma di tutta l’area. Per l’Indonesia, che ha da poco chiesto l’aiuto del Fondo, si profila lo stesso problema. Il deleterio “effetto domino” che parte da Bangkok potrebbe non limitarsi alle valute”73. Il 22 ottobre il Corriere dà notizia

della manifestazioni antigovernative in Thailandia, confermando la notizia di Repubblica del giorno prima, in quanto “Disoccupati, ma soprattutto studenti, impiegati, commercianti: la classe media thailandese è scesa ieri in piazza, per il secondo giorno consecutivo, nel pieno centro di Bangkok. Per gridare la propria rabbia la primo ministro thailandese Chavalit Yongcaiyudh. […] La tensione è cresciuta di ora in ora. Finché, in serata, le autorità hanno lanciato un avvertimento al Paese: interrompete le manifestazioni. Altrimenti? Nessuna minaccia precisa. Il premier, però, ha incontrato il capo di Forze armate e polizia. C’è chi teme un intervento dei militari, che dagli anni ’30 hanno già effettuato 17 colpi di Stato. Di certo la crisi economica – che sta mettendo sotto pressione Indonesia, Filippine, Malesia e Singapore e ora anche Corea del Sud e Hong Kong – si è accanita in particolare con Bangkok. […] La crisi economica si è trasformata in politica […]”74. Il Sole 24 Ore annuncia lo stesso giorno che la crisi affonda il baht portandolo a 71

Ivi Ivi 73 * Degli Innocenti N., La Thailandia non vuole bere la medicina Fmi, «Il Sole 24 Ore», 21 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 74 * Ferraro R., Thailandesi in piazza per la crisi economica. Premier sotto assedio, «Il Corriere della Sera», 22 ottobre 1997, sezione “Esteri”, p. 12 72

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II. La ricerca sui giornali

38,7 contro dollaro75. Nell’articolo sottostante, che elenca i pareri di vari operatori finanziari nell’area, emerge una dichiarazione di Seema Desai (operatrice di Schroeders securities di Singapore): “[…] «Quello che ha sorpreso della recente crisi […] è l’ampiezza, l’intensità e la velocità con cui si è abbattuta. Nessuno si aspettava una simile violenza, anche se recenti analisi mettevano in guardia su certi squilibri evidenti» [...]”76. Calcaterra, l’autore dell’articolo, riporta che “[…] Per quanto riguarda Giakarta, le indiscrezioni degli ultimi giorni vorrebbero che questo pacchetto di aiuti non fosse inferiore ai 1520 miliardi di dollari Usa, dato che i debiti in scadenza del Paese entro i primi mesi del ’98 sono stimati in una trentina di miliardi di dollari. […]”77. Dopo aver riassunto le posizioni più o meno gravi dei paesi

dell’area, Calcaterra conclude che “[…] In verità nessuno sa di preciso come si svilupperà la situazione e quali riflessi avrà su queste economie, sul settore produttivo, su quello immobiliare (quest’ultimo è quello a più elevato rischio perché la speculazione ha giocato pesante) e sull’occupazione complessiva […]”78.

Sui legami tra economia e politica in Asia, su La Repubblica del 22 ottobre si focalizza il caso di Singapore, dove “[…] Le diatribe su giustizia e politica fra governo e organizzazioni internazionali (da Amnesty International in giù) non sembrano […] creare emozione in una popolazione efficiente e disciplinata. Ma questa disciplina, oggi, ha smesso di essere un motivo di vanto per Lee e Goh (dirigenti politici, n.d.r.) e sta diventando un motivo di preoccupazione. Non è a forza di disciplina che si nutre quel gusto della sovversione dei luoghi comuni, l’istinto di tentare strade inesplorate che sono il brodo di coltura dell’innovazione tecnologica. Qui sta la frontiera dell’industria del XXI secolo. […]”79. Come titola

l’articolo, “Singapore va a lezione per imparare la fantasia”, ma il rilancio industriale basato sull’innovazione deve passare anche per le vie della finanza, dove non si può improvvisare. Il 23 ottobre i toni diventano drammatici: Il Sole 24 Ore dedica la prima pagina alla crisi asiatica e titola: “Far East nella tempesta Travolte Borse e valute”80. Il Corriere della Sera nella sezione “Esteri”, “Asia, mercoledì nero delle Borse”81, mentre Repubblica fornirà notizie e commenti il giorno successivo: “Il crollo delle tigri dell’Est”82. Come cambia il tono della descrizione degli eventi? Il Sole 24 Ore dedica alla questione tre articoli, di cui uno in prima pagina, che oltre ai nuovi minimi di baht, ringgit e rupia, riporta che la Borsa di Hong Kong è scesa del 6,17%, portando a 23% dall’inizio di luglio83 .

* Es. R., Bangkok, la crisi affonda il baht, «Il Sole 24 Ore», 22 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 76 * Calcaterra M., Tempi lunghi per uscire dal tunnel, «Il Sole 24 Ore», 22 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 77 Ivi 78 Ivi 79 * Ricci M., Singapore va a lezione per imparare la fantasia, «La Repubblica», 22 ottobre 1997, sezione “Mondo”, p. 16 80 * Non firmato, Far East nella tempesta. Travolte Borse e valute, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, p. 1/6 81 * E. R., Asia, mercoledì nero delle borse, «Il Corriere della Sera», 23 ottobre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 82 * Ricci M., Il crollo delle tigri dell'Est, «La Repubblica», 24 ottobre 1997, p. 1/2 83 Vedi nota80 75

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L’esplosione della crisi

Il giornale scrive: “[…] Epicentro del terremoto finanziario resta comunque Bangkok, dove la crisi politica resta irrisolta e mette un’ipoteca sui piani di risanamento concordati con l’Fmi. Il baht ha toccato ieri un nuovo minimo contro il dollaro, scendendo a quota 39,40. Le difficoltà incontrate nel rimpasto hanno aggravato le tensioni sui mercati, in apprensione soprattutto per la nomina del prossimo ministro delle Finanze thailandese. Sono bastate le voci della disponibilità dell’ex ministro Suthee Singhasaneh ad accettare l’incarico a far rimbalzare il baht, che ha chiuso a quota 38,20. […] Ad accentuare le preoccupazioni hanno contribuito anche le manifestazioni di piazza a Bangkok, che secondo gli esperti, confermano che le conseguenze della crisi monetaria e finanziaria mettono in serio pericolo la stabilità sociale nel sud-est asiatico. […]”84. La stabilità

sociale è a rischio anche in Corea. Michele Calcaterra, riportando la notizia del salvataggio di una grande Chaebol coreana, la Kia Motors, scrive: “[…] A soffrire è comunque tutto il sistemaPaese. La Corea del Sud infatti è in una profonda fase di transizione. Sul fronte sociale sono nate forti tensioni e il sindacato si sta facendo sempre più agguerrito nei confronti di Governo e industriali. Gli scioperi dall’inizio dell’anno si sono seguiti incessantemente e uno è previsto nelle prossime ore […] dai lavoratori della Kia per protestare contro questo salvataggio ritenuto solo di facciata. Il 18 dicembre ci saranno le elezioni presidenziali. Dato che Kim, per legge, non potrà ricandidarsi, la corsa alla presidenza appare incerta. […]”85.

A fianco dell’articolo di Calcaterra c’è il commento di Nicol Degli Innocenti: “Perché è iniziata la crisi asiatica e quando finirà? All’inizio le cause sembravano individuabili e comprensibili. […]”86.

Questo l’elenco: 1. Rallentamento delle esportazioni 2. Perdita di competitività dell’industria 3. Calo della domanda in Occidente 4. Presenza sempre più prepotente della Cina 5. Eccesso di investimenti e speculazioni immobiliari 6. Eccesso di debito estero 7. Perdita di fiducia nel sistema finanziario 8. Emersione di crediti inesigibili 9. Perdita di credibilità dei governi 10. Crescita del valore del dollaro

* Non firmato, Mercati asiatici, è di nuovo terremoto, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, p. 1/6 * Calcaterra M., Salvataggio di Stato per la Kia, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, p. 1/6 86 * Degli Innocenti N., Crisi di un modello sopravvalutato, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 84 85

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II. La ricerca sui giornali

Dopo aver ribadito che l’emersione di questi problemi è stata positiva per l’avvio di riforme e ristrutturazioni di settore nei Paesi interessati, l’autrice osserva che: “[…] la crisi è poi continuata, oltre ogni ragionevole previsione e oltre ogni prevedibile confine. L’“effetto domino” non sempre è stato razionale, bocciando senza possibilità di appello Paesi dalle caratteristiche e dai problemi diversi, unendo in un unico calderone i sani e i malati […]. I mercati hanno semplificato la questione, travolgendo tutta l’area nella generale “crisi del modello asiatico. […]”87. L’analisi della autrice afferma che:

1. I mercati non si sono comportati in modo “razionale” 2. La continuazione della crisi ha messo sotto pressione Hong Kong, mettendo alle strette la coerenza della politica monetaria e di conseguenza il prestigio cinese 3. C’è il rischio di svalutazioni competitive a catena per difendere le esportazioni 4. La salita dei tassi di interesse ostacola le prospettive di crescita Nonostante l’aver additato l’irrazionalità dei mercati e indicato come le riforme e soluzioni politiche nei paesi in crisi rappresentino l’ultima diga, alla fine il commento di Nicol Degli Innocenti è che: “[…] Nel Sud Est asiatico le cose non saranno più come prima, ma forse non è un male. Forse il “modello asiatico” non avrebbe mai dovuto essere un modello.”88.

Questa presa di posizione è piuttosto forte, anche di fronte a dati riportati dallo stesso giornale sulla riduzione della povertà in Asia89 e riflette un modo di pensare già visto tra i sostenitori della globalizzazione dei mercati. Allen Sinai, l’economista che cantava i fasti della crescita americana, è ora molto pessimista sulla crisi asiatica, tanto che: “[…] «Siamo solo agli inizi – pronostica – abbiamo di fronte uno o due anni di crisi per la regione» […]”90. “[…] «Si tratta aggiunge Sinai, di un caso di “boom and bust”, crescita eccessiva e squilibrata che contiene i semi del crollo e della recessione» […]”. Valsania continua: “[…] gli stretti legami tra le economie dell’area generano un effetto a catena ben più serio di quello della crisi messicana di tre anni fa: «Da Taiwan ad Hong Kong fino al Giappone, gli effetti si fanno e faranno sentire». Dando vita a un fenomeno che per le autorità nazionali e internazionali contiene tutte le più complesse sfide della gestione di una nuova era: quella della «crescente globalizzazione dell’economia con i suoi rapidi spostamenti di capitali» […]”91.

In sintesi, dall’intervista emergono i seguenti elementi: 1. L’interconnessione tra le economie asiatiche può far nascere una crisi peggiore di quella messicana 87

Ivi Ivi 89 * Merli A., Tigri competitive anche contro la povertà, «Il Sole 24 Ore», 27 agosto 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4 90 * Valsania M., Sinai: il peggio deve ancora venire, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 91 Ivi 88

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L’esplosione della crisi

2. Le risorse internazionali sono sufficienti a farvi fronte 3. Il Fondo monetario verrà chiamato da un numero crescente di Paesi 4. I capitali in fuga dall’Asia verranno reinvestiti in Occidente Più due lezioni: 1. Le istituzioni internazionali non hanno il potere di interventi preventivi contro le crisi 2. I Paesi in via di sviluppo dovrebbero tenere sotto controllo e al caso rallentare il loro tasso di crescita anche in assenza di problemi per non creare squilibri. L’esempio cui si rifà Sinai, peraltro da lui stesso citato, è quella americano, con la Fed a sorvegliare i tassi di interesse e vigilare sulla “sostenibilità” della crescita economica. Nello spazio in fondo alla pagina, Alessandro Merli commenta le ripercussioni sulla City londinese del crollo della Borsa di Hong Kong e ricorda che: “[…] Alle riunioni del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale tenutesi proprio a Hong Kong il mese scorso, alla presenza di 17mila rappresentanti della finanza mondiale, i nuovi governanti della città avevano tenuto a insistere che il caso di Hong Kong era diverso dai suoi vicini e che le strutture finanziarie erano perfettamente in grado di sopportare la tempesta circostante. […]”92. Ora, nonostante le ipotesi di sganciamento del dollaro di Hong

Kong dal dollaro usa, il governatore della provincia speciale Tung, conferma che la moneta non verrà sganciata, dato che “[…] «L’aggancio al dollaro Usa ha ben servito l’economia di Hong Kong per 14 anni» […]”, tuttavia per difendere il cambio, il governatore ha lasciato intendere che i

tassi di interesse potrebbero salire93. Il Corriere della Sera descrive gli avvenimenti: “Asia, il mercoledì nero delle Borse”94 e pubblica a fianco un commento di Arrigo Levi: “Tra mercato globale e anarchia da potenza”95, nel quale l’autore riassume in sette punti il dibattito venendo alle seguenti conclusioni: 1. La crisi asiatica non è la crisi di un “modello”, ma, secondo Renato Ruggero (presidente del Wto) una crisi di “crescenza” 2. Non c’è più il rischio che la crisi finanziaria diventi globale 3. La crisi non è stata data da un eccesso di capacità produttiva, ci sono ancora margini di crescita * Merli A., Il momento critico di Hong Kong preoccupa gli operatori della City, «Il Sole 24 Ore», 23 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 93 Ivi 94 * E. R., Asia, mercoledì nero delle borse, «Il Corriere della Sera», 23 ottobre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 95 * Levi A., Al bivio tra mercato globale e anarchia da potenza, «Il Corriere della Sera», 23 ottobre 1997, sezione “Esteri”, p. 11 92

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II. La ricerca sui giornali

4. C’è stata una eccessiva euforia che ha dirottato nell’area investimenti eccessivi. “[…] la globalizzazione dell’economia amplifica i successi ma anche i fallimenti delle economie locali, specie se piccole[…]”96

5. La liberalizzazione dei mercati finanziari, di cui si è fatto promotore l’Fmi, necessita di sane politiche macroeconomiche 6. La globalizzazione offre opportunità per tutti ma non è l’età dell’oro, è un processo discontinuo che punisce i meno efficienti 7. La globalizzazione è un’opportunità per migliorare il mondo, ma esiste ancora l’alternativa di un mondo diviso ove regni l’anarchia basata sulla potenza.

3.7 I rischi per l’Occidente Repubblica riporta la crisi in prima pagina il 24 ottobre: “Borse, bufera asiatica” e vi dedica tre pagine di cronaca e commento. Dalla prima Giusepe Turani afferma che: “[…] È proprio da Tokio che può scattare il timer destinato a far esplodere le Borse di New York, di Londra, di Francoforte, insomma dell’intero mondo conosciuto. Oggi l’indice di Tokio si trova a quota 17200. Pochissimo distante dall’ultima barriera inferiore di resistenza, 16500/16800. Se Tokio, nel suo cadere, fora questa barriera e va sotto, allora si innescano fenomeni automatici e precipitosi di disimpegno e la crisi delle Borse di tutto il mondo (che oggi sembra ancora soprattutto psicologica), potrebbe diventare reale e massacrare tutti i listini, nessuno escluso. […]”97.

A pagina due la cronaca di Maurizio Ricci, che scrive: “Come nel gioco del domino, alla fine è toccato anche a Hong Kong. La crisi asiatica ha colpito prima la Thailandia, poi la Malesia, l’Indonesia, le Filippine, Singapore. Si era intrecciata con il collasso dell’industria coreana e con la recessione giapponese. Alla fine ha investito Hong Kong e, siccome l’ex colonia britannica […] è una delle grandi piazze finanziarie mondiali, l’eco ha fatto tremare le Borse di tutto il mondo. Londra (-3,06%), Parigi (-3,40%), Francoforte (4,65%) e New York (-2,33%). Di fronte al rischio di un tracollo planetario la Francia ha chiesto la convocazione d’urgenza del Fondo Monetario Internazionale e di tutti gli organismi multilaterali per affrontare la crisi finanziaria delle Borse orientali. […] Da lunedì a ieri sera la Borsa di Hong Kong ha perso un quarto del suo valore. […] L’onda ha subito spazzato i mercati del continente, già provati dagli ultimi mesi e spesso ai minimi storici. Tokio ha perso il 3 per cento, Singapore oltre il 4 per cento, Kuala Lumpur il 3,28 per cento, Manila quasi il 5 per cento, Giakarta il 2 per cento. La stessa onda – gonfiata dalla scoperta che anche l’ultimo “rifugio sicuro” del continente, cioè Hong Kong, traballa – rischia di accelerare la fuga dei capitali dall’Asia. […] Fino a 10 giorni fa, le valute di Hong e di Taiwan erano le uniche monete ancorate al dollaro Usa. Poi, il governo di Taipei, dopo aver bruciato 5 miliardi di dollari delle riserve – ha scelto la fluttuazione e la moneta di Taiwan ha perso d’un colpo il 12 per cento. A questo punto è entrata sotto pressione la moneta di Hong Kong.

96 97

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Ivi * Turani G., Aspettando il Big One, «La Repubblica», 24 ottobre 1997, p. 1/2


L’esplosione della crisi Per difendere la moneta, le autorità monetarie hanno eretto la barriera dei tassi di interesse: fra mercoledì e ieri il tasso interbancario overnight è schizzato dal 6 al 250 per cento, quello a tre mesi dal 10 al 41 per cento. […] Ma se la battaglia per difendere la moneta si prolunga, tassi di interesse così punitivi si ripercuoteranno sul mercato immobiliare, […] con ulteriori ripercussioni pesantissime in Borsa.”98. La crisi, attraverso

Hong Kong, potrebbe propagarsi a occidente. Nella stessa pagina il parere del premio nobel Samuelson che, dinanzi al fatto che il disastro di Hong Kong possa creare “esplosioni” nel mondo, afferma: “E purtroppo […] non c’è nulla da fare per contrastare l’eventuale effetto-domino. I sacri testi di economia non offrono ricette per crisi di questo tipo.”99. Dopo aver condannato la stupidità, la

vanità e l’incoscienza dei governanti e degli operatori finanziari asiatici, assumendo come simbolo di tutto questo le Petronas Tower e il presidente Mahathir, pone una critica anche all’Occidente, quando dice che: “[…] …il pericolo della crisi asiatica è in relazione all’incoscienza che domina nelle piazze occidentali, a cominciare da Wall Street. Gli ultimi anni sono stati eccezionali per chi ha investito i titoli azionari. E si è diffusa la sensazione che il periodo di vacche grasse debba durare per sempre. Così come si è scritto che Dio è morto, si pensa adesso che il ciclo economico sia morto: che non ci siano mai più recessioni né ritorni dell’Orso a Wall Street. Ma questa atmosfera euforica potrebbe mutare in pochi minuti: ieri il Dow Jones ha contenuto le perdite, ma ripeto, basta uno spillo per bucare la bolla. […]”100. Samuelson

aggiunge, rispetto alle iniziative multilaterali per l’Asia, che occorre prudenza e lasciare che i mercati si assestino senza troppi interventi, anche perché se questi dovessero fallire, nessuno sarebbe disposto a riprovarci. Con questa intervista Repubblica si sposta leggermente dal coro dei sostenitori della razionalità occidentale e delle riforme strutturali nei paesi asiatici. Il governatore della Banca d’Italia Fazio, mentre assicura un “impatto limitato” della crisi in Italia101, suggella con una considerazione, la filosofia sottostante l’egemonia economica americana: “[…] «[…] Il sistema internazionale fa da ancoraggio agli andamenti finanziari a livello nazionale, questo effetto condiziona le economie e gli apparti produttivi». È la catena della globalizzazione alla quale non sfugge più nessuno. «è una vera rivoluzione» rileva Fazio, che aggiunge: «Fino a pochi anni fa, invece erano i sistemi politici che governavano i sistemi economici». Oggi è il contrario. E la prova sono le crisi politiche che stanno investendo i Paesi del Sud Est e che stanno seguendo regolarmente le crisi economico-finanziarie. «Con l’informatica e la globalizzazione – osserva Fazio – siamo di fronte a una rivoluzione epocale come quella che avvenne nel Sedicesimo secolo» […]”102. A pagina quattro l’intervista a un industriale che ha commerci con

l’Asia, Piero Marzotto, contesta la “fine del modello asiatico”, anche se conferma che quando esistono bolle speculative queste si devono prima o poi sgonfiare, e che comunque non 98

Vedi p. 148, nota82 * Zampaglione A., Incoscienza e vanità dietro le speculazioni, «La Repubblica», 24 ottobre 1997, p. 1/2 100 Ivi 101 * Petrini R., Fazio assicura Impatto limitato, «La Repubblica», 24 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 3 102 Ivi 99

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II. La ricerca sui giornali

incidono significativamente sul trend globale103. Coerentemente a quanto affermato per i paesi asiatici, cioè che le loro economie sono state affette da bolle speculative legate a trend di crescita molto forti, Marzotto indica che la stessa cosa può accadere anche a Wall Street, con la speranza però di un ridimensionamento “morbido”. Anche il Sole 24 Ore del 24 ottobre dedica la prima pagina alla crisi: “La bufera d’Asia gela le Borse”104 con a fianco l’editoriale di Fabrizio Galimberti che delinea “Le lezioni di una crisi salutare”105. La cronaca riporta in primis il crollo di Hong Kong e le sue ripercussioni a catena

su tutte le borse asiatiche106. Il commento di Galimberti, dopo aver descritto salacemente gli avvenimenti, è comunque che “[…] …l’Asia sopravviverà a queste turbolenze. Il deprezzamento aiuterà la crescita e i “fondamentali” continuano a essere buoni. Se non si fanno altri errori, questa crisi sarà passeggera e, al limite, salutare. Ma le ripercussioni delle turbolenze di oggi in Europa e in America? Le conseguenze sono state pesanti ma soprattutto perché i mercati occidentali erano ovunque vicino ai massimi storici e dunque vulnerabili a una occasione di correzione. Le conseguenze tuttavia si sono limitate alle borse. […]”107.

Stefano Carrer a pagina 3 scrive che le ripercussioni del crollo di Hong Kong sono diventate fonte di “[…] …viva preoccupazione presso tutti gli investitori –e anche presso i politici – per la loro carica destabilizzante. […]”108. Il calo della Borsa di Parigi “[…] …ha spinto il ministro delle Finanze Francese Dominique Strass-Khan a parlare di gravi rischi di destabilizzazione e a chiedere che il Fondo monetario e le altre istituzioni finanziarie internazionali intervengano a sostegno del Far East, ormai diventato un pericoloso focolaio di infezione dei mercati finanziari mondiali. […]”109. Carrer non esprime

un giudizio proprio, ma riporta le due opinioni correnti sulla crisi: la prima la esprime Roger Monson, capo stratega della Daiwa in Europa: “[…] «Si tratta di una reazione emotiva eccessiva, che non trova la sua giustificazione in fondamentali economici» […]”, la seconda è generale “[…] altri osservatori sottolineano invece che la crisi asiatica appare ora molto più grave di quanto si pensasse e quindi l’impatto – sia pure per lo più psicologico – rischia di restare molto pesante in senso negativo al di là della relativa limitatezza delle conseguenze sull’economia dei Paesi europei. […]”110.

Sulle pagine del Corriere della Sera del 24 ottobre Fazio ripete il suo invito a non preoccuparsi, ma nello stesso articolo viene riportato il parere dell’economista Paolo Savona, secondo il quale “[…] « Siano seduti su una polveriera. Le banche centrali non controllano più la moneta

* Lago G., Il modello asiatico non è in crisi ma le borse hanno osato troppo, «La Repubblica», 24 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 4 104 * Non firmato, La bufera d'Asia gela le borse, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 1 105 * Galimberti F., La lezione di una crisi salutare, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, p. 1/4 106 Ivi 107 Ivi 108 * Carrer S., L'Orso contagia l'Occidente, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 109 Ivi 110 Ivi 103

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L’esplosione della crisi

internazionale e la speculazione aggredisce i corpi deboli» […]”. La crisi potrà rientrare solo: “[…] «Se (i paesi asiatici, n.d.r.) prenderanno adeguate misure di politica economica, […]» […]”111.

Sotto all’articolo, appare una intervista all’economista americano Lester Thurow, che si professa “cautamente pessimista”. “[…] Il crack di Hong Kong, così a ridosso di quello di alcune tigri asiatiche, commenta «non potrà non ripercuotersi sui commerci e sulla finanza globali». […] «Da noi potrebbe esserci un rallentamento» […] «In Asia, invece, ci sarà il bis del Messico su scala maggiore. Un brutto periodo di due o tre anni come minimo». […]”112. Interrogato sulle implicazioni in America e in Europa

Thurow risponde che: “[…] «…l’America e l’Europa non sono mercati su cui i capitali affluiscono a valanga e da cui escono ancora più fulmineamente, come è accaduto in Messico e in Asia. L’America si è già ristrutturata,l’Europa lo sta facendo. Danno meno spazio agli imprevisti e alle speculazioni. […]» […]”113. Il

professor Thuorw più che lo conseguenze negative per l’Occidente, teme che le tigri traggano lezioni sbagliate dalla crisi e siano tentate di chiudere i mercati. A causa dell’interdipendenza ne risentirebbe anche l’occidente e la globalizzazione subirebbe una battuta d’arresto114. Anche il Sole 24 Ore il 24 ottobre pubblica un’intervista a Thurow con titolo in prima pagina115. Il professore: “[…] «…ho sempre percepito che il terreno fosse sdrucciolevole: e oggi gli scossoni si stanno allargando proprio come in un terremoto. Siamo partiti dalla Thailandia e siamo arrivati a Hong Kong» […]”116. Più avanti ribadisce che l’Europa e gli Stati Uniti non correranno il rischio

di un’espansione a catena, escludendo una crisi economica globale. Nella sezione “In primo piano”, vengono riferiti i commenti di Renato Ruggero, per il quale la crisi non è nuovo Messico, ma una crisi di crescita che afferma essere sotto controllo anche se “durerà ancora”117.

* Tamburello S., Le borse occidentali hanno conosciuto momenti peggiori, «Il Corriere della Sera», 24 ottobre 1997, p. 1/3 112 * Caretto E., Attenti, può essere un Messico bis, «Il Corriere della Sera», 24 ottobre 1997, p., 1/3 113 Ivi 114 Ivi 115 * Platero M., Thurow (Mit): Terremoto prevedibile. Quei paesi stavano correndo troppo, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, p. 1/4 116 Ivi 117 * Calcaterra M., Prodi a Tokio: non si tratta di una mini-crisi, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 111

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II. La ricerca sui giornali

3.8 Il problema Hong Kong Come emerso dalle cronache, i rischi di contagio per i paesi occidentali vengono soprattutto da Hong Kong, specie per gli ingenti investimenti da parte inglese nella città. Quella che fino a un mese prima veniva considerata una roccaforte finanziaria, ora subisce un crollo della borsa del 10,4%118, trascinando con sé le valute filippina e taiwanese. Mentre in Indonesia la notizia di un accordo col Fondo monetario e di un conseguente prestito di 25 miliardi di dollari, ha mantenuto alta la valuta, la Thailandia è stata “risparmiata” grazie alla chiusura dei mercati per una festa nazionale. Nicol degli Innocenti, all’alba della speculazione sul dollaro di Hong Kong, afferma che l’ancoraggio resisterà, nonostante le critiche sul rialzo pauroso degli interessi119. Il fatto è che la difesa a oltranza del dollaro di Hong Kong ha un preciso significato politico: “[…] La determinazione delle autorità di Hong Kong sarà indubbiamente messa a dura prova nei giorni a venire. A ci sono ragioni per credere che alla fine gli speculatori saranno costretti a battere in ritirata. Al di là dei fondamentali economici che sono sani e del fatto che i tassi di interesse possono scendere con la rapidità con cui sono saliti, c’è un altro fattore positivo determinante. L’“opinione pubblica”, per così dire, sostiene l’ancoraggio al dollaro e sembra disposta a patire le conseguenze negative i attesa di tempi migliori. […]”120.

Tuttavia la questione di Hong Kong preoccupa la Cina, che vede compromesso il piano di raccogliere capitali a Hong Kong per la ristrutturazione e privatizzazione delle aziende di stato. Secondo i banchieri del territorio, il crollo di Hong Kong può essere dovuto a grandi ondate di realizzi sulle red chips e all’annuncio di una ristrutturazione del settore immobiliare della città, che ha messo in fuga capitali, deprimendo la Borsa. Dalle parole di un economista cinese, Wu Xiaoyong, emergono importanti elementi di riflessione121: 1. Hong Kong, a differenza della Thailandia, non ha un’esposizione debitoria a breve termine, anzi le sue aziende sono in credito 2. Anche a Taiwan c’è una sopravvalutazione immobiliare 3. Hong Kong non subisce una contrazione dell’export, dato che la Cina ha aumentato le sue quote del 25%. Di fronte a ciò, come si spiegano i feroci attacchi speculativi sulla moneta di Hong Kong? La questione, nell’articolo di Sisci sul Sole 24 Ore, rimane insoluta. Intanto il * Es. R., Hong Kong, borsa a picco, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione, in primo piano, p., 2 * Degli Innocenti N., Ma l'ancoraggio al dollaro resisterà, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 120 Ivi 121 * Sisci F., Pechino teme contraccolpi sulle privatizzazioni, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 118 119

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L’esplosione della crisi

governatore di Hong Kong Tung, cerca di difendere le finanze della propria “città-stato” andando a Londra a parlare con i maggiori detentori internazionali di interessi nell’area, le banche inglesi, ribadendo la convinzione delle autorità di Hong Kong di non sganciare la valuta dal dollaro. Alessandro Merli, autore dell’articolo scrive che “[…] La crisi asiatica secondo molti non potrà non avere ripercussioni sull’economia mondiale, toccando anzitutto il Giappone. […]” In più “[…] Secondo alcuni analisti londinesi una categoria di attività finanziarie che poterebbe uscire vincente dalla situazione sono i titoli di Stato americani. […]”122.

Nella stessa pagina del Sole 24 Ore, c’è anche un articolo sulle ripercussioni che la crisi di Hong Kong e asiatica in generale, hanno sull’economia giapponese (appendice 16). Il Corriere della Sera, il 24 ottobre, così descrive la situazione: “Hong Kong: in gabbia anche l’ultima tigre”123. L’articolo, a firma di Renato Ferraro, è abbastanza pittoresco, così come

le dichiarazioni di un “esperto”: “[…] «C’erano due alternative: spararsi in un piede colpendo le azioni o sbudellarsi lasciando cadere la valuta. È stato scelto il male minore». Il segretario alle Finanze Donald Tsang, ribadisce la linea del governatore Tung, dicendo di essere disposto a spendere fino all’ultimo centesimo gli 88 miliardi di dollari Usa delle sue riserve[…]”124. Tuttavia, pur consapevoli di non poter vincere

contro la difesa del dollaro di Hong Kong, gli hedge fund internazionali, pare abbiano “spinto” il governo a difendere la valuta per poi ricavare sulle azioni. Inoltre, l’innalzamento a livelli astronomici dei tassi di interesse, paralizza l’economia interna e il turismo. Fino a quando il governo potrà combattere la speculazione? Nicola Saldutti a pagina 3, interpretando il pensiero degli operatori di borsa, afferma: “[…] …la Borsa può anche andare a rotoli, il baluardo resta il cambio della moneta, l’unica valuta dell’area ancora agganciata al dollaro americano (con un rapporto di 7,7). Traduzione: l’unico sottilissimo filo che tiene quest’area del mondo agganciata al resto dei mercati mondiali. Gli speculatori si scateneranno per ottenere la svalutazione? La partita è aperta. […]”125.

Il 25 ottobre il Corriere della Sera, titola in prima pagina della sezione “Economia” che “Si placa il ciclone asiatico. Ma cade l’oro”126. Un tono forse un po’ troppo ottimista, dato che il

recupero di Hong Kong è stato forzato dalla volontà di Pechino più che dai mercati. Dall’articolo, oltre ai dati del trend in Asia e della leggera discesa di Wall Street, emerge una dichiarazione di Massimo Russo, consigliere del direttore del Fondo monetario Michel Camdessus, che “[…] Ha ricordato le iniziative dell’organizzazione di Washington in favore della Thailandia ed i contatti in corso con le autorità indonesiane, dimostrandosi sorpreso per le capacità di contagio

* Merli A., Tung tenta la difesa nella trincea della City, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 123 * Ferraro R., Hong Kong, in gabbia anche l'ultima tigre, «Il Corriere della Sera», 24 ottobre 1997, p. 1/2 124 Ivi 125 * Saldutti N., Il ciclone asiatico si abbatte su tutte le borse, «Il Corriere della Sera», 24 ottobre 1997, p. 1/3 126 * Saldutti N., Si placa il ciclone asiatico. Ma cade l'oro, «Il Corriere della Sera», 25 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 23 122

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II. La ricerca sui giornali

della crisi. «Siamo sorpresi per gli attacchi fatti contro la moneta di Hong Kong» […]”127. Sempre in prima

pagina c’è un’altra intervista a Dornbusch128, che evidenzia i rischi di svalutazione della moneta di Hong Kong. L’intervistatore Ennio Caretto, descrive il professore “più allarmato di due settimane fa” le cui risposte sottolineano tre elementi: 1. La crisi di Hong Kong è diversa da quella delle altre tigri “[…] Perché quello di Hong Kong è un mercato serio. Sicuramente la sua caduta porterà a massicce vendite dei titoli azionari e delle proprietà immobiliari. Ci saranno ingenti perdite. Ma il pericolo vero è la svalutazione. Se sarà eccessiva, ma ripeto per il momento non lo ritengo probabile, ne risentirà non solo il Giappone, ne risentiremo anche noi americani e voi europei. […]”129.

2. La crisi asiatica è più preoccupante di quella del Messico “[…] La situazione in Asia è tale, e in minor misura lo è anche in America Latina, che ci sarebbe una corsa a svalutare. […] Sarebbe molto più difficile contenere le ripercussioni della crisi di quanto lo fu col Messico, che capì subito la lezione. […]”130.

3. Rischio di rifiuto delle riforme e di misure protezioniste “[...] Il Messico adottò una politica di austerità e rassicurò gli investitori. Tra le tigri asiatiche, solo l’Indonesia ha seguito il suo modello, tagliando il bilancio e lasciando che la sua moneta di assestasse. […] Il rischio è che in Asia si formi una zona di sicurezza in cui il capitale internazionale non abbia il voto decisivo. […]”131 .

Le dichiarazioni di Dornbusch sorprendono. In primo luogo perché egli smentisce sé stesso circa le conseguenze della crisi e anche le stesse cause. Si continua ad accusare governi incompetenti anche di fronte a scelte opposte. Se le tigri avevano sbagliato a rimanere agganciate al dollaro e la decisione di far fluttuare il baht in Thailandia132 venne salutata dai più come “ragionevole”, ora, riguardo a Hong Kong, la svalutazione viene presentata come un terribile rischio che avrebbe ripercussioni in tutto il mondo. Dopo il crollo borsistico di Hong Kong, è ancora vero che l’allocazione degli investimenti prima o poi rispecchia i “fondamentali”? Come si può affidare “il voto decisivo”133 a investimenti che hanno “la memoria da elefante, il cuore del cervo e le gambe della lepre”134? Emerge una condotta ambigua sia sulle cause degli squilibri, sia sulle soluzioni, specialmente se partiamo dal fatto 127

Ivi * Caretto E., Il pericolo? Un crollo del dollaro di Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 25 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 23 129 Ivi 130 Ivi 131 Ivi 132 Vedi cap. 2, p. 71, nota2 133 Vedi nota128 134 Vedi cap. 2, p. 89, nota71 128

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L’esplosione della crisi

che, come afferma il professor Dornbusch, non esistono economie “diverse” dalle altre. Se poi aggiungiamo i timori di diffusione delle misure protezionistiche minacciate da Mahathir135, è evidente che la partita non si gioca solo su un terreno strettamente economico, come dimostrano le trattative circa l’organizzazione del salvataggio dell’Asia.

3.9 Manovre di salvataggio Il Sole 24 Ore, mentre scrive che i fondi di investimento internazionali si ritirano dall’area asiatica e riallocano le proprie risorse136, aggiunge un articolo che indica la paura americana dei costi del salvataggio asiatico. Dal vertice di Hong Kong, dove era emersa la proposta di un incontro a Washington per dipanare la situazione, tutto è rimasto fermo. Gli Stati Uniti, avrebbero voluto presentare a Jiang Zemin, in visita ufficiale a Washington137, un programma di soluzione, ma le difficoltà sono evidenti e la “debolezza” del Giappone proietta per contrasto la sagoma della Cina quale principale attore strategico nell’area138. Il ministro del tesoro americano Robert Rubin accenna all’attuazione di “appropriate misure politiche” per i paesi del sud est asiatico, dove “[…] le misure di aggiustamento strutturali suggerite dal Fondo monetario internazionale sono andate per ora inascoltate. Del resto il punto di riferimento per la gestione di questa crisi deve rimanere il Fondo monetario internazionale. Lo ha detto da Parigi anche il ministro dell’economia e della Finanze Dominique Strauss-Khan: […]. È difficile stimare oggi quanto sia il fabbisogno finanziario per tamponare la crisi. Nel caso del Messico si organizzò a tempo di record un pacchetto di oltre 50 miliardi di dollari. Gli Usa però contribuirono di tasca propria con 33 miliardi di dollari. Il Fondo oggi non dispone di risorse di questi livelli, nonostante gli aumenti di capitale concordati agli ultimi incontri annuali. E se il Giappone ha già proposto la costituzione di un fondo speciale regionale che potrebbe raggiungere i 50 miliardi di dollari, gli Stati Uniti e gli altri Paesi del G-7 per ora si oppongono per non lasciare a Tokio la leadership nella gestione della crisi. […]”139.

* Caretto E., Il pericolo? Un crollo del dollaro di Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 25 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 23 * Cingolani S., Mahathir, il camaleonte malese: da tigre a cavallo pazzo del capitalismo autoritario, «Il Corriere della Sera», 25 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 23 136 * Valsania M., I grandi fondi Usa: andremo su mercati più sicuri, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 137 * Caretto E., Jiang a Clinton: parliamo solo di affari, «Il Corriere della Sera», 20 ottobre 1997, sezione “Esteri”, p. 9 * Corneli A., La Cina cerca la benedizione Usa, «Il Sole 24 Ore», 22 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p., 6 * Platero M., Clinton: La Cina decisiva per la stabilità mondiale, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, p. 1/6 138 * Platero M., Gli Usa temono i costi del salvataggio, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 139 Ivi 135

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Il 25 ottobre in prima pagina del Sole 24 Ore: “Mercati in crisi nel Far East, Pechino rianima Hong Kong”140. L’editoriale di Giacomo Vaciago141, torna a spiegare per punti le cause della

crisi evidenziando però le caratteristiche dei mercati finanziari. Secondo Vaciago essi sono: 1. “[…] razionali, nel senso che nel lungo periodo non possono non corrispondere ai fondamentali economici. […] …ciò che è davvero sbagliato, prima o poi scompare;

2. avversi al rischio, almeno nel senso che le risorse di cui ciascun operatore dispone sono sempre limitate e quindi una posizione troppo rischiosa non può essere tenuta senza fine

3. miopi, nel senso che sottovalutano sistematicamente gli eventi più lontani nel tempo cui pure si riferiscono gli strumenti finanziari che in ciascun momento sono tenuti in portafoglio […]”142.

L’articolo, dopo aver elencato per l’ennesima volta le debolezze dell’Asia, conclude: “[…] Per Messico e Sud America era stato sopravvalutato il ruolo degli Stati Uniti, e non a caso vi fu un legame tra dollaro e crisi di quei Paesi. Analoghe circostanze si ritrovano adesso in Asia: i problemi di quei Paesi sono aggravati dalla debolezza del Giappone, che non è in grado di tirarli fuori dalla crisi, essendo lui stesso in difficoltà. L’intervento che solo può servire – cioè quello delle istituzioni internazionali – è stato finora molto carente, data la gravità dei problemi da risolvere. E nel frattempo vi sono altri paesi soggetti ai rischi del contagio, spesso riferibili più a convenzioni di mercato che ai fondamentali dei Paesi stessi. […]”143.

Vaciago afferma che proprio la miopia dei mercati andrebbe risolta dalle istituzioni internazionali con “tempestività e lungimiranza” e chiama in causa gli Stati Uniti, che sono diventati un mercato rifugio (aumentano le quotazioni dei T-Bond144) e godono pertanto della fiducia degli investitori. Mentre sono evidenti le tensioni tra Giappone e Stati Uniti145 su come risolvere la crisi, la Cina “rianima” la Borsa di Hong Kong (+ 6,9%) con massicci ordini di acquisto146. L’interpretazione del Sole 24 Ore è che Pechino ha “organizzato” i miliardari di Hong Kong sulla base di assicurazioni politiche147 e anche Repubblica è dello stesso parere, aggiungendo la minaccia di rimpinguare il piatto delle riserve di Hong Kong con quelle della * Non firmato, Mercati in crisi nel Far East. Pechino rianima Hong Kong, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, p. 1 141 * Vaciago G., Interventi urgenti, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, p. 1/6 142 Ivi 143 Ivi 144 * Bufacchi I., I titoli Usa spiccano il volo, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “Mercato dei capitali”, p. 34 145 Vedi nota140 146 Ivi 147 * Sisci F., Pechino chiama in aiuto i miliardari rossi, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 140

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L’esplosione della crisi

madrepatria148. Clinton afferma durante la visita di Jiang Zemin che nonostante la lunga strada da percorrere sul terreno della democrazia e dei diritti umani, la Cina è necessaria per la stabilità mondiale e ha definito “controproducente” e “pericoloso” un suo possibile isolamento. L’articolo del Sole 24 ore mette in evidenza il fatto che “[…] …per la prima volta nella sua storia, la Cina è chiamata a gestire una crisi di liquidità determinata dalle leggi del libero mercato. […]”149.

Gli interventi di Pechino per rianimare la Borsa di Hong Kong, non hanno però fermato la discesa della altre borse, come Bangkok (-3,4%) e Seul (-5,4%), penalizzati dalla ennesimo declassamento del debito da parte di Standard and Poor’s150. Nella sezione “In primo piano” del giornale, a parte la continuazione degli articoli di prima pagina, tra cui la visita di Jiang negli Usa, viene titolato: “L’Fmi parte in soccorso del far East”151. Mario Platero definisce “fase due” quella dove si dovrà “[…] mettere a punto un’analisi del danno economico causato dalla crisi al sistema […]”152. Platero afferma che il “quadro è ottimistico”,

tanto che riporta stime di 18 mesi per rimettere in carreggiata le tigri. L’autore scrive: “Ma la questione non è ancora risolta in modo definitivo. C’è ancora un grande interrogativo aperto: chi si dovrà occupare di rimettere le cose a posto, il Giappone o il Fondo monetario internazionale? Secondo fonti monetarie vicine al gruppo dei Sette e all’Fmi, è su questo aspetto che, dietro ai crolli e i rimbalzi dei mercati nel Sud-est asiatico, si sta consumando un grande braccio di ferro politico che ritarda i tempi di una soluzione. […]”153. Secondo il Sole 24 Ore, che ha condotto una sondaggio tra esperti, la soluzione

migliore è la gestione a livello centralizzato, cioè in modo multilaterale, con l’Fmi in veste di coordinatore. L’offerta giapponese di un fondo di 50 miliardi di dollari si scontra quindi con la volontà di non concedere al Giappone una marcata autonomia dall’Fmi, dati i sospetti sulla volontà nipponica di voler proteggere le proprie banche e contrastare l’emergere della potenza cinese154. “[…] È per il persistere di queste differenze che gli Usa non hanno ancora convocato la conferenza che volevano tenere a Washington. Ed è per questo che durante il vertice fra Clinton e il presidente cinese della settimana prossima, Pechino sarà chiamata per la prima volta al banco di prova di corresponsabilità di gestione di una crisi finanziaria internazionale. […]”155. La linea degli Stati Uniti non è comunque

quella di tagliar fuori Tokio, ma Platero insiste che il reinnesto della fiducia nei mercati * Ricci M., La rincorsa di Hong Kong, balzo del 18% per la borsa, «La Repubblica», 30 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 28 149 Vedi p.160, nota140 150 Ivi * Stefano Carrer, Hong Kong risale ma non rianima le Tigri, «Il Sole 24 Ore», 25, ottobre, 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 151 * Platero M., L'Fmi parte in soccorso del Far East, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione, in primo piano, p. 2 152 Ivi 153 Ivi 154 Ivi 155 Ivi 148

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II. La ricerca sui giornali

consegue a buone riforme economiche, cosa che il Giappone stenta a fare, come le riduzioni fiscali alle aziende quale stimolo alla domanda interna156.

3.10 La difesa di Hong Kong Il giorno della ripresa di Hong Kong, il 25 ottobre, Il Sole 24 Ore, Repubblica e il Corriere della Sera, rilevano il rialzo di Hong Kong, riportando un certo nervosismo. Il Sole titola in seconda pagina “Non scappate, il peggio è alle spalle”157, Il Corriere, nella sezione “Economia”: “Si placa il ciclone asiatico”158, La Repubblica addirittura dedica una sezione in seconda pagina, “La crisi dei mercati” e titola: “Borse, la tempesta è finita”159. Sul Sole 24 Ore, l’articolo è di Mario Platero che intervista Adam Posen, uno dei maggiori esperti di Asia degli Stati Uniti. Interrogato sul futuro della regione, l’esperto afferma: “[…] Prevedo che seguiremo il tracciato percorso dal Messico nel 1994, una brusca caduta, un forte aggiustamento, ma un giro di boa altrettanto rapido. Non mi sembra che ci troviamo davanti al pericolo di una crisi strutturale o peggio, davanti al rischio di una depressione nella regione. […]”160. Posen consiglia alle aziende che hanno contratti

aperti a tempi brevi di tenere i “nervi saldi”, poiché sarebbe un errore sacrificare relazioni industriali e commerciali costruite nel tempo. Alla domanda sulle attuali differenze tra i vari paesi, Posen risponde che l’Indonesia è quella più simile al Messico, anche per la decisione di attuare le riforme consigliate del Fondo monetario, mentre la Malaysia e la Thailandia soffrono maggiormente, a causa di posizioni propagandistiche nella prima e di condizioni politiche instabili nella seconda. Posen conclude dicendo che un imprenditore potrebbe investire approfittando proprio della crisi, in contratti di fornitura a lungo termine161. Delle condizioni politiche thailandesi parla anche il Corriere della Sera del 24 ottobre “[…] La tempesta economica che da mesi travaglia il Sud est asiatico presenta risvolti politici inquietanti in Thailandia, dove si susseguono violente manifestazioni contro la disoccupazione e la miseria causate dall’inflazione: ieri la moneta locale, il baht, ha toccato il minimo storico rispetto al dollaro. Il capo di Stato Maggiore dell’esercito thailandese, generale Chetta Tanajaro, ha pubblicamente incitato il premier Chavalit Yongchaiyut, anch’egli a suo tempo membro del vertice militare, ma regolarmente eletto, ad accelerare il rimpasto di governo e in particolare del ministro delle Finanze Thanong Bidaya, […].”162 .

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Ivi * Platero M., Non scappate, il peggio è ormai alle spalle, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 158 Vedi p.157, nota126 159 * Zampaglione A., Borse, la tempesta è finita, «La Repubblica», 25 ottobre 1997, p. 1/2 160 Vedi nota157 161 Ivi 162 * Simone G., Bangkok, parlano i militari, «Il Corriere della Sera», 24 ottobre 1997, p. 1/2 157

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L’esplosione della crisi

Il Sole 24 ore, a pagina 2 pubblica un articolo di Nicol Degli Innocenti, “Nel duemila le Tigri ferite guariranno”163. “[…] L’impatto della crisi è stato sicuramente devastante. Ma le previsioni sui danni a medio e lungo termine variano notevolmente. Gli ottimisti parlano di una ripresa entro due-tre anni, i pessimisti allungano i tempi. […]”164. L’autrice delinea l’ennesimo paragone tra l’Asia e il Messico,

dicendo che al contrario dell’Asia, che soffre di una contrazione della domanda globale di determinati beni, il Messico esportava l’80% dei beni verso un’acquirente sicuro, gli Usa. Inoltre il Messico si è affidato “totalmente” alle cure dei suoi salvatori, mentre i paesi del sud est asiatico si mostrano più “riottosi” e “[…] …poco inclini a bere docilmente l’amara medicina dell’Fmi [...]”165. Nicol Degli Innocenti trae la conclusione che “[…] La ripresa dipende quindi dalle reale volontà di riforma dei Governi del Sud-est asiatico, ma non solo. L’abusato termine “globalizzazione” è in questo caso appropriato: il livello di integrazione e interconnessione dei mercati finanziari è stato dimostrato ogni giorno dall’“effetto domino” in Asia e non solo. Ma il collegamento è anche economico: se l’economia dei Paesi importatori continuerà a riprendere slancio, potrà ripartire anche l’export asiatico e trainare la ripresa. […]”166. Tuttavia la cancellazione da parte dei governi dei grandi progetti infrastrutturali (che

vedono protagonisti anche imprese italiane) non fanno ben sperare, anche se la decisione di molte aziende è stata quella di restare e aspettare che le tigri riprendano a correre. Sulla stessa linea l’articolo di Leonardo Martinelli, che descrive come gli operatori italiani non si siano fatti prendere dal panico e abbiano in gran parte mantenuto gli investimenti e le joint venture con i paesi del sud est asiatico167. Tornando ai titoli principali sulla ripresa di Hong Kong, Repubblica scrive: “[…] A fine seduta il Dow ha chiuso con una perdita dell’1,7%: confermando però che il periodo di turbolenza, inaugurato ad agosto con il tracollo delle banche thailandesi è tutt’altro che concluso.

[…]”168. Di fronte alle

assicurazioni di Nicholas Brady, ministro del tesoro del governo Bush, Arturo Zampaglione commenta: “[…] Ma ha un bel da dire, l’ex ministro del tesoro di George Bush: come è possibile dimenticare che Hong Kong non è solo il ponte con la Cina, ma la quarta piazza azionaria del mondo, dopo New York, Londra e Tokio? Come si può far finta di nulla quando gli Hedge Fund di Soros e compagni scappano dall’oriente con miliardi di dollari e poi ci ritornano nel giro di poche ore? Come restare calmi quando la crisi delle «tigri» rischia di dimezzare le importazioni di microprocessori e sconvolgere gli equilibri commerciali? Il nervosismo resta dunque nell’aria. […]”169. L’autore si congratula con i “nuovi padroni cinesi” di

Hong Kong che hanno difeso la valuta e innescato un “effetto-domino” al rialzo, ma scrive * Degli Innocenti N., Nel Duemila le Tigri ferite guariranno, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 164 Ivi 165 Ivi 166 Ivi 167 * Martinelli L., Niente panico tra gli imprenditori italiani, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 168 Vedi p. 162, nota159 169 Ivi 163

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II. La ricerca sui giornali

che tutto questo rappresenta una “magra consolazione” per gli azionisti che devono decidere in un simile clima170. Nella pagina a fianco c’è una lunga intervista a Renato Ruggero, presidente della Wto, intitolata “Niente allarmismi è una crisi di crescita”171, da cui emerge una opinione sostanzialmente ottimista, sostenuta dalle seguenti argomentazioni: 1. Ci saranno contraccolpi alla crisi, ma oggi siamo dotati di maggiori e migliori strumenti rispetto al passato per fronteggiarla. “[…] «[…] È una crisi di crescita, l’economia di mercato funziona così» […]”172

2. La colpa della crisi non è da imputare alla liberalizzazione dei capitali, né questo processo si fermerà con l’attuale crisi 3. La liberalizzazione dei servizi finanziari, che consentirà alle banche di avere filiali in altri stati sarà un elemento positivo nel rafforzamento dei sistemi finanziari 4. La globalizzazione e la liberalizzazione moltiplicano i soggetti economici, evitando la concentrazione del potere economico in poche mani 5. Compito delle istituzioni internazionali (tra cui la Wto) è strutturare le possibilità di produzione di ricchezza, la distribuzione di quest’ultima compete alle singole autorità politiche173 Ruggero alla domanda dell’intervistatore (Salvatore Tropea) se alcune economie non siano entrate troppo in fretta nella liberalizzazione dei capitali, e se ciò non sia causa di squilibri, si sottrae alle critiche, sostenendo che i vantaggi sono pari agli svantaggi e che le crisi possono e potranno sempre accadere, in quanto l’economia è governata dagli uomini174. Il 26 ottobre, giorno successivo all’intervista di Ruggero, Giuseppe Turani scrive un editoriale da titolo: “I piccoli graffi lasciati dalle Tigri”175. Interessanti le considerazioni di Turani, che dopo aver ricordato quanto i guru e gli analisti di mercato non sappiano dire se quella asiatica sia una scossa di assestamento o un crack globale prima di averne visti gli effetti, denota come i contraccolpi sulle Borse occidentali e anche su quella di Tokio siano stati molto piccoli, quasi insignificanti. Tuttavia i ribassi delle borse di Londra e di Parigi, ovvero quelle che hanno maggiori legami con l’Asia, fanno tenere alta la guardia, nel caso che questi ribassi non siano il risultato di preoccupazioni 170

Ivi * Tropea S., Niente allarmismi, è una crisi di crescita, «La Repubblica», 25 ottobre 1997, sezione “La crisi dei mercati”, p. 3 172 Ivi 173 Ivi 174 Ivi 175 * Turani G., I piccoli graffi lasciati dalle tigri, «La Repubblica», 26 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 27 171

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L’esplosione della crisi

ingiustificate ma di informazioni precise. Turani è ottimista sulle conseguenze delle crisi: “[…] D’altra parte bisogna ricordare che i crack di Borsa, di solito, arrivano all’improvviso e fanno un grandissimo rumore (perché sono molto scenografici), ma raramente lasciano conseguenze davvero pesanti sull’economia reale. […]”176. Turani cita a sostegno delle sue opinioni il caso di Wall Street nel

1987, che è però cosa diversa dalla situazione asiatica, dove il problema delle borse è un aspetto di una crisi che da finanziaria sta diventando economica tout court. Le voci e gli inviti alla serenità, a “tenere i nervi saldi”, a volte addirittura all’ottimismo, sostenuto dal potenziale di espansione asiatico, appaiono su Repubblica, il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera, ma le valutazioni giorno per giorno sull’evoluzione delle condizioni economiche sono sempre incerte e dipendono dal punto di vista e dalle idee dei giornalisti o degli esperti intervistati. A seconda degli avvenimenti si alternano così cori di ottimismo e di cautela agli strepiti di panico su possibili ripercussioni sulle borse occidentali. La tempesta provoca onde e molto probabilmente la riuscita difesa del dollaro di Hong Kong, sostenuta da fattori geopolitici (non un semplice “su e giù del mercato”), rappresenta il superamento della cresta di un onda in una crisi destinata a durare. Il mantenimento del peg col dollaro è pur sempre un segnale di fiducia se non proprio la certezza di un baluardo, che i mercati aspettano con ansia. Non altrimenti si spiegherebbero i titoli di Repubblica (“Borse, la tempesta è finita”177) e del Corriere (“Si placa il ciclone asiatico. […]”178) All’interno degli articoli il tono rimane teso, ma i segnali sono importanti. Sui fattori geopolitici La Repubblica del 25 ottobre pubblica in prima pagina una ricostruzione del quadro politico-economico del sud est asiatico, con l’esplicitazione della causa originaria della crisi. La firma è di Marcello De Cecco, che evidenzia pesantemente le colpe statunitensi: “Sul quadrante asiatico gli Stati Uniti hanno in corso due grandi partite che alternano fastidi conflitto a fasi di cooperazione. La prima, più tradizionale, riguarda il Giappone, la seconda, più recente, concerne la Cina. La fine del bipolarismo, con la scomparsa dell’Urss, ha spostato le due partite, decisamente, dal terreno dell’economa, ma nel senso, parafrasando Clausewitz, che l’uso di strumenti economici è la continuazione della politica. Una manifestazione eclatante di conflitto è l’ascesa turbinosa dello yen rispetto al dollaro, che condusse, qualche anno addietro, il Giappone sull’orlo della bancarotta economica. A essa è seguita una fase negoziale complessa (gli accordi del Plaza, n.d.r.), nella quale la risalita dell’economia giapponese è stata «permessa» dagli Stati Uniti, con una discesa dello yen e quindi con un recupero del dollaro. Il guaio è che anche le tregue d’armi tra giganti fanno le loro vittime. In questo caso le vittime principali sono state i Paesi emergenti dell’Asia, inclusi Taiwan e Corea del Sud. Questi avevano legato da tempo le loro monete al dollaro, contando sulla sua debolezza ritenuta ormai strutturale, specie rispetto allo yen. E fin quando ciò è stato vero, ne hanno tratto sviluppo e prosperità, oltre a grandi boom di industria edilizia, indici azionari, 176

Ivi Vedi p. 162, nota159 178 Vedi p.157, nota126 177

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II. La ricerca sui giornali ma anche del loro indebitamento in dollari. Quando gli stati Uniti hanno dato tregua al Giappone, e il dollaro è fortemente risalito rispetto allo yen, ciò ha portato lo scompiglio nei paesi asiatici che avevano ancorato le proprie monete a quella americana. Il tentativo di mantenere l’ancoraggio è fallito e negli ultimi mesi quei Paesi sono stati costretti a corpose svalutazioni sia contro il dollaro che contro lo yen. Al tempo stesso crollavano le borse si fermavano industria edilizia e grandi progetti infrastrutturali. Da questa tempesta sembravano restare indenni la Cina e la sua appendice commercial-finanziaria, Hong Kong […]. E qui torna di nuovo comodo il concetto di politica economica internazionale come strumento di politica estera, che sostituisce, per un lungo tratto, la minaccia militare. Non sembravano esistere motivi perché la moneta di Hong Kong e quella cinese seguissero il destino delle altre monete asiatiche nelle loro recenti traversie. […] Molti sanno, però, che Jiang Zemin, l’uomo forte dello Stato cinese, deve visitare gli Stati Uniti per condurre in quel Paese un difficile negoziato che include fondamentali argomenti di politica estera e politica economica internazionale. Sarebbe per la Cina assai scomodo se egli fosse costretto a negoziare mentre crollano moneta e borsa del suo Paese e dell’appendice recentemente annessa. […]”179. Si conclude che:

1. I cinesi sono disposti a tutto pur di difendere la moneta. Anche perché nel tempo hanno allacciato legami con i maggiori gruppi industriali internazionali, stipulando molte joint-venture 2. L’ammontare delle riserve è tale da scoraggiare gli speculatori, ma molti captali si stanno dirigendo verso luoghi più liquidi e sicuri come i titoli del tesoro americano

3.11 Fibrillazione e incertezza Dal 25 ottobre, durante la difesa di Hong Kong, e il 28 ottobre il Sole 24 Ore e la Repubblica riportano notizie e riflessioni dall’Asia. Il Sole 24 Ore afferma, nelle parole di Pietro Fornara che “La zampata delle Tigri? non potrà ferire l’occidente”180. “[…] La Banca mondiale per bocca del vice presidente dell’Est Asia e Pacifico Jean-Michel Severino, non ritiene credibile una minaccia incombente per il sistema finanziario mondiale, perché le grandi società multinazionali non sono esposte nella regione oltre la “soglia di pericolo” […]” Fornara conclude che nonostante le previsioni di calo del

Pil in molti paesi dell’area per il 1998, l’atteggiamento attendista è quello più consigliato. “[…] In ogni caso per tutto il Far East un campanello d’allarme è suonato, ma […] è ancora presto per decretare la fine del miracolo asiatico.”181.

Nella sezione “Settimana finanziaria”, nella pagina relativa alle “Borse internazionali”, si scrive che su Wall Street si è allungata l’ombra del sud est asiatico, anche se la crisi dell’Asia viene vista come un “catalizzatore” di una volatilità già esistente dopo i massimi

* De Cecco M., La tregua dollaro-yen, «La Repubblica», 25 ottobre 1997, p. 1/2 * Fornara P., La zampata delle Tigri? Non potrà ferire l'occidente, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 33 181 Ivi 179 180

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L’esplosione della crisi

raggiunti182. Contemporaneamente la Borsa di Tokio, pur accusando danni limitati, soffre delle incognite derivanti dai fitti legami commerciali con l’area183, mentre vengono riscontrate le perdite della borsa di Hong Kong: -18% rispetto al venerdì precedente184. Diverse le valutazioni su Repubblica: “Non è ancora finita l’emergenza sui mercati asiatici e, quindi, non è cessato l’allarme per l’Europa e gli Stati Uniti. La sensazione di sollievo di venerdì scorso, quando la Borsa di Hong Kong ha reagito con un sensibile rialzo al crollo del giorno prima, è durata poco e la caduta finale di Wall Street ha alimentato ulteriori timori. Secondo quanto ha riferito ieri il Financial Times, l’amministrazione americana è in allerta per le possibili ripercussioni del crollo delle Borse e delle Economie asiatiche. […] Ma la crisi delle Borse asiatiche ha fatto tornare al centro dell’attenzione degli investitori internazionali anche la questione della Federal Reserve. Negli ultimi tempi il presidente della Fed, Alan Greenspan, aveva fatto intendere la possibilità di un leggero irrigidimento della politica monetaria. Ma, avvertono oggi molti analisti di New York, se la Fed decidesse di aumentare i tassi, in presenza di una situazione ancora delicata come quella asiatica, allora il rischio di una crisi finanziaria mondiale potrebbe davvero manifestarsi. […]”185. Totalmente cosciente dei rischi delle Borse è anche l’intervista di

Eugenio Occorsio a Richard Medley, global strategist dei fondi di George Soros. Medley, discolpando per l’ennesima volta la speculazione quale responsabile dei crolli nel sud est asiatico, e precisa l’importanza di Hong Kong, che “…è una piazza internazionale importante esattamente come new York e Londra. Moltissimi capitali stranieri vi sono allocati, così come compagnie di Hong Kong hanno interessi in tutto il mondo. Poi c’è il valore simbolico dell’ex-colonia, l’avamposto del capitalismo della Cina comunista. Niente a che vedere con Kuala Lumpur o Bangkok, insomma, che possono andare a fondo senza che ciò abbai dirette ripercussioni internazionali. […]”186. Alla domanda di possibili

coinvolgimenti dell’Europa Medley risponde “[…] «Temo di sì, anzi, ne sono certo. Quello asiatico è oggi il fattore di incertezza numero uno per le piazze occidentali, New York in testa. Anzi, in quest’ultimo caso è l’unica vera nube che può passare sopra il mercato. […]». […]”187. Medley conclude con il consiglio di

investire in buoni del tesoro americani. Il commento di Vittoria Puledda all’andamento delle borse “La sarabanda delle Borse: il panico in tempo reale”188 esordisce così: “È il bello della finanza globale, dove tutto circola in tempo reale, anche il panico. È così che funziona quando i mercati sono fortemente correlati tra loro. […]”189. L’autrice si

* Non firmato, Wall Street soffre il male di Hong Kong, cresce la volatilità, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 183 * Non firmato, Danni limitati al Kabuto-cho, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 184 * Non firmato, L'Hang Seng precipita del 18%, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 185 * Gianola R.., Mercati, riapertura con brivido, «La Repubblica», 27 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 33 186 * Occorsio E., Via dalle Borse, «La Repubblica», 27 ottobre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n.35, p. 1/6 187 Ivi 188 * Puledda V., La sarabanda delle borse: il panico in tempo reale, «La Repubblica», 27 ottobre 1997, “Affari & finanza”, anno XII, n. 35, p. 6 189 Ivi 182

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II. La ricerca sui giornali

avvale del parere di alcuni operatori di Borsa. Uno di questi, della Borsa di Londra, afferma: “[…] «improvvisamente o quasi, ci siamo svegliati più umili, abbiamo scoperto di non essere invincibili. […] la crisi asiatica ci ha ricordato che in Borsa si può anche perdere, e molto. I campanelli avevano cominciato suonare minacciosi poco prima di partire per le ferie, ora i segnali di crisi hanno toccato anche Hong Kong. La minaccia per la stabilità ha alzato il tiro e infatti si è estesa immediatamente ai Paesi più correlati – dal Giappone alla Gran Bretagna – ha fatto un facile spunto a Wall Street per accentuare il nervosismo che l’accompagna da qualche mese ed ha colpito qua e là qualche mercato più fragile, nell’area dell’America latina». […]”190. La giornalista scrive però che “[…] gli stessi analisti tendono a circoscrivere la portata della crisi. […]”, soprattutto perché i paesi del sud est asiatico sono “prenditori” di capitali

internazionali e non sono “un motore economico e finanziario” per il resto del mondo. Il 26 ottobre il Sole 24 Ore pubblica due articoli di commento alla situazione asiatica. Il primo è a firma di Michele Calcaterra: “[…] La vera novità è che se l’emergenza era fino a qualche tempo fa limitata al solo Sud est asiatico, oggi questa si è allargata a tutta la regione asiatica: Hong Kong, Corea del sud e Giappone. Una situazione che desta non poche preoccupazioni, dato che le Borse sono state la forza trainante del dinamismo finanziario di questi Paesi. […]”191. Calcaterra sottolinea la debolezza

legata al periodo di transizione del Giappone, mentre “[…] Per la Corea del Sud […] non ci si attende nulla di buono. Quanto sta accadendo alle principali Chaebol del Paese è sotto gli occhi di tutti. I fallimenti si stano susseguendo a catena, il sistema bancario è pesantemente coinvolto nella crisi dei gruppi industriali, mentre alle porte ci sono le elezioni per il rinnovo della presidenza del Paese. […]”192. La

situazione è aggravata dagli scioperi dei lavoratori. “[…] Ma Seul non cambierà certo rotta (nella difesa politica dei gruppi industriali, n.d.r.) a meno di due mesi dalle cruciali elezioni presidenziali. Che promettono essere le più democratiche della storia coreana ma anche

le più combattute. Regna quindi

l’incertezza, peggiore nemica dei mercati finanziari. Al termine di un anno di clamorosi scandali, che hanno rivelato il livello di corruzione e l’intreccio politica-affari, cresce la tensione sociale, sfociata nell’ondata di scioperi e nell’inedito braccio di ferro sul mercato del lavoro tra sindacati e governo. […]”193.

Allo stesso modo, sia il Sole 24 Ore che il Corriere della Sera, riportano la difficile situazione thailandese. La previsione di insufficienza degli aiuti Fmi194, unita al peso dei militari nelle decisioni politiche195 rendono un quadro grave. La Malaysia non sembra ancora in grado di reagire, Singapore non si è fatto del tutto contagiare dall’isteria dei mercati, l’Indonesia è appesa al prestito Fmi, mentre Hong Kong sta eliminando le punte speculative per creare un “zoccolo” da cui difendersi196. Marco Valsania, il 26 ottobre nota che “[…] …tra 190

Ivi * Calcaterra M., Aspettando Hong Kong, «Il Sole 24 Ore», 26 ottobre 1997, p. 1/3 192 Ivi 193 * Degli Innocenti N., Seul, operai in piazza contro lo Stato, «Il Sole 24 Ore», 25 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 194 Vedi nota191 195 Vedi p.162, nota162 196 Vedi p.168, nota191 191

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L’esplosione della crisi investitori e operatori americani emerge una svolta nell’atteggiamento verso il Sud est asiatico, in precedenza le tensioni erano giudicate incapaci di scuotere un sistema solido come quello di Hong Kong. Oggi non più. «È venuto alla luce che i problemi del Sud est asiatico e del Giappone hanno riflessi per il resto del mondo e per gli Stati Uniti». Ha dichiarato il capo economista della Primark Decision Economics, Allen Sinai. […]”197.

Di diversa opinione l’intervista a Marco Merati Foscarini (amministratore delegato della Bsi italiana), su La Repubblica il 27 ottobre. L’intervistato infatti ritiene che: “[..] «Le battute d’arresto dei giorni scorsi nei paesi dell’estremo oriente potranno forse ripetersi. Ma sarebbe un errore paragonare la crisi che ne potrà seguire al crack delle borse internazionali di dieci anni fa. Si tratta, più semplicemente, di semplici sacche speculative che vengono svuotate. Per il resto le condizioni risultano del tutto diverse: l’intero sistema economico americano e dei Paesi europei risulta in ottima salute e non ci sono condizioni di risalita dei tassi». […]”198.

3.12 Il crollo di Wall Street “La crisi asiatica travolge Wall Street”199, così titola in prima pagina il Corriere il 28 ottobre.

Significativo il sottotitolo: “Crollo del 7,2%. Chiusa la Borsa di New York. Interviene la Casa Bianca: risparmiatori non fatevi prendere dal panico”200. Gli articoli di cronaca che seguono, descrivono una

situazione in fibrillazione, ma l’interesse è vedere come il giornale interpreta la vicenda. A tal proposito sono significativi gli articoli di Mario Talamona e Ennio Caretto in prima pagina, Vittorio Malagutti a pagina due più la cronaca di Wall Street con l’intervista a Henry Kaufmann di Ennio caretto a pagina tre. Talamona: “[…] La globalizzazione dell’economia, ma soprattutto di quella finanziaria, (che non si può più nemmeno dire di carta, rispetto a quella reale, essendo totalmente inviluppata nelle reti telematiche), rivela più che mai l’esistenza di un poderoso e inarrestabile artefatto che stringe il globo terracqueo entro le magli fittissime e interdipendenti degli scambi di titoli e valori su scala planetaria. […] Questo avanzare di crolli borsistici da Est a Ovest segnala in maniera sempre più drammatica l’intrinseca perversione connessa con gli eccessi di finanziarizzazione dell’economia mondiale sviluppata, al suo interno e nei suoi rapporti con i Paesi emergenti, a cominciare dalle cosiddette «tigri asiatiche». La giornata nera dei mercati dell’Asia […] ha dunque disseminato di perdite vistosissime tutte le piazze finanziarie, in attesa dell’apertura di Wall Street nel pomeriggio. Ma alla fine il ciclone si è abbattuto anche su New York, dove non si sono contate le sospensioni per eccesso di ribasso. […]”201. Dopo aver ribadito la solidità dei fondamentali americani e aver

scongiurato il “crollo totale”, Mario Talamona, sulla prima pagina del Corriere della Sera del 28 ottobre, conclude che la sospensione delle contrattazioni a Wall Street non accadeva dai * Valsania M., Pechino, operazioni fiducia sui mercati, «Il Sole 24 Ore», 26 ottobre 1997, p. 1/3 * F. T., L'Asia non fa paura, le borse ripartiranno, «La Repubblica», 27 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 33 199 * Non firmato, La crisi asiatica travolge Wall Street, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, p. 1 200 Ivi 201 * Talamona M., L'ordine che non c'è, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, p. 1 197 198

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II. La ricerca sui giornali

tempi dell’assassinio di John Kennedy, quando esisteva ancora un ordine monetario internazionale, mentre oggi, nel bene e nel male, non esiste più. Una posizione tutto sommato inerte, che accetta i nuovi sconvolgimenti senza mettere esplicitamente in dubbio i meccanismi che li creano. Ennio Caretto in prima pagina commenta: “Ragazzi, respirate forte”202. “[…] Nei suoi momenti più difficili, in pace come in guerra, la superpotenza americana guarda sempre al presidente Lo ha fatto anche ieri, e a ragione. […]”203. C’è stato panico e disperazione da parte degli investitori, “[…] Ma le probabilità di ripresa sono nette: in percentuale l’indice Dow Jones ha perso solo un terzo rispetto a 10 anni fa. Ieri sera, ai cittadini incapaci di staccarsi dalle radio e dalle televisioni, i guru di Wall Street hanno rivolto un appello al buon senso e alla ragione. A nome di molti altri, Edward Jardeni ha dichiarato che «non c’è il pericolo di un contagio asiatico mortale». E ha concluso: «A settembre avevamo calcolato che la Borsa fosse sopravvalutata del 17-18 per cento circa. Una correzione di rotta era inevitabile. Gli eventi possono essere traumatici, ma dovrebbero risultare passeggeri».”204.

L’articolo di Vittorio a Malagutti, a pagina due afferma che “[…] …sui circuiti telematici che collegano in tempo reale le piazze finanziarie di tutto il mondo si sta spargendo un’ondata di panico ribassista. […] Se nella notte Wall Street passerà il testimone del ribasso alle Borse del Far East e queste si avviteranno in una nuova spirale di crac a catena, allora anche in Europa gli operatori saranno costretti ad allacciare le cinture di sicurezza”205. Tra il panico e il senso di impotenza, ci sono anche descrizioni dal vivo

del pesante clima psicologico in alcuni paesi asiatici, dove la gente sta incollata ai televisori degli ascensori che mostrano le quotazioni di borsa206. A pagina 3, Ennio Caretto descrive la discesa di Wall Street: “[…] Il crollo di Wall Street […] è avvenuto nella parte finale della contrattazioni. Per tutta la giornata l’indice Dow Jones era sceso, nonostante una sospensione di 5 minuti quando la sua perdita aveva superato i 100 punti. La crisi è esplosa alle 14.30. In preda al panico gli investitori hanno fatto calare l’indice di 350 punti, e i circuit borkers hanno bloccato tutto per mezz’ora. Ma alle 15, alla ripresa dell’attività, la fuga è ricominciata in un clima di disperazione, e in soli 30’ l’indice Dow Jones è crollato di altri 200 punti. «È difficile condividere le speranza degli ottimisti, tra cui c’ero anch’io – ha commentato l’economista Allen Sinari – Nessuno può dire con certezza che cosa sarebbe successo se la Borsa fosse andata avanti fino alle 16». Secondo Sinai e altri analisti, la causa principale del crack è stata la crisi di Hong Kong e il timore che si ripercuota duramente su Tokio. […]”207.

Nella stessa pagina, Henry Kaufmann, intervistato da Caretto, è preoccupato per le ripercussioni sul mercato americano delle Borse del Giappone e di Hong Kong. Riguardo a * Caretto E., Ragazzi, respirate forte, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 5 Ivi 204 Ivi 205 * Malagutti V., Sulle borse torna il ciclone asiatico, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 206 * Ferraro R., Nell'ex colonia la paura torna anche dai monitor piazzati negli ascensori, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 207 * Caretto E., Wall Street crolla e chiude mezz'ora prima, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 202 203

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L’esplosione della crisi

quest’ultima, afferma che se gli attacchi continueranno di questo passo, le autorità politiche potranno mantenere la difesa della valuta per un massimo di 30, 40 giorni, a causa del necessario rialzo dei tassi di interesse che farebbe crollare i prezzi del mercato immobiliare, trascinando al crollo anche il Giappone. Il prof. Kaufmann afferma che l’unica cosa che l’Occidente può fare è lavorare con il Fondo monetario e gli altri organismi per stabilizzare la situazione in Asia, ma riportando le parole di Robert Rubin, afferma che gli Usa non sono intenzionati ad agire “personalmente” in Asia, auspicando un coinvolgimento degli altri paesi avanzati208. Il Sole 24 Ore titola in prima pagina “Wall Street in picchiata (-7,2%)”, con un commento in prima pagina di Giangiacomo Nardozzi. L’articolo afferma: “Lunedì nero a Wall Street e allarme rosso per le Borse internazionali: la crisi asiatica – confermata dal nuovo cedimento di quasi il 6% a Hong Kong – si è allargata ai mercati americani, che sono crollati ieri sera sull’onda di un vero e proprio panico degli investitori. […] La stessa Casa Bianca è intervenuta per cercare di rassicurare gli investitori, dopo una giornata che, in termini di punti, rappresenta per il Dow Jones il maggior crollo di tutti i tempi […]”209.

Il commento di Nardozzi: “In pochi anni la Borsa è diventata, al di là delle alterne vicende di cori, ben più importante per i Paesi emergenti di quanto lo sia stata nell’esperienza della quasi totalità dei Paesi oggi avanzati. Lo sviluppo della Borsa in questi Paesi si è accompagnato a una liberalizzazione degli scambi e dei movimenti di capitale che ha attratto gli investitori internazionali contribuendo non poco alla cosiddetta globalizzazione dei mercati. Ma la diffusione della istituzione Borsa, […] ha accresciuto la probabilità che si creino focolai di instabilità pronti a trasmettersi anche alle parti sane, agli organi centrali dell’economia mondiale. Se questo è un fatto difficilmente contestabile, il rischio del contagio dipende dalla capacità di aggredirlo a livello locale e dalla forza degli organi centrali. Nel caso specifico della crisi asiatica, in atto già da mesi prima di giungere ad aggredire ora con violenza il ganglio internazionale di Hong Kong, la capacità di governarla per circoscriverla è stata carente. E la crisi di Hong Kong è scoppiata mentre l’organo del centro, la Borsa americana, si stava già interrogando da tempo con un certo nervosismo sulla sua forza. […]”210.

Emerge dalle parole dell’autore una critica abbastanza pronunciata, anche se non precisamente indirizzata (all’Fmi? Agli Usa? Al Giappone?), di carenze nella gestione della crisi. Anche Dornbusch, il 4 ottobre211, elencando le lezioni del caso Thailandia, aveva indicato “esitazioni” da parte del Fmi, ma le riteneva del tutto inevitabili. Sembra evidente che di fronte a un contagio così virulento, le giustificazioni vacillino. A pagina 2 si riportano i timori di un “effetto domino” da parte dell’Europa212. Nelle riflessioni su Hong Kong quale

* Caretto E., Kaufman: il terremoto non è finito, «Il Corriere della Sera», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 209 * Non firmato, Wall Street in picchiata (-7,2%), «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, p. 1/3 210 * Nardozzi G., Effetto contagio, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, p. 1 211 Vedi p. 135, nota26 212 * Carrer S., Ora l'Europa teme l'effetto domino, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 208

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II. La ricerca sui giornali

punto di partenza del contagio, Nicol Degli Innocenti scrive che le altre Borse cinesi (Shenzen e Shangai) non sembrano soffrire della crisi e le autorità della Cina hanno ribadito la loro intenzione a non interferire con la crisi di Hong Kong. La vera protagonista in negativo è la Corea del Sud. Il paese soffre infatti di una congiuntura politica ed economica “[…] La Borsa di Seul ha perso il 3,28%, chiudendo a quota 530,47 punti, il livello minimo dall’ottobre 1992. In discesa libera anche la valuta, che ha toccato il minimo storico di 942 contro il dollaro prima che la Banca centrale intervenisse, riportando il won a 939,90 in chiusura. Il presidente Kim Young Sam ieri ha convocato una riunione di emergenza dei ministri economici, dichiarando al termine che è essenziale «mantenere la stabilità dei mercati azionari e finanziari per rilanciare l’economia nel suo complesso». […] A meno di due mesi dalle elezioni presidenziali, la situazione resta tesa, mentre continua l’agitazione dei lavoratori del gruppo Kia, contrari al piano di salvataggio del Governo. […]”213. In Thailandia: “[…] …la situazione resta precaria: i mercati stanno aspettando di vedere alla prova il nuovo governo tecnico varato venerdì, che non ha fermato le manifestazioni di protesta di cittadini che chiedono le dimissioni del premier Chavalit. […]”214.

A Pagina 3 l’articolo di Mario Platero sullo scossone americano, riporta che “[…] Toccherà comunque alle autorità di controllo internazionali dare un segnale per evitare che la dimensione globale di questa crisi esploda con un impatto molto più violento di quello che abbiamo visto finora. […] Con questo intreccio di legami su vari livelli, da ieri si è comunque inaugurata un’epoca nuova: la globalizzazione è diventata un fenomeno concreto. […] In questa situazione di ribassi generalizzati, rimane chi ha fede che il movimento non sia irreversibile. […]”215. Michele Calcaterra, riportando il clima di attesa di Hong

Kong, afferma: “[…] Il problema di fondo è comunque che la crisi non varchi i due oceani: quello Pacifico e si trasferisca negli Stati Uniti e quello Atlantico e attacchi l’Europa. Il Governo di Tokio sta lavorando con gli altri Paesi asiatici per creare un fondo di pronto intervento in caso di crisi e sta proponendo di intervenire con prestitit in yen (con un tetto di 100 miliardi di yen) legati a obbligazioni garantite dallo Stato. Un modo per aiutare queste economie ma anche per affermare lo yen che conta solo per il 7-8% delle riserve mondiali e tenuto conto che il 40% di queste hanno sede nella regione asiatica. Nel frattempo a Hong Kong si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del consiglio di Borsa. Chissà che il nuovo board avrà maggiore fortuna.”216.

Ma la paura maggiore espressa anche dall’economista Henry Kaufmann intervistato dal Sole 24 Ore riguarda il fatto che “[…] La vera crisi ci sarà se dall’instabilità regionale asiatica si passerà a colpire la stabilità di una potenza globale come il Giappone. E questo accadrà se Hong Kong sarà costretta a svalutare. […]”217. Kaufmann non è un pessimista e afferma che anche gli Stati Uniti

non corrono rischi particolarmente gravi data la salute e la forza della loro economia. Robert * Degli Innocenti N., Parte da Hong Kong l'onda lunga del ribasso, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 214 Ivi 215 * Platero M., Paura a Wall Street, l'indice a picco, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 216 * Calcaterra M., In Giappone occhi puntati sull’economia dell'ex colonia, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 217 * Platero M., Ma non è ancora il crack globale, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 213

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L’esplosione della crisi

Rubin intanto continua ad affermare che le crisi internazionali non si possono risolvere separatamente, osteggiando la linea di costituzione di un fondo per l’Asia da parte del Giappone218. La Repubblica in prima pagina titola il 28 ottobre “Crollo a Wall Street”219. L’editoriale, di Vittorio Zucconi220, mette a fuoco i seguenti elementi: 1. C’è un rovescio dell’“euforia” che ha sostenuto la Borsa americana per un decennio 2. L’irrazionalità finanziaria, il panico, scatena terremoti cui è difficile prevedere la fine, anche se nella situazione attuale potrebbero “non dispiacere” alle autorità monetarie americane 3. Il fattore Cina, come paese gestore di capitali e attore della finanza internazionale 4. Il centro di gravità della finanza internazionale ruota ormai “attorno al Pacifico”. A pagina 2, Arturo Zampaglione scrive che “[…] A dispetto del record negativo e del contraccolpo nei media americani, non c’è stata ieri a Wall Street la stessa paura, la stessa atmosfera di disperazione del 1987. Il merito è dei meccanismi di raffreddamento automatico delle contrattazioni introdotti dopo il crac di dieci anni fa e scattati lunedì per la prima volta. Alle 14 e 36, infatti, l’indice ha infranto i 350 punti di perdita e gli scambi sono stati interrotti per mezz’ora. […] Wall Street non è stata l’unica vittima di Black Monday ’97. Tutt’altro: la prima scossa, che ha poi contagiato tutte le altre piazze si è registrata a Hong Kong, […]. L’ondata negativa ha investito il Giappone (meno 1,87 a Tokyo) e poi, una dopo l’altra, tutte le Borse europee. […]”221. La cronaca di Zampaglione viene ampliata da una sua intervista a David

M. Jones, presidente della Aubrey G. Langston e famoso fed-watcher, che spiega l’immobilismo di Greenspan e della Fed con “[…] «La convinzione che i mercati stiano trovando da soli la strada della razionalità. Greenspan era e rimane dell’opinione che Wall Street avesse corso un po’ troppo, che ci fosse bisogno di una fase di assestamento per no creare squilibri macroeconomici» […]”222.

Sulla crisi afferma: “[…] «[…] ritengo che il contagio della crisi asiatica sia molto limitato, a dispetto di quello che dicono molti famosi colleghi. La ragione? Basta guardare le cifre sulla disoccupazione americana e i diagrammi sulla produttività: l’economia degli Stati Uniti è ancora solida e sana. […]” e poi “[…] Quel che rilevo,

però, è un certo ritardo nel capire le implicazioni di medio termine della crisi asiatica e una

sottovalutazione dei rischi dell’estremo-oriente, non per gli Stati Uniti, non per l’Europa, ma per altri mercati

* Platero M., Rubin: dev'essere l'Fmi a coordinare gli aiuti, «Il Sole 24 Ore», 28 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 219 * Non firmato, Crollo a Wall Street, «La Repubblica», 28 ottobre 1997, p. 1 220 * Zucconi V., Il nemico è il panico, «La Repubblica», 28 ottobre 1997, p. 1/22 221 * Zampaglione A., Wall Street, la grande paura, «La Repubblica», 28 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 2 222 * Zampaglione A., E' solo un assestamento, la Fed non alzerà i tassi, «La Repubblica», 28 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 2 218

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II. La ricerca sui giornali

emergenti»”223. A pagina 3 di Repubblica, Maurizio Ricci mediante il parere di vari esperti,

alimenta la convinzione che una crollo vero e proprio di Hong Kong sia improbabile, dati i fondamentali dell’economia cinese, i legami con importanti piazze finanziarie come Londra e i dati di solidità interna delle sue banche. Senza dubbio in condizioni migliori che negli altri paesi asiatici224.

3.13 Crack e correzione Il 29 ottobre la Borsa americana inverte la tendenza e sale del 4,7%225. Il sole 24 Ore, Repubblica e il Corriere della Sera fanno tornare un po’ di sereno sulle loro pagine, a volte con toni di ottimismo. Repubblica infatti titola in prima pagina: “La rimonta di Wall Street”226, mentre più tiepido è il Sole 24 Ore “Wall Sreet inverte la rotta (+4,7%)”227, il Corriere “Borse a picco poi la svolta: risale Wall Street”228.

La risalita della Borsa americana dopo il tonfo del 28 ottobre però, segna irrimediabilmente, come una specie di vaso comunicante, gli ulteriori crolli nelle Borse asiatiche. Fino alla metà di ottobre, quando la crisi sembrava ancora circoscritta, molte voci si affermarono che essa era inevitabile in presenza di fondamentali così squilibrati. Ora che i suoi effetti rischiano di trascinare al ribasso la borsa di New York e di conseguenza quelle europee, si assiste a un vero e proprio cambiamento di prospettiva. Se prima le fughe di capitali dall’Asia e il deprezzamento delle monete svincolate dal dollaro erano ritenute sciagure “prevedibili” e addirittura in qualche caso “necessarie”, sul presupposto della razionalità dei mercati, dall’inizio degli attacchi speculativi a Hong Kong e del contagio al ribasso di Wall Street, si accentuano sui giornali critiche alla componente “irrazionale” dei mercati, che colpirebbe anche le economie solide. Giacomo Vaciago, che firma l’editoriale sul Sole 24 Ore del 29 ottobre, scrive: “[…] Era sembrato che ci fosse un problema in Thailandia e in Malaysia. E in effetti questi due Paesi che avevano i “fondamentali” sbagliati e che richiedevano quindi una diversa costellazione di variabili finanziarie: tassi di cambio e prezzi dei titoli. Ma di lì in poi, la crisi ha preso a girare per il mondo, allontanandosi sempre di più dai fondamentali di ciascun Paese. […] A ben guardare, cosa cerca il mercato globale? Evidentemente una sua autorità. Cioè chi ne garantisca stabilità e solvibilità, chi agisca «in ultima istanza». Insomma, qualcuno che eviti che le tante virtù della globalizzazione rischino poi di diventare in certe occasioni una vera e propria condanna. […] Ma le stesse istituzioni internazionali sono 223

Ivi * Ricci M., Nuovo scivolone di Hong Kong, ma Pechino non l'abbandona, «La Repubblica», 28 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 3 225 * Non firmato, Wall Street inverte la rotta (+4,7%), «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, p. 1 226 * Non firmato, La rimonta di Wall Street, «La Repubblica», 29 ottobre 1997, p. 1 227 Vedi nota225 228 * Non firmato, Borse a picco poi la svolta: risale Wall Street, «Il Corriere della Sera», 29 ottobre 1997, p. 1 224

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L’esplosione della crisi disarmate se al loro interno non trovano una leadership convinta e convincente. Un ruolo che solo gli Stati Uniti, oggi più che mai, sono in grado di svolgere. Se lo capiscono e lo capiscono presto, possiamo sperare che lo shock di questi giorni sia già l’ultimo, e che le prossime scosse [..] siano solo di aggiustamento. […]”229.

Le cronache positive su Wall Street230, lasciano il posto sul Sole 24 Ore a quelle drammatiche dell’Asia. “Per i mercati asiatici il giorno più nero”231, scrive Nicol Degli Innocenti il 29 ottobre a pagina 2. “Il lunedì nero è impallidito a confronto del martedì più negativo che l’Asia ricordi. Nessuna Borsa di nessun Paese è stata risparmiata dalla travolgente ondata ribassista che ieri ha fatto sprofondare i listini azionari asiatici sulla scia del crollo di Wall Street. La performance peggiore è stata ancora una volta quella di Hong Kong. L’indice Hang Seng ha registrato una perdita del 13,7%, chiudendo a 9.059,89, il livello più basso degli ultimi due anni. Dal 7 agosto, giorno di record positivo dell’anno, la Borsa di Hong Kong ha perso il 45%, quasi metà del suo valore. Ma neppure il tracollo di ieri sembra aver scalfito la determinazione delle autorità a lasciare invariata la politica monetaria. […] Le Borse cinesi, che lunedì in controtendenza avevano segnato un rialzo, ieri sono state travolte dall’ondata ribassista: Shenzen ha chiuso con una perdita del 4,6 per cento. In Corea del Sud la Borsa di Seul ha chiuso con un clo del 6,63%, una perdita di 35,19 punti, la più ampia della sua storia. L’indice è sceso sotto i 500 punti per la prima volta dall’agosto ’92, ma anche a causa della decisione di Moody’s di abbassare il rating del debito estero in valuta straniera a breve e dei depositi di alcune grandi banche. […] La Banca Centrale di Seul, dopo un iniziale intervento, ha rinunciato a difendere il won, che ha chiuso a 957,60 contro il dollaro. […]”232. L’autrice, facendo un

panorama delle borse asiatiche, riporta che anche il dollaro e la borsa di Taiwan sono scesi ai minimi (30,80 / -5,9%), e insieme a Taiwan Singapore (-7,6%), Giakarta (-8,59%), Manila (6,3%), Kuala Lumpur (-6,3%) e Bangkok (-6%). Assieme ai dati di Borsa però l’autrice scrive delle dichiarazioni di Stanley Fischer sul raggiungimento dell’accordo per il pacchetto di salvataggio in Indonesia, mentre in Thailandia, la nomina dei responsabili dell’agenzia di ristrutturazione finanziaria per la liquidazione o fusione delle 58 società finanziarie sospese, “non sembra aver conquistato la fiducia del mercato”233. Nonostante le dichiarazioni del governatore della Banca d’Italia Ciampi234 e le assicurazioni di Benito Benedini, premier di Assolombarda235, che scongiurano effetti della crisi sull’economia italiana a pagina 4 (sezione “Il grande shock”), appare in fondo una considerazione di Franco Ferrarotti che critica * Vaciago G., Globalità, regole e vantaggi, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, p. 1/2 * Plateroti A.& Valsania M., Wall Street doma l'Orso e rialza la testa, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 3 * Platero M., Clinton: Nervi saldi, l'economia è sana, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 3 * Platero M., Non diamo colpe ai derivati, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 3 231 * Degli Innocenti N., Per i mercati asiatici il giorno più nero, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 2 232 Ivi 233 Ivi 234 * Calderoni M., Ciampi: Non ci sono rischi di crisi, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 4 235 * Vergnano F., Benedini: Trema la finanza ma l'economia reale tiene, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 4 229 230

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II. La ricerca sui giornali

l’”analfabetismo economico” dei molti che si cimentano in borsa senza avere una chiara idea del funzionamento dell’economia. Questa se non si riduce a razionali calcoli di politica monetaria, non dovrebbe nemmeno essere soggetta a “ottimismo sprovveduto” e ad “attacchi di panico ingiustificati”236. L’articolo di Ferrarotti è significativo perché è un segnale della crescente consapevolezza dei giornali circa l’irrazionalità delle recenti turbolenze, che rende difficile la messa a punto di difese appropriate e punisce anche le aziende sane dei paesi coinvolti. A pagina 7, sempre nella sezione “Il grande shock”, viene pubblicata un’ampia analisi a firma di Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi: “I perché di una crisi a effetto globale”237. Riassumendo i contenuti dell’articolo, abbiamo la posizione dei due autori: 1. Nel mondo globalizzato, una crisi locale può diventare globale, ma per i paesi con i fondamentali “solidi” si trasforma solo in una correzione 2. La possibile correzione al ribasso dei paesi asiatici, è stata resa difficile dall’alto tasso di indebitamento, sommato a manovre dilettantistiche da parte dei leader locali, che hanno sfiduciato i mercati 3. La difesa del dollaro di Hong Kong è irrazionale e penalizza la città, ma è stata mantenuta per ragioni di prestigio e per mantenere lo status di centro finanziario dell’area. 4. Le svalutazioni delle monete non hanno avvantaggiato nell’export i paesi asiatici a causa della crisi di fiducia. I danni per l’economia reale deriveranno dall’aumento dell’inflazione e da un politica monetaria restrittiva 5. Il contagio di tipo “commerciale” non è rilevante nel quadro asiatico, dato che Europa, Nord America e Asia, sono dei “trade blocks”, “vasi poco comunicanti”. Del resto il contagio per via “finanziaria”, con il crollo delle azioni non sembra aver azzoppato più di tanto l’economia, ma ha creato sfiducia e ora sta ai governi reinfonderla prima che l’economia freni del tutto. 6. Il contagio a Wall Street ha coinciso con un mercato già “cedente” in America così come in Europa, mentre il Giappone non ha perso molto in quanto le quotazioni in borsa erano già “sgonfie”.

* Ferrarotti F., L'analfabetismo economico scatena il panico, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 4 237 * Galimberti F & Paolazzi L., I perché di una crisi a effetto globale, «Il Sole 24 Ore», 29 ottobre 1997, sezione “Il grande shock”, p. 7 236

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L’esplosione della crisi

7. Negli Stati Uniti, il calo dell’export verso le economie asiatiche non porterà che un raffreddamento benefico, mentre in Europa la situazione è più delicata a causa del coordinamento dei tassi che porterà alla moneta unica, esposto a possibili contraccolpi da parte delle economie dell’est Europa. 8. L’Italia si giova dell’“effetto calmieratore” di un dollaro basso e del lieve deprezzamento delle materie prime per la riduzione della domanda seguita alla crisi in Asia. 9. Le soluzioni alla crisi stanno nell’attuazione delle riforme e ristrutturazioni economiche e nella capacità politica di farle accettare. Condizione necessaria per il successo dei piani di aiuto internazionali, insieme alla correzione del cambio del dollaro di Hong Kong, che a causa dell’innalzamento dei tassi rischia di strozzarne l’economia. La conclusione dell’articolo, una descrizione a posteriori della ripresa asiatica, è uno stratagemma per rinnovare l’ottimismo, basato sulla constatazione che le crisi non durano per sempre. Tuttavia emerge dall’analisi una idea ancora una volta “razionalistica” del mercato, che punisce solo chi ha i fondamentali in disordine, “correggendo” benevolmente le economie sane. Su Repubblica, la notizia dei crolli asiatici è data da Maurizio Ricci, che apre con Hong Kong. Ricci afferma “[…] Ma nessuno sa se sono arrivati (i paesi colpiti dalla crisi, n.d.r.), per quanto ammaccati, a piano terra o soltanto ad un altro piano, il cui pavimento potrebbe aprirsi domani. «Dipende tutto da Wall Street. Se cade ancora, noi continuiamo a cadere – spiega un trader – se si ferma, noi possiamo sperare di assestarci. La settimana scorsa eravamo noi, Hong Kong con la nostra crisi asiatica, la coda che muoveva il cane, cioè New York. Adesso, è il cane che muove la coda». […]”238. Ricci spiega le turbolenze delle

borse mondiali con due fattori: “[…] Ciò accade, in parte, perché i protagonisti sono gli stessi, da un lato e dell’altro dell’Oceano Pacifico. In parte, perché la Borsa vive di emozioni e quelle di questi giorni sono forti: […]”239. Nella pagina precedente, un’intervista a Mario Sarcinelli, presidente della Bnl, reca il

titolo “Dobbiamo convivere con i terremoti di Borsa”240. L’intervistatore è Roberto Petrini: “[…] Fino ad oggi al grido di «globalizziamo, globalizziamo» siamo andati avanti ad abbattere frontiere e liberalizzare movimenti di capitale. Lei pensa che questa frisi ci debba imporre un momento di riflessione? «I mercati finanziari sono zone esposte a sismi e la globalizzazione, che rende più intensi i rapporti tende a diffondere le scosse e le tensioni. Tuttavia nella globalizzazione non vengono soltanto amplificate le onde negative, il meccanismo della globalizzazione consente anche di assorbire choc. Voglio dire che se i problemi fossero stati * Ricci M., Hong Kong nel baratro, il listino brucia il 13%, «La Repubblica», 29 ottobre 1997, sezione “Tempesta sui mercati”, p. 7 239 Ivi 240 * Petrini R., Dobbiamo convivere coi terremoti di borsa, «La Repubblica», 29 ottobre 1997, p. 1/6 238

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II. La ricerca sui giornali limitati al Sud Est asiatico, gli altri Paesi avrebbero fatto da cuscinetto». Invece cosa è accaduto? «Invece le altre Borse, che avevano avuto un lungo periodo di crescita, erano già esposte al rischio di caduta. Non dimentichiamoci che ci sono stati recentemente almeno due richiami del presidente della Fed Alan Greenspan che ha segnalato un apprezzamento eccessivo di Wall Street. Insomma la crisi del Sud Est non è stata altro che la miccia». […]”241.

Interessante sul Corriere della Sera l’intervista, il 29 ottobre, a John Kenneth Galbraith da parte di Ennio Caretto: “[…] Lei non crede che la caduta di Wall Street sia colpa di Hong Kong e delle “tigri” asiatiche? «Non ci credo affatto. È una tesi che attrae menti che generalmente sono vuote. La crisi in Asia è stata una scusa, ha innescato un’esplosione che prima o poi sarebbe comunque avvenuta. Di norma, una crisi in Asia significa un massiccio spostamento di capitali a Wall Street, che per gli stranieri rappresenta un rifugio. L’indice avrebbe dovuto schizzare in alto, non precipitare in basso. […]». Ma queste reazioni a catena non sono anche un effetto della globalizzazione? «Globalizzazione non è un termine che io uso. Non è un concetto serio. L’abbiamo inventato noi americani per mascherare la nostra politica di penetrazione economica negli altri Paesi. E per rendere rispettabili i movimenti speculativi di capitale, che sono sempre causa di grossi guai». […]”242. Il parere di Galbraith è decisamente critico verso gli Stati Uniti e i movimenti

speculativi di capitale, cosa che non appare nell’intervista dello stesso Galbraith a Repubblica243, dove il professore parla principalmente dei cambiamenti socio-culturali degli investitori e delle loro conseguenze nei movimenti di borsa. I commenti continuano sul Corriere della Sera. Danilo Taino scrive una riflessione dal titolo “Crac o correzione? Otto domande dal brivido d’oriente”244. Taino sintetizza la crisi e mette a fuoco i seguenti elementi: 1. Il crollo dei paesi asiatici si traduce in occidente con una benefica riduzione dei valori azionari sopravvalutati. 2. Sono stati i fondamentali sbilanciati della Thailandia a creare l’onda d’urto, causando lo sganciamento dal dollaro e poi la svalutazione di tutte le altre monete dell’area tranne Hong Kong 3. L’assedio di Hong Kong ha aggravato la crisi, colpendo New York, Londra e Tokio. Inoltre la città passata alla Cina e ha perso competitività commerciale a causa delle svalutazioni delle nazioni confinanti 4. Le accuse di complotto lanciate dal presidente Mahathir, fanno soltanto “ridere” i mercati, che si ritengono i veri responsabili di tutto 241

Ivi * Caretto E., Galbraith: l'ultimo rimbalzo? Una giornata di ordinaria follia, «Il Corriere della Sera», 29 ottobre 1997, sezione, in primo piano, p. 4 243 * Zampaglione A., Quegli sciocchi speculatori, «La Repubblica», 29 ottobre 1997, p. 1/3 244 * Taino D., Crac o correzione? Otto domande chiave del brivido d'oriente, «Il Corriere della Sera», 29 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 5 242

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L’esplosione della crisi

5. Due motivazioni stanno al fondo del collegamento tra il crollo di Hong Kong e Wall Street. La prima è che il Sud Est asiatico, nonostante le svalutazioni ridurrà ulteriormente il suo tasso di crescita, inibendo profitti e rendimenti azionari. La seconda, diversa dalla prima, è che gli operatori occidentali attendevano comunque una correzione dei valori e hanno sfruttato il momento 6. La crisi del Sud Est asiatico crea ripercussioni in occidente a causa della cancellazione governativa di investimenti e progetti infrastrutturali, che vedevano impegnate imprese occidentali 7. Il dibattito sulla fine o meno della globalizzazione è di minore importanza rispetto al fatto che in occidente, il calo dei valori delle Borse frenerà inflazione e tassi di interesse. 8. Il ritiro di investimenti a breve in Asia e in altri mercati emergenti, crea una “corsa verso la qualità”, verso i titoli cioè di aziende occidentali ritenute solide e sicure. Taino ha una visione forse un po’ superficiale delle questioni riguardanti la globalizzazione, quasi che questa fosse un contenitore delle semplici forze del mercato, e ritenendo l’unica certezza i dati delle borse, non può che essere ottimista per i riflessi avuti negli Stati Uniti e in Europa. Ai primi segnali di un possibile contagio il 27 ottobre infatti, Wall Street ha poi recuperato, mostrando la sua forza. Dalle parole del giornalista sembrerebbe che i contagiati del sud est asiatico siano già in quarantena. A pagina 7 del 29 ottobre, Renato Ferraro, in un box dal titolo “Mal di Tigre” che descrive la frenesia speculativa dei cittadini di Hong Kong, afferma: “[…] I danni peggiori sono stati subiti da Hong Kong, paradossalmente perché ha la Borsa più moderna e le azioni più pregiate. I fondi internazionali infatti, poiché hanno difficoltà a sbarazzarsi dei titoli delle Borse minori, vendono le più liquide azioni di Hong Kong, per pagare ai loro clienti che si ritirano i riscatti delle quote. […] In pericolo, con possibili gravi conseguenze per la crescita mondiale, viene giudicato dagli economisti il Giappone. […] Traballa il sistema bancario, appesantito da montagne di crediti inesigibili e ora pure dalle perdite dei portafogli azionari. «Qualora gli istituti nipponici, molto esposti per i prestiti offerti in Asia, subissero altri danni, il mondo rischierebbe un crac parecchio più serio di quello che sta avvenendo nelle Borse», sostiene Ron Bevacqua, della Merryl Lynch.”245.

Il 30 ottobre tutti giornali riportano il recupero di Hong Kong. Solo il Sole 24 Ore riporta in prima pagina che: “Nelle Borse torna la fiducia”246. Repubblica riporta le notizie economiche a pagina 27 della sezione “Economia”: “Greenspan, inflazione in calo e Wall Street si

* Ferraro R., Qui nell'ex colonia tutti speculano: anche i piccoli risparmiatori investivano a prestito, «Il Corriere della Sera», 29 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 7 246 * Non firmato, Nelle borse torna la fiducia, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, p. 1 245

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II. La ricerca sui giornali

tranquillizza”247, mentre il Corriere della Sera a pagina 6 della sezione “In primo piano”: “Tregua sui mercati, piazza affari rimonta”248. C’è quindi un clima di fiducia appesantito però da alcune

incognite. Domenico Siniscalco firma l’editoriale del Sole 24 Ore: “[…] All’inizio della settimana si trattava di un crollo; dopo la ripresa delle ultime 48 ore, si deve parlare di una fase di forte instabilità, su cui è difficile formulare previsioni, anche perché oscillazioni così ampie, diffuse e complete non hanno precedenti. Per capire quanto sta accadendo occorre innanzitutto considerare la natura globale della crisi. […] Per formulare previsioni a breve termine, occorre proprio guardare all’interdipendenza tra i mercati. Se i mercati azionari e obbligazionari giapponesi dovessero cadere, per via degli investimenti nel Far East e in Cina, l’instabilità di questi giorni potrebbe trasformarsi in una crisi finanziaria, con effetti gravi sulle banche giapponesi e i mercati americani, dove i giapponesi sarebbero costretti a disinvestire. Se, com’è probabile, ciò non accadrà, anche grazie a opportuni interventi, il quadro sarà molto più tranquillo. Sulla base di questi elementi, in Asia si prevede una crisi di ampie dimensioni, che partirà dai prezzi degli immobili e danneggerà sensibilmente la crescita, […]. Esistono due importanti fattori di preoccupazione. Il primo è dato dalla forte convergenza delle aspettative degli investitori, che in questi giorni si stanno muovendo tutte in parallelo, amplificando la volatilità dei mercati. […] La seconda fonte di preoccupazione è invece costituita dalla paralisi delle grandi istituzioni internazionali e dei maggiori Paesi, incapaci di trovare un coordinamento. Di fronte alla crisi, la posizione americana, quella europea e quella giapponese si sono divise. […] Nella situazione attuale è certamente utile pensare a nuove istituzioni che regolino il mercato finanziario globale. Ma nel breve periodo occorre soprattutto che le istituzioni esistenti, a partire dall’Fmi, superino le divergenze interne e facciano il loro mestiere, evitando che l’instabilità dei mercati si trasformi in un crack.”249. Nella pagina seguente,

Nicol Degli Innocenti informa sulla lieve ripresa di Borse e valute asiatiche, eccezion fatta per Taiwan e Thailandia. I rialzi (insieme alla riduzione dei tassi a Hong Kong) fanno ben sperare, ma non aleggia l’ottimismo. Mentre sembra imminente l’annuncio dell’accordo tra Indonesia e Fmi, il Giappone, la Malaysia e l’Australia dichiarano che contribuiranno alla stabilizzazione dell’Indonesia. In Thailandia, le tensioni politiche scoraggiano i mercati. Il consigliere della Banca Mondiale Giuseppe Zampaglione afferma che la crisi è dei mercati finanziari ma non dell’economia reale, mentre Larry Summers, numero due del Tesoro Usa, afferma (in modo un po’ bizzarro, date le dichiarazioni dei suoi superiori) i “solidi fondamentali” delle economie asiatiche, Nicol Degli Innocenti consiglia prudenza, perché il virus della crisi è ancora in circolo250. Michele Calcaterra, nella stessa pagina, analizza la situazione di Hong Kong e scrive “[…] E nessuno può permettersi che Hong Kong chiuda i battenti (che rimanga cioè vittima di una recessione

* Zampaglione A., Greenspan: inflazione in calo e Wall Street si tranquillizza, «La Repubblica», 30 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 27 248 * Bocconi S., Tregua sui mercati, piazza affari rimonta, «Il Corriere della Sera», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 6 249 Siniscalco D., Equilibrio ancora instabile, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, p. 1 250 * Degli Innocenti N., I mercati asiatici ritrovano lo slancio, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 247

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L’esplosione della crisi indotta da una svalutazione monetaria, n.d.r.). Non può permetterselo Hong Kong stessa che è stata fonte inesauribile per il reperimento dei flussi finanziari necessari alo sviluppo dell’Asia, non può permetterselo la Cina, che vede in Hong Kong un modello per i mercati finanziari domestici: non possono permetterselo Europa, Usa e Giappone che a Hong Kong hanno forti interessi. […]”251. Ma c’è qualcuno che vorrebbe

svalutare: i miliardari cinesi di Hong Kong, che vedono una occasione di ripresa delle esportazioni di beni (penalizzate dal peg) e un rilancio del turismo. Le autorità cinesi però rispondono picche, a causa delle conseguenze per le aziende cinesi coi conti denominati in dollari di Hong Kong, oltre ad aumentare le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, preoccupati del disavanzo commerciale con la Cina. Le autorità cinesi, puntano a difendere il cambio e sgonfiare poco a poco le bolle immobiliari che rischiano di scoppiare, andando contro molti interessi consolidati252. A pagina 3 il Sole 4 Ore riporta le valutazioni di Alan Greenspan sulla crisi. Il governatore della Fed è convinto che non sia ancora il crack globale. Mario Platero, “[…] La lunga spiegazione di Greenspan sulle dinamiche economiche che hanno portato alla crisi del Sud Est asiatico ha un unico obiettivo: dimostrare con chiarezza che si tratta di una crisi regionale isolata il cui impatto su altre economie più sane e in questo momento meglio gestite non può che essere soltanto modesto da u punto di vista reale. Sviluppi recenti nei mercati azionari, tuttavia, hanno sottolineato come vi sia una crescente interazione fra i mercati finanziari nazionali. «Le recenti turbolenze sono proprio il caso che dimostra questa situazione – ha detto Greenspan –. Io credo che ci sia molto da imparare dalle recente esperienza asiatica per poter migliorare il funzionamento del sistema finanziario internazionale. Sul piano locale è preoccupante come negli ultimi mesi vi sia stato un effetto di contagio della debolezza di alcune economie su altre economie nel momento in cui gli investitori percepivano, secondo Greenspan, vulnerabilità analoghe: […]”253. Dopo la spiegazione

di Greenspan, arriva l’analisi di Paul Krugman, famoso detrattore delle tigri asiatiche, che a pagina 23 della sezione “Mondo & mercati”, smentisce alcuni luoghi comuni occidentali circa la crescita del sud est asiatico: 1. Non è vero che i paesi occidentali stanno perdendo il vantaggio tecnologico nei confronti di quelli asiatici 2. Non è vero che il Pacifico sarà il nuovo centro dell’economia mondiale 3. Non è vero che le economie a maggiore pianificazione e meno libertà civili siano da considerare un modello superiore a quello occidentale

* Calcaterra M., A Hong Kong torna l'ottimismo, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano” p. 2 252 * Calcaterra M., Sulla svalutazione Pechino si scontra con i tycoon, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 253 * Platero M., Non è crisi globale, parola di Greenspan, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 251

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II. La ricerca sui giornali

Krugman sostiene infatti che la crescita asiatica sia una crescita “da input” (di capitali, n.d.r.) e non contenga alcun segreto o mistero, che il progressivo rallentamento della crescita di queste economie dovrebbe spingere a riconsiderare visioni asiacentriche e che gli straordinari aumenti di efficienza dovuti alla pianificazione non si sono manifestati. Krugman conclude dicendo: “[…] I paesi di nuova industrializzazione del Pacifico hanno ricevuto una ricompensa per la loro estrema mobilitazione di risorse, il che non è più di quanto la più tradizionale teoria economica ci porta ad aspettarci: se c’è un segreto nella crescita asiatica, questo è semplicemente il rinvio della gratificazione, la propensione a sacrificare la soddisfazione immediata in nome di un vantaggio futuro. È una risposta difficile da accettare, specialmente per quegli intellettuali e commentatori politici che arretrano dinanzi ai monotoni compiti di ridurre i disavanzi e far salire il tasso di risparmio nazionale. Ma la teoria economica non è una scienza triste per volontà degli economisti; lo è perché alla fine dobbiamo sottostare alla tirannia non solo dei numeri, ma anche della logica che essi esprimono.” 254.

La Repubblica a pagina 27 della sezione “Economia” riporta le dichiarazioni ottimistiche di Greenspan: “[…] In pratica, fa capire Greenspan, se non ci fosse stato il crollo, la Federal Reserve sarebbe stata costretta ad alzare i tassi di interesse per prevenire l’inflazione. […] (Il crollo della Borsa, n.d.r.) ha bloccato quello che egli chiama wealth effect, effetto ricchezza, cioè le ripercussioni sui salari e sui prezzi della sensazione collettiva di essere più ricchi. […] Greenspan ha anche fatto riferimento all’effettodomino nella finanza internazionale, notando da un lato che ci saranno conseguenze sulle esportazioni nell’area di merci e servizi, rallentando l’espansione americana, dall’altro che «non minaccia la prosperità degli Stati Uniti»”255. Nella stessa pagina, l’intervista di Salvatore Tropea all’amministratore delegato Fiat

Paolo Cantarella consolida l’ottimismo. Cantarella infatti non crede che il processo di globalizzazione industriale possa essere fermato e che la crisi fermi del tutto l’economia dei paesi del sud est asiatico. I flussi di riallocazione del risparmio potranno causare qualche scompenso, ma la capacità di reazione al recente crollo di Wall Street fa pensare che non avverrà in futuro nulla di catastrofico256. Se poi aggiungiamo la notizia del recupero di Hong Kong di circa il 18%, e un panorama di momentanea stabilizzazione e rialzo in Asia, Repubblica propende per l’ottimismo, rafforzato dalle considerazioni strategiche che spingono Pechino a difendere il peg di Hong Kong col dollaro Usa “con le unghie e con i denti”257.

* Krugman P., Una doccia fredda meritata, «Il Sole 24 Ore», 30 ottobre 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 23 255 Vedi p. 178, nota247 256 * Tropea S., Niente drammi, ma dalle borse un'utile lezione, «La Repubblica», 30 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 27 257 Vedi p. 159, nota148 254

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L’esplosione della crisi

Il Corriere il 30 ottobre a pagina 7, sezione “In primo piano”, titola con le rassicuranti parole del governatore della Fed: “Greenspan: è stata una scossa salutare”258. Anche il Corriere della Sera s’allinea all’idea del “confinamento” della crisi asiatica. Nello stesso articolo, Ennio Caretto scrive però che: “[…] L’opinione prevalente è che l’incertezza non scomparirà rapidamente. […]”. Nella stessa pagina c’è anche una breve intervista all’economista keynesiano

James Tobin, che guardandosi bene dal fare previsioni circa la Borsa di New York, nota però che essa è ancora sopravvalutata. Riguardo alla crisi egli afferma la necessità di un intervento internazionale per la stabilizzazione dei mercati, non ad hoc da parte di una sola nazione come fecero gli Usa col Messico nel 1995. Anche George Soros, nel mese di ottobre, ha contato le perdite259. Il 31 ottobre, si esaurisce sulle piazze asiatiche la ventata di ottimismo e di rialzi seguita al recupero della borsa americana e di quella di Hong Kong. Ma per la “Perla d’Asia” il recupero si dimostra essere un’ondata passeggera, alla quale segue un ulteriore ribasso. Il Sole 24 Ore, nella prima pagina della sezione “Finanza & mercati” titola: “Le Borse hanno ancora la febbre gialla”260, mentre l’articolo di Marco Liera: “Il tempo guarisce le ferite dei crack”

261

. La

Repubblica definisce la ricaduta un’“emorragia” delle tigri asiatiche262 (appendice 17), mentre il Corriere della Sera titola senza enfasi: “In Asia torna la febbre, giù Hong Kong”263. L’articolo del Sole 24 Ore è principalmente dedicato alla Borsa italiana e alle conseguenze della crisi asiatica (e di quella sudamericana) sulle piazze occidentali (Parigi, Francoforte, Londra). Prevalgono toni di asettica cronaca finanziaria, insieme a un cauto ottimismo sulla tenuta italiana. L’articolo di Marco Liera, stempera il clima di pessimismo che emerge dai numeri. Il giornalista chiama in causa Marc Mobius, guru tra i gestori di fondi nei mercati emergenti, che sulla possibilità per Hong Kong di mantenere l’ancoraggio al dollaro, afferma: “[…] Da un punto di vista strettamente economico il dollaro di Hong Kong è sopravvalutato e in circostanze normali sarebbe stato svalutato. Ma per considerazioni politiche e per questa situazione del tutto unica di Hong Kong – in cui non c’è deficit di bilancio e le riserve sono notevoli – penso che sia molto difficile per gli speculatori riuscire a spuntarla proprio adesso. Nel lungo periodo potrà essere diverso, o ci sarà una svalutazione o risalirà l’inflazione. […]”. I paesi come la Thailandia, la Malesia e l’Indonesia, sono, secondo * Caretto E., Greenspan: è stata una scossa salutare, «Il Corriere della Sera», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 7 259 * Caretto E., E anche Soros, re degli specultaori, questa volta conta le perdite, «Il Corriere della Sera», 30 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 7 260 * Olivieri A. & Quaglio A., Le borse hanno ancora le febbre gialla, «Il Sole 24 Ore», 31 ottobre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 29 261 * Liera M., Il tempo guarisce le ferite dei crack, «Il Sole 24 Ore», 31 ottobre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 29 262 * Ricci M., L'emorragia delle tigri asiatiche, «La Repubblica», 31 ottobre 1997, sezione, economia, p. 31 263 * Ferraro R., In Asia torna la febbre, scivola Hong Kong, «Il Corriere della Sera», 31 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 23 258

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II. La ricerca sui giornali

Mobius, “[…] In una situazione positiva, perché grazie al fatto che le loro monete sono sottovalutate, le loro esportazioni verso l’Europa e l’America possono riprendere in modo molto competitivo. […]”264. Dinanzi alle

instabilità politiche e sociali in corso o che possono scatenarsi, Mobius risponde: “[…] È vero, questi paesi hanno governi che non sono propriamente democratici, con l’eccezione forse delle Filippine. Ma questa caratteristica non ha affatto frenato il loro sviluppo economico. Non è necessario avere un regime democratico per dar luogo a un’economia in salute e in crescita! No, francamente la loro instabilità non m’impensierisce. Qualora invece questi governi dovessero prendere provvedimenti sfavorevoli agli investimenti degli stranieri allora sì mi preoccuperei […]”265. Le dichiarazioni trasparenti e lineari di Mobius, ci

fanno riconsiderare allora i rialzi azionari dopo la rielezione del dittatore Suharto e, per quanto riguarda l’informazione economica italiana, l’ampio spazio dedicato alle accuse del presidente malese Mahathir, quando recavano la minaccia di sospendere le transazioni finanziarie con l’estero. Non c’è da stupirsi allora quando La Repubblica titola, il 1 novembre, “Solo la Borsa non snobba il comunista Jang Zemin”

266

. Tornando agli articoli citati all’inizio del

capoverso, La Repubblica descrive la fuga degli investitori dall’Asia indicando come il mercato non aspetti che segnali negativi per giustificare la sua paura, e questi non mancano. Riguardo al problema, scrive che “[…] Se la febbre asiatica è destinata a durare, più difficile è capire quanto possa influenzare i mercati americani. Le esportazioni Usa nel Sud Est asiatico sono limitate (il 4% del totale) e i mercati americani beneficeranno comunque, del minor costo delle importazioni. Ma il panorama potrebbe cambiare se la crisi si estendesse all’Asia settentrionale.”267 .

Il Corriere della Sera apre con la situazione di Hong Kong, ma scrive che “[…] Ben più grave è lo stato di salute delle Borse di Bangkok e Seul, che ieri hanno perso rispettivamente il 2,6 e il 4,3%. […] Nel primo caso influisce sia la continua caduta della moneta, il baht, che ieri ha raggiunto il nuovo minimo storico contro il dollaro, sia la scarsa credibilità del governo di Chavalit Yongchaiyudh, diviso da faide e incapace di d’introdurre le riforme richieste dal Fondo monetario in cambio di sostegno. Allo stesso modo, nella Corea del Sud il valore del won continua a scendere e ieri la Banca centrale ha invitato ad adottare alcune misure per impedire il possesso di valuta straniera sul proprio territorio a fini speculativi. […]”268. Ma le

opinioni degli esperti consultati nell’articolo, insistono sempre sull’incapacità dei governi di attuare le riforme necessarie e serve a poco l’ammonimento di Fumiyaki Sasaki, economista della Nomura, che dice: “[…] «L’Ovest non deve credere che la crisi sia un incendio sull’altra sponda del fiume: brucia la casa accanto. Lo prova la rapidità con cui la crisi ha contagiato Stati Uniti ed Europa». […]”269.

* Liera M., Il tempo guarisce le ferite dei crack, «Il Sole 24 Ore», 31 ottobre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 29 265 Ivi 266 * Zampaglione A., Solo la Borsa non snobba il comunista Jang Zemin, «La Repubblica», 1 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 19 267 Vedi p. 181, nota262 268 Vedi p. 181,nota263 269 Vedi p. 181, nota263 264

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L’esplosione della crisi

3.14 Soccorso all’Indonesia Dopo aver annunciato negli ultimi giorni di ottobre l’avvicinarsi di un accordo tra il governo indonesiano e l’Fmi, il 31 ottobre, l’annuncio diviene ufficiale sul Sole 24 Ore, mentre Repubblica riprende la notizia il 1 e il Corriere della Sera il 2 novembre. Il Sole titola “Accordo fatto tra Indonesia e Fmi”270. “[…] Il “pacchetto” di aiuti, secondo indiscrezioni supererebbe i 20 miliardi di dollari, grazie anche al contributo della Banca Mondiale, Asian Development Bank, Giappone e Australia. Un intervento ancora più massiccio di quello da 17,2 miliardi organizzato in agosto per la Thailandia, che tra l’altro, per l’aggravarsi della crisi sembra sempre più insufficiente per il “salvataggio” dell’economia di Bangkok. […]”271. Si viene a conoscenza del fatto che gli aiuti all’Indonesia

saranno maggiori di quelli concessi alla Thailandia. Le dimensioni dei due paesi sono sicuramente diverse, ma colpisce la concentrazione di istituzioni internazionali per aiutare uno stato la cui economia era valutata positivamente fino a pochi mesi prima. In secondo luogo, dopo tutte le accuse di corruzione e nepotismo rivolte ai governi asiatici, nonché gli articoli riguardanti proprio il regime indonesiano, non appare sul giornale alcuna diffidenza sul comportamento del vecchio satrapo Suharto circa l’attuazione delle riforme. Questo atteggiamento è motivato con l’opportunismo del vecchio leader, disposto a qualsiasi cosa pur di mantenere il potere, ma è una posizione non del tutto convincente. Il 1 novembre lo stesso giornale nota la reazione positiva delle borse asiatiche dinanzi a un accordo, che tuttavia rimane solo “[…] «in linea di principio» […]”272. Attenzione però: solo alcune Borse. Quella di Giakarta invece è in lieve flessione, a causa dei giudizi sull’insufficienza del prestito. Un particolare del tutto omesso nel titolo, che invece giustapponeva l’aiuto all’Indonesia e la “serenità” delle Borse: “Fmi in soccorso dell’Indonesia. Borse più serene”273. Gli Stati Uniti decidono di intervenire con una linea di credito per 3 miliardi di dollari, facendo salire gli aiuti a 23 miliardi e senza escludere ulteriori contributi da parte del Giappone e di paesi dell’area. A pagina 4, le parole di Marco Valsania: “[…] La strategia, che al contrario del caso messicano del 1994 vede gli Stati Uniti e non il Fondo nel ruolo di sostegno secondario, è stata messa a punto in prima persona da Rubin e dal suo vice al Tesoro Lawrence Summers: il messaggio rivolto dalla Casa Bianca ai governi e agli investitori internazionali, affermano all’Amministrazione, è che gli Stati Uniti considerano a questo punto eccessivi i rischi di instabilità generati dalla crisi nel Sud-est asiatico e sono pronti a intervenire. […]”274.

* Non firmato, Accordo fatto tra Indonesia e Fmi, «Il Sole 24 Ore», 31 ottobre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 30 271 Ivi 272 Ivi 273 * Non firmato, Fmi in soccorso dell'Indonesia. Borse più serene, «Il Sole 24 Ore», 1 novembre 1997, p. 1/4 274 * Valsania M., Anche gli Usa nell'operazione Giakarta, «Il Sole 24 Ore», 1 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 4 270

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II. La ricerca sui giornali

Lo stesso giorno anche il Corriere riporta le cronache dall’Indonesia, ma Ennio Caretto, autore dell’articolo, conclude in modo diverso dal Sole 24 Ore. Se da una parte l’intervento americano sembra guidato dalla volontà “positiva” di dare stabilità al sistema finanziario, Caretto scrive che: “[…] La maggior paura di Cadmessus e Rubin, che peraltro non hanno voluto discuterne, è che alcuni Paesi emergenti svalutino la propria moneta. Neppure gli usa sarebbero al riparo da una tempesta del genere. Hanno retto alla svalutazione competitiva delle cosiddette “tigri” in Asia, un mercato per loro meno importante di quelli europei o latino americani, ma risentirebbero di una svalutazione “nel cortile di casa”, […]”275. Gli altri articoli del Corriere e di Repubblica riportano il diffuso

clientelismo economico di Suharto e famiglia276, e la imminente chiusura di almeno 20 banche indonesiane in sofferenza. Il 2 novembre il Corriere ne specifica il numero: 16, tra cui anche nomi “eccellenti” della finanza indonesiana. L’articolo, di Ennio Caretto, mette in evidenza che: “[…] Il governo di Jakarta ha sottolineato che farà ogni tentativo per salvaguardare i piccoli risparmiatori «nella massima misura possibile». I clienti con conti correnti o depositi verranno rimborsati fino a 20 milioni di rupie (circa 9 milioni di lire) per ciascun conto corrente, grazie a finanziamenti-ponte del governo. Onorando depositi fino a questa cifra, ha assicurato il governo verrà interamente protetto il 93,7% della clientela. […]”

277

.

3.15 Tra cronaca e scenari Nel mese di novembre, sui tre giornali si intensificano articoli di analisi della crisi, interviste e pareri di esperti. Andando a seguire sui giornali l’evoluzione dei commenti sulla crisi, il 1 novembre vediamo l’intervista a uno dei più famosi storici dell’economia: Charles P. Kindelberger. L’articolo titola: “Kindelberger: «Il vero rischio è in Asia»”278. Il professore afferma che: 1. Il crollo di un mercato borsistico è veramente grave quando può infettare un atro settore e da questo punto di vista la connessione tra Borsa e immobiliare è micidiale 2. Negli Stati Uniti e in Europa non ci sono i presupposti per lasciarsi contagiare dal panico asiatico

* Caretto E., Indonesia, salvagente da 39 mila miliardi, «Il Corriere della Sera», 1 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 276 * Ricci M., Bambang e gli altri Suharto jr l'economia formato famiglia, «La Repubblica», 2 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 15 * Ferraro R., E Suharto deve rassegnarsi a dire addio al clientelismo, «Il Corriere della Sera», 1 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 277 * Non firmato, E con la crisi liquidate 16 banche insolventi indonesiane, «Il Corriere della Sera», 2 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 278 * Margiocco M., Kindelberger: Il vero rischio è in Asia, «Il Sole 24 Ore», 1 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 4 275

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L’esplosione della crisi

3. Non c’è una moneta leader. Il dollaro è relativamente debole e l’euro è lontano dal diventarlo. Ciò si traduce in una situazione di stallo, dove manca un prestatore di ultima istanza. Il Fondo Monetario non basta, servono Governi e Parlamenti decisi. Il 2 novembre sul Corriere della Sera c’è invece un’intervista a Richard Medley, docente di finanza internazionale a Harvard. Secondo Medley: 1. Ci sarà un periodo di assestamento, alla fine del quale il vero pericolo sarà la deflazione proveniente dall’Asia 2. È auspicabile una correzione di rotta non tanto nelle politiche macroeconomiche ma nel monitoraggio della finanza soprattutto nei paesi in via di sviluppo 3. Il terremoto asiatico non è finito ma non produrrà conseguenze catastrofiche 4. Le banche centrali delle potenze industriali dovrebbero coordinarsi per intervenire rapidamente nelle emergenze, mentre le organizzazioni internazionali dovrebbero regolamentare meglio i mercati La Repubblica il 2 novembre, riporta le dichiarazioni del finanziere George Soros, il quale sostiene la necessità di più controlli sui mercati. “[…] «I mercati – ha detto Soros – hanno bisogno di un minimo di controllo, dobbiamo seriamente riflettere su cosa è possibile fare per portarvi un po’ più di stabilità». […]”279. Il rinnovato interesse di Soros per le regolamentazioni, dopo aver

sostenuto e sfruttato le liberalizzazione delle transazioni finanziarie e criticato i leader asiatici che paventavano misure protezioniste, arriva dopo le ingenti perdite accumulate nell’ultimo periodo. Lo stesso giorno, nella sezione “Economia”, Giuseppe Turani dedica un editoriale intitolato “Un terremoto senza distruzioni”280, mentre il 3 novembre Maurizio Ricci scrive un lungo articolo sul fallimento del “sogno malese”. Lo scoppio della bolla immobiliare ha determinato anche in Malesia quanto era già successo negli Usa e in Giappone, le banche, indebitate con le società immobiliari, rischiano di vedere trasformarsi i prestiti in crediti inesigibili, correndo sull’orlo del fallimento. Questa situazione si inserisce nel quadro di caduta della qualità degli investimenti seguita al massiccio afflusso di capitali dal 1996. Ricci scrive che: “[…] Adesso questi capitali se ne stanno andando, lasciando Mahathir con un buco nei conti con l’estero pari al 6% della ricchezza nazionale (era dell’8% al culmine della crisi in Messico): il governo è convinto di poterlo ridurre, gli analisti pensano che potrebbe anche aumentare. […] Se la molla doveva essere il piano di austerità appena

279 280

* Non firmato, Più controlli sui mercati, «La Repubblica», 2 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 15 * Turani G., Un terremoto senza distruzioni, «La Repubblica», 2 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 185


II. La ricerca sui giornali varato, è scarica: da quando è stato annunciato, due settimane fa, la Borsa e la moneta nazionale, il ringgit, non hanno fatto che scendere.” 281.

Nino Sunseri, sempre il 3 novembre, scrive che la situazione internazionale verrà monitorata nell’incontro del G-15 di Kuala Lumpur, mentre i vice-ministri delle finanze dei paesi Asean si riuniranno tra due settimane insieme a Usa, Giappone e Hong Kong. “[…] Nel frattempo le nazioni ricche stanno mettendo mano al portafoglio (annuncio degli aiuti all’Indonesia, n.d.r.). […] A dare una mano ci pensano anche le grandi agenzie internazionali: Standard and Poor’s ha confermato il voto a Hong Kong senza lasciarsi impressionare dal recente terremoto. L’Ocse, da Parigi, si è dichiarato molto ottimista sulle capacitò di ripresa delle economie del Sud-est asiatico e la Merryl Lynch ha fornito l’ultimo zuccherino dicendosi certa che entro giugno, l’indice della Borsa di Hong Kong salirà del 40 per cento.”282. La

strategia, come indicato in precedenza, è anche mediatica. La prima pagina dell’inserto “Affari & Finanza” del 3 novembre, reca due articoli che descrivono “Il ciclone visto dall’occhio”. Il primo riguarda Hong Kong, e il secondo è il diario di un broker nei giorni del crollo di Wall Street. Nel primo, Maurizio Ricci: “[...] Le tigri hanno cavalcato, con enorme successo, la globalizzazione dei mercati, ma sono state travolte dalla globalizzazione finanziaria, i cui meccanismi stanno imparando solo adesso. Né miracolo, dunque, né miraggio, insomma, ma neppure modello di una nuova forma di sviluppo, basta su quei «valori asiatici» -disciplina, consenso, autoritarismo- così indigesti per la cultura occidentale. […]”. L’articolo conclude mettendo a fuoco la

situazione potenzialmente esplosiva in paesi come l’Indonesia, dove è in aumento il fondamentalismo islamico. Il ragionamento di Ricci è il seguente: la crisi economica porta il malcontento nelle popolazioni dell’area asiatica. È giusta l’applicazione delle necessarie riforme per scrostare la patina di nepotismo e clientelismo che ricopre molti governi, ma in tutto questo bisogna fare molta attenzione perché si potrebbero creare scontri razziali. “[...] Il Sud est asiatico è a un passaggio delicatissimo. Se quella di oggi è una crisi di crescita, lo è non solo per le sue strutture economiche, ma anche per quelle politiche.”283. Sempre in prima pagina appare l’articolo

dell’economista Marcello De Cecco: “Il «gancio cinese»”. De Cecco: “Il futuro prossimo del sistema finanziario internazionale è appeso a un gancio. Il gancio (in inglese Peg) che collega il dollaro di Hong Kong a quello degli Stati Uniti. […]”284 .

* Ricci M., Crollano azioni e cemento. Svanisce il sogno malese, «La Repubblica», 3 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 15 282 * Sunseri N., I mercati provano a voltare pagina, «La Repubblica», 3 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 18 283 * Ricci M., Il ciclone visto dall'occhio -Hong Kong-, «La Repubblica», 3 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 36, p. 1/8 * Ricci M., Tigri contro Tigri, «La Repubblica», 3 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 36, p. 8 284 * De Cecco M., Il gancio cinese, «La Repubblica», 3 novembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII n. 36, p. 1/6 281

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L’esplosione della crisi

Possiamo così sintetizzare le considerazioni di De Cecco: 1. La difesa del cambio fisso col dollaro verrà messa alla prova quando Jiang Zemin tornerà dagli Usa, dato che non dovrà più mantenere “per forza” il rapporto di parità. 2. La svalutazione avverrà però solo in conseguenza della perdita di fiducia delle autorità politiche nella loro moneta 3. Un eventuale attacco al dollaro cinese, causerà però instabilità finanziaria anche negli Usa e poi nel mondo 4. Se il Fondo Monetario riuscirà ad attuare in fretta i piani di salvataggio e dimostrerà che la crisi non è dovuta a una sopravvalutazione reale delle valute, pur avendo essa conseguenze per i paesi colpiti, si risolverà presto. Altrimenti, con l’aggiunta del possibile sganciamento di Hong Kong, andremmo verso un’instabilità finanziaria senza precedenti. 5. Gli accordi Usa-Cina dovrebbero però scongiurare questo scenario. De Cecco mette in evidenza come il nodo di Hong Kong rimanga fondamentale nella rete finanziaria internazionale, e sottolinea l’importanza di una rapida ed efficace azione del Fmi. La crisi si troverebbe a una sorta di “ultimo appello” per accertare la sua vera natura: se è dovuta a una sopravvalutazione reale delle valute, sarà impossibile recuperare il terreno perduto. L’analisi di Vittoria Puledda285, “Il virus asiatico delle Borse”, risponde a tutti i risparmiatori che si chiedono se il “peggio è passato”: “[…] Chi lavora per la storia insomma non deve farsi spaventare dalla crisi asiatica: basta sapere che durerà ancora a lungo e che farà ancora male. […]”. La Puledda riporta i dati di Borsa. Anche Wall Street è attraversata da forti tensioni e

domina l’incertezza. A rassicurare gli animi ci pensa l’intervista di Alessandra Carini a Ignazio Visco286, il quale scongiura la possibilità di una crisi tipo quella del 1929, in quanto: 1. Lo stato delle economie “principali” è buono, gli Stati Uniti hanno una crescita “sana” 2. Il punto di crisi più grave è nelle economie asiatiche. E il processo di aggiustamento non avrà nel suo complesso un peso determinante sull’economia mondiale. Il Corriere della Sera riprende la cronaca il 4 novembre, e la sezione “Economia”, si apre con la ripresa delle borse asiatiche e internazionali. Il giornale titola: “Ventata di fiducia su * Puledda V., Il virus asiatico delle Borse, «La Repubblica», 3 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 36, p. 4 286 * Carini A., La crisi sgonfia la corsa del boom, «La Repubblica», 3 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 36, p. 6 285

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II. La ricerca sui giornali

tutte le Borse”, mentre a fianco un articolo di Renato Ferraro, riporta i lavori del G-15, dove i

leader dei paesi in via di sviluppo hanno duramente criticato la speculazione finanziaria internazionale. Il titolo recita: “Paesi asiatici all’attacco: la speculazione è il nuovo imperialismo”. Viene dato come al solito spazio alle parole di Mahathir, ma vengono poste in una luce diversa, specie dopo le recenti dichiarazioni di Soros sulla necessità di regolamentazione dei mercati. Il leader malese afferma: “[…] Il commercio mondiale non può fondarsi unicamente sulle forze del mercato, è tempo di regolamentarlo […]. Non possiamo più subire le norme imposte dai paesi ricchi, omogenee ai loro interessi. […]”287. Ma Mahathir non è esente dalle critiche del Corriere, specie

per l’azione speculativa contro il ringgit condotta proprio dalle banche malesi. La Repubblica il 4 novembre dedica a pagina 19, sezione “Mondo” due articoli, uno sul G-15 a Kuala Lumpur, che, interpretando il pensiero dei leader asiatici, titola: “Proteggete le nostre Borse”288, mentre a seguire più di mezza pagina viene occupata da un articolo di George

Soros289, folgorato sulla via della regolamentazione dei mercati. Ma questo è una cambiamento nella linea di valutazione del giornale, un semplice riallineamento alle opinioni “riviste” dei guru, o un modo per “lavarsi la coscienza” una volta divenute palesi le storture dei flussi finanziari? Il Corriere della Sera, il 5 novembre titola: “La caduta delle Borse? Colpa del “nuovo paradigma economico””. L’articolo è di Paolo Savona, che sintetizza così il quadro

internazionale: 1. Dopo la sospensione della convertibilità del dollaro in oro nel 1971, e il conseguente disfacimento del sistema di Bretton Woods, il dollaro è diventato la riserva di valori internazionale e i mercati scelgono di apprezzarlo o deprezzarlo a seconda dei mutamenti nei rapporti di forza tra America e resto del mondo. “[…] In breve la situazione è ancora quella del dopoguerra: quando gli Stati Uniti starnutano il resto del mondo prende il raffreddore, e se non si cura, la polmonite […]”290.

2. “[…] La caduta delle Borse mondiali non è stata solo colpa delle politiche errate delle tigri asiatiche e della speculazione internazionale, ma anche dell’idea, ricordata come “nuovo paradigma economico”, secondo cui siamo entrati in un’era di sviluppo continuo e non inflazionistico. […] Le Banche centrali, anche per dare un senso alla loro autonomia, hanno il dovere di ricondurre la moneta alla sua funzione di ancella dello sviluppo, sottraendola alla sovranità della speculazione.”

* Ferraro R., Leader asiatici all'attacco: la speculazione è il nuovo imperialismo, «Il Corriere della Sera», 4 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 288 * Non firmato, Proteggete le nostre borse, «La Repubblica», 4 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 19 289 * Soros G., Controllare il mercato, «La Repubblica», 4 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 19 290 * Savona P., La caduta delle borse? Colpa del "nuovo paradigma economico", «Il Corriere della Sera», 5 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 287

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L’esplosione della crisi

Il Sole 24 Ore, dopo aver riportato un lieve rialzo delle “tigri” il 4 novembre291, e un avvicinamento tra Giappone e Stati Uniti per la creazione di un “fondo asiatico”292, pubblica il 7 novembre un articolo di Alessandro Merli: “Fmi e G-7, in Asia state sbagliando”293. Merli riporta le opinioni di David Mulford, ex numero due del Tesoro americano, che critica “da destra” l’azione del Fondo Monetario. Descrivendo le differenze tra la situazione attuale e quella del crollo di Wall Street del 1987, Mulford sostiene che oggi il clima sia assai migliore rispetto ad allora, anche se Il Fondo Monetario sbaglia nel concedere gli aiuti prima che vengano attuate le riforme strutturali nei paesi in crisi.

3.16 Crepe nei pilastri dell’Asia L’8 novembre è di nuovo crollo. In prima pagina il Sole: “La febbre asiatica contagia tutte le Borse”294. Anche l’Europa risente della scossa: “[…] La febbre asiatica ha contagiato l’Europa, dove tutte le Borse hanno perso terreno. Francoforte ha chiuso con un ribasso del 3,2%, le altre tra il due e il tre per cento. […]”295. L’editoriale di Fabrizio Galimberti mette in contrasto l’instabilità asiatica a

quella occidentale: “[…] Due fondamentali considerazioni vengono tuttavia a separare la posizione dei Paesi “vecchi” da quella dei “nuovi”. La prima è di merito, la seconda di metodo. Nel merito, i problemi d’occidente derivano da un eccesso di salute, quelli d’oriente da un difetto. […]” La questione di metodo si

può riassumere dicendo che è più importante affidarsi alle vecchie e buone regole di amministrazione “alla Maastricht”, che fidarsi del “volo cieco” delle statistiche. Nulla di radicalmente nuovo296, così come la crisi dell’economia giapponese e di quella coreana, aggravata dal crollo della Borsa di Seul297 descritte da Nicol Degli Innocenti. Solo la “piccola” Thailandia recupera un po’ in Borsa, dopo l’annuncio delle dimissioni del presidente Chavalit e l’annuncio di un nuovo governo298. Sempre Nicol Degli Innocenti, dedica un box alla Cora del Sud. “L’unidcesima potenza economica del mondo. Una delle prime Tigri, indicata come modello di sviluppo economico per tutta l’Asia. Un Paese che solo un anno fa era stato ammesso all’Ocse, il “club dei ricchi”. Il ’97 è stato nefasto per la Corea del Sud, travolta suo malgrado dalla crisi finanziaria che ha travolto il Sud-est asiatico come un ciclone. […]” Dopo aver citato i fallimenti di alcune grandi aziende, l’autrice scrive: * Calcaterra M., Riprendono a ruggire le Tigri. Hong Kong guida il rialzo, «Il Sole 24 Ore», 4 novembre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 29 292 * Valsania M., Verso intesa Usa-Tokio-Fmi sul Fondo asiatico, «Il Sole 24 Ore», 6 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 293 * Merli A., Fmi e G-7, in Asia state sbagliando, «Il Sole 24 Ore», 7 novembre 1997, sezione “Finanza e mercati”, p. 29 294 * Non firmato, La febbre asiatica contagia tutte le borse, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, p. 1 295 Ivi 296 * Galimberti F., Le vecchie medicine, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, p. 1 297 * Degli Innocenti N., Nuova scossa in Asia. Crollano Seul e Tokio, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 298 Ivi 291

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II. La ricerca sui giornali “[…] Ma la crisi più grave rischia di essere quella delle banche. La catena di fallimenti e problemi finanziari hanno messo a dura prova la stabilità del sistema creditizio. […] I mercati, spietati come sempre, fiutano la debolezza, nonostante le smentite e le dichiarazioni di Seul. E la Borsa e il won continuano la loro parabola discendente. La Banca centrale, che solo dieci giorni fa si era impegnata a difendere il won a quota 918 sul dollaro, ieri ha espresso la speranza di riuscire a mantenerlo sotto i 980. […] Ieri il Governo sudcoreano ha nuovamente respinto l’aiuto offerto dal Fondo monetario internazionale. Ma molti analisti sono pronti a scommettere che presto Seul sarà costretta a chiedere quello che ora rifiuta.”299.

In uno scenario così disastroso, i veri protagonisti della cronaca nel mese di novembre sono il Giappone e la Corea, i paesi che godono delle maggiori relazioni con l’Occidente assieme ad Hong Kong, ma che a differenza di quest’ultima, sono tra le maggiori potenze industriali. Oltre a ciò, sono i depositari della “stabilità” rimasta. Secondo quanto illustrato nella prima sezione (cap. 1.1.3), il Giappone è il paese che ha maggiormente investito nello sviluppo dei paesi dell’area, e oltre ai legami finanziari della Borsa di Tokio, conta la maggior parte dei crediti verso le “seconde tigri”. Allo stesso modo la Corea, pur non essendo esposta quanto il Giappone verso i paesi asiatici, con le sue produzioni industriali sostiene la domanda di componenti e beni dai paesi dell’area. Non esitiamo a definire questi due paesi “pilastri dell’Asia”, perché nella situazione del 1997 la Cina, che comincia a far sentire il suo peso economico e politico nell’area, pur avendo a disposizione la convertibilità (via Hong Kong) della sua moneta, si affaccia con cautela ai mercati finanziari, mantenendo Hong Kong una “regione speciale”.

3.17 La Corea Fin dall’inizio del mese la borsa di Seul “perde colpi”, così come esplicitato sul Sole 24 Ore300. Il giornale riprende la situazione il 7 novembre con la notizia che “L’Fmi avverte la Corea del Sud”301, insieme a “Scatta l’allarme per le riserve valutarie e il won precipita”302. I due articoli sono

firmati Nicol Degli Innocenti e si trovano a pagina 6, sezione “Politica ed economia internazionali”. Si ha l’impressione di assistere a un film già visto. “[…] Le voci più allarmistiche sostengono che Seul sia sul punto di esaurire le riserve valutarie, depauperate dal vano tentativo di difendere il won, preso di mira dagli speculatori. […] Ma il governo ha smentito l’emergenza e ha dichiarato di avere riserve di oltre 30,5 miliardi. L’unico lato positivo della debolezza del won è stato il rilancio delle esportazioni: * Degli Innocenti N., Parabola discendente per la Corea del Sud, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 300 * Degli Innocenti N., In recupero le borse asiatiche ma Seul perde ancora colpi, «Il Sole 24 Ore», 1 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 4 301 * Degli Innocenti N., L'Fmi avverte la Corea del Sud, «Il Sole 24 Ore», 7 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 302 * Degli Innocenti N., Scatta l'allarma per le riserve valutarie e il won precipita, «Il Sole 24 Ore», 7 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 299

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L’esplosione della crisi il deficit commerciale si è ora dimezzato rispetto allo scorso anno. Dietro la crisi finanziaria un’ondata di fallimenti societari, che ha rivelato la fragilità dei giganti dell’imprenditoria sudcoreana. […] La crisi ha messo a nudo la sovraesposizione delle banche, gravate da crediti inesigibili per oltre 20 miliardi di dollari. […] «I nostri mercati finanziari non sono in pericolo – ha dichiarato ieri un portavoce di Seul – E non abbiamo intenzione di chiedere prestiti di emergenza all’Fmi». […]”303. Nell’articolo più lungo, l’autrice mette

in luce i movimenti strategici di Stati Uniti, Giappone e Fondo Monetario e il tono si fa velatamente critico verso quella che più di una soluzione economica assomiglia a una politica di potenza, infatti: “[…] «L’Asia non ha bisogno di una fonte di finanziamenti (il Fondo asiatico, n.d.r.), ma di un sistema di sorveglianza regionale», ha suggerito Camdessus: […]. Il problema non è allestire un organismo del genere ma farlo funzionare: la mentalità dei leader asiatici dovrebbe cambiare davvero radicalmente per permettere loro di criticarsi apertamente a vicenda o di indicare la soluzione al problema economico o finanziario di un altro stato. È stata proprio questa riluttanza a interferire negli affari interni degli altri Paesi a limitare, in molti casi fino quasi alla paralisi, l’attività e l’efficacia di organizzazioni come l’Asean. […] Ma quello che più interessa l’Fmi è la raggiunta intesa, confermata ieri, sul piano di aiuti regionale concordato con Stati Uniti e Giappone. Via libera al discusso Fondo di stabilizzazione dunque, ma “rivisto e corretto” da Washington. Gli Stati Uniti si erano opposti fin dall’inizio all’idea di creare una struttura finanziaria regionale che di fatto li avrebbe esclusi dall’area. I Paesi Asean hanno insistito, convocando anche un vertice a Manila per mettere a punto una strategia comune. Gli Usa non si sono limitati a borbottare ma si sono mossi con estrema rapidità: hanno puntato sul loro alleato forte, il Giappone, riuscendo a convincerlo ad accettare un piano coordinato dal Fondo monetario. Così ha messo i Paesi Asean di fronte al fatto compiuto, prima ancora del summit Apec di fine mese. L’Fmi resta arbitro di tempi e modi del risanamento in Asia: così vuole Washington. […]”304. Riguardo alla Corea, Nicol Degli Innocenti riporta le dichiarazioni di

Camdessus: “Teniamo la situazione sotto controllo. Il governo sudcoreano non sente il bisogno di chiedere il nostro sostegno finanziario. Ma se si rendesse necessario, siamo a disposizione». L’Fmi tende la mano: quale migliore modo di mettere in evidenza la debolezza di chi, traballante ma orgoglioso, si ostina a camminare da solo?”305.

L’8 novembre la Degli Innocenti riprende il caso Corea osservando che mentre la debolezza finanziaria spinge al ribasso borsa e valuta, anche la politica interna è in una fase di “limbo”, concentrata com’è sulle elezioni presidenziali di dicembre, “[…] mentre il Governo attuale non ha la forza o la credibilità politica di imporre le riforme necessarie. Le tensioni sociali rendono ancora più instabile il Paese, debilitato nell’ultimo annoda una serie di scioperi e di proteste, anche in seguito agli scandali che hanno rivelato gli intrecci tra affari e politica, mandando in carcere molti nomi eccellenti, tra cui il figlio del presidente Kim Young-Sam. Ieri il Governo ha nuovamente respinto l’aiuto offerto dal Fondo monetario internazionale. Ma molti analisti sono pronti a scommettere che presto

Seul sarà costretta a

chiedere quello che ora rifiuta.”306.

303

Ivi Vedi p. 190, nota301 305 Ivi 306 Vedi p. 190, nota299 304

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II. La ricerca sui giornali

Repubblica dedica un articolo alla crisi coreana il 10 novembre. L’autore Maurizio Ricci, racconta una storia risaputa, quella dei massicci indebitamenti bancari delle cahebol per sostenere investimenti produttivi ed estendere le quote di mercato, ma descrive anche la situazione politica interna. Dopo le proteste e i cortei, il rinnovato modo di condurre le campagne presidenziali in Corea, con un uso massiccio della televisione e la presentazione di leader civili al posto di oscuri generali, rappresentano “[…] I segni dell’emerge di una società civile che rende, agli occhi di un occidentale, la Corea sempre meno estranea, sempre meno “asiatica”, […]” Ricci,

dopo aver descritto positivamente il rinnovamento sociale e politico coreano, si chiede se la crisi non derivi da un “virus occidentale” innescato dalla conquista di salari minimi, assistenza sanitaria e dal sistema pensionistico pubblico. “[…] Il costo del lavoro è cresciuto, tra ’86 e il ’90, del 68%, mentre in Giappone – il grande concorrente della Corea – scendevano dell’8 per cento. […]”.In conclusione dell’articolo, di fonte alla crisi delle chaebol, prevale l’incertezza: “[…] Scendere da quella montagna di debiti per la Corea non sarà né facile né semplice. […]”307.

Il 14 novembre il Sole 24 Ore avvisa che“Seul salverà le merchant bank in crisi” e il 18 novembre, in prima pagina, il rialzo di Tokio308 con attenzione alla crisi di Seul. A pagina 4 infatti appare un articolo intitolato: “La City ora teme la Corea”309. È interessante riportare da questo articolo, l’opinione di Michael Warrender, della Jardin Fleming, uno dei gruppi più radicati in Asia: “[…] È una crisi finanziaria, perché le ragioni del successo dell’area, dal fattore demografico all’alto livello di risparmio e di istruzione, sono intatte. E a breve termine, dopo le svalutazioni, la competitività migliorerà nettamente». […]”. L’articolo continua: “[…] All’orizzonte si profilano però diversi rischi. A breve termine, secondo Warrender, il più serio è un collasso della Corea e, in secondo luogo, una mancanza di azione da parte del nuovo Governo thailandese. A medio e lungo termine saranno decisivi la capacità di applicare le politiche necessarie e la volontà politica di agire. Nel caso delle banche, per esempio, dovranno essere gli investitori a pagare il prezzo o non dovranno esserci salvataggi con il denaro pubblico per proteggere interessi nascosti. […]”310. Negli articoli a lato, un trafiletto descrive il buon esito delle

trattative per l’istituzione di un “Fondo asiatico” targato Fmi311. Della Corea si torna a parlare il 19 novembre. Le indiscrezioni di un imminente salvataggio da parte del Fmi erano già apparse negli articoli precedenti, stimando l’ammontare dell’intervento tra i 40 e i 60 miliardi di dollari312. L’articolo di Michele Calcaterra: “[…] Le indiscrezioni del varo di un imminente pacchetto di aiuti da parte del Fondo monetario * Ricci M., La tigre coreana è stanca, «La Repubblica», 10 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 13 * Calcaterra M., Maxirimbalzo a Tokio (+8%), «Il Sole 24 Ore», 18 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 4 309 * Merli A., La City ora teme la "mina" Corea, «Il Sole 24 Ore», 18 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 4 310 Ivi 311 * Platero M., Pronto il Fondo asiatico, «Il Sole 24 Ore», 18 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 4 312 Vedi p. 192, nota309 307 308

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L’esplosione della crisi internazionale (Fmi) alla Corea del Sud si intensificano ormai di giorno in giorno. E questo fa presupporre, nonostante le recise smentite del Governo e del ministero delle Finanze, che le trattative siano state ormai avviate. «Potrebbe anche essere – ha dichiarato ieri un analista europeo di sede a Seul – che la Corea chieda l’intervento della federal Reserve, invece di un aiuto al Fmi in modo da salvare la faccia prima delle elezioni presidenziali in programma per il 18 di dicembre». […]”. Calcaterra sottolinea però le condizioni di

estrema emergenza in cui si trova il paese, che farebbero pensare comunque all’intervento del Fondo, poiché anche se i “fondamentali” sono buoni, occorrono i “fondi necessari per riattivare il circuito del credito e della finanza”313. Il 20 novembre sempre il Sole 24 Ore dà notizia delle dimissioni del ministro delle finanze sudcoreano314, e il 21 appaiono due brevi articoli sulla situazione in Corea. Il primo, non firmato, fa valutazioni di carattere strategico: “[…] Il nuovo ministro delle Finanze Lim Changyuel ha ribadito ieri di preferire gli aiuti bilaterali a un intervento del Fondo monetario. […] Ma, secondo plausibili indiscrezioni, gli Stati Uniti hanno respinto la richiesta di aiuto di Seul. Il Giappone ha fatto capire che le banche nipponiche, fortemente esposte in Corea del Sud, non sono disposte a prorogare i crediti. Washington e Tokio sembrano quindi d’accordo nello spingere la Corea del sud tra le braccia dell’Fmi. […] Secondo stime, il pacchetto di aiuti necessario dovrebbe superare i 100 miliardi di dollari, una cifra molto superiore a quelle stanziate per Thailandia e Indonesia messe assieme. […]”. L’articolo sottostante di

Guido Busetto315, mette a fuoco i problemi politici coreani. “[…] Come sempre succede, la crisi è di difficile soluzione soprattutto per le resistenze interne e per l’intreccio tra economia, finanza e politica. […] Kim Dae-Jung, dopo essersi alleato con Kim Jong-pil, dimenticandosi che l’ex generale era a capo dei servizi segreti quando il governo coreano lo perseguitava, ha maggiori probabilità di essere eletto alla presidenza del Paese. Ma Kim Dae-jung, la cui base elettorale rimangono gli operai e gli studenti, privilegia la piccola impresa, vale a dire il settore meno competitivo dell’industria coreana, che ha tutto l’interesse ad opporsi alle riforme e alla liberalizzazione dell’economia del Paese”316.

Il 22 novembre accade l’inevitabile, e in questa occasione anche Repubblica e il Corriere della Sera dedicano articoli alla Corea. La Repubblica (“E l’Fmi si prepara a blindare la Corea”3170), dedica poco spazio, ribadendo che ancora un volta andrà in scena la cura shock di

ridimensionamenti aziendali e bancari e liberalizzazioni. Diverso Il Corriere, che a firma di Renato Ferraro, illustra la situazione, precisando che “[…] Il salvataggio della Corea è indispensabile, perché è in gioco la stabilità delle monete e dell’economia dell’Asia intera, e in primo luogo del

* Calcaterra M., Salvataggio della Corea: in vista un intervento Fmi, «Il Sole 24 Ore», 19 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 314 * Calcaterra M., Seul, salta il ministro delle finanze. Varato un piano di stabilizzazione, «Il Sole 24 Ore», 20 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 315 * Busetto G., Una crescita basata sui debiti, «Il Sole 24 Ore», 21 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 316 Ivi 317 * Non firmato, E il Fmi si prepara a blindare la Corea, «La Repubblica», 23 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 13 313

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II. La ricerca sui giornali Giappone, primo partner commerciale. Il prodotto lordo coreano supera quelli sommati della Thailandia, dell’Indonesia e della Malaysia, altre nazioni in difficoltà. […]”. Ci sono due punti fondamentali:

1. Un economista giapponese interpellato dall’autore, afferma che: “[…] L’economia sudcoreana di per sé è in buona forma, con una crescita del 6,3%, boom delle esportazioni, prezzi stabili e disoccupazione quasi nulla. C’è solo una crisi di liquidità, ma gigantesca, prodotta dai deficit dei maggiori gruppi industriali. […]”318.

2. Le banche nipponiche hanno in Corea esposizioni per 24,3 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta lo 0,5% delle esposizioni complessive interne ed esterne. La maggiore esposizione è in Europa, che ha elargito il 49% dei prestiti, secondo un rapporto del ministero delle Finanze giapponese319. Il Sole 24 Ore dedica la prima pagina alla richiesta di aiuto di Seul al Fondo monetario320. Nonostante le dichiarazioni ufficiali coreane, la maggior parte delle voci di analisti e uomini di stato esteri non ritengono sufficienti i 20 miliardi di dollari assegnati. Nell’articolo di Michele Calcaterra si precisa che “[…] Alcuni analisti dicono che questo prestito richiesto all’Fmi consentirebbe alla Corea del Sud di poter accedere ad altri prestiti concessi dalla Banca mondiale o da istituzioni private americane o giapponesi per un ammontare di 50 miliardi di dollari. […]”321.

Del resto le misure varate dal Governo per ristabilire la fiducia nell’economia coreana, tra cui anche un piano di aiuti governativi per le banche in difficoltà, non hanno sortito gli effetti sperati. L’annuncio dell’aiuto Fmi ha invece fatto risalire la Borsa (+3,62%) e recuperare la valuta rispetto al dollaro Usa. Tuttavia, i prestiti del Fondo non sono gratis, nel senso che incombono riforme e misure da attuare per iniettare di nuovo fiducia nell’economia e dare “un segnale forte” alla comunità internazionale. Addirittura il presidente Kim, prima di recarsi al vertice Apec di Vancouver, farà un discorso alla tv coreana annunciando alla popolazione le nuove misure di austerità, e di prepararsi a “tirare la cinghia”322. Ma l’autore si rende ben conto che le misure di snellimento delle imprese e le ristrutturazioni bancarie comporteranno licenziamenti di parte della manodopera e ciò non farà che esacerbare le tensioni sociali in un paese alla vigilia del voto. Il 23 novembre il discorso di Kim si rivela deludente, duro sì, ma generico, senza alcuna precisazione delle azioni che verranno intraprese dai politici nel

* Ferraro R., Seul chiede aiuto al Fondo Monetario, «Il Corriere della Sera», 22 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 319 Ivi 320 * Non firmato, Seul in crisi chiede un prestito all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 22 novembre 1997, p. 1 321 * Calcaterra M., La Corea in crisi bussa all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 22 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 322 Ivi 318

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L’esplosione della crisi

mettere a punto le riforme per uscire dalla crisi, tanto che la borsa scende di nuovo del 4,08%323. Lo stesso giorno si rifà vivo il Corriere della Sera con un articolo di Danilo Taino: “Mezzo mondo in soccorso dell’economia coreana”324. I toni, più ancora che preoccupati sono

rassegnati. L’aiuto Fmi significa rallentamento della crescita, fallimenti di imprese, licenziamenti in massa oltre al fatto che non servirà ad arrestare la svalutazione monetaria. La Repubblica interviene il 25 novembre: “Fmi: primi fondi alla Corea e Clinton incontra Kim”325. L’incontro avviene al vertice dell’Apec a Vancouver. Interessanti le parole di Arturo Zampaglione: “Con la stessa espressione di vergogna e rimorso con cui aveva chiesto scusa ai suoi concittadini per gli sbagli del governo, il presidente sudcoreano Kim Yong-Sam si incontra con Bill Clinton per sollecitare l’aiuto americano dopo il tracollo azionario di lunedì. E Clinton assomiglia a un acrobata del Cirque du Soleil, mentre cerca, nel colloquio con Kim e nel summit delle diciotto potenze del Pacifico, che si chiude oggi in Canada, da un alto di mobilitare le forze (i caiptali del Fondo Monetario) per salvare le economie asiatiche, dall’altro di non spaventare i mercati finanziari. A momenti questyo sforzo equilibrtistico appare comico: «La crisi sudcoreana è solo una piccola interferenza» dichiara il presidente americano, mentre la Borsa di Seul perde il 7,2 per cento tornando ai livelli di dieci anni fa. «È il momento di aver fiducia nell’Asia» dice ancora, mentre la Yamaichi (nota casa di brokeraggio giapponese) chiude i battenti e il Fondo monetario si prepara ad elargire la prima tranche dell’aiuto promesso alla Corea del Sud. […]”326. Zampaglione mette

in evidenza l’ipocrisia di facciata dei leader internazionali. “[…] La verità è che nessuno qui a Vancouver sottovaluta la portata della risi asiatica. […] E mentre in pubblico (i leader dei paesi e delle istituzioni internazionali, n.d.r.) professano ancora fede nel “miracolo asiatico”, in privato – come ci confida un funzionario della casa Bianca – sono tutti convinti che la Corea del Sud rappresenti la linea del Piave della finanza internazionale. […]”327. Questa la spirale perversa descritta dall’autore:

1. C’è un forte indebitamento delle imprese e banche coreane 2. Le imprese sono affette da sovracapacità produttiva 3. Le riforme del Fondo monetario (liberalizzazione, ristrutturazione delle banche, riduzione della spesa pubblica) portano un rallentamento dell’economia 4. Le prospettive di rallentamento dell’economia indeboliscono la borsa328.

* Calcaterra M., Corea, Borsa a picco. Kim: grandi sacrifici, «Il Sole 24 Ore», 23 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 324 * Taino D., Mezzo mondo in soccorso dell'economia coreana, «Il Corriere della Sera», 23 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 325 * Zampaglione A., Fmi, primi fondi alla Corea e Clinton incontra Kim, «La Repubblica», 25 novembre 1997, sezione “La crisi asiatica”, p. 9 326 Ivi 327 Ivi 328 Ivi 323

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II. La ricerca sui giornali

La prima pagina del 25 novembre sul Sole 24 ore titola: “Seul cade ai minimi degli ultimi dieci anni”329. Sembra infatti che l’aiuto del Fmi abbia causato una ulteriore perdita di fiducia,

tanto che con un crollo della borsa del 7% e un peggioramento della valuta, la crisi coreana si aggrava. Tuttavia, al vertice Apec di Vancouver, Clinton “rassicura” che la liberalizzazione in atto, di cui l’Apec si fa promotore è la ricetta migliore per uscire dalla crisi. Mario Platero, autore dell’articolo, focalizza una importante questione sollevata dal presidente Kim: “[…] «[…]La missione in questo paese (la Corea del Sud, n.d.r.) è di trasferire il debito, 66 miliardi di dollari su un totale di 110 […], dal breve al medio periodo. La crescita economica dovrebbe rimanere intorno al 6% per il 1997» aggiunge Kim e ci anticipa le linee generali dell’accordo con l’Fmi: costituire un fondo speciale per liquidare i prestiti inesigibili, riducendo la percentuale di esposizione dal 6% al 3% in linea con i parametri internazionali. Incoraggiare fusioni e acquisizioni fra le istituzioni finanziarie: i deboli dovranno sparire, senza preferenze. A questo si aggiunga che per evitare una corsa agli sportelli, tutti i depositi saranno garantiti fino al Duemila. Si aumenteranno i margini di fluttuazione valutaria e si dal +/-1,5% al +/-10% e, assicura Kim, si darà grande trasparenza ai dati statistici e alla tempesitività del processo di informazione e divulgazione di cifre e conti. […]”330.

Nicol Degli Innocenti riporta il 27 novembre i grandi licenziamenti delle aziende sudcoreane, tanto da raddoppiare per il ’89 il tasso di disoccupazione. Il Fondo monetario ha infatti chiesto “[…] di rendere più flessibile il mercato del lavoro per consentire i licenziamenti […]”331. Il 28 novembre, a pagina 6 sul Sole 24 Ore, l’annuncio della richiesta di maggiori aiuti dal Fondo Monetario. L’articolo di Nicol Degli Innocenti focalizza alcuni punti: 1. Crisi debitoria delle aziende che non riescono più ad avere finanziamenti 2. Crisi delle banche soffocate dai crediti inesigibili 3. Misure del Fondo monetario che impongono taglio alla spesa pubblica, chiusura o fusione di banche e imprese in fallimento 4. Dissesto sociale causato dall’ondata di licenziamenti La situazione assume un particolare significato quando Tokio accetta di intervenire autonomamente, alla richiesta di aiuto di Seul. La crisi profonda per la Corea del Sud è riportata sulla prima pagina del giornale, e all’interno alla pagina 6 (sezione “Politica ed economia internazionali”), appaiono due articoli a firma di Nicol Degli Innocenti e Michele Calcaterra. Il primo tratta separatamente i tre temi fondamentali del problema coreano: gli

* Non firmato, Seul cade ai minimi dagli ultimi dieci anni, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, p. 1 * Platero M., Seul crolla ma Clinton rassicura, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 331 * Degli Innocenti N., Le grandi aziende sudcoreane licenziano, «Il Sole 24 Ore», 27 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 329 330

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aiuti, i mercati e le imprese. Dopo la richiesta di aiuto a Tokio, sembra che anche gli Usa vogliano intervenire con crediti aggiuntivi, tanto che il salvataggio della Corea può diventare il più grande mai effettuato nella storia del Fmi. Tuttavia il giornale riporta che dopo l’annuncio degli aiuti da parte Fmi, la borsa coreana ha perso il 18,6%, causa anche il declassamento dei titoli e obbligazioni in valuta estera da parte dell’agenzia americana Moody’s. Per quanto riguarda le imprese, specie per la piccola industria priva di sbocchi sui mercati esteri, sarà sempre più difficile reperire capitali. Nelle parole di un economista coreano citato dall’autrice: “È il peggiore degli scenari. Sul futuro non c’è niente da dire”332. A fianco l’articolo di Calcaterra: “Giappone e Corea legati a filo doppio”333. Calcaterra spiega come l’economia coreana sia la “fotocopia” di quella giapponese, ma “[…] Con una differenza: che il Giappone ha basato il suo sviluppo sull’innovazione, mentre la Corea lo ha basato sulla forza lavoro. Fatto sta che il primo è un Paese leader e ha una ossatura forte, mentre il secondo è un runner up e non appena è scoppiata la crisi si è trovato in serie difficoltà. […].334. Calcaterra non vede vie d’uscita alla ricetta del

Fondo monetario e si domanda se il nuovo governo che uscirà dalle elezioni coreane sarà in grado di portare avanti le riforme senza scendere a compromessi. L’intervento del Giappone nel salvataggio della Corea impone uno sguardo alle notizie provenienti dal Sol Levante.

3.18 Il Giappone Il Sole 24 Ore nella prima decade di novembre dedica al Giappone quattro articoli che confermano la crisi dell’economia e della borsa giapponese335. Le notizie sul rallentamento dell’economia, si accompagnano a quelle di fallimenti di importanti aziende come la Sanyo336, e tuttavia sulle pagine del giornale, il Sol Levante viene ancora ritenuto “l’ultimo baluardo”. Nell’articolo datato 8 novembre infatti, Rafael Bellavita, vicepresidente di Salomon Brothers Hong Kong, afferma: “[…] «Non vedo al momento come si possa arginare la situazione coreana. […] Se Tokio vede […], allora sarà tutta l?Asia a franare» […]”337. L’autore dell’articolo, Michele Calcaterra, * Degli Innocenti N., Seul lancia un Sos, Tokio risponde, «Il Sole 24 Ore», 29 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 333 * Calcaterra M., Giappone e Corea legati a filo doppio, «Il Sole 24 Ore», 29 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 334 Ivi 335 * Calcaterra M., A tokio i sindacati chiedono un limite agli straordinari, «Il Sole 24 Ore», 5 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Calcaterra M., Tokio, niente panico ma borsa depressa dopo il crack Sanyo, «Il Sole 24 Ore», 6 novembre 1997, sezione “Finanza&mercati”, p. 34 * Calcaterra M., Ma il Giappone resta l'ultimo baluardo, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 * Non firmato, Ancora crisi per il Kabuto-Cho, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 336 Vedi nota335, Calcaterra M., Tokio, niente panico… 337 Vedi nota335, Calcaterra M., Ma il Giappone resta… 332

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II. La ricerca sui giornali

continua: “[…] Il Giappone è considerato l’ultimo baluardo per tentare di frenare l’emergenza. Un argine che si sta di giorno in giorno indebolendo, dato che il Paese e il suo Governo non sembrano in grado di uscire dalla attuale impasse economico finanziaria. Ieri il ministro delle finanze, Hiroshi Mitsuzuka, ha ammesso per la prima volta ufficialmente che il Paese è in fase di stallo. Un modo elegante per dire che il Paese non sta crescendo, ma anzi, è a un passo dalla spirale recessiva. […]”338.

Ma questo “baluardo” chi deve

difendere? Calcattera lo spiega alla fine dell’articolo, usando sempre le parole di Bellavita: “[…] Secondo Bellavita bisogna mettere le vele al vento e sperare che la situazione migliori. Anche se nei prossimi mesi non si prevedono sensibili miglioramenti del fronte di tempesta. «Non tanto per Hong Kong – dice – i cui problemi, soprattutto per quanto riguarda la sopravvalutazione del settore immobiliare, sono noti. Ma per le dimensioni e l’intensità di questa crisi che si è ormai allargata alla Corea del Sud e al Giappone». Paese del Sol Levante che rappresenta i confini dell’Asia verso quell’Est che porta alle spiagge della California, e quindi, agli Stati Uniti.” 339.

La Repubblica il 5 e l’8 novembre usa toni più allarmati circa la crisi di Tokio: “La febbre asiatica incombe su Tokio”340, e “Tempesta a Tokio”341. Nel primo, Kenneth Courtis esordisce

così: “Dopo il più grave terremoto borsistico degli ultimi dieci anni, una dinamica potenzialmente più dirompente sta maturando in Giappone. L’economia e i mercati di quel paese stanno scivolando in una zona di rischio e una crisi in Giappone, il maggiore esportatore di capitali del mondo, potrebbe avere un impatto sui mercati planetari al cui confronto impallidirebbero gli effetti dell’implosione finanziaria dei mercati emergenti del Sud-Est asiatico. […]”. Courtis mette in chiaro la conseguenze della crisi asiatica per

l’economia giapponese: 1. Il 45% dell’export giapponese va in Asia orientale. La crisi nei paesi dell’area ha causato u rallentamento delle esportazioni e una riduzioni degli utili della grandi aziende nipponiche. 2. Riduzione degli investimenti derivante dall’aumento del carico fiscale. 3. Lo yen basso favorisce le esportazioni giapponesi che cercano di sottrarre quote di mercato alle concorrenti americane ed europee 4. L’ammontare dei crediti bancari giapponesi nel settore immobiliare, che con i recenti cali potrebbe mandare in tilt i parametri di patrimonializzazione delle banche 5. Se la borsa continua a scendere, le banche giapponesi sarebbero costrette a rifarsi vendendo le loro posizioni internazionali più liquide, quali ad esempio i buoni del tesoro americani. 338

Ivi Ivi 340 * Courtis K., La febbre asiatica incombe su Tokio, «La Repubblica», 5 novembre 1997, sezione “Commenti”, p. 11 341 * Non firmato, Tempesta a Tokio, «La Repubblica», 8 novembre 1997, sezione “Commenti”, p. 14 339

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Courtis, che fa parte del Gruppo Deutsche Bank per l’Asia e il Pacifico, prescrive la ricetta di deregolamentazione e revisione della politica fiscale. A ribadire la situazione delineata da Courtis, l’articolo non firmato dell’8 ottobre: “[…] La seconda economia del mondo, è da molto tempo pressoché stagnante, il sistema bancario ha serie difficoltà patrimoniali, i mercati immobiliare e borsistico sono depressi. Il Giappone è il più grande esportatore di capitali del mondo: se il flusso si riducesse o addirittura si invertisse l’effetto sulle borse, sui mercati monetari e sui tassi di interesse sarebbe immediato e tellurico. Il Giappone è ormai in una situazione nella quale è realisticamente possibile che ciò accada.”342.

Sul Sole 24 Ore, la situazione giapponese viene riportata l’8, il 12 e il 13 novembre343: al calo della borsa giapponese, si sommano l’ulteriore svalutazione dello yen e le conseguenze per le borse mondiali. Il 13 novembre interviene anche il Corriere della Sera con un articolo di Sergio Bocconi che riprende la caduta della borsa, mentre Renato Ferraro parla di “paura per la solidità di alcune banche”. Dopo aver elencato le ragioni della crisi giapponese (in sintonia con quelle di Kenneth Courtis su Repubblica), Ferraro scrive che: “[…] (per far fronte al calo di competitività indotto dalla svalutazione delle monete asiatiche, n.d.r.) In questa situazione è inevitabile un continuo slittamento dello yen, ieri ne occorrevano quasi 126 per un dollaro, poiché aiuta l’export. Ci si chiede però fino a quando lo permetteranno gli Stati Uniti, che vedono gonfiarsi ancora il loro passivo commerciale con il Giappone. Secondo gli osservatori Washington è obbligata a subire in silenzio i danni, perché se la crisi degli istituti di credito nipponici peggiorasse, i risultati sarebbero più seri: banche e compagnie assicuratrici per salvarsi dovrebbero vendere i loro portafogli di obbligazioni americane. […]”344.

Il 14 novembre sia il Corriere che il Sole 24 ore danno risalto a questo fatto. Il Corriere: “Usa in allarme per la crisi di Tokio”345, il Sole 24 ore: “I brividi ora arrivano da Tokio”346 e “E ora Washington ha davvero paura”

347

. Il Corriere cita gli appelli di Rubin al Giappone perché rilanci

subito l’economia, ma l’autore, Renato Ferraro, scrive come ciò sia particolarmente difficile in una situazione di crisi. Il Sole 24 Ore riporta il problema in prima pagina e Michele Calcaterra si unisce al coro degli scettici circa le possibilità nipponiche di far ripartire l’economia348. Nell’articolo di Marco Valsania349, emergono alcune questioni:

342

Ivi Vedi p.197, nota335, Non firmato, Ancora crisi… * Soldavini P. Nuovo scivolone dello yen, «Il Sole 24 Ore», 12 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Non firmato, Tokio in crisi e Wall Street perde il 2%, «Il Sole 24 Ore», 13 novembre 1997, p. 1/6 344 * Ferraro R., E la febbre contagia il Sol Levante, paura per la solidità di alcune banche, «Il Corriere della Sera», 13 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 345 * Ferraro R., Usa in allarme per la crisi di Tokio, «Il Corriere della Sera», 14 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 346 * Non firmato, I brividi ora arrivano da Tokio, «Il Sole 24 Ore», 15 novembre 1997, p. 1 347 * Valsania M., E ora Washington ha davvero paura, «Il Sole 24 Ore», 15 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 348 * Calcaterra M., Scatta l'allarme-Giappone, «Il Sole 24 Ore», 15 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 349 Vedi p. 199, nota347 343

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1. Il problema commerciale nippo-americano ha ceduto importanza alla stabilità dei mercati del Sud est asiatico, con un rischio di contagio globale 2. A Washington sale il nervosismo. È stata pubblicata la lettera inviata da Rubin alla sua controparte nipponica, e Alan Greenspan è intervenuto pubblicamente in un momento, due settimane a cavallo della riunione dell’open market commitee, in cui solitamente mantiene il silenzio. Il 16 novembre torna La Repubblica: “Giappone, la festa è finita. La crisi travolge yen e Borsa”350. L’articolo mette in evidenza come la restrizione del credito bancario derivante dalla

forte esposizione delle banche giapponesi nel sud est asiatico, rischia di far fallire le imprese più deboli, mentre a fianco Gennaro Schettino fa un’intervista al presidente del colosso Canon, che vede nel calo della borsa l’influsso dei recenti fallimenti di banche e imprese351. Lo stesso giorno, Michele Calcaterra, sul Sole 24 ore, adotta un prospettiva più ampia e rimarca il fatto che : “[…] La convinzione comune è che se anche il paese del sol Levante crollerà, allora non si potrà più parlare di semplice crisi passeggera, ma di vera e propria emergenza. La tenuta di Tokio viene considerata come l’ultima paratia prima che la diga crolli, travolga dietro di sé tutti i mercati asiatici e prima che l’onda lunga investa anche gli Usa. Le preoccupazioni della comunità internazionale sono legittime e non vanno certo sottovalutate. […]”352. Il timore è che un’ulteriore caduta della borsa di Tokio deprezzi

ancora lo yen fino a una quota inaccettabile per l’equilibrio dei commerci internazionali. Calcaterra focalizzando gli interventi in discussione al prossimo vertice Apec di Vancouver a fine novembre, si domanda se le volontà del Giappone di acquistare la “leadership” in Asia contribuendo a un piano aggiuntivo di aiuti per i paesi colpiti dalla crisi sia economicamente fondata. La risposta pare affermativa, anche se la crisi dell’economia interna si tocca con mano: secondo l’autore non si è ancor fatto abbastanza sulla strada della deregolamentazione e della liberalizzazione353. Il 17 novembre La Repubblica riporta in prima pagina dell’inserto “Affari & finanza” un’intervista al guru di Wall Street Henry Kaufman354. “«Se la tempesta nelle Borse asiatiche è passata? Al contrario, siamo solo ai primi atti di un dramma che si svilupperà in modo imprevedibile per molti mesi ancora. E a questo punto non ci sarà da sorprendersi se la conseguenza finale sarà una pesante recessione

* Non firmato, Giappone, la festa è finita la crisi travolge yen e borsa, «La Repubblica», 16 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 25 351 * Schettino G., Banche e costruttori zavorre del mercato, «La Repubblica», 16 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 25 352 * Calcaterra M., Occhi puntati sul Giappone, «Il Sole 24 Ore», 16 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 353 Ivi 354 * Occorsio E., Tokio, allarme rosso, «La Repubblica», 17 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 38, p. 1/14 350

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in Giappone, che del resto è nell’aria da molti anni. Le conseguenze sarebbero devastanti» […]”355.

L’economista pone in evidenza: 1. Le banche giapponesi soffrono di ingenti crediti in sofferenza verso l’Asia ma anche verso il mercato interno. L’operazione di sicuritization, cioè la trasformazione dei crediti in titoli negoziabili costerà ancora miliardi 2. Sul versante manifatturiero le imprese giapponesi vedono crollare la domanda continentale, e non possono che spingere al ribasso le yen. 3. La crisi asiatica ha di fatto già contagiato il Giappone e gli Stati Uniti hanno dichiarato un loro possibile intervento, ma non fino a prenderne ufficialmente la leadership 4. Una risposta americana allo yen basso non potrà tardare, dato che questa condizione ha già causato nel mese di agosto un deficit commerciale di 18 miliardi di dollari per gli Stati Uniti 11 miliardi di surplus per il Giappone Torniamo alla cronaca. La risalita della borsa di Tokio del 18 novembre secondo il Sole 24 Ore è dovuta al fatto che la banca centrale giapponese, mediante una sua controllata, ha “salvato” una banca privata tecnicamente in fallimento. Il segnale dei mercati è inequivocabile. “[…] I mercati hanno dunque valutato positivamente il meccanismo di salvataggio della Hokkaido Bank. Prima di tutto perché va in direzione della pulizia del settore creditizio e poi perché, come promesso a suo tempo dal ministero delle Finanze, conferma che non si permetterà il fallimento delle maggiori banche del paese, i cui depositanti verranno comunque garantiti. […]”356. Il Corriere riprende la notizia

del Sole ripercorrendo le storture che negli anni hanno portato alle sofferenze bancarie con il consiglio della solita cura: liberalizzare, nella speranza che il nuovo ingresso degli istituti stranieri generi un clima finanziario più dinamico, sciolto dai pesanti legami tra stato, banche e keiretsu357. Anche la Repubblica dedica nella sezione “Economia” un lungo articolo al rialzo delle Borse seguito al salvataggio358, ma l’autore dell’articolo, Rinaldo Gianola, riporta anche i timori di chi crede che la crisi non sia finita. Timori confermati dall’analisi della Merryl Lynch, nella stessa pagina359.

355

Ivi Vedi p. 192, nota308 357 * Ferraro R., Intrecci nel Sol Levante: lo Stato prima "gonfia" le banche, poi le salva, «Il Corriere della Sera», 18 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 26 358 * Gianola R., Venti di ripresa su tutte le borse, «La Repubblica», 18 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 30 359 * Non firmato, Ma la crisi asiatica non è ancora finita, «La Repubblica», 18 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 30 356

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Sia il Corriere che il Sole 24 Ore danno anche notizia del nuovo piano di rilancio dell’economia giapponese. Contrariamente alle ricette che il Fondo monetario ha imposto ai paesi in crisi, le autorità del Sol Levante decidono di finanziare col debito pubblico importanti progetti pubblici infrastrutturali per far ripartire l’economia. Una mossa in contrasto con le politiche di pareggio di bilancio, ma che riceve la promozione dei mercati360 (C128). Il Sole 24 Ore, che porta la notizia in prima pagina, precisa però che gli investimenti infrastrutturali pubblici sono solo un aspetto del piano più generale di liberalizzazione e di aiuto alla piccola impresa. Michele Calcaterra, autore dell’articolo, conferma comunque che il piano rappresenta un cambiamento di rotta di 180° , mai verificatosi nella storia del paese361 S508. Anche Repubblica dà notizia il 19 novembre dei provvedimenti in Giappone. Nell’ultima decade di novembre le notizie da Tokio si intensificano. Riguardano ovviamente le sofferenze bancarie e l’attuazione delle riforme in un sistema compromesso, ma anche le indecisioni del governo circa un possibile “salvataggio pubblico”. Le autorità nipponiche affermano in un primo tempo che non lasceranno fallire le maggiori banche del paese362, ma poi ritrattano e i mercati finanziari ripiombano giù363. Il Sole 24 Ore il 21 novembre riporta che il premier Hashimoto, il 20 novembre, rilancia la proposta di aiuti pubblici alle banche ottenendo un rialzo della borsa poco inferiore al 3%364. Il fallimento della importante casa di brokeraggio Yamaichi è l’evento che rimbalza su tutti e tre i giornali dal 22 al 25 novembre365, poi fino alla fine del mese sul Sole 24 Ore e Repubblica si alternano le

* Ferraro R., Giappone, cura anti-crisi, «Il Corriere della Sera», 19 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 361 * Calcaterra M., Tokio vara un maxi-piano, «Il Sole 24 Ore», 19 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 362 Vedi p. 192, nota308 363 * Modolo G., Il governo non aiuterà le banche e la Borsa di Tokio perde quota, «La Repubblica», 20 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 31 364 * Calcaterra M., Aiuti pubblici per le banche giapponesi, «Il Sole 24 Ore», 21 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 365 * Non firmato, Yamaichi, bancarotta storica, «La Repubblica», 22 novembre 1997, sezione “Economia” p. 27 * Zucconi V., L'ora delle lacrime sui resti della Yamaichi, «La Repubblica», 23 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 13 * Leonardi G., Io vittima del crac Yamaichi impietrito ma senza rabbia, «La Repubblica», 29 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 31 * Ferraro R., La Yamaichi verso il crac: è la più grande bancarotta del dopoguerra, «Il Corriere della Sera», 23 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 * Taino D., Yamaichi, summit nella notte. Sui mercati internazionali fiato sospeso per il Giappone, «Il Corriere della Sera», 24 novembre 1997, sezione “Esteri”, p. 10 * Ferraro R., Fallito in Giappone il colosso Yamaichi, «Il Corriere della Sera», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 4 * Non firmato, Il crack Yamaichi pesa sulle borse, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, p. 1 * Calcaterra M., La Yamaichi alza bandiera bianca, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 360

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cronache dal paese: le bancarotte366, le pressioni statunitensi per riformare l’economia367, l’aiuto chiesto all’America per i prestiti alle banche368, le voci ottimiste369, i nuovi crolli della borsa370, le inchieste per la corruzione371 e gli appelli alla calma nel mare in tempesta372, fino alla nuova ripresa della borsa, riportata il 29 novembre373. Dopo avere illustrato le notizie circa gli effetti della crisi in Corea e Giappone, andiamo a studiare le mosse delle istituzioni internazionali e le valutazioni dei giornali sul virus che ormai infetta l’Asia e minaccia l’Occidente.

3.19 Lo sguardo occidentale Su Repubblica, l’8 novembre, appare un articolo di Arturo Zampaglione che cita le parole dell’economista Henry Kaufmann, le cui opinioni sono state riportate più volte dal giornale: “«Prevedibile, forse inevitabile, la crisi del Sud est asiatico è solo il primo atto di un dramma che andrà in scena nei prossimi mesi, con gravi ripercussioni soprattutto in Giappone». […]”. Zampaglione si

chiede se questo scenario sia plausibile, ma ammette: “Non tutti qui a New York si sentono di condividere questa visione apocalittica. Ma certo la parola “recessione”, che fino al mese scorso sembrava cancellata dai dizionari economici, torna alla ribalta. […]”374. Ci vogliono i cali delle borse europee e

di Wall Street perché la crisi diventi concreta. Addirittura, quella che sembrava solo una manciata di polvere tra i poderosi ingranaggi dell’economia mondiale lanciata verso una

* Riolfi W., Il colpo del Samurai ferisce l'Europa, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, sezione, “In primo piano”, p. 3 366 * Occorsio E., Il crac giapponese fa tremare le borse, «La Repubblica», 25 novembre 1997, sezione “La crisi asiatica”, p. 9 * Lonardi G., Ma Hashimoto non esclude nuovi casi di fallimento, «La Repubblica», 27 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 29 367 * Platero M., Gli Usa premono: Tokio deve fare di più, «Il Sole 24 Ore», 26 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p., 2 368 * Platero M., Tokio chiede l'aiuto della Fed. Wall Street tiene i nervi saldi, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p., 3 369 * Roveda D., Per Hashimoto il peggio è passato, «Il Sole 24 Ore», 26 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 370 * Calcaterra M., Tokio, banche nell'occhio del ciclone, «Il Sole 24 Ore», 26 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p., 3 * Calcaterra M., Nikkei a picco (-5%) e lo yen ai minimi, «Il Sole 24 Ore», 26 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p., 3 371 * Lonardi G., Tangentopoli gialla, il Giappone trema, «La Repubblica», 28 novembre 1997, sezione “Economia”, p., 28 372 * Non firmato, Tokio, appello del governo: niente panico, «Il Sole 24 Ore», 27 novembre 1997, p., 1 * Calcaterra M., Crisi in Giappone, appello alla calma, «Il Sole 24 Ore», 27 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p., 7 373 * Calcaterra M., Risale la borsa giapponese ma soffre l'economia, «Il Sole 24 Ore», 29 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p., 6 374 Zampaglione A., Il vento della crisi scuote i mercati, «La Repubblica», 8 novembre 1997, sezione “Economia”, p., 29 203


II. La ricerca sui giornali

decisa crescita sul finire del millennio, ora, come riportato da Repubblica375, impensierisce anche l’Ocse. Giuseppe Turani, il 9 novembre, snobba il catastrofismo affermando che “[…]…tanto in Asia quanto in America lo scossone ha provocato tutti i danni che, in un certo senso “doveva provocare”. Insomma, se c’era qualcuno che si era spinto troppo avanti, adesso quel qualcuno è stato riportato, dall’implacabile e caotica logica dei mercati, indietro. E quindi il sisma dovrebbe fermarsi. […]” Turani non

parla né di Fmi, né di ristrutturazioni, né di fallimenti, né di licenziamenti in massa nei paesi asiatici. In conclusione e in perfetta aderenza alla logica tutto sommato razionale dei mercati, afferma che i paesi asiatici sono “[…] …ancora un po’ storditi, ma quando avranno fatto un po’ di pulizia intorno a sé, capiranno di essere diventati più competitivi (grazie alle svalutazioni monetarie, n.d.r.) e ricominceranno la loro guerra commerciale all’Occidente in grande stile. Saranno, se possibile, più tigri di prima. […]”376.

Sul Sole 24 Ore, lo stesso giorno, appare in prima pagina un articolo di Jeffrey Sachs dal titolo: “Globalizzazione, più rischi, più opportunità”377. Il noto economista si pone la seguente domanda: “[…] Dopotutto, chiedono i critici del libero commercio, se le tigri asiatiche possono essere messe in ginocchio dai mercati finanziari internazionali, c’è un Paese che può starsene tranquillo? […]”. La

risposta di Sachs, sostenuta da studi e statistiche, è che le economie “aperte” hanno margini di crescita maggiori di quelle chiuse, che sono anche meno soggette ad alta inflazione e alle crisi finanziarie. L’economista mette in luce che politiche neoliberiste possono anche non mettere al riparo da macroscopici errori. Tuttavia il problema maggiore riguarda la capacità di crescita generalizzata all’interno dei paesi poveri aperti al commercio mondiale. Sachs ammette che questi “[…] non hanno guadagnato terreno in fatto di reddito rispetto alle economie più avanzate. Quando abbiamo esaminato la struttura delle economie chiuse, la crescita del reddito pro-capite si è rivelata la stessa. […]”. Non c’è dunque nessun legame tra le maggiori possibilità di crescita indotte dalla

liberalizzazione dei commerci e l’equa distribuzione interna della ricchezza prodotta. Sachs constata che i paesi poveri non riescono a coprire il gap, ma al tempo stesso ritiene che la maggiore crescita indotta dall’apertura commerciale sia una chance in più, e conclude: “[…] nonostante i recenti sbalzi dei mercati azionari, l’insieme delle condizioni istituzionali e politiche per un grandioso balzo in avanti non sono mai state così favorevoli, come dimostrano la diffusione della democrazia e del rispetto della legge in questo decennio. […]” 378.

375

* Non firmato, Ocse, conto salato per il crack asiatico, «La Repubblica», 8 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 29 376 * Turani G., La sfida delle Tigri al mondo occidentale, «La Repubblica», 9 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 377 * Sachs J., Globalizzazione: più rishi, più opportunità, «Il Sole 24 Ore», 9 novembre 1997, p. 1/2 378 Ivi 204


L’esplosione della crisi

Tornando più in specifico sulla crisi, Mario Talamona, l’8 dicembre titola sul Corriere: “E le turbolenze non sono ancora finite”

379

. Il tono è ben diverso da quello di Giuseppe Turani :

“[…] A quasi due settimane dal lunedì nero delle Borse mondiali, il rischio di esser presi ancora in contropiede non è da sottovalutare. Tutt’altro. Senza vero panico ma senza autentica euforia, l’altalena continua. L’eruzione del Sud-Est asiatico nasconde ancora qualche bubbone. Le preoccupazioni iniziali per la tenuta del Giappone non sono certo svanite. È un fatto comunque, che le turbolenze “globali” non siano finite. […]”380. Tuttavia la

conclusione mostra come la maggiore efficienza dei mercati porti gli investitori istituzionali ad osservare con maggiore attenzione le tendenze dell’economia reale, e dimostrano insolitamente di avere i “nervi d’acciaio”. Affermazioni stupefacenti, specie dopo le ripetute interviste a Dornbusch, il quale sosteneva la triplice natura degli investimenti381. Mentre il 10 novembre Repubblica nell’inserto “Affari & finanza”, sezione “Investimenti”, diffonde consigli per gli investitori su come “difendersi dalle crisi”382, il giorno successivo il Sole 24 Ore pubblica in prima pagina l’opinione di Hans Tietmeyer. Il presidente del gruppo dei banchieri centrali del G-10 afferma che dall’Asia sarebbe giunto “uno shock benefico”. L’articolo continua a pagina 7: “[…] «Finora nel complesso – ha dichiarato Hans Tietmeyer, che presiede il gruppo dei banchieri centrali – gli effetti sono stati positivi. L’impatto dell’andamento dei mercati azionari è benefico per l’economia» […] «Il peggio è passato […] e i mercati hanno trovato un fondo più solido» […]”383. Attenzione però a due cose particolarmente importanti dette

da Tietmeyer: 1. Con le dovute riforme nelle bonomie asiatiche, nell’immediato futuro ci sarà un rilancio delle possibilità espansive della regione 2. “[…] L’aggiustamento successivo al calo delle economie asiatiche, dovrebbe avvenire con una redistribuzione dei flussi di commercio mondiale, col peggioramento della bilancia corrente al di fuori dell’area del Pacifico. Per evitare che ciò si scarichi solo sui cambi […] coi rischi di instabilità che ciò implica, è prevedibile che il trasferimento avvenga attraverso politiche favorevoli alla domanda interna in Europa e in Usa. In Europa in particolare si prevede nel ’98 il passaggio da politiche di bilancio restrittive, a quasi neutre. […]”

* Talamona M., E le turbolenze non sono ancora finite, «Il Corriere della Sera», 8 novembre 1997, sezione “Economia, p. 21 380 Ivi 381 Vedi cap. 2, p. 87, nota71 382 * Caraceni C., Strategie per domare le crisi, «La Repubblica», 10 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 37, p. 24 * Pigoli S., Chi resiste all'asiatica, «La Repubblica», 10 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 37, p. 25 383 * Non firmato, Tietmeyer: dall'Asia uno shock benefico, «Il Sole 24 Ore», 11 novembre 1997, p. 1/7 * Bastasin C., I governatori del G-10 ottimisti: effetti positivi dalla crisi asiatica, «Il Sole 24 Ore», 11 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 379

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Nell’opinione di Tietmeyer dunque, influente personaggio dell’economia europea e mondiale, bisognerà tornare a un “rilancio della domanda interna” in Europa per fronteggiare la ripresa delle tigri. Un cambiamento di prospettiva rispetto alle politiche neoliberiste propagandate dal Fmi in Asia ma perseguite anche in Europa sulla via dell’Euro. Sotto a questo lungo articolo, il Sole 24 Ore intervista un’economista giapponese: Kenichi Omahe. Il professor Omahe sostiene la tesi che questa crisi non significhi la fine della regione e che anzi possa servire da rilancio per lo sviluppo. Sulla situazione asiatica in particolare, afferma che Hong Kong, priva di un’economia reale sottostante su cui basare il proprio rilancio, è una “bomba a orologeria”, il cui botto potrebbe essere enorme. Paesi come la Corea e il Giappone hanno problemi diversi: la Corea è “spiazzata” dal ribasso dello yen, mentre il Giappone, sempre nell’opinione dell’economista, dovrebbe ridurre ancora il comparto immobiliare per attrarre nuovi investitori e far ripartire l’economia interna384. È del 12 novembre la notizia della visita di Li Peng a Tokio. Il viaggio del primo ministro cinese avviene in un contesto di fitti rapporti diplomatici tra i grandi: Giappone, Cina, Stati Uniti e Russia riguardanti l’economia e la sicurezza. Secondo Calcaterra: “[…] Siamo di fonte a un deciso passo in vanti nelle relazioni internazionali e, soprattutto, al capitolo finale della politica dei blocchi contrapposti degli anni passati. Politica ed economia, è dimostrato dai fatti, devono essere liberi di circolare, di intrecciarsi per diventare sempre più globali. Perciò se è vero che i patti e gli accordi di carattere bilaterale devono continuare ad esistere, ciò non esclude che vi siano alleanze dello stesso tipo e tenore con altri Paesi o multilaterali. […]”. Più in specifico, sull’economia: “[…] …è chiaro che l’attuale crisi della regione asiatica è stata ed è al centro dei colloqui tra i vari leader. Nessuno infatti può permettersi che questa parte del mondo entri in recessione e trascini anche Usa, Europa e Giappone. Tokio è uno dei maggiori investitori nell’area e, nella sola Cina, ha impegnato negli ultimi venti anni qualcosa come 1.500 miliardi di dollari. L’economia è dunque politica e viceversa. In questa logica, Usa e Giappone spingono perché la Cina acceleri l’ingresso nella Wto, ma stanno anche domandando che Pechino faccia degli sforzi per migliorare la situazione dei diritti umani. […]”. Calcaterra descrive un quadro complesso, dove però

gli attriti e le conflittualità tra le potenze vengono a un tratto sminuiti di fronte alla fiducia e alla volontà di integrazione e collaborazione. Emerge chiaramente il concetto che “l’economia è dunque politica”, ma non si viene a sapere nulla di preciso su cosa si intenda fare per risolvere la crisi in Asia. Dopo le notizie riportate da Repubblica385 e Sole 24 Ore di un altro crollo nel Far East e, su quest’ultimo giornale, della volontà della Fed di non aggravare la situazione alzando i

* Calcaterra M., Ohmae: Rparitrà lo sviluppo, «Il Sole 24 Ore», 11 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 385 * Non firmato, Nuovo crollo di Wall Street e di tutte le borse asiatiche, «La Repubblica», 13 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 384

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tassi386, nel pieno del turbine di notizie provenienti dall’empasse giapponese, torniamo sulle valutazioni espresse dai giornali. Il 14 novembre il Sole 24 Ore titola in prima pagina: “Allarme della Fed per la crisi in Asia”. All’interno, a pagina 6, Mario Platero scrive: “È stato un intervento a quattro: Alan Greenspan della Fed, Larry Summers del Tesoro, Jim Leach, presidente della commissione bancaria alla Camera, Michel Cadmessus del Fondo Monetario, hanno parlato della “questione asiatica” e hanno concluso che il peggio non è ancora passato. «Io credo – ha detto Greenspan – che il vero punto centrale da risolvere sia quello di lasciare le economie (dei paesi asiatici) aperte mantenendo politiche economiche e assi di cambio che non richiedano una difesa constante… fino ad oggi l’impatto diretto della crisi asiatica sull’economia americana è stato modesto, ma non ci si può aspettare che si trascurabile». […] Jim Leach, repubblicano, ha messo in dubbio l’opportunità di usare soldi americani per riscattare i Paesi colpiti dalla crisi. […] Soprattutto, ha detto Leach, non succederà nulla se non avremo la garanzia che la manovra avverrà sotto l’egida del Fondo monetario con l’applicazione di adeguate misure di condizionalità. Sia Greenspan che Summers hanno concordato sulla necessità di accompagnare alle misure di “salvataggio” importanti riforme strutturali delle economie regionali. […] L’obiettivo è di rendere noto alla fine della prossima settimana al vertice Apec di Vancouver il pacchetto di aiuti messo a unto per la regione asiatica. Potrebbe essere un fondo da 100 miliardi di dollari (il Giapone da solo potrebbe offrire fino a 50 miliardi di dollari) al quale parteciperanno tutti i paesi membri dell’organizzazione (Asian Pacific Economic Cooperation). Gli Stati Uniti insistono che il controllo dell’operazione sia affidato al Fondo Monetario e ieri sia Greenspan che Summers hanno riaffermato al posizione dell’amministrazione. […]”387.

La Repubblica il 14 novembre riporta un flash da una notizia del Wall Street Journal sulla crisi asiatica: “Fino a questo punto […] Clinton e il segretario al Tesoro, Robert Rubin, si sono detti fiduciosi negli aiuti “sistemici” al sud-est asiatico, cioè gli interventi di salvataggio finanziari coordinati dal Fondo Monetario e dalla Banca mondiale. Ma ormai le proporzioni della crisi sono diventate tali da rendere quasi inevitabile un intervento diretto americano. L’unico candidato naturale sarebbe il Giappone, ma Tokyo ha tali problemi interni dopo sette anni di crisi, da essere escluso”388.

Lo stesso giorno titola con una dichiarazione di Greenspan: “L’economia Usa può frenare” e Arturo Zampaglione descrive i timori americani per il possibile aggravamento della crisi in modo analogo al Sole 24 Ore. C’è un aspetto da sottolineare nella vicenda asiatica: la improvvisa convenienza che i paesi in crisi hanno raggiunto loro malgrado. Il Sole 24 Ore e Repubblica avvertono quindi gli imprenditori dei possibili vantaggi nell’acquisizione di contratti, accordi e forniture. Il Sole 24 Ore lo fa il 13 novembre nella sezione “Mondo & * Calcaterra M., Nel Far East l'Orso colpisce ancora, «Il Sole 24 Ore», 13 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Galimberti F., Da Greenspan una mano all'Asia, «Il Sole 24 Ore», 13 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Olivieri A. & Riolfi W., Solo il fuso orario salva l'Europa, «Il Sole 24 Ore», 13 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 387 * Platero M., Greenspan: attenti all'Asia, «Il Sole 24 Ore», 14 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 388 * Non firmato, The Wall Street Journal - Una mano all'Asia, «La Repubblica», 14 novembre 1997, sezione “Commenti”, p. 15 386

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Mercati”389, Repubblica riporta ancora una volta la notizia da un giornale estero, Le Monde390. Le valutazioni di Giuseppe Turani, sulla prima pagina della sezione “Economia” di Repubblica (16 novembre) si rivelano coerenti con quelle espresse nel precedente editoriale. Secondo il giornalista le Tigri non sarebbero affatto morte. Per di più “[…] Il terremoto delle Borse asiatiche è di fatto finito. Nel senso che quasi tutte hanno perso quello che dovevano perdere (fra il 30 e il 40 per cento) e quindi hanno esaurito la loro carica dirompente. […]”391. Lo scenario di una crisi globale

innescata dall’Asia, secondo Turani è molto improbabile. Sulla ripresa delle tigri egli afferma: “[…] Per tornare alle Tigri, è ora di cominciare a pensare al “dopo”. E il dopo non sarà affatto un ritorno alla stagnazione di qualche decennio fa o un lento declino. Le Tigri, in sostanza, rimangono Tigri. […]”392. Di

fronte alle sonore preoccupazioni della Fed e al problema ancora insoluto del salvataggio delle economie in crisi, quello di Turani è realismo o ottimismo? La domanda è legittima. Il 17 novembre appaiono su Repubblica le valutazioni di Marcello De Cecco393. L’economista spiega le vicissitudini asiatiche alla luce dei rapporti strategici che intercorrono tra le grandi potenze. L’articolo inizia con una similitudine tra la situazione italiana del dopoguerra, quella del miracolo economico e quella delle tigri, basata sui seguenti elementi: 1. politiche di controllo selettivo del credito data l’assenza di grandi quantità di risparmio 2. Sfruttamento delle opportunità offerte dall’integrazione economica e commerciale internazionale con poca attenzione agli squilibri delle bilance dei pagamenti e grande apertura agli investimenti entranti 3. Agganciamento al dollaro della valuta, che permise l’accesso a capitali esteri a basso costo e a materie prime e prezzi ragionevoli Ciò che secondo De Cecco mina alla base le condizioni di questa crescita è, nel caso dell’Asia, la rivalutazione del dollaro nei confronti dello yen. La conseguenza è stata l’abbandono della parità elevata con il dollaro e il conseguente indebitamento a breve con l’estero dato dall’investimento dei prestiti in attività speculative o in beni rifugio. Quali soluzioni adottare? De Cecco critica come di parte la posizione americana (di Greenspan e Summers, che vorrebbe lasciar fallire le banche indebitate mettendo in difficoltà gli incauti * Non firmato, Asia, perché bisogna restare in gioco, «Il Sole 24 Ore», 13 novembre 1997, sezione “Mondo & Mercati”, p. 27 390 * Non firmato, Le Monde - Buoni affari in Thailandia, «La Repubblica», 15 novembre 1997, sezione “Commenti”, p. 13 391 * Turani G., Più svegli di noi sia a Ovest che a Est, «La Repubblica», 16 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 392 Ivi 393 * De Cecco M., Il contagio delle Tigri malate, «La Repubblica», 17 novembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n.38, p. 1/13 389

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investitori stranieri), partendo dal fatto che i maggiori debitori sono i giapponesi e gli Stati Uniti verrebbero appena sfiorati. Per quanto riguarda l’aiuto del Fondo Monetario, De Cecco mette in evidenza le differenze tra il caso messicano e l’attuale crisi asiatica: 1. La crisi Messicana fu gestita dagli Usa che rivestirono il ruolo di creditore illimitato di ultima istanza dato che il Fondo Monetario non riuscì a mobilitare in tempi brevi risorse sufficienti 2. Al Giappone, principale creditore in Asia, gli Usa hanno sbarrato la strada del salvataggio dei paesi in crisi, preferendo l’intervento del Fondo Monetario. Questa istituzione però ha il problema che i suoi crediti non sono illimitati e per di più sono dilazionati nel tempo. 3. Escludendo il Giappone da un intervento diretto, gli Usa hanno però impedito che ci fosse un vero e proprio creditore di ultima istanza. L’operazione è stata possibile grazie al fatto che il Sol Levante manca di una vera e propria sovranità e dipende strategicamente dagli Usa. 4. Avviene dunque che c’è una discrasia tra potere politico e potere economico, che rende più problematica la soluzione della crisi e probabile il suo approfondirsi. 5. Il Giappone si trova dipendente dagli Stati Uniti ma ha perso per Washington la priorità strategica dopo i recenti negoziati con la Cina. La partita è dunque tra Tokio e le altre potenze: Stati Uniti, Cina e Russia. Anche perché la situazione dell’economia giapponese, che dipende fortemente dall’export, verrebbe penalizzata (mediante il rialzo dello yen) dalle conseguenze del ricatto economico di vendere i titoli di stato americani394. Gli articoli che affiancano l’analisi di De Cecco, focalizzano le conseguenze della crisi. A pagina 23 “Il punto” di Ugo Inzerillo, del Centro studi di Confindustria. Inzerillo ripete che la crisi del Sud Est asiatico, si aggraverebbe realmente solo se si allargasse alla Corea del Sud e al Giappone, mentre alcuni esperti sono preoccupati per l’effetto che essa potrebbe avere sui mercati sudamericani. L’articolo usa il condizionale quando la realtà ormai supera gli scenari prospettati395. L’altro articolo, di Sergio Pigoli, analizza la situazione delle banche, specie in Giappone, a fronte della enorme massa di denaro speculativo preso a prestito dagli investitori. Infatti esse sono costrette sia a richiamare i prestiti che a vendere alcune partecipazioni per 394

Ivi * Inzerillo U., L'Europa e il virus delle tigri, «La Repubblica», 17 novembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 38, p. 3 395

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non danneggiare ulteriormente la loro posizione. “[…] Il grande rischio che corrono tutti i mercati mondiali è che questo fenomeno si estenda anche ad una parte marginale degli investimenti che le istituzioni giapponesi hanno accumulato nel corso degli anni su tutti i mercati mondiali. Se ciò dovesse malauguratamente verificarsi, prevarrebbe in tutto il mondo una corsa alla liquidità e i prezzi delle azioni potrebbero pro tempore diventare assai sottovalutati. […] Al di là degli isterismi dei mercati la situazione a livello mondiale sembra perciò essere seria e ne è testimone anche l’andamento del dollaro (che è sceso da agosto, n.d.r.). La speranza è che abbiano ragione i banchieri centrali che in questo periodo continuano a mandare messaggi rassicuranti.” 396

. Nella pagina successiva, Fabio Calenda, dinanzi alle sofferenze bancarie legate allo

sgonfiamento della bolla immobiliare, si chiede: “[…] La crisi sta toccando il fondo? È possibile una inversione di tendenza nel breve periodo? La risposta dipende da tre fattori: 1.

Cooperazione. Il ruolo del Fondo sta diventando più incisivo anche se incontra problemi politici più complessi rispetto all’intervento nella crisi messicana. […]

2.

L’incognita di Hong Kong. Fino ad ora i ripetuti attacchi contro la sua moneta sono stati rintuzzati al prezzo di un forte rialzo dei tassi. […] Probabilmente il presidio più forte per l’ex colonia risiede proprio nell’attuale fragilità delle strutture bancarie della madre patria, che rende più strategico il ruolo di Hong Kong come piazza finanziaria, almeno nel breve-medio periodo.

3.

Giappone. […] Diversi analisti ritengono che il sistema si trovi ormai in prossimità del fondo, ma tutti concordano sulla necessità di una spinta per imboccare la risalita. […]”397

Sempre a pagina 24 Bruno Padoan illustra il funzionamento del currency board di Hong Kong, mentre Giulia Adami, che conclude la rassegna di articoli sull’inserto “Affari & finanza”, spiega come la Fed, in conseguenza della crisi che deprime azioni e obbligazioni, sia in una difficile situazione: lasciar correre l’economia americana rischiando l’aumento dell’inflazione o rialzare i tassi rischiando una spirale deflativa anche nei paesi di riferimento.

3.20 Una finestra a Vancouver La situazione quindi, si complica. Contemporaneamente alle notizie sempre più gravi dalla Corea e dal Giappone descritte nei paragrafi 3.17 e 3.18, continuano le valutazioni e le cronache degli incontri al vertice tra i grandi per tentare di risolvere la situazione. Il Sole 24 Ore annuncia che il Fondo asiatico, su cui il Giappone aveva inizialmente tanto insistito, è pronto. La notizia è stata data da Michel Cadmessus al vertice tra banchieri centrali e ministri del tesoro di molti paesi Apec, a Manila, nelle Filippine. Per il Giappone però è una parziale * Pigoli S., I mercati alla prova della crisi, «La Repubblica», 17 novembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 38, p. 23 397 * Calenda F., Il credito perverso delle Tigri orientali, «La Repubblica», 17 novembre 1997, sezione “Affari & finanza”, anno XII, n. 38, p. 24 396

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sconfitta: “[…] Il Giappone, che aveva inizialmente proposto un fondo regionale asiatico indipendente dal Fondo monetario per far fronte alla crisi economica del bacino del Pacifico, ha apparentemente ceduto alle pressioni degli Usa e avrebbe rinunciato all’idea di finanziare e gestire direttamente un meccanismo di erogazione per le economie in difficoltà […]”398. Ma secondo il direttore dell’Fmi Michel Cadmessus,

l’Asia Fund dovrebbe essere solo un accordo cooperativo tra economie della regione per una reciproca sorveglianza. Il 20 novembre l’approfondimento è di Nicol Degli Innocenti. Secondo la giornalista il Fondo monetario esce vittorioso dall’incontro di Manila, così come volevano gli Usa, timorosi che un fondo indipendente non avrebbe portato alle riforme necessarie per un vero risanamento. Il Fondo monetario costituirà la “prima linea” di finanziamento, mentre la “seconda linea” sarà portata avanti da altri paesi. In ogni caso i paesi “salvati” dovranno rispettare rigorosamente i dettami dell’Fmi399. Il 19 novembre La Repubblica presenta un’analisi di Mario Sarcinelli (presidente della Bnl): “La grande crisi delle Tigri d’oriente”. Preso atto che le crisi finanziarie vantano orami secoli di storia, Sarcinelli si chiede quale sia il ruolo del fattore umano nella prevenzione e nel controllo delle aree di propagazione dei focolai, e afferma: “[…] Il vero punto cruciale è quello dell’etica, che in un mondo globalizzato e fortemente sensibile all’incentivo economico sembra non avere più quella base socioculturale che ne ha fatto per secoli il meccanismo di controllo dell’agire umano. […]”400.

Sulla capacità del mercato di punire o condizionare attraverso incentivi economici: “[…] Il mercato tuttavia presuppone un atteggiamento cooperativo, di buona fede da parte di tutti i partecipanti: può punire ex posto comportamenti opportunistici e fraudolenti, ma non può prevenirli. […]”401. Per questo alla

fine Sarcinelli individua nel fattore umano il campo d’azione scientifica ma anche culturale, per un’attività, la gestione e il controllo dei rischi, ritenuta dall’autore più un’arte che una scienza. Il Corriere della Sera pubblica un’intervento di Fabrizio Onida (presidente dell’Ice), sulla falsariga di quello di Sarcinelli su Repubblica pone l’accento sulle regole. “[…] …mercati finanziari aperti e liberalizzati non si aggiustano da soli, bensì occorrono regole di vigilanza, di trasparenza e di governo perché creditori e debitori operino in condizioni di vera concorrenza e di efficiente ripartizione dei rischi. In altre parole: un vero e moderno capitalismo globale, va accompagnato da una sana regolamentazione degli operatori finanziari e da un progetto cooperativo a livello di istituzioni e di regole del gioco. […]”402.

Alla fine Onida rilancia il ruolo da protagonista della regione asiatica per i prossimi anni, dato che possiede le risorse e le possibilità per continuare a crescere e conquistare mercati e 398

Vedi p. 192, nota311 * Degli Innocenti N., Aiuti all'Asia, intesa a Manila, «Il Sole 24 Ore», 20 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 400 * Sarcinelli M., La grande crisi delle Tigri d'oriente, «La Repubblica», 19 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 37 401 Ivi 402 * Onida F., L'Asia si dia regole. E lo sviluppo ripartirà, «Il Corriere della Sera», 19 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 399

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consiglia agli imprenditori di investire per posizionarsi come “insiders” nel mercato dinamico e aggressivo di quei paesi403. Prima del vertice Apec di Vancouver, il Sole 24 Ore riguardo alle analisi e alle strategie diplomatiche, comunica la volontà dei membri europei del G-7 (che hanno inviato una lettera al presidente Usa e al primo ministro giapponese), di partecipare alla riunione di Vancouver per discutere sulle possibilità di uscita dalla crisi, mentre il Corriere della Sera, il 21 novembre, riporta una notizia del Financial Times, che descrive la grande paura deflattiva occidentale. La consequenzialità della deflazione è simile a quella esposta il 5 novembre su Repubblica da Kenneth Courtis, con la differenza che la svalutazione dello yen invece che tradursi nella vendita di buoni del tesoro americani, va a intaccare l’economia reale costringendo al ribasso dei prezzi anche in Occidente. Riportiamo le parole di Danilo Taino: “[…] Fatto sta che l’allarme deflazione è lanciato e ora è il primo dossier sul tavolo dei politici seri e dei banchieri centrali. «La minaccia deve essere eliminata ora» dice l’Ft. Che chiarisce: «Non è tempo di politiche deflazionistiche ortodosse » le banche centrali devono guardarsi dal far salire i tassi di interesse; gli interventi di salvataggio internazionali devono essere ampi, per dare sicurezze; soprattutto, il Giappone deve sostenere le sue banche, mettere ordine nel sistema finanziario e aiutare ad evitare che il rischio si propaghi. «E deve farlo ora», dice il quotidiano finanziario: «L’economia mondiale rischia di bruciare»”404. Il giorno successivo,

Mario Talamona, sul Corriere, riprende l’articolo del Financial Times e senza farsi troppo suggestionare dal rischio di una crisi mondiale, ravvisa il pericolo e avverte che in questa situazione l’ultima cosa necessaria è una politica monetaria restrittiva, un segnale in controtendenza con la ricetta Fmi. Ma veniamo all’incontro tra le potenze che tentano di risolvere la crisi: il vertice di Vancouver. Il Sole 24 Ore, il 23 novembre riporta l’evento in prima pagina con rimando in seconda. L’articolo è di Mario Platero, che descrivendo le iniziative internazionali, prende sul serio il pericolo di deflazione e contagio. L’autore focalizza tre punti: 1. Lancio di un nuovo fondo di stabilizzazione per la regione asiatica 2. Una missione del Fondo Monetario Internazionale in Corea del Sud per valutare le vere dimensioni della crisi di liquidità 3. scadenze a breve per le riunioni del gruppo dei sette per coordinare al meglio le politiche Fmi per circoscrivere la crisi

403

Ivi * Taino D., La nuova paura del mondo si chiama deflazione, «Il Corriere della Sera», 21 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 404

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Lo stesso giorno il Corriere della Sera riporta le dichiarazioni del presidente americano Clinton ai paesi dell’Apec: “Dovete coordinarvi per uscire dalla crisi”405. Ennio Caretto però scrive che non è chiaro se gli Usa siano disposti ad aiutare la Corea come col Messico. E anche le previsioni di crescita dell’Apec dovranno essere riviste al ribasso. Tuttavia la volontà degli Stati Uniti è quella di non cedere sul fronte della liberalizzazione degli scambi, ma per farlo deve risolvere una crisi di credibilità internazionale406. “[…] Gli artigli delle “Tigri d’Oriente” sono spuntati: invece di commercio e liberalizzazione, si parla di crisi finanziaria e di possibili misure protezionistiche. […]”407. Non sembra però che gli aiuti americani vadano al di là delle promesse

di coordinamento tra la Fed e Il Fondo Monetario408. La Repubblica è più ottimista sull’apporto internazionale alla crisi. “[…] Dal vertice Apec, naturalmente, arrivano promesse incoraggianti. Nessuno vuole che l’uragano sudcoreano finisca per travolgere anche il Giappone, dove la situazione è tutt’altro che serena. Ecco perché tutti si stanno mobilitando: dal Fondo monetario, che ha mandato i suoi uomini a Seul; al G-7 che ipotizza una riunione d’emergenza a New York. Ma solo oggi si capirà se i mercati finanziari si fideranno.”409.

La finestra di Vancouver, dalla quale i Grandi osservano i problemi dell’Asia, forse è troppo lontana dagli effetti reali della crisi. Clinton continua a sostenere che questa non è che “un incidente di percorso”410, mentre gli accordi per aiuti nippo-americani alla Corea sono fermi. C’è indecisione anche sulla proposta di un fondo asiatico “stand-by” discusso nel vertice di Manila411, mentre la liberalizzazione degli scambi rimane “una priorità”412. Il 25 novembre La Repubblica presenta ancora un’analisi di Marcello De Cecco: “E ora le Tigri vanno a Canossa”413 . De Cecco interpreta gli avvenimenti addebitando infine agli Stati Uniti gli

sviluppi della situazione. Dopo che infatti gli Usa sono riusciti a bloccare ogni iniziativa regionale per far fronte alla crisi, mettendo il presunto fondo asiatico sotto la guida Fmi, l’istituzione internazionale potrebbe non avere abbastanza fondi per implementare le riforme richieste nei paesi che ne hanno richiesto l’aiuto. De Cecco nota infatti come i fondi di cui * Caretto E., Apello di Clinton ai Paesi dell'Apec: "Dovete coordinarvi per uscire dalla crisi", «Il Corriere della Sera», 23 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 406 * Roveda D., Dalla crisi asiatica un duro colpo per il nuovo West americano, «Il Sole 24 Ore», 23 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 * Platero M., Ma Clinton al vertice Apec non intende rinunciare all'apertura commerciale, «Il Sole 24 Ore», 23 novembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 407 Vedi nota406, Platero M, Ma Clinton… 408 * Caretto E., Clinton in soccorso delle "tigri" d'Asia, «Il Corriere della Sera», 24 novembre 1997, sezione “Esteri”, p. 10 409 * Zampaglione A., Vertice a Vancouver per salvare le Tigri, «La Repubblica», 24 novembre 1997, sezione “Mondo”, p. 14 410 Vedi p. 196, nota330 411 Ivi 412 * Roveda D., Nel Pacifico il crack non frena la liberalizzazione degli scambi, «Il Sole 24 Ore», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 413 * De Cecco M., E ora le Tigri vanno a Canossa, «La Repubblica», 25 novembre 1997, p. 1/32 405

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II. La ricerca sui giornali

dispone l’Fmi siano grandi, ma limitati e quest’ultimo non sia allora un vero prestatore di ultima istanza. Questo in realtà è la stessa Federal Reserve. L’incapacità del governo giapponese di mettere mano a possibili soluzioni a causa dei diktat americani, potrebbe causare un riflusso dei crediti che il paese ha diffuso nel mondo, tanto che colpendo i mercati periferici come America Latina ed Europa dell’Est, il contagio potrebbe espandersi velocemente ai centri della finanza mondiale414. De Cecco è però una voce fuori dal coro, anche nel giornale su cui scrive. Le altre opinioni sono più in linea con la valutazione di Alessandro Penati sul Corriere della Sera: la situazione giapponese è attribuibile alla mancata volontà di introdurre vere riforme strutturali, e la crisi asiatica non porterà serie conseguenze sull’economia europea e americana415. Lo stesso giornale, sempre il 25 novembre, annuncia che gli americani sarebbero pronti a mettere a punto una “seconda linea di difesa”, cioè fondi aggiuntivi a quelli del Fondo monetario. Ennio Caretto scrive però che: “[…] Tra le Tigri, il cauto ottimismo clintoniano ha incontrato scarsi consensi. La Thailandia ha ammonito che se il vertice Apec non sfocerà «in un ampio e drammatico intervento a favore dell’Asia, le ripercussioni saranno disastrose». Il premier della Malaysia, Mahathir Mohamad, ha ribadito la sua denuncia delle grandi potenze economiche: «Il mercato sta diventando un dogma come lo Stato lo fu nel comunismo… anche questa è una forma inaccettabile di estremismo». […]”416. Il Sole 24 Ore il 26

novembre riporta un’intervista ad Allen Sinai, noto economista americano che afferma che la crisi dipende dalla difesa del bastione giapponese. Egli non concede alcuno sconto al Sol Levante, che: “[…] …dovrà rispondere con l’uso di fondi pubblici e dovrà mettere in campo una risposta rapida, un’operazione di salvataggio. Occorrono finanziamenti per il consolidamento degli istituti bancari e finanziari, ma anche per fornire prestiti-ponte al di fuori del paese per difendere aziende in difficoltà. Ci vuole insomma una riposta coordinata del Fondo monetario e di Tokio. E le autorità nipponiche devono assumersi i costi dei prestiti in sofferenza e della ristrutturazione del loro sistema finanziario. […]”417.

Mario Platero nella stessa pagina, riporta i risultati del vertice: 1. Delega della completa autorità gestionale della crisi al Fondo monetario 2. Mobilitazione di risorse in un contesto “mutualistico” per la regione 3. Forte sostegno al percorso, iniziato a Manila, per la creazione di un Fondo asiatico di stabilizzazione

414

Ivi * Penati A., E non è finita qui, «Il Corriere della Sera», 25 novembre 1997, p. 1/4 416 * Caretto E., Giù le Borse, ma Clinton rilancia gli aiuti all'Asia, «Il Corriere della Sera», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 5 417 * Valsania M., Allen Sinai: Occorre agire in fretta, «Il Sole 24 Ore», 26 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 415

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L’esplosione della crisi

L’inviato, riassume così l’ultima tornata diplomatica, dal vertice di Hong Kong di settembre: “Già alle riunioni annuali di Hong Kong ci si aspettava maggiore chiarezza. Si decise allora di rimandare il tutto a un vertice a Washington che non si è mai tenuto. C’è stato l’incontro tecnico a Manila la settimana scorsa e ci si aspettava una comunicazione a Vancouver che come abbiamo visto non c’è stata. In questo contesto appaiono più significativi i messaggi molto duri inviati dal presidente Bill Clinton ai suoi interlocutori durante gli incontri bilaterali: occorre procedere con le riforme strutturali, occorre evitare nuove svalutazioni competitive. Un segno questo, che l’America è preoccupata, ma anche che cerca di approfittare dell’occasione per imporre riforme di mercato alle quali la cultura economica asiatica resiste da almeno dieci anni.”418 .

Il Corriere, il 26 novembre, valuta così il vertice di Vancouver: “[…] Di fatto, l’Apec ascia così Vancouver diviso, nonostante l’apparente unanimità del comunicato. Da un lato, ci sono l’America e il Giappone, che sembrano pensare che il peggio sta passando, e che non intendono impegnarsi direttamente nella soluzione della crisi […]. Dall’altro ci sono le «tigri», secondo cui il peggio deve ancora venire, e l’America si sveglierà solo quando vedrà che è in pericolo anche il Giappone. […]”419 .

Alla fine di novembre, i commenti di Repubblica e Corriere sulle borse sembrano essere tutto sommato positivi420, mentre il Sole 24 Ore, tornando al problema della soluzione della crisi, riporta l’opinione del capo della missione del Fondo monetario a Seul secondo cui fin che non si sarà presa una decisione sulla Corea, tutto il meccanismo per la creazione del fondo di stabilità asiatico resterà bloccato421.

3.21 Sospesi sul baratro La crisi che ha colpito i “pilastri dell’Asia”, e in particolare la Corea, strozzata dall’alto tasso di indebitamento con l’estero, come abbiamo visto cambia la sua natura e da valutaria diventa finanziaria e bancaria. Nonostante i pareri ottimisti di alcuni esperti, le possibilità che la crisi intacchi davvero i centri della finanza mondiale aumentano e di conseguenza si moltiplicano gli articoli sulla Corea e sulle soluzioni che i Grandi sono ora costretti ad attuare

418

Vedi p. 203, nota367 * Caretto E., Salvagente finanziario per le Tigri d'Asia, «Il Corriere della Sera», 26 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 420 * Non firmato, Non un disastro, l'economia reale è sempre forte, «La Repubblica», 26 novembre 1997, sezione “La crisi asiatica”, p. 4 * Non firmato, Cala la febbre d'Oriente. Sui mercati torna la calma, «La Repubblica», 27 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 29 * Turani G., Il crac asiatico può diventare boom, «La Repubblica», 30 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 25 * Cecchini M., Lord Simon:"La crisi nel far East non intaccherà l'economia europea", «Il Corriere della Sera», 29 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 421 * Platero M., Il Fondo Monetario chiede tempo per un piano di risanamento reale, «Il Sole 24 Ore», 29 novembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 419

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II. La ricerca sui giornali

per evitare il collasso. Il Corriere della Sera si esprime già il 29 novembre422 con un reportage dall’interno della società coreana, umiliata dalla perdita di sovranità conseguente la richiesta di auto al Fondo Monetario Internazionale. “[…] La Corea è in bancarotta ma per orgoglio rifiuta di ammetterlo. «Il nostro caso non ha nulla in comune con quelli della Thailandia e dell’Indonesia. Abbiamo bisogno di una semplice immissione di liquidità, piuttosto che di interventi nel sistema economico» ha detto il vice premier e ministro delle finanze Li mChang Yuel. Gli inviati del Fondo Monetario hanno un parere diverso. In cambio dei soccorsi si preparano ad esigere una pura rivoluzione: abbandono del sistema dirigista, privatizzazione delle aziende di Stato, riduzione della spesa pubblica e aumenti fiscali, chiusure di banche e d fabbriche, taglio delle capacità produttive in eccesso, mobilità del lavoro e libertà di licenziamento, apertura alla concorrenza straniera in tutti i campi. Chiedono insomma la rinuncia al modello di sviluppo seguito, lo smantellamento di “Korea, Inc.” […]”423. Anche se l’autore, Renato Ferraro, riporta le opinioni

della gente comune, il giornale esprime una critica implicita all’operato del Fondo. Riforme troppo dure, tanto da generare vive proteste nella popolazione, attaccata nei costumi come nei metodi organizzativi dalle riforme del Fondo. A fianco c’è però l’intervista al ministro inglese delle finanze Lord Simon, che minimizza ancora i rischi delle implicazioni per l’occidente424. Il 30 ottobre, sempre l’inviato del Corriere dedica un articolo alla ventata di licenziamenti (si stima il 30% del personale) specie nelle grandi conglomerate (chaebol). Il Sole 24 ore il 30 novembre riporta che l’indice della Borsa coreana crolla in seguito: “[…] al timore che le politiche di austerità e le restrizioni al credito, condizioni per ottenere l’aiuto del Fondo Monetario internazionale, portino a un’ondata di fallimenti societari […]”425.

Nelle prime due settimane di dicembre sono Il Corriere e il Sole 24 Ore a riportare la maggior parte degli articoli sulla Corea ma con ovvie diversità. La Borsa coreana infatti scivola ancora. Il corriere titola: “Ma i duri sacrifici imposti dal Fondo fanno crollare Borsa e won”426 , il Sole 24 Ore, in prima pagina: “Seul, ok agli aiuti. Wall street torna sopra quota 8.000”427. Il 2 dicembre arriva la notizia del raggiungimento dell’accordo tra il Fondo Monetario e la Corea. Michel Cadmessus, dinanzi agli impegni del Fondo in molti paesi dell’Asia, ne teme una possibile bancarotta428, ma negli aiuti a Seul entrano anche la Banca Mondiale e alcuni grandi paesi come Stati Uniti e Giappone. Proprio le implicazioni sul Giappone della crisi coreana impegnano l’analisi dell’economista De Cecco in prima pagine dell’ “Affari & finanza” di 422

* Ferraro R., In Corea l'incubo austerità, , «Il Corriere della Sera», 29 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 423 Ivi 424 Vedi p. 215, nota420, Cecchini M., Lord Simon… 425 * Degli Innocenti N., Crisi a Seul, brivido in Borsa, «Il Sole 24 Ore», 30 novembre 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 3 426 * Ferraro R., Ma i duri sacrifici imposti dal Fondo fanno crollare Borsa e Won, «Il Corriere della Sera», 3 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 25 427 * Non firmato, Seul, ok agli aiuti. Wall Street torna sopra quota 8.000, «Il Sole 24 Ore», 2 dicembre 1997, p. 1 428 Vedi nota426 216


L’esplosione della crisi

Repubblica del 1 dicembre: “Il Giappone e il punto di fusione”. De Cecco riprende i temi già trattati circa l’azione statunitense di impedire un “fondo asiatico” indipendente dal Fmi. Ma afferma che, seppur vincente, la linea americana non ha prodotto grandi risultati, dato che il Sol Levante punta alle esportazioni per il suo rilancio economico e che queste manovre politiche non hanno fatto altro che aumentare a confusione a Tokio. “[…] Autorevoli economisti come Jeffrey Sachs, vanno tuttavia dichiarando che gli interventi dell’Fmi sono controproducenti, perché rendono ancor più brutale la deflazione della domanda interna in un’area che già soffre di un tasso di risparmio privato eccessivo e dunque di un troppo forte incentivo alle esportazioni. […]”429. La conclusione di De

Cecco è che la ricetta Fmi, che impone di razionalizzare i sistemi finanziari asiatici anche abbandonando le banche in perdita al loro destino, provochi una disastrosa crisi di fiducia e l’unico modo per scongiurarla sarebbe iniettare massicce dosi di denaro pubblico nel circuito finanziario, come del resto prova l’esperienza del salvataggio delle banche americane dopo la speculazione immobiliare degli anni ’80. Ma “[…] Ciò non sembra, purtroppo, avvenire ancora. Avverrà certamente solo se il sistema finanziario americano sarà direttamente minacciato. Fino a questo momento durerà la predicazione del Vangelo del libero mercato […]” 430.

A fianco dell’analisi di De Cecco, Vittorio Zucconi riporta da Washington le preoccupazioni per un possibile effetto domino in Asia. “[…] Se cade il Giappone, si dice facendo gli scongiuri nei palazzi del governo a Washington, a Wall Street, nelle banche internazionali, al Fondo Monetario, cade tutto il “domino” asiatico. E se cade il domino asiatico, non resteremo in piedi. […]”. E ancora: “[…] È possibile che in soli 10 anni, […] la regina sia tornata una cenerentola, come allo scoccare di una malvagia mezzanotte? È possibile che la più brava della classe sia diventata la più somara? […]”. La risposta per

Zucconi è affermativa e descrive cinicamente il caso giapponese come una messinscena tradizionale caduta in crisi per le sue stesse maschere dinanzi al vento innovatore della globalizzazione. “[...] E sotto affiora il volto che sempre è stato, ma che era assai difficile da vedere: il volto di una società arcaica, di una cultura baronale e squisitamente corrotta, che ha servito meravigliosamente bene i propri interessi e quelli dello sviluppo a tappe forzate. Ma non è più all’altezza del nuovo show di cartello, la mondializzazione dell’economia. […] È una crisi necessaria, addirittura utile, che non poteva non arrivare. […] E se questo (la liberalizzazione dei mercati) dovesse costare lacrime e sangue alle mama-san e ai papa-san che per mezzo secolo hanno dato il sangue per il nuovo impero, pazienza. In una nazione che ha sopportato Hiroshima e Nagasaki per non far dispiacere al suo Imperatore, il fallimento di una casa di borsa e delle famiglie che vi avevano riposto i loro risparmi è un piccolo prezzo da pagare per tornare al “Nihon Ichiban”, al Giappone numero uno. […]” 431.

* De Cecco M., Il Giappone e il punto di fusione , «La Repubblica», 1 dicembre 1997, sezione Affari & finanza, anno XII, n. 40, p. 1/12 430 Ivi 431 * Zucconi V., Il fantasma dell'effetto domino, «La Repubblica», 1 dicembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 40, p. 1/13 429

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II. La ricerca sui giornali

Il 2 dicembre interviene su Repubblica in prima pagina Ralf Dahrendorf che mette in luce il ruolo chiave delle banche quale anello di congiuntura tra il mondo dell’economia reale e quello della finanza e che ormai diventa doveroso introdurre seri controlli da parte degli stati ma occorre anche fare in modo che le banche si mantengano sul terreno dell’economia reale432. Dopo i pareri di questi influenti opinionisti torniamo alle notizie dalla Corea. La Repubblica dedica solo due articoli il 4 e il 9 dicembre, il primo sulla partecipazione italiana agli aiuti a Seul, il secondo sull’ennesimo crollo dell’economia del paese433. Il Sole 24 Ore il 3 dicembre specifica più chiaramente i termini dell’accordo raggiunto con il Fondo monetario nel vertice a Kuala Lumpur, e aggiunge dettagli nei giorni seguenti. I dettagli delle riforme e dell’ammontare degli aiuti434 lasciano spazio sulle cronache alla ripresa della Borsa di Seul il 5 e il 6 dicembre435 e al suo successivo ennesimo crollo il 10, 12 e 13 dicembre436. Il Corriere della Sera segue da vicino il Sole 24 Ore, con la differenza che il 7 dicembre annuncia il crollo della Borsa coreana, (il giorno prima il Sole 24 Ore titola “Si rianima la Borsa a Seul”437 notizia che si ripete il 10, 11, 12, e 13 del mese438.

* Dahrendorf R., La febbre asiatica il male dei mercati, «La Repubblica», 2 dicembre 1997, p. 1/30 * Signoretti F.M., L'Italia in soccorso di Seul e arriva il prestito Fmi, «La Repubblica», 4 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 37 * Occorsio E., Asia peggio del Messico. E in Corea è ancora crollo, «La Repubblica», 9 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 434 * Non firmato, Corea, salvataggio da 55mld di dollari, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, p. 1 * Calcaterra M., Pacchetto record per Seul, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Es. R., Prodi: parteciperà anche l'Italia, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Degli Innocenti N., Ora per la Corea è tempo di riforme, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Non firmato, Corea, gli aiuti saliti a 57 miliardi di dollari, «Il Sole 24 Ore», 5 dicembre 1997, p. 1 435 *Calcaterra M., La Borsa coreana rimbalza del 7%, «Il Sole 24 Ore», 5 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 * Calcaterra M., Si rianima la borsa a Seul, «Il Sole 24 Ore», 6 dicembre 1997, sezione, “Politica ed economia internazionali”, p. 6 436 * Calcaterra M., Seul, discesa infinita per Borsa e won, «Il Sole 24 Ore», 10 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9 * Non firmato, Crolla la moneta coreana. Vola il surplus giapponese, «Il Sole 24 Ore», 11 dicembre 1997, p. 1 * Calcaterra M., A Seul il won è in caduta libera: scambi sospesi per eccesso di ribasso, «Il Sole 24 Ore», 11 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Non firmato, Corea, crisi più grave. Borse mondiali in calo, «Il Sole 24 Ore», 12 dicembre 1997, p. 1 * Es. R., Crolla Seul, tremano i mercati asiatici, «Il Sole 24 Ore», 12 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 437 Vedi nota435, Calcaterra M., Si rianima… 438 * Ferraro R., Un nuovo tracollo a Seul, «Il Corriere della Sera», 7 dicembre 1997, sezione “Economia”, p., 23 * Ferraro R., Mercato a picco in Corea, debito estero superiore al previsto, «Il Corriere della Sera», 10 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 23 * Ferraro R., Nuovo crollo del won e a Seul è ancora panico. Il premier si scusa in tv: il disastro è colpa mia, «Il Corriere della Sera», 12 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 * Cingolani S., Perché pagare per la Corea?, «Il Corriere della Sera», 13 dicembre 1997, p. 1/14 432 433

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L’esplosione della crisi

Il 13 dicembre sia il Corriere che il Sole (quest’ultimo in prima pagina) riportano la richiesta di aiuto della Corea a Giappone e Stati Uniti. Washington risponde picche alla richiesta di aiuto, sostenendo che non sono possibili altri aiuti al fuori di quelli già concordati con il Fondo monetario, tuttavia, nell’articolo di Ennio Caretto che Il Corriere pubblica in prima pagina della sezione “Economia”, si sospetta che lo stesso Robert Rubin giudichi insufficienti i prestiti Fmi. Addirittura, in quello a fianco, di Renato Ferraro, si afferma senza più remore: “Il programma d’emergenza prescritto dal Fondo monetario alla Corea è sbagliato: lo affermano economisti e politici coreani, e cominciano a sostenerlo anche stranieri che operano nel Paese. «Il piano non ha raggiunto il suo obiettivo fondamentale. Doveva ristabilire calma e fiducia, invece si è passati dalla paura al panico» dichiara Michael Brown, Manager della First Chicago Bank e presidente della camera di commercio americana a Seul. […]”439. Stephen Marvin, economista della finanziaria Ssangyong, dice che “[…] Soprattutto occorre subito più denaro, oppure più pazienza dei creditori, perché a fine anno scadono debiti per 20 miliardi mentre Fmi e Banca Mondiale ne consegneranno 9. […]”440. Le “aspre” trattative

con il Fondo monetario non spaventano però i coreani. “[…] (Essi, n.d.r.) Sono convinti che il mondo non possa lasciarli affondare, perché un ulteriore forte svalutazione del won darebbe il via ad un domino distruttivo: cadrebbero lo yen e la Borsa di Tokio, le banche giapponesi sarebbero costrette a vendere le obbligazioni americane in portafoglio ed allora negli Usa salirebbero i tassi e crollerebbero le azioni, provocando disastri in tutte le piazze finanziarie. […]”441. Cominciano a prevalere sul Corriere della

Sera le voci critiche. Stephen Marvin, alla fine dell’articolo: “[…] «In un’economia con investimenti che crollano, consumi interni fermi ed inflazione bassa, se si taglia la spesa pubblica, si aumentano le imposte e si fanno salire i tassi di interesse, oggi al 25%, il risultato è la paralisi. […] I tecnici dell’Fmi non hanno compreso la situazione coreana, come non l’avevano compresa in settembre, quando avevano previsto una crescita del6,6% per il ’98 e avevano fatto i complimenti al governo»”442.

Anche il Sole 24 Ore inizia il pezzo in prima pagina con la convinzione che i prestiti del Fondo per la Corea non siano sufficienti. Secondo l’analisi di Alessandro Corneli: “[…] La crisi attuale offre all’Asia l’occasione di adottare una forte dose di democrazia liberale per rifondare un’economia autenticamente di mercato […]”. Gli articoli di Nicol Degli Innocenti e Mario Platero a pagina 3,

ribadiscono rispettivamente il primo l’insufficienza degli aiuti e l’incertezza politica per le elezioni imminenti in Corea del Sud, il secondo la volontà degli Usa di non concedere anticipi sui fondi, insieme alle montanti critiche all’operato del Fondo monetario. Platero riporta come l’economista Jeffrey Sachs, contrario all’imposizione di rigide condizionalità da parte dell’Fmi, sia etichettato da fonti di Washington come un enfant terrible, mentre l’arrivo del

439

* Ferraro R., E a Seul c'è il panico: "Gli aiuti del Fmi non bastano", «Il Corriere della Sera», 13 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 440 Ivi 441 Ivi 442 Ivi 219


II. La ricerca sui giornali

ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel alla Casa Bianca sia il segno che gli americani non stiano affatto sottovalutando la crisi. Tuttavia il giornale si unisce alla critica sul ritardo dell’azione del Fondo monetario: “[…] Le critiche per la gestione di questa crisi infine assumono maggiore credibilità quando si tratta di valutare i tempi di reazione alla crisi, soprattutto a quella coreana. Il Fondo era al corrente dei problemi da oltre un anno, ma ha aspettato ad intervenire. Oggi ci si trova nella condizione peggiore, con un programma restrittivo firmato alla vigilia di difficilissime elezioni politiche. […]”443.

Ma prima di continuare l’excursus sulle vicende di Seul, occorre leggere le opinioni dei giornali sulla crisi nel suo complesso.

3.22 Dal mercato allo Stato La Repubblica il 2 dicembre cita il Wall Street Journal per dire che “Nell’Asia del Pacifico ad entrare in crisi […] è stata la vera e propria essenza dei “valori asiatici”, in base ai quali i poteri del posto si ritenevano in possesso di qualche forma di superiorità che potesse prescindere da un esatto conteggio dell’attivo e del passivo. Avevano impostato una sorta di malinteso paternalismo, e usavano i flussi di capitale per mantenersi in sella. Anche la democrazia era travalicata in nome dello sviluppo economico. Tutto questo non regge più”444. Il Sole 24 Ore è come al solito più tecnico e più preciso. Il 4 dicembre

Fabrizio Galimberti pubblica in prima pagina un’editoriale in cui scrive che la crisi è passata alla “fase due”. Posta la prima fase quella successiva alla “caduta contemporanea di Borse e valute” seguita all’ondata di sfiducia verso le nuove Tigri, la fase due vede la stabilizzazione delle Borse ma una persistente fragilità valutaria. Questa è dovuta, oltre che al ritiro dei capitali, alla volontà di rilancio delle esportazioni, anche laddove, come nel caso del Giappone, il paese vanta un enorme surplus commerciale. Ciò che non emerge con chiarezza dall’articolo di Galimberti è però che la svalutazione delle monete non è stata, ad eccezione forse del Giappone, una mossa “volontaria”, tant’è che prima di chiedere aiuto al Fondo monetario, le banche centrali di questi paesi hanno dilapidato inutilmente le loro riserve di valuta estera nel tentativo di difendere il cambio. Galimberti conclude che la svalutazione avrà comunque effetti limitati sui paesi occidentali, piuttosto “[…] La sofferenza dell’Asia, insomma, diventa semplice correzione di rotta in Europa: e la rotta continua ad essere quella di una crescita senza inflazione”445.

* Platero M., Ma gli Usa replicano: niente anticipi sui fondi, «Il Sole 24 Ore», 13 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 444 * Non firmato, The Wall Street Journal - La lezione dell'Asia, «La Repubblica», 2 dicembre 1997, sezione “Commenti”,p. 15 445 * Galimberti F., Correzione di rotta, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, p. 1/4 443

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L’esplosione della crisi

Il 3 dicembre Repubblica titola “Dall’Fmi ultimo avviso per l’Asia”, firmato Gianfranco Modolo. L’articolo riporta le dichiarazioni di Cadmessus circa il salvataggio in extremis della Corea e le aspettative del Fondo circa le riforme negli altri Paesi446. A fianco, l’intervista a un operatore finanziario (Giovanni Grimaldi), consiglia i risparmiatori di investire nella regione, che ora non potrà far altro che crescere447, cosa ribadita il 7 dicembre dalla rinnovata attenzione dei fondi di investimento nella regione448. Intanto la situazione del Giappone, continua a preoccupare l’Ocse449, che pur consigliando la mano pubblica nel risanamento delle banche in crisi e nel rilancio della domanda, teme che il debito pubblico sfori la quota già raggiunta del 7% del Pil. L’8 dicembre, un’analisi di Federico Rampini sottolinea il pericolo di una crisi russa provocata dal crollo asiatico e tra il 9 e il 13 si susseguono articoli sulla gravità della crisi su tutte le Borse del sud est asiatico450, ma con una certezza: la corsa del dollaro. L’articolo di Eugenio Occorsio del 9 dicembre non si allinea però a chi afferma che il peggio è passato, né alle previsioni di scarso impatto della crisi. Riportando la riunione di Basilea tra i banchieri centrali G-10, osserva che nonostante le dichiarazioni ottimiste come quelle di Hans Tietmeyer, c’è forte preoccupazione perché la crisi ha raggiunto una dimensione assai più grande di quella messicana. Il Sole 24 Ore, il 4 dicembre ospita le dichiarazioni di Robert Rubin, il quale è convinto che il programma concordato con l’Fmi circa gli aiuti alla Corea sia “robusto” e afferma che gli aiuti supplementari di parte Usa (5 miliardi di dollari) sono strettamente vincolati alle riforme economiche. Dalla cronaca del giornale emergono discrepanze nel pensiero di Rubin e Greenspan: mentre vengono lodate le garanzie di stato giapponesi ai risparmiatori e il risanamento dei sistemi bancari in Asia, non accettano alcun tipo di controllo sui flussi finanziari internazionali, posizione del resto ribadita con forza dagli Usa al vertice di Vancouver. Nella stessa pagina, un articolo di Lawrence Klein, premio nobel per l’economia, afferma che le cause della crisi in Asia erano ravvisabili già nel 1995. Lo studio approfondito condotto dal professore conclude che il dramma thailandese (e le Filippine si trovavano nella 446

* Modolo G., Dall'Fmi ultimo avviso per l'Asia, «La Repubblica», 3 dicembre 1997, sezione “Economia”, p.

27 * Modolo G., E' di nuovo il momento di comprare, «La Repubblica», 3 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 448 * Gabbiano M., Asia, il peggio è passato Tornate a investire, «La Repubblica», 7 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 33 449 * Ricci M., La crisi del Pacifico frena la ripresa a Tokio, «La Repubblica», 3 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 450 * Non firmato, Torna la bufera sulla valute orientali e soltanto re dollaro prende il largo, «La Repubblica», 9 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 * Signoretti F.M., Febbre asiatica su tutti i mercati, «La Repubblica», 12 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 * Gianola R., La crisi preoccupa la City Il pericolo non è passato, «La Repubblica», 12 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 447

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II. La ricerca sui giornali

stessa condizione), è scaturito dalla parità col dollaro mente le esportazioni soffrivano la spietata concorrenza cinese451. A conferma dell’intensificazione degli sforzi internazionali nella soluzione della crisi coreana, interviene Renato Ruggero, presidente del Wto: “Aiutare Seul conviene a tutti”452. Ruggiero sottolinea l’importanza del mercato coreano, ma rifiuta le critiche alla globalizzazione in sé orientandole sulla discrepanza tra le politiche economiche globali e quelle di ciascun paese. Anche gli sforzi europei per il salvataggio coreano descritti da Adriana Cerretelli nello stessa pagina, vanno nella direzione non solo di aiutare un mercato in difficoltà, ma di impedire che cada la torre d’avorio giapponese453. Alessandro Plateroti rileva il 5 dicembre come i big di Washington entrano nel mercato coreano approfittando della liberalizzazione dei settori e dei fallimenti di tante società ancora floride dal punto di vista impiantistico e produttivo454. Il 7 dicembre in prima pagina, Domenico Siniscalco dopo aver ribadito le storture coreane e giudicato positivamente le riforme imposte dal Fondo monetario, si augura che non accadano ulteriori sconvolgimenti politici che possano mettere in discussione il percorso affrontato455. L’11 dicembre importanti precisazioni dal Sole 24 Ore. Alessandro Plateroti riporta l’istituzione dello sportello per i prestiti del Fondo monetario, chiamato Supplemental Reserve Facility, con tutte le clausole : 1. Il periodo di rimborso dei prestiti sarà più breve di quello normale del Fondo monetario (“[…] quattro rate trimestrali dopo un periodo di due-tre anni di grazia […]”). 2. Tassi di interesse più alti (4,7%) rispetto a quelli correnti dell’Fmi Questi provvedimenti sarebbero stati adottati per ridurre il rischio di “moral hazard”: “[…] …cioè che gli interventi delle istituzioni finanziarie internazionali vengano interpretati come un segnale che, per quanto rischiosi siano i comportamenti di Governi e di operatori economici e finanziari, c’è sempre una rete di sicurezza. […]”456. Il Fondo monetario ha così reagito alle critiche mosse su questo punto e

ha assicurato che creditori e azionisti delle aziende in crisi dovranno assumersi le loro perdite.

* Klein L.R., Klein: le radici della crisi erano prevedibili già nel 1995, «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 452 * Pelosi G., Ruggiero: aiutare Seul conviene a tutti, «Il Sole 24 Ore» 5 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 453 * Cerretelli A., Bruxelles: un salvataggio necessario perché il paese possa diventare normale, «Il Sole 24 Ore», 5 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 454 * Plateroti A., Asia, i big Usa a caccia di occasioni, «Il Sole 24 Ore», 5 dicembre 1997, sezione “Finanza & mercati”, p. 31 455 * Siniscalco D., Disciplina per l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 7 dicembre 1997, p. 1/2 456 * Merli A., Fmi, pronto il nuovo sportello per gli aiuti, «Il Sole 24 Ore», 11 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 451

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L’esplosione della crisi

Questa rassegna delle opinioni e delle analisi dei tre giornali fino alla metà di dicembre non può dimenticare i contributi di Marcello De Cecco su Repubblica457, Stefano Cingolani sul Corriere458, e, sul Sole 24 Ore, Michele Calcaterra459, Mario Margiocco460, e Jeffrey Sachs461. Partiamo da De Cecco. L’economista rileva nel suo intervento la difficoltà che le istituzioni internazionali incontreranno nell’implementare le regole “occidentali” in oriente. La sua analisi parte dallo studio di un giurista statunitense svolto per la Banca del Giappone, che evidenzia le diverse strutture di relazioni industriali esistenti nell’ambiente americano, che tenderebbe all’integrazione verticale, e in quello giapponese. Nel Sol Levante si ipotizza che la presenza di accordi industriali tra produttori indipendenti (ad esempio i produttori di carrozzerie distinti dai produttori di auto) sia dovuta alla capacità delle maggioranze azionarie di prevalere sulle minoranze. Questa spiegazione complessa e un po’ tecnica, mira però a sottolineare le differenze procedurali e di usi consolidati tra i due sistemi di capitalismo. De Cecco conclude rivolgendosi a Lawrence Summers e Alan Greenspan:“[…] Forse, però, prima di lagnarsi troppo vivacemente del compito loro toccato (riformare le economie asiatiche, n.d.r.), farebbero bene ad andarsi a leggere alcune memorabili inchieste parlamentari americane sulla gestione delle società per azioni e dei mercati finanziari del loro paese non solo nei decenni ruggenti tra il 1880 e il 1930, ma anche in epoche assai vicine al presente. La lettura li aiuterebbe a meglio comprendere le situazioni asiatiche attuali, forse molto più efficacemente di molte strampalate elucubrazioni antropologiche sulle peculiarità delle società asiatiche e delle eleganti ipotesi di giuristi ed economisti”462.

Stefano Cingolani, sul Corriere, scrive un intervento breve ed efficace che focalizza una questione centrale nell’evoluzione della gestione della crisi: “[…] Perché dobbiamo pagare per i coreani? La domanda è meno provocatoria e qualunquistica di quel che sembra. […] Il segretario del tesoro, Robert Rubin, ha appena respinto una richiesta di aiuto diretto che il Governo di Seul ha rivolto a Stati uniti e Giappone. «Zio Sam deve ancora smaltire quel che ha sborsato solo due anni fa per i vicini messicani […]. E non ha nessun intenzione di ripeter «il bel gesto», anche se finora il bacino del Pacifico veniva considerato il cortile di casa delle grandi multinazionali americane. Così, il mercato puro e duro è costretto a chiedere aiuto allo Stato. Un paradosso che si è verificato altre volte nella storia, anche in Occidente. Ci sono alternative? C’è chi dice che lasciare la Corea al suo destino sarebbe da monito a tutti gli altri. Ma si rischia un crollo finanziario generale, quell’«effetto domino» che dagli anni Trenta in qua toglie il sonno a chi si occupa di

* De Cecco M., E' difficile esportare le regole, «La Repubblica», 15 dicembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 42, p. 1/8 458 Vedi p. 218, nota438 459 * Calcaterra M., E cadono per le Tigri le ultime illusioni, «Il Sole 24 Ore», 12 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p., 6 460 * Margiocco M., Mancur Olson: evitiamo gli errori degli anni Trenta, «Il Sole 24 Ore», 12 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 461 * Sachs J., Tutti gli errori del Fondo monetario, «Il Sole 24 Ore», 13 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 462 Vedi nota457 457

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II. La ricerca sui giornali economia. […]. Le dispute teologiche portano solo in un vicolo cieco. Se si vogliono prevenire le crisi, Stato e mercato funzionano meglio come alleati che come nemici” 463.

La questione degli aiuti pubblici diventa centrale. Mario Margiocco sul Sole 24 Ore intervista l’economista Mancur Olson, professore all’Università del Maryland a College Park. Secondo Olson si dovrebbero evitare gli errori degli anni ’30. Infatti, egli afferma che: “«Adesso i prestatori di ultima istanza, i lenders of last resort, devono fare il loro mestiere, con prudenza ma anche con determinazione ed essere all’altezza del momento». […]”. Il professore pensa infatti che la

crisi non sia ancor al capolinea, anche se i rischi di contagio ai centri nevralgici dell’economia mondiale non sono così automatici. Alla domanda se sia il momento di un prestatore di ultima istanza, risponde: “«Certamente. Io vorrei che in questo frangente il Fondo monetario potesse indebitarsi di più e offrire più sostegno. È il momento di farlo. Purtroppo il Congresso Usa è ostile a questo. Ma Nordamerica, Europa occidentale e Giappone hanno un ruolo particolare. Devono intervenire, attraverso il Fondo e non, naturalmente a fronte di decisi cambiamenti di rotta nei Paesi colpiti. Il Giappone ha un ruolo particolare: è, sì, tra le economie in crisi, ma è anche il gran salvadanaio del mondo, con la sua massa di risparmio. È il momento di agire. Proprio per evitare gli errori degli anni Trenta. […]”464.

Dopo le opinioni del professor Olson, passiamo alle critiche di Jeffrey Sachs, che il Sole 24 Ore per la prima volta pubblica in modo così approfondito: “È giunto il momento che il mondo prenda seriamente in considerazione il Fondo Monetario Internazionale. Negli ultimi tre mesi questa piccola e reticente istituzione ha dettato le condizioni economiche applicabili ai 350 milioni di abitanti di Indonesia, Corea del Sud, Filippine e Thailandia e ha destinato ai prestiti più di 100 miliardi di dollari dei contribuenti. […]”465. Sachs specifica le seguenti critiche:

1. Il Fondo monetario impone ai Paesi trasparenza senza fornire alcuna documentazione 2. Gli economisti del Fondo sono pochi rispetto ai paesi in via di sviluppo che tengono sotto osservazione e a cui consigliano determinati programmi. Le analisi che vengono effettuate non possono avere il necessario grado di accuratezza. 3. La dimostrazione sta nel programma “draconiano” imposto alla Corea, nell’incongruenza delle valutazioni positive delle economie asiatiche fino a tre mesi prima della crisi, per poi accusare i governi di mala gestione economica. 4. La questione asiatica non risiede nello squilibrio dei fondamentali, nonostante la necessità di riforme nel settore finanziario. “[…] I fondamentali dell’Asia sono forieri di una contrazione economica: i bilanci sono a pareggio o registrano un avanzo, l’inflazione è bassa, il

463

Ivi Vedi p. 223, nota460 465 Vedi p. 223, nota461 464

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L’esplosione della crisi risparmio privato è forte, le economie sono pronte per la crescita dell’esportazione. L’Asia non soffre di una crisi dei fondamentali, bensì di un ritiro compiaciuto dei finanziamenti a breve termine, spinto dal riconoscimento dei singoli investitori del fatto che tutti gli altri investitori si stanno ritirando. Dato che i debiti a breve termine superano le riserve di cambio, è “razionale” che i singoli investitori si abbandonino al panico. […]”466.

5. Il Fondo ha sbagliato, durante l’ondata di panico, a sottolineare i punti deboli invece che i punti forti di quelle economie, cosa che avrebbe calmato i mercati. Inoltre, alle prime avvisaglie della crisi, avrebbe potuto esercitare pressioni sulle banche straniere per il rinnovamento dei prestiti a breve termine, dando alla Corea il tempo di effettuare le riforme necessarie. Le conclusioni generali di Sachs sono tre: 1. “[…] Innanzitutto, il Fmi ha troppo potere. Non dovrebbe essere affidata a una singola agenzia la responsabilità della politica economica della metà dei Paesi in via di sviluppo. […]” 467.

2. “[…] …, il braccio esecutivo del Fondo monetario dovrebbe svolgere il suo compito di supervisione dello staff anziché limitarsi ad approvare meccanicamente le proposte. […]”468. Dovrebbe sentire

il parere di esperti esterni e rendere note non solo le conseguenze, ma anche le cause della crisi. 3. Le attività del Fondo dovrebbero essere rese note in modo da generare un dibattito in grado di assicurare la massima professionalità. La situazione, sulle pagine dei giornali, comincia a cambiare. La quantità di articoli circa le storture del capitalismo asiatico e l’ostilità dei governi della regione alle efficienti riforme occidentali, lascia qualche spiraglio alle voci critiche con l’operato del Fondo monetario, specie dinanzi ai risultati deludenti delle azioni condotte sino a questo punto. Il Sole 24 Ore, in particolare, pubblica le opinioni dei sostenitori di un vero creditore di ultima istanza, conclusione logica delle risposte positive dei mercati alle garanzie offerte dai governi nei confronti di risparmiatori e creditori. Il Corriere della Sera, segue gli eventi coreani più da vicino de La Repubblica, che adotta una linea più variegata, rivolta verso le strategie internazionali e Wall Street, mantenendo un taglio in generale più attento alle esigenze degli investitori italiani.

466

Ivi Ivi 468 Ivi 467

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II. La ricerca sui giornali

3.23 Ginevra, Kuala Lumpur, Washington e Seul La tempesta infuria ancora. A Ginevra, le nazioni aderenti al Wto trattano per la liberalizzazione dei servizi finanziari, da Kuala Lumpur i paesi Asean si rivolgono ancora una volta al Giappone e all’America per un aiuto più cospicuo, da Washington Clinton, Rubin, Camdessus e Waigel rispondono picche ma mettono a punto una seconda linea di difesa mentre la Corea cerca un presidente che possa salvare la nazione. Le critiche di Sachs illustrate in precedenza presentano qualche punto ambiguo. Non mettono in discussione la liberalizzazione finanziaria, ma gli effetti delle ventate di panico in un sistema ormai collegato strutturalmente. Anche Fabrizio Galimberti il 14 dicembre, sostiene il processo di liberalizzazione finanziaria e conclude così il suo editoriale in prima pagina il 14 dicembre: “[…] La liberalizzazione avrebbe portato, nei Paesi asiatici, a far prevalere la best practice nella valutazione del rischio rispetto ai criteri politici o peggio: avrebbe evitato il formarsi di enormi sofferenze bancarie. Impedito il gigantismo fine a sé stesso, esaltato lo scrutinio dei mercati sul merito dei singoli istituti di credito. L’accordo di Ginevra (sede della tornata negoziale internazionale sulla liberalizzazione dei servizi finanziari, n.d.r.) è arrivato troppo tardi per evitare le sofferenze, questa volta non solo bancarie, dell’Asia. Ma potrà almeno contribuire a rendere meno facili le crisi prossime venture.”469.

Ai risultati del vertice di Ginevra il Sole 24 Ore dedica altri due articoli470, il Corriere ne parla il 13 dicembre471, La Repubblica il 12 e il 13472, poi si torna alle notizie dal fronte coreano. Il 14 dicembre Nicol Degli Innocenti riporta che lo schieramento dell’opposizione si piega all’Fmi. Ciò si spiega col fatto che dinanzi al rifiuto Usa di elargire ulteriori prestiti senza l’adesione al ferreo programma Fmi, “[..] il presidente Kim Young-sam ieri ha convocato i tre candidati principali alle elezioni del 18 dicembre per mostrare al mondo che l’intero spettro politico è pronto a seguire alla lettera le ricette dell’Fmi. […]”473. Riguardo al cima nel paese “[…] Negli ultimi giorni la questione Fmi ha infiammato gli animi, generando un’ondata di risentimento popolare contro gli stranieri che approfittano della temporanea debolezza del Paese per venire a dettar legge. La stampa e le non oceaniche ma comunque costanti proteste di piazza lanciano pesanti accuse agli Stati Uniti. […]”474. Intanto la borsa e la

* Galimberti F., Antidoto alle crisi, «Il Sole 24 Ore», 14 dicembre 1997, p. 1 * Soldavini P., Nasce la finanza internazionale, «Il Sole 24 Ore», 14 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 3 * Soldavini P., Banche e assicurazioni dovranno essere globali, «Il Sole 24 Ore», 14 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 3 471 * Rastelli P., Servizi finanziari, la maratona finale, «Il Corriere della Sera», 13 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 472 * Tropea S., Servizi finanziari verso l'intesa mondiale, «La Repubblica», 12 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 * Tropea S., Servizi finanziari braccio di ferro al Wto, «La Repubblica», 13 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 33 473 * Degli Innocenti N., Seul l'opposizione si piega all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 14 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 3 474 Ivi 469 470

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L’esplosione della crisi

moneta a causa delle incertezze politiche, crollano. Non si fa mistero però di un incontro tra Waigel, Clinton, Greenspan e Cadmessus per decidere il da farsi in Corea, ipotizzando una “seconda linea di difesa”, dopo la “prima” dell’Fmi. Il Corriere della Sera dedica ben quattro articoli tra il 14 e il 15 dicembre alla situazione coreana. La fermezza americana nel diniego dei fondi aggiuntivi per la Corea, non è un sintomo di immobilismo, dato che a Washington, come riportato dal Sole 24 Ore, si tengono i negoziati tra Germania e stati Uniti. Il piano “due” “[…] consisterebbe di nuovi aiuti in caso di emergenza e di interventi coordinati delle banche centrali per stabilizzare i mercati. […] La rigidità degli Stati Uniti, che di fatto vogliono che le «tigri» si pieghino alla logica del mercato, è il motivo per cui la Casa Bianca ha circondato del massimo riserbo l’arrivo di Waigel questa sera a Washington. Clinton e Rubin si sono concentrati sulla ulteriore liberalizzazione dei mercati finanziari all’organizzazione internazionale del commercio ieri a Ginevra. […]”475. Sotto all’articolo, firmato da Ennio Caretto, Renato Ferraro

spiega le posizioni dei tre candidati alla presidenza coreana ascrive che in testa per la corsa alla presidenza è Kim Dae-Jung, “[…] che rappresenta gli operai, i giovani, i contadini, cioè gli strati sociali maggiormente vulnerabili. Proprio grazie a posizioni demagogiche egli è ora in testa per la corsa alla presidenza”476. Il giorno successivo, Ferraro spiega con la frustrazione sociale indotta dalla crisi,

la ricerca dell’uomo forte nelle elezioni477, mentre le riforme economiche imposte dal Fondo vengono commentate da Danilo Taino, che condannando per l’ennesima volta il nepotismo asiatico, tiene però in considerazione le parole di Jeffrey Sachs, quando afferma che “[…] l’intervento dell’Fmi potrebbe essere troppo rigido e togliere ulteriore liquidità a un sistema che rischia il collasso proprio perché non ha più risorse per pagare i debiti esteri. […]”478 . Senza contare il fatto che i

politici coreani non abbiano voglia o non sappiano affrontare le riforme479. La Repubblica conferma il 16 dicembre la fermezza della linea americana480 e riporta la notizia dal Washington Post del crollo dei prezzi a Seul481. La drammatica descrizione della situazione coreana rende bislacca la notizia del Washington Post, che riporta la soddisfazione di un turista australiano che fa spesa in Corea. Il Sole 24 Ore e il Corriere presentano commenti più articolati. Il Corriere lo stesso giorno riprende il parere dell’Ocse, secondo cui la crisi asiatica “presenta il conto” nella riduzione della crescita mondiale. * Caretto E., No a nuovi aiuti Fmi, «Il Corriere della Sera», 14 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 * Ferraro R., I tre candidati: rispetteremo gli impegni con il Fondo, «Il Corriere della Sera», 14 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 477 * Ferraro R., La rabbia coreana sogna l'uomo forte, «Il Corriere della Sera», 15 dicembre 1997, sezione “Esteri”, p. 15 478 * Taino D., Seul non ha più scelta: deve rinunciare all'"economia di guerra", «Il Corriere della Sera», 15 dicembre 1997, sezione “Esteri”, p. 15 479 * Ivi 480 * Signoretti F.M., L'Fmi gela la Corea Esclusi nuovi aiuti, «La Repubblica», 16 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 37 481 * Non firmato, The Washington Post - Il crollo dei prezzi a Seul, «La Repubblica», 17 dicembre 1997, sezione “Commenti”, p. 13 475 476

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II. La ricerca sui giornali

L’autore dell’articolo, Daniele Manca, scrive: “[…] Quello che appare ormai chiaro, al di là delle cifre, è che quegli interventi e aiuti decisi dal Fondo monetario internazionale non sembrano essere stati per il momento risolutivi. Non paiono cioè aver fermato la spirale discendente nella quale si sono avvitati i Paesi del Far East. Lo dimostra il nervosismo che trapela dalle stanze dei potenti del mondo. […]” L’articolo

cita anche la riunione dei leader Asean a Kuala Lumpur, che rivolgono un appello all’Occidente perché intervenga seriamente nella crisi482. Il Sole 24 Ore, sempre il 16 dicembre dedica due articoli in prima pagina rispettivamente al rapporto Ocse e all’appello dei paesi Asean483. Dal vertice Asean arriva l’iniziativa di Mahathir, il presidente della Malaysia, che ha annunciato che: “[…] i leader Asean hanno incaricato i loro ministri delle finanze di compiere uno studio sulle conseguenze che avrebbe un ridimensionamento del dollaro usa nelle transazioni finanziarie internazionali. […] Mahathir ha detto che secondo alcuni leader asiatici «per le transazioni internazionali non dovrebbe esserci solo il dollaro, ma anche altre valute come lo yen e il nascituro euro». […]”484. Inoltre, secondo molti leader regionali “[…] le severe norme di risanamento che si accompagnano al pacchetto di aiuti – aumento dei tassi di interesse e drastici tagli di bilancio – rischiano di arrecare più danni che benefici. I leader dell’Asen hanno specificato che gli aiuti finora ricevuti non sono stati sufficienti ad arginare la crisi. La riprova secondo loro, è avvenuta ieri con ulteriori, forti cali delle Borse e delle valute regionali. […]”

485

. Il Sole riporta che oltre al ribasso della crescita mondiale, l’altra

fonte di preoccupazione è la possibilità che la Corea del Sud possa dichiarare la bancarotta temporanea, cosa che priverebbe il paese di qualsiasi credito per il rilancio delle esportazioni486. Così il Fondo monetario chiede altri fondi ai paesi membri487, mentre i mercati continuano a scendere488. Il 18 dicembre Fabrizio Galimberti descrive in prima pagina, con rimando in sesta, la mossa giapponese della riduzione fiscale e commenta che nelle condizioni di non poter più usare la leva della politica monetaria per rilanciare l’economia e con la politica di bilancio bloccata dall’invecchiamento della popolazione, “[…] il Giappone ha riscoperto Keynes. E fra il pagare la gente per scavar buche e il ridurre le tasse, ha giustamente scelto la seconda opzione. […] La strategia di ridurre le imposte e sperare che il regalo si autofinanzi con la crescita è sempre una strategia rischiosa, come ben sa l’America di Reagan, che vide il debito pubblico raddoppiare in cinque anni. Ma, quando

* Manca D., Ocse, la crisi asiatica presenta il conto, «Il Corriere della Sera», 16 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 483 * Non firmato, Ocse: l'Asia in crisi frena la crescita, «Il Sole 24 Ore», 16 dicembre 1997, p. 1 484 * Es. R., L'Asean sollecita più aiuti, «Il Sole 24 Ore», 16 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 485 Ivi 486 Ivi 487 * Platero M., E l'Fmi chiederà altri fondi ai Paesi membri, «Il Sole 24 Ore», 16 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 488 * Non firmato, Mercati asiatici in picchiata. Yen ai minimi dal maggio '92, «Il Sole 24 Ore», 16 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 482

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L’esplosione della crisi il cavallo non beve e la poca sete minaccia di diventare una malattia endemica e contagiosa, quella strategia diventa una mossa obbligata”489 .

La stessa notizia è ripresa da Repubblica lo stesso giorno490, mentre il Corriere della Sera racconta l’esito dell’incontro a Washington tra Waigel e Clinton, che rifiutano ulteriori quote al Fondo monetario, mentre approvano lo stanziamento statale giapponese di 77 miliardi di dollari per il risanamento delle banche locali. Usa e Germania infatti auspicano che sia il Giappone “la locomotiva” della ripresa del continente. Tuttavia il vertice di Washington ha avallato la proposta del G-7 della creazione di una “seconda linea di difesa”, e verrà creato un fondo di emergenza di 48 miliardi di dollari491. Il 19 dicembre il risultato delle elezioni coreane premia Kim Dae-Jung492. Tralasciamo i commenti sulle elezioni coreane per concentrarci sulle conseguenze. Basti sapere che il candidato vincente è stato per cinquant’anni il leader dell’opposizione e ora, cavalcando con toni contraddittori (specie riguardo agli accordi con l’Fmi) la protesta popolare e stringendo spericolate alleanze politiche (con l’ex capo dei servizi segreti) si accinge a traghettare il paese fuori dall’emergenza e dai diktat del fondo. Sul Sole 24 Ore il 21 dicembre, mentre i mercati bocciano il piano di Tokio493, appare l’analisi di Alessandro Merli che denuncia “Il sospetto di un rimedio a metà”494. L’autore riporta due constatazioni pressoché unanimi che le grandi istituzioni finanziarie internazionali esprimono sul contagio asiatico:

* Galimberti F., Un punto di svolta, «Il Sole 24 Ore», 18 dicembre 1997, p. 1/6 * Non firmato, Il Giappone abbatte le tasse, «La Repubblica», 18 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 35 491 * Caretto E., Waigel e Clinton all'Asia: le Tigri tirino la cinghia, «Il Corriere della Sera», 18 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 24 492 * Degli Innocenti N., Seul cerca l'uomo del rilancio, «Il Sole 24 Ore», 18 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Non firmato, Svolta a Seul. Al voto vince l'opposizione, «Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 1997, p. 1 * Degli Innocenti N., La Corea ha un nuovo presidente. Vince Kim, nemico del regime, «Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Degli Innocenti N., L'ex dissidente che ha imparato l'arte del compromesso, «Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Platero M., Per Washington è una grande incognita, «Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Panara M., La Corea dei nuovi poveri vota il guerriero Kim, «La Repubblica», 19 dicembre 1997, sezione “Mondo”, p. 17 * Ferraro R., La Corea si affida al "vecchio Kim", «Il Corriere della Sera», 19 dicembre 1997, sezione “Esteri”, p. 10 * Ferraro R., E per alleato l'uomo che voleva annegarlo, «Il Corriere della Sera», 19 dicembre 1997, sezione “Esteri”, p. 10 493 * Es. R., Torna al ribasso Tokio, cala ancora Wall Street, «Il Sole 24 Ore», 19 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Mazzotta S., Il piano di rilancio giapponese inciampa nel no dei mercati, «Il Sole 24 Ore», 21 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 494 * Merli A., Il sospetto di un rimedio a metà, «Il Sole 24 Ore», 21 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 489 490

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II. La ricerca sui giornali

1. “Stay long volatility”, cioè la continuazione della volatilità sui mercati finanziari. “[…] …molti operatori internazionali guardano con favore ai mercati azionari europei. I fatti di questi giorni tuttavia, dimostrano che l’effetto traino dei ribassi di Wall Street e la psicologia dei mercati possono contare di più dell’osservazione a mente fredda che l’esposizione europea alla crisi asiatica è molto minore di quella americana. […]”495

2. “There is no quick fix”, cioè non ci sarà in Asia una stabilizzazione a breve. “[…] Non solo le ricette del Fondo monetario internazionale vengono messe in discussione dai loro destinatari, ma anche da diverse parti del mondo accademico e politico americano. […] Dopo l’automatismo della reazione positiva al pacchetto espansivo giapponese, hanno dunque prevalso l’analisi più approfondita delle misure, il sospetto che si tratti dell’ennesimo annuncio di Tokio poi implementato solo a metà, e infine il segnale negativo delle elezioni coreane. […]”496.

Dopo i negoziati al Wto, all’Asean e a Washington, con l’ipotesi della “seconda linea di difesa”, avviene un cambiamento nella soluzione della crisi. I governi decidono di porvi mano, specie dopo i deludenti risultati della regia del Fondo monetario internazionale.

3.24 Le banche salvano la Corea Nicol Degli Innocenti, focalizza il 21 dicembre la situazione coreana, un cocktail di chiusure di banche insolventi imposte dal Fondo monetario, con in più l’aggravante che: “[…] Ibca Moody’s e Standard and Poor’s nelle ultime settimane hanno abbassato i rating di quasi tutte le banche coreane. I creditori stranieri si sono allarmati e hanno reclamato i loro soldi. […]”497. Il 22 del mese su

Repubblica appare il reportage di Marco Panara: “[…] La Corea del Sud è in mezzo a un mare di guai e non c’è un miracolo che possa tirarla fuori in poco tempo. La sola scommessa che si può fare è se per uscirne ci metterà due anni, cinque oppure dieci. Dipenderà da quella cosa impalpabile e potente che sta tra ogni debitore e il suo fallimento: la fiducia. […]”498. L’intervento del Fondo e il cambiamento del

presidente non hanno sortito effetti in proposito. “[…] L’atmosfera resta quella ansiosa di una permanente vigilia, con la rata che scade domani e in banca non ci sono i soldi per pagare. La rata che scade è di 16,3 miliardi di dollari da trovare entro al fine dell’anno. Trovarli non sarà facile e comunque non basterà, perché a ogni fine mese per tutto il ’98 ci saranno 8-10 miliardi di dollari da rimborsare. […] Gong Pil Choi, un economista di rilievo del “Korea Institute of Finance” è severissimo quando dice: «Da qui, se si avvia una catena di fallimenti industriali e bancari senza fine, e se i debiti non vengono né rinnovati né onorati e quindi si

495

Ivi Ivi 497 * Degli Innocenti N., Seul, la sfida incomincia dalle banche, «Il Sole 24 Ore», 21 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 498 * Panara M., Seul in corsa contro il tempo per salvarsi dalla bancarotta, «La Repubblica», 22 dicembre 1997, sezione “Mondo”, p. 11 496

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L’esplosione della crisi

va a una moratoria, può partire davvero una recessione contagiosa». […]”499. Le resistenze dei politici

coreani a rivolgere una richiesta d’aiuto al Fondo monetario non appaiono ora totalmente ingiustificate, dopo il rischio che il rialzo dei tassi di interesse porti al fallimento di altre banche e aziende e dopo le critiche di Sachs all’operato del Fondo500. Giuseppe Sarcina, sul Corriere del 21 dicembre oltre a riportare i dubbi sul neo presidente coreano, si interroga ancora sull’effetto domino di una crisi acuta, mentre in Corea le riforme si tradurranno in un dimezzamento della crescita per il 1998, aumentando le preoccupazioni sull’ammontare di aiuti Fmi necessari501. Il 22 dicembre, Marcello De Cecco, scrive su Repubblica un’altra valutazione della crisi. Il professore contraddice platealmente l’analisi di Alessandro Merli sul Sole 24 Ore del 21 dicembre, affermando che in realtà l’esposizione bancaria europea nel sud est asiatico è ben superiore di quella americana, anche se il senso comune suggerisce il contrario. Con il problema però che alla Banca Centrale Europea non è stato affidato, al contrario della Federal reserve, il ruolo di creditore di ultima istanza. Così anche l’Europa potrebbe dipendere dai dollari americani, con buona pace delle aspirazioni di piena sovranità della sua futura moneta502. Nella stessa pagina, la prima dell’inserto “Affari & finanza”, Maurizio Ricci si unisce alle critiche al Fondo monetario: “Di solito i pompieri sono come Garibaldi: non se ne parla mai male. Ma, dopo aver innaffiato con aiuti per 100 miliardi di dollari l’intero Sud Est asiatico per spegnere le fiamme di una crisi valutaria senza precedenti, il Fondo monetario internazionale, il pompiere della finanza mondiale, si trova a fronteggiare una valanga di critiche da tutte le parti. […]”. Addirittura: “[…] L’Economist raccoglie e rilancia le accuse che circolano a Seul, a Giakarta, a Bangkok contro il Fondo: con la scusa delle riforme, sta facendo gli interessi di Usa e Giappone, i due grandi contribuenti dell’Fmi. […]”503.

Ricci raggruppa sotto tre aspetti le critiche di Sachs e dell’Economist: la diagnosi, i beneficiari e le terapie. 1. Sulla diagnosi, c’è stata una palese incoerenza delle valutazioni del Fondo riguardanti i paesi che a distanza di pochi mesi sono stati colpiti dalla crisi 2. Sui beneficiari c’è uno scarso controllo della destinazione finale dei fondi concessi alle banche centrali dei paesi, con il sospetto che vadano dritti a premiare il “moral hazard” dei grandi creditori. 499

Vedi p. 230, nota497 Ivi 501 * Sarcina G., Borse, timori per l'effetto "domino", «Il Corriere della Sera», 21 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 502 * De Cecco M., Il rintocco della campana asiatica, «La Repubblica», 22 dicembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 43, p. 1/8 503 * Ricci M., Se la Tigre va a Fondo, «La Repubblica», 22 dicembre 1997, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 43, p. 1/8 500

231


II. La ricerca sui giornali

3. La liberalizzazione dei sistemi finanziari dei paesi colpiti rischia di gettare banche e industrie nelle mani di paesi stranieri a prezzo di realizzo. 4. Sulla difesa, nonostante le dichiarazioni di Stanley Fisher circa l’operato del Fondo, non si può ignorare che questo ha addirittura peggiorato la crisi. Il disincanto dinanzi ai risultati dei programmi Fmi è riscontrato anche da Maurizio Ricci. Sui rischi di contagio della crisi, torna Mario Platero il 23 dicembre, che ravvisa due conseguenze della crisi: “[…] La prima è la possibilità che i problemi di liquidità della banche coreane vengano esportati prima al Giappone e poi al resto del mondo. […]”504. In più “[…] il lato buono della medaglia è che i sistemi bancari ancora chiusi e gestiti con forte rischio di conflitto di interessi nel sud est asiatico, saranno forzati ad aprirsi, […]”505.

Lo stesso giorno il Sole 24 Ore riporta il giudizio negativo di Moody’s sul sud est asiatico, e Alessandro Plateroti scrive l’opinione di un’analista: “[…] Con i nuovi rating fissati da Moody’s […] la situazione è destinata a peggiorare: i fondi pensione liquideranno le obbligazioni, facendo scendere i prezzi del debito sovrano su livelli ridicoli. Sarà una carneficina.”506. Repubblica, nella sezione

“Commenti”, si interroga invece sull’operato delle agenzie di rating, che hanno adattato le loro valutazioni palesemente in ritardo rispetto alle condizioni reali delle economie asiatiche507. Tornando alla Corea, Nicol Degli Innocenti sul Sole 24 Ore scrive che la ristrutturazione delle chaebol procede non senza traumi508, ma la vera notizia, riportata da tutti e tre i giornali è del 27 dicembre: gli Stati Uniti, il Giappone, l’Italia , la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l’Olanda, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Svezia e la Svizzera mettono a disposizione di Seul 10 miliardi di dollari. Viene così adottata la “seconda linea di difesa”, che fa capo ai singoli paesi. Il Sole 24 ore dedica alla notizia la prima pagina del 27 dicembre509 riportando che comunque l’euforia dei mercati seguita all’annuncio non modifica una situazione grave che vedrà presto fallimenti e licenziamenti510.

504

* Platero M., Rischi di contagio dalla crisi bancaria asiatica, «Il Sole 24 Ore», 23 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 6 505 Ivi 506 Plateroti A., Moody's condanna il Sud-Est asiatico, «Il Sole 24 Ore», 23 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 507 * Non firmato, Esperti di Borsa, «La Repubblica», 23 dicembre 1997, sezione “Commenti”, p. 11 508 * Degli Innocenti N., A Seul le chaebol cambiano vita, «Il Sole 24 Ore», 23 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7 509 * Non firmato, Corea, aiuti finanziari dai paesi ricchi, «Il Sole 24 Ore», 27 dicembre 1997, p. 1 510 * Degli Innocenti N., Boccata d'ossigeno per Seul, «Il Sole 24 Ore», 27 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 232


L’esplosione della crisi

Dello stesso avviso anche il Corriere della Sera511. Repubblica dedica la prima pagina della sezione “Economia” al prestito alla Corea e l’inviato Marco Panara, così riassume le sfide che attendono il paese: “[…] Quella che abbiamo sotto gli occhi è la radiografia di un sistema costruito per uscire dal sottosviluppo, che a missione compiuta non regge più. La via d’uscita dalla crisi è una specie di labirinto: bisogna staccare la politica dalla finanza senza scaricare costi sui conti pubblici, riformare la finanza senza soffocare l’industria, riorganizzare l’industria senza distruggere la stabilità sociale. È la sfida del Fondo Monetario, che ha impegnato 57 miliardi di dollari per tirare fori la Corea dal baratro”512.

Mario Platero, sul Sole 24 Ore riporta le polemiche che il prestito da 10 miliardi di dollari suscita negli Stati Uniti, dove l’amministrazione non ha rispettato la “linea Rubin”, da sempre restio, dopo la crisi messicana, a prestare “direttamente” denaro di salvataggio. In più vengono rivolte critiche anche al Fondo monetario, colpevole di spendere troppo denaro e male513. Il 28 e il 30 dicembre il giornale pubblica il rialzo della borsa coreana, insieme alla notizia che le imprese americane partono per la “caccia grossa” in Corea. Il 30 dicembre Domenico Siniscalco, che firma l’editoriale di prima pagina “Banche G-7, rischi e costi dell’intesa per la Corea”, scrive che: “[…] La crisi finanziaria coreana è atipica rispetto a quelle vissute da altri Paesi negli anni recenti. Per questo motivo, l’intervento del Fondo monetario e dei Paesi del G-7 è del tutto diverso da quelli realizzati tradizionalmente. In Corea, infatti, non ci troviamo di fronte al rischio di bancarotta dello Stato, con l’esplosione del disavanzo pubblico e di quello commerciale. Mentre i fondamentali macroeconomici sono in regola, e il bilancio pubblico è addirittura in attivo, ci troviamo piuttosto di fronte a una gravissima crisi bancaria e industriale. Le risorse dell’Fmi e dei Paesi creditori, dunque, non servono a evitare il fallimento di un Paese sovrano, ma vanno a ripianare debiti insostenibili di banche e imprese private. […]”514. Siniscalco afferma che un intervento di organismi internazionali per

salvare le imprese private di un paese è inammissibile, ma è pragmaticamente necessario per la dimensione devastante di questi fallimenti, che potrebbe ripercuotersi sulla finanza mondiale (appendice 18). Inoltre mette in evidenza come la ricetta americana (stretta monetaria) abbia prevalso su quella originaria proposta da Stanley Fisher, che prevedeva solo i salvataggi indispensabili e bassi tassi di interesse per ammortizzare la pressione debitoria con un rilancio della crescita.

511

* Caretto E., Un regalo alla Corea sull'orlo della bancarotta, «Il Corriere della Sera», 27 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 19 * Radice G., Ma i fallimenti non sono finiti, «Il Corriere della Sera», 27 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 19 512 * Panara M., Seul, miracolo al contrario in bancarotta senza debiti, «La Repubblica», 27 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 25 513 * Platero M., Negli Usa è polemica per il ricorso alla seconda linea di difesa, «Il Sole 24 Ore», 27 dicembre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5 514 * Siniscalco D., Banche G-7, rischi e costi dell'intesa per la Corea, «Il Sole 24 Ore», 30 dicembre 1997, p. 1/3 233


II. La ricerca sui giornali

Marco Valsania, a pagina 3, annuncia che “Le banche occidentali sostengono Seul”515. Dopo una lunga serie di trattative a New York e nelle capitali finanziarie del globo, i maggiori istituti di credito mondiali si accordano per il prolungamento dei crediti alla Corea. La notizia è ripresa anche dagli altri giornali. La Repubblica titola: “Le banche salvano la Corea”516, il Corriere della Sera “Accordo tra le banche Usa sulla Corea. E Wall Street trova ossigeno per il rialzo”517 . Proprio il Corriere focalizza però che “[…] La riunione della Riserva Federale, con le banche Usa al mattino e con quelle europee e giapponesi al pomeriggio, è stata precedeuta da una egualmente costruttiva della Banca centrale del Giappone a Tokio. Sui lavori ha influito positivamente il passaggio al Parlamento della Corea del Sud delle 13 riforme richieste dal Fondo monetario, inclusa quella che consente la vendita a stranieri delle aziende sudcoreane a partire dal primo aprile prossimo. […]”518. L’articolo specifica però che i

guai per Seul, con le previsioni di crescita che scenderanno ancora del 2% nel ’98 e con possibili nuovi fallimenti in vista. La Repubblica insieme all’annuncio, riporta però le inquietudini americane circa il ruolo del Fondo nonché la possibilità che i contributi americani possano essere sospesi. “[…] La partita è cruciale: il Fondo non può fare a meno dell’apporto dell’America, che nel ’97 ha partecipato con 36 miliardi di dollari l’anno, il 18% del totale, ai 200 miliardi di dotazione. […] Se il meccanismo s’inceppa, salta la delicata architettura del salvataggio dell’Asia. Un imbarazzo micidiale per gli usa, ai quali era stato chiesto inizialmente di farsi carico dell’operazione. Clinton al vertice del Pacifico di Vancouver il mese scorso, aveva pilotato la scelta del Fmi per coordinare l’intervento, bloccando intanto i tentativi del Giappone di creare una specie di “mini-fondo” nell’area. […]”519. Occorsio

riporta le critiche al Fondo monetario: 1. Le dimensioni gigantesche dell’intervento in Asia 2. Interventi troppo grandi ed estesi che danno troppo “potere di governo” al Fondo sulle economie in via di sviluppo. 3.

I fondi in arrivo possono creare sprechi e perpetuare connivenze deleterie

4. Problema del “moral hazard” o del salvataggio degli irresponsabili 5. Previsioni errate

* Valsania M., Le banche occidentali sostengono Seul, «Il Sole 24 Ore», 30 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 3 516 * Esposito M., Le banche salvano la Corea, «La Repubblica», 30 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 517 Caretto E., Accordo tra le banche Usa sulla Corea. E Wall Street trova ossigeno per il rialzo, «Il Corriere della Sera», 30 dicembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 5 518 Ivi 519 * Occorsio E., Anche l'Fmi va sotto accusa in forse i finanziamenti Usa, «La Repubblica», 30 dicembre 1997, sezione “Economia”, p. 27 515

234


L’esplosione della crisi

Il 31 dicembre il Sole 24 Ore conferma (Marco Valsania) la dilazione dei debiti con la possibilità che alcuni vengano trasformati in obbligazioni garantite dal governo520. Nicol Degli Innocenti riporta comunque la nuova caduta del won521 e Michele Calcaterra affida a due giovani scrittori, Masao Miyamoto e Banana Yoshimoto, l’arduo compito di descrivere il Giappone522.

* Valsania M., Le banche rifinanziano Seul, «Il Sole 24 Ore», 31 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 521 * Degli Innocenti N., Nonostante il salvataggio torna a cadere il won coreano, «Il Sole 24 Ore», 31 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 522 * Calcaterra M., Giappone, le difficoltà del cambiamento, «Il Sole 24 Ore», 31 dicembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 520

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4 IL CROLLO (1 gennaio- 31 aprile)

“Forse la caratteristica più impressionante della fine del Ventesimo secolo è la tensione che sussiste tra questo processo sempre più accelerato di globalizzazione e l’incapacità delle istituzioni pubbliche e dei comportamenti collettivi degli esseri umani di accordarsi con esso” Eric Hobsbawm – Il Secolo breve – “La vittoria troppo grande, minaccia il vincitore stesso” Hans Jonas – Scienza come esperienza personale –

4.1 Trattative per la Corea La prima settimana di gennaio si apre sul Sole 24 Ore con la crisi coreana. Il neo presidente Kim annuncia alla popolazione un anno di grandi sacrifici ponendo l’obiettivo di uscire dalla crisi in due anni con l’aiuto del Fondo monetario1, la svalutazione del won intanto rilancia l’export2 e le banche americane mettono a punto in pochi giorni i piani per un salvataggio difficile3. Infatti: “[…] Le ipotesi sul tavolo vanno tuttavia dalla concessione di nuovi prestiti, all’emissione di obbligazioni, fino alla trasformazione dei debiti delle banche coreane in titoli garantiti dallo Stato. Proprio quest’ultima proposta ha attirato la maggior attenzione e scatenato le maggiori polemiche. […]”4. Il giornale riporta che i funzionari coreani a conoscenza delle trattative hanno

mantenuto il riserbo ma le esigenze delle banche internazionali hanno trovato a Seul risposte conciliatorie: “[…] «Se i creditori esteri vorranno titoli governativi in cambio dei prestiti siamo in grado di accontentarli» ha dichiarato Chin Toung-wook, direttore del dipartimento di politica finanziaria del ministero delle Finanze. […]”5.

1

* Es. R., Kim prepara i sudcoreani a un '98 di grandi sacrifici, «Il Sole 24 Ore», 2 gennaio 1998, p. 1/7 * Es. R., Il calo del won spinge l'export della Sud Corea, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 3 * Valsania M., Pronti in pochi giorni i piani delle banche Usa in soccorso a Seul, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Merli A., Il salvataggio sarà molto complesso, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 4 Ivi 5 Ivi 2

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Il crollo

Il 3 gennaio l’indice Hang Seng della banca di Seul è ancora in preda all’incertezza6, e il 4 l’incontro tra il neo presidente Kim e il finanziere Soros, insieme a un nuovo rialzo della Borsa coreana. Il rialzo di Borsa viene spiegato dalla dichiarazione di un analista finanziario: “[…] Ora il mercato aspetta un’ondata di acquisizioni e fusioni da parte di investitori esteri […] in questo modo porteranno sul mercato il capitale forte così necessario al paese. […]”7.

L’arrivo di Soros in Corea viene riperso il 6 gennaio anche dal Corriere della Sera “E in Corea Soros diventa un eroe”8 e da Repubblica “Ma la febbre asiatica continua. Soros corre in aiuto di Seul”9. Il Corriere: “[…] L’ultima sortita è davvero di quelle clamorose: ieri a una conferenza stampa a Seul, il finanziere americano di origine ungherese, […] ha rivelato di aver agito nei giorni scorsi in veste di consigliere finanziario ufficiale del nuovo presidente della Crea del Sud Kim Dae-Jung, aggiungendo che potrebbe continuare a rivestire questo incarico anche in futuro. […]” I motivi del clamore sono due: la

capacità del finanziere di far risalire la Borsa in men che non si dica, e quella di passare da “demonio” e colpevole della crisi ad apprezzato consigliere in uno dei paesi più colpiti10. La Repubblica informa che la Borsa coreana è andata in controtendenza, recuperando 10 punti percentuali rispetto alle altre asiatiche dopo le dichiarazioni di Soros di voler investire in azioni in Corea del Sud. “[…] Soros ha dichiarato in visita a Seul che intende investire in azioni coreane e che manderà alcuni analisti per esaminare il mercato. Con ogni probabilità i fondi di Soros hanno già fatto il pieno di azioni nel Sud est asiatico, ma se non altro il rialzo dei ieri solleva un po’ la cortina di nebbia che da mesi grava sulla Corea del Sud. […]”11. Il giornale afferma però che le autorità economiche

americane sono ancora molto preoccupate per la crisi coreana. Fino al 10 gennaio le ultime tre notizie dalla Corea si leggono sul sole 24 Ore. Il 6 gennaio: “La Corea negozia in Usa un maxiprestito a breve”12, “Nuovo rinvio in vista per il debito sudcoreano” e “Seul ottiene sul debito un rinvio dalle banche”13, mentre La Repubblica riporta l’8 gennaio la continuazione dei fallimenti nel paese14.

Partiamo dal Sole 24 Ore. L’articolo di Marco Valsania del 6 gennaio, fa capire come il destino della Corea stia nelle mani delle banche statunitensi che cercano un accordo sulla dilazione dei debiti, oltre che sulla loro conversione in titoli di stato. “[…] E l’importanza dei 6

* Non firmato, L'Hang Seng preda del'incertezza, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione, “Settimana finanziaria”, p. 28 7 * Platero M., Borsa di Seul in rialzo (2,4%) E oggi Kim incontra Soros, «Il Sole 24 Ore», 4 gennaio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 8 * Rastelli P., E in Corea Soros diventa un eroe, «Il Corriere della Sera», 6 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 21 9 * Modolo G., Ma la febbre asiatica continua. Soros corre in aiuto di Seul, «La Repubblica», 6 gennaio 1998, sezione “La svolta dei mercati”, p. 3 10 Vedi nota8 11 Vedi nota9 12 * Valsania M., La Corea negozia in Usa maxiprestito a breve, «Il Sole 24 Ore», 6 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 13 * Valsania M., Seul ottiene sul debito un rinvio dalle banche, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 14 * Modolo G., Corea del Sud, fallimenti a catena, «La Repubblica», 8 gennaio 1998, sezione, economia, p. 29 237


II. La ricerca sui giornali negoziati in corso è stata sottolineata dal segretario del tesoro Robert Rubin: «La Corea è avviata su un cammino costruttivo – ha dichiarato – ma la chiave per la soluzione della crisi è ora nelle mani del settore privato». […]”15. Le soluzioni di cui si parla sono:

1. Miliardi di dollari in prestiti concessi da cordate di banche commerciali 2. Trasformazione di debiti a breve in titoli a più lunga scadenza 3. Emissione di nuove obbligazioni Ma il giornale non fa mistero delle spinte dei più importanti istituti a stelle e strisce sulle possibili soluzioni: “[…] la J.P Morgan ha proposto un’emissione complessiva da 20 miliardi di dollari di obbligazioni del governo sudcoreano, costituita per la metà da debiti bancari a breve convertiti e per il resto da nuovi titoli per raccogliere capitali da iniettare nelle riserve di Seul. Goldman Sachs e Salomon Smith Barney avrebbero invece sostenuto un’offerta di buoni del tesoro coreani per nove miliardi senza conversione del debito. L’unica certezza è che i negoziati si sono intensificati e proseguiranno nei prossimi giorni. […]” 16.

Ancora il 7 gennaio non c’è ancora un accordo preciso e le scadenze sui debiti vengono rinviate. Marco Valsania cita una fonte vicina alle trattative: “[…] «Un nuovo rinvio è oggi al centro dell’attenzione: alcuni istituti propongono moratorie fino a 90 giorni, altri soltanto di un mese». La complessità della trattativa sta facendo emergere le differenze nel fronte delle banche creditrici. Tra le questioni che scottano c’è la dimensione stessa del rifinanziamento del debito coreano: Seul avrebbe chiesto fino a 35 miliardi di dollari, con almeno cinque miliardi di dollari in nuovi prestiti da parte di una cordata di banche guidata da Citicorp”17. L’8 gennaio La Repubblica descrive la situazione nel paese che: “[…] è stato colpito da un’ondata record di fallimenti: 500 imprese sono state dichiarate insolventi nella sola capitale e 3.000 nell’intera nazione, quasi cinque volte la media di pochi mesi fa. Sono i frutti amari dei crolli di Borsa, del rialzo dei tassi di interesse che appesantisce il costo dei debiti, della deflazione, della svalutazione selvaggia del won, a loro volta generati da politiche creditizie a dir poco allegre del passato. E nulla sembra far prevedere quando si allenterà la spirale che avvolge sempre più rigidamente i paesi asiatici e che il dollaro forte non contribuisce certamente ad alleviare. Ieri, infatti, è stata una giornata negativa, ne sono usciti ingenti capitali che si sono diretti sul dollaro. […]”18.

Il Sole 24 Ore segue più costantemente degli altri due giornali la situazione coreana, ma le cronache, nel clima di attesa e incertezza che segue il “salvataggio” dal collasso, non sono molto diverse nelle valutazioni. Si distinguono solo i toni dei titoli di Corriere e Repubblica circa la visita di Soros a Seul (vedi note). Nella attuale situazione emerge chiaramente dalle pagine dei quotidiani che mentre le Borse asiatiche sono di nuovo in crisi, salvo il kabutocho (la Borsa di Tokio) e Seul, il dollaro riprende forza a causa degli investimenti che prendono la 15

Vedi p. 237, nota12 Ivi 17 Ivi 18 Vedi p. 237, nota14 16

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Il crollo

rotta degli Stati Uniti. Come in una clessidra che si rovescia, l’emisfero asiatico si svuota poco a poco a favore di quello nordamericano ed europeo.

4.2 Il riflusso dei dollari “La crisi asiatica mette le ali al dollaro” così titola il Sole 24 Ore il 3 gennaio. “La crisi asiatica ha messo ieri le ali al dollaro: la valuta americana ha rotto per la prima volta da oltre cinque anni e mezzo la soglia dei 132 yen, sospinta fino a quota 132,50 da un’ondata di acquisti in un clima contrassegnato da scerse contrattazioni per le festività di inizio anno. […] A sostenere il dollaro hanno contribuito le prospettive di crescita moderata dell’economia americana anticipate dagli esperti per il 1998: il sondaggio semestrale condotto dal quotidiano «Wall Street Journal» ha ieri previsto una crescita in fase di rallentamento ma che prosegue ancora nell’anno appena iniziato. […]”19. Le opinioni degli analisti riportate dal giornale si

dividono tra chi scommette su una sua crescita e chi invece teme che alla fine il dollaro dovrà “cambiare marcia”20. Il Corriere della Sera, a firma di Paolo Rastelli, scrive in prima pagina della sezione “Economia” del 6 gennaio: “[…] Dolciumi per il dollaro, carbone per le Borse. È stato questo il contenuto della calza delle befana per i mercati finanziari internazionali, ieri quasi tutti aperti nonostante l’Epifania che invece ha tenuto lontani dai videoterminali gli operatori di Piazza Affari. Il biglietto verde è rimasto su livelli record sfondando quota 1.800 lire. […] Alla base della performance della divisa Usa resta prima di tutto la crisi asiatica. Banche e aziende locali, pesantemente indebitate, sono costrette a vendere sia le divise locali che le riserve in valuta pregiata e a comprare dollari per soddisfare i creditori, un movimento cui si è prontamente accodata la speculazione internazionale. Il flusso di capitali dalle ex-«tigri» verso il biglietto verde è così imponente da coinvolgere anche divise che con la crisi hanno poco da spartire come il dollaro australiano […]. Ma il dollaro possiede anche una forza propria, legata alle condizioni dell’economia americana: alti tassi di crescita e bassa inflazione. Uno scenario che l’altro ieri ha portato il Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan a ipotizzare un rallentamento dei tassi di interesse per evitare la deflazione e il Presidente Usa Bill Clinton a promettere il pareggio del bilancio federale nel 1999. […]”21. La

Repubblica, il 7 gennaio: “I mercati non credono al risanamento delle economie asiatiche e ai piani di risanamento organizzati dal Fondo Monetario, così continuano a martellarne Borse e valute. La riprova si è avuta ieri: il presidente indonesiano Suharto ha presentato ieri un piano di salvataggio che prevede tagli alle tasse del 32%, ciononostante la moneta locale è andata a picco, toccando il minimo storico di 7.000 rupie contro dollaro. Insieme sono crollati baht, ringgit e won, mentre lo yen si è salvato da una nuova debacle soltanto grazie agli interventi della Banca del Giappone che ha calmierato il mercato. Di questa fuga dall’Oriente ha tratto vantaggio ancora una volta il dollaro, che in serata è ritornato sopra quota 1.800 contro

19

* Valsania M., La crisi asiatica mette le ali al dollaro, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 20 Ivi 21 * Rastelli P. Vola superdollaro, giù le Borse, «Il Corriere della Sera», 7 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 19 239


II. La ricerca sui giornali lira e 1,83 contro Marco. […]”22. Il Sole 24 Ore ribadisce il 6 gennaio che “[…] La spinta decisiva per il dollaro, hanno affermato gli analisti, è arrivata ieri dalla debolezza mostrata da molti mercati valutari asiatici: […]”23. I giornali sono concordi nell’affermare il pesante riflusso di denaro che

dall’Asia va negli Stati Uniti. Ma il compiacimento dei giornali per la nevicata di dollari sulla Borsa americana ed europea nella prima decade di gennaio24, è presto smorzato dalle notizie che arrivano dall’Indonesia. I crolli delle Borse asiatiche mostrano un continente con ancora tutti i sintomi dell’influenza25. Già all’inizio del mese tutti e tre i giornali, con alcune differenze, mettono in guardia dai rischi dei mercati e della necessità di regolamentazione dei mercati finanziari. Su Repubblica è Federico Rampini, che scrive “[…] Il capitalismo vive questa fase come la sua Età dell’Oro. È un’onda lunga iniziata dalle rivoluzioni liberiste di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, un’epoca segnata dalla vittoria dell’economia sulla politica, dell’egemonia del mercato sullo Stato. Privatizzazioni, competizione globale, disciplina nella finanza pubblica: queste sono oggi le uniche regole del gioco in vigore, a prescindere dai colori politici dei governi. […] Anche in Estremo Oriente la politica sventola bandiera bianca. Nell’estate del 1997 il premier della Malesia aveva tentato di ribellarsi alla globalizzazione, accusando il finanziere americano George Soros di essere un burattino della speculazione. Domenica lo stesso Soros è stato ricevuto con gli onori di Stato dal neo presidente della Corea del Sud, ansioso di recuperare la proprio paese la fiducia dei capitali esteri. E per ottenere i prestiti del Fondo monetario internazionale, i paesi asiatici hanno dovuto abbandonare il protezionismo per aprirsi alla penetrazione delle banche americane. […]”. Gli

ulteriori elementi che Rampini mette in luce sono:

22

* Modolo G., Capitali asiatici in fuga verso il dollaro, «La Repubblica», 7 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 25 23 * Valsania M., L'Asia mette le ali al dollaro, «Il Sole 24 Ore», 6 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 24 * Non firmato, International Herald Tribune - L'America e l'Asia, «La Repubblica», 6 gennaio 1998, sezione “Commenti”, p. 11 * Paolillo E., Il crac orientale finisce col favorirci, «La Repubblica», 7 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 25 Vedi p. 239, nota21 * Rastelli P. Piazza Affari, la corsa dei record, «Il Corriere della Sera», 6 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 21 * Caretto E., Il '98 è l'anno delle Borse europee, «Il Corriere della Sera», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 * Rastelli P. In Piazza Affari un record dopo l'altro, «Il Corriere della Sera», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 3 * Taino D., Piazza Affari tira il fiato, fondi record, «Il Corriere della Sera», 9 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 25 Vedi p.239, nota19 * Non firmato, Wall Street continua a volare, «Il Sole 24 Ore», 3 gennaio 1998, sezione “Settimana finanziaria” , p. 28 * Non firmato, In calo le Borse asiatiche. Dollaro a livelli record, «Il Sole 24 Ore», 6 gennaio 1998, p. 1 Vedi nota23 * Non firmato, Dollaro oltre 1.800 lire. Borse deboli in Asia, «Il Sole 24 Ore», 7 gennaio 1998, p. 1 * Valsania M., Issing: il superdollaro affare dei mercati, «Il Sole 24 Ore», 7 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 3 25 * Es. R., Altra giornata nera sulle piazze asiatiche, «Il Sole 24 Ore», 7 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 3 240


Il crollo

1. Gli interventi di Soros perché sui mercati intervengano istanze di regolamentazione 2. Il delicato gioco di finanziamento dei consumi americani mediante i risparmi asiatici depositati in titoli del Tesoro 3. L’Europa è essa stessa esposta in oriente mediante le banche francesi e tedesche 4. I mercati non sono capaci di autoregolarsi e sfoggiano comportamenti da gregge 5. Gli errori del premio del moral hazard, con i debiti privati pagati dai contribuenti e quelli delle agenzie di rating 6. La proposta di Soros di istituire una specie di assicurazione obbligatoria sui crediti internazionali. Rampini conclude l’articolo con un’affermazione sorprendente. Dinanzi ai dissesti della finanza internazionale e ai rischi di crisi globale, si limita a constatare che “[…] Chi faceva la Cassandra un anno fa, e ha tenuto i soldi sotto il cuscino, ha rinunciato a guadagnare il 60 per cento. I mercati hanno sempre ragione. L’Età dell’Oro, per ora, continua.”26.

Vittorio Malagutti sul Corriere della Sera, informa che le banche coreane hanno siglato con le banche americane un accordo per il posticipo di un mese della scadenza dei prestiti. “[…] Resta però da elaborare un piano di sostegno a lungo termine per le finanze di Seul. Ma sui dettagli tecnici dell’operazione, che potrebbe prevedere l’emissione di obbligazioni garantite dal governo coreano, c’è ancora grande incertezza […]”27. L’autore spiega poi la proposta di Soros e riporta le valutazioni

del finanziere non solo sul possibile contagio della crisi, ma sulla situazione cinese. Un “dettaglio” confermato dalle parole di preoccupazione espresse da Jiang Zemin. Malagutti però riconosce che per l’Occidente la situazione è positiva e le previsioni ottimistiche per Europa e Wall Street, con le uniche incognite legate all’integrazione monetaria europea28. Sul Sole 24 Ore viene pubblicato un articolo dello stesso Soros29, che risponde anche a Jeffrey Sachs circa le critiche al Fondo monetario: “[…] Ciò che è incominciato come fatto locale, rischia di travolgere non solo il credito internazionale, ma anche il commercio internazionale. Siamo alla vigilia di una grande deflazione mondiale. Il Fondo è stato criticato per aver applicato rimedi sbagliati. Jeffrey Sachs

26

* Rampini F., Ritorna l'età dell'oro, «La Repubblica», 6 gennaio 1998, p. 1/14 * Malagutti V., Ombre asiatiche sull'anno d'oro delle Borse, «Il Corriere della Sera», 2 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 17 28 Ivi 29 * Soros G., Soros: ora è la Cina a rischiare il grosso nel terremoto asiatico, «Il Sole 24 Ore», 2 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 27

241


II. La ricerca sui giornali di Harvard ha detto che i tassi di interesse punitivi sono colpa del Fondo. Ma è difficile tentare di salvare una valuta senza alti tassi di interesse. […]” 30. Il finanziere americano specifica che:

1. Il Fondo monetario è necessario, ma è ora di riveder i difetti del sistema e riveder al missione del Fondo 2. I mercati del credito devono essere regolati 3. Istituzione di una istituzione in grado di assicurare i crediti internazionali. Come si vede tutti i giornali tengono in considerazione l’iniziativa di Soros, ma l’euforia delle borse occidentali è tale da non temere catastrofi di alcun genere. Tuttavia i rischi di collasso che sembravano sventati grazie alle misure tampone sul debito coreano, ritornano sulla scena passando per Giakarta.

4.3 L’Indonesia verso il disastro È per gravi motivi che dopo più di due mesi Il Sole 24 Ore, riporta notizie dall’Indonesia. L’8 gennaio, in prima pagina titola: “L’Indonesia travolta dalla crisi. La rupia giù del 10 per cento”31. “Tengono Giappone e Corea, crollano tutti gli altri mercati asiatici che non hanno alle spalle né la forza della liquidità giapponese né l’evidente volontà del Fondo monetario e degli Stati Uniti di arginare, con Seul, una potenza industriale sgangherata finanziariamente ma pur sempre all’undicesimo posto nel mondo. Hong Kong e Singapore, con una perdita secca del listino rispettivamente del 4,9 e del 5,9% e un indebolimento delle valute hanno pagato un prezzo molto alto. In forte calo anche Kuala Lumpur e Manila. Ma i segnali peggiori sono arrivati da Giakarta, dove si è accentuata la fuga dalla rupia, che ha perso in due giorni, martedì e mercoledì, circa il 16% rispetto al dollaro e solo ieri quasi il 10% toccando il minimo a 8.450 e superando la quota psicologica delle 8mila rupie per dollaro. A luglio, all’inizio della crisi, il cambio era a 2.400. La crisi indonesiana preoccupa particolarmente il Fondo monetario, che ha scritto una dura lettera al presidente Suharto”32. Questo in prima pagina, mentre l’inviato, Luca Vinciguerra, conclude il suo

servizio in seconda pagina33, affermando che le uniche piazze finanziarie relativamente tranquille sono state Seul, nonostante la catena di fallimenti e Tokio, mentre dopo la ipotetica sospensione all’Indonesia di crediti per 3 miliardi di dollari, la “cinghia di trasmissione delle aspettative” ha trascinato al ribasso Hong Kong e Singapore. Nella stessa pagina, Mario Margiocco focalizza che: 30

Ivi * Non firmato, Indonesia travolta dalla crisi. La rupia giù del 10 per cento, «Il Sole 24 Ore», 8 gennaio 1998, p. 1 32 Ivi 33 * Vinciguerra L., L'Indonesia fa precipitare l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 31

242


Il crollo

1. Il regime di Suharto, durato per trent’anni dopo il colpo di stato e le violenze del regime che sono costate 300.000 vittime, è alla fine 2. L’Indonesia è in una situazione migliore della Corea (materie prime, debito inferiore e maggiori risorse valutarie), ma la valuta soffre del colpo alle esportazioni dato dalle svalutazioni nell’area 3. La scarsa credibilità del bilancio presentato per il ’98 rischia di far sospendere crediti di 3 miliardi di dollari da parte del Fmi34. Il Corriere e la Repubblica intervengono sulla ricaduta in Indonesia il 9 gennaio. La Repubblica riprende il dramma indonesiano partendo da due punti fondamentali: 1. Il clima sociale si sta surriscaldando, con addirittura assalti ai negozi 2. Crisi politica del presidente – dittatore Suharto Ma, ancora più importanti per la crisi sono state due “passi falsi” di Giakarta: 1. Una legge finanziaria giudicata insufficiente a fronteggiare la gravità della crisi economica 2. La proposta di una “moratoria” sui debiti con l’estero, che metterebbe seriamente in crisi le banche internazionali e ha indotto gli investitori a vendere “il vendibile” alla Borsa di Giakarta35. Gianfranco Modolo, nella stessa pagina, fa chiaramente comprendere come l’ipotesi di una moratoria, cioè di una dichiarazione di fallimento dell’Indonesia, che trascinerebbe in bancarotta tutti gli altri paesi indebitati, travolgendo le banche occidentali e giapponesi impegnate nell’area, abbia fatto sprofondare la Borsa. C’è però un elemento nuovo: Suharto si potrebbe ritagliare uno spazio di manovra politica tra le divisioni occidentali. Infatti oltre alle critiche all’operato del Fondo espresse in precedenza, divergono anche le opinioni tra la direzione del Fondo monetario e l’istituzione gemella: la Banca mondiale, il cui capo economista, Joseph Stiglitz, afferma: “[…] «Queste crisi sono crisi di fiducia. Non dovremmo spingere i

34

* Margiocco M., Giakarta, miscela esplosiva di malafinanza e politica, «Il Sole 24 Ore», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 35 * Non firmato, Indonesia sull'orlo del caos, la folla assalta i negozi, «La Repubblica», 9 gennaio 1998, sezione “La crisi asiatica”, p. 11 243


II. La ricerca sui giornali paesi asiatici in pesanti recessioni. Bisognerebbe concentrarsi in ciò che ha causato la crisi, non su ciò che rende ancor più complicato il problema» […]”36.

Il Corriere della Sera informa della recrudescenza della crisi indonesiana lo stesso giorno. Chi scrive è Danilo Taino: “[…] In altri termini, la crisi del Sud-est asiatico sta avendo riflessi politici e inizia ad avere serie conseguenze sociali. Sul piano finanziario la situazione preoccupa sempre di più anche in Occidente. […]”37. Il Sole 24 Ore il 9 gennaio titola in prima pagina: “Indonesia in pieno caos finanziario”38. All’interno gli articoli sono di Luca Vinciguerra39 e Mario Margiocco. Il

giornale riporta la corsa ai supermercati e agli sportelli della banche del paese per la pura di un ulteriore ribasso del cambio, arrivato a oltre 10.000 rupie per dollaro. Inoltre si dà notizia dell’iniziativa di un gruppo di generali indonesiani che “consiglierebbero” al presidente Suharto di ritirarsi dalla vita politica attiva, ma rappresentanti del partito di governo smentiscono e non accettano “consigli”40. Il 10 gennaio l’Indonesia diviene protagonista su tutti e tre i giornali. La gravità della situazione spinge gli Stati Uniti, di cui Suharto è un alleato storico, a intervenire in aiuto dell’Indonesia. S270, mentre nella stessa pagina, Stefano Citati commenta la difficile situazione del regime di Suharto. “[…] Difficile che il “sacrificio” dei sei fratelli possa bastare (l’intenzione di vendere parte dei guadagni in dollari per sostenere la valuta, n.d.r.); molto di più può fare – se la crisi gli concederà ancora un po’ di tempo, il padre-presidente. Suharto mantiene buoni rapporti con Bill Clinton e in autunno ha accettato di buon grado – durante il primo crollo delle “ex” tigri asiatiche – l’austero piano di risanamento economico ideato dagli uomini del Fondo monetario internazionale. L’aiuto internazionale forse salverà “l’impero” politico di Suharto e quello affaristico dei figli; ma costringerà Giakarta a seguire delle regole strettissime, sia in materia economica che, è probabile, per quel che riguarda i diritti umani. […]”41. Il Corriere pubblica in prima pagina un rimando alla sezione “Economia”,

dove sono gli articoli di Danilo Taino e Giancarlo Radice sulla crisi asiatica. Taino non aggiunge nulla alle parole già espresse da Repubblica, e ribadisce che dagli Stati Uniti non arrivano altro che inviti a rispettare le riforme imposte dall’Fmi42, anche se verrà inviata in loco una delegazione di cui farà parte anche il viceministro del Tesoro americano Larry

36

* Modolo G., E adesso l'Occidente ha paura, «La Repubblica», 9 gennaio 1998, sezione, la crisi asiatica, p. 11 37 * Taino D., In Indonesia anche il sistema economico è a rischio, «Il Corriere della Sera», 9 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 25 38 * Non firmato, L'Indonesia in pieno caos finanziario, «Il Sole 24 Ore», 9 gennaio 1998, p. 1 39 * Vinciguerra L., Indonesia, vanno a picco rupia e Borsa, «Il Sole 24 Ore», 9 gennaio 1998, sezione, economia internazionale, p. 6 40 * Margiocco M., A Giakarta i generali invitano alla calma, «Il Sole 24 Ore», 9 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 41 * Citati S., Suharto, il padre-padrone affonda con i suoi affari, «La Repubblica», 10 gennaio 1998, sezione “Mondo”, p. 15 42 * Taino D., Indonesia nel caos, Wall Street a picco, «Il Corriere della Sera», 10 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 21 244


Il crollo

Summers. I figli di Suharto intanto invitano la popolazione a comprare rupie43. Il Sole 24 Ore descrive ampiamente la situazione politica nel paese e commenta la mobilitazione americana, che invia due delegazioni (esperti del tesoro, ed esperti Fmi) per riassestare l’Indonesia. “[…] Gli Stati Uniti hanno promesso aiuti per 3 miliardi di dollari all’Indonesia nell’ambito del piano da 43 miliardi coordinato dal Fondo monetario. L’amministrazione americana potrebbe considerare il varo di questi aiuti, finora considerati di emergenza, se l’Indonesia mostrerà un chiaro impegno a favore del risanamento. E il Fondo, secondo indiscrezioni, potrebbe accelerare la concessione di una seconda tranche da 3 miliardi di dollari se i negoziati con Giakarta saranno soddisfacenti.”44. Questo piccolo “dettaglio” non appare

però sulle pagine del Corriere e di Repubblica dello stesso giorno. La preoccupazione di un contagio è dunque ancora alta, dati i contemporanei cali di Wall Street45. Mentre il 10 gennaio Seul ottiene un ulteriore posticipo delle scadenze debitorie46, dall’11 al 13 gennaio prevalgono ancora le notizie da Giakarta, anche se l’11 gennaio solo la Repubblica e il Sole 24 Ore continuano la cronaca dall’Indonesia. Il Sole riprende le notizie sulla missione americana nel paese: “Per gli usa missione di emergenza a Giakarta”. Alessandro Plateroti conclude l’articolo dicendo che: “[…] Quella che l’anno scorso era cominciata in Thailandia come una crisi valutaria, è diventata rapidamente una crisi regionale che ha colpito la Malesia, l’Indonesia, Hong Kong e la Corea del Sud. E che minaccia di estendersi ancora anche se il Fondo monetario ha stanziato aiuti per 100 miliardi di dollari e l’amministrazione Clinton è scesa in campo in prima persona, la crisi sembra peggiorare di giorno in giorno e tale sensazione è stata amplificata dal collasso della valuta indonesiana la scorsa settimana. Di tutto ciò comincia a rendersi conto anche la Casa Bianca, sempre più preoccupata che la crisi possa sfuggirle di mano. […] Clinton ha messo in gioco con la crisi asiatica tutto il suo prestigio, ma sa bene che la partita è ancora aperta”47. Nel box interno all’articolo si informa che

l’Indonesia è stata costretta a sospendere 15 grandi opere infrastrutturali, mentre la figlia del presidente spodestato Sukarno, Megawati Sukarnoputri, rinvigorisce l’opposizione al vecchio satrapo indonesiano al potere da trent’anni. 43

* Non firmato, Rukmana: "Fate come me, vendete dollari e comprate rupie", «Il Corriere della Sera», 10 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 21 44 * Valsania M., Pronti aiuti Usa per 3 miliardi di $, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 45 * Olivieri A. & Riolfi W., Il mal d'Asia mette alle corde Wall Street, «Il Sole 24 Ore», 9 gennaio 1998, sezione “Finanza italiana”, p. 31 * Non firmato, La crisi asiatica scuote Wall Street, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 1998, p. 1 * Valsania M., Ma il nervosismo colpisce Wall Street (-2,85%), «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Non firmato, Borse, la crisi indonesiana fa crollare Wall Street, «Il Corriere della Sera», 10 gennaio 1998, p. 1 * Non firmato, La febbre asiatica colpisce le Borse, Piazza Affari si salva, «Il Corriere della Sera», 13 gennaio 1998, p. 1 * Bocconi S., La nuova crisi asiatica scuote le Borse, «Il Corriere della Sera», 13 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 8 Vedi p. 244, nota36 46 Vedi p. 237, nota13 47 * Plateroti A., Per gli Usa missione d'emergenza a Giakarta, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 4 245


II. La ricerca sui giornali

Gli interrogativi sulla crisi vengono espressi da Luca Vinciguerra, dopo la notizia di un coinvolgimento del Giappone da parte degli Usa nella missione indonesiana: 1.

“[…] basterà l’azione a tenaglia effettuata venerdì da Bill Clinton e dai massimi vertici del Fondo monetario sul presidente Suharto a spingere il Paese, ormai sull’orlo di una rivolta sociale, a varare una più incisiva manovra di bilancio per riequilibrare i conti, incassare i 43 miliardi di dollari promessi dal Fmi e scacciare lo spettro del default?”

2.

“[…] non c’è forse il rischio che, come insegna la breve storia di questa crisi asiatica, medicato il bubbone indonesiano, ne esploda qualche altro di uguale virulenza in qualche altro angolo dell’Estremo Oriente? […]”

Vinciguerra scrive che i mercati si attendono una risposta economia e una politica, specie riguardo alle intenzioni di Suharto di implementare le riforme. Il problema è che anche in caso di immobilismo da parte del vecchio leader, non sembra che al momento ci sia qualcuno in Indonesia in grado di sostituirlo, oltre al fatto che questi non ha intenzione di lasciare il potere. Ma “[…] al secondo quesito, nessuno sa rispondere. In fnodo, è il parere degli osservatori, se Giakarta è caduta rovinosamente dopo mesi di pericolosi equilibrismi finanziari, tutti gli altri Paesi dell’area – fatta eccezione per il Giappone – continuano a camminare su un filo teso nel vuoto. […]”48 .

Data l’esposizione bancaria giapponese in Indonesia tuttavia, anche la finanza giapponese non dorme sonni tranquilli49. Più perentori i titoli di Repubblica dell’11 e 12 gennaio: “Suharto, il tuo regno è finito” 50 e “Suharto, affari di regime all’esame dell’Occidente”51. Il giornale, contrariamente al Sole 24 Ore dà

ampia rilevanza al rafforzamento dell’opposizione politica in Indonesia. L’autore dell’articolo, Maurizio Ricci, sottolinea che nell’opinione pubblica si è diffusa la convinzione che la svalutazione monetaria, che ha ormai surclassato tutte le altre, compresa la Thailandia, sia dovuta a motivi politici. In più gli Stati Uniti temono il fondamentalismo islamico in uno dei paesi che conta il maggior numero di credenti in Allah, spinto anche dalle disparità economiche tra le varie etnie, in particolare quella cinese52. Il giorno successivo, sempre Ricci continua a raccontare la situazione in Indonesia. Le condizioni della popolazione peggiorano e l’opposizione prende forza a partire dalle ormai aperte critiche rivolte al presidente anche dalla stampa di regime, una volta controllata in modo ferreo. Alla base di questo c’è lo 48

* Vinciguerra L., Anche il Giappone scende in campo, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 4 49 Ivi 50 * Ricci M., Suharto, il tuo regno è finito, «La Repubblica», 11 gennaio 1998, sezione “La crisi delle Tigri”, p. 13 51 * Ricci M., Suharto, affari di regime all'esame dell'occidente, «La Repubblica», 12 gennaio 1998, sezione “Mondo”, p. 12 52 Vedi nota50 246


Il crollo

sgretolamento della classe media indonesiana. La svalutazione della moneta ha raggiunto livelli da collasso totale, i lavori pubblici per ridare un salario minimo alle persone sono stati sospesi e quelli rimasti sono una goccia nel mare, mentre i piani di produzione economica sono semplicemente falliti imponendo al paese da 200 milioni di abitanti, l’importazione del riso dal Vietnam, che lo vuole pagato in dollari53.

4.4 Tra politica ed economia Per inquadrare la cronaca sull’Indonesia, abbiamo lasciato indietro alcune valutazioni e cronache dei giornali circa le critiche all’operato del Fondo monetario e all’evoluzione della situazione in Asia. Ripartiamo allora dal Sole 24 Ore che l’8 gennaio riporta le critiche della Cina a Stati Uniti e Fondo monetario54. La valutazione è del “Quotidiano del popolo”, organo di stampa del Comitato Centrale del Partito comunista cinese. Concrete le critiche esposte: 1. Gli americani si sono opposti alla creazione di un Fondo asiatico solo dopo mesi di disinteresse verso la crisi, durante i quali hanno continuato a minimizzarne i rischi 2. L’appoggio degli Stati Uniti all’intervento del Fondo monetario è dovuto al fatto che così gli interessi americani saranno meglio tutelati 3. L’indebolimento economico dei paesi asiatici ha fatto in modo che la globalizzazione guidata dall’America si espandesse il più possibile, sancendo la vittoria del “liberalismo americano” sul modello asiatico 4. Ci sono forti dubbi sulla bontà del presente ordine economico, con capitali fuori controllo e agenzie di rating dai giudizi volubili e approssimativi 5. L’annuncio dell’aiuto del Fondo monetario internazionale, invece di reinfondere fiducia, ha fatto letteralmente crollare le economie di Thailandia e Corea del Sud 6. Questi paesi si sono risollevati solo con un rinvio delle scadenze dei debiti, idea proposta da tempo dagli altri paesi asiatici

53

Vedi p. 246, nota51 * Sisci F., Duro attacco della Cina agli Usa e all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p., 2

54

247


II. La ricerca sui giornali

7. La dissoluzione del vecchio ordine geopolitico ha fatto sì che gli Stati Uniti non potessero più tollerare la competizione economica dell’area, e che si guardassero bene dall’adottare per i paesi in crisi un nuovo paino Marshall55 Il Sole 24 Ore ci tiene a specificare la fonte di queste opinioni (il giornale del Comitato centrale del Partito comunista cinese), ma anche solo il fatto di averle pubblicate significa che la testata riconosce in quanto affermato una plausibilità confermata dai fatti. Un conto sono le critiche dei guru di Wall Street, un conto la voce dei paesi coinvolti, specie di una emergente superpotenza quale è la Cina. Dopo aver descritto il presidente malese Mahathir, rappresentante di quanti si sono opposti alle ricette Fmi, come un populista, vediamo che le stesse posizioni assumono più credibilità se pronunciate “dai forti”56. Manco a dirlo, le critiche di parte cinese, sono pubblicate sotto ad un articolo di Plateroti che descrive la caccia delle imprese occidentali alle acquisizioni low cost nel Sud est asiatico57. La Repubblica il 9 gennaio pubblica una notizia del Washington Post che scrive: “Il Fondo monetario sbaglia”58. “Si infittiscono le critiche al Fondo Monetario per la crisi in Asia […] e alcuni economisti definiscono inconcepibile il fatto che dopo aver impegnato qualcosa come 100 miliardi di dollari, il Fondo Monetario Internazionale ancora non è riuscito a ripristinare fiducia e serenità. Altri dicono che il Fondo ha trasformato la situazione da negativa a calamitosa, proponendo medicine sbagliate, imponendo il rialzo dei tassi e chiudendo banche da un giorno all’altro. Assegnando a queste economie una patente di incurabilità ha accelerato la fuga dalle rispettive valute e il crack dei mercati.”59.

Il Sole 24 Ore, così come Repubblica60, riporta i dissidi tra la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale sui rimedi da adottare nella crisi asiatica61 riportando il parere discordante di Jospeh Stiglitz. L’11 gennaio viene pubblicato un rilevante articolo di Carlo Mario Guerci che descrive la situazione finanziaria e industriale di Indonesia e Malaysia, e indica i “veri” responsabili della crisi in corso. Importante la sua valutazione: “[…] Ma non posso chiudere questo articolo senza indicare chi sono i responsabili ultimi della crisi in corso. Più ancora dei Governi e dei responsabili delle politiche economiche e finanziarie asiatiche, sono da condannare i banchieri internazionali, che inconsci o irresponsabili, hanno continuato a prestare denaro con semplicità e disinvoltura. Forse perché nell’attuale sistema finanziario internazionale a pagare di più saranno altri attori di quel

55

Ivi * Plateroti A., Ora tutti partono alla caccia dei saldi asiatici, «Il Sole 24 Ore», 8 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 57 Ivi 58 * Non firmato, The Washington Post - Il Fondo Monetario sbaglia, «La Repubblica», 9 gennaio 1998, sezione, “Commenti”, p. 13 59 Ivi 60 Vedi p. 244, nota36 61 * Margiocco M., Fmi contro Banca Mondiale, «Il Sole 24 Ore», 9 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 56

248


Il crollo sistema.”62. Il titolo dell’articolo “Quelle Tigri nella gabbia dei banchieri” sottintende qualcosa che

l’autore non esplicita chiaramente. Come mai tanta leggerezza nel concedere prestiti? Il Corriere della Sera l’11 gennaio pubblica l’editoriale di Alessandro Penati, che inizia con una citazione de “Il giocatore” di Dostoesvkij e prosegue con un dialogo immaginario tra un investitore euforico (che decanta i guadagni delle borse) e uno prudente, che mette in guardia dalle possibili bolle speculative (il riferimento è alla bolla dei tulipani del 1638). La disputa non si risolve, ma l’ultima parola è dell’investitore prudente: “Chi va piano va sano e va lontano”. Il messaggio di Penati è molto chiaro. Le previsioni in Borsa sono sempre incerte. Per sfuggire all’epiteto di Cassandra, non si annunciano futuri crolli, ma viene usata come argomentazione la stessa incertezza su cui si fondano i prossimi guadagni. I sintomi di possibili crisi esistono e non bisognerebbe farsi prendere dall’“esuberanza irrazionale”63. Siamo tornati sulla linea degli eventi: 12 gennaio. Marcello De Cecco su Repubblica scrive “L’Oriente, le banche e Pantalone”64. Egli riprende la domanda che abbiamo posto dopo le accuse di Guerci ai banchieri internazionali: come mai tanta leggerezza? Queste le sue valutazioni: 1. C’è un problema di moral hazard. Le principali banche straniere avevano la convinzione che la globalizzazione dei flussi finanziari fosse sufficiente ad autorizzare i principali paesi ad intervenire con denaro pubblico per risarcire gli investitori privati, portando alla nazionalizzazione dei debiti esteri. 2. Alcune banche americane spingono proprio in questa direzione, così come il governo coreano che necessita di garanzie, ma la soluzione finora adottata sta solamente nel riscadenziamento dei debiti esistenti, passo obbligato per evitare la moratoria coreana dei debiti con l’estero 3. La volontà del governo americano di non voler dare al mondo lo spettacolo di un salvataggio statale di investitori privati, non ha permesso ufficialmente questa mossa, anche il Giappone, dopo il caso Yamaichi, ha deciso che non farà più fallire le sue banche e i creditori esteri finora si sono limitati ad esigere il prima possibile i crediti in sofferenza, svuotando le riserve dei paesi asiatici più depressi

62

* Guerci C.M., Quelle Tigri finite nella gabbia dei banchieri, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 1998, p. 1/2 * Penati A., Borsa, l'euforia e la prudenza, «Il Corriere della Sera», 11 gennaio 1998, p. 1 64 * De Cecco M., L'Oriente, le banche e Pantalone, «La Repubblica», 12 gennaio 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XII, n. 44, p. 1/8 63

249


II. La ricerca sui giornali

4. La ricetta “liberista” è un’arma a doppio taglio: il principio che i paesi in crisi debbano “riconquistare” il valore delle proprie valute sul mercato rilanciando le esportazioni, allunga l’ombra di una temibile concorrenza proprio coi maggiori paesi occidentali e le banche spingono perché la crisi si risolva con denaro pubblico. 5. L’effetto a cascata di questa soluzione non potrà che ripercuotersi anche su Indonesia, Thailandia e Malesia, paesi cui non potrà essere negata la “soluzione coreana” 6. Tra i paesi occidentali, gli Stati Uniti hanno lanciato la corsa agli investimenti nei paesi in via di sviluppo e gli europei vi si sono gettati fino a raggiungere quote di esposizione anche maggiori. Il sistema finanziario occidentale (compreso il Giappone) è in un eccesso di capacità produttiva e dovrà uscirne ridimensionato 7. La soluzione definitiva, nel caso in cui le azioni delle maggiori banche americane dovessero cominciare a scendere seriamente, sarà ancora quella di ripianare i loro debiti con soldi pubblici, anche se l’Europa, avviata verso l’euro non ha una Federal Reserve con funzioni da “lender of last resort”65. L’analisi di Domenico Sinicscalco, sul Sole 24 Ore del 13 gennaio diverge da quella di De Cecco su Repubblica, ma entra più nello specifico circa le soluzioni adottate dal Fondo monetario e vi oppone fondate critiche. Siniscalco riassume così le cause scatenanti della crisi: “[…] La difficoltà di comprendere la situazione in Asia deriva dalla sua novità rispetto alle crisi finanziarie del dopoguerra. L’instabilità non deriva infatti dalla finanza pubblica o dalla bilancia dei pagamenti, ma dipende dai rapporti incestuosi tra banche, imprese e governo. […] le banche hanno impiegato i propri fondi in alcune imprese e in alcuni progetti sotto indicazione spesso politica e comunque con una sorta di “garanzia implicita” da parte dei Governi. Ciò ha generato cattivi impieghi per un’errata valutazione del rischio e della redditività dei progetti d’investimento. Dall’estate i tassi di interesse dell’area hanno iniziato a crescere, nel tentativo, dimostratosi irragionevole, di difendere la parità delle valute locali col dollaro Usa. Ma con l’aumento dei tassi molti debitori, società finanziarie o imprese che fossero, sono diventati insolventi. Si è così capito che i Governi non potevano garantire per tutti e la crisi di fiducia si è scatenata, pur in assenza di shock rilevanti nei fondamentali. […]”66.

L’economista riassume in tre mosse fondamentali la ricetta del Fondo monetario: 1. Riforme istituzionali nel mercato dei capitali, dei prodotti e del lavoro 2. Iniezione di fondi per salvare le maggiori aziende e banche e proteggendo i creditori più esposti 65 66

250

Ivi * Siniscalco D., Salvagenti rischiosi, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 1998, sezione, prima pagina, p. 1/5


Il crollo

3. Rialzo dei tassi di interesse per stabilizzare il cambio, anche a costo di generare recessione. E vi oppone altrettante critiche: 1. La difficoltà vera di attuare le riforme in regimi semidittatoriali, dove valgono ancora collusioni e reti di potere personale, avallati da una cultura che rispetta l’autorità 2. La politica dei salvataggi è controproducente a causa dell’incentivo del moral hazard, rischia di essere insufficiente per risollevare un’intera area come quella del sud est asiatico e urta il “[…] sentimento dei contribuenti dei Paesi sviluppati, che pagano più tasse per salvare imprese avventurose e in più rischiano di subire l’aggressione dei prodotti venduti in dumping. […]67.

3. L’innalzamento dei tassi di interesse senza sviluppo economico non può risolvere la crisi e rischia solo di aumentare i fallimenti dei debitori Siniscalco vede nella errata difesa del cambio e nelle “garanzie” poste dai governi la vera radice della crisi asiatica, il nodo da cui partire per le possibili soluzioni. Pur criticando ormai apertamente l’operato del Fondo monetario, l’autore mantiene una visione “liberista”, che si scontra con la cruda realtà descritta da De Cecco. Se si togliessero le garanzie dei governi la spirale dei ribassi continuerebbe più forte che mai, esponendo ai rischi di dumping le merci occidentali ed esportando di fatto la crisi. Proprio la comparsa delle garanzie governative dopo i negoziati con la Corea ha frenato il disastro, rilanciando anche i mercati azionari. Si è arrivati a un punto critico in cui la concretezza della situazione disperata di milioni di persone nel sud est asiatico supera le questioni di principio sul moral hazard. Il 13 gennaio il nuovo crollo delle Borse asiatiche è sulle prime pagine di tutti i giornali68. La Repubblica coglie l’occasione per un altro articolo di De Cecco: “Anche per noi suona la campana asiatica”69. Il tono è disincantato e accusatorio nel mettere a fuoco che:

1. I mercati finanziari non sono uguali agli altri, così come le banche e le altre imprese finanziarie non sono come le normali imprese. “[…] Abbiamo avuto negli ultimi anni, ponderose lezioni di celebrati economisti che tendevano invece a dimostrare che le imprese e le istituzioni finanziarie sono imprese come tutte le altre, e che quindi non hanno alcun bisogno di

67

Ivi * Non firmato, Borse, il lunedì nero dell'Asia. Wall Street e Milano tengono, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 1998, p. 1 Vedi p. 245, nota45, Non firmato, La febbre asiatica colpisce… * Non firmato, In caduta libera le Borse d'Oriente, «La Repubblica», 13 gennaio 1998, p. 1 69 De Cecco M., Suona anche per noi la campana asiatica, «La Repubblica», 13 gennaio 1998, p. 1/8 68

251


II. La ricerca sui giornali regolamentazione speciale. […] Ora appare chiaro che questa visione del mondo ha scambiato, come spesso accade agli economisti, l’essere con il dover essere. […]”70

2. La situazione in Asia è stata lasciata “marcire” per me mesi senza alcun intervento congiunto di organismi “ideologicamente motivati e più pensosi dell’economia mondiale”. “[…] Ma l’ideologia prevalente, quella che applaude al lasciar fare a scala planetaria, ha impedito che si intervenisse a tempo opportuno. Notizie del tutto fantasiose sono state propalate da ambienti che si sarebbero voluti ben diversamente responsabili, sulle reali condizioni dei mercati asiatici. […] Gli europei si sono vergognosamente sdraiati sulla linea di non intervento portata avanti da Stati Uniti e Fondo monetario internazionale. Hanno sperato che il ripararsi dietro le spalle del grande fratello americano avrebbe risparmiato loro le conseguenze più spiacevoli. […]”71

3. La storia non insegna nulla. “[…] Sembra sia necessario che ogni volta governi e classi dirigenti facciano le stesse esperienze dei loro predecessori, senza risparmiarsi nemmeno quelle più penose. Chi grida per tempo al fuoco è definito uccello del malaugurio o Cassandra professionista. I professionisti della politica non amano essere distolti dalle loro interminabili beghe pre o post-elettorali. Quando finalmente essi si destano ai problemi impellenti, la ricerca del capro espiatorio della loro insensibilità precedente diviene affannosa. […]” 72.

Ma l’analisi di De Cecco viene messa a confronto con quella del premio nobel Paul Samuelson, intervistato da Arturo Zampaglione. Il titolo è: “Se fallisce il piano dell’Fmi ci sarà una crisi mondiale”. Queste le opinioni dell’economista:

1. Non c’è alternativa per le nazioni asiatiche, che quella di seguire il piano messo a punto dal Fmi. 2. Se il piano ha successo, nonostante gli evidenti costi sociali, il mondo tirerà un sospiro di sollievo, con benefici per Europa e Stati Uniti 3. In caso contrario, l’inevitabile moratoria sui debiti inesigibili da parte dei paesi asiatici, provocherà sconquassi finanziari in tutto il globo Samuelson esprime il suo ultimo pensiero sulla possibile valutazione da parte dei posteri della attuale crisi. Egli giudica il vizio del capitalismo finanziario di vedere tutto rosa finché i soldi entrano, condannando l’agire di governi e istituzioni, addirittura dell’elettorato giapponese. Rimane vago il significato dell’ultima frase “[…] Può darsi che tra dieci anni la deregulation avrà preso piede. Ma intanto l’economia mondiale avrà corso rischi sistemici, e nei paesi asiatici

70

Ivi Ivi 72 Ivi 71

252


Il crollo milioni di persone avranno sofferto fame e povertà. E non era necessario pagare un simile prezzo.”73. Dalle

argomentazioni precedenti si intuisce che questo prezzo sia stato causato da governi inefficienti e corrotti, ma al tempo stesso sembra che esso sia troppo alto rispetto all’ottenimento della deregulation. Chi sono dunque i responsabili, i governi o la deregulation? Una risposta non c’è, ma si vede come il giornale, alternando ponderate analisi a opinioni dei guru, mantiene una linea “aperta” alle critiche al Fondo, pur senza abbandonare un generale sostegno rispetto al risanamento in Asia. Il Corriere lungo tutto il mese di gennaio non pubblica valutazioni di economisti, si affida alla cronaca economica. Dopo il sospiro di sollievo seguito alle trattative con la Corea, risalgono così le fiamme laddove sembravano ormai estinte. Avevamo lasciato Hong Kong alle prese con la difesa della parità con il dollaro mediante l’innalzamento vertiginoso dei tassi di interesse. Ora ci si chiede fino a quando riuscirà a resistere, visto che nonostante le immense riserve, la discesa del 20% delle red chips cinesi74, spingerebbe la madrepatria cinese a svalutare ulteriormente il renminbi. In Indonesia la situazione è critica. Le Borse asiatiche subiscono forti saliscendi, mentre gli Stati Uniti sembrano ancora nonostante tutto l’unica mano che potrebbe dare un ordine alle cose prima che sia troppo tardi. L’Indonesia, il 13 gennaio cede alla pressioni dell’Fmi75. Ma i “soddisfacenti” incontri dei dirigenti Fmi con il presidente Suharto non sono ancora una garanzia del rispetto degli impegni per l’Indonesia: ripagare i debiti e attuare le riforme76. Al di sotto di quest’articolo, l’annuncio che gli Stati Uniti stiano per ricorrere anche in Indonesia alla “seconda linea di difesa”, dopo i risultati positivi ottenuti in Corea. Questa soluzione smentisce la linea ufficiale sempre tenuta dagli Usa nei vertici di Manila e Vancouver, ma anche i critici dell’operato del Fondo, cui si aggiunge il Wall Street Journal, riconoscono che “[…] il Fondo monetario non rappresentava la risposta adeguata. La tesi è che il Fondo non è un erogatore di ultima istanza come sono invece le banche centrali e non ha né l’autorità né le risorse per dettare condizioni in una situazione molto delicata. Per questo, di dice, il fondo cerca di coprire il mercato con una cortina fumogena formata da linee di difesa primarie e secondarie, da progetti di riforma più facili da firmare che da applicare, una strategie che alla fine potrebbe dare ben pochi risultati. […]”77. Mentre il Presidente Clinton afferma che per ridare

stabilità è necessario seguire le indicazioni del Fondo, i vertici del Fondo monetario e quelli

73

* Zampaglione A., Se fallisce il piano dell'Fmi ci sarà una crisi mondiale, «La Repubblica», 13 gennaio 1998, sezione “Mercati nella bufera”, p. 8 74 Vedi p. 251, nota69 75 * Margiocco M., L'Indonesia cede alle pressioni dell'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 76 Ivi 77 Platero M., Gli Usa studiano una seconda linea di difesa, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 253


II. La ricerca sui giornali

delle maggiori istituzioni finanziarie americane continuano i loro colloqui in Asia78. Si vede come il Sole 24 Ore riporti sempre più articoli critici verso l’operato dell’Fmi citando autorevoli fonti americane (Wall Street Journal). Ormai è sotto gli occhi di tutti che i rimedi adottati sono lungi dal risolvere la situazione ed è una lotta quotidiana per salvare i mercati internazionali. L’unica cosa certa è che la crisi avrà conseguenze sia sulle economie reali che sui mercati finanziari79. Solo la Repubblica e il Sole 24 Ore riprendono il 14 gennaio, giorno di quiete sulle Borse80, la situazione in Indonesia. La Repubblica descrive le vicende politiche del paese con la comparsa sulla scena della figlia dell’ex presidente Sukarno, Megawati Sukarnoputri, a confronto con la figlia dell’attuale presidente Suharto: Tutut. Il Sole 24 ore, riporta continuativamente l’escalation di Giakarta fino alla fine del mese.

4.5 Disordini sociali a Giakarta Mario Margiocco così dipinge il 14 gennaio i colloqui che si stanno avendo a Giakarta con i vertici Fmi e Usa: “[…] La scena è pronta, anche la riluttante Indonesia del presidente Suharto torna all’ovile del Fondo monetario, grande mamma pronta a salvare, con i soldi di tutti, l’Asia dai suoi (e anche nostri) eccessivi sogni di gloria. L’annuncio verrà dato domani dopo i colloqui, oggi, tra il settantaseienne presidente-sultano e il direttore sesecutivo del Fondo, Michel Cadmessus, sul terreno già preparato dal suo vice Stanley Fischer, supportato ieri dal sottosegretario al tesoro Usa Lawrence Summers che ha verificato per un’ora e mezza con il presidente ieri quelle austere regole regole del gioco disattese da Suharto il 6 gennaio con il discorso sul nuovo, irrealistico bilancio statale. […]”81. Ma la strategia iniziale del Fondo abbassa il

suo profilo, tanto che “[…] Fischer ha abbandonato ieri la richiesta di un bilancio pubblico in attivo di fronte alla crisi sociale da crollo monetario. […]”82. Ma Margiocco, nell’opinione di un uomo d’affari

italiano che opera nella regione, mette in luce che in Indonesia: “[…] Potrebbe esservi in ballo più del ’98 (inteso come anno di perdita economica, n.d.r.), se va perduto, sciolto, da una moneta che impoverisce tutti, quel legame di fiducia che per trent’anni ha retto tra Suharto, padre-padrone dell’Indonesia di oggi, e il suo popolo. […]”83. Tuttavia non sono ritenute alternative credibili la figlia di Sukarno e i leader

dei movimenti islamici, dato il controllo elettorale del presidente. “[…] L’unica cosa certa è che 78

Ivi * Bastasin C., Tietmeyer: l'Europa non è al riparo, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 3 80 * Non firmato, Asia, le borse tirano il fiato, «Il Sole 24 Ore», 14 gennaio 1998, p. 1 * Vinciguerra L., Per l'Asia una giornata di tregua, «Il Sole 24 Ore», 14 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 * Non firmato, Ossigeno alle Tigri asiatiche, «La Repubblica», 14 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 31 81 * Margiocco M., Giakarta in attesa del grande annuncio, «Il Sole 24 Ore», 14 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 82 Ivi 83 Ivi 79

254


Il crollo sarà l’esercito eventualmente a sceglierlo (il successore, n.d.r.). E in fretta, se l’economia diventerà soffocante. […]”84. L’articolo sottostante riporta l’opinione dell’economista indonesiano Rachbini. Alla

domanda su cosa rimprovera al Fondo monetario, egli risponde: “[…] «Essenzialmente di non capire e rispettare maggiormente le culture nazionali. Possiamo riformare senza però diventare imitatori di altri e soprattutto occorre il suo tempo se non si vogliono rischi eccessivi. […]”85.

Il 15 gennaio l’Indonesia si “arrende” al Fondo Monetario86. Margiocco scrive un lungo e preoccupato articolo sulla rabbia montate della popolazione, mentre Alessandro Plateroti informa di un documento dell’Fmi rivelato dal new York Times dove, procedendo a una autocritica, si prende coscienza del rischio di instabilità sociale provocato da misure troppo rigide. “[…] Secondo il rapporto, il punto di svolta della crisi si è verificato nel novembre ’97, quando le autorità indonesiane furono costrette dal Fondo a chiudere 16 banche insolventi: «Pensavamo che togliendo le mele marce si potesse ricreare un clima di fiducia: invece, in assenza di una vera leadership politica, i risparmiatori sono corsi in banca per ritirare i depositi».”87. Ma tale presa di coscienza ha deboli

effetti. Sulla prima pagina del 15 gennaio sempre il Sole 24 ore titola: “L’Fmi mette a dieta l’Indonesia”88 e il servizio a pagina 6: “Indonesia, cura drastica”89. Cambiano i toni del sole 24 Ore

nella descrizione di una situazione ormai appesa alla capacità di sopravvivenza della popolazione coinvolta. Nonostante le misure promesse, il cambio non accenna a risalire, le previsioni sono di crescita zero nel 1998 e lo stato dovrà impegnare più del 50% del Pil per ripagare i debiti esteri. Anche la Repubblica il 16 e 17 gennaio riporta notizie dall’Indonesia a firma di Maurizio Ricci. L’inviato di Repubblica informa della conferenza stampa di Suharto e descrive una situazione dove tutte le principali industrie indonesiane sono frutto di collusioni e parentele con la famiglia di Suharto. Questo punto di vista è però ben lungi dal criticare anche velatamente le ricette del Fondo monetario mostrando implicitamente come la durezza delle riforme imposte sia direttamente proporzionale ai gangli esistenti. L’accento sulle liberalizzazioni imposte nega ogni visibilità alle condizioni sociali dell’Indonesia, che il

84

Ivi * Margiocco M., Nulla si può fare senza Suharto, «Il Sole 24 Ore», 14 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 86 * Margiocco M., L'Indonesia si arrende oggi all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 15 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Plateroti A., Giakarta, lezione popolare per il Fondo, «Il Sole 24 Ore», 15 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 87 Vedi nota86, Plateroti A., Giakarta, lezione… 88 * Non firmato, L'Fmi mette a dieta l'Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 16 gennaio 1998, p. 1 89 * Margiocco M., Indonesia, cura drastica, «Il Sole 24 Ore», 16 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 85

255


II. La ricerca sui giornali

giorno successivo vengono raccontate attraverso la lente delle tensioni politiche e religiose90, invece che quella di una devastante crisi economica. Il 18 gennaio il Sole 24 Ore annuncia in prima pagina gli assalti ai negozi da parte della popolazione e nel servizio interno Mario Margiocco, prendendo come esempio il caso di un appartenente alla classe media indonesiana, scrive: “[…] è difficile non avere simpatia per Yusuf e i tanti come lui in Asia, anche là dove i rischi di moti di piazza sono meno alti che in Indonesia. Il loro dramma non è poi così lontano. Alla sua genesi l’Occidente non è poi così estraneo, sia pure meno del Giappone, causa e vittima insieme. […]”. Inoltre, l’autore rivela gli accordi tra Suharto e il capo del Pentagono

William Cohen: “[…] …appoggio a Suharto ma anche uomini nuovi e credibili al suo fianco, veri eredi senza più voluti coni d’ombra. […]”91. La presenza di Rubin e Summers in Indonesia non stupisce

più di tanto, ma perché anche il capo del pentagono? È evidente che la crisi del regime di Giakarta suscita timori per la continuazione di vecchi accordi strategici e di alleanze politiche. Fino alla fine del mese, il Sole 24 Ore è l’unico a seguire la situazione in Indonesia, anche quando, oltre alla caduta inarrestabile della rupia92, avvengono saccheggi nei negozi della ricca minoranza cinese, mentre gli appelli alla calma del presidente servono a poco. La notizia più importante è erò del 28 gennaio, in quanto l’Indonesia “congela” il debito privato. Possiamo così riassumere le iniziative prese dal governo: 1. Introduzione di garanzie statali sui depositi bancari e sul debito estero in valuta delle banche indonesiane 2. Istituzione dell’Ibra (Indonesia bank restructuring agency), col compito di salvare le banche più in crisi e agevolare le fusioni degli istituti di credito in sofferenza 3. Moratoria “ufficiosa” da parte del governo per l’imponente debito estero delle aziende private, anche se molte di queste l’avevano di fatto già attuata. Un congelamento sul quale non esistono garanzie da parte dello Stato93

90

* Ricci M., Sul gigante Indonesia soffia il vento integralista, «La Repubblica», 17 gennaio 1998, sezione “Mondo”, p. 16 91 * Margiocco M., A Giava esplode la rabbia della gente, «Il Sole 24 Ore», 18 gennaio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 92 * Margiocco M., Rupia, caduta senza fine, «Il Sole 24 Ore», 22 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Margiocco M., Giakarta, precipita la Rupia, «Il Sole 24 Ore», 23 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 93 * Margiocco M., L'Indonesia congela il debito privato, «Il Sole 24 Ore», 28 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 6 256


Il crollo

Le scelte adottate, vanno nel senso delle garanzie di stato almeno per le banche in crisi. I cattivi risultati delle ricette liberiste hanno costretto alle garanzie pubbliche, ma anche così la situazione è tutt’altro che risolta e il paese si avvia verso una terribile spirale.

4.5 L’FMI sotto accusa Ritorniamo alla metà di gennaio. Il 14 Mario Platero scrive sul Sole 24 Ore un articolo dal titolo: “L’America all’ombra del Fmi agisce da stabilizzatore politico”94. L’autore ricorda come all’esplodere della crisi coreana “la reazione di Washignton” è stata immediata per scongiurare l’assunzione di poteri dittatoriali da parte del presidente Kim Young Sam con il pretesto di disordini sociali. Gli Stati Uniti hanno infatti spinto per le elezioni e per il ricambio democratico della dirigenza. L’autore spiega che quello di “stabilizzatore politico” è “[…] Un ruolo che l’America di Clinton sta interpretando sempre più spesso nel contesto geopolitico postguerra fredda […]” 95. Due, secondo Platero, sono gli obiettivi di Washington:

1. Uno tattico: l’affiancamento al Fondo monetario per contenere il rischio di allargamento della crisi, svolgendo interventi diretti che il Fondo per statuto (vedi articoli sulle riforme dello statuto del fondo) e per il fatto che non è un creditore di ultima istanza, non è in grado di svolgere 2. Uno strategico: “[…] affermazione definitiva del ruolo di mediatore politico primario nel bacino del Pacifico rispetto a Giappone e Cina, nonché la divulgazione dei valori di mercato in una regione tradizionalmente abituata a una gestione centralizzata, sia in economia sia in politica, affidata a pochi privilegiati […]”96.

Mario Platero conclude che: “[…] Il messaggio è dunque chiaro […]: democrazia ed economia di mercato sono il paradigma del modello egemonico americano, paradigma dal quale non sono più esonerati i leader che si sono affermati nella regione del Sud-est asiatico durante la guerra fredda. […] L’obiettivo di breve periodo è di contenere la crisi a livello regionale anche se la partita è ancora aperta. Nel lungo periodo, quando le cose si saranno calmate, i Paesi colpiti non dimenticheranno una lezione importante: «È un po’ come dire: alla fine, quando avete problemi dovete venire da noi – ha affermato un funzionario del Fondo – e questo se lo ricorderanno per i prossimi vent’anni». È chiaro dunque che dietro il Fondo sono gli Usa a intervenire, a dettare, a promettere o concedere nuovi fondi. È stato l’approccio americano e non quello giapponese a prevalere. Pur sempre nella trasparenza di accordi formali che costituiscono la perfetta applicazione del

94

* Platero M., L'America all'ombra dell'Fmi agisce da stabilizzatore politico, «Il Sole 24 Ore», 14 gennaio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 95 Ivi 96 Ivi 257


II. La ricerca sui giornali modello di egemonia e consenso che fa da bussola all’America del post-guerra fredda.”97. Il peso

dell’egemonia americana nelle scelte del Fondo è ormai chiaro e sorpassa per importanza l’adesione alle teorie liberiste di riferimento. Il 15 gennaio il Corriere della Sera riporta la notizia che Clinton chiede un summit del G-8, che comprende la Russia, per arginare la crisi98, e riprende le dichiarazioni di George Soros circa il rischio di un collasso nel commercio mondiale. Il Sole 24 Ore cita più specificamente il fatto che, secondo il miliardario americano, i rischi maggiori sono per la Cina e il Sudamerica99. A distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, Il sole 24 ore e Repubblica pubblicano ancora articoli sulle critiche rivolte al Fondo monetario. Il giornale economico, il 16 gennaio mette in evidenza due questioni dietro alle polemiche degli aiuti americani ai paesi in crisi: 1. Mobilitando gli aiuti americani della “seconda linea di difesa” si è mostrato nervosismo davanti alla crisi 2. elargendo detti finanziamenti si aiutavano le istituzioni bancarie private piuttosto che i paesi sovrani (problema del moral hazard) Una fonte interna al Fondo monetario citata da Platero, afferma che ciò che è stato fatto per la Corea forse non sarebbe mai stato attuato per Thailandia o Indonesia e l’autore aggiunge per la prima volta parole forti: “[…] In queste crisi occorre navigare a vista. Solo nelle ultime settimane si sono aggiunte le incognite per la stabilità politica della regione, soprattutto nell’Indonesia di Suharto. E gli usa sono intervenuti direttamente. Solo ora ci si accorge che vi è il rischio di un’escalation nella guerra commerciale che potrebbe mettere in difficoltà la Cina. Tutti sanno che il Giappone è fragile. La realtà è che la crisi asiatica è la prima vera crisi della globalizzazione. Non esiste un manuale. […] La critica vera però sta paradossalmente nella debolezza del Fondo, un’organizzazione che sembra capace soltanto di essere cattivissima solo dopo l’esplosione della crisi, ma appare molto docile quando le crisi sono in divenire. È questa dicotomia il vero nodo del problema […]. E viene il dubbio che il pompiere silenzioso davanti al fumo che si alza da un braciere ardente di fianco alla legna secca non possa che essere nel suo profondo del cuore o un simpatizzante piromane o un burocrate zelante, titubante e pauroso.”100. La novità della crisi, l’effetto

domino, e la realtà della globalizzazione, portano Fabrizio Galimberti, nel box all’interno dell’articolo di Platero a non estremizzare i giudizi negativi nei confronti del Fondo monetario. A sostegno di questa posizione, Galimberti ipotizza l’applicazione delle ricette di 97

Ivi * Ferrari G., Mal d'Asia, Clinton chiede un summit, «Il Corriere della Sera», 15 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 21 99 * Sisci F., Soros: rishiano anche la Cina e il Sudamerica, «Il Sole 24 Ore», 15 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 100 * Platero M., E contro l'Fmi infuria la polemica, «Il Sole 24 Ore», 16 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 98

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Il crollo

chi è contro il salvataggio degli investitori privati, con gli sconquassi che provocherebbe. “[…] Per le economie occidentali, l’unica cosa chiara è che i Paesi asiatici si aggrapperanno disperatamente, come i passeggeri del Titanic, alle uniche scialuppe di salvataggio che la crisi ha reso disponibili: l’export esaltato dal crollo delle valute. […]”101.

La Repubblica, il 19 gennaio titola “Non sparate sul Fondo monetario”102. Henry Kaufmann firma l’editoriale in prima pagina dell’inserto “Affari&finanza”. L’economista americano constata che “[…] I flussi finanziari provenienti dall’estero, a Tokio come sulle altre piazze colpite dalla crisi attuale si sono praticamente interrotti e non c’è alcuna mossa politica né apertura o liberalizzazione dei mercati finanziari che possa sostenere la situazione, a meno appunto che un deciso intervento dall’esterno. La crisi attuale è di dimensioni tali da far impallidire quella messicana del 1994. […]”103. Kaufmann precisa che:

1. Il Fondo monetario e la Banca mondiale non sono all’altezza delle sfide che pongono loro i mercati globalizzati 2. Sarebbero necessarie nuove istituzioni, un comitato di controllori che emetta rating affidabili e ingiunga riforme prima che avvengano disastri. 3. I paesi industrializzati dovrebbero incentivare la formazione nei paesi in via di sviluppo di istituzioni finanziarie più efficienti, indipendenti e rapide di quelle attuali104. Sullo stesso inserto “Affari & finanza”, è anche pubblicata un’intervista a Mark Mobius, personaggio già incontrato sulle pagine dei nostri giornali, che non esita a difendere il Fondo monetario e la sua esistenza, affermando che se non ci fosse stato, l’evolversi della crisi sarebbe stato molto peggiore105. La Repubblica il 26 del mese pubblica un altro intervento di Marcello De Cecco: “Tietmeyer e le ombre cinesi”106. De Cecco scrive qui forse il suo articolo più specialistico. Ciò che è importate sottolineare sono le opzioni economiche del piano della banca americana J.P. Morgan sui debiti asiatici. 1. Il piano della Morgan cerca di fronteggiare il rischio della deflazione innescata dalla svalutazione monetaria asiatica. La banca americana “[…] pubblicizza le perdite delle 101

* Galimberti F., Ma è l'unica alternativa alla legge della giungla, «Il Sole 24 Ore», 16 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 102 * Kaufman H., Non sparate sul Fondo Monetario, «La Repubblica», 19 gennaio 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 2, p. 1/9 103 Ivi 104 Ivi 105 * Occorsio E., Asia, per il recupero aspettate un anno, «La Repubblica», 19 gennaio 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 2, p. 9 106 * De Cecco M., Tietmeyer e le ombre cinesi, «La Repubblica», 26 gennaio 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 3, p. 1/8 259


II. La ricerca sui giornali banche straniere sui mercati asiatici, facendole accollare ai governi dei debitori e poi rinforzando il merito di credito degli stessi governi mediante la garanzia dei governi del G-7. […]”

2. De Cecco rimprovera al piano di non fare nulla però per il rilancio della domanda interna di questi paesi, che sono dei grandi importatori di beni occidentali. La stretta creditizia interna può causare: a. La riduzione della capacità produttiva di settori critici in cui l’Asia era un temibile concorrente b. Una spinta dei suddetti produttori a esplorare nuovi mercati a qualsiasi prezzo 3. Il piano Morgan secondo De Cecco tenderebbe alla prima ipotesi, che volgerebbe a vantaggio dei competitori occidentali, senza contare che salverebbe le monete delle tre Cine (Pechino, Hong Kong e Taiwan, n.d.r.). L’economista conclude che la riuscita del piano non è garantita, specie da condizioni di compromesso che la Corea del Sud potrebbe mettere in piedi. Il Sole 24 Ore il 29 gennaio chiama in causa Jeffrey Sachs in persona, che esprime il suo punto di vista nella sezione “Commenti e dibattiti” a pagina 4. Possiamo così sintetizzare l’intervento di Sachs: 1. I risultati finora prodotti dai programmi del Fondo monetario sono stati deludenti. L’ondata di panico scatenata dalla fuga degli investitori non è stata fronteggiata per tempo 2. Il panico spingono il sistema finanziario e produttivo in una spirale involutiva. Le banche che hanno preso a prestito denaro all’estero (in dollari o yen) per riprestarlo in patria vedono rovinare i loro bilanci insieme al deprezzamento delle monete e bloccano il credito anche per il sistema produttivo 3. La stretta creditizia e la chiusura delle banche insolventi non è risultata una mossa efficace per far risaltare trasparenza e pulizia, ha anzi esacerbato il panico causando la corsa agli sportelli 4. Invece di chiudere le banche, Sachs consiglia di ricapitalizzarle per ridar fiato al sistema produttivo, così come ha fatto il Giappone con l’intenzione di non lasciarle fallire e ricevendo il consenso dei mercati107.

107

* Sachs J., Asia, le ricette errate dell'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 29 gennaio 1998, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4

260


Il crollo

L’intervento di Sachs avviene a distanza di un mese e mezzo dal 13 dicembre, quando aveva denunciato in un altro articolo108 gli errori del Fondo. Da allora non è cambiato nulla, anzi le situazioni in alcuni paesi sono peggiorate. Si riscontra in questo periodo una maggiore attenzione all’analisi dei risultati delle politiche del Fondo monetario e viene data voce ai critici, anche se sul Sole 24 Ore le parole di accusa sono sempre affiancate da un “contrappeso”, come nel caso di Platero e Galimberti109. La Repubblica durante tutto il mese di gennaio non rivolge al Fondo monetario particolari critiche, affidandosi all’opinione dei guru come Kaufmann e Mobius (vedi articoli). Il Corriere della Sera non esprime valutazioni complessive limitandosi alla cronaca economica e politica dalla regione.

4.6 Da Seul a Davos Nell’ultima decade di gennaio positive le notizie del Sole 24 ore sul fronte coreano. Il paese che aveva tenuto in scacco gli Stati Uniti e gli esperti dell’Fmi preoccupati per un crack mondiale, comincia a risalire la china. Il 23 gennaio Daniela Roveda cita le opinioni di un’economista di Stanford: Harry Rowen, che afferma che grazie alla solidità dei suoi fondamentali il paese uscirà presto “dal tunnel”110. Il 27 gennaio è Luca Vinciguerra a scrivere: “La Corea torna a sperare”111. I recenti successi della Borsa di Seul diffondono infatti un certo ottimismo.“[…] Miracolo a Seul? «Non nessun miracolo – osserva Thomas Hong-Soon Han, economista della Hankuk University of foreign studies – È che sulla Corea è tornata un po’ di fiducia. Ciò ha fatto bene alla Borsa perché insieme alla fiducia sono arrivati anche i quattrini degli investitori esteri. […]”112. L’autore commenta che i capitali rientrati nel

paese sono una modesta quantità, ma tanto è bastato a far ripartire i titoli. “[…] Certamente poi, gli sviluppi del negoziato in corso a New York tra la task force del neo eletto presidente Kim Dae-Jung e le banche estere hanno contribuito a tonificare giorno dopo giorno il mercato. Prima i creditori hanno accettato il roll-over su 25 miliardi di dollari di debiti a breve termine contratto dalle banche commerciali coreane, poi è iniziato il negoziato sulle modalità della complessa operazione di rescheduling. […]”113. Vinciguerra

focalizza che i mercati aspettano con ansia la buona riuscita dei negoziati che ora sono rivolti al tasso di rimborso del debito. La situazione rimane incerta, ma i segnali sembrano positivi. Il 108

Vedi cap. 3, p. 223, nota461 Vedi p. 258, nota100, e p. 259, nota101. 110 * Roveda D., Rowen (Stanford): la Corea uscirà presto dal tunnel, «Il Sole 24 Ore», 23 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 111 * Vinciguerra L., La Corea torna a sperare, «Il Sole 24 Ore», 27 gennaio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 112 Ivi 113 Ivi 109

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II. La ricerca sui giornali

giorno successivo, la ripresa coreana è confermata nel box “Brevi dall’Asia”, dove è Stanley Fischer, numero due del Fondo monetario internazionale a dichiarare: “[…] «L’incredibile determinazione della Corea a prendere in mano e ribaltarla renderà possibile una ripresa notevole», ha dichiarato Fischer, aggiungendo che è giusto prendere in considerazione l’idea di creare un currency board per l’Asia, anche se al momento prevalgono le ragioni contrarie all’attuazione.”114.

Il 29 gennaio Vinciguerra pubblica il secondo articolo di reportage dalla Corea. Il paese tenta di “smontare” le vecchie chaebol. Ma nonostante i programmi Fmi, la ristrutturazione del sistema che è stato e rimane la spina dorsale del sistema produttivo coreano,non sarà facile. Tanto che Vinciguerra afferma: “[…] Al di là delle linee di principio generali, tuttavia, la fase di transizione delle chaebol da bracci operativi di un’economia semi-pianificata a vere e proprie aziende private non si annuncia né rapida, né tanto meno indolore. […]”115. Viene infatti messa in luce la rete di

collusioni politiche, di fondi neri, garanzie incrociate per i finanziamenti infragruppo e i consistenti legami politici per ottenere le commesse del governo. L’autore conclude dicendo che ciò che non sarà in grado di fare lo stato, lo farà il mercato, mediante la chiusura o la vendita delle attività i perdita e la concentrazione di ogni chaebol sul suo core business116. L’accordo tra banche americane e governo coreano viene annunciato sul Sole 24 Ore il 30 gennaio, mentre è del 31 la notizia che la borsa coreana continua a salire anche dopo la chiusura di dieci banche117. Dopo le notizie da Seul, l’allentamento del piano di aiuti alla Thailandia da parte dell’Fmi, è il segnale che si inserisce nella “seconda fase” della gestione della crisi118. Il Fondo acconsente infatti ad alleviare gli obiettivi da raggiungere per beneficiare dei crediti. Intanto il Corriere della Sera analizza, seppur brevemente, lo scenario asiatico e, nelle parole di un manager cinese di Hong Kong, afferma che: “[…] Da questa crisi finanziaria nel Far East escono vincenti gli Stati Uniti e alla grande. […] Il fatto è che gli americani sembrano gli unici in grado di avere un po’ di iniziativa. Gli asiatici, giapponesi compresi, sono semiparalizzati dal panico, gli europei fanno gli indifferenti, preoccupati solo dall’euro. […]”119. L’autore, Danilo Taino, fa comunque presente

che nonostante le acquisizioni in Asia dei gruppi occidentali, dopo aver piegato i paesi dell’area all’apertura delle frontiere e all’economia di mercato, potrebbero rinascere proprio 114

* Non firmato, Fmi: Seul verso una decisa ripresa, «Il Sole 24 Ore», 28 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 6 115 * Vinciguerra L., Seul prova a smontare le vecchie chaebol, «Il Sole 24 Ore», 29 gennaio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 116 Ivi 117 * Non firmato, Chiuse in Corea 10 banche, la Borsa vola, «Il Sole 24 Ore», 31 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 118 Non firmato, L'Fmi allevia il piano di aiuti alla Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 28 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 6 119 * Taino D., Asia, la scommessa di Clinton, «Il Corriere della Sera», 20 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 23 262


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quei “valori asiatici” che sembrano aver perso in Borsa la loro ragion d’essere. Il giornalista evidenzia infatti che dietro la “vittoria” americana stanno crescendo anche gli oppositori della globalizzazione. “[..] Chobsak Chtikul, il direttore generale del dipartimento economico del ministero degli esteri thailandese, ha detto nei giorni scorsi che gli USA: «sono gli unici che stanno attraversando un periodo di boom e c’è quindi un’impressione di ingiustizia». Addirittura ci sono appelli «a uscire dalla trappola dell’occidente», che incapace di competere, costringerebbe gli asiatici a svalutare. Molti uomini d’affari stanno pensando che forse, in fondo, è una bunoa idea il famoso blocco economico proposto dal più antiamericano dei leader della regione: Mahathir Mohamad. […] Altri ancora, propongono un ritorno all’agricoltura, una chiusura alla globalizzazione, uno stop al dominio del pensiero occidentale, compresi i sistemi dell’Fmi e della Banca mondiale.”120.

Repubblica non presta attenzione alle voci critiche provenienti dall’Asia. Riporta solo qualche notizia dai giornali internazionali121: il Wall Street Journal che condanna l’immobilismo del Giappone mentre “[…] i paesi del sud-est asiatico, dalla Corea alla Thailandia, dall’Indonesia a Taiwan, stanno facendo qualcosa per riparare i danni. […]”122, e il settimanale Time che

riprende l’ipotesi di Henry Kaufman di riformare strutturalmente il Fondo Monetario “[…] È dalla crisi messicana del 1995, […] che si parla di riformare il Fondo monetario internazionale. Le vicende asiatiche di queste settimane rendono non più demandabile un’iniziativa del genere. Il Fmi appare del tutto impreparato rispetto alla globalizzazione dei mercati. Andrebbe invece creato subito un nuovo board internazionale che sia dotato di poteri molto più cogenti e vigili sulle economie in modo da essere in grado di intervenire molto più energicamente prima che scatti l’emergenza e non a posteriori come oggi. […]”123.

Ma il 31 gennaio sempre su Repubblica a rovinare le tentazioni illuministe di Kaufman ci pensa George Soros. Anche il miliardario americano ha una “ricetta” per controllare la finanza internazionale, una specie di fondo assicurativo. Ma la posizione di Soros stupisce ancora e vale la pena riportare alcune frasi: 1. L’impatto della crisi sulle economie occidentali: “[…] sarà benefico, nell’immediato, per Stati Uniti e Gran Bretagna, che vedono allontanarsi il rischio di un ritorno dell’inflazione e quindi della necessità di rialzare i tassi. […]”

2. La crisi asiatica: “[…] È così grave che molti debiti non potranno essere ripagati. Perciò i valori patrimoniali delle aziende asiatiche dovranno essere ancora molto svalutati rispetto ai livelli attuali. […]”

120

Ivi * Non firmato, The Wall Street Journal - Il Giappone non agisce, «La Repubblica», 27 gennaio 1998, sezione “Commenti”, p. 11 * Non firmato, Time - Un nuovo Fondo Monetario, «La Repubblica», 28 gennaio 1998, sezione “Commenti”, p. 13 122 Ivi, Non firmato, The Wall Street Journal – Il Giappone… 123 Ivi, Non firmato, Time – U nuovo… 121

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II. La ricerca sui giornali

3. Sulle banche centrali: “[…] Le banche centrali hanno sicuramente imparato molto. In futuro saranno più preparate a rispondere… a questa crisi. Ma non alla prossima! […]”

4. Sulla riforma del Fmi: “[…] Io non chiedo salvataggi. Ma il Fondo monetario e le altre autorità internazionali non devono esagerare con la punizione degli errori, perché alla fine chi soffre di più sono le popolazioni dei paesi colpiti da questa crisi. [...]”124.

Soros consiglia alle organizzazioni internazionali di non esagerare con le punizioni. È difficile pensare che egli se ne preoccupi per motivi umanitari, ma è un altro segnale della presa di coscienza che i provvedimenti delle istituzioni internazionali hanno giocato anche contro i paesi dell’area. Non a caso il 31 gennaio sul Sole 4 Ore Alessandro Merli scrive che al tavolo della prossima riunione del G-7, ci sarà proprio il ruolo del Fondo monetario internazionale e un pacchetto di proposte per migliorarne la funzionalità. Le richieste ai paesi asiatici di maggiore trasparenza nelle loro statistiche lascia comunque spazio alla sensazione che la crisi sia in via di soluzione. “[…] Nei ministeri finanziari dei sette comincia a prevalere la sensazione che la crisi asiatica, dopo l’accordo sul debito coreano e se l’Indonesia adotterà le riforme promesse, possa essere sulla via della stabilizzazione, a patto naturalmente che la situazione non degeneri in Giappone, soprattutto per quanto riguarda la salute del sistema bancario. Gli interventi del Fondo monetario insomma, pur fra le molte critiche, starebbero cominciando a produrre i primi effetti. […]”125. L’autore

dell’articolo elenca poi, traendole da indiscrezioni del quotidiano britannico “Guardian”, le proposte di modifica dello statuto del Fondo monetario. 1. Richiesta di maggiore trasparenza delle statistiche fornite dai paesi in via di sviluppo 2. miglioramento dei meccanismi di comunicazione del Fondo Monetario, che gil permettano di consigliare per tempo politiche economiche atte a risolvere i problemi esistenti 3. Estensione della vigilanza non solo alla bilancia dei pagamenti ma anche ai flussi di capitali 4. Enfasi da parte di Fmi e Banca mondiale sul miglioramento del funzionamento dei sistemi bancari

124

* Rampini F., Soros: Viviamo tra le crisi, «La Repubblica», 31 gennaio 1998, sezione “Economia”, p. 28 * Merli A., Dal prossimo G-7 regole più severe sul ruolo dell'Fmi nei paesi emergenti, «Il Sole 24 Ore», 31 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 125

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Il crollo

5. Uso di garanzie da parte della Banca mondiale per evitare che i creditori internazionali ritirino i crediti126 Inutile dire, con le parole di Merli, che “[…] La modifica dello statuto del Fmi per allargare il mandato ai movimenti di capitale è invece ancora allo studio e raccoglie consensi tutt’altro che unanimi fra i Paesi membri dell’organizzazione.”127. Alessandro Merli esplicita la sensazione positiva circa una

caduta di virulenza della crisi e un suo possibile riassorbimento, ma questo giudizio appare contraddittorio. Infatti, oltre che essere legato a variabili molto incerte, è basato su risultati di medio termine (l’accordo con la Corea, gli aiuti all’Indonesia) raggiunti in contrasto con i programmi iniziali del Fondo monetario. Perciò è un po’ difficile dire che: “[…] Gli interventi del Fondo monetario insomma, pur fra le molte critiche, starebbero cominciando a produrre i primi effetti. […]”128.

Certo le critiche di Mahathir e, tra gli economisti più noti, di Jeffrey Sachs, non sono state prese molto in considerazione, ma la linea del Fondo si è dovuta piegare alla gravità degli eventi, con interventi diretti da parte degli Stati Uniti d’America. Il 30 gennaio infatti, è a New York che viene raggiunto l’accordo tra banche internazionali e governo coreano129, con la messa in sicurezza da parte dello stato dei debiti delle imprese private mediante obbligazioni. La strada intrapresa inizialmente dal Giappone nei confronti delle sue banche in difficoltà, il salvataggio pubblico, viene così salutata positivamente dagli analisti, nonostante i necessari compromessi e le incertezze che gravano sul futuro. Il Corriere della Sera apre il mese di febbraio con le opinioni sulle proposte e le possibilità di riforma della struttura finanziaria mondiale al vertice di Davos. “[…] A differenza di quanto accadde dopo la crisi del Messico del ‘95, la sfida è stata raccolta. A questo punto le proposte fioriscono e proprio a Davos, nei lavori ufficiali e nelle riunioni informali del World Economic Forum, si sta studiando come riformare le istituzioni sopranazionali per dare loro più capacità di previsione e più potere di interdizione. Sul tappeto c’è una proposta di George Soros. In sostanza il finanziere-filantropo più influente del pianeta dice che serve una regolazione dei movimenti di capitale: diversamente, la reazione allo strapotere dei mercati potrebbe portare a un fascismo planetario. […]”130. A questa si aggiungono le proposte di

Kaufman per un allargamento e un cambio di funzione delle istituzioni internazionali. Ma Stanley Fischer, numero due del Fondo, Howard Davies, presidente della autorità britannica per il controllo dei servizi finanziari, Sven Sandstrom, presidente della Banca Mondiale, Renato Ruggero e Peter Sutherland, attuale ed ex direttore del Wto, non sono d’accordo, 126

Ivi Ivi 128 Ivi 129 * Valsania M., Accordo tra banche e Corea: ristrutturato il debito a breve, «Il Sole 24 Ore», 30 gennaio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 130 * Taino D., Gli economisti: "Una struttura mondiale per frenare le speculazioni selvagge", «Il Corriere della Sera», 1 febbraio 1998, sezione “Economia”, p. 20 127

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II. La ricerca sui giornali

opponendo alla presunta necessità dei regolamenti, l’impossibilità di attuarli o la loro scarsa efficienza nel guidare l’allocazione degli investimenti finanziari. Danilo Taino, autore dell’articolo, cita per ultima proprio l’opinione di Sutherland, il quale afferma che a beneficiare del libero mercato dei capitali sono proprio i Paesi in vi di sviluppo131. Dinanzi a quanto sta succedendo è una posizione bislacca, che difende gli interessi delle grandi banche occidentali. Non a caso, l’articolo riporta che Sutherland è passato dal Wto alla banca d’affari americana Goldman Sachs. Anche il Sole 24 Ore riprende i negoziati di Davos (Svizzera) e annuncia che Europa e Stati Uniti starebbero pensando a un nuovo Patto Transatlantico per ridare stabilità monetaria. Enrico Sassoon132, autore dell’articolo, propone un ampia analisi della questione, che ha riflessi economici e geopolitici. Possiamo così sintetizzare il suo intervento: 1. Nonostante la crescente integrazione commerciale e l’aumento delle produzioni in tutto il mondo, affiancato dall’aumento del reddito pro-capite, non bisogna dare per scontato il vento di apertura della globalizzazione. 2. L’affermazione di nuove e vaste aree geografiche (Apec, Unione Europea) rette da accordi di libero scambio, con rispettive monete di riferimento (yen, euro) potrebbe, secondo voci americane, rallentare questo processo di unificazione. 3. I vantaggi della globalizzazione non esulano nessuno dagli svantaggi 4. Se il baricentro degli scambi commerciali mondiali si è spostato dall’Atlantico al Pacifico, gli Usa, a causa della recente crisi in Asia, stanno riflettendo sull’opportunità di riportare gli equilibri più verso l’Europa. 5. Questa mossa strategica ridarebbe smalto alla Gran Bretagna e a Tony Blair, che riveste la presidenza di turno dell’Unione Europea, e a Bill Clinton, oberato dagli scandali sessuali (caso Lewinsky), che ambisce all’assunzione di maggiore indipendenza nel concludere accordi internazionali (fast track). 6. La contropartita europea potrebbe essere però una “leadership globale”, che dopo lo scioglimento dei blocchi possa dare più garanzie di autorevolezza che una leadership autoespressa

131

Ivi * Sassoon E., Un Patto globale il nuovo obiettivo di Europa e Usa, «Il Sole 24 Ore», 5 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 132

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L’autore commenta però che le trattative verso questo patto, che prevederebbe aperture commerciali Usa-Europa, sono disseminate di vecchi ostacoli protezionistici e interessi configgenti di vario ordine e grado. È quindi una prospettiva remota, che appare più il tentativo di sviare le proposte concrete di riforma delle istituzioni internazionali che di fatto agiscono troppo spesso nel nome di Washington. Ma la crisi asiatica continua. Il 3 febbraio, solo due giorni prima, Alessandro Merli scrive un articolo intitolato “Ma i dubbi restano”, mettendo in luce le incognite e certezze della crisi in Asia: 1. Tra le certezze quella che sono i Governi a dover salvare sé stessi adottando le corrette politiche economiche e specialmente adottando chiare e decise scelte politiche 2.

Tra le incognite quelle relative alla stabilità bancaria della regione, proprio quando anche il Giappone, grande dispensatore di capitali, non riesce ad uscire dal pantano della crisi bancaria e la Cina teme la svalutazione, che causerebbe ulteriori instabilità oltre che ritorsioni protezioniste da parte Usa133. Merli conclude che la partita è nelle mani della politica interna degli Stati Uniti. Il

Congresso infatti non è favorevole alla concessione di ulteriori capitali al Fondo monetario incurante del segnale destabilizzante di questa scelta. Ma il destino del mondo, è nelle mani di Rubin?

4.7 Ottimismo e disperazione Queste due emozioni riempiono le pagine dei giornali fino alla fine di febbraio. Sul Sole 24 Ore l’ottimismo è quello delle grandi istituzioni internazionali, mentre dall’estremo oriente giungono echi di grida. Le rivalutazioni delle borse asiatiche134 con il vero e proprio “balzo” di Kuala Lumpur (+23%)135, spingono il presidente della Banca Mondiale Wolfensohn a dichiarazioni di ottimismo e lodi alla Malaysia. Ma il giorno successivo si torna al segno negativo136 e Luca Vinciguerra scrive sul Sole che “La cura dell’Fmi per la Corea rischia di

133

* Merli A., Ma i dubbi restano, «Il Sole 24 Ore», 3 febbraio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 Mengarelli F., Toro scatenato nelle Borse asiatiche, «Il Sole 24 Ore», 3 febbraio 1998, sezione “In primo piano”, p. 2 135 * Es. R., Exploit della borsa in Malaysia: +23%, «Il Sole 24 Ore», 4 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 136 * Es. R., Sulle Borse asiatiche torna il segno negativo, «Il Sole 24 Ore», 5 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale” , p. 8 134

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II. La ricerca sui giornali infiammare la piazza”137. La prevista crescita delle esportazioni, primo motore della ripresa a

causa della svalutazione, viene così giudicata da Vinciguerra. “[…] È vero che le stesse stime indicano una crescita delle esportazioni fino al 50% entro la fine di quest’anno. Ma non basterà a riportare in equilibrio la Corea se l’industria continuerà a sfornare grandi volumi lavorando in perdita. Ecco perché tra le priorità del nuovo presidente Kim Dae jung, c’è il riassetto urgente delle chaebol, […]. Nessuno però ha ancora calcolato quale sarà il costo sociale complessivo della grande razionalizzazione. Il vero nodo della questione, infatti, verrà al pettine di Seul quando banche e chaebol decideranno di ristrutturarsi davvero. E per un paese che ha infilato di gran carriera il sentiero della crescita senza la cintura di sicurezza di un welfare state, la svolta verso il mercato potrebbe diventare una pericolosa acrobazia. […] Insomma, ci sarà da licenziare e molti finiranno per strada. Chi lo spiegherà alla gente che ha donato oltre una tonnellata d’oro per aiutare la Corea a uscire dal tunnel? […]”138. La situazione è tutt’altro che rosea, ma si nota una enorme asimmetria.

Cosa è che fa sì che nelle parole di Wolfensohn e altri, la crisi sia meno grave? Semplicemente la riduzione del rischio che intacchi i centri della finanza mondiale, cioè occidentale. Infatti le parole di allarme vengono sempre a proposito delle “torri d’avorio”: il Giappone, la Corea e le “tre Cine”, i paesi che possono espandere più pericolosamente il virus. Il “sospiro di sollievo” dopo gli accordi con la Corea ha evitato che le banche occidentali vedessero i loro bilanci dipingersi di rosso, ma la crisi del paese, come quella della regione, non è ancora finita. Intanto stupisce la coesione sociale coreana: i sindacati hanno acconsentito ai licenziamenti139 e la Borsa di Seul è cresciuta. Le “Brevi dall’Asia” del Sole 24 Ore del 7 febbraio intanto informano dell’aumento del debito indonesiano, della volontà di adottare il dollaro di Singapore quale moneta corrente da Malaysia, Thailandia e Filippine per frenare la svalutazione monetaria e dell’abbassamento del rating della Malaysia da parte dell’agenzia Moody’s. L’8 febbraio su Repubblica compare un editoriale di Giuseppe Turani nella prima pagina della sezione “Economia”. Nella consueta incertezza della Borsa, Turani descrive due scenari: lo scenario Nord e lo scenario Sud. 1.

“[…] C’è il cosiddetto scenario “Nord”, che starebbe a significare la vittoria dei paesi forti, industrializzati, su quel marasma del Sud Est asiatico. I seguaci dello scenario nord non hanno dubbi. La crisi asiatica è finita. Le Borse “buone” (da New York a Milano) che prima hanno accusato il colpo, adesso si sono riprese e stanno correndo di nuovo come schegge verso chissà quali traguardi. […]”

137

* Vinciguerra L., La cura dell'Fmi per la Corea rischia di infiammare la piazza, «Il Sole 24 Ore», 5 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 138 Ivi 139 * Degli Innocenti N., Seul, sì dei sindacati ai licenziamenti, «Il Sole 24 Ore», 7 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 268


Il crollo

2. Questo lo scenario Sud: “[…] La crisi delle borse asiatiche, che fino a qualche settimana fa, ci obbligava ad alzatacce per controllare com’erano andati quei mercati, era solo l’antipasto. Il grosso, il vero terremoto, deve ancora scoppiare, e quando scoppierà avrà effetti devastanti. Si tratta […] di una possibile svalutazione della moneta cinese. […]”140

La conclusione di Turani è che, pur nell’incertezza del momento, bisogna aver cautela a giudicare finita la crisi, così come a riporre fiducia nella crescita indefinita della Borsa. Da questo punto di vista non ci sono novità, ma in questa occasione l’analista butta acqua sul fuoco dell’ottimismo. Il Corriere della Sera nei primi giorni di febbraio, fa seguire all’analisi di Taino sul summit di Davos, due articoli sulla Thailandia. Il giornale non parla della Thailandia dalla metà di dicembre, ma la situazione si è aggravata e Massimo Nava dipinge il quadro di un paese che si mobilita in una specie di normalizzazione della povertà, con decine di migliaia di persone senza più un posto di lavoro, autoriduzioni degli stipendi, banchetti su cui si svendono oggetti di ogni tipo, il massiccio rimpatrio dei lavoratori stranieri e il controesodo verso le campagne di chi sperava, nelle fiorenti città, di costruirsi un avvenire migliore. Nel secondo articolo del reportage, Nava scrive infatti che “[…] …la Thailandia sembra reagire al crollo anche con una rivoluzione sociale e politica. [...]”141. Il Re invoca un ritorno alla campagna, la messa

a punto di piani di sviluppo più equilibrati e il rispetto delle tradizioni, il nuovo governo ha avviato una riforma della costituzione e l’assicurazione di attuare le riforme economiche “con il consenso, il buon governo e sulla base di principi democratici”. Nava scrive che in Thailandia si è diffusa una cultura contro gli eccessi consumistici del boom. Ma tra gli effetti di questa “rivoluzione culturale” è anche la diffusione di un antiamericanismo latente. “[…] Per la prima volta dopo essere stato uno degli alleati più fedeli degli Stati Uniti (durante la guerra del Vietnam si era trasformato in una base militare americana), il paese scopre sentimenti antioccidentali e antiamericani, pur difendendo con la pubblicità e i poster lo stereotipo delle immagini turistiche, dei sorrisi e dell’ospitalità genuina. C’è come la sensazione di una gigantesca truffa, di un neocolonialismo imposto con le armi delle Borse, al servizio di sua maestà il dollaro. […]”142.

Il Sole 24 Ore non nomina il “Paese dei Thai” lungo tutto febbraio, preferendo, il 10 del mese riportare in prima pagina le valutazioni del vertice dei banchieri centrali del G-10, con riporto in quarta pagina. Salvatore Carruba illustra così la questione sul tavolo: “[…] La disputa terminologica sul nuovo morbo che minaccia i mercati internazionali ha messo a nudo a Davos il nervosismo, la sensibilità e la preoccupazione diffusi non tanto per la crisi dei mercati asiatici in sé, quanto per il significato 140

* Turani G., La febbre gialla non è ancora scesa, «La Repubblica», 8 febbraio 1998, sezione “Economia”, p.

27 141

* Nava M., Bangkok, contro la crisi, ritorno alle origini, «Il Corriere della Sera», 5 febbraio 1998, sezione “Economia”, p. 24 142 Ivi 269


II. La ricerca sui giornali che essa assume e le conseguenze che può innescare. Tramontate le grandi dispute ideologiche, digerita la prospettiva globalizzante della nuova economia, politici, banchieri e imprenditori si sono domandati se la crisi che ha fatto traballare i mercati sia stata solo una febbre improvvisa, destinata a svaporare in un brutto ricordo, o non piuttosto l’indice sinistro di una perdurante instabilità, che addirittura potrebbe mettere in crisi un certo modello di capitalismo. […]!”143. Dopo aver citato le opinioni dei partecipanti al forum di Davos,

Carruba riporta il contrasto tra chi sostiene che i mercati non abbiano un “equilibrio naturale” e non siano in grado di perseguirlo (Soros), e chi invece afferma che non c’è altra soluzione che lasciare la libertà dei movimenti di merci e denaro, dato che anche i regolamenti non impediscono le instabilità. Il giudizio finale dell’autore, partendo dalla considerazione eraclitea che non c’è nulla di certo e tutto è sempre in movimento, è che non sono le regole a impedire gli imprevisti144. Lo stesso giorno a pagina 9, nella sezione “Economia Internazionale”, anche Tietmeyer e Cadmessus esprimono pareri positivi sull’Asia, tanto che il problema centrale non è più la crisi in sé, ma la modifica delle istituzioni internazionali145. Si aggiunge a questo articolo la descrizione delle teorie di un giovane economista che già nel 1993, aveva studiato e “smascherato” il miracolo asiatico. Ciò che prima sembrava un’eresia, viene ora constatato dall’ambiente economico e reca alla conclusione che il “boom” asiatico non è stato che un’illusione ottica “[…] Non c’è quindi nessun miracolo asiatico, concludeva Young, ma solo una «accumulazione di fattori» (capitali e manodopera a buon mercato), non ripetibili all’infinito. Eravamo di fronte allora non a un nuovo modello di sviluppo, ma a una «riallocazione settoriale di risorse», a vantaggi “statici” di tipo neoclassico. E alla fine, si può aggiungere alla luce di quanto accaduto negli ultimi otto mesi, lo squilibrio tra investimenti e capacità di garantire remunerazioni future è parso evidente e ha rotto il meccanismo dell’eccezionale successo asiatico.”146. Questa visione è abbastanza dura nei confronti

del boom, ma è tornata in auge perché dimostra che ciò che doveva crollare è crollato, addossando ancora una volta le colpe a storture sistemiche su cui le organizzazioni internazionali non sono potute intervenire. La Repubblica e il Corriere della Sera, nella prima decade di febbraio, dopo quelle già citate abbandonano le analisi per dedicarsi alla cronaca indonesiana. La piaga della crisi ha infatti compromesso le fondamenta di molti stati dell’area. A detta dei governatori centrali, il virus sembra meno contagioso, ma è ancora incerta la sorte dei paesi infettati. L’Indonesia, dopo i colloqui con l’Fmi e con i più diretti rappresentanti del Governo americano, vive una 143

* Carruba S., Il nuovo virus del capitalismo, «Il Sole 24 Ore», 10 febbraio 1998, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4 144 Ivi 145 * Bastasin C., Da Cadmessus e Tietmeter segnali di ottimismo sull'Asia, «Il Sole 24 Ore», 10 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 146 * Margiocco M., Il miracolo asiatico smascherato nel '93, «Il Sole 24 Ore», 10 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 270


Il crollo

situazione di stallo politico ed economico senza una apparente via d’uscita visto che, al contrario della Corea e della Thailandia, le elezioni non garantiscono alcuna possibilità di un cambio di Governo. Il vecchio Suharto mantiene ancora il controllo dello Stato. Fino ad ora è riuscito ad ottenere aiuti dal Fondo con colloqui accomodanti e facendo valere considerazioni strategiche, ma la situazione sociale è ormai al calor bianco. Già l’8 febbraio il Corriere della Sera annuncia l’allarme americano per la situazione in Indonesia. Gli articoli che seguono, dal 10 al 17 febbraio riportano un’escalation di violenza. “L'Indonesia frana. Scontri e razzie”147, “Indonesia, violenze contro i cinesi. Suharto: Stroncate la protesta”148, “Indonesia sul baratro, caccia ai cinesi”149. Dello stesso tono gli articoli de La Repubblica dal 14 febbraio al 18: “Indonesia in fiamme, l'esercito nelle strade”150, “La crisi di Suharto”151, “Giava, la polizia spara a vista”152, “Mano dura di Suharto, ma la rupia precipita”153. Il Sole 24 Ore oltre alla situazione nel paese154, descrive il

dibattito su un’iniziativa proposta da Suharto per un estremo tentativo di difendere il cambio: un currency board. Questo strumento è sempre stato in uso ad Hong Kong e finora, nonostante il calo della Borsa e l’innalzamento pauroso dei tassi di interesse, ha difeso la parità col dollaro della neo provincia cinese. Non è da dimenticare che la parità di Hong Kong è sostenuta anche da fattori politici, ma ha comunque retto alla speculazione. Il regime indonesiano ha adottato questa soluzione dopo essersi rivolto a un’economista americano indipendente Steven Hanke, che ha consigliato questa soluzione. Il Sole 24 Ore titola in prima pagina “Braccio di ferro FmiIndonesia e la rupia crolla”155. A pagina 8, nella sezione politica ed economia internazionali,

Alessandro Merli così commenta l’iniziativa di Suharto: “[…] Ma la verità è che lo scetticismo della comunità internazionale va ben al di là delle obiezioni tecniche sulla applicabilità all’Indonesia del currency 147

* Nava M., L'Indonesia frana. Scontri e razzie, «Il Corriere della Sera», 10 febbraio 1998, sezione “Esteri”, p.

13 148

* Non firmato, Indonesia, violenze contro i cinesi. Suharto: "Stroncate la protesta", «Il Corriere della Sera», 13 febbraio 1998, sezione “Esteri”, p. 11 149 * Nava M., Indonesia sul baratro, caccia ai cinesi, «Il Corriere della Sera», 15 febbraio 1998, sezione “Esteri”, p. 9 150 * Non firmato, Indonesia in fiamme, l'esercito nelle strade, «La Repubblica», 14 febbraio 1998, sezione “Mondo”, p. 12 151 * Non firmato, La crisi di Suharto, «La Repubblica», 17 febbraio 1998, sezione “Commenti”, p. 10 152 * Non firmato, Giava, la polizia spara a vista, «La Repubblica», 17 febbraio 1998, sezione, mondo, p. 16 153 * Ricci M., Mano dura di Suharto, ma la rupia precipita, «La Repubblica», 18 febbraio 1998, sezione “Mondo”, p. 14 154 * Degli Innocenti N., Scontri a Giakarta, crisi sui mercati, «Il Sole 24 Ore», 12 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 * Degli Innocenti N., Suharto: pugno di ferro per l'Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 13 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 * Margiocco M., Un gioco di affari e di potere, «Il Sole 24 Ore», 13 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 * Non firmato, Esplode la rabbia in Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 14 febbraio 1998, p. 1 * Margiocco M., Indonesia, l'esercito spara, «Il Sole 24 Ore», 14 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 155 * Non firmato, Braccio di ferro Fmi-Indonesia e la rupia crolla, «Il Sole 24 Ore», 17 febbraio 1998, p. 1 271


II. La ricerca sui giornali board. L’opinione corrente è che questa strada sia stata scelta soprattutto per evitare le riforme che avrebbero colpito amici e parenti del presidente. […]”156. C’è al fondo una grossa partita politica: “[…] Il Fondo Monetario ha deciso di bloccare gli aiuti se Suharto andrà avanti con i suoi piani. L’Indonesia ha mandato segnali di volerli applicare lo stesso. Probabilmente calcolando che in questo modo avrà comunque nell’Fmi un facile capro espiatorio per le ulteriori sofferenze che verranno inflitte all’economia e alla popolazione. O forse che, per evitare una recrudescenza della crisi, l’Fmi sarà il primo a fare marcia indietro. Se avrà sbagliato i calcoli quella del currency board sarò la sua ultima partita.”157.

Sulla vicenda, Maurizio Ricci, di Repubblica, espone in modo diverso, mettendo in evidenza che il Fondo Monetario non è contrario al sistema del currency board, ma pensa che potrà essere messo in piedi solo dopo aver effettuato il risanamento, anche perché il sistema prevede che per ogni quantità di rupie emesse, siano presenti nei forzieri della banca centrale quantità di dollari in pari valore. Solo in questo modo si potrebbe sostenere, come Hong Kong, la parità col dollaro, ma la Banca Centrale Indonesiana non ha sufficienti riserve e un currency board eterodosso, dove cioè le quantità di dollari e rupie non sono esattamente corrispondenti, rischia di generare ancora di più la corsa al biglietto verde, incentivata da un cambio sopravvalutato che alimenterebbe anche il mercato nero158 . L’intervista del Corriere della Sera a Megawati Sukarnoputri, figlia del presidente destituito Sukarno, rilancia sulle chance di cambiamento politico per l’Indonesia. Le risposte della leader politica traboccano di amor di popolo e di democrazia, dinanzi alla spaventosa situazione del paese159. Ma solo tre giorni dopo l’intervista alla leader dell’opposizione, che vanta influenti appoggi anche nelle file degli ufficiali più “illuminati” dell’esercito, nelle brevi dall’estero, intitolate “Mappamondo”, si scrive che i militari avrebbero scelto come successore di Suharto il suo vice Habibie, continuando a sostenere il vecchio presidente alle prossime presidenziali. Il Sole 24 Ore commenta da tempo che la crisi economica è dovuta anche all’impossibilità di una credibile alternativa politica, sminuendo la portata dei candidati d’opposizione come la figlia di Sukarno. Il giornale economico, annunciando la “nomina” di Habibie quale successore del dittatore-presidente, lo descrive come un uomo in completa sintonia con la attuale amministrazione: grandi progetti pubblici e grande corruzione privata. Dalle notizie dei disordini fino al 20 febbraio, il Sole 24 Ore intensifica il botta e risposta sulla fattibilità del currency board indonesiano160, per poi annunciare in prima pagina, 156

* Merli A., Dietro i piani di Suharto un esperto anti-Fondo, «Il Sole 24 Ore», 17 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 157 Ivi 158 Vedi p. 271, nota153 159 * Nava M., Porterò la democrazia in Indonesia, «Il Corriere della Sera», 17 febbraio 1998, sezione “Esteri”, p. 8 160 * Galimberti F., Le magie impossibili, «Il Sole 24 Ore», 14 febbraio 1998, p. 1/5 272


Il crollo

sul continuo dei disordini di piazza161, che l’Indonesia si rivolge al G-7 per “chiedere strategie”. Ma nell’articolo di Alessandro Merli, si dice che: “[…] I sette discuteranno certamente, secondo fonti monetarie, della situazione dei mercati valutari in Asia, ma difficilmente di dichiareranno pronti a intervenire su questo fronte. È al varo invece dopo una riunione svoltasi ieri qui a Londra, un pacchetto di 15 miliardi di dollari per da parte delle agenzie di assicurazione dei crediti all’esportazione dei maggiori paesi per consentire ai Paesi asiatici, le cui esportazioni sono pressoché bloccate dall’inizio della crisi (a causa dello stop all’erogazione del capitale di esercizio, n.d.r.), di riprendere scambi commerciali più normali. […]”162. Si

conferma, dopo le ostentate dichiarazioni di ottimismo da parte di banchieri e uomini delle istituzioni internazionali, che il dibattito sulle soluzioni alla crisi nel suo complesso è ormai sceso nella scala delle priorità dei vertici internazionali. Per la prima volta infatti il Sole 24 Ore titola in prima pagina del 22 febbraio: “G-7: crisi scongiurata”163, e, nel testo seguente:“[…] Giappone a parte, i Sette sono apparsi piuttosto ottimisti sul resto dell’Asia: la crescita e le fiducia degli investitori potrà ritornare nell’area sempre che «i Paesi perseguano le riforme necessarie» afferma il G-7, che ha dato pieno appoggio all’operato dell’Fmi, finito sotto accusa nell’ultimo periodo, anche per quanto riguarda la bocciatura del progetto di istituire un currency board in Indonesia. Idea sulla quale Suharto sarebbe pronto a fare marcia indietro. […]”164.

Sul Corriere della Sera del 19 febbraio si commentano le riunioni riservate a Washington “dopo la crisi asiatica”. Appare evidente che anche per il Corriere della Sera la crisi sembra bella che finita. Il discorso si concentra però su nuovi progetti di governance mondiale. “«Più poteri al G-7». I maggiori Paesi industrializzati starebbero discutendo, su richiesta americana, un ridisegno complessivo delle istituzioni finanziarie internazionali che nelle sue linee di fondo prevede, da un lato il potenziamento del ruolo del G-7 e, dall’altro, il ridimensionamento del Fondo Monetario

* Non firmato, Clinton a Suharto: Non ignorate l'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 15 febbraio 1998, p. 1 * Margiocco M., Clinton a Suharto: no al currency board, «Il Sole 24 Ore», 15 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 Vedi p. 271, nota155 * Degli Innocenti N., E' scontro aperto tra Giakarta e l'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 17 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 Vedi p 272, nota156 * Degli Innocenti N., Suharto insiste: cambio fisso, «Il Sole 24 Ore», 18 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Non firmato, Indonesia in crisi, forti difficoltà per il cambio fisso, «Il Sole 24 Ore», 19 febbraio 1998, p. 1 * Degli Innocenti N., Waigel boccia Suharto, «Il Sole 24 Ore», 19 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Valsania M., Uno strumento pericoloso se impiegato fuori tempo, «Il Sole 24 Ore», 19 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Rossini G., Un'arma per arginare la crisi, «Il Sole 24 Ore», 19 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 161 * Non firmato, Nuovi disordini in Indonesia per il carovita, «Il Sole 24 Ore», 20 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 162 * Merli A., Dal consulto sulla crisi asiatica non usciranno rimedi miracolosi, «Il Sole 24 Ore», 21 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 163 * Non firmato, G-7, crisi scongiurata. Tokio deve accelerare, «Il Sole 24 Ore», 22 febbraio 1998, p. 1 164 Ivi 273


II. La ricerca sui giornali Internazionale. Un organismo, questo, che gli Usa non hanno mai veramente amato. […]”165. La discussione

tecnica sull’organizzazione della piramide di G-7, G10 e G-22, ognuno con diversi compiti, viene così commentata da Mario Cecchini: “[…] Al di là delle fattibilità del progetto, che è controverso, dietro le quinte si intravede netta la mano di Washington. Nel Congresso e nei circoli accademici usa sta montando infatti la protesta contro il Fondo monetario, guidato peraltro da un francese, Michel Cadmessus, che ha chiesto a fronte dei vari crack asiatici, altri 60 miliardi di dollari ai suoi ricchi contributori. George Schultz e William Simon, ex segretari di Stato, ne hanno chiesto la chiusura. Da «sinistra» lo critica Jeffrey Sachs, di Harvard. Da «destra» Martin Feldstein, ex capoeconomista di Reagan.”166. Diviene

necessario allora il riferimento alle critiche al Fondo monetario e al dibattito tra Congresso e Governo americano sulla concessione dei fondi.

4.8 Il ruolo del Fondo monetario Già il 13 febbraio il Sole 24 Ore aveva pubblicato un articolo in cui il governatore della Fed Alan Greenspan aveva riaffermato in un’audizione al congresso l’importanza della concessione degli aumenti di capitale al Fondo monetario per 18 miliardi di dollari. Ci sono stati altri interventi in tal senso e l’inviato, Mario Platero, scrive: “[…] Il problema è che il tempo stringe. Il voto in Congresso per erogare gli aumenti di capitale dovrebbe avvenire entro il mese di aprile Se il Parlamento americano approverà l’aumento, si procederà con la ratifica generale negli altri Paesi, altrimenti, in mancanza di un avallo del Congresso americano, si profila il pericolo di una fuga da parte della maggioranza degli altri Paesi con conseguenze potenzialmente gravissime. […]”167. Ma l’autore sottolinea

che “[…] il problema non è quello del costo, il problema è ormai sempre più quello del ruolo che deve svolgere il Fondo monetario nel contesto di un processo di globalizzazione che avanza sempre più rapidamente. E la questione degli aumenti di capitale è il pretesto per poter offrire al Congresso – e agli altri Parlamenti mondiali – la possibilità di fare un’importante verifica dell’istituzione multilaterale, in aggiunta a quella periodica svolta dall’esecutivo. […]”168. Si nota come sia emerso in tutta la sua evidenza, il problema del

controllo politico e del ruolo del Fondo monetario. Il Sole 24 Ore è molto attento su questo punto, mentre il Corriere della Sera si limita a riportare la cronaca delle richieste di riforma americane169. La Repubblica, che ormai ha ridotto drasticamente rispetto ai mesi di dicembre e gennaio, il numero degli articoli dedicati alla crisi, cita due notizie del Wall Street Journal170 ,

165

* Cecchini M., Più peso al G-7, meno al Fmi, «Il Corriere della Sera», 19 febbraio 1998, sezione “Economia”, p. 25 166 Ivi 167 * Platero M., Greenspan: aiutiamo l'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 13 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 11 168 Ivi 169 Vedi nota165 170 * Non firmato, The Wall Street Journal - Fmi alla resa dei conti, «La Repubblica», 6 febbraio 1998, sezione “Commenti”, p. 13 274


Il crollo

che riporta rispettivamente il possibile blocco dei finanziamenti al Fondo e le critiche di Jeffrey Sachs e Steven Radelet. Dopo l’articolo del 1 febbraio circa la necessità di una struttura che freni le speculazioni selvagge171, anche il Corriere non presta grande attenzione ai problemi di governance del Fondo. Il 18 febbraio il Sole 42 Ore titola nella sezione “Economia internazionale” a pagina 7: “È scontro aperto negli Usa sul ruolo del Fondo”172. L’autore dell’articolo è Mario Platero, che riportando i commenti del wall Street Journal, scrive: “[…] La retorica è pesante. Le parole, gli esempi e gli aggettivi che usano i critici del Fondo preludono a una escalation del dibattito “post”-crisi asiatica. La posta in gioco è altissima. Le risposte dei difensori sono più moderate ma non meno decise. […] Il dibattito non è più soltanto sulla difficoltà di trovare il giusto equilibrio fra “esigenze di stabilizzazione” e “rischio morale”, ma è ormai sulla fisionomia che le grandi istituzioni dovranno assumere nel contesto della globalizzazione. […]”173. Platero passa in rassegna le opinioni di noti economisti, e possiamo

trarne in definitiva alcuni punti chiave: 1. La necessità di riforma del Fondo è sostenuta sia da «sinistra» (Sachs), che da «destra» (Feldstein), senza contare quanti chiedono la chiusura del Fondo per poter ricostruire un’organizzazione sulle fondamenta di Bretton Woods. 2. Problema del “moral hazard”. I salvataggi convincono le banche che alla fine ci sarà sempre qualcuno che ripagherà i debiti inesigibili e le porterà a sottovalutare il rischio del cambio nei paesi emergenti, rischiando di ingigantire le crisi (Feldstein) 3. Problema della democrazia. “[…] Secondo Feldstein il Fondo dovrebbe domandarsi se le sue richieste tecniche interferiscono con «impropriamente con la giurisdizione di un Paese sovrano». E le richieste imposte alla Corea, ad esempio, toccano alcuni dei più delicati contenziosi politici, come le regole per il mercato del lavoro, la struttura e la gestione societaria, e impongono dettagliate prescrizioni economiche su governi legittimi, un approccio dubbio anche se gli economisti fossero unanimi nel riconoscere i meriti delle riforme» […]” 174. E ancora, Arthut Schlesinger: “[…] … è difficile dimostrare l’inopportunità di un sistema quando i tassi di crescita sono del 10% all’anno. […]”175

* Non firmato, The Wall Street Journal - Fmi e crisi asiatica, «La Repubblica», 27 febbraio 1998, sezione “Commenti”, p. 13 171 Vedi p. 265, nota130 172 * Platero M., E' scontro aperto negli Usa sul ruolo del Fondo, «Il Sole 24 Ore», 18 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 173 Ivi 174 Ivi 175 Ivi 275


II. La ricerca sui giornali

In conclusione viene citata l’affermazione di un funzionario italiano del Fondo monetario, che spiega con realismo che non si tratta di: “[…] …sovrabbondanza di mezzi, ma di insufficienza di strumenti, non di eccesso di risorse, ma di scarsità di risorse”176. Questo importante

articolo fa capire quante e quali voci dibattono all’interno degli Stati Uniti senza tuttavia giungere ad alcun orizzonte pratico d’azione. Si comprende così che tra le tensioni politiche interne agli Usa e le questioni geopolitiche, la linea d’azione delle istituzioni finanziarie internazionali, che da entrambe dipende, deve “navigare a vista”, con il rischio di difettare di coerenza. Fa da contorno a questo breviario di posizioni, una lunga intervista a Jeffrey Sachs. Il professore di Harvard, che aveva dall’inizio criticato l’azione del Fondo monetario Internazionale, dinanzi alla progressiva stabilizzazione ottenuta in paesi come la Corea, spiega così le sue critiche: 1. Sulla stabilizzazione: “[…] Non mi sorprende. Il roll-over dei debiti, al quale il Fondo monetario si opponeva è stato deciso dalle banche private su incoraggiamento della Federal Reserve. E io avevo sempre suggerito che si ricorresse al riscadenziamento del debito, perché la crisi era soprattutto una crisi di liquidità. […]”177

2. Governare la globalizzazione: “[…] La mia critica […] parte da «sinistra», parte dalla necessità di evitare che un Paese che rappresenta il 5% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti – e che nel giro di pochi anni rappresenterà il 3% della popolazione mondiale – si arroghi il diritto di imprimere al Fondo monetario una direzione politica contraria alle esigenze, alla storia e alla cultura dei paesi che richiedono assistenza. […]”178

3. Sul problema della scarsa trasparenza del Fondo: “[…] La verità è che la segretezza serve a coprire gli errori. […] …con il Fondo abbiamo un vero problema: la mancanza di un controllore. […] Non c’è la possibilità di una vauktazione esterna indipendente […]”179

4. Evitare il panico: “[…] La questione fondamentale è quella di trovare il modo per aiutare i mercati ad evitare il panico. Perché abbiamo una crisi? Perché si diffonde il panico tra gli operatori. La conseguenza è una fuga massiccia di capitali che aumenta ancora di più la dimensione del problema. E temo che con il suo comportamento il Fondo finisca per aggiungere panico invece di toglierlo. […]” 180

176

Ivi * Platero M., Sachs J.: L'Fmi scopra le carte, «Il Sole 24 Ore», 18 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 178 Ivi 179 Ivi 180 Ivi 177

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Il crollo

5. Il ruolo del Fondo: “[…] Il Fondo può contribuire a questa armonizzazione globale. Ma deve farlo riconoscendo che la diffusione delle libertà politiche ed economiche deve essere perseguita riconoscendo le differenze di fondo fra i Paesi […]”181

Il Sole 24 Ore pubblicando questa intervista, dà una visione “altra” dopo le cronache dei vari summit e le proposte di riforma del Fondo. Ma la crisi in Asia continua e nel prossimo vertice del G-7 a Londra, il Far East sarà ancora protagonista, specie per le discussioni e le analisi sulla economia giapponese nonché, ancora, sul ruolo del Fondo, dato che è ancora su iniziativa americana che verranno concessi crediti a breve ai paesi asiatici per rimettere in moto le esportazioni. All’articolo del 21 febbraio di Alessandro Merli182, ne fa eco un altro, il 24 febbraio, che cita l’intervento del Governatore centrale tedesco: “Tietmeyer: l’Fmi da solo non è una buona soluzione”183. Tietmeyer infatti chiama in causa anche i creditori privati, che secondo

lui, dovrebbero partecipare attivamente alle trattative e magari proporre in parte una moratoria sul debito. Non è chiaro il significato di questo intervento, dopo quanto è successo tra banche americane e debito coreano. Forse il Governatore lamenta da parte europea la stessa capacità d’iniziativa degli Stati Uniti? Il 23 febbraio la Repubblica riporta, a firma di Arturo Zampaglione, un intervento di Henry Kissinger sulla crisi. Il professor Kissinger, “[…] nel viaggio in Asia, si è reso conto di un pericolo reale […]: «Il pericolo che gli Stati Uniti vengano percepiti non come un Paese amico, che dà consigli e assistenza per il bene comune, ma come un Paese cow-boy che impone rimedi amari dal punto di vista socioeconomico, solo per i propri interessi». Se così fosse, sostiene Kissinger, verrebbero minate le relazioni a lungo termine tra gli Stati Uniti e l’Asia, che invece devono rappresentare un punto di forza nelle relazioni internazionali del secolo che si apre. […]”184. Secondo Kissinger infatti, “[…] In tutti e tre i casi (la crisi dell’America latina degli anni ’80, quella messicana e la crisi asiatica, n.d.r.) la scintilla è venuta da un improvviso mutamento delle politiche americane o dei mercati. L’aumento dei tassi di interesse sul dollaro nel 1980 e nel 1994 fece precipitare la situazione nell’America latina, l’improvvisa impennata della moneta americana ha dato lo scossone in Asia. […]”185. Kissinger propone tre iniziative:

1. Un sistema di pre-allarme che impegni debitori e creditori, evitando di usare il Fondo come ultima salvezza. 2. Misure deterrenti per la speculazione e incentivi per la trasparenza dei movimenti di capitali 181

Ivi Vedi p. 273, nota162 183 * Non firmato, Tietmeyer: l'Fmi da solo non è una buona soluzione, «Il Sole 24 Ore», 24 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 184 * Zampaglione A., La crisi asiatica, un affare di Stato, «La Repubblica», 23 febbraio 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 7, p. 16 185 Ivi 182

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II. La ricerca sui giornali

3. Soluzioni alle crisi che considerino le diversità sociali ed economiche Egli afferma infatti: “[…] «Se l’Indonesia finisce nel caos, […] per decenni dovremo pagare per l’instabilità del sud-est asiatico. Se la morsa del Fondo monetario non sarà allentata, la democrazia thailandese sarà in pericolo, Non pretendo di avere la competenza tecnica per proporre soluzioni, […], ma mi è chiaro che i leaders del mondo devono capire meglio i meccanismi di globalizzazione della finanza». […]”186. Il 24

febbraio il Corriere della Sera pubblica invece le critiche di Hans Tietmeyer al Fondo monetario. Poche righe in cui si esplicita la critica “da destra” del banchiere tedesco: il Fondo monetario sarebbe intervenuto troppo presto e con troppi soldi nella crisi asiatica. Ma il dibattito sul ruolo del Fondo monetario e sulle implicazioni della crisi asiatica è portato avanti principalmente dal Sole 24 Ore, che dà sempre più spazio anche alle voci “diverse” dall’ortodossia liberista del Fondo monetario e dalle strategie politiche di Washington. Ma gli episodi di critica diretta da parte del giornale sono comunque limitatissimi e improntati più su una difesa “culturale” (ricordiamo gli articoli di Calcaterra sul Giappone) che non su una decisa presa di posizione economica. Lo stesso vale per La Repubblica e Il Corriere della Sera. Nelle ultime analisi pubblicate a febbraio, c’è quella del famoso storico dell’economia Charles Kindelberger, che paragonando la crisi asiatica a quella del ’29, una crisi cioè causata da eccesso di debiti, prevede che a breve termine l’economia ricomincerà piano a girare. Ma il recupero dal poderoso passo indietro rispetto alla corsa verso il benessere di solo un anno fa, impiegherà molto tempo187. Il 28 febbraio Mario Margiocco descrive il lavoro di analisi di Jeffrey Sachs e Steven Radelet di Harvard sulle cause della crisi. I due stuidiosi chiariscono che per capire davvero la crisi asiatica non serve guardare ai “fondamentali” o ad alcune peculiarità del capitalismo dei quei paesi, dato che questa è stata causata dalla ritirata improvvisa dei prestiti innescata dal panico finanziario188. Alla fine di febbraio ritornano le cronache dall’Asia. Dopo le dichiarazioni di ottimismo dell’inizio del mese, tornano le valutazioni degli esperti sulla crisi in sé e sulle sue prospettive, mentre in Indonesia gli studenti sono in piazza contro Suharto189 e in Corea, il neo presidente Kim Dae-Jung, annuncia ai suoi concittadini lacrime e sangue. L’ultimo giorno del mese, sempre il Sole 24 Ore, annuncia che Alan Greenspan, in una conferenza stampa,

186

Ivi * Margiocco M., Kindelberger: una lunga risalita per l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 26 febbraio 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 188 * Margiocco M., L'ultimo rapporto di Sachs (Harvard): sono troppo vulnerabili i mercati finanziari, «Il Sole 24 Ore», 28 febbraio 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 189 * Non firmato, Studenti in piazza a Giakarta contro Suharto, «Il Sole 24 Ore», 27 febbraio 1998, sezione politica ed economia internazionali, p. 6 187

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Il crollo

raggela i giornalisti con il pronostico di una “crisi numero tre”. Alla fine però sembra solo una manovra politica per insistere sulle dovute riforme delle banche centrali.

4.9 L’Indonesia sfida l’Fmi La volontà di Greenspan viene ribadita il 4 marzo sul Sole 24 ore da un articolo di Mario Platero190, preceduta il giorno prima dalle dichiarazioni di Sakakibara circa la necessità di un “nuovo ordine finanziario”191. Alla fine dell’articolo si delinea il quadro in Indonesia, con l’ex vicepresidente americano Walter mondale che si reca a Giakarta per “spingere Suharto alle dimissioni”. Il vecchio leader però resiste: accetta le riforme del Fondo monetario, ma chiede con forza un currency board. Secondo fonti americane, non citate dal Sole 24 Ore, sarebbe una contropartita politica per transigere sulla lettera d’intenti col Fondo monetario, specie rinnovando i sussidi al prezzo dei carburanti, per paura di disordini sociali. Lo stesso giorno viene pubblicata una seconda intervista a Jeffrey Sachs192, che delinea ancora una volta la situazione dell’Asia, precisando che: 1. La crisi in Asia non è ancora finita ma il rischio di contagio per via commerciale è molto limitato per i paesi industrializzati, così come quello per via finanziaria 2. Il Fondo monetario nella gestione della crisi ha aumentato sia il panico sia la contrazione con politiche irrealistiche 3. Tra i paesi meno colpiti dalla crisi sta Taiwan, che aveva investito capitali propri, la Malaysia, che avendo pochi debiti a breve ha potuto evitare il programma non ha seguito il programma dell’Fmi, le Filippine, che essendo partite più tardi nella crescita, sono meno indebitate. I più colpiti, oltre alla situazione incerta del Giappone, sono la Corea per un ammontare enorme di debiti interni ed esteri, e l’Indonesia, per ragioni finanziarie, economiche e politiche.

190

* Platero M., Greenspan: riformare l'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 4 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 191 * Es. R., Sakakibara: un nuovo ordine finanziario, «Il Sole 24 Ore», 3 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 192 * Margiocco M., Sachs: Per la Cina è l'ora dei conti, «Il Sole 24 Ore», 4 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 279


II. La ricerca sui giornali

4. Dinanzi al rallentamento dei suoi “tre motori” (l’agricoltura, le imprese industriali rurali e le imprese industriali costiere) e alla possibile ulteriore svalutazione dello yen, la Cina potrebbe svalutare lo yuan, causando un altro ruzzolone valutario in Asia193. Al di sotto dell’articolo, Mario Platero riporta le pressioni americane sulla Indoensia, perché non ricorra al currency board e si attenga piuttosto ai programmi dettati dal Fondo194. Ma l’Indonesia non ha alcuna intenzione di arrendersi, tanto che il Fondo monetario il 5 marzo minaccia195 e poi, dopo l’ennesimo crollo della rupia (-10%)196 blocca effettivamente197 la seconda tranche di finanziamenti a Giakarta. La notizia è in prima pagina: “[…] siamo al braccio di ferro tra il Fondo e Giakarta, che non sta portando avanti in modo soddisfacente il piano di riforme e anzi torna a sovvenzioni e aiuti in un clima di incertezza che solo l’arrivo di nuovi ministri potrà sciogliere. […]”198. All’interno Nicol Degli Innocenti, scrive che: “[…] Il Governo continua a inviare segnali contrastanti, ribadendo a parole la volontà di attuare le riforme imposte dal Fondo monetario, ma adottando, invece, misure che vanno nella direzione opposta. […]”199. L’autrice

cita l’opinione di Goei Siauw, head of research di SocGen Crosby Indonesia: “[…] «Bisogna tenere presente che l’inflazione è l’unica cosa che Suharto ha in mente in questo momento […]. La situazione potrebbe facilmente forzarlo a decidere per il cambio fisso, nonostante l’opposizione dell’Occidente» […]”200.

Intanto il ministro delle Finanze indonesiano si è detto ottimista sul conferimento della tranche di aiuti, lanciando velate minacce al Fondo sulle conseguenze in Asia del blocco del pacchetto finanziario. Si intensifica lo scontro. L’8 marzo, Nicol Degli Innocenti riporta: “[…] Non si può dire che Suharto non sia stato avvisato. Nonostante il silenzio dell’Fmi, le pressioni sul presidente sono continuate per tutta la settimana scorsa. Il primo è stato l’ex vicepresidente americano Walter Mondale, a Giakarta come inviato personale di Bill Clinton. Poi giovedì è stato il turno del segretario di Stato agli Esteri britannico, Derek Fatchett, in rappresentanza della Ue. Venerdì, infine si è presentato Yoshiro Hayashi, inviato del premier giapponese. Arrivati per una missione pressoché impossibile, convincere Suharto ad accelerare le riforme dell’Fmi e rinunciare al progetto di cambio fisso rupia/dollaro, i tre inviati delle maggiori potenze economiche, sono ripartiti insoddisfatti. A tutti il presidente ha regalato il suo impenetrabile sorriso giavanese, ma a nessuno

193

Ivi * Platero M., Forte pressione Usa su Suharto: non si deve fare il currency board, «Il Sole 24 Ore», 4 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 195 * Margiocco M., Il Fondo minaccia di bloccare la seconda tranche all'Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 5 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 196 * Non firmato, La rupia in picchiata. Valute asiatiche in calo, «Il Sole 24 Ore», 6 marzo 1998, p. 1 * Margiocco M., Giakarta, la rupia crolla (-10%), «Il Sole 24 Ore», 6 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 197 * Non firmato, L'Fmi blocca gli aiuti a Giakarta, «Il Sole 24 Ore», 7 marzo 1998, p. 1 198 Ivi 199 * Degli Innocenti N., L'Indonesia sfida il Fondo, «Il Sole 24 Ore», 7 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 200 Ivi 194

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Il crollo ha concesso neppure una promessa. Dopo l’annuncio dell’Fmi il Presidente potrebbe piegare la testa. La decisione del Fondo di comunicare il rinvio del prestito prima dell’elezione di Suharto ha una doppia valenza: da un lato, uno “schiaffo” al Presidente che finora ha ignorato consigli e avvertimenti, ma dall’altro l’offerta di un’ultima chance a Suharto, con l’evidente intenzione di influenzare la scelta del prossimo governo. […]”201. Il

10 marzo procedono gli atti burocratici per la rielezione di Suharto. Il Fondo monetario tende ancora una mano all’Indonesia affermando che i negoziati “continuano e continueranno”, ma sembra che all’interno del governo si sia rafforzato “il fronte nazionalista e anti-Fmi”. I miliatri controllano gli studenti delle università stando attenti a non provocare disordini. Nicol Degli Innocenti dipinge un quadro disperato: “[…] La rupia crolla, la Borsa precipita, la gente non riesce a comprare medicine e latte, il paese è nel caos: ma l’importante è che oggi, quando Suharto sarà eletto dai fantocci del suo Parlamento, tutto sia “normale”. Anche se la normalità per l’Indonesia ora è un miraggio crudele. […]”202. La rielezione di Suharto l’11 marzo è presentata con una forte disillusione,

anzi con la percezione di una imminente fine del regime203. Il Corriere, che dedica all’Asia solo sei articoli nel mese di marzo, pubblica la rielezione di Suharto in un piccolo box a pagina 10, mentre la Repubblica non ne dà notizia. Il Sole 24 Ore, dopo la disputa politica e le pressioni internazionali, annuncia in prima pagina che il Fondo monetario rilascia alla fine concessioni all’Indonesia204. All’interno, l’articolo di Nicol Degli Innocenti, spiega che “[…] I toni della polemica si erano fatti sempre più stridenti e lo stesso Suharto aveva definito “incostituzionali” le riforme del Fondo. Eppure ieri da Washington è arrivato un “regalo” al presidente nel giorno della sua investitura. Stanley Fischer, numero due del Fondo, ha dichiarato che il programma di riforme concordato per l’Indonesia può essere rivisto alla luce di «considerazioni umanitarie», tenendo conto della precaria situazione interna. «Siamo disposti ad essere flessibili» ha annunciato Fischer. […]”205. Riassumendo, il Fondo monetario ha acconsentito al fatto

che: 1. L’Indonesia mantenga i sussidi di Stato per i medicinali e i generi di prima necessità, con l’accordo di una riduzione graduale 2. Possa essere istituito un sistema di cambio fisso sol dollaro.

201

* Degli Innocenti N., Braccio di ferro tra Suharto e il Fondo, «Il Sole 24 Ore», 8 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 202 * Degli Innocenti N., I mercati contro Suharto, «Il Sole 24 Ore», 10 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 203 * Degli Innocenti N., Rieletto Suharto in un'Indonesia che vacilla, «Il Sole 24 Ore», 11 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 204 * Non firmato, Schiarita Fmi-Indonesia, riforme più morbide, «Il Sole 24 Ore», 12 marzo 1998, p. 1 205 * Degli Innocenti N., Svolta politica dell'Fmi: concessioni all'Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 12 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 281


II. La ricerca sui giornali

Non rinuncia però, a: 1. La ristrutturazione a tappe forzate del sistema finanziario 2. Impedire che venga “salvato” il settore privato Inoltre: “[…] Anche la lista dei ministri, che era già pronta, è una probabile “merce di scambio” tra Giakarta e l’Fmi: qualche nome poco gradito a Washington potrebbe essere depennato a favore di persone con migliori credenziali riformiste. Tra gli osservatori la cautela è d’obbligo ma prevale la sensazione che il punto di rottura sia ormai stato superato. […]”206. Si può dire che l’Indonesia riesce a vincere il primo

round con l’Fmi e che dalle pagine del Sole 24 Ore trapela un cauto ottimismo. La flessibilità del Fondo monetario viene ribadita il 13 marzo207 nell’intervista che il giornale fa a Stanley Fischer. L’economista americano cerca di difendersi dalle accuse rivolta all’operato del Fondo monetario e delinea lo scenario asiatico: 1. Il rischio di contagio è sceso, ma non è del tutto scongiurato 2. La necessaria flessibilità dinanzi ai problemi sociali, non transige sull’attuazione delle riforme strutturali quale punto importante dell’accordo con l’Indonesia 3. Le accuse di scarsa trasparenza vengono ribaltate su quei governi che non hanno tenuto conto degli avvertimenti del Fondo, sperando poi di sostenere le valute nella massima segretezza 4. Le ricette attuate dal fondo non hanno posto obiettivi irrealistici e l’innalzamento dei tassi di interesse, era l’unico modo per cercare di difendere una valuta. 5. I fondi di aiuto ai paesi in crisi hanno aiutato i creditori privati solo marginalmente, come conseguenza naturale di un tentativo di rilancio delle economie dei paesi, le priorità erano assolutamente altre. 6. Anche in caso di attuazione delle proposte di riforma del Fondo, il problema della prevenzione e della cura delle crisi finanziarie, si ripresenterà sempre, in quanto questi eventi sono legati ad errori umani che sempre si ripresenteranno. Questa l’opinione di Fischer, che in parte risponde alle critiche di Sachs. Sempre il 13 marzo il sole dà notizia di scontri a Giakarta tra militari e studenti, e il giorno successivo

206

Ivi * Merli A., Fischer: Indonesia ancora a rischio ma l'Fmi è flessibile sulle soluzioni, «Il Sole 24 Ore», 13 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 207

282


Il crollo

annuncia il nuovo governo indonesiano, definito dal giornale un “governo anti-Fmi”208. Il Corriere della Sera, che come abbiamo visto riporta la rielezione di Suharto, mantiene sugli avvenimenti indonesiani un tono più narrativo. I protagonisti della scena politica assumono così connotazioni generali e facilmente riconoscibili: Suharto è il vecchio dittatore, Megawati Sukarnoputri la figlia del presidente destituito che rivendica la democrazia, Tutut, la figlia di Suharto, diviene il simbolo della continuità del regime e del suo nepotismo. Ciò non significa ridurre tali eventi drammatici ad un teatrino, ma attraverso l’uso di titoli appropriati, si cerca di rendere più comprensibili ai lettori le vicende di un paese lontano, limitando i dettagli più fini delle strategie. Il Sole 24 Ore torna sull’Indonesia il 17 marzo affermando che l’economia è ferma, e tre giorni dopo, il 20, che il governo Indonesiano si arrende e abbandona il progetto di un currency board. Il governatore della Banca centrale però proporne di ripristinare una banda di oscillazione, mentre continuano le proteste209. Ma la vera questione, in Indonesia come in Corea, è il debito estero. “[…] La questione del debito privato, circa 80 miliardi di dollari e vero macigno che sta trascinando negli abissi l’Indonesia, sembra però essere per la prima volta sul tavolo della trattativa tra Giakarta e il Fondo. Ieri Stanley Fischer, numero due dell’Fmi, si è dichiarato cautamente ottimista sulle trattative in corso con Gakarta. Secondo tutti gli osservatori è un nodo che va affrontato se si vuole che il Paese riparta. Con la rupia a 9.000 e debiti contratti a 2.400 non esiste via d’uscita, solo la bancarotta generale e occorre ridare un minimo di fiducia agli investitori stranieri, consentendo alle imprese indonesiane di avviare il pagamento dei debiti in modo sostenibile. […]”210. Alla fine Giakarta decide di abolire la tassa sugli

acquisti in valuta e contemporaneamente di alzare i tassi. Torna il sereno con il Fondo monetario e tanto più si avvicina la conclusione delle trattative con le banche, ricomincia a salire la borsa211. Ma ormai anche i militari sono considerati una variabile chiave sul futuro del regime212.

208

* Degli Innocenti N., Suharto, governo anti-Fmi, «Il Sole 24 Ore», 15 marzo 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 5 209 * Degli Innocenti N., Suharto cede al cambio fisso forse un paniere per la rupia, «Il Sole 24 Ore», 20 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 210 * Margiocco M., Giakarta abbassa del 5% gli acquisti di valuta, «Il Sole 24 Ore», 21 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 211 * Non firmato, Passi avanti con l'Fmi, l'Indonesia alza i tassi, «Il Sole 24 Ore», 24 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 * Non firmato, Più vicino l'accordo sul debito tra Indonesia e banche estere, «Il Sole 24 Ore», 26 marzo 1998, sezione politica ed economia internazionali, p. 9 * Non firmato, Intesa Fmi più vicina: Giakarta sale (+6%), «Il Sole 24 Ore», 27 marzo 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 212 * Margiocco M., Fra sei mesi arriverà una decisione dei militari, «Il Sole 24 Ore», 21 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 283


II. La ricerca sui giornali

4.10 Governare la globalizzazione Distogliamo per un attimo lo sguardo dalle cronache dall’Indonesia, per mettere a fuoco gli articoli che riguardano il dibattito sulla riforma dell’Fmi e sullo stato della crisi. Sulle riforme delle istituzioni finanziarie, il Sole 24 ore interviene il 10 marzo con un articolo di Mario Platero: “Al G-8 la riforma delle istituzioni finanziarie globali”213 . Platero scrive che: 1. L’obiettivo delle riforme che gli Stati Uniti hanno in mente è quello di adeguare “[…] gli assetti del sistema finanziario mondiale alle sfide lanciate dalla crisi asiatica […]”214.

2. La mancata dichiarazione da parte degli Stati Uniti di una chiara procedura di riforma, rende scettici gli europei sulla possibilità di una sua attuazione in tempi brevi 3. Gli Stati Uniti hanno tenuto comunque un alto profilo, evidenziato dagli interenti delle maggiori cariche finanziarie americane: Greenspan, Rubin, Summers, che invocano una radicale trasformazione delle istituzioni internazionali. Anche il Congresso degli Stati Uniti si è espresso in tal senso, invocando una responsabilità non solo verso i Governi che ne esercitano il controllo, ma anche verso i parlamenti (Saxton), mentre altri chiedono il rispetto di condizioni sindacali e salvaguardie ambientali. 4. Le resistenze potrebbero però essere forti da parte dei francesi, che ritengono il Fondo un “piccolo feudo”. Il 12 marzo è Alessandro Merli che riprende la questione e cita le difese della liberalizzazione dei capitali da parte degli economisti di Washington. Viene cioè smentito il ruolo di questo fenomeno nella crisi, che si dice abbia invece cause interne ai singoli paesi. Di seguito, nell’articolo, si apre la diatriba sul ruolo dell’Fmi. I pareri si distinguono tra chi non crede che debba assumersi la promozione della liberalizzazione e degli strumenti legislativi per farla applicare, e chi invece ritiene che sia ora di formalizzare una funzione che in pratica già esercita215. I due schieramenti non pervengono a una soluzione e la questione rimane nell’ombra sul Sole 24 Ore fino al 19 del mese, quando l’economista Dominick Salvatore suggerisce le sue idee. Dopo il riepilogo dei passati interventi del Fondo e dell’analisi del suo progressivo cambio di funzione, da controllore e sostenitore di brevi deficit della bilancia dei pagamenti a 213

* Platero M., Al G-8 la riforma delle istituzioni finanziarie globali, «Il Sole 24 Ore», 10 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 9 214 Ivi 215 * Merli A., Cause interne alla radice della crisi asiatica, «Il Sole 24 Ore», 12 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 284


Il crollo

creditore di ultima istanza, preso nota delle critiche “da destra” e “da sinistra”, il Fondo dovrebbe: 1. Erogare fondi sufficienti per aiutare i mercati a superare il panico 2. Non imporre politiche restrittive, ma espansive 3. Chiedere condizioni di ristrutturazione ed eliminazione della corruzione nei paesi che beneficeranno dei fondi 4. Evitare il rischio di “moral hazard” mediante controlli più frequenti e resi disponibili al pubblico Salvatore conclude l’articolo affermando che la restrizione dei movimenti di capitale non è un rimedio. “[…] La globalizzazione dei mercati finanziari indubbiamente comporta forti benefici, ma anche più volatilità e possibilità di crisi finanziarie. Questo è il prezzo che si paga per la maggiore efficienza dell’utilizzo dei capitali a livello internazionale”216. L’autore si schiera così con la linea di Dornbusch

e di Rubin, pur tenendo in considerazione anche le critiche “da sinistra”, che egli reputa giuste. Il problema è però che i precetti teorici esposti dall’autore sono già stati negati dalla realtà. Anche la più strenua coerenza nell’evitare il rischio di un moral hazard ha dovuto piegarsi, nel caso della Corea, alle condizioni economiche di una intera nazione, senza contare le ripercussioni sul sistema finanziario mondiale. La Repubblica e il Corriere della Sera non si occupano del dibattito sulle riforme del Fondo monetario per tutto il mese di marzo. Il 16 però la Repubblica affronta il problema dell’interpretazione dei fatti nei mercati finanziari. L’autore, un operatore finanziario sotto lo pseudonimo di “Merchant”, paragona la valutazione ottimista dell’economia americana all’ottimismo di Pangloss, personaggio del Candide di Voltaire. “[…] Non esistono, mi pare, ragioni fondamentali per gioire eccessivamente del futuro dell’economia americana. Eppure, come Pangloss, gli investitori scelgono di interpretare tutto come se fosse meraviglioso. Ad ottobre, scoppia la crisi asiatica. E la risposta dei mercati, dopo qualche tentennamento iniziale, è semplice: la crisi asiatica diminuirà la domanda mondiale e avrà un effetto deflativo. I tassi di interesse scenderanno. E i mercati azionari non potranno che salire. Cosa che puntualmente avviene. […] La conclusione, di nuovo, è semplice: la crisi asiatica non ha effetto sulla profittabilità delle aziende. […]”217. Da qui una serie di eventi negativi tutti valutati come fatti

di poco conto che non influenzeranno gli andamenti azionari.

216

* Dominick Salvatore, Fmi, tre idee per funzionare meglio, «Il Sole 24 Ore», 19 marzo 1998, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4 217 * Merchant, Wall Street e il mondo di Pangloss, «La Repubblica», 16 marzo 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 10, p. 1/4 285


II. La ricerca sui giornali

L’autore conclude che: 1. La crescita, in Europa e negli Stati Uniti, sta continuando da molto tempo e potrebbe anche finire presto 2. La crisi asiatica non è passata, è solo iniziata L’autore scrive che le reazioni ottimiste dei mercati e degli investitori contraddicono qualsiasi Cassandra, ma se l’economia salisse all’infinito senza inflazione sarebbe la prima volta in oltre duemila anni. L’indagine di “Merchant” è anche un’analisi “emozionale” di quanto sta accadendo nelle Borse, anche di fronte a eventi preoccupanti. La crisi asiatica secondo lui non è finita e tale valutazione concorda con quella del Sole 24 del 14 marzo, quando a parlare della crisi è Fred Bergsten, presidente dell’Institute for Internaztional Economics di Washington, nell’intervista di Daniela Roveda. Il professore afferma che: 1. Il peggio non è passato. “[…] Gli effetti della crisi di liquidità dei Paesi asiatici si stanno facendo sentire solo adesso sull’economia reale e la recessione colpirà in modo più pesante del previsto queste economie partire da quest’anno. […] Lo scenario non è brillante e potrebbe essere ancora peggiore se l’Indonesia dovesse precipitare. […]”218

2. Il periodo di recupero dalla crisi potrebbe durare più di due o tre anni, in quanto i paesi asiatici hanno bisogno non solo di aggiustamenti di politica macroeconomica, ma di riforme strutturali 3. Lo scenario più pericoloso è il collasso finanziario dell’Indonesia. Non tanto per l’Indonesia in sé, ma per il rischio di una svalutazione dello yen che trascinerebbe giù anche il renminbi. 4. Il Fondo monetario deve far pagare alle banche che hanno prestato crediti eccessivamente rischiosi la “giusta parte” dei costi. Ma il lasciare che le forze di mercato aggiustino la situazione è un rischio troppo grande sulla stabilità del sistema economico mondiale. La posizione del professor Bergsten è più equilibrata di quella di Salvatore, ma si somma comunque a una prevalenza di opinioni che, pur auspicando le riforme delle istituzioni finanziarie, ne condividono l’azione fondamentale di espansione del libero commercio e la liberalizzazione finanziaria. La Repubblica apre il mese di aprile con una critica alle misure 218

* Roveda D., Bergsten: non è finita l'emergenza Asia, «Il Sole 24 Ore», 14 marzo 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8

286


Il crollo

del Fondo monetario. L’articolo è tratto dalla rivista “Forbes”: “Se il Fondo monetario internazionale fosse un’azienda […] gli azionisti avrebbero una serie di gravi domande da rivolgere ai manager. Dopo aver mancato di prevedere la crisi del Messico nel 1994, ora ha una condotta rovinosa nelle vicende asiatiche. La Corea, il Paese più beneficiato dagli interenti del Fondo, è già affondato di nuovo nei debiti. Per non parlare dell’Indonesia dove la situazione sociale diventa ogni giorno più drammatica. In queste vicende il Fondo ha sbagliato tutto: la diagnosi e la cura. Non stupisce che la sua ricapitalizzazione sta incontrando tanti ostacoli al Congresso.”219. Il problema del governo del Fondo e della sua azione

rimbalza così anche su Repubblica, ma il giornale lo affronta in modo stringato e riportando altrui opinioni.

4.11 La tempesta è finita Il 2 aprile il Sole 24 Ore ci riporta alla realtà con un articolo di Nicol Degli Innocenti che pone in evidenza i guasti sociali della crisi. “Placata la crisi finanziaria incombono i problemi politici e sociali”220. Questo articolo è importante perché dà conto dell’evoluzione del modo di

trattare la crisi. Sintetizziamo il discorso attraverso le stesse parole dell’autrice: 1. “La crisi finanziaria in Asia si sta ormai concludendo. Il flusso di finanziamenti si è ridotto a un rivolo rispetto al fiume in piena di un anno fa, ma è comunque ripreso. È appena iniziata invece la crisi economica e sociale, le cui conseguenze si trascineranno nel tempo. Il vero rischio è un nuovo “contagio” che i problemi di inflazione, povertà, disoccupazione, rallentamento della crescita facciano ripartire il circolo vizioso della crisi, riportando il credit crunch e il caos nei mercati finanziari. […]”221

2. “Un effetto dell’evolversi della crisi asiatica è stato un cambiamento nella percezione dell’area da parte dell’Occidente. […] Se il terremoto finanziario che ha travolto l’Asia all’inizio aveva portato a un’omogeneizzazione forzata dell’area, il lento processo di superamento della crisi, ha messo in luce le differenze. […]”222

3. “Non esiste una “soluzione asiatica alla crisi asiatica”, esistono problemi diversi in un’area frammentata, e quindi modi estremamente variegati di affrontarli e gestirli. […]”223

4. ”[…] Il rischio di semplificazione permane: vanno evidenziate le differenze, ma non bisogna desso dividerli tra buoni e cattivi, tra “virtuosi” e non, come a volte il Fondo monetario sembra voler fare. […]”224

219

Non firmato, Forbes - Le cure sbagliate dell'Fmi, «La Repubblica», 1 aprile 1998, sezione “Commenti”, p. 13 Degli Innocenti N., Placata la crisi finanziaria, incombono i problemi economici e sociali, «Il Sole 24 Ore», 2 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 221 Ivi 222 Ivi 223 Ivi 220

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II. La ricerca sui giornali

Quest’ultima affermazione suona strana in rapporto al continuo dell’articolo, in cui si afferma che i paesi più trasparenti e meno “gonfiati” (Malaysia e Filippine) sono stati appena “lambiti” dalla crisi, altri paesi hanno imboccato la faticosa via delle riforme (Thailandia e Corea), mentre l’Indonesia, “[…] dopo avere abbracciato in toto le riforme, come un gambero è tornata sui suoi passi. […]”225. C’è insomma anche da parte di Nicol Degli Innocenti una valutazione

“morale” nei confronti dell’Indonesia, dove rimane un sistema politico fossilizzato e un’economia in rapido disfacimento. Ma l’autrice afferma anche che se ci sono lezioni da imparare dalla crisi asiatica, ci sono anche per l’occidente: “[…] è sufficiente pensare al comportamento spesso irrazionale degli investitori, o al ruolo dei creditori scriteriati giocato dalle banche giapponesi, europee, e, in misura minore, americane. […]”226.

Il Corriere della sera il 2 aprile titola a pagina 11: “L’Asia malata cerca fiducia in Europa”227. L’articolo si riferisce al secondo vertice di Londra dell’Asem (vertice Europa-Asia), dove i leader asiatici cercheranno di intrecciare maggior rapporti con i paesi europei. Il leader più in evidenza è senza dubbio il nuovo rimo ministro cinese Zhu Rongji, il traghettatore della Cina verso l’espansione economica. La Repubblica interviene nella crisi il giorno successivo con l’analisi di Marcello De Cecco, che afferma: “Uno sguardo agli indici di Borsa dei cinque continenti, ormai disponibili a tutte le ore sullo schermo del computer, rivela che il dramma asiatico continua a consumarsi nell’indifferenza dell’Occidente. Lì crolli si susseguono a crolli. Qui l’euforia sembra non avere limiti. […]”228. Il motivo è

presto spiegato: “[...] I prestiti delle banche europee all’Asia non sono gran cosa confrontati ai totali di bilancio delle stesse banche. Le esportazioni in Asia nemmeno sono gran cosa rispetto ai totali esportati dai paesi europei. Quel che è più importante, le banche giapponesi sono esportatrici nette sui mercati finanziari. Sono loro a dare e noi a prendere capitali a buon mercato, che sono alla radice ultima del boom finanziario occidentale e della precipite discesa dei tassi di tutto il mondo. […]”229. La logica conclusione di De

Cecco è che “[…] Il denaro delle istituzioni finanziarie di tutto il mondo, privo dello sfogo asiatico, deve dunque per forza riversarsi sui mercati dove la festa continua. […]”

. L’economista si unisce così al

230

coro degli ottimisti: “[…] Fino a che dura l’implosione asiatica, non esistono pericoli di surriscaldamento per l’economia mondiale. […]”

224

.

231

Ivi Ivi 226 Ivi 227 * Altichieri A., L'Asia malata cerca fiducia in Europa, «Il Corriere della Sera», 2 aprile 1998, sezione “Esteri”, p. 11 228 * De Cecco M., Dramma asiatico, «La Repubblica», 3 aprile 1998, p. 1/15 229 Ivi 230 Ivi 231 Ivi 225

288


Il crollo

Sul Sole 24 Ore del 3 aprile Domenico Siniscalco riprende il ragionamento di De Cecco, ma pone in evidenza due rischi per la continua salita dei listini azionari: 1. Un peggioramento della crisi giapponese 2. Che la politica monetaria espansiva potrebbe innescare bolle speculative proprio come è accaduto in Giappone e a Hong Kong La conclusione è di differenziare gli investimenti, stando attenti a selezionarne la qualità senza farsi prendere dall’euforia della borsa. Non c’è dunque molta differenza a parte la sapida prosa di De Cecco, nelle analisi dei due economisti. Dopo aver paventato i mesi scorsi possibili disastri provenienti dall’Asia, anche De Cecco riconosce l’apparente solidità del trend delle borse occidentali. Il “dramma asiatico” resta così confinato nella regione d’appartenenza. Su Repubblica, il 3 aprile Vittorio Zucconi scrive un articolo intitolato: “Il trionfo dell’America”232. Il pensiero di Zucconi che ripercorre superficialmente gli ultimi decenni della

storia economica americana, è ben rappresentato dal seguente brano: “[...] Il trionfo dell’America è dunque il trionfo della flessibilità, come la sconfitta del Giappone è la sconfitta della rigidità. La ammiratissima macchina dello sviluppo nipponico, quell’incomprensibile ordigno di feudalesimo, dirigismo, fedeltà tribale, laboriosità e sapiente corruzione, che aveva prodotto il miracolo, è la stessa macchina che oggi sta producendo fallimenti, suicidi, disoccupazione e incertezze. […] La criticatissima macchina americana, con le sue crudeltà, con la sua spietatezza, si lascia costruire dalle circostanze economiche e non pretende di piegarle a sé stessa. Ha saputo adattarsi e prosperare attraverso il protezionismo, l’isolazionismo, la divisione del mondo in blocchi e la globalizzazione. […]”233. Zucconi ha già espresso queste valutazioni prima della crisi asiatica.

Le ha ripetute durante la crisi e ora che questa ha perso la sua virulenza mostrando la debolezza del Sol Levante, il giornalista riprende le lodi del modello americano. Dal vertice Asem di Londra emergono il 4 aprile alcune proposte per aiutare l’Asia a risalire la china. Ne riporta il contenuto Repubblica con un articolo firmato dalla redazione: “No al protezionismo, sì a misure straordinarie di assistenza, mobilitazione generale di organismi internazionali come Fmi e Banca mondiale, con la nascita di un «fondo Asem» all’interno della banca mondiale, per dare assistenza tecnico-finanziaria. […]”234. Gli interventi dei leader europei, in prima fila Tony

Blair, si spendono per soluzioni rapide e d efficaci, dato che, come afferma il primo ministro italiano Romano Prodi: “[…] «con le loro fortissime svalutazioni», i paesi asiatici diventano «ancor più competitivi sui mercati internazionali» e «se la politica europea fosse di chiudere le frontiere sarebbe un

232

* Zucconi V., Il trionfo dell'America, «La Repubblica», 3 aprile 1998, sezione “Il valzer dei mercati”, p. 5 Ivi 234 * Non firmato, Aiuti e interventi mirati ecco la ricetta per l'Asia, «La Repubblica», 4 aprile 1998, sezione “Il valzer dei mercati”, p. 3 233

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II. La ricerca sui giornali disastro» […]”235. La “solidarietà” espressa anche a parole dai governi europei per le nazioni

asiatiche non è stata ben accolta dal Giappone, il cui premier ha dichiarato con fermezza che il Giappone ce la farà da solo e ha già un piano di aiuti anche per i paesi della regione. Repubblica scrive che comunque il Sol Levante ha salutato positivamente la creazione del fondo Asem, per i paesi in maggior difficoltà. Gli articoli che il Sole 24 Ore dedica al vertice Asem riguardano la transizione cinese all’economia di mercato e le soluzioni per la crisi asiatica. Le trattative, appoggiate dall’Ue perché il colosso asiatico entri nella Wto236 lasciano in secondo piano la questione dei diritti umani, mentre il documento conclusivo del vertice afferma che i paesi asiatici dovranno: “[...] …mettersi nelle mani dell’Fmi e attuare fino in fondo le riforme concordate perché «solo così la stabilità finanziaria sarà recuperata e perché solo fondamentali economici forti permetteranno all’Asia di continuare nel medio termine ad avere forti tassi di crescita» […]”237. Ma ci si preoccupa anche delle conseguenze

sociali, tanto che si mette per iscritto “[…] «l’importanza di proteggere, dove possibile, la spesa sociale e di sviluppare sistemi di sicurezza e di salvaguardia dei poveri».”238.

Il 4 aprile il Sole 24 ore dedica un altro articolo al vertice sulla guerra che i grandi intendono condurre contro la speculazione. Tanto che: “[…] La prevenzione delle crisi e la riduzione di tale vulnerabilità devono essere gli obiettivi della riforma e del rafforzamento del sistema monetario internazionale. Questa riforma deve passare attraverso: 1.

il rafforzamento delle risorse a disposizione del Fondo monetario internazionale

2.

il miglioramento e la maggiore trasparenza della sorveglianza esercitata dal Fmi, cui deve fare da complemento la creazione in Asia di un nuovo meccanismo di sorveglianza regionale

3.

Il rafforzamento della regolamentazione e della vigilanza sui mercati finanziari e un esame da parte del Fmi e degli altri organi internazionali di modi per migliorare la trasparenza dei mercati. […]. Anche se non è uscita dal vertice Asem nessuna proposta specifica di restrizione dei movimenti di

capitale, l’appoggio dato dai leader europei all’enfasi dei loro colleghi asiatici sul ruolo della speculazione appare in contrasto con l’ortodossia del Fondo monetario internazionale e le posizioni ufficiali finora espresse dai Paesi occidentali, secondo cui la crisi va attribuita innanzitutto a errori di politica economica dei Paesi investiti dalla crisi, […]”239. L’autore dell’articolo, Alessandro Merli, nota come le questioni sul

tavolo siano importanti specie in previsione di prossime riunioni G-7 e Fmi per la modifica

235

Ivi * Merli A., Zhu protagonista al primo vertice Ue-Cina, «Il Sole 24 Ore», 3 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 237 * Cerretelli A., Asem: contro la crisi cooperazione e mercati più aperti, «Il Sole 24 Ore», 3 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 238 Ivi 239 * Merli A., Asem, guerra alla speculazione, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 236

290


Il crollo

dello statuto che permette all’istituzione di Washington di promuovere la liberalizzazione dei movimenti di capitale. L’Europa considera ormai passata la crisi, anche se resta da riparare i danni delle economie colpite, ma c’è una maggiore sensibilità riguardo ai problemi della povertà e della speculazione valutaria. Non è che con l’avvicinarsi dell’euro, dinanzi ai dati di un economia che non corre, alcuni problemi vengono osservati con maggiore attenzione? Il 6 aprile la Repubblica, nell’inserto “Affari e Finanza” pubblica un’intervista a Lamberto Dini, ministro degli esteri italiano. Dini afferma che: 1. Gli incontri al vertice Asem sono stati poco più che interlocutori, in quanto pesa l’incognita della crisi giapponese 2. La crisi in alcuni paesi è rallentata dalle forti importazioni giapponesi di semilavorati industriali, una situazione che però mette in sofferenza le banche e le industrie di un’economia che già soffre di una scarsissima domanda interna 3. Ad aggravare tutto c’è un riflusso finanziario dall’Asia verso l’america e l’Europa, gli andamenti al rialzo delle borse non sono casuali 4. C’è un grande problema di moral hazard. Il Fondo con le sue massicce erogazioni di capitale ha frenato la crisi e salvato interi settori produttivi, ma ha anche aiutato creditori immeritevoli. Tuttavia non si può lasciar fallire chiunque. È un delicato equilibrio. 5. Il Fondo monetario deve migliorare i meccanismi di allarme preventivo. Nonostante il titolo abbastanza incisivo, Dini espone critiche moderate al Fondo monetario. Il previsto rallentamento di mezzo punto percentuale della crescita mondiale nel clima di rialzi occidentali non viene visto come un pericolo e in generale preoccupa di più la crisi giapponese. Stupiscono, dopo la dura battaglia per la istituzione di un Fondo asiatico e la volontà di partecipare attivamente alla risoluzione della crisi in Asia, le dichiarazioni del premier giapponese Hashimoto al vertice di Londra. Dopo una strenua difesa dei dati dell’economia giapponese di fronte alle accuse di imprenditori nazionali (Sony), Hashimoto ha affermato che l’incidenza dell’economia giapponese sul continente asiatico è sovrastimata e che il paese non può risolvere la crisi da solo240. Dati i capitali concessi dall’Fmi è evidente che il Giappone non risolverà la crisi da solo, anche perché quando ha tentato di farlo, gli è stata sbarrata la 240

* Non firmato, Così non salviamo l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 5 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 291


II. La ricerca sui giornali

strada. Forse le considerazioni del premier vanno nel senso di rivalutare l’interesse nazionale sulle questioni estere, dato che a livello politico gli spazi di manovra sono apparsi ridottissimi. Le pressioni americane al vertice di Londra si sono affievolite, mentre la Francia ha sostenuto il diritto del Giappone di uscire dalla crisi sviluppando proprie soluzioni. Si viene però a sapere sul Sole 24 Ore che “Gli Usa vedono il rischio di una vendita di T-Bond”241, mentre si riaccende la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e il Sol Levante. Vediamo come nella prima decade di aprile i toni sulla gravità della crisi si siano in generale affievoliti, anche nelle parole di chi temeva ripercussioni globali. Il Corriere della Sera, dopo un breve articolo sull’incontro Asem, focalizza gli eventi in Giappone e in Cina, senza sviluppare ulteriori analisi sull’Asia nel suo complesso. La Repubblica è invece più attenta. All’analisi di De Cecco del 3 aprile seguono le cronache dal vertice Asem242, mentre il resto viene occupato dalle valutazioni di Borsa e dalla crisi giapponese, a parte l’articolo di Vittorio Zucconi sulla forza dell’economia americana. Il Sole 24 Ore ricorda i problemi economici e sociali in Asia, e alterna le cronache dal vertice Asem a molti articoli sulla situazione giapponese, intervallati da notizie su singoli paesi asiatici (Cina, Corea), e dagli andamenti dell’economia americana. A parte l’articolo di Zucconi, non ci sono toni di trionfalismo nelle dichiarazioni dei leader europei e americani. La crisi non è risolta e può ancora avere conseguenze gravi, almeno per la stabilità della regione, basta solo ricordare la situazione indonesiana.

4.12 Indonesia, ultimo atto Sono ormai una minoranza gli articoli dedicati all’Indonesia nel mese di aprile. Il Corriere e Repubblica non ne parlano più direttamente e anche il Sole 24 Ore riporta le notizie economiche senza troppa attenzione alle vicende politiche interne. La cosa più importante è l’accordo che il regime di Giakarta deve trovare con il Fondo monetario. Annunci di un imminente accordo vengono pubblicati il 2 e il 4 aprile243.

241

* Platero M., Gli Usa vedono il rischio di una vendita di T-bond, «Il Sole 24 Ore», 5 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 3 242 * Segal G., Asia, il colosso in crisi chiede aiuto all'Europa, «La Repubblica», 3 aprile 1998, sezione “Commenti”, p. 15 Vedi p. 289, nota234 * Occorsio E., La crisi asiatica costerà cara all'occidente, «La Repubblica», 6 aprile 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 13, p. 14 243 * Non firmato, Forse oggi l'accordo Indonesia-Fmi, «Il Sole 24 Ore», 2 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Non firmato, Fischer vede Suharto e annuncia: a giorni l'intesa tra Fmi e Indonesia, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 292


Il crollo

Importanti le parole del 4 aprile: “[…] Fischer (numero due del Fmi, n.d.r.) ha detto che l’accordo è vicino su quasi tutte le questioni sul tappeto, mentre resta ancor da definire come risolvere il problema del debito estero delle aziende indonesiane, che supera i 74 miliardi di dollari. […] A Washington il direttore del Fondo monetario Michel Cadmessus ha avvertito che ulteriori ritardi da parte di Giakarta nel realizzare le riforme richieste avrebbero conseguenze «catastrofiche». A causa di questi ritardi il mese scorso il Fmi ha rinviato il versamento di 3 miliardi di dollari, parte del pacchetto di aiuti all’Indonesia per complessivi 40 miliardi di dollari. […]”244. Intanto la situazione si aggrava ancora: “[…] Le proteste di piazza contro l’aumento dei prezzi e la svalutazione della rupia spesso degenerano in scontri. […]”245. Il giorno

successivo, il 5 aprile il Sole riporta che sono 14 le banche chiuse o sorvegliate in Indonesia. Il Governo continua a dichiarare che applicherà in toto il piano del fondo, ma il settimo Governo Suharto è ormai in balia di un incerto destino. Tra i titoli in prima pagina il 9 aprile c’è: “Fondo monetario e Indonesia, intesa sugli aiuti”246, e di seguito: “Terzo accordo fra Governo indonesiano e Fondo monetario internazionale. Giakarta si è impegnata a mantenere una politica monetaria rigida e a promuovere le riforme in cambio dello sblocco degli aiuti internazionali per 43 miliardi di dollari. Ma ha ottenuto che restino i sussidi per benzina e generi alimentari.”247. All’interno, Nicol Degli Innocenti commenta che: “[…] L’Fmi ha fatto la sua parte ma la vera incognita è Giakarta. Su questo fronte è impossibile avere certezze: tutto dipende dalla reale disponibilità al cambiamento del nuovo Governo indonesiano, reiterata a parole, ma poco credibile in assenza di misure concrete. Il curriculum dei ministri non è certo rassicurante. E resta l’incognita sociale: se le rinnovate aspettative della popolazione fossero deluse, se la rupia tornasse scendere senza rimedio apparente, il futuro si prospetterebbe senz’altro più fosco per l’Indonesia. […]”248. Ormai il paese è considerato

l’ultimo grande “malato cronico” dell’Asia, mentre gli altri paesi stanno attuando le riforme economiche. Il 10 aprile il giornale riporta che sono ben 117 le riforme “targate Fmi” che l’Indonesia dovrà accettare. L’articolo è posto in una colonna a pagina 8, nella sezione “Politica ed economia internazionali” e non è firmato. Dopo le notizie sui programmi da attuare, informa che: “[…] Oltre la crisi finanziaria, l’emergenza alimentare. La drastica riduzione della produzione agricola e l’aumento della disoccupazione stanno creando in Indonesia una situazione a rischio, hanno avvertito ieri da Roma la Fao e la Pam, il Programma per l’alimentazione mondiale. Oltre sette milioni e mezzo di indonesiani soffriranno la fame negli ultimi mesi: mancano tre milioni e mezzo di tonnellate di riso, ma a causa dell’aumento dei prezzi Giakarta è in grado di importarne solo un milione e mezzo di tonnellate. […]”249.

244

Ivi, Non firmato, Fischer vede Suharto… Ivi 246 * Non firmato, Fondo Monetario e Indonesia, intesa sugli aiuti, «Il Sole 24 Ore», 9 aprile 1998, p. 1 247 Ivi 248 * Degli Innocenti N., Indonesia e Fmi, l'accordo è fatto, «Il Sole 24 Ore», 9 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 249 * Non firmato, L'Indonesia accetta 117 riforme targate Fmi, «Il Sole 24 Ore», 10 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 245

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II. La ricerca sui giornali

Le assicurazioni sull’adempimento delle riforme vengono riportate dal Sole 24 Ore l’11250 e il 14 aprile251, mentre il 15 aprile la disoccupazione sale al 15%, tra dichiarazioni politiche contraddittorie e richieste di riscadenziamento dei debiti da parte delle banche private. L’accordo viene raggiunto a New York, il 18 aprile, dopo due giorni di incontri tra i rappresentanti di Giakarta e delle banche creditrici, alla presenza di inviati del Fmi. Ma dopo la spiegazione dei dettagli tecnici, l’autore dell’articolo afferma che: “[…] I mercati ieri hanno reagito più alle proteste studentesche che all’accordo sul debito privato. La rupia ha perso terreno, cancellando i guadagni degli ultimi giorni per tornare a 8.225 sul dollaro. […]”252. Del resto: “[…] Il governo risponde con segnali contrastanti: da un lato l’ordine alla polizia di usare la forza contro i manifestanti, dall’altro la disponibilità ad avviare un dialogo con gli studenti. Il presidente Suharto ha dichiarato di aver autorizzato l’uso di «tutte le misure di repressione necessarie», mentre il ministro dell’economia ha accettato di incontrare gli studenti a Giakarta oggi per ascoltare le loro rivendicazioni. […]”253.

La risposta della banca centrale indonesiana per contenere la svalutazione è l’innalzamento dei tassi di interesse a una settimana dal 43 al 48%, quelli a due settimane dal 44 al 49% e quelli a un mese dal 45 al 50%, ma il parere di un operatore di Goldman Sachs di Singapore dichiara che la valuta non potrà risalire molto prima di aver risolto il problema dei debiti privati e la ristrutturazione del sistema bancario254. Il 23 aprile il governo indonesiano si affretta a dichiarare di aver attuato le riforme chieste dal Fondo monetario e il giorno dopo tornano alla ribalta gli scontri tra polizia e studenti nell’isola di Bali255. Nonostante le assicurazioni del governo circa le riforme e delle autorità monetarie indonesiane che affermano che i crediti in sofferenza delle banche ammontano a non oltre il 25% del totale, le agenzie di rating lanciano l’allarme, mentre nelle strade si intensificano gli scontri. “[…] Migliaia di studenti universitari a Medan si sono scontrati ieri con poliziotti e soldati durante una violenta manifestazione di protesta contro l’aumento dei prezzi e la forte disoccupazione.”256. Questa è

l’ultima notizia di aprile sull’Indonesia. Non emergono particolari commenti sulla situazione nel paese e la cronaca si divide tra gli accordi ufficiali e la situazione nelle strade. Il Sole 24 Ore è un giornale che non dedica, al contrario di Repubblica e Corriere, molti reportages a 250

* Non firmato, L'Indonesia annuncia i dettagli del piano Fmi, «Il Sole 24 Ore», 11 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 251 * Non firmato, Suharto: l'Indonesia attuerà tutte le riforme, «Il Sole 24 Ore», 14 aprile 1998, sezione “In primo piano”, p. 3 252 * Es. R., Intesa sul debito privato indonesiano, «Il Sole 24 Ore», 18 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 253 Ivi 254 * Non firmato, L'Indonesia alza i tassi per ridurre l'inflazione, «Il Sole 24 Ore», 22 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 11 255 * Non firmato, Indonesia, violenti scontri tra polizia e studenti a Bali, «Il Sole 24 Ore», 24 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p., 6 256 * Non firmato, S&P: allarme sulle banche indonesiane, «Il Sole 24 Ore», 30 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 294


Il crollo

sfondo culturale e non si occupa spesso della “vita quotidiana” delle popolazioni colpite dalla crisi. Lo fa solo quando le condizioni di vita o le proteste politiche sono ad un tale livello di recreduscenza da generare sconquassi anche nel settore economico. Le proteste sociali indonesiane non sono atti sporadici, ma il sintomo di una malessere montante che il 21 maggio 1998 porrà fine al regime di Suharto, di fatto destituito da uno dei suoi generali257.

4.13 L’imperatore di carta Abbiamo volutamente tralasciato dopo il mese di novembre le notizie dal Giappone per due motivi: il primo è che abbiamo voluto concentrarci sulla crisi nel suo punto di massima espansione e pericolosità e sui paesi maggiormente colpiti, il secondo è che le notizie dal Sol Levante, dopo il mese di novembre compaiono con minor frequenza nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, aumentando da marzo in poi. Il paese del Sol Levante è ovviamente tenuto in grande considerazione da tutti i giornali, ma la sua situazione economica non varia sensibilmente. Possiamo allora raggruppare le notizie da Tokio secondo tre argomenti principali: 1. La difficoltà di rilancio della propria domanda interna 2. Il forte indebitamento delle banche e dei grandi operatori finanziari 3. La debolezza e la volatilità della borsa di Tokio 4. La forza dell’export grazie alla svalutazione dello yen rispetto al dollaro A questi si aggiungono nel mese di gennaio scandali finanziari, che portano alle dimissioni di eminenti personaggi politici, tra cui il ministro delle Finanze Mitsuzuka258. Questo clima di indagini e di apparente inefficacia di qualsiasi tipo di riforma per il rilancio dell’economia, perdura fino alla fine del nostro periodo d’analisi. Sulla difficoltà di rilancio della domanda interna da novembre in poi si concentrano la maggior parte degli articoli. Il problema maggiore riguardo questa tendenza sono le continue tensioni commerciali generate dal ribasso dello yen. Il Giappone infatti si trova in una specie di “trappola delle liquidità”, cioè in un punto in cui il ribasso dei tassi di interesse, ormai giunti a livelli bassissimi, non induce alcun aumento della domanda di denaro e del consumo interno. A ciò si aggiunge la posizione di difficoltà delle banche giapponesi, pesantemente 257

Johnson Ch. (2003), Gli ultimi giorni dell’impero americano, Milano, Garzanti, p. 113-125 * Mazzotta S., Tokio, corruzione alle Finanze. Si dimette il ministro Mitsuzuka, «Il Sole 24 Ore», 28 gennaio 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 6 258

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II. La ricerca sui giornali

esposte con l’Asia, e la via più breve per generare liquidità in un momento di crescita bloccata, è l’export. Tuttavia il Giappone assume agli occhi dell’Occidente un ruolo chiave nel rilancio asiatico dopo la crisi, ma è un ruolo che non è in grado di affrontare nonostante i cospicui aiuti elargiti a favore di alcuni paesi. Il Corriere della Sera, il 3 aprile pubblica un articolo di Danilo Taino che afferma: “[...] A questo punto, l’economia nipponica sta accumulando problemi su problemi. L’industria è ancora in teoria la stessa che un tempo faceva tremare l’Occidente. Ma la catastrofe, ora, è che una serie di errori di politica economica si è sommata allo scoppio della grande bolla speculativa che era cresciuta nella finanza e nell’immobiliare negli anni ’80. Le banche continuano ad avere bilanci carichi di pessimi crediti, una situazione che non è mai stata affrontata perché i governi hanno preferito proteggere gli istituti. Inoltre Tokio dal 1° aprile Tokio ha aperto (in parte) il mercato finanziario alla concorrenza e questo, nel breve periodo, potrebbe peggiorare i bilanci delle banche. L’opinione diffusa è che la situazione si sia messa al drammatico e che le conseguenze su scala globale che può avere il crollo della seconda economia del mondo non saranno leggere. […]”259.

Il 5 aprile, nella prima pagina della sezione economia, interviene Mario Talamona260 . La conclusione dell’analisi è coerente con quella di Taino, tanto che l’autore afferma che: “[…] Forse non ce la farebbe nemmeno Keynes” a far riprendere l’economia in Giappone261. Il giorno

prima della notizia del declassamento del paese da parte della agenzia americana Moody’s262 , la Repubblica affida a Gianfranco Modolo e a Vittorio Zucconi la descrizione della situazione. Modolo: “[…] In sostanza, come emerge dalle analisi di alcuni centri di ricerca economica, emerge l’incapacità della classe politica nazionale di affrontare i problemi con misure draconiane. Ecco perché lo spettro di una recessione che partita dalle Tigri arriva in Giappone e qui si amplifica e ricade sull’Occidente, turba i sonni di molti uomini politici di tutto il mondo. […]”263. Zucconi: “[…] La ragione che ci impone di guardare con solidarietà, e con attenzione estrema, alle convulsioni giapponesi è che la crisi del suo modello non è congiunturale o speculativa: è la crisi strutturale di un meccanismo che ha creato le condizioni del miracolo e ora lo sta divorando. […]”264.

259

* Taino D., Il Giappone è al collasso, «Il Corriere della Sera», 3 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 25 * Talamona M., La deflazione e il "mistero" del Giappone, «Il Corriere della Sera», 5 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 21 261 Ivi 262 * Zampaglione A., Il Giappone in piena crisi messo sott'esame da Moody's, «La Repubblica», 4 aprile 1998, sezione “Il valzer dei mercati”, p. 3 * Taino D., L'agenzia Moody's declassa Tokio e Clinton chiede più "coraggio", «Il Corriere della Sera», 4 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 25 * Vinciguerra L., Siluro di Moody's a Tokio, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 263 * Modolo G., Allarme in Giappone, la recessione avanza, «La Repubblica», 3 aprile 1998, sezione “Il valzer dei mercati”, p. 5 264 * Zucconi V., Il Giappone divorato dal miracolo, «La Repubblica», 6 aprile 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 13, p. 1/14 260

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Il crollo

Zucconi fa uno scatto di lucidità e pone in risalto come la vera crisi si fondi su tre questioni: 1. Perché il continente asiatico, e specie i paesi colpiti dalla crisi, si riprenda, è necessaria la ripresa giapponese 2. Perché la ripresa sia fattibile occorre nuova tra speranza ed efficienza del settore bancario 3. Perché l’economia possa ripartire è necessaria anche una “rivoluzione” politica, nel senso di un recupero di fiducia dei giapponesi nei confronti dei loro governanti. Zucconi, che sprizza entusiasmo per l’economia americana265 e condanna duramente il sistema giapponese266, non arriva alla logica conclusione. Interpretando le immagini di un programma della televisione di stato giapponese sul possibile rilancio finanziario, egli scrive: “[…] È il messaggio implicito inviato dalla televisione di stato, dunque dal governo alla nazione non poteva essere più eloquente di quelle rievocazioni: ancora una volta, diceva, noi giapponesi siamo costretti, da forze immensamente più grandi del nostro piccolo, fragile arcipelago, a subire la volontà del mondo, e dell’America, per sopravvivere. […]”267. Alla fine dell’articolo, riportando le parole del maggior quotidiano

giapponese, identifica la “rivoluzione” politica con “[…] l’uscita dalla democrazia paternalistica del dopoguerra, dal mandarinato che ha prodotto la demoralizzazione della società giapponese. […]”268. Ma

sembra quasi usare queste parole per non trarre le conclusioni politiche di quanto detto all’inizio: il problema del Giappone è la mancanza di sovranità geopolitica, repressa dalla potenza americana. Sul Sole 24 Ore le notizie assumono toni più freddi e “tecnici”. Si alternano le ripetute promesse di rilancio del premier Hashimoto269, alle pressioni americane per il rilancio economico270. Tra le notizie della crisi di Tokio e del calo del Pil che si susseguono lungo tutto il mese di aprile, si riporta anche la prontezza delle banche americane a entrare nel sistema finanziario giapponese271 e il sostegno della Bank of Japan e della Fed allo yen272.

265

Vedi p. 289, nota232 Vedi cap. 3, p. 217, nota431 267 Vedi p. 296, nota264 268 Ivi 269 * Merli A., Il premier Hashimoto: prenderò le misure necessarie, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Vinciguerra L., E Hashimoto promette misure coraggiose , «Il Sole 24 Ore», 7 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 270 * Platero M., Clinton: l'economia giapponese deve crescere, «Il Sole 24 Ore», 4 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 271 * Platero M., Banche Usa pronte a entrare nel mercato giapponese, «Il Sole 24 Ore», 9 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 266

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II. La ricerca sui giornali

Lo stesso giorno, il 10 aprile, La Repubblica e Il Corriere si uniscono al Sole 24 Ore nel riportare i piani di Tokio per il rilancio dell’economia. Ma la reazione dei mercati è debole e il commento di Allen Sinai, intervistato da Marco Valsania per il Sole 4 Ore, molto scettico273 . Sempre il 12 aprile il Corriere della Sera dedica al Sol Levante un articolo di Renato Ferraro, dai toni drammatici: “Solo un crollo può salvarci, il modello nipponico è fallito”274. L’articolo è in realtà un’intervista a Kenichi Ohmae, consulente internazionale di management strategico. Il professor Ohmae addirittura ad affermare che: “[…] il Giappone è tanto ricco da poter continuare a porre cerotti sull’economia per lungo tempo. Rinviando la crisi e le inevitabili trasformazioni. Questa è una fortuna solo per i ladri, i mafiosi, gli incapaci che si annidano nel sistema e che, per coprire le loro malefatte, hanno artificialmente arrestato la crescita della seconda potenza industriale del mondo. […]”275.

Riguardo agli interventi da attuare per far uscire il Giappone dalla crisi, Ohmae è drastico: “[…] Chi parla ancora di stimoli, new deal, interventi keynesiani, creazione di domanda interna, o anche di supplì side economics, è uno sprovveduto. Tutte queste teorie appartengono al passato. Oggi l’economia è globale, sotto il controllo di flussi finanziari sottratti al dominio dei governi. Ogni intervento è inutile e di regola disastroso, perché crea opportunità per gli speculatori. […]”. L’esperto giapponese, etichetta come

artificiale l’arresto dell’economia in quanto.“[…] Questa è una recessione voluta dai politici, che impediscono al mercato di fare la sua opera. […]”276. Prevedibili le conclusioni. Secondo Kenichi

Ohmae si uscirebbe dall’empasse: “[…] Solo con una crisi profonda, che porti la disoccupazione al 10% e svegli il popolo giapponese. I cittadini devono capire che sono stati costretti a risparmiare come matti, ricevendo poi sui depositi interessi infimi, perché i prezzi interni erano tenuti a livelli esorbitanti, così che l’accumulazione forzata potesse spingere le industrie esportatrici. Questa strategia non è più attuabile. Bisogna aprire il mercato, deregolare, offrire alla gente la possibilità di accedere a beni stranieri che costano poco, a prodotti finanziari che danno buoni ritorni. Ci si muove in questa direzione, è vero, ma con troppa lentezza, perché abbiamo la palla al piede dei settori che il governo no lascia affondare. […]”277. Il Corriere dà voce

a un liberista puro, mentre Repubblica, il 9 aprile278, scrive che la Borsa di Tokio è in ripresa grazie agli aiuti decisi dal governo. Fino alla fine di aprile si intensificano sul Corriere della Sera gli appelli e le preoccupazioni sul Giappone. I problemi principali sono lo scetticismo riguardo alle riforme economiche, la possibilità di un rallentamento dell’economia mondiale 272

* Valsania M., Fed e Bank of Japan sostengono lo yen, «Il Sole 24 Ore», 10 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 * Vinciguerra L., Tokio dà ossigeno allo yen, «Il Sole 24 Ore», 11 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 273 * Valsania M., Sinai: Ma il piano è deludente e privo di novità, «Il Sole 24 Ore», 10 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 8 274 * Ferraro R., Solo un crollo può salvarci. Il modello nipponico è fallito, «Il Corriere della Sera», 12 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 15 275 Ivi 276 Ivi 277 Ivi 278 * Non firmato, Tokyo in ripresa grazie agli aiuti decisi dal governo, «La Repubblica», 9 aprile 1998, sezione “Il valzer dei mercati”, p. 3 298


Il crollo

causato alla situazione del paese e i tentativi del G-7 di fare pressioni perché vengano attuate le riforme279. La Repubblica, che il 10 aprile annuncia un colossale piano di Tokio per il rilancio economico, riporta i giorni seguenti la diagnosi del G-7 che vede il Giappone come un “grande malato”, con titoli enfatici che descrivono lo yen come “un paradiso perduto”280 e la crisi come il “tramonto di un mito”281. Il Sole 24 Ore fino al 17 aprile intensifica l’attenzione sui rapporti tra il Sol Levante e il G-7 riguardo al cambio yen-dollaro282, in seguito annuncia l’aumento del surplus commerciale giapponese283 insieme agli incerti risultati delle grandi riforme284 e alla continuazione degli scandali che scuotono il mondo politico-finanziario285. Anche in questo caso, lo sguardo più “tecnico” e approfondito del Sole 24 Ore contrasta evidentemente con la copertura di Corriere e Repubblica, che utilizzano pareri di esperti e analisi di tipo socio culturale, a fianco delle cronache economiche.

279

* Ferraro R., I dubbi dei mercati sul rilancio di Tokio. "Situazione grave", «Il Corriere della Sera», 11 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 25 * Ferraro R., Il Giappone sotto esame al G-7, «Il Corriere della Sera», 12 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 15 * Cecchini M., Crescita mondiale a rischio a causa della crisi giapponese, «Il Corriere della Sera», 14 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 21 * Breda M., A Tokio troppo protezionismo, «Il Corriere della Sera», 15 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 23 * Ferraro R., I samurai dell'export: è ora di cambiare, «Il Corriere della Sera», 15 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 23 * Cecchini M., G-7, tregua armata con il Giappone, «Il Corriere della Sera», 16 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 21 * Malagutti V., L'allarme del G-7 fa tremare le Borse, «Il Corriere della Sera», 17 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 27 280 * Zucconi V., Il Paradiso perduto dello yen, il Giappone scopre la paura, «La Repubblica», 21 aprile 1998, sezione “La crisi giapponese”, p. 9 281 * Zucconi V., Tra i terremotati di Kobe tramonta il mito giapponese, «La Repubblica», 25 aprile 1998, sezione “La crisi giapponese”, p. 11 282 * Merli A., La crisi giapponese e i cambi all'esame dei ministri del G-7, «Il Sole 24 Ore», 15 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 * Non firmato, Il G-7 chiede a Tokio di stabilizzare lo yen, «Il Sole 24 Ore», 16 aprile 1998, p. 1 * Platero M., G-7: lo yen deve stabilizzarsi, «Il Sole 24 Ore», 16 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 283 * Es. R., Vola il surplus giapponese per il forte calo dell'import, «Il Sole 24 Ore», 21 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 284 * Vinciguerra L., La ricetta della deregulation non basta a guarire Tokio, «Il Sole 24 Ore», 21 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 * Vinciguerra L., Tokio vara la maxi-manovra, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 285 * Non firmato, Tokio, gli scandali e la Borsa in declino pesano sui bilanci dei grandi broker, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Finanza internazionale”, p. 26 * Non firmato, Scandalo tangenti, due dimissioni al vertice delle Finanze giapponesi, «Il Sole 24 Ore», 28 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 299


II. La ricerca sui giornali

4.14 G-7 a Washington La discussione sulle riforme del Fondo monetario internazionale ritorna l’11 aprile sulle pagine di Repubblica. Eugenio Occorsio fa un’intervista a Lamberto Dini286, che è stato executive director del Fondo monetario internazionale fino al 1979. Dini mette in chiaro che: 1. Il Fondo monetario soffre in parte di una struttura creata quando i mercati globali ancora non esistevano e che ha dovuto riassestarsi dopo la fine del sistema di Bretton Woods. 2. C’è stata una deficienza nei meccanismi di allarme. 3. Problema del moral hazard. Il Fondo, con i miliardi di dollari concessi in aiuto dei paesi colpiti, rischia di lanciare un messaggio dannoso ai creditori. 4. Il Fondo ha mancato di vigilare sull’impiego dei Fondi concessi (“[…] Troppe volte il Fmi non si è reso conto che con i soldi a credito, o con quelli dei salvataggi non finanziava lo sviluppo di un’area ma solo la ricchezza di una classe dirigente e dei suoi sogni di grandeur. Non si è controllato che con i fondi si comprassero scuole anziché carri armati. […]”)287

5. Dinanzi alla mancanza di vigilanza del Fondo la questione del rifinanziamento dell’istituzione opsta dal Congresso americano, è una questione di merito, non una polemica politica 6. Il currency board che vorrebbe l’Indonesia non è un buon strumento di stabilità in quanto toglie a chi lo applica la sovranità monetaria. Al vertice del G-7 di Washington, il Giappone rimane un “sorvegliato speciale”, mentre l’Asia sarà la protagonista288. Così riporta il Sole 4 ore in prima pagina il 12 aprile. “[…] Due gli argomenti principali sul tappeto: innanzitutto come risolvere una situazione economica ancora fragile in Asia e, in particolare, la pericolosa combinazione di recessione e stasi politica a Tokio; il secondo punto è come riformare le due organizzazioni multilaterali (Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, n.d.r.), dato che proprio l’esperienza Asia ne ha messo in luce problemi e limiti. Negli stati Uniti in particolare, d mesi è in atto la polemica contro la gestione e l’operato del Fondo e il Congresso repubblicano ha ostacolato l’aumento

286

* Occorsio E., Dini: Il Fondo va riformato, «La Repubblica», 11 aprile 1998, sezione “Economia e politica”, p. 8 287 Ivi 288 * Non firmato, L'Asia protagonista al Fondo Monetario, «Il Sole 24 Ore», 12 aprile 1998, p. 1 * Platero M., L'Asia al centro del summit Fmi, «Il Sole 24 Ore», 12 aprile 1998, sezione “Politica internazionale”, p. 3 300


Il crollo di capitale promesso dall’amministrazione Clinton. […]”289. All’interno, l’articolo è di Mario Platero.

Dopo aver riportato le critiche volte al moral hazard che il Fondo, secondo i suoi detrattori, avrebbe “incentivato”, Platero scrive che: “[…] La posizione che il Fondo illustrerà ai suoi interlocutori è chiara: il lavoro di riorganizzazione delle finanze e di impostazione dei processi di riforme strutturali dei Paesi del Sud-est asiatico colpite dalla crisi è ormai definito. Il Fondo ha fatto il suo dovere, i paesi hanno sottoscritto i programmi e, come nel caso della Corea, le cose si stanno gradualmente rimettendo a posto. Rimane in tutto questo la mina vagante del Giappone, colosso economico della regione, il cui ruolo di traino sta venendo a mancare. […] anche il recente programma di stimoli fiscali del Governo giapponese è stato pari ai 75 miliardi di dollari suggeriti nel contesto del G-7, i mercati hanno accolto tiepidamente l’annuncio. […]”290.

Il Sole 24 Ore il 14 aprile pubblica un articolo di Enrico Sassoon dal titolo: “Una globalità coi rischi da Far West”. Sassoon mette provocatoriamente a confronto le oopinioni di chi crede che l’economia non sia cambiata e chi invece ritiene che le istituzioni che la governano vadano riformate. Ammette che la confusione non è poca, specie in rapporto ai alla fitta agenda di incontri multilaterali, dal 27 aprile a metà maggio. Nell’ordine: il 27 aprile incontro multilaterale a Parigi per il Mai (Accordo multilaterale sugli investimenti), il 3 maggio avverrà il battesimo dell’euro, mentre tra il 15 e il 20 del mese ci sarà il G-7 allargato alla Russia, l’incontro bilaterale Europa-Stati Uniti e si concluderà con le celebrazioni per i 50 anni del Gatt-Wto. Sassoon, che getta buoni auspici sul futuro dell’economia e dell’euro, conclude che: “[…] In un mese e mezzo non si può fare tutto e nemmeno in cinque giorni. Ma si può fare molto. E l’economia mondiale ne ha bisogno. Per evitare che la globalizzazione diventi un Far West, una corsa all’arricchimento senza regole, dove alla fine sono sempre i più deboli a fare le spese.”291. Di seguito, il 15

aprile, si parla ancora della gestione dell’economia mondiale e il giornale dà notizia in prima pagina di un piano americano di riforma dell’Fmi292. All’interno è Mario Platero che descrive i quattro punti stilati da Rubin293: 1. Miglioramento degli attuali meccanismi del Fondo circa il reperimento di informazioni particolareggiate sulla posizione finanziaria dei singoli paesi, facendo intervenire anche la Banca dei regolamenti internazionali, con sede a Baislea, perché registri i flussi. 2. Raccolta di informazioni non solo sui dati economici e finanziari, ma anche sulle procedure legislative i rischi connessi a ciascun paese. 289

Ivi, Non firmato, L’Asia protagonista… Ivi, Platero M., L’Asia al centro… 291 * Sassoon E., Una globalità con i rischi da Far West, «Il Sole 24 Ore», 14 aprile 1998, sezione commenti e dibattiti, p. 4 292 * Non firmato, Nei piani Usa riforma Fmi contro le crisi, «Il Sole 24 Ore», 15 aprile 1998, p. 1 293 * Platero M., Rubin, in 4 punti la riforma del Fondo, «Il Sole 24 Ore», 15 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 290

301


II. La ricerca sui giornali

3. Rendere più trasparenti le analisi interne e le condizioni stabilite per l’erogazione dei crediti. 4. Migliorare la trasparenza incentivare la pubblicazione di dati rileati da singoli paesi membri del Fondo Platero mette in evidenza alla fine, che: “[…] Se da una parte gli obiettivi annunciati da Rubin sono certamente innovativi, dall’altra sembrano escludere la necessità avanzata dal Giappone di convocare un nuovo incontro simile a quello di Bretton Woods per formalizzare una più radicale trasformazione delle istituzioni multilaterali preposte al controllo e alla gestione del sistema finanziario mondiale.”294. La sfida

continua anche dopo il vertice del G-7, terminato ufficialmente il 15 aprile. Alessandro Merli annuncia la creazione del G-22, che vedrà fianco a fianco i maggiori paesi industrializzati ed emergenti per accrordarsi sulle misure di controllo e sorveglianza dei flussi finanziari oltre che proposte per un miglior coordinamento tra Fmi e Banca mondiale295. L’analisi di Arturo Zampaglione, che appare su Repubblica il 17 aprile, evidenzia, una volta terminati gli incontri, che “[…] Naturalmente ci vorrà tempo perché tutte queste idee (le proposte di riforma americane e una inglese, n.d.r.) si traducano in decisioni politiche, ma tutti si rendono conto, tra i ministri convenuti a Washington per le riunioni primaverili del Fondo monetario, cos’ come nella maggiori capitali finanziarie, dell’urgenza di arrivare a una conclusione. Tutti, infatti, sono convinti del pericolo di un’altra crisi, magari di ampiezza maggiore di quella asiatica, o con caratteristiche oggi imprevedibili, possa mettere in ginocchio l’economia internazionale. […] «Non possiamo illuderci di continuare così», ha osservato ieri il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, prima del G-10 e degli incontri del comitato interinale del Fondo monetario, dove è stato di nuovo affrontato- dopo il G-7 di mercoledì- il tema del Giappone. L’offensiva anti-Tokio è infatti continuata. «Non può esservi una ripresa in Asia» ha detto Rubin, rincarando la dose «se la seconda potenza economica del mondo, che rappresenta la metà della produzione asiatica, è in recessione e ha un fragile sistema finanziario». […]”

. Una volta che il panico è scemato dai mercati e che il sud

296

est asiatico sta cominciando a fare i primi piccoli passi per risalire la china discendente della crisi, le istituzioni mondiali si rendono conto che i possibili danni provenienti da un’altra crisi del genere potrebbero essere catastrofiche. Come abbiamo visto, anche i giornali analizzati evidenziano questa presa di coscienza. È a tal proposito significativo che la Repubblica dedichi un trafiletto all’opinione di Renato Ruggero, che dopo aver più volte difeso la libera circolazione dei capitali, afferma: “[…] La crisi asiatica […] chiede più cooperazione internazionale, bisognerà rafforzare e disciplinare i mercati finanziari, credo che questa è la strada da seguire»”297.

294

Ivi * Merli A., Più vigilanza per prevenire le crisi, «Il Sole 24 Ore», 16 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 7 296 * Zampaglione A., Il G-7: Attenti, un'altra crisi ci stronca, «La Repubblica», 17 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 31 297 * Non firmato, Nel Far East è ancora shoc, «La Repubblica», 17 aprile 1998, sezione economia, p. 31 295

302


Il crollo

4.15 Riformare e regolare Per uno strano contrappasso, le riforme che l’Fmi in accordo con altre istituzioni internazionali, ha “imposto” ai paesi asiatici colpiti dalla crisi, hanno rivelato limiti e storture anche nelle stesse istituzioni. È dalla metà di febbraio che cominciano a farsi sempre più insistenti le voci critiche sull’operato del Fondo e il dibattito, con varie iniziative portate avanti nei vertici internazionali, continua fino alla fine di aprile. Il 17 aprile, sul Sole 24 Ore, Gianpaolo Rossigni scrive: “[…] La crisi asiatica ha contorni difficili da capire. Alcuni peculiari. Altri comuni al resto del mondo. Da questi dovremmo imparare perché non siano immunizzati dai problemi dell’economia reale e dei mercati finanziari che toccano ora l’Asia. [...]”298.

Tra i problemi finanziari, egli considera: 1. L’eccesso di risparmio del Giappone. Eccesso di cui beneficiano gli Stati Uniti (con le vendita dei loro T bond), ma pone il Sol Levante in una trappola monetaria. Senza uscita. Anche in Europa però emergono i segni di un simile eccesso. 2. La diversificazione internazionale del portafogli è uno dei fenomeni più appariscenti della globalizzazione. Le economie mature, investendo all’estero e garantendo buoni ritorni ai propri surplus di risparmio, possono far fronte alle spese pensionistiche e sociali senza troppi problemi 3. La diversificazione comporta che paesi in via di sviluppo a rapida crescita possano creare ingenti debiti esteri. Ciò è in parte fisiologico, ma rischia di diventare pericoloso quando i creditori decidono di ritirare repentinamente i prestiti. Le conseguenze di politica economica macro e micro sono: a. La necessità di maggior cautela nell’abbattimento dei debiti pubblici, dove ciò generi scompensi troppo forti nei conti con l’estero. Non bisognerebbe spingere paesi con alti debiti esteri a rientrare troppo in fretta. Bisogna consigliare loro di spendere meglio, non meno. Inoltre la diversificazione necessità di certezze valutarie. b. A livello micro, evitare gli incentivi nei mercati in via di saturazione (auto, elettronica civile, certi settori dell’industria degli armamenti, ecc.) e rendere più trasparenti i capitoli di spesa pubblica per i cittadini.

298

* Rossini G., Imparare dai terremoti del mercato, «Il Sole 24 Ore», 17 aprile 1998, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 7 303


II. La ricerca sui giornali

Questa analisi, che non tratta solo della crisi in Asia, ma cerca di apprenderne alcune lezioni, si distanzia dal cieco spirito liberista e pone dei distinguo sull’opportunità delle liberalizzazioni e sulla necessità di ridurre i disavanzi pubblici. In questo la lezione americana degli anni ’90 ha dato un esempio che non può essere ritenuto valido per qualsiasi paese. L’analisi di Rossigni si pone in controtendenza rispetto alla generale interpretazione della crisi asiatica secondo il paradigma liberista e “smonta” alcuni assunti di fondo. Il 17 aprile il giornale pubblica il testo del comunicato del Fondo Monetario internazionale. Riportiamo le conclusioni circa il processo di riforma del sistema finanziario mondiale: “[…] Questo lavoro (portato avanti nelle riunioni dell’Apec, Asem, il Gruppo di Manila, il G-10 e il G-22, n.d.r.) può contribuire a formare un consenso a favore di iniziative nelle aree che abbiamo definito nell’incontro del 21 febbraio a Londra S1156: 1.

“[…] Promuovere un funzionamento più efficiente dei mercati globali.

2.

Migliorare le trasparenza e la diffusione di informazioni

3.

Rafforzare i sistemi finanziari

4.

Definire il ruolo della comunità internazionale

5. Promuovere un’adeguata condivisone degli oneri con il settore privato […]”299 Il testo è un documento ufficiale, ma chi lo pubblica, il Sole 24 Ore, vuole mostrare come la volontà di riforma nelle istituzioni internazionali non è un’operazione di facciata, anche perché ormai ne va della loro stessa sopravvivenza dinanzi alle dure critiche da parte dei parlamenti nazionali che conferiscono i fondi. Alessandro Merli riprende il 18 aprile gli ultimi due punti del documento e tiene a precisare che: “[…] L’assegnazione all’Fmi del compito di promuovere la completa liberalizzazione dei movimenti di capitale resta sul tavolo, ma l’accento viene posto sempre più sugli aggettivi “ordinata e nella sequenza giusta”, dopo il riconoscimento che i flussi di capitali possono aver giocato un ruolo nel destabilizzare la situazione in Asia. […]”300. Nella stessa pagina

compare il resoconto di uno studio commissionato dallo stesso Fmi circa il ruolo dei cosiddetti hedge fund nella crisi asiatica. Lo studio, condotto da Barry Eichengreen e Donald Mathieson, arriva alla conclusione che essi non hanno avuto un ruolo determinante nelle vicende finanziarie dell’area. Le ragioni addotte a discolpa degli hedge fund sono di natura economica e comunicativa. Lo studio mette in luce che:

299

* Non firmato, I cambi devono riflettere i fondamentali -testo del comunicato G-7, «Il Sole 24 Ore», 17 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 300 * Merli A., Fmi: rafforzare la sovreglianza, «Il Sole 24 Ore», 18 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 304


Il crollo

1. Sebbene grandi in termini assoluti, gli hedge fund sono piccoli rispetto agli investitori istituzionali internazionali come banche, fondi pensione, fondi di investimento. 2. Gli hedge fund avevano preso posizioni importanti solo nel caso della valuta thailandese, ma questo già dopo che i grandi investitori avevano cominciato la ritirata dal mercato. Perciò gli hedge fund si sono trovati in coda e non alla testa “del gregge”. 3. Gli hedge fund agiscono principalmente nei movimenti di valute e nei tassi di interesse e sono il bersaglio privilegiato dei governi in difficoltà costretti a svalutare (ricordiamo lo scontro Soros-Mahathir). Per i due studiosi che hanno condotto lo studio, dopo aver verificato la “non colpevolezza” degli hedge fund nello scatenare la crisi, hanno evidenziato che: “[…] «La cosa più importante che i governi possono fare […] è evitare di offrire ai mercati l’opportunità creata dalla combinazione di politiche economiche incoerenti e di tassi di cambio agganciati a livelli insostenibili». L’Fmi riconosce peraltro che misure limitate per rafforzare la vigilanza, la regolamentazione e la trasparenza di mercato possono essere utili. […]”301 .

Il 21 aprile a pagina 7, il Sole pubblica un articolo di Alessandro Merli sull’intervento di James Tobin302 (Nobel per l’economia 1981) alla conferenza della Banca mondiale sull’economia dello sviluppo. L’intervento di Tobin aggiunge importanti valutazioni al dibattito sul ruolo del Fondo monetario. I concetti fondamentali, enunciati da Alessandro Merli, sono i seguenti: 1.

“[…] La completa liberalizzazione degli scambi di capitale toglie sovranità alle banche centrali […]”

2.

“[…] I paesi in via di sviluppo devono abbandonare l’aggancio delle proprie valute a quelle principali […] e questo fornisce qualche protezione. […]”

3.

“[…] La soluzione è evitare, da parte di governi, banche e imprese di questi Paesi, di assumere prestiti a breve in valuta, […]. I flussi di capitale ai paesi in via di sviluppo dovrebbero prendere la forma, secondo il premio nobel, di investimenti esteri diretti o di capitale azionario. […]”

Sul problema del moral hazard: 4.

“[…] Nelle crisi di liquidità che richiedono prestiti di emergenza, secondo l’economista, difficilmente creditori e prenditori emergono senza danno. Ma quel che più conta è che i costi sociali del collasso di una valuta si stendono ben al di là delle controparti in un’operazione finanziaria, a gente comune che

301

* Merli A., Verdetto del Fondo: gli hedge fund non colpevoli della crisi asiatica, «Il Sole 24 Ore», 18 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 8 302 * Merli A., Tobin: necessario rafforzare l'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 21 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 7 305


II. La ricerca sui giornali perde il posto di lavoro, risparmi e reddito. «Limitare questi effetti, – afferma Tobin – fa sì che valga la pena sopportare un qualche azzardo morale».

Sull’Fmi: 5.

“[…] L’Fmi è stato fondato, ricorda Tobin, per aiutare i paesi membri a superare crisi temporanee di liquidità, non per dar forma alle strutture permanenti delle loro economie e guidare le loro strategie di sviluppo nel lungo periodo. […]”

6.

“[…] Per Tobin le quote aggregate di 150 miliardi di dollari (al Fmi, n.d.r.) sono «noccioline». […]”

Sulla visione dell’economia: 7. “[…] Contro il trionfalismo di chi vede nella crisi asiatica la supremazia del modello anglosassone, dopo che negli anni ’80 era invece di moda («sciocca») inneggiare al miracolo asiatico e a quel modello di capitalismo. «Umiltà», è il Vangelo di Tobin.”303

Dopo il parere dell’illustre economista riportato dal Sole 24 Ore, La Repubblica interviene nel dibattito sulla regolazione dei flussi finanziari internazionali il 27 aprile con un’analisi di Marcello de Cecco dal titolo eloquente: “All’economia serve una guida”304. Possiamo riassumere la lunga analisi di De Cecco, citando anche due punti chiave del testo: 1. Il miracolo asiatico, così come riportato da uno studio della Banca mondiale, aveva portato le economie dei paesi dell’area a livelli di sviluppo eccezionali pur senza adeguarsi al cosiddetto “consenso di Washington” che predicava l’astensione dell’intervento dello Stato sull’economia 2. “[…] La crisi non è stata causata dall’intervento dello Stato, ma dalla scriteriata liberalizzazione dei movimenti di capitali, che ha fatto precipitare sui mercati finanziari di quei paesi, appena liberati da controlli assai pesanti e non equipaggiati a riceverli in maniera efficiente, quantità enormi di capitali a breve da tutto il mondo sviluppato, che hanno permesso ai paesi stessi di restare sui tassi di cambio resi anacronistici dalla poderosa rimonta del dollaro sullo yen. […]”305

De Cecco cita a sostegno della sua analisi uno studio di Joseph Stiglitz: 3. “[…] Non è dunque meno Stato e più mercato lo slogan adeguato al nuovo millennio. Piuttosto deve essere «uno stato adeguato alla globalizzazione dei mercati», dunque uno stato radicalmente ristrutturato per far fronte in modo efficiente al nuovo contesto internazionale. […]” 306.

303

Ivi * De Cecco M., All'economia serve una guida, «La Repubblica», 27 aprile 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 15, p. 1/8 305 Ivi 306 Ivi 304

306


Il crollo

L’economista aggiunge alla sua analisi del 25 ottobre307, proprio l’elemento della liberalizzazione dei movimenti di capitale quale causa scatenante della crisi. Da questa rassegna delle analisi e della cronaca sui problemi istituzionali delle organizzazioni internazionali, si nota come la stampa italiana comincia a valutare il problema delle regole come fondamentale nell’economia di mercato. La riforma dei tempi e dei modi del Fondo monetario, corre parallelamente alla constatazione che il mercato non sempre riesce a riallocare le risorse in modo efficiente. La fuga dei capitali dall’Asia, inizialmente valutata come la razionale conseguenza dell’apprendimento della situazione dei fondamentali economici dell’area asiatica, si è rivelata un panico irrazionale, cui si è dovuto provvedere con ingenti stanziamenti. Questo vale anche in senso opposto. Il panico asiatico si è trasformato in euforia nelle borse occidentali anche quando, dinanzi a continue crescite, gli esperti di borsa avevano dubitato della sostenibilità economica dei continui rialzi308. L’ultimo paragrafo è dedicato alle valutazioni sulla ripresa del sud est asiatico dopo la tempesta.

4.16 Passaggio a Sud Est Il Corriere della Sera, nella seconda metà di aprile, non pubblica articoli sulla situazione in Asia, limitandosi ad analizzare e a commentare la crisi giapponese. La Repubblica interviene il 27 aprile con un articolo di Marcella Gabbiano che evidenzia le opportunità degli investimenti finanziari nel Far East. Sembra infatti che proprio la proverbiale instabilità di quei mercati, solletichi l’appetito dei fondi di investimento. “[…] Gli esperti dicono che siamo appena all’inizio della trasformazione, dell’assestamento: tanti paesi avranno ancora scossoni, molte economie torneranno in difficoltà, tante aziende chiuderanno ancora. Proprio questa situazione così fluida è quella che può dare buone opportunità. Per questo i signori del danaro, i gestori di fondi vanno a investire là aiutati da squadre di analisti che studiano le mosse da giocare. Prima analizzano i paesi che hanno le prospettive migliori. Poi una volta disegnata la cartina geografica si vanno a vedere quali sono le imprese, le industrie con le migliori chances, quali i comparti a più alto potenziale di sviluppo e via via tutto il resto. […]”309 .

Il Sole 24 Ore segue gli eventi da una prospettiva più “alta”, nel senso che non si limita a dare indicazioni di investimento, ma ad analizzare gli eventi. Il 23 e il 24 aprile pubblica in

307

Vedi cap. 3, p. 164, nota179 * Turani G., Troppi soldi, troppa fiducia, «La Repubblica», 7 aprile 1998, p. 1/8 * Caretto E., Kaufman: ma a Wall Street consiglio prudenza, «Il Corriere della Sera», 14 aprile 1998, sezione “Economia”, p. 23 309 * Gabbiano M., Correre l'avventura nel lontano Oriente, «La Repubblica», 27 aprile 1998, inserto “Affari & finanza”, anno XIII, n. 15, p. 42 308

307


II. La ricerca sui giornali

sequenza un articolo di Jospeh Stiglitz310 e di Nicol Degli Innocenti311. L’economista americano spiega più approfonditamente un punto già citato da De Cecco312 e da Tobin313. Il passaggio dalla mitizzazione del modello asiatico, con l’elogio della “cooperazione pubblicoprivato nella promozione dello sviluppo”, alla sua degradazione e condanna quale “capitalismo delle clientele”. Tutto questo anche di fronte al fatto che “[…] l’applicazione dell’ortodossia occidentale non sempre ha aiutato i Paesi emergenti a muoversi nella direzione giusta. «Negli anni ’80 – ricorda – la Thailandia aveva severe limitazioni sui prestiti al settore immobiliare: per indirizzare le risorse finanziarie verso il settore produttivo e per tenersi lontana da possibili bolle speculative». Anche dietro pressione occidentale le restrizioni sono state abolite, ma la liberalizzazione ha portato con sé prima il boom poi il crollo che tanta parte ha avuto nella crisi. […]”314. L’articolo della Degli Innocenti315 rende noto il

rapporto annuale dell’Adb (Asian Development Bank). L’autrice afferma che il documento “non cede a un facile quanto illusorio ottimismo”. Infatti, secondo la giornalista “[…] L’impatto più devastante della crisi si sentirà quest’anno, intermini di declino del commercio, arresto dei flussi di capitale, impennata dell’inflazione, aumento della disoccupazione e moria delle imprese. […] La ripresa ci sarà, ma sarà lenta e graduale: gli economisti dell’Adb escludono una risalita a “V”, come quella messicana. Piuttosto sarà a “U”, con una lunga e faticosa fase di transizione prima di risalire la china: qualsiasi deviazione dal percorso obbligato delle riforme strutturali sarà severamente punito. E inoltre, avverte l’Adb, è inutile sperare in un ritorno ai tassi di crescita a due cifre del passato: il miracolo, se mai c’è stato, è finito; il miglior regalo che possa portare il futuro è una crescita stabile. […]”

. L’autrice non dimentica di presentare le dovute

316

differenze tra i paesi, con l’Indonesia che presenta la situazione peggiore, ma il trend riguarderà un po’ tutti. Il 25 aprile, nelle “Brevi dall’Asia”, il Sole 24 Ore riporta uno studio dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), che paragona la crisi asiatica a quella del ’29. “[…] Le due crisi sono comparabili, soprattutto nel loro effetto-shock. […] Secondo l’organizzazione, nei Paesi aiutati dall’Fmi (Thailandia, Indonesia e Corea del Sud) la disoccupazione raddoppierà quest’anno, insieme alla povertà: e i tradizionali forti legami familiari asiatici non saranno sufficienti a supplire alla totale assenza di una rete pubblica di assistenza. L’invito dell’Ilo ai governi interessati è quindi di «non sottovalutare l’importanza delle tensioni sociali e della loro ricaduta sulla fiducia degli investitori, e quindi sulle possibilità di ripresa»”317.

310

* Merli A., Stiglitz (World Bank): Il Far East tornerà forte, «Il Sole 24 Ore», 23 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 11 311 * Degli Innocenti N., Per l'Asia un 1998 nero e poi un ripresa difficile, «Il Sole 24 Ore», 24 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 312 Vedi p. 306, nota304 313 Vedi p. 305, nota302 314 Vedi nota310 315 Vedi nota311 316 Ivi 317 * Non firmato, L'Ilo avverte: crisi asiatica come gli anni '30, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 308


Il crollo

Questi problemi, così come qualche fotografia dei paesi dopo la tempesta, mancano totalmente su Corriere e Repubblica, generalmente propensi a enfatizzare gli aspetti socioculturali. Ma la crisi asiatica non è più nelle priorità ed è unicamente il Sole 24 Ore a riportare la crisi di Hong Kong318, la situazione in Corea319, in Malaysia320 e a Singapore321 . Negli ultimi cinque giorni di aprile l’ultimo articolo importante è la riunione dell’Asian Development Bank, che prospetta sistemi per la trasparenza e la continua verifica delle situazioni macro e microeconomiche dei paesi membri322, mentre il 30 aprile poche righe vengono dedicate alle previsioni Fmi sull’Asia, all’allarme di Standard and Poor’s sulle banche indonesiane e alle questioni politiche nelle Filippine. Ma tra le rovine del capitalismo asiatico e del suo paese di riferimento industriale, il Giappone, emerge un nuovo soggetto geopolitico con le carte in regola per giocare un ruolo chiave nel futuro della regione: la Cina323.

318

* Non firmato, Forte calo a Hong Kong per le vendite al dettaglio, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 * Non firmato, Peggiora la crisi di Hong Kong, «Il Sole 24 Ore», 30 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 319 * Non firmato, Corea del Sud, ancora un ribasso, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Settimana finanziaria”, p. 36 320 * Tramballi U., In Malaysia il miracolo è sospeso, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 321 * Non firmato, Allarme degli analisti per Singapore, «Il Sole 24 Ore», 25 aprile 1998, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 6 322 * Degli Innocenti N., Adb: in Asia un sistema di sorveglianza anti-crisi, «Il Sole 24 Ore», 30 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 9 323 * Tramballi U., Dalla grave crisi orientale ora esce la Grande Cina, «Il Sole 24 Ore», 24 aprile 1998, sezione “Economia internazionale”, p. 6 309



PARTE TERZA Apparati di analisi



1 RACCOLTA E ORGANIZZAZIONE DEI DATI

1.1 Raccolta e catalogazione degli articoli Abbiamo illustrato nella parte precedente l’intricato dipanarsi di analisi economiche, valutazioni, commenti, cronache e interviste, cercando di rendere noti i punti di vista e le opinioni dei giornali presi in esame. Come espresso nell’introduzione, per esprimere un giudizio complessivo sull’evoluzione della copertura giornalistica degli eventi asiatici sono ora necessarie una analisi statistica (quantitativa) e di contenuto (qualitativa) per la verifica dell’ipotesi di partenza. Procediamo allora con la descrizione della modalità di raccolta e catalogazione degli articoli. La raccolta sui giornali è stata svolta in emeroteca con l’ausilio di strumenti elettronici: un computer portatile e una macchina fotografica digitale. Questo ci ha permesso una catalogazione degli articoli attraverso un foglio elettronico e la loro memorizzazione come immagini in formato digitale, cosa che ha permesso di procedere alla lettura del materiale in un momento successivo alla sua raccolta. La catalogazione degli articoli è stata effettuata nel foglio elettronico utilizzando i seguenti campi: 1. Numero progressivo

6. Sezione

2. Autore

7. Pagina

3. Titolo

8. Paese

4. Giornale

9. Numero foto corrispondente

5. Data

313


III Apparati di analisi

Vediamo di seguito un esempio [Fig. 1] dello schema che riguarda gli articoli del Sole 24 Ore:

[Fig. 1] – Esempio della catalogazione in foglio elettronico degli articoli del Sole 24 Ore

1.2 Precisazioni sulla suddivisione interna dei giornali Abbiamo considerato “sezione” le pagine dedicate dal giornale a un macro argomento. Ad esempio, Il Corriere della Sera suddivide le notizie in: “In primo piano”, “Economia”, “Esteri”, “Cronache”. Sebbene vi sia un ordine di priorità tra le sezioni, (“In primo piano” viene logicamente prima di “Esteri”) queste non si trovano sempre nella stessa posizione, nel senso che a seconda della quantità di notizie di ciascuna sezione, vengono destinate in pagine precedenti o successive (la sezione “Esteri” del Corriere non è sempre a pagina 8, a volte è a pagina 10, altre a pagina 12). Un altro criterio di definizione della sezione è che deve avere un numero di pagina seguente con le sezioni precedenti. Inizialmente, per comodità, abbiamo inserito nel campo “sezione” anche la “Prima pagina”. In seguito però nelle note a piè di pagina e nella bibliografia non è stata inserita in quanto abbiamo ritenuto sufficiente ad indicarla il numero di pagina, come nell’esempio: * Ruffolo G., Nell'olimpo dei mercati, «La Repubblica», 5 agosto 1997, p. 1/19

L’esempio mostra un articolo che comincia in prima pagina e continua alla pagina 19 (1/19), ma succede anche che il pezzo in prima pagina non continui in quelle successive, ma rimandi ad articoli interni, come in [fig.2]. Abbiamo allora distinto l’articolo in prima pagina (significativo per la rilevanza attribuita) e i servizi nelle pagine interne, attribuendo a questi la sezione di appartenenza. Esempio (relativo alla [fig.2]): * Non firmato, La febbre asiatica contagia tutte le borse, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, p.1 * Nicol Degli Innocenti, Nuova scossa in Asia. Crollano Seul e Tokio, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 * Nicol Degli Innocenti, Ocse: la crisi rallenterà la crescita mondiale, «Il Sole 24 Ore», 8 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2 314


Raccolta e organizzazione dei dati

All’interno

delle

sezioni,

il

Corriere della Sera e il Sole 24 Ore dedicano

delle

sottosezioni,

abbiamo

chiamato

“focus”.

che Ad

esempio sul Corriere della Sera, nella sezione “Esteri”, il 25, 27 giugno e il 2 luglio 1997, appare una serie di articoli firmati da Tiziano Terzani raccolti sotto il nome di “Diario da Hong Kong”. Il problema è che mentre il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore mantengono pressoché invariato il nome e il numero delle sezioni, aggiungendovi talvolta dei “focus” interni, La Repubblica a seconda della rilevanza degli argomenti cambia il nome

delle

pagine

dedicate

(ad

esempio nell’ultima decade di ottobre 1997, appare la “sezione”: “Tempesta sui mercati”). Mancando la titolatura

[Fig. 2] – Esempio di riferimento ad altri articoli interni

standard della sezione come negli altre due giornali abbiamo deciso, nella bibliografia, di considerare “sezioni” anche le titolature di pagina dedicate da Repubblica a un argomento particolare, mentre nei grafici relativi alla distribuzione degli articoli le abbiamo considerate “focus” per ragioni pratiche. La loro eterogeneità infatti comporterebbe nella statistica una moltiplicazione del numero delle sezioni che non aiuta la visualizzazione dei trend di argomento. Ai giornali si aggiungono anche pagine che hanno una numerazione indipendente: gli “inserti”. Insieme al Corriere abbiamo “CorrierEconomia”, insieme a Repubblica abbiamo “Affari & Finanza”. Gli inserti escono periodicamente e in ciò si distinguono dagli “speciali”. Questi ultimi hanno una numerazione indipendente da quella del giornale, ma essendo legati a un argomento particolare, non sono periodici (ad esempio, sul Sole 4 Ore “Rapporti – Fondo monetario Hong Kong ’97 ”).

315


III Apparati di analisi

1.3 Precisazioni sugli altri campi Il campo “paese” è stato aggiunto per dare misura del numero di notizie dedicato agli stati coinvolti nella crisi. Sono stati del tutto omessi dalle statistiche gli articoli relativi agli andamenti economici interni agli Stati Uniti d’America. Abbiamo infatti citato nella seconda parte di questo studio gli articoli più rilevanti, che rappresentano solo una piccola parte dell’insieme. Per questo motivo non è possibile svolgere un’analisi statistica. Sono invece stati inseriti tutti gli articoli che trattano dei rapporti politici ed economici tra gli Stati Uniti e i paesi asiatici. Sono stati omessi gli articoli relativi agli affari e relazioni in Asia di aziende private occidentali (italiane e non), così come quelli di aziende private asiatiche in occidente in quanto vicende particolari non rilevanti ai fini dell’analisi.

316


2 ANALISI QUANTITATIVA

2.1 Il totale degli articoli Una prima, banale domanda, è: qual è la somma totale degli articoli dedicati alla crisi da ciascun giornale? La risposta è affidata alla seguente tabella [Tab. 1]: giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

articoli totali 306 226 1048

[Tab. 1] – Totale degli articoli dedicati alla crisi ciascun giornale

Salta subito agli occhi l’enorme differenza tra il Sole 24 Ore e gli altri giornali. Mentre il rapporto tra gli articoli di Repubblica e del Corriere della Sera è poco più di 1, rispetto al Sole 24 Ore i due giornali arrivano rispettivamente a 3 e a 4, cioè il 70,8% e il 78,4% in meno [Tab. 2] e [Fig. 3]:

giornale La Repubblica Il Corriere della Sera

differenza rispetto al Sole 24 Ore 742 822

% 70,80 78,44

[Tab. 2]. – Differenza del numero di articoli rispetto al Sole 4 Ore 317


III Apparati di analisi Numero totale articoli 1200 1100 1000 900 800 700

La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

600 500 400 300 200 100 0

[Fig. 3] – Quantità di articoli dedicati alla crisi asiatica dai giornali presi in esame

Come accennato nel capitolo sulla raccolta dati, non dobbiamo trarre conclusioni affrettate da queste prime cifre. Abbiamo infatti esplicitato in precedenza che il Sole 24 Ore è un giornale “specializzato” sull’economia, che rinuncia, al contrario di Repubblica e del Corriere della Sera, alla trattazione approfondita di argomenti di politica interna e costume (inclusa la cronaca nera) per riportare le tendenze nazionali e internazionali, con articoli dedicati all’economia e ai fatti salienti delle varie aree del mondo. Bisogna interpretare allora una differenza “fisiologica” di articoli dedicati alla crisi, ma questo non impedisce di effettuare un confronto circa l’ “attenzione” e la “rilevanza” che ciascun giornale ha riservato all’argomento trattato.

2.2 Variazione nel tempo del numero degli articoli Prima però viene un’altra importante rilevazione. Quella che riguarda la distribuzione delle quantità di articoli lungo l’arco di tempo considerato: dal maggio 1997 ad aprile 1998. Vediamo allora il numero di articoli sulla crisi pubblicati ogni mese [Tab. 3]: giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

mag 1 2 43

giu 19 17 38

lug 21 19 48

[Tab. 3] – Numero totale articoli per mese

318

ago 13 6 32

set 16 14 72

ott 27 32 120

nov 69 40 117

dic 47 30 112

gen 38 26 169

feb 16 11 100

mar 10 6 79

apr 29 23 118

tot 306 226 1048


Analisi quantitativa

Il trend può essere meglio rappresentato nel seguente grafico [Fig. 4]: Variazione del numero di articoli per mese 180 160 140 120

La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

100 80 60 40 20 0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 4] – Variazione del numero di articoli per mese

Il grafico ci permette di vedere più chiaramente il trend di articoli dedicati alla crisi lungo il periodo di tempo analizzato. Vediamo allora che, pur mantenendo una differenza quasi costante, l’andamento delle tre curve, escludendo il “picco” di gennaio del Sole 24 Ore e quello di novembre di Repubblica, è analogo. Nell’analisi dei giornali svolta nella seconda parte abbiamo suddiviso l’arco di tempo in esame in quattro periodi, ponendo come separazione alcuni avvenimenti importanti. Vediamo nella tabella seguente [Tab. 4] come a ogni capitolo corrisponde un periodo d’indagine e quali avvenimenti abbiamo usato come punti di riferimento per la separazione:

[Tab. 4] – Divisione dei periodi

319


III Apparati di analisi

Nelle seguenti tabelle abbiamo incluso per ragioni pratiche i primi giorni di luglio e gli ultimi quattro di settembre nel secondo periodo. Vediamo allora le cifre relative ai quattro periodi, con riportate in bianco su nero le somme totali degli articoli di tutti i giornali per ogni periodo. INIZIO DELLA CRISI giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

mag 1 2 43

giu 19 17 38

tot 20 19 81 120

lug 21 19 48

ago 13 6 32

set 16 14 72

tot 50 39 152 241

ott 27 32 120

nov 69 40 117

dic 47 30 112

tot 143 102 349 594

gen 38 26 169

feb 16 11 100

mar 10 6 79

apr 29 23 118

SVILUPO DELLA CRISI giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

ESPLOSIONE DELLA CRISI giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

IL CROLLO giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 ore

tot 55 40 297 392

[Tab. 5] – Totale articoli per periodo

Appare evidente una proporzionalità diretta tra aumento della gravità della crisi e aumento della quantità di articoli dedicati dai tre giornali. Trattandosi di una crisi economica, dobbiamo aspettarci che la maggior parte degli articoli si trovi nella sezione “Economia” dei giornali, ma è interessante vedere la rilevanza accordata anche agli aspetti politici (con il peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni coinvolte e il rischio di disordini sociali e instabilità di governo) e quelli istituzionali a livello mondiale (con le critiche alle istituzioni finanziarie internazionali e il dibattito sul loro ruolo).

320


Analisi quantitativa

2.3 Suddivisione degli articoli nelle sezioni dei giornali Posto che le “sezioni” dei giornali (definite nel paragrafo 1.3.1) raggruppino articoli sulla base di una coerenza di argomento (“Economia”, “Esteri”, “Politica internazionale”, ecc.) possiamo scomporre il totale degli articoli dedicati alla crisi ogni mese da ciascun giornale, suddividendoli secondo la sezione di appartenenza. In questo modo possiamo osservare a quali aspetti, nel periodo considerato, i giornali hanno dedicato maggiore attenzione. Dobbiamo precisare che nella composizione dei dati abbiamo reinserito la sezione “Prima pagina”. Questo perché nonostante essa non rappresenti quantitativamente alcun argomento particolare, indica nel tempo la variazione di rilevanza attribuita alle notizie sulla crisi e permette di inserire nella tabella l’intero numero di articoli pubblicati per ogni mese. Vediamo di seguito i dati di Repubblica [Tab. 6] e [Fig. 5] La Repubblica mag 0 0 0 0 0 1 0 0 1

sezioni Prima pagina Commenti Cultura Economia Economia e politica Mondo Focus Affari e finanza somma

giu 0 4 2 0 0 8 0 5 19

lug 1 2 0 0 1 6 5 6 21

ago 1 3 0 7 1 1 0 0 13

set 0 4 0 3 0 0 1 8 16

ott 1 2 0 7 0 4 11 2 27

nov 2 7 0 24 0 11 4 21 69

dic 2 8 0 24 0 3 0 10 47

gen 3 12 0 6 0 6 6 5 38

feb 0 7 0 2 0 4 1 2 16

mar 0 3 0 2 0 3 0 2 10

apr 3 3 0 6 1 0 9 7 29

tot 13 55 2 81 3 47 37 68 306

[Tab. 6] – Suddivisione per sezioni degli articoli de La Repubblica Numero articoli per sezione La Repubblica 30

25

20

Prima pagina Commenti Cultura Economia Economia e politica Mondo Focus Affari e finanza

15

10

5

0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 5] – Variazione nel tempo del numero degli articoli per sezione –La Repubblica-

321


III Apparati di analisi

Vediamo come su Repubblica, nel primo periodo di indagine (1 maggio - 2 luglio), il lato economico non venga considerato. Gli articoli relativi all’Asia nella sezione “Economia” sono uguali a zero. Le notizie sulle svalutazioni in Thailandia vengono infatti inserite nella sezione “Commenti”, nell’inserto “Affari & finanza” e solo un articolo appare nella sezione “Economia e politica”. L’impennata della sezione “Mondo” è relativa al passaggio di Hong Kong alla Cina, notizia riportata da tutti i giornali. Nel secondo periodo (2 luglio- 27 settembre), le notizie vengono sempre più spesso inserite nella sezione “Economia”, con un picco ad agosto, in cui convergono anche notizie sull’economia americana che descrivono anche la situazione in Asia. A settembre alcuni articoli di ambito economico vengono pubblicati sull’inserto “Affari & finanza”, tanto che per due volte si ha una breve inversione di tendenza con la sezione “Economia”. Notiamo come, nel mese di ottobre, gli articoli in prima pagina superano addirittura quelli della sezione “Economia”, segno di una grande attenzione agli avvenimenti nel Far East quando le dimensioni e la gravità della crisi divengono manifeste. Da ottobre a dicembre è quindi il lato economico che prende il sopravvento. Da settembre a dicembre assistiamo anche a un contemporaneo aumento della sezione “Mondo”, segno che anche il lato politico risale di importanza e diventa costitutivo, anche se rimane molto dietro a quello economico. I “Commenti”, dopo una discesa ad ottobre, aumentano costantemente. Successivamente, a dicembre, scampato il pericolo di una crisi mondiale, cala l’attenzione verso i fatti asiatici. Le notizie economiche dall’Asia ripiombano alla “normalità”, mentre abbiamo fino a gennaio ancora un aumento delle sezioni “Commenti” e “Mondo”, segno inequivocabile degli strascichi politici conseguenti alle vicende economiche, sia nei singoli paesi che a livello delle istituzioni internazionali. Anche gli articoli in prima pagina vedono un aumento a gennaio, dopo il picco di ottobre e la stasi di novembre e dicembre: dopo gli sconquassi finanziari, tornano le analisi di ampio respiro. L’ultimo periodo, da gennaio ad aprile, ha una forma ad U. L’attenzione alla crisi si riduce progressivamente per poi risalire in vista del grande dibattito sulle riforme economiche in Giappone. Le cifre totali degli articoli appartenenti a ciascuna sezione [Tab. 6] vedono quindi una netta preponderanza della sezione “Economia”, seguita dall’inserto dedicato “Affari & finanza” e, sorprendentemente, dalla sezione “Commenti”. Se era facile prevedere che una crisi finanziaria venisse descritta principalmente dal punto di vista economico, non era affatto scontato, date le implicazioni geopolitiche della crisi, che la sezione “Commenti” superasse addirittura la sezione “Mondo”, relativa alle notizie dall’estero. Questa disparità è causata dal 322


Analisi quantitativa

fatto che nella sezione “Commenti” abbiamo considerato veri e propri articoli i piccoli trafiletti che riportano le notizie dai giornali esteri. Questo dato quindi mostra il massiccio ricorso del giornale ai pareri della stampa estera. Passiamo ora al Corriere della Sera riportando i dati nella seguente tabella [Tab. 7] da cui risulta il grafico successivo [Fig. 6]: Il Corriere della Sera mag 0 0 0 2 0 0 0 2

sezioni Prima pagina Cronache Economia Esteri Focus In primo piano CorrierEconomia tot

giu 1 0 3 7 4 0 2 17

lug 0 1 0 8 5 3 2 19

ago 0 0 2 3 0 1 0 6

set 0 0 4 7 2 1 0 14

ott 2 0 5 4 3 18 0 32

nov 2 0 28 4 6 0 0 40

dic 1 0 20 6 2 1 0 30

gen 4 0 14 2 2 4 0 26

feb 0 0 5 6 0 0 0 11

mar 0 0 1 5 0 0 0 6

apr 0 0 14 7 2 0 0 23

tot 10 1 96 61 26 28 4 226

[Tab. 7] – Suddivisione per sezioni degli articoli de Il Corriere della Sera

Numero articoli per sezione Il Corriere della Sera 30

25

20

Prima pagina Cronache Economia Esteri Focus In primo piano CorrierEconomia

15

10

5

0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 6] – Variazione nel tempo del numero degli articoli per sezione -Il Corriere della Sera-

Il Corriere della Sera nel primo periodo dedica la maggioranza degli articoli sull’Asia al passaggio di Hong Kong, coi risvolti politici ed economici. Con ciò si spiega l’aumento di articoli nella sezione “Esteri” e dei “Focus” incentrati sul problema. Ciò vale anche per la sezione “In primo piano”, anche se abbiamo incluso i primi giorni di luglio nel secondo periodo. Agosto, mese centrale del secondo periodo, vede una riduzione sostanziale del 323


III Apparati di analisi

numero degli articoli, analogamente a La Repubblica. Nel periodo estivo c’è infatti un certo calo di interesse. A settembre risale la sezione “Economia” ed “Esteri”, mentre i “Focus” riguardano ancora i reportages da Hong Kong e dalla Cina. È a ottobre che avviene un evidente scatto di rilevanza. Aumentano le prime pagine e schizza in alto il numero degli articoli “In primo piano”, nel momento più virulento della crisi, mischiando all’interno della sezione notizie economiche e pareri di esperti. È significativo che, una volta posta la questione della crisi asiatica agli occhi del lettore (“In primo piano”), il mese successivo, gli articoli di carattere economico tornano “al loro posto” nella sezione “Economia”, generando un’inversione di tendenza nelle due curve. Questa è accresciuta dal fatto che i focus dedicati all’interno di “In primo piano”, sono stati da noi inseriti nella sezione “Focus”, che infatti registra un aumento rispetto a ottobre. A dicembre il trend generale inizia a decrescere, anche se la sezione “Economia” rimane preponderante e a gennaio aumenta il numero di articoli in prima pagina, riguardanti la crisi e i contraccolpi della crisi in Indonesia. Tra gennaio e febbraio avviene un’altra inversione di trend tra le curve di “Economia” e “Esteri”, che si mantiene lungo tutto il periodo studiato, in un intervallo tra 2 e 8 articoli. Infatti le conseguenze politiche del disastro economico indonesiano, vengono collocate nella sezione “Esteri”. Gli ultimi due mesi non vedono articoli in prima pagina. La sezione “Focus” aumenta grazie alle analisi sulla situazione giapponese, così come la sezione “economia”, i cui articoli si concentrano sul Sol Levante. La crisi delle “nuove tigri” è ritenuta ormai acqua passata. Il Sole 24 Ore è il giornale che riporta la maggior quantità di articoli in assoluto ed è bene specificare che possiede al suo interno più sezioni degli altre due giornali, suddividendo in modo più preciso i macro argomenti, ad esempio “Economia internazionale” da “Politica ed economia internazionali” e questa da “Politica internazionale”. Vediamo di seguito i dati del giornale [Tab. 8] e [Fig. 7]. Il Sole 24 Ore sezioni Prima pagina Commenti e dibattiti Economia internazionale Economia italiana Focus In primo piano Mercati valutari e monetari Mercato dei capitali Politica ed economia int. Politica internazionale Risparmio & mercati Risparmio Finanza & mercati Mondo & mercati Settimana finanziaria tot

mag 0 1 7 0 0 0 1 0 9 3 3 0 8 4 7 43

giu 0 7 7 0 0 6 0 0 5 3 0 1 2 0 7 38

lug 3 0 18 0 0 2 0 0 7 8 0 0 3 2 5 48

ago 1 5 6 0 0 4 0 0 7 2 0 0 3 0 4 32

set 1 6 22 0 8 8 0 0 15 3 0 0 3 2 4 72

ott 15 2 15 0 12 30 0 1 30 0 0 0 6 6 3 120

[Tab. 8] – Suddivisione per sezioni degli articoli de Il Sole 24 Ore

324

nov 21 0 40 0 0 25 0 0 16 2 0 0 4 1 8 117

dic 23 1 45 0 0 15 0 0 21 2 0 0 2 1 2 112

gen 19 3 66 5 0 23 0 0 21 12 0 0 6 6 8 169

feb 11 3 36 0 0 6 0 0 35 3 0 0 0 0 6 100

mar 7 2 8 0 0 0 0 0 52 3 0 0 2 2 3 79

apr 14 4 40 0 0 10 0 0 43 1 0 0 2 0 4 118

tot 115 34 310 5 20 129 1 1 261 42 3 1 41 24 61 1048


Analisi quantitativa

Numero articoli per sezione Il Sole 24 Ore 70

60 Prima pagina Commenti e dibattiti Economia internazionale Economia italiana Focus In primo piano Mercati valutari e monetari Mercato dei capitali Politica ed economia int. Politica internazionale Risparmio & mercati Risparmio Finanza & mercati Mondo & mercati Settimana finanziaria

50

40

30

20

10

0

mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 7] – Suddivisione per sezioni degli articoli de Il Sole 24 Ore

Come abbiamo detto il Sole 24 Ore presenta una maggiore complessità rispetto a Repubblica e Corriere della Sera. Ciò è anche dato dalla presenza di tre sezioni “speciali”: “Settimana finanziaria”, “Mondo & mercati” e “Finanza & mercati”, che tuttavia si mantengono pressoché costanti, in quanto adibiti a informazioni particolari e periodiche su determinati argomenti di carattere economico-finanziario. Andando ad analizzare i singoli periodi, vediamo che da maggio alla fine di giugno, la sezione “Economia” rimane costante, riportando articoli da alcuni paesi dell’area. La maggioranza di articoli su Hong Kong vengono pubblicati a luglio, nella sezione “Politica internazionale”, che infatti registra un picco per poi rimanere fino a gennaio costantemente al di sotto del valore di quel valore. A luglio si impenna anche la curva della sezione “Economia internazionale”, dove convergono le notizie relative alla Thailandia, al Giappone e alle analisi sulla crisi valutaria. I problemi valutari in Asia continuano anche ad agosto, ma la situazione Thailandese viene raccontata dalla sezione “Politica ed economia internazionali”, che rimane stazionaria da luglio, mentre subisce un calo la sezione “Economia internazionale”. Da settembre assistiamo al contemporaneo aumento degli articoli in prima pagina e delle sezioni “In primo piano” e “Politica ed economia internazionali”. La crisi si aggrava e le notizie dall’Asia compaiono stabilmente sulle prime pagine fino ad aprile. A ottobre aumentano anche il numero di articoli inseriti in “Focus” dedicati mentre scende la curva della sezione “Economia internazionale”. 325


III Apparati di analisi

Anche sul Sole 24 Ore vediamo come le curve “Economia internazionale” e “Politica ed economia internazionali”, alternano per tre volte la loro posizione nei mesi di settembre, ottobre e novembre. Questo perché a ottobre gli articoli sui paesi in crisi vengono collocati progressivamente in “Politica ed economia internazionali”, “In primo piano” e nei “Focus” relativi. A novembre invece aumentano gli articoli in prima pagina e quelli economici tout court, che arrivano a comprendere anche le analisi economiche e le dichiarazioni sulla crisi delle istituzioni internazionali. Vediamo allora come “In primo piano” cede il passo a “Economia internazionale”, mentre il numero di articoli in prima pagina supera addirittura quelli di “Politica ed economia internazionali”. A dicembre aumentano ancora gli articoli di prima pagina, mentre si nota uno spostamento delle notizie dall’Asia dalla sezione “In primo piano” verso le sezioni “Economia internazionale” e “Politica ed economia internazionali”. Il quarto periodo (gennaio-aprile 1998), analogamente agli altri giornali, presenta una U, anche se fa eccezione la curva della sezione “Politica ed economia internazionali”. Le prime pagine decrescono per risalire ad aprile a causa delle notizie dal Giappone e Indonesia e la riforma dell’Fmi. A marzo gli articoli nella sezione “Economia internazionale” scendono vertiginosamente per le notizie economiche da Giappone e Indonesia, che a causa dei loro risvolti politici vengono collocate nella sezione “Politica ed economia internazionali”, insieme ai dibattiti sulle riforme delle istituzioni finanziarie e le analisi sulla situazione dei vari paesi. Aprile vede invece una ripresa degli articoli in “Economia internazionale”. L’Indonesia ha infatti siglato l’accordo con l’Fmi, mentre sono le analisi sul Giappone e le prospettive di ripresa che occupano le colonne di “Economia internazionale”. Risulta utile dare uno sguardo ai seguenti grafici, [Fig. 8], [Fig. 9], [Fig. 10] ottenuti dalle tabelle 6, 7 e 8, che pongono le varie sezioni in ordine di grandezza (i colori delle sezioni rispettano per chiarezza quelli dei grafici relativi [Fig. 5], [Fig. 6], [Fig. 7]). Da uno sguardo più generale, si può vedere come le sezioni relative alle notizie economiche siano naturalmente preponderanti su tutti e tre i giornali. Proseguendo verso sinistra, sul Sole 24 Ore e sul Corriere della Sera, troviamo le sezioni relative alle notizie dall’estero. Sul Corriere della Sera infatti l’attenzione agli avvenimenti politici della regione porta a includere nella sezione anche articoli che normalmente sarebbero nella sezione “Economia”. Il Corriere non distingue infatti l’economia “nazionale” da quella “internazionale”, e neanche la politica internazionale dai suoi aspetti economici. Perciò abbiamo una collocazione arbitraria di articoli che riguardano scelte di politica economica dei governi o di governi che richiedono ad altri paesi di fare precise scelte economiche.

326


Analisi quantitativa

Totale articoli per sezione La Repubblica 90

80

70

60

Economia Affari e finanza Commenti Mondo Focus Prima pagina Economia e politica Cultura

50

40

30

20

10

0 num. art.

[Fig. 8] – Totale articoli per sezione -La Repubblica-

Totale articoli per sezione Il Corriere della Sera 100 90 80 70 Economia Esteri In primo piano Focus Prima pagina CorrierEconomia Cronache

60 50 40 30 20 10 0 num. art.

[Fig. 9] – Totale articoli per sezione -Il Corriere della Sera-

327


III Apparati di analisi

Totale articoli per sezione Il Sole 24 Ore 350

300 Economia internazionale Politica ed economia int. In primo piano Prima pagina Settimana finanziaria Politica internazionale Finanza & mercati Commenti e dibattiti Mondo & mercati Focus Economia italiana Risparmio & mercati Mercati valutari e monetari Mercato dei capitali Risparmio

250

200

150

100

50

0 num. art.

[Fig. 10] – Totale articoli per sezione -Il Sole 24 Ore-

Questi articoli vengono collocati talvolta nella sezione “Economia”, altre volte nella sezione “Esteri”. Ciò tendenzialmente non accade sul Sole 24 Ore, che opera una distinzione più precisa. Su Repubblica notiamo invece al secondo posto l’inserto “Affari & finanza”. Il motivo è che sulle sue pagine troviamo principalmente analisi di esperti, mentre alla sezione “Economia” è affidata la cronaca economica quotidiana. Dobbiamo imputare allora alla separazione funzionale una equa ripartizione degli articoli economici. Al terzo posto troviamo sul Sole 24 Ore e il Corriere della Sera la sezione “In primo piano”, omonima in entrambi i giornali, segno evidente della rilevanza che la crisi ha ottenuto sulle pagine dei due giornali. Su Repubblica invece l’ampio ricorso alle notizie dei giornali internazionali, fa prevalere la sezione “Commenti” rispetto alla sezione esteri, denominata “Mondo” sul quotidiano. Dobbiamo precisare però che La Repubblica non possiede una sezione “In primo piano”. Le pagine che seguono la prima vengono infatti titolate volta per volta in base all’argomento trattato. Appare evidente una disomogeneità tra i focus di Repubblica, che spesso sono le vere e proprie pagine “In primo piano”, e quelli del Corriere e del Sole 24 Ore, che invece riguardano rubriche o reportages particolari all’interno di sezioni ben definite. Preso atto di questa differenza, gli articoli sulla crisi nelle prime 4 pagine del giornale sono comunque inferiori a quelli posti “In primo piano” da Corriere e Sole 24 Ore.

328


Analisi quantitativa

Tuttavia dire che la Repubblica ha attribuito minore rilevanza alla crisi è ancora affrettato. Infatti Il Corriere (così come il Sole 24 Ore) riporta spesso nella sezione generalista “In primo piano” la continuazione degli articoli di prima pagina o gli articoli cui rimandano i titoli più importanti, mentre la Repubblica li colloca prevalentemente per argomento nelle rispettive sezioni. Da questa osservazione di massima possiamo concludere che dopo quello economico, è l’aspetto politico quello cui è riservata maggiore importanza. La diffusione della crisi economica all’area del sud est asiatico ha messo rapidamente in crisi le istituzioni economiche competenti (Fmi,e Banca mondiale) e ha aperto una grande fase di mediazioni, vertici e accordi tra i maggiori paesi industrializzati, spaventati dai possibili contraccolpi mondiali dei crack finanziari di banche e aziende. Ciò dimostra che i giornali in esame, dopo il primo periodo, riportando le notizie degli interventi “politici” nella crisi, si accorgono dell’apertura di questo “secondo fronte” e di come esso sia inscindibile rispetto a quello economico. Questo è dimostrato dall’aumento nel mese di ottobre delle sezioni “In primo piano” del Corriere (che guarda caso sottrae articoli alla sezione “Esteri”), “Politica ed economia internazionali” del Sole24 Ore, e “Mondo” di Repubblica. L’aggravarsi della crisi chiama soluzioni politiche.

2.4 Rilevanza attribuita alle notizie sulla crisi Il numero degli articoli in prima pagina risulta l’indicatore più importante della rilevanza. Il Sole 24 Ore, per i motivi detti al par. 1.2, ne presenta il numero maggiore, seconda la Repubblica e ultimo il Corriere della Sera. Non riusciremmo a trarre alcuna indicazione però se non mettiamo a confronto il numero di articoli in prima pagina sul totale di articoli pubblicati. Vediamo le seguenti tabelle. La tabella 9 mostra per ogni giornale la percentuale di articoli in prima pagina rispetto al totale degli articoli e la differenza di queste percentuali rispetto a quelle del Sole 24 Ore. Vediamo allora che sul totale degli articoli dedicati, la quantità di articoli in prima pagina per Corriere e Repubblica sono analoghe, mentre c’è una evidente differenza con il Sole 24 Ore.

giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 O re

tot art

tot I pag

rapp %

diff rapp% rispetto al Sole 24 O re

306 226 1048

13 10 110

4,25 4,42 10,50

6,25 6,07 0,00

[Tab. 9] – Percentuale di prime pagine sul totale degli articoli

329


III Apparati di analisi

Questa diversità non è spiegabile unicamente con la “specializzazione” economica del Sole 24 Ore. Infatti, ponendo i dati in modo diverso [Tab. 11], vediamo come la differenza tra gli articoli totali di Repubblica e Corriere rispetto al Sole 24 Ore, è inferiore alla differenza di articoli in prima pagina.

giornale La Repubblica Il Corriere della Sera Il Sole 24 Ore

tot art

% rispetto al Sole 24 Ore1

tot I pag

306 226 1048

29 22 100

13 10 110

% rispetto al Sole 24 Ore2 diff tra 1 e 2

12 9 100

17 12 0

[Tab. 11] – Differenza del rapporto percentuale tra articoli totali e articoli in prima pagina

Questo significa che, a parità di attenzione, è stata attribuita dal Corriere della Sera e da Repubblica meno rilevanza all’argomento rispetto al Sole 24 Ore. Il quotidiano economico è dunque al primo posto, seguito dal Corriere della Sera, che supera di poco Repubblica. Tuttavia se alla somma totale degli articoli dedicati da Repubblica (306, [Tab. 9]) togliamo quelli appartenenti all’inserto “Affari & finanza” (68, [Tab. 6]), vediamo come il numero di articoli sulle pagine del giornale (238) sia dello stesso ordine di grandezza del Corriere1, con la conclusione che i due giornali hanno prestato la medesima attenzione e attribuito la stessa rilevanza alle notizie dall’Asia e sulla crisi. La differenza di 12 articoli (238-226) è minima se distribuita nell’arco di un anno intero.

2.5 Lo sguardo sui paesi Ci apprestiamo in questo capitolo ad analizzare con il supporto dei dati, le differenze o le analogie contenutistiche tra i vari giornali. Definire una crisi “asiatica”, è un’indicazione piuttosto vaga, data la vastità del territorio in questione. Inoltre non tutti gli Stati facenti parte del continente asiatico sono stati colpiti dalla crisi. Nel flusso inarrestabile degli eventi, è interessante registrare quali di questi sono entrati nell’obiettivo dei giornali studiati. Nelle seguenti tabelle faremo una classificazione degli articoli in base ai Paesi trattati. Questa analisi inevitabilmente non potrà comprendere la totalità degli articoli considerati nella ricerca. Verranno omessi infatti gli articoli di analisi complessiva, i commenti, le interviste, gli editoriali, ecc. il cui titolo non reca riferimenti ad un unico paese. Per rappresentare i dati abbiamo utilizzato un grafico ad aree, che in questo caso facilita la visualizzazione dei dati.

1

L’inserto del Corriere “CorrierEconomia” incide pochissimo sul totale degli articoli, (4, [Tab. 7]). Non escludiamo che ciò sia dovuto al suo mancato inserimento per lunghi periodi nei volumi di raccolta dell’emeroteca

330


Analisi quantitativa

Detto questo, procediamo all’analisi dei dati relativi a ogni giornale. Iniziamo da La Repubblica [Tab. 12] e [Fig. 11]. Il numero degli articoli dedicati specificamente ai paesi è quasi la metà del totale. Notiamo dal grafico, a seconda del periodo di riferimento, come si sposta il fuoco d’attenzione. LA REPUBBLICA paese Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

mag 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0

giu 2 0 0 6 11 0 0 0 0 1 0

lug 0 0 0 3 5 0 0 0 1 1 3

ago 2 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0

set 2 0 0 2 0 0 0 1 0 1 0

ott 1 0 0 1 4 0 0 1 1 0 1

nov 3 3 0 17 0 0 2 1 0 0 1

dic 1 11 0 5 0 0 0 0 0 0 0

gen 3 1 0 4 0 0 8 0 0 0 0

feb 3 0 0 1 0 0 4 0 0 0 0

mar 3 0 0 2 0 0 0 0 0 0 0

apr 0 1 0 11 0 0 0 0 0 0 0

tot 20 16 0 52 20 1 15 3 2 3 5 137

[Tab. 12] – Numero articoli relativi a singoli paesi -La Repubblica-

Numero di articoli realtivi ai singoli paesi La Repubblica 18 16 14

Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

12 10 8 6 4 2 0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 11] – Numero articoli relativi a singoli paesi

Nel primo periodo spicca Hong Kong a causa dei numerosi articoli e reportages sul passaggio alla Cina. Ma dopo il picco di giugno, a luglio guadagna posizioni anche la Thailandia, dove si registrano gli effetti della crisi valutaria. Nel secondo periodo, da luglio a settembre, appaiono le notizie sul congresso del Partito Comunista Cinese con la decisione 331


III Apparati di analisi

dell’apertura al mercato, mentre scarsa attenzione viene ripartita tra i vari paesi, dal Giappone a Taiwan all’India, puntando più sulle analisi di tipo generale. Salgono tuttavia i toni di allarme e le voci sulla crisi del “modello asiatico”, ma al vertice di Hong Kong di settembre la crisi non sembra poi così grave. Dopo il passaggio alla Cina, Hong Kong torna protagonista a ottobre per la crisi della Borsa e gli attacchi speculativi alla sua valuta, ma anche questo non è sufficiente per Repubblica a spaventare i mercati. A novembre, l’Occidente riscopre la paura di un possibile contagio finanziario e l’attenzione si posta sul Giappone, dove la fragile condizione dell’economia e i fallimenti di grandi broker rendono il paese sensibile alla febbre asiatica. La gravità è accentuata ovviamente dal fatto che Tokio è tra le maggiori piazze finanziarie mondiali. Ma l’attenzione per il Sol Levante si sposta rapidamente alla situazione coreana, che comincia ad apparire già a novembre e a dicembre esplode, sollecitando addirittura l’intervento diretto delle banche private americane che si rassegnano a un riscadenziamento dei crediti. A novembre emerge dalle cronache anche l’Indonesia, per le tensioni razziali all’interno del paese e la condanna del nepotismo di Suharto. Dopo la crisi coreana di dicembre è infatti la situazione di Giakarta a prendere il sopravvento, con una situazione sociale che minaccia la stabilità politica del paese. Nonostante la gravità della situazione Repubblica, dopo febbraio, non riporta più notizie dal paese fino alla fine di aprile. A partire da gennaio la crisi viene considerata fuori pericolo, anche se rimangono enormi problemi nei paesi colpiti. L’ultimo picco è dunque riservato alla situazione dell’economia del Giappone, che nonostante le politiche del governo, rischia la recessione. Vediamo i dati relativi al Corriere della Sera [Tab. 13] e [Fig. 12]:

IL CORRIERE DELLA SERA paese Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

mag 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0

giu 1 0 1 0 12 0 0 0 0 0 0

lug 1 0 0 0 10 0 0 0 0 1 1

ago 0 0 0 1 0 3 0 0 0 0 0

set 6 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1

ott 1 0 0 0 4 0 0 1 0 0 2

nov 1 4 0 7 0 0 4 0 0 0 0

dic 0 17 0 0 0 0 0 0 0 0 1

[Tab. 13] – Numero articoli relativi a singoli paesi -Il Corriere della Sera-

332

gen 0 0 0 1 1 0 4 0 0 0 0

feb 0 0 0 0 0 0 6 0 0 0 2

mar 3 0 0 1 0 0 2 0 0 0 0

apr 3 0 0 12 0 0 0 0 0 0 0

tot 16 22 1 22 28 3 17 1 0 1 7 118


Analisi quantitativa

Numero di articoli realtivi ai singoli paesi Il Corriere della Sera 18 16 14 Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

12 10 8 6 4 2 0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 12] – Numero articoli relativi a singoli paesi -Il Corriere della Sera-

Analogamente a Repubblica anche il Corriere dedica al passaggio di Hong Kong alla Cina una messe di articoli, suddivisi quasi equamente tra giugno e luglio. Sorprendentemente a luglio, mentre la valuta thailandese crolla dopo lo sganciamento dal dollaro il giornale dedica un ‘articolo alla cronaca rosa del paese (del Corona M., Bangkok, la concubina avvelena il principe, «Il Corriere della Sera», 20 luglio 1997, sezione “Cronache”, p. 13), senza parlarne

poi fino a settembre, quando il Fondo monetario internazionale vara il pacchetto di aiuti. Nel mentre si succedono articoli socioculturali sulla modernizzazione indiana, per concentrare a settembre l’attenzione sulla Cina, alla vigilia del congresso del Pcc. A ottobre, a causa della crisi finanziaria e degli attacchi alla sua valuta, l’attenzione torna ad Hong Kong, possibile focolaio di partenza di una crisi globale, nella circostanza che la pressione speculativa porti a sganciare il dollaro di Hong Kong da quello americano causando la svalutazione anche della moneta cinese. Anche la Thailandia torna sulle pagine del giornale a causa della difficile situazione interna e di proteste popolari contro la crisi. A novembre emergono l’Indonesia dove esplode la crisi debitoria indotta dalla svalutazione della rupia e le notizie preoccupanti della stagnazione giapponese. Il Corriere tuttavia in rapporto a Repubblica dedica meno spazio al Sol Levante. Dicembre vede la Corea come protagonista assoluta, possibile tessera di un effetto domino mondiale.

333


III Apparati di analisi

Gli accordi politici sul riscadenziamento del debito privato coreano spostano progressivamente a gennaio e a febbraio l’attenzione sull’Indonesia, dove il governo è recalcitrante sulle riforme del Fondo monetario e la situazione sociale è ormai al calor bianco. Si alternano agli articoli sull’Indonesia anche alcuni reportages dalla Thailandia, paese ormai ritenuto fuori pericolo ma dove la crisi ha fortemente intaccato la vita sociale. A marzo gli articoli sull’Indonesia diminuiscono dopo la nomina per la settima volta del presidente Suharto, ma la crisi politica è ormai inarrestabile. Per l’elezione in Cina di Zhu Rongji, uomo del nuovo corso del capitalismo cinese, il Corriere dedica al paese alcuni articoli, per poi mettere a fuoco ad aprile la difficile fase dell’economia giapponese. Si vede come, a parte qualche differenza quantitativa, il fuoco di attenzione si sposta quasi parallelamente a quello di Repubblica, dove i picchi maggiori sono rappresentati in successione da Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Indonesia e ancora Giappone. Nel grafico relativo al Corriere possiamo notare una maggiore attenzione alle vicende cinesi oltre a un maggiore livellamento tra i vari picchi (a parte Hong Kong e la Corea del Sud), segno di una copertura più costante di notizie dai vari fronti della crisi. Vediamo ora il Sole 24 Ore [Tab. 14] e [Fig. 13]: IL SOLE 24 ORE paese Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

mag 1 0 0 27 0 0 2 0 0 3 3

giu 4 0 0 12 10 0 0 0 0 0 2

lug 2 0 1 11 5 0 2 2 1 0 7

ago 0 3 1 8 1 0 0 1 0 0 6

set 13 1 0 15 2 0 0 5 1 0 2

ott 8 5 0 11 13 0 7 7 0 0 10

nov 4 18 0 40 3 0 2 1 0 0 2

dic 3 38 0 22 0 0 2 1 0 0 0

gen 14 13 0 22 3 0 34 0 0 1 2

feb 9 3 0 13 3 0 22 1 2 0 0

mar 9 4 0 19 0 0 23 1 2 0 2

apr 9 3 1 42 3 0 14 1 1 0 1

tot 76 88 3 242 43 0 108 20 7 4 37 628

[Tab. 14] – Numero articoli relativi a singoli paesi -Il Sole 24 Ore-

La particolare visualizzazione non consente di vedere l’andamento delle aree retrostanti a quelle di maggior quantità, tuttavia i dati sono disponibili nella tabella 14. Possiamo notare come il Giappone sia il paese cui è dedicato in assoluto più spazio, addirittura, nel mese di luglio, più che ad Hong Kong. Si nota per un giornale di vocazione economica l’importanza della piazza finanziaria giapponese. L’attenzione per il Sol Levante rimane sempre e vede un calo solo nei mesi estivi. Il Sole 24 Ore a giugno dedica a Hong Kong meno articoli del Corriere della Sera e di Repubblica dato che non si preoccupa degli articoli “di colore”, reportages e rievocazioni storiche di vario tipo, attenendosi quasi unicamente alle realtà economico-diplomatiche. A luglio il fuoco si sposta progressivamente dal Giappone alla Thailandia. 334


Analisi quantitativa

Numero di articoli realtivi ai singoli paesi Il Sole 24 Ore 45 40 35 Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

30 25 20 15 10 5 0 mag

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

gen

feb

mar

apr

[Fig. 13] – Numero articoli relativi a singoli paesi

Il giornale infatti segue da vicino la crisi valutaria e comincia nel breve periodo a soppesarne le conseguenze per gli investitori, per poi fornire a luglio un quadro generale della difficile crisi del paese. Ad agosto le cronache continuano anche dopo il varo degli aiuti Fmi. La crisi è confermata e comincia ad aggravarsi. A settembre le notizie di politica interna cinese (13 articoli), vengono scavalcate da quelle dal Giappone, e a ottobre sono Hong Kong e la Thailandia i protagonisti delle cronache. La nuova provincia speciale (Hong Kong è ora sotto l’autorità cinese) comincia a soffrire gli attacchi speculativi e si intravede un forte rischio di contagio alle borse occidentali, mentre la Thailandia emerge ancora, sospinta da analisi economiche, cancellazione di progetti infrastrutturali e le riforme chieste dal Fmi. A novembre l’obiettivo si sposta sul Giappone a causa dello yen basso, dei debiti del settore bancario, dei crack di grandi broker e del pacchetto di rilancio dell’economia proposto dal governo. Alla crisi giapponese si accompagna a dicembre quella coreana, che arriva a un punto critico prima degli accordi con le banche occidentali, per poi scendere drasticamente di priorità a gennaio e nei mesi successivi, ormai sormontata dagli effetti economici e politici della crisi in Indonesia. Il grande paese rimane all’attenzione del Sole 24 ore fino ad aprile, sebbene con un progressivo calo degli articoli dedicati.

335


III Apparati di analisi

Da gennaio in avanti, il contagio della crisi sembra scongiurato e alle notizie di carattere economico si alternano dall’Indonesia sempre più le notizie di carattere politico. Ad aprile le conseguenze della crisi all’interno dei paesi asiatici perdono di rilevanza e l’attenzione si sposta sulla stasi giapponese. Una volta fermato il contagio, il Giappone è ritenuto il paese che può trainare le economie dell’area verso la ripresa, ma sua situazione è incerta tra scandali, riforme economiche e sofferenze bancarie, mentre il sistema produttivo del paese continua a macinare surplus commerciale, aizzando il nervosismo americano per la crescita del deficit commerciale. Rispetto a Repubblica e al Corriere il Sole 24 ore nel quarto periodo pone molta più attenzione sull’Indonesia e mantiene un flusso costante di notizie anche da Seul, sebbene nel grafico l’andamento sia oscurato dalla preponderanza di articoli sul Giappone. Volendo dare un’occhiata generale, possiamo vedere i seguenti grafici (i cui dati sono tratti dalle tabelle 12, 13 e 14) relativi alle quantità totali di articoli espressamente dedicati a ciascun paese [Fig. 14], [Fig. 15], [Fig. 16]

Totale articoli dedicati a ogni paese La Repubblica

Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

[Fig. 14] – Totale articoli dedicati a ogni paese -La Repubblica-

336


Analisi quantitativa

Totale articoli dedicati a ogni paese Il Corriere della Sera

Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

[Fig. 15] – Totale articoli dedicati a ogni paese -Il Corriere della Sera-

Totale articoli dedicati a ogni paese Il Sole 24 Ore

Cina Corea del Sud Filippine Giappone Hong Kong India Indonesia Malaysia Singapore Taiwan Thailandia

[Fig. 16] – Totale articoli dedicati a ogni paese -Il Sole 24 Ore-

337


III Apparati di analisi

Da questi grafici d’insieme, possiamo vedere a quali paesi è stata prestata più attenzione e trarre alcune conclusioni. La prima che salta agli occhi è la messe di articoli dedicati al Giappone, anche se non viene colpito direttamente dalla crisi. Il Sol Levante infatti è una paese strategico nell’area ed è la terza piazza finanziaria mondiale. Commentiamo i dati per ogni giornale. Su Repubblica dopo il Giappone seguono a pari livello la Cina e Hong Kong (20), poi la Corea del Sud e l’Indonesia. Questi cinque paesi si sono in assoluto i più seguiti, lasciando indietro con un ampio scarto Thailandia, Taiwan, Malaysia, India e Filippine. Il Corriere della Sera vede al primo posto Hong Kong, seguito a breve distanza dal Giappone, che si trova allo stesso livello della Corea del Sud. Dopo questo primo terzetto di paesi abbiamo l’Indonesia, a causa della gravità della crisi, e la Cina, per il suo accresciuto ruolo di potenza regionale, le vicende politiche interne e il suo contrappeso economico e strategico. La Thailandia, paese centro della crisi appare staccata, ma meno che su Repubblica. Mentre le altre vecchie e nuove tigri, in particolare Taiwan, la Malaysia e le Filippine vengono considerati in modo assolutamente marginale. Il Giappone domina incontrastato la scena sul Sole 24 Ore e quasi a sorpresa, ma con molto scarto, troviamo l’Indonesia. Le vicende economiche e politiche di Giakarta infatti, dopo i timori della bancarotta coreana, hanno rappresentato un grande problema per la stabilità economica dell’area, tanto da superare per numero di articoli dedicati la Corea del Sud. La Cina, per le ragioni espresse, segue a breve distanza la corea. Sul Sole 24 Ore notiamo però che lo scarto tra i paesi che seguono la Cina non è così ampio come sugli altri due quotidiani, segno di un’attenzione più equamente ripartita. Hong Kong è solo in quinta posizione, precedendo di poco la Thailandia e la Malaysia. L’ultimo “gruppo” è rappresentato da Singapore, Taiwan e le Filippine. Dall’analisi svolta in questo paragrafo possiamo trarre la conclusione che gli aumenti di articoli dedicati a un paese variano nel tempo a seconda dell’importanza attribuita agli avvenimenti che ivi si svolgono. Riscontriamo però un criterio di fondo per stabilire questo grado di importanza: le possibili implicazioni economiche e finanziarie per le economie occidentali In base a questo criterio possiamo interpretare in una visione d’insieme i grafici 11, 12 e 13. Li abbiamo sovrapposti in trasparenza per verificare l’andamento di fondo delle quantità di articoli relative ai paesi.

338


Analisi quantitativa

Nel fare questo abbiamo dovuto comprimere i valori sull’asse delle ordinate del Sole 24 Ore, mantenendo la proporzionalità. Da qui, abbiamo disegnato una linea che corre sui vertici dei grafici ad aree e disegna un andamento che possiamo definire, con una certa tolleranza, comune a tutti e tre i giornali [Fig. 17].

[Fig. 17] – Sovrapposizione dei grafici ad aree relativi alle quantità di articoli dedicati ai singoli paesi.

Coerentemente al criterio di importanza individuato, nel primo periodo gli articoli sono rivolti a Hong Kong a causa delle incognite economiche del passaggio alla Cina della cittàstato. Nonostante questo sia stato condotto pacificamente seguendo un preciso iter diplomatico, ci sono incertezze sulle possibili ingerenze della madrepatria cinese nell’economia di uno dei maggiori centri finanziari mondiali. Non a caso anche alcuni articoli socio culturali presentano i commenti di quanti temono il passaggio alla Cina come una “invasione” che metterà a rischio il regime liberale e la florida economia della “Perla d’Asia”. A confronto del passaggio di Hong Kong, la crisi valutaria thailandese è un fatto dalle conseguenze molto più gravi, al quale viene concesso però poco spazio, data la posizione “periferica” di Bangkok nei flussi finanziari e nella diplomazia internazionale. Ad agosto aumentano di poco gli articoli sul perdurare della crisi in Thailandia nel calo generale dovuto al periodo estivo. Il motivo è la richiesta d’aiuto di Bangkok al Fondo monetario, dopo la quale scende l’attenzione sul paese. 339


III Apparati di analisi

Il Giappone rimane a settembre il paese più seguito a causa della sua importanza economica e finanziaria, ma viene sorpassato a ottobre da Hong Kong a causa degli attacchi speculativi alla sua valuta e alle conseguenze globali di un suo possibile sganciamento dal dollaro. A novembre, nel momento più grave della crisi, gli articoli su Thailandia e Malaysia non rappresentano che brevi cenni rispetto all’importanza attribuita alla situazione giapponese e a dicembre alla possibile bancarotta coreana. L’allontanamento della possibilità di una crack globale dopo l’accordo tra banche americane e stato coreano, fa scendere l’attenzione verso la Corea. Da gennaio ad aprile è l’Indonesia che rimane al centro delle cronache a causa delle conseguenze della crisi del regime di Suharto. Le tensioni politiche contribuiscono al continuo deprezzamento della valuta, causando insolvibilità e fallimenti di banche e aziende. Ma anche in Indonesia i creditori sono in maggioranza occidentali. Per cui oltre alle incertezze sul futuro politico del paese (da sempre nell’orbita americana dopo il colpo di stato di Suharto), si vede come siano ancora le conseguenze per l’occidente a richiamare l’attenzione su Giakarta. Suharto viene però rieletto per la settima volta e dopo un lungo braccio di ferro con il Fondo monetario, ad aprile l’Indonesia decide ufficialmente di attuare tutte le riforme richieste, così l’attenzione su Giakarta scende mentre il Giappone torna protagonista. La stagnazione dell’economia nipponica e gli scandali finanziari pongono Tokio in una difficile situazione, soprattutto per le tensioni commerciali che lo yen basso e la difficile ripresa della domanda interna creano nei confronti degli Stati Uniti d’America.

340


3 ANALISI QUALITATIVA

3.1 Liberisti e keynesiani Dopo aver riscontrato le peculiarità della copertura informativa di ciascun giornale sulla crisi asiatica e il criterio comune nell’attribuzione di rilevanza ai fatti asiatici, ci apprestiamo ora alla verifica dell’ipotesi di partenza, se cioè lo schieramento politico dei giornali presi in esame implica anche l’adesione a un determinato paradigma economico. Data l’essenza giornalistica e non specificamente economica di questo lavoro, trarremo dalle teorie economiche di riferimento solo alcuni concetti chiave, che ci permettano di identificare le analisi dei giornali distinguendole tra keynesiane e liberiste. Il primo grande discrimine tra i due paradigmi teorici (entrambi contengono al loro interno più di una teoria), è la credenza nella possibilità che: “Le sole forze della domanda e dell’offerta, attraverso il meccanismo dei prezzi, sono in grado di garantire l’equilibrio e il regolare funzionamento dei mercati, escludendo la possibilità che vi siano beni o risorse inutilizzate: i beni prodotti e offerti dalle imprese non restano invenduti, così come i fattori produttivi (terra, capitale e lavoro, n.d.r.) vengono tutti impiegati”2.

2

Balestrino A., Chiappero Martinetti E. (2005), Manuale di economia politica, Napoli, Edizioni Simone, p. 53

341


III Apparati di analisi

Le teorie liberiste che si sono sviluppate fino agli ultimi decenni ritengono sostanzialmente valido questo assunto, al contrario delle teorie keynesiane, che si muovono nel solco tracciato dall’economista inglese John Maynard Keynes (1883 – 1946). “Nella visione keynesiana, data la sfiducia nelle capacità (autoregolative, n.d.r.) del mercato, il ruolo dello Stato diviene fondamentale: poiché la spesa pubblica è una componente della domanda , è possibile favorire la produzione e con essa il livello di occupazione, adottando quelle che vanno sotto il nome di politiche di stabilizzazione”3. Riportiamo dal manuale di Balestrino e Chiappero Martinetti l’efficace sintesi: “Semplificando un po’, le numerose teorie macroeconomiche che sono state formulate nell’arco degli ultimi decenni, si differenziano principalmente per il ruolo che viene assegnato allo Stato: le contrapposizione è tra chi crede che il sistema economico sia stabile, che i mercati producano i migliori risultati se vengono lasciati liberi di funzionare, e che di conseguenza l’intervento pubblico nell’economia non è solo inutile ma è addirittura dannoso, e tra chi, all’opposto, ritiene che l’intervento dello Stato sia necessario per correggere i fallimenti del mercato e dunque contrastare l’instabilità dei sistemi economici”4 Da quanto riportato possiamo delineare uno schema classificatorio delle analisi economiche e delle posizioni dei giornali rispetto ad alcuni oggetti: Oggetto Il mercato

liberisti

keynesiani

Il mercato tende all’equilibrio mediante

Il mercato non tende all’equilibrio ed è

la sola l’azione di domanda e offerta

necessario l’intervento dello Stato per garantirne la stabilità

Domanda e

È l’offerta che crea la domanda

Maggiore attenzione alla domanda aggregata (consumi, investimenti e

offerta

spesa pubblica) La disoccupazione

3 4

342

Tende a esaurirsi mediante

A causa della rigidità verso il basso dei

l’adattamento dei salari all’equilibrio di

salari è una condizione quasi

domanda e offerta di lavoro

permanente

Balestrino A., Chiappero Martinetti E. (2005), Manuale di economia politica, Napoli, Edizioni Simone, p. 56 Ivi, p. 57


Analisi qualitativa Le crisi

Poiché i mercati sono sempre in

Nel caso di una crisi la caduta relativa

equilibrio, le crisi economiche hanno

delle spesa innesca la depressione e il

natura temporanea e tendono a

sistema è destinato a rimanere in questa

riaggiustarsi in breve tempo

posizione a meno che la spesa non venga aumentata in qualche modo (Stato)5

Dati questi elementi possiamo ora identificare, seguendo i testi riportati nella seconda parte, l’interpretazione economica della crisi svolta da ciascun giornale. Tornerà utile la scansione temporale in quattro periodi utilizzata nella seconda parte e illustrata nella tabella 4. Questo per mettere in risalto, anche all’interno di uno stesso paradigma di riferimento, i cambiamenti del punto di vista intervenuti nel corso della crisi.

3.2 La Repubblica 3.2.1 L’inizio della crisi A maggio La Repubblica riporta una serie di cronache sull’andamento positivo dell’economia americana. Nel far questo addossa trionfalmente i meriti della straordinaria crescita alla ricetta economica del presidente Clinton. Vittorio Zucconi canta le lodi di una politica economica basata sulla riduzione delle spese statali e delle imposte, preoccupandosi solo di “come demolire il welfare state e attutirne gli effetti sociali”6. Anche la scelta delle parole dell’economista Allen Sinai7 serve a confermare questa visione di fondo, espressamente liberista. Nella stessa direzione vanno anche gli articoli successivi sull’economia americana, che focalizzano la riduzione del deficit di bilancio, l’aumento dell’occupazione e la salita “infinita” di Wall Street8. Esulano dall’analisi economica (nel senso di parametri interni, tassi di interesse, spesa pubblica, ecc.) le cronache da Hong Kong che appaiono contemporaneamente a quelle sulla situazione giapponese9. Il giornale mostra come in Giappone il concetto di flessibilità si stia facendo strada10, sottolineando l’inevitabilità di adattamento alle richieste del mercato. Della crisi valutaria thailandese non si fa menzione fino al 4 luglio.

5

Pennance F.G., Seldon A. (1965), Everyman’s dictionary of economics, J.M. Dent and Sons Ltd., (trad. it. Dizionario di Economia, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1979, p. 213-214) 6 Vedi parte II, cap. 1, p. 41, 7 Ivi 8 Vedi parte II, cap. 1, p. 41, p. 44 9 Vedi parte II, cap. 1, p. 46-51 10 Vedi parte II, cap. 1, p. 49-50

343


III Apparati di analisi

3.2.2 Lo sviluppo della crisi Nelle “Opinioni dal mondo” Repubblica cita il 4 luglio l’articolo sulla situazione thailandese, limitandosi a riportare in pochissime righe l’analisi del Wall Street Journal, che critica la decisione della Banca centrale di alzare il tasso di sconto11. Gli articoli seguenti12 mettono in luce le varie cause della difficile situazione in Thailandia, ma non viene criticata la liberalizzazione dei flussi di capitale attuata sulle pressioni del Fondo monetario internazionale. Il 14 luglio il giornale scrive che la svalutazione ridarà fiato all’export nel lungo periodo e solo il 21 luglio Fabio Calenda inserisce tra le cause della crisi la “liberalizzazione selvaggia”13. Questa però è considerata negli articoli seguenti il frutto di errate politiche interne più che di pressioni da parte di istituzioni internazionali. Successivamente l’attenzione viene rivolta all’operato degli speculatori valutari dopo le accuse e le critiche avanzate dai leader politici dei paesi coinvolti nella crisi delle valute e si arriva rapidamente alla personificazione della speculazione: George Soros. Repubblica però, a dispetto dei titoli iniziali14, si unisce nella difesa degli speculatori, tanto che titola, a proposito di Soros un eloquente articolo: “Un paperone dal cuore d’oro che vuole migliorare il mondo”15. Gli articolisti di Repubblica fanno capire che l’operato degli speculatori è destabilizzante laddove esistono già degli squilibri economici, addossando alle politiche e ai soggetti economici dei singoli stati, le responsabilità della crisi (“Quelle economie dai piedi d’argilla”16). Questa linea interpretativa generalmente liberista, viene mitigata il 5 agosto da Giorgio Ruffolo17, che si pone forti interrogativi sui vantaggi e sui costi di una globalizzazione così condotta, esprimendo esigenze di una sua regolamentazione e guida politica, pena la crescita degli squilibri e delle ingiustizie tra popoli e paesi. Tuttavia l’articolo di Ruffolo è un caso isolato. Ad agosto, dopo le notizie dal fronte americano e le analisi sugli andamenti di Borsa, è Arturo Zampaglione che scrive un articolo sulla situazione in Asia dal titolo “C’è l’ombra di George Soros sul crack delle Borse asiatiche”18. Ma le parole di Zampaglione spiegano che tali

accuse sono guidate dal populismo dei politici locali, che vorrebbero scaricare a terzi i loro errori macroeconomici. L’interpretazione perciò non cambia e viene rafforzata da Fabio Calenda l’8 settembre, quando afferma, attraverso le parole della Banca dei regolamenti

11

Vedi parte II, cap. 2, p. 70 Vedi parte II, cap. 2, p. 75, nota26 e p. 91, nota88 13 Vedi parte II, cap. 2, p. 82 14 Vedi parte II, cap. 2, p. 84, nota55 15 * Franceschini E., Un paperone dal cuore d'oro che vuole migliorare il mondo, «La Repubblica», 27 luglio 1997, sezione “Mondo”, p. 13 16 Vedi parte II, cap. 2, p. 85, nota62 17 Vedi parte II, cap. 2, p. 93, nota101 18 Vedi parte II, cap. 2, p. 100, nota132 12

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Analisi qualitativa

internazionali, che la crisi è una crisi di crescita e le tensioni sono dovute non tanto alla gravità della stessa quanto alla incapacità dei paesi a farvi fronte in modo adeguato19. Definiamo liberista questa valutazione, anche se non concorda con quanto affermato nel par. 3.1. Non è chiaro se sia data dalla fiducia di riequilibrio del mercato o dalla incomprensione della sua effettiva gravità. Il problema è: come si può definire liberista chi richiede a gran voce l’intervento dello Stato, chi afferma cioè che dovrebbero essere i governi a prendere le misure adeguate? Dipende di quali interventi e quali misure si tratta. In tutti i casi si parla infatti di “necessarie” riforme per liberalizzare interi settori della finanza o dell’economia. Lo Stato dovrebbe lasciare ad altri il controllo delle attività imprenditoriali e finanziarie, riducendo il proprio deficit di bilancio e limitandosi a imporre agli attori del mercato regole e trasparenza. Di fatto però ciò implica un ritiro dello Stato quale attore economico, che riducendo il proprio bilancio, non può fungere da motore della domanda. Dalla riunione annuale del Fondo monetario internazionale a Hong Kong, l’inviato di Repubblica Roberto Petrini chiama “diktat” le misure imposte dal Fondo monetario ai paesi che hanno richiesto aiuto finanziario. Una critica incentrata però più sulla durezza delle condizioni che non sulla strategia seguita dal Fondo. La risolvibilità della crisi sembra infatti a portata di mano nell’intervista all’economista indiano Harinder Kohli20. Possiamo dire che il punto di vista del giornale si mantiene su una duplice linea. Da un alto riscontra le storture economiche dei paesi asiatici e si schiera a favore di riforme in senso liberale, dall’altro critica la gestione della globalizzazione e le misure imposte dalle istituzioni internazionali. Una posizione tutto sommato difficile e controversa, la cui debolezza sta nella fondamentale accettazione del nuovo paradigma economico liberista, spaziando dalle lodi per la ricetta americana ad articoli visibilmente insofferenti dinanzi alle disuguaglianze create dalla globalizzazione. Tuttavia anche l’intervista ad Harinder Kohli termina con la preoccupazione che l’imposizione del surplus di bilancio da parte dell’Fmi freni gli investimenti infrastrutturali nei paesi in crisi, che rappresentano un forte incentivo alla crescita. Dopo il vertice di Hong Kong, Eugenio Occorsio su Repubblica torna a parlare del duello tra Soros e Mahathir. Il finanziere viene dipinto come uno che fa i suoi interessi, mentre il leader malese è colpevole di “aver prestato il fianco” con “errate” misure antispeculative. Ancora una volta si pone l’accento sulle colpe di Mahathir, mentre le misure antispeculative adottate vengono criticate anche da altri governanti asiatici. I timori occidentali di ritorsioni protezionistiche, vengono sminuiti dall’accettazione della globalizzazione come orizzonte positivo. 19 20

Vedi parte II, cap. 2, p. 108 Vedi parte II, cap. 2, p. 120-122

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III Apparati di analisi

3.2.3 L’esplosione della crisi Le notizie che il giornale riporta nella sezione “Opinioni dal mondo” sono sempre tratte da giornali internazionali prevalentemente inglesi o americani, che hanno una visione spesso chiaramente liberista21. Il 29 settembre Marco Ansaldo mette in luce la diversità esistenti tra i vari paesi, a partire dal livello di democrazia e include l’immobilismo delle classi politiche tra le cause della crisi. L’argomentazione si basa su dati di fatto, ma non è del tutto convincente dato che paesi dove il livello di democrazia è ancora molto arretrato, hanno subito meno conseguenze dalla crisi economica. Continuano le “Opinioni dal mondo”: il Wall Street Journal scrive che la Thailandia dovrebbe accettare che “[…] le istituzioni estere comprino le loro banche a prezzo di saldo, e poi che siano esse a organizzare e gestire la riorganizzazione che serve al sistema finanziario.”22. È un pregio de La Repubblica fornire un piccolo squarcio sulle notizie

internazionali, ma fino a dove si può sostenere che queste vengano scelte in base alla “linea” del giornale? Le posizioni di Repubblica fino ad ora non sono esenti da perplessità sull’operato delle istituzioni internazionali, ma il giornale pubblica gli articoli dei giornali americani quasi come punto di riferimento. All’ennesimo crollo delle borse asiatiche, Maurizio Ricci non esita ad affermare che le tigri sono state “azzoppate” dalla globalizzazione finanziaria23, e l’economista Samuelson, intervistato da Arturo Zampaglione24 condanna non solo la corruzione e la “megalomania” asiatica, ma anche l’irrazionalità occidentale. Un concetto che traspare anche negli editoriali di Turani, ma che in generale è visto come un normale gioco delle parti in un ambiente in cui il rischio è la fonte di guadagno. Una delle poche voci che mantiene uno sguardo più “globale” sulla crisi, è l’economista Marcello De Cecco. Il professore in ottobre pone in primo piano quale causa della crisi il cambio strategico del rapporto tra dollaro e yen. Egli non propugna ricette, ma mostra implicitamente come la crisi non sia frutto solo di malgoverno economico e panico finanziario. Con De Cecco la Repubblica recupera una propria “visione” della crisi, ma gli articoli del professore non saranno molto numerosi fino alla fine delle turbolenze asiatiche. Alle voci critiche sul panico dei mercati internazionali, si alternano su Repubblica quelle di chi afferma (Turani) che la crisi non recherà danni all’occidente25, mentre Renato Ruggero afferma che quella asiatica è solo una crisi di crescita26, elogiando comunque l’apertura dei mercati indotta dalla globalizzazione. La caduta di tensione seguita al rialzo 21

Vedi parte II, cap. 3, p. 136, nota37 Vedi parte II, cap. 3, p. 136 23 Vedi parte II, cap. 3, p. 144 24 Vedi parte II, cap. 3, p. 151 25 Vedi parte II, cap. 3, p. 162-163 26 Ivi 22

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della Borsa di Hong Kong, dura poco27. Ma nonostante i rischi di un crack globale, prevalgono su Repubblica toni non troppo allarmati. De Cecco ripone fiducia nel fatto che Hong Kong sia troppo importante per la Cina e la Cina (e la sua valuta) per gli Stati Uniti e le Borse occidentali28. Ignazio Visco, intervistato da Vittoria Puledda, afferma che il riaggiustamento delle economie asiatiche non avrà un peso determinante sull’economia mondiale. Giuseppe Turani il 9 novembre afferma con semplicità che i crolli avvenuti sono stati il frutto di situazioni insostenibili e che riportata la situazione in equilibrio, cioè più vicina ai valori reali, non ci sono ragioni di grandi preoccupazioni. Una posizione anche questa che riflette la concezione liberista Ma sulle pagine di Repubblica c’è una certa diversità di opinioni su questo punto. Si va dai “venti di ripresa”, alla constatazione che la crisi “non è ancora finita”. Prima del vertice di Vancouver abbiamo l’analisi di De Cecco, che assume una lettura keynesiana, dal momento che critica la strategia statunitense che ha impedito al Giappone di fungere da creditore di ultima istanza29, posizione che viene ribadita anche dopo il vertice30. Negli ultimi giorni di novembre però, tralasciando le cronache, vediamo come i due analisti che pubblicano con maggior frequenza (De Cecco e Turani), abbiano idee opposte. Mentre secondo De Cecco “le tigri vanno a Canossa”, Turani informa che “il crac asiatico può diventare ancora boom”. Turani mantiene una visione liberista, mentre De Cecco oltre a lamentare l’assenza di un creditore di ultima istanza critica implicitamente la globalizzazione come la facoltà di imporre le regole occidentali in paesi non solo culturalmente, ma anche economicamente diversi, consigliando agli uomini politici americani di studiare gli atti di quando era il loro paese ad avere gli stessi problemi31. È durante le concitate fasi della crisi coreana di dicembre, che l’accento comincia a cambiare. Giornalisti come Maurizio Ricci cominciano a sollevare critiche sull’operato del Fondo monetario32 e il 30 dicembre è Eugenio Occorsio33 a scrivere come il comportamento dell’istituzione finanziaria sia sotto accusa negli Stati Uniti. Pur senza smarrire la fiducia nell’economia e nell’apertura dei mercati, La Repubblica comincia a descrivere anche le storture del comportamento del Fondo. La percezione però è che ciò si dovuto all’indubbia influenza delle notizie che provengono dalla stampa americana.

27

Vedi parte II, cap. 3, p. 165 Vedi parte II, cap. 3, p. 186-187 29 Vedi parte II, cap. 3, p. 209 30 Vedi parte II, cap. 3, p. 213 31 Vedi parte II, cap. 3, p. 223 32 Vedi parte II, cap. 3, p. 231 33 Vedi parte II, cap. 3, p. 234 28

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III Apparati di analisi

3.2.4 Il crollo Ma quella che sembra un iniziale presa di coscienza viene spazzata via i primi giorni di gennaio dall’intervento di Federico Rampini34, che afferma come il capitalismo abbia ritrovato l’età dell’oro, mettendo all’angolo la politica. Le cronache economiche si concentrano sui fatti salienti, mentre le iniziali critiche all’operato del Fondo vengono lasciate ai trafiletti di “Opinioni dal mondo”. È sempre De Cecco a fare il punto della situazione il 12 e il 13 gennaio35. L’economista mostra come l’occidente sia tra Scilla e Cariddi: da un lato il rischio di moral hazard, dall’altro la possibilità di un contagio finanziario, da un lato l’arrivo sui mercati occidentali dei capitali in fuga dall’Asia, dall’altro una svalutazione monetaria in grado di mettere a dura prova gli equilibri commerciali dei paesi occidentali. L’articolo successivo è ancora più netto nei confronti del Fondo monetario e a confermare la tendenza ci sono anche le dichiarazioni del premio nobel Samuelson intervistato ad Arturo Zampaglione36. La situazione in Asia è grave, ma da febbraio la progressiva riduzione di articoli dedicati mostra un calo di interesse nella regione. Questo si può addebitare al fatto che non solo il pericolo di contagio sembra rientrato, ma anche che le ex tigri segnano il passo e non sono più meta privilegiata di capitali esteri. Le critiche al Fondo monetario sono relegate a febbraio nella parte relativa alla stampa estera, con le notizie riportate dal Wall Street Journal e dall’International Herald Tribune. Il mese di aprile vede concentrarsi l’attenzione sulla situazione giapponese, mentre i bollettini del disastro asiatico si fanno meno numerosi e meno allarmanti. La situazione del paese viene interpretata come la conseguenza di un sistema politico corrotto, ingessato e colluso strutturalmente con le istituzioni economiche. Viene dunque criticato apertamente il modello giapponese, considerato ormai inadatto per le sfide economiche contemporanee. Ma la presa d’atto della vittoria del neoliberismo americano non è esente da critiche, che provengono quasi esclusivamente dalle analisi di De Cecco. Ai primi di aprile l’economista prende atto di come ormai il dramma dell’Asia si stia consumando nell’indifferenza dell’occidente, e, alla fine del mese afferma chiaramente come all’economia serva una guida (forte critica alla liberalizzazione selvaggia dei capitali)37 e che lo slogan meno stato e più mercato non è il più adatto alle sfide del terzo millennio.

34

Vedi parte II, cap. 4, p. 240-241 Vedi parte II, cap. 4, p. 249-250, 251-252 36 Vedi parte II, cap. 4, p. 252-253 37 Vedi parte II, cap. 4, p. 288 35

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3.3 Il Corriere della Sera 3.3.1 L’inizio della crisi Nel mese di maggio il Corriere dedica i principali articoli economici alla condizione dell’economia americana. Gli articoli di Ennio Caretto non fanno che confermare la tendenza già espressa da Repubblica, parlando di “vero miracolo”38 e riportando anche il sostanziale accordo politico tra democratici e repubblicani circa la riduzione del deficit di bilancio. Il giornale riporta come una situazione in cui la Federal Reserve è poco propensa ad alzare i tassi di interesse e dove l’occupazione aumenta a livelli record, sia ritenuta dal presidente Clinton “un vero modello”39 per tutti gli alleati. I valori del libero mercato, della flessibilità, della riduzione della spesa pubblica e del contenimento dell’inflazione vengono descritti come la ricetta vincente senza chiamare in causa articolate teorie economiche, ma semplicemente commentando i dati di un’economia in forte espansione dove la Borsa sembra arrampicarsi all’infinito. La tendenza ad assecondare la ricetta liberista è sulla base dei risultati, anche perché non bisogna dimenticare il peso che ha la Borsa americana su quelle occidentali. La cosa che stupisce è che non emergono sostanziali obiezioni anche quando Wall Street reagisce negativamente al rialzo dell’occupazione40, nel timore di una erosione dei guadagni data da un possibile aumento dell’inflazione. Dopo le cronache americane, l’attenzione del giornale si sposta su Hong Kong. Il giornale mantiene sulla vicenda del passaggio della “perla d’Asia” alla Cina un’attenzione particolare, come dimostrato dalla serie di articoli firmati da Tiziano Terzani. Prevale generalmente un tono retorico da fine di un’epoca. Alle cronache della vita quotidiana nella ex città-stato, si alternano i titoli della fine dell’Impero e di lacrimosi adii. Sul Corriere viene privilegiato di gran lunga il lato storico e socio culturale a quello economico. Le notizie da Hong Kong occupano fino al 3 luglio le pagine del Corriere. Nulla viene riportato sullo sganciamento dal dollaro della valuta thailandese. 3.3.2 Lo sviluppo della crisi È abbastanza sorprendente il fatto che il 14 luglio, in un articolo dell’inserto “CorrierEconomia”, quindi un inserto specializzato, il giornale annoveri ancora l’Asia tra le aree più redditizie per gli investimenti finanziari, grazie ai suoi eccezionali tassi di crescita. Certo esistono molte differenze tra i paesi della regione e in alcuni casi, come la Cina, ciò corrisponde al vero, ma non si dà alcuna notizia della incipiente crisi valutaria. L’Asia non è 38

Vedi parte II, cap. 1, p. 39 Ivi 40 Vedi parte II, cap. 1, p. 40 39

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III Apparati di analisi

ancora sconvolta dalla crisi, ma i segnali thailandesi sono molto preoccupanti per le loro possibili conseguenze. Il giornale non ne dà notizia, limitandosi a consigliare prudenza nei turbolenti mercati dei paesi in via di sviluppo. La prima notizia economica che giunge dalla Thailandia sulle pagine del Corriere è del 26 luglio, dove Stefano Cingolani osserva come il rialzo del dollaro abbia messo in crisi le valute nell’Europa dell’est e in Asia41. Un’analisi in linea con quelle di De Cecco su Repubblica, che viene sostenuta anche dagli articoli seguenti42, con le dichiarazioni di Jeffrey Sachs43, che riscontra nell’aggancio al dollaro delle valute asiatiche la causa principale della crisi. Queste valutazioni vengono però bilanciate dalle interviste a Milton Friedman e Rudiger Dornbusch44, entrambi convinti che quella asiatica sia una crisi di crescita che non avrà conseguenze per l’occidente e che anzi porterà a una migliore efficienza le economie della regione. Possiamo riscontrare nelle opinioni degli esperti consultati, una valutazione liberista. Dornubusch difende a modo suo la volatilità degli investimenti a breve termine legandola alla solidità dei fondamentali e le conseguenze della crisi vengono sottostimate, tanto da ritenere la Malesia e l’Indonesia mercati sicuri45. Fino a dopo la metà di settembre, in occasione del vertice di Hong Kong, il giornale non dedica articoli alla crisi asiatica. Dagli articoli emergono però critiche all’azione del Fondo monetario, arrivando a ipotizzare il fallimento della liberalizzazione globale in Thailandia, paese chiave tra quelli in via di sviluppo46. Alla fine di settembre è lo scontro tra il finanziere Soros e il presidente della Malaysia Mahathir ad occupare le colonne del Corriere. Mahathir viene considerato un “cavallo pazzo”, ma l’analisi del giornale in questo caso è abbastanza profonda e arriva al nocciolo della questione: lo scontro tra le due tendenze opposte, la liberalizzazione e il protezionismo. Il Corriere non si schiera a favore del protezionismo, ma nutre comunque interrogativi sull’avanzata liberista della globalizzazione.

41

Vedi parte II, cap. 2, p. 80 * Caretto E., La febbre asiatica scuote i mercati, «Il Corriere della Sera», 28 luglio 1997, sezione “Esteri”, p. 11 43 Vedi parte II, cap. 2, p. 86 44 Vedi parte II, cap. 2, p. 86-87 45 Ivi 46 Vedi parte II, cap. 2, p. 116 42 42

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Analisi qualitativa

3.3.3 L’esplosione della crisi È dalla metà di ottobre che riprendono le notizie sulla crisi e sulle sue conseguenze politiche47. Il tono del giornale però si fa meno critico e rimane alle parole degli analisti e al parere di Renato Ruggero, presidente del Wto48. La conclusione che se ne trae è che la globalizzazione non è un processo di per sé armonico, è una opportunità di crescita ma anche un meccanismo che “punisce le inefficienze”. Possiamo vedere come, dopo le critiche all’operato delle istituzioni internazionali e i dubbi circa la destabilizzazione prodotta dalla globalizzazione liberista, al fondo resta la considerazione del mercato come meccanismo autoregolante. Sorprende però, proprio da parte dei sostenitori della globalizzazione, la sottovalutazione dei rischi di contagio finanziario ai centri asiatici della finanza mondiale49, e come vengano richieste a gran voce agli stati politiche macroeconomiche rigorose e nel contempo

massicce

deregolamentazioni

e

liberalizzazioni. Questo è dovuto alla

considerazione che la guida politica (mediante più o meno stretti rapporti col settore privato) dell’allocazione delle risorse sia ormai un modello superato e inefficiente. Le voci tranquillizzanti circa le scarse conseguenze della crisi sui mercati occidentali, si alternano rapidamente alle valutazioni pessimiste della situazione asiatica50, che sembra già aver superato per dimensione gravità quella del Messico nel 1995. Volgendo uno sguardo generale, il tono sulle conseguenze della crisi cambia alla vigilia degli attacchi speculativi a Hong Kong51. L’atteggiamento del giornale sembra dunque seguire i cambiamenti delle valutazioni degli esperti internazionali, come ad esempio Dornbusch52. Qualcosa è indubbiamente cambiato, il nervosismo sui mercati è palpabile, ma l’economista continua a sostenere come il danno peggiore sia il fatto che “[…] in Asia si formi una zona di sicurezza in cui il capitale internazionale non abbia il voto decisivo.[…]”53.

I giorni dal 25 al 31 ottobre sono ricchi di valutazioni sul Corriere. Possiamo riscontrare però che oltre i toni di allarme, non emergono valutazioni “alternative” della situazione e si cerca di interpretare gli avvenimenti asiatici sulla scorta delle fluttuazioni dei mercati internazionali, senza una specifica attenzione ai paesi coinvolti, che mantengono le loro particolarità e differenze. La partita si gioca fondamentalmente tra Wall Street e Hong Kong, tra governi riluttanti all’attuazione delle riforme e borse che vedono di buon occhio un rallentamento dinanzi ai fondati timori di un eccesso di crescita. Il fatto che la lettura degli 47

Vedi parte II, cap. 3, p. 36 Vedi parte II, cap. 3, p. 149-150 49 Vedi parte II, cap. 3, p. 151 50 Vedi parte II, cap. 3, p. 153 51 Vedi parte II, cap. 3, p. 155-156 52 Ivi 53 Ivi 48

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III Apparati di analisi

eventi sia cosa diversa dagli andamenti borsistici è confermato dall’interpretazione che John Kenneth Galbraith, intervistato da Ennio Caretto, dà della caduta di Wall Street del 27 ottobre54. Secondo il noto economista, tale discesa non c’entra nulla con la crisi asiatica, dato che solitamente i capitali in fuga dall’estero si riversano sul mercato americano ed europeo, considerati mercati-rifugio. Ma le opinioni di Galbraith e di Tobin55, la critica alla liberalizzazione dei mercati finanziari e l’idea di un repentino salvataggio delle economie in crisi con una massiccia iniezione di liquidità da parte di un creditore di ultima istanza, rimangono pareri di esperti abbastanza diversi dalla media delle valutazioni del giornale. A novembre si intensificano gli articoli circa le necessità di regolamentazione del sistema finanziario globale. Ammutoliscono gli ottimisti e la crisi sembra aver ripreso d’un colpo la sua virulenza. Le possibili conseguenze di svalutazioni a catena metterebbero nei guai gli stessi Stati Uniti, e cominciano a crescere le voci circa la necessità di monitoraggio dei paesi in via di sviluppo56 e di una “rete di sicurezza” per il sistema mondiale. Il giornale riporta dunque le accuse dei leader asiatici che vedono la speculazione finanziaria come il nuovo imperialismo, ma non ne prende le difese, obiettando comportamenti ambigui. La linea del giornale non mette in discussione apertamente la globalizzazione e i valori del libero mercato, ma ne pone in evidenza i problemi. Quest’ultima capacità però raramente raggiunge l’intensità dimostrata da Paolo Savona. Egli infatti attribuisce al “nuovo paradigma economico”, fondato sull’idea di uno sviluppo continuo e non inflazionistico, parte delle colpe della crisi, auspicando il ritorno a una moneta che sia “ancella dello sviluppo”. Ma cosa significa questa frase sibillina se non il ritorno a politiche monetarie espansive di stampo keynesiano? Questa attenzione alle soluzioni della crisi cresce in modo proporzionale ai rischi per le economie occidentali. Il Giappone diviene così protagonista delle cronache nella seconda decade di novembre, e le opinioni degli esperti del giornale variano tra chi ritiene quella asiatica solo una crisi di assestamento e chi invece teme per il destino dell’occidente57. Nel mese di dicembre le cronache dalla Corea fanno emergere critiche implicite al fondo monetario58. I reportages dai paesi in crisi mostrano, mediante la descrizione delle condizioni sociali, la durezza delle condizioni economiche imposte. Durezza che appare meno giustificabile quando è la popolazione a fare le spese degli sbagli di governi corrotti. Tutto 54

Vedi parte II, cap. 3, p. 176 Vedi parte II, cap. 3, p. 176-177, 181 56 * Caretto E., Borse, dopo la paura si cerca una rete di sicurezza, «Il Corriere della Sera», 2 novembre 1997, sezione “Economia”, p. 21 57 * Polato R., Marzotto: in pericolo l'Occidente se cade il bastione giapponese, «Il Corriere della Sera», 25 novembre 1997, sezione “In primo piano”, p. 5 * Sergio Bocconi, Dini e Romiti: nel Sud-Est solo una crisi di assestamento, «Il Corriere della Sera», 26, novembre, 1997, sezione, economia, p., 21 58 Vedi parte II, cap. 3, p. 269 55

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questo però non viene detto esplicitamente e sono sempre gli esperti esteri a esternare le critiche più forti59. La presenza però di opinioni dissonanti con le scelte del Fondo monetario non si riflette sui titoli, che mettono l’accento ad esempio sulla particolare struttura dell’economia coreana, definita “di guerra”60, anche se all’interno, le valutazioni danno sempre più credito alle opinioni di economisti come Jeffrey Sachs61. 3.3.4 Il crollo Dopo il sospiro di sollievo per il salvataggio della Corea dalla bancarotta grazie al riscadenziamento dei debiti, il Corriere nel mese di gennaio lascia spazio alle cronache economiche e finanziarie e non pubblica analisi di ampio respiro. Si limita a riscontrare la cavalcata di Wall Street e delle borse europee e a riportare le prime notizie del prossimo possibile crollo: quello dell’Indonesia. Ma la cronaca dall’Indonesia non lascia molto spazio alla riflessione sulla crisi. Più interessanti, riguardo alla interpretazione liberista o keynesiana, sono gli articoli riguardanti la riforma delle istituzioni internazionali e il loro ruolo. La necessità di una riforma appare evidente per il buon prosieguo dell’opera di globalizzazione, ma l’impressione che ne dà il giornale è di una intricata serie di negoziati in cui gli interessi dei “vincitori”, gli Stati Uniti d’America, guidano gli indirizzi delle istituzioni finanziarie mondiali.

3.4 Il Sole 24 Ore 3.4.1 L’inizio della crisi Il Sole 24 ore mantiene per tutto il mese di maggio gli occhi puntati alle vicende americane intervallate dalle notizie dal Sol Levante. Mentre gli Stati Uniti hanno un’economia in espansione e una borsa che sale a ritmi di record, il Giappone è impantanato in una stagnazione che vede un aumento della disoccupazione e una difficile via di uscita tra tentativi di riforma economica e scandali politici. I toni sull’economia americana non sono particolarmente enfatici. Non si tratta di nessun miracolo, ma di adeguate riforme unite alla capacità di attrarre capitali esteri, come afferma l’economista Henry Kaufman, intervistato il 1 maggio62. Il giornale, dinanzi all’accordo di bilancio bipartisan tra i due partiti politici americani e ai tagli relativi alla spesa pubblica e sanitaria non pone obiezioni, confidando 59

* Non firmato, Tietmayer critica il Fmi sugli interventi in Asia, «Il Corriere della Sera», 24 febbraio 1998, sezione “Economia”, p. 25 60 Vedi parte II, cap. 3, p.. 227 61 Ivi 62 Vedi parte II, cap. 1, p. 40

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nella saldezza del modello statunitense63. È da rilevare che il giornale riporta notizie dalla Thailandia già il 15, 16 e 17 maggio. All’inizio è solo una preoccupazione circa le garanzie che il sistema finanziario thailandese è in grado di offrire, ma avviene un repentino peggioramento delle notizie da Bangkok, tanto che il 17 maggio il giornale scrive nella sezione dedicata agli andamenti di borsa, “Thailandia in caduta libera”64. Le notizie riportate dal giornale sono da questo punto di vista inequivocabili e fanno capire la gravità della situazione65, attribuendo però la colpa della crisi a fattori congiunturali e il ritiro dei capitali dalla borsa di Bangkok al declassamento da parte delle agenzie di rating americane. Viene data notizia della strenua difesa della valuta da parte della banca centrale, ma il collegamento tra l’aumento del valore del dollaro e la crisi dell’export in Thailandia rimane latente. In questo periodo appaiono sul giornale articoli di eminenti personaggi, come Rudiger Dornbusch e Renato Ruggero, che analizzano le tendenze in atto, illustrando un cambiamento epocale di prospettiva (la globalizzazione), presentando le tendenze opposte, cioè il protezionismo, come un ritorno al passato frutto di una concezione errata66. Tutto questo mentre Alessandro Merli riporta dal vertice del G-7 a Denver la volontà dei grandi di riformare il Fondo monetario perché assuma il potere di implementare le liberalizzazioni nei paesi in via di sviluppo, insieme alla necessità di creare una “rete contro le crisi finanziarie”67. L’ottica del giornale è abbastanza chiara, ma tuttavia mostra di non farsi prendere dall’entusiasmo, quando Adriana Cerretelli fa capire che i negoziati di Denver avvengono sotto le ali dell’aquila americana68. Al passaggio di Hong Kong alla Cina, negli ultimi giorni di giugno non vengono dedicati molti articoli. Alle preoccupazioni sulle conseguenze economiche di tale passaggio si alternano le opinioni di chi ritiene che non sia interesse di nessuno intaccare gli affari altamente redditizi dell’ex città-stato, tanto che il tono degli articoli è ottimista e scevro di retorica. Vediamo allora come il giornale mantenga una linea interpretativa liberista, che concorda con le tendenze in atto, come dimostrato dagli articoli di Dornbusch e le interviste a Ruggero. Nelle cronache tale visione non viene dichiarata esplicitamente, ma permane, anche se raramente diviene un paraocchi che nasconde i fatti o i reali rapporti di forza nelle tendenze in atto.

63

Vedi parte II, cap. 1, p. 45 Vedi parte II, cap. 1, p. 53 65 Ivi 66 Vedi parte II, cap. 1, p. 59 67 Vedi parte II, cap. 1, p. 60 68 Ivi 64

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Analisi qualitativa

3.4.2 Lo sviluppo della crisi Il mese di luglio si apre con la valutazione positiva dello sganciamento del baht dal dollaro Usa e dinanzi alla possibile futura stagnazione dell’economia thailandese, il giornale pone la questione del comportamento degli investitori ove i tassi di interesse non siano abbastanza alti per compensare l’instabilità del cambio. Una posizione chiaramente liberista, nel senso che risponde con l’offerta (innalzamento dei tassi di interesse) a un possibile calo della domanda (fuga degli investimenti). Nonostante i chiarimenti sui meccanismi che hanno incentivato il debito privato con l’estero in Thailandia69, e quella che sembra una crisi “strutturale”, Leonardo Martinelli vede la crisi thailandese “più come una messa in guardia che altro”70. Il giornale riscontra le storture delle economie asiatiche ma sembra comunque che queste siano in una situazione senza via d’uscita. Non riescono a sostenere la parità delle valute col dollaro e quindi sganciano le monete. Dopo aver fatto questo però, la ricetta liberista di attrarre i capitali con l’innalzamento dei tassi di interesse risulta deleteria in presenza di un forte debito con l’estero. Questa situazione viene riconosciuta dal giornale, tanto che Pierangelo Soldatini, già il 12 luglio, parla di “spettro messicano per l’Asia”71. Tuttavia si alternano voci cautamente ottimiste, mentre la Thailandia alla fine, è costretta a rivolgersi al Fondo monetario. Il mese di agosto vede la conferma della crisi thailandese, ma la linea del giornale si mantiene “market friendly”. Ciò è dimostrato dall’intervista a Robert Lucas, nobel per l’economia americano, che afferma senza mezzi termini “sbaglia chi resiste al mercato”72. Anche i risultati economici delle tigri asiatiche nella riduzione della povertà73, vengono sminuiti di fronte alla causa riconosciuta della crisi: uno sviluppo senza regole74. Si predilige quindi una visione in cui il mercato punisce le inefficienze e si attribuiscono le colpe di queste ad errori di politica economica75 ribadendo la necessità di “cure di ampio respiro”. Questa visione viene sostanzialmente confermata anche dagli articoli di commento alla riunione annuale dell’Fmi a Hong Kong76. Sorgono però alcuni dubbi sulla sostenibilità per i paesi in via di sviluppo dei flussi internazionali di capitali e anche le autorità del Fondo monetario ammettono che la fiducia tarda a tornare più di quanto si aspettassero. Ciò da adito

69

Vedi parte II, cap. 2, p. 71 Ivi 71 Vedi parte II, cap. 2, p. 74 72 Vedi parte II, cap. 2, p. 95-96 73 * Merli A., Tigri competitive anche contro la povertà, «Il Sole 24 Ore», 27 agosto 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 4 74 Vedi parte II, cap. 2, p. 100 75 Vedi parte II, cap. 2, p. 101 76 Vedi parte II, cap. 2, p. 115 70

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III Apparati di analisi

a commenti salaci da parte del giornale, più portato a una velata critica dell’operato del Fondo che non a proposte alternative di soluzione della crisi. È significativo però che Alessandro Merli, dopo aver ironizzato sul mancato ritorno della fiducia previsto dal Fondo monetario, scriva sulle stesse pagine “Globalizzazione avanti tutta”, mentre si aggiunge l’influente parere di Dornbusch a sostegno della libera circolazione dei capitali77, che evidenzia il potenziale benefico delle crisi. Viene svelato subito dal Sole 24 Ore il significato simbolico del duello tra il presidente malesiano Mahathir e il finanziere George Soros. Il giornale si dedica alla discussione sollevata dalla crisi in Asia circa la liberalizzazione dei movimenti di capitale e scrive che anche le autorità del Fondo riconoscono una necessaria gradualità nell’imporre riforme di liberalizzazione nei pesi in via di sviluppo. Tuttavia queste affermazioni rimangono appese al difficile equilibrio che il Fondo monetario dovrebbe mantenere tra l’assunzione istituzionale di imparzialità e le spinte ad assumere il potere di implementare ovunque le riforme del libero mercato. 3.4.3 L’esplosione della crisi Dalla fine di settembre, la situazione della Thailandia occupa maggiormente le pagine del Sole 24 Ore. Il giornale lascia a Dornbusch l’elenco delle lezioni da trarre dal caso thailandese. Ne risulta un doppio atto d’accusa nei confronti dei governi asiatici: sia per le scelte precedenti la crisi, sia per le resistenze ai programmi di riforme chiesti dal Fondo monetario per la concessione dei crediti78. È in questo articolo che l’economista smentisce il “mito della diversità delle economie”, decretando che non esistono “modelli” con regole peculiari. Questa impostazione viene sostanzialmente confermata dall’articolo di Ugo Traballi del 7 ottobre79, che mette in chiaro come nessuno sia alla ricerca di un’alternativa alla globalizzazione e come un modello economico possa essere riformato. Le analisi e i commenti sono dunque di impostazione liberista, tra chi sostiene che la crisi fosse prevedibile80 e chi afferma, come Renato Ruggero, che è una crisi di crescita che rimane sotto controllo81, anche dinanzi alle evidenze. Ma l’incertezza che oscilla tra ottimismo (“la crisi è ormai alle spalle”) e realismo (“Interventi urgenti”), si risolve a favore di quest’ultimo con articoli che criticano l’immobilismo delle istituzioni internazionali82 e addirittura la mancata 77

Vedi parte II, cap. 2, p. 119-120 Vedi parte II, cap. 3, p. 133-135 79 Vedi parte II, cap. 3, p. 137-138 80 Vedi parte II, cap. 3, p. 153 81 Ivi 82 Vedi parte II, cap. 3, p. 169 78

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Analisi qualitativa

volontà americana di porsi come creditore di ultima istanza83. Tuttavia le critiche si concentrano più sui comportamenti degli attori internazionali, (siano essi istituzioni, come il Fondo monetario, o paesi, come la Thailandia e gli stessi Stati Uniti), che sul paradigma di riferimento in cui questi attori si muovono. Anche l’approfondita analisi della crisi fatta da Galimberti e Paolazzi il 29 ottobre, pur criticando le politiche monetarie restrittive attuate nei paesi in crisi, rinnova la fiducia nella capacità dei mercati di risolvere le crisi. Alla fine di ottobre il giornale spiega, con l’editoriale di Domenico Siniscalco, che la difficile soluzione della crisi è dovuta anche alle divergenze interne alle istituzioni internazionali, specie tra Europa, America e Giappone, mentre l’economista Paul Kurgman parla di “doccia fredda meritata” per l’Asia e Alan Greenspan, governatore della Federal Reserve, smentisce i timori di una possibile crisi globale. Ci sono cioè problemi di governance globale sotto la difficoltà di soluzione della crisi, una considerazione che si aggiunge a quelle di chi evidenzia i comportamenti sbagliati dei paesi asiatici e di chi non crede nelle possibilità di contagio. Quest’ultima opinione si fa strada anche all’inizio di novembre prevale sulle pagine del giornale, sostenuta dallo storico dell’economia Charles P. Kindelberger84. Seguono commenti positivi fino a metà novembre nonostante la situazione resti critica. Anche a dicembre non avviene un vero cambiamento di prospettiva. La Corea viene “salvata” (mediante prestiti del Fondo monetario e un accordo tra le banche creditrici e il nuovo governo coreano) senza troppo riguardo per l’incentivo al moral hazard. Le conseguenze di una bancarotta di Seul sarebbero nefaste per molti istituti occidentali. Renato Ruggero il 5 dicembre dichiara che “aiutare Seul conviene a tutti”, mentre sul giornale appaiono gli interventi di due economisti, Mancur Olson, che chiede l’intervento di un vero creditore di ultima istanza, e Jeffrey Sachs, che mette in luce i limiti organizzativi e gli errori procedurali del Fondo monetario. Queste voci di esperti appaiono il 13 dicembre nelle pagine interne al giornale, ma il giorno successivo l’editoriale di Fabrizio Galimberti afferma che se la liberalizzazione fosse stata attuata prima, determinate storture non avrebbero avuto luogo, poiché il mercato avrebbe garantito una migliore allocazione delle risorse. Si nota allora come la visione liberista del Sole 24 Ore rimanga intatta e il salvataggio della Corea, che contraddice la linea d’azione inizialmente scelta dagli Stati Uniti d’America, venga visto come una emergenza che non ammette il ricorso a questioni di principio.

83 84

Vedi parte II, cap. 3, p. 172-173 Vedi parte II, cap. 3, p. 184-185

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III Apparati di analisi

3.4.4 Il crollo Delle due più immediate conseguenze della crisi asiatica per i mercati occidentali, cioè un sostanziale attacco commerciale con prodotti a prezzi ridottissimi, e un aumento dei capitali che fuggendo dall’Asia si riversano nelle Borse americane ed europee, viene dato maggior risalto a quest’ultima. Intanto cominciano ad emergere oltre le cronache dall’Asia, posizioni di esperti sempre più critiche verso il Fondo monetario e le istituzioni internazionali. Tra queste c’è quella della Cina85, mentre si affacciano dissidi anche all’interno delle stesse istituzioni86 e c’è addirittura chi incolpa i grandi banchieri internazionali più ancora dei “corrotti” governi asiatici87. Anche l’economista Jeffrey Sachs appare dalle pagine del giornale definendo “errate” le ricette del Fondo. Il peso crescente di queste voci è dato dall’implicito riconoscimento che in Asia non si è riusciti a frenare un cataclisma senza precedenti e si innesta sul dibattito di riforma delle istituzioni internazionali, mentre viene riconosciuto chiaramente il ruolo degli Stati Uniti quale soggetto politico principale e ispiratore delle politiche del Fondo monetario. Tuttavia anche in America ci sono forti polemiche sull’operato e la funzione del Fondo, tanto che il Congresso è incerto sulla concessione di ulteriore denaro all’istituzione. Questa battaglia, tra le ali conservatrici e la linea clintoniana continua sulle pagine del giornale, tra le voci ottimiste di un futuro recupero economico dell’Asia. Nella seconda metà di febbraio mentre si intensificano gli articoli sulla situazione indonesiana, le voci sulla fine della crisi (grazie anche dal recupero di alcune borse della regione) assumono più sicurezza, ma aumentano le critiche sulla sua gestione. Il professor Dornbusch così cede lo scettro di opinionista a Jeffrey Sachs, che lamenta un comportamento poco trasparente del Fondo monetario, mentre alla fine di febbraio punta il dito contro la vulnerabilità dei mercati finanziari. Le dichiarazioni di Hans Tietmeyer del 24 febbraio e quelle di Eisuke Sakakibra agli inizi di marzo sono accomunate dalla necessità di un nuovo ordine finanziario e anche Alan Greenspan sostiene la necessità di riformare l’Fmi. La citazione da parte del giornale di illustri pareri che concordano sul merito dell’azione è significativa del fatto che il Sole 24 Ore aderisce idealmente alle volontà di riforma delle finanza mondiale. Gli avvenimenti asiatici hanno infatti più di una volta sollevato rischi di reazione economica alla globalizzazione dei mercati. La linea di ammissione di errori nell’operato del Fondo tende allora a salvare le tendenze liberalizzatici, evitando di difenderle in modo dogmatico88. 85

Vedi parte II, cap. 4, p. 247 Vedi parte II, cap. 4, p. 248 87 Vedi parte II, cap. 4, p. 249 88 Vedi parte II, cap. 4, p. 284 86

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Analisi qualitativa

Questa tendenza si rivelerà ancora più marcatamente ad aprile con articoli di Enrico Sassoon e di Alessandro Merli. È interessante come cambino gli opinionisti citati. Se all’inizio della crisi i contributi teorici sul giornale erano forniti da economisti come Dornbusch, Lucas e Friedman, da gennaio sono prevalenti i pareri di Sachs, Tobin e Stiglitz. Una “correzione di rotta” importante, funzionale a quel salvataggio morale dato dalle riforme e da un maggior controllo dei mercati. Dire che tutto ciò sia un’operazione di facciata forse traviserebbe la realtà, ma leggendo gli articoli del Sole si viene a sapere che le riforme dell’Fmi auspicate dalle autorità americane sono contrarie all’istituzione di una “nuova Bretton Woods”, come vorrebbe il Giappone, che gli hedge fund che speculano sulle valute, sono ritenuti non colpevoli e che i paesi asiatici possono risolvere la crisi solo applicando le opportune riforme liberiste. Il Sole 24 Ore si sposta così su una visione più “equilibrata” che si mantiene a favore della globalizzazione ma che prende coscienza della pericolosità degli “spiriti animali” del mercato. Tuttavia, nonostante le molte cronache che descrivono gli equilibri strategici che sostengono la globalizzazione, quest’idea non perde il suo fascino nemmeno di fronte alla visibile distanza tra gli interessi delle potenze egemoni e i vantaggi per i paesi in via di sviluppo.

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CONCLUSIONE



1 LA GLOBALIZZAZIONE COME ORIZZONTE POSITIVO

1.1 L’informazione nella globalizzazione Questa ricerca sulla descrizione della crisi che ha scosso i paesi del sud est asiatico tra la metà del 1997 e il 1998 presenta forti caratteri di attualità, in quanto la realtà della globalizzazione dei mercati e la liberalizzazione dei commerci è un processo che ancora oggi, mutatis mutandis, è foriero di grandi dibattiti. Essi non riguardano solo le tendenze future dell’economia mondiale, il riassetto delle istituzioni internazionali come il Fondo monetario e il Wto o la resistenza alle tentazioni protezionistiche dinanzi alle sfide di una competizione sempre più serrata, ma anche le conseguenze che queste grandi trasformazioni impongono alla vita di miliardi di cittadini nel mondo. La questione generale affrontata in questa ricerca è l’analisi dell’informazione a disposizione delle persone comuni, nel senso di non esperte, per comprendere i fatti economici del mondo, in un rapporto di partecipazione e di critica attiva degli avvenimenti. Come espresso nell’introduzione, il racconto della crisi asiatica ha rappresentato così una sfida per i quotidiani nazionali alle prese con gli eventi connessi alla globalizzazione dei mercati. La ricerca è stata strutturata per arrivare ad esprimere un giudizio sulla descrizione della crisi asiatica da parte di La Repubblica, Il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore, facendo interagire tra loro ricerca quantitativa (numero, data, argomenti degli articoli) e qualitativa, sintetizzando le interpretazioni fornite dai giornali sulla base dei diversi paradigmi economici di riferimento.

363


IV Conclusione

1.3 La copertura giornalistica L’approfondita lettura delle pagine dei giornali svolta nella seconda parte, con ampie citazioni di articoli e interventi, è servita a stendere sul tavolo dell’analisi tutti gli elementi ritenuti rilevanti nella descrizione dei fatti, generando una grande complessità di voci e valutazioni intervallate dalla cronaca politica e finanziaria. Dalle tabelle e dai grafici riportati nella terza parte1, vediamo come il Sole 24 Ore sia il giornale che ha dedicato più spazio alla crisi, distanziando considerevolmente Il Corriere della Sera e La Repubblica. Come anticipato nell’introduzione, dobbiamo attribuire questo alla specializzazione economica del giornale. Non si spiegherebbe altrimenti una tale sproporzione quantitativa, che vede gli articoli pubblicati dal Sole 24 Ore superare di quasi tre volte quelli di Repubblica e di quasi quattro volte quelli del Corriere della Sera. Inoltre la differenza esistente tra questi ultimi due giornali è minima se escludiamo gli articoli degli inserti specialistici come “Affari & finanza” di Repubblica. Repubblica e Corriere dedicano sostanzialmente lo stesso spazio alla crisi asiatica. La successiva analisi della distribuzione del numero degli articoli lungo il periodo di tempo studiato mostra la rilevante variazione dell’attenzione rivolta alla crisi2. Facendo i dovuti riscontri nella seconda parte circa la collocazione temporale degli avvenimenti, possiamo affermare l’esistenza di una relazione di proporzionalità diretta tra gravità della crisi e aumento del numero degli articoli. La collocazione dei fatti più importanti della crisi coincide sostanzialmente con i picchi che le curve di ciascun giornale segnano sull’asse delle ordinate3. Un’ulteriore conferma arriva dal fatto che gli andamenti delle curve dei tre giornali sono analoghi. L’aumento contemporaneo della quantità di articoli su più di un giornale in uno stesso momento è segno inequivocabile della rilevanza percepita degli eventi, al di là di quelle che possono essere le scelte editoriali. Tuttavia le curve del grafico [Fig. 4]4 sono ancora curve aggregate che rappresentano la somma totale di articoli dedicati alla crisi e all’Asia, senza distinguere il loro argomento specifico e la loro posizione all’interno delle pagine del giornale. I successivi grafici5 rappresentano la suddivisione del numero di articoli all’interno delle sezioni di ciascun giornale, mostrando la preponderanza dell’aspetto economico (sezioni “Economia”, “Economia internazionale”) e politico (sezioni “Mondo”, “Esteri”, “Politica ed economia internazionali”), mettendo in risalto l’andamento delle curve relative al numero di 1

Vedi parte III, cap. 2, p. 318, [Fig. 3] Vedi parte III, cap. 2, p. 319, [Fig. 4] 3 Ivi 4 Ivi 5 Vedi parte III, cap. 2, p. 321-328 2

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La globalizzazione come orizzonte positivo

articoli posto in prima pagina. Svolgendo i dovuti rapporti6, vediamo come Il Sole 24 Ore sia il giornale che attribuisce in assoluto maggiore rilevanza alla crisi, e come le curve relative alle prime pagine segnino i loro massimi nei mesi di luglio-agosto e nel periodo tra novembre e gennaio. Il passo successivo dell’analisi statistica ha preso in esame il numero di articoli dedicato ai paesi asiatici coinvolti. Innanzitutto vediamo7 come il Giappone, sebbene non venga colpito direttamente dalla crisi, sia il paese cui i giornali dedicano più articoli8. A esso seguono, sebbene in diverso ordine a seconda del giornale, un gruppo di paesi formato da Hong Kong, Corea del Sud, Cina e Indonesia, relegando ai margini paesi come la Malesia, le Filippine e la Thailandia, focolaio iniziale della crisi. Possiamo notare come questi cinque paesi sono o centri nevralgici della finanza mondiale come il Giappone e Hong Kong (ora in mani cinesi), o stati che a causa di difficoltà economiche (la Corea del Sud e l’Indonesia), minacciano la stabilità del sistema finanziario mondiale. In poche parole, quelli citati maggiormente sono i paesi da cui il contagio della crisi finanziaria può venire trasmesso alle borse occidentali. Se andiamo a vedere il grafico d’insieme sulla distribuzione di articoli dedicati a ciascun paese nel tempo9, notiamo che, con le dovute proporzioni, esprime una curva analoga per tutti e tre i giornali (rappresentata in giallo nella [Fig. 18]) e che tale curva coincide sostanzialmente con l’andamento della distribuzione delle quantità totali di articoli. Ciò significa che la valutazione della gravità degli eventi trattati avviene in base alle possibili conseguenze per l’economia occidentale. Prova ne sia il fatto che scampato il pericolo, le notizie sui paesi in crisi tornano quasi a zero, con scarsa attenzione alle conseguenze sociali della crisi economica. Un approccio che mostra la difficoltà dell’informazione nazionale a rappresentare efficacemente un quadro d’insieme, senza cedere all’accanimento informativo fatto di analisi e reportages scritti da economisti e da inviati che descrivono l’oriente attraverso categorie occidentali.

6

Vedi parte III, cap. 2, p. 329 [Tab. 9] Vedi parte III, cap. 2, p. 331-335 [Tab. 12], [Tab. 13], [Tab. 14], [Fig. 11], [Fig. 12], [Fig. 13] 8 Anche se fa eccezione il Corriere della Sera, dove Hong Kong lo sorpassa di poco il a causa dei reportages di luglio per il passaggio alla Cina 9 Vedi parte III, cap. 2, p. 339, [Fig. 17] 7

365


IV Conclusione

[Fig. 18] – Sovrapposizione delle curve di distribuzione delle quantità di articoli nel tempo relative a ciascun giornale e la curva ottenuta dalla sovrapposizione dei grafici ad aree (gialla).

1.4 L’interpretazione della crisi Nell’introduzione abbiamo motivato la scelta de La Repubblica, Il Corriere della Sera e del Sole 24 Ore ipotizzando una diversità di interpretazione degli eventi economici asiatici dovuta a un diverso paradigma economico di riferimento. L’intento di questa ricerca non è la verifica delle teorie economiche sulla base dei fatti, né una comparazione accademica sulla loro correttezza. Le abbiamo considerate strumenti interpretativi e come tali dobbiamo riconoscere a chi le usa una certa flessibilità, nel senso che non possiamo aspettarci dai giornali l’uso di termini tecnici, grafici e dimostrazioni matematiche. Una teoria economica diviene così un campo ideale che perde la sua rigidità sistematica legandosi a valori che costituiscono un universo di significato. Per questo abbiamo azzardato l’ipotesi, basata peraltro su evidenze storiche, di una correlazione tra teorie economiche e visioni politiche. Dalla sintesi espressa nella terza parte riscontriamo innanzitutto che nelle analisi e nelle interviste di economisti ed esperti pubblicate dai giornali, c’è stata durante il periodo di tempo considerato, un’evoluzione. Innanzitutto bisogna dire che la gravità della crisi, fatta parziale eccezione per il Sole 24 Ore, è apparsa tardivamente sulle pagine dei nostri giornali. Il suo emergere dalla cornice mondiale di un liberismo trionfante made in Usa, è stato 366


La globalizzazione come orizzonte positivoi

accompagnato sulle prime da voci che sostenevano le magnifiche sorti di un mondo avviato verso ampie prospettive di crescita grazie ai benefici della globalizzazione. Questi i toni prevalenti sui tre giornali nel primo periodo che va da maggio agli inizi di luglio. Anche le preoccupazioni per il passaggio di Hong Kong alla Cina sono lievi dinanzi al fatto che anche Pechino ha abbracciato il mercato e quota alla borsa di Hong Kong alcune sue aziende (red chips). Inizialmente su tutti e tre i giornali sono state messe in luce più le manchevolezze strutturali delle economie colpite dalla crisi valutaria che non la pericolosità insita nella liberalizzazione di flussi di capitale. Il secondo periodo, dallo sganciamento del baht al vertice Fmi di Hong Kong, vede il Sole 24 Ore schierato in difesa della globalizzazione dei mercati, con gli interventi di economisti come Rudiger Dornbusch e il premio nobel Robert Lucas. Anche Repubblica aderisce alla visione liberista. Esempio ne sia la difesa di Soros al vertice di Hong Kong e le accuse di populismo ai leader rappresentati da Mahathir. Gli articoli critici sulle conseguenze della globalizzazione, sono minoritari. Il Corriere della Sera cita le influenti opinioni di economisti liberisti come Milton Friedman e Rudiger Dornbusch, che da un lato minimizzano e dall’altro valutano benefici gli effetti della crisi per il risanamento delle economie della regione. Il giornale mette a fuoco la causa scatenante della crisi, cioè la rivalutazione del dollaro, mettendo l’Asia sullo stesso piano dell’est Europa in quanto aree che subiscono pressioni sulle monete, senza spiegare però fino in fondo i motivi che hanno condotto a quella situazione. Il terzo periodo vede su Repubblica le prime analisi di Marcello De Cecco, economista di tendenze keynesiane, che spiega come la crisi sia frutto di un gioco strategico tra il dollaro americano e lo yen giapponese. Il giornale non presenta tuttavia toni allarmati sulla crisi ed è solo a novembre che si vedono le prime critiche all’operato del Fondo monetario, influenzate dal dibattito che sta avendo luogo negli Stati Uniti. La disputa tra le analisi di De Cecco e gli editoriali di Turani si fa più serrata, il mero commento dell’andamento borsistico non è più sufficiente a spiegare un cataclisma di quelle dimensioni e le voci ottimiste lasciano un po’ di spazio a un determinato realismo. Sul Corriere della Sera, alla voce di Renato Ruggero, si alternano quelle di John Kenneth Galbraith e di James Tobin, che lamenta l’assenza di un vero creditore di ultima istanza. È il sintomo di un lieve cambiamento nella valutazione della crisi. Il Sole 24 Ore mantiene comunque una linea coerente con le interpretazioni liberiste ed è solo il 13 dicembre che appare la voce di Jeffrey Sachs. Viene concesso spazio a quanti sostengono la necessità di

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IV Conclusione

una regolamentazione solo quando le economie occidentali prendono contatto con i pericoli che la violenza di flussi incontrollati di capitali può recare nel mondo e in occidente. Nell’ultimo periodo vediamo che le analisi di De Cecco, che appaiono ormai stabilmente su Repubblica, mantengano un punto di vista abbastanza indipendente e critico sulle tendenze in atto. La loro presenza dà al giornale una certa coerenza interpretativa, anche se le notizie e gli articoli nelle altre pagine raramente sono in linea con le opinioni dell’economista. Abbiamo così una nota tendenzialmente keynesiana all’interno di un vociante coro liberista, come dimostrano ad esempio gli articoli di Zucconi sul Giappone. Il Corriere della Sera si disinteressa progressivamente della crisi, concentrando la principale attenzione sull’Indonesia e sulle difficoltà giapponesi, ribadendo la superiorità del modello liberista anglosassone. Il Sole 24 ore mantiene una linea più equilibrata del Corriere della Sera, lasciando spazio nell’ultimo periodo a molti interventi che propendono per la riforma delle istituzioni finanziarie globali e la necessità di regolamentare i mercati. Non viene meno il sostegno alla globalizzazione ma occorre difenderla dagli squilibri insiti nella sua attuale gestione. Non per questo possiamo dire che il giornale assuma una linea keynesiana. Non è keynesiano chiunque si opponga alla tendenza in atto, ma possiamo ravvisare la presa di coscienza di una necessaria regolamentazione del mercato. In conclusione possiamo affermare che un cambiamento nelle valutazioni e nella scelta degli esperti intervistati dai giornali viene in un certo senso forzato dagli eventi, quando ormai sostenere una globalizzazione senza regole, solo nel nome dell’omogeneizzazione del mercato globale diviene difficile dinanzi ai disastri provocati. Ma questo (lieve) spostamento a favore delle critiche e delle riforme delle istituzioni internazionali e alla necessità di regolamentazioni è da interpretare con la volontà di non far fallire il processo di globalizzazione. Nelle valutazioni espresse dai giornali c’è stata allora una progressiva variazione, che però permette di riscontrare come le ipotesi di partenza, cioè l’adesione di ogni giornale a un determinato paradigma economico, non siano del tutto confermate. Infatti non solo Il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore sostengono la globalizzazione liberista, ma anche Repubblica, smentendo l’ipotesi di una visione keynesiana del giornale. Non bastano infatti le analisi di De Cecco a far propendere per questa visione. Questa comune accettazione delle virtù di un paradigma economico accolto nella speranza di nuove possibilità di sviluppo per tutti i paesi del mondo, mostra in realtà la sudditanza culturale ed economica agli Stati Uniti d’America. I giornali italiani quindi hanno seguito le vicende economiche di paesi agli antipodi del globo senza comprendere fino in 368


La globalizzazione come orizzonte positivo

fondo le peculiarità culturali dei paesi descritti, presentandone principalmente i difetti strutturali nella certezza che l’applicazione delle ricette liberiste avrebbe ripulito e riformato, riconferendo loro nuove possibilità di crescita. La crisi asiatica ha scalfito appena questa imperante convinzione, tant’è che le emergenti

necessità di riforma delle istituzioni internazionali e di controllo dei flussi

finanziari sono apparse come una doverosa correzione di rotta verso un orizzonte positivo.

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APPENDICI

Appendice 1 Inoltre, nonostante questa mossa:“[…] …il peso ha perso in poche ore più dell’11% del valore rispetto al cambio di riferimento di giovedì sera. […] …la “sconfitta” filippina ha fatto salire la tensione su tutti i mercati finanziari dell’area, i quali temono che si possa innescare un effetto domino per tutte le altre Tigri. Il baht è scivolato al nuovo minimo storico sul dollaro, a quota 30,03. La Bank Negara, la banca centrale Malaysiana, ha ammonito di essere pronta a intervenire se il ringgit dovesse scendere a 2,50 contro dollaro, quota superata ieri fino a quota 2,5050 nonostante le azioni difensive. L’Indonesia ha reagito all’annuncio di Manila allargando dall’8 al 12% la banda di oscillazione nei confronti del dollaro […], ma non è riuscita ad evitare alla rupia di scivolare a quota 2,438 da quota 2,432 giovedì. Per le Tigri asiatiche l’agganciamento ferreo con il dollaro Usa si è rivelato in questi ultimi mesi insostenibile di fronte alla netta rivalutazione della valuta americana e al rallentamento della fase congiunturale che tutta l’area sta vivendo in seguito alla conseguente contrazione dell’export. Senza contare che in molti Paesi la crisi è aggravata dall’esplosione della bolla speculativa dell’immobiliare, che mette a dura prova il comparto bancario […]. Grazie alle “rimesse degli emigranti”, il deficit rimane contenuto nelle Filippine, “[…]…ma le condizioni non sono rassicuranti, visto che le riserve sono calate a meno di 10 miliardi di dollari. E intanto la svalutazione mette sempre più in difficoltà il settore immobiliare, già boccheggiante e pesantemente indebitato in valuta estera e quello finanziario e rischia di frenare gli investimenti […], innescando invece una fuga di capitali da “sindrome messicana”. La speranza contraria è che invece il deprezzamento delle monete e il calo dei tassi possa ridare ossigeno alla congiuntura. […]” * Soldavini P., Spettro messicano per l'Asia, «Il Sole 24 Ore», 12 luglio 1997, sezione “Politica internazionale”, p. 4 371


Appendici

Appendice 2 “Per le valute asiatiche anche ieri è stata una giornata sofferta, a dimostrazione del fatto che i problemi nell’area sono tutt’altro che risolti e che nei prossimi giorni si potrebbero verificare nuovi focolai di crisi. Il ringgit malaysiano, la rupia indonesiana e il dollaro di Singapore (ritenuta una valuta forte e di riferimento nella regione) hanno accusato ieri perdite rotonde. La svalutazione del baht thailandese e del peso filippino continuano ad avere il loro effetto di trascinamento negativo, tanto che gli analisti sono pessimisti su quanto potrà accadere nell’immediato futuro. Si tenga conto, inoltre che nelle ultime settimane le riserve di questi Paesi si sono pericolosamente assottigliate a causa degli interventi effettuati a sostegno delle rispettive monete. Come a dire che è stato toccato il fondo del barile e che gi spazi di manovra sono molto limitati. […] le banche centrali del Giappone e dei principali paesi asiatici avevano raggiunto un accordo di intervento concertato sui mercati nel caso si fossero verificate delle situazioni di crisi e quella attuale è sicuramente una situazione di quelle situazioni che ha bisogno di essere monitorata da vicino perché non scappi di mano e non porti queste economie al collasso. […] C’è infine da tener presente che la situazione politica è in molti casi in fase di evoluzione (e ha quindi indubbie componenti di instabilità), se non altro per il fatto che siamo alla fine di un ciclo storico e di una generazione di leader che sono stati i veri protagonisti di buona parte della storia recente di questi paesi: in Thailandia con il monarca ormai al potere da più di 50 anni; in Malaysia con Mahathir, in Indonesia con Suharto e nelle Filippine con Ramos. La crisi thailandese, quella filippina e quella delle altre nazioni limitrofe dovrà dunque essere superata lasciando sfogare il più possibile l’attuale situazione in modo da fare pulizia e da ricominciare su basi più solide. Naturalmente, ove ce ne fosse bisogno, con l’aiuto di pacchetti finanziari esterni, garantiti da nazioni quali Giappone, Stati Uniti e Unione Europea. [...]” * Es. R., Sotto tiro ora è la Malesia, «Il Sole 24 Ore», 15 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, pag. 8

Appendice 3 “[…] E ieri il baht ha raggiunto il suo ennesimo record negativo: alla chiusura delle contrattazioni, la moneta era scambiata a 32,5 baht per un dollaro, mentre alla vigilia del 2 luglio si trovava ancora a quota 25,85. Non solo: record negativo anche alla Borsa di Bangkok, dove l’indice Set è sceso di 631,28 punti contro gli 831,57 di fine ’96. Senza calcolare che da un mese a questa parte il “fattore Thailandia” ha scosso valute e finanze dei paesi vicini, Filippine in primo luogo. Perché l’emergenza non rientra? Perché, come sottolinea la maggior parte degli analisti, il Governo non è ancora intervenuto in maniera decisa, con un piano chiaro di salvataggio per il settore privato. Che negli ultimi anni, per finanziare il boom immobiliare, si è indebitato all’estero per 66 miliardi di dollari su un totale del debito estero che è adesso pari a circa 90 miliardi. Il Ministro delle Finanze, Thanong Bidaya, proprio ieri, ha annunciato che lunedì prossimo la banca Centrale annuncerà i piani di ricapitalizzazione per le sedici società finanziarie praticamente insolventi, le cui attività erano state sospese in giugno. Ma secondo gli osservatori internazionali questo non basta: ci vorrebbero linee di credito per un ammontare tra i 10 e i 20 miliardi di dollari, che Bangkok potrebbe negoziare con il Giappone e con il Fondo Monetario Internazionale, […]. Bidaya, però, ha ribadito che lo Stato non ha problemi di liquidità (perché l’indebitamento, che è in gran parte a breve, è soprattutto dei privati) e che non può accollarsi il loro salvataggio. Un “lavarsi le mani” che i mercati sembrano non aver apprezzato, vista la performance negativa di ieri. La situazione in Thailandia è davvero strana. Perché accanto alle turbolenze e alla perdita di

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Appendici fiducia nel Paese a livello internazionale, le previsioni nella crescita del Pil non sono catastrofiche: secondo la Deutsche Morgan Grenfell aumenterà quest’anno del 3,5% e del 3% nel ’98. Valori più bassi del 6,2% nel ’96 e dell’8,8% nel ’95, ma non certo da recessione. Le stesse riserve della Banca Centrale sono state assottigliate dalla difesa della valuta, ma sono ancora intorno ai 30 miliardi di dollari, non proprio prosciugate come accadde al Messico in piena tempesta. Insomma a Bangkok basterebbe una gestione più decisa dell’emergenza per superarla.” * Non firmato, Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “Mondo & Mercati”, p. 25

Appendice 4 “[…] La Borsa della neonata regione amministrativa speciale cinese, ha così guadagnato il 3,6% dall’inizio di luglio, quando Hong Kong è tornata alla Cina. […] Per Hong Kong, la cui moneta è ancorata al dollaro Usa, ogni movimento dei tassi americani ha ripercussioni immediate ed è per questo che tradizionalmente la Borsa locale segue con estrema attenzione tutti i principali mercati finanziari Usa. […] A sostenere le quotazioni della Borsa è anche la convinzione che il dollaro di Hong Kong riuscirà a restare ai margini della tempesta valutaria che ha investito quasi tutte le monete del Sud-Est asiatico nell’ultimo mese. A garantire la solidità della moneta sono innanzitutto le buone condizioni macroeconomiche, dall’inflazione in calo alla ripresa del tasso di crescita del Pil. Aiuta inoltre la disponibilità di 63 miliardi di dollari Usa in riserve valutarie, senza contare i 121 miliardi di riserve cinesi. […]” * Mengarelli F., Hong Kong si conferma tigre, «Il Sole 24 Ore», 24 luglio 1997, sezione “In primo piano”, p. 3

Appendice 5 Dopo questo primo intervento su richiesta del Governo delle Filippine, il 29 luglio è la Thailandia a chiedere aiuto al Fondo Monetario. Notare come il Sole 24 Ore presenta l’evento: “E’ stato un lunedì tutto in ripresa per i mercati valutari del Sudest asiatico, rincuorati dalla decisione del governo thailandese di chiedere l’aiuto del Fondo monetario internazionale. La ritrovata fiducia degli operatori è stata dovuta all’annuncio ieri da parte del ministro delle Finanze thailandese Thangon Bidaya, dell’apertura di una serie di incontri a Bangkok con una delegazione dell’Fmi: l’obiettivo dichiarato dei colloqui, […], è un esame della situazione attuale in Thailandia e l’elaborazione di una serie di suggerimenti per risanare il settore finanziario e far ripartire l’economia. Il governatore della Bank of Thailandia, che ieri si sarebbe dimesso ha ammesso, in un separato incontro con la stampa, che il primo ministro thailandese Chavalit ha già deciso in via di principio dalla scorsa settimana di richiedere all’Fmi l’erogazione di un prestito d’emergenza”. La Thailandia, spiegano gli economisti della regione, sarebbe stata sinora riluttante a chiedere l’assistenza finanziaria del Fondo perché questa verrà collegata, come di consueto, a una serie di dolorose riforme strutturali. Ma se queste riforme sono una medicina amara sul versante politico, sono esattamente quelle che gli operatori dei mercati valutari sembrano ritenere un prerequisito per recuperare fiducia nel baht. All’allentarsi della tensione sul versante monetario non è però corrisposto un affievolirsi delle polemiche del mondo politico regionale sulla responsabilità degli investitori esteri nella “rotta” delle valute del Sudest asiatico. […] Ieri, però, gli Stati Uniti, hanno deciso di scendere in campo in difesa degli operatori. Con un velato riferimento al finanziere Gorge Soros, già preso di mira nei giorni scorsi dal governo malese, il 373


Appendici sottosegretario di Stato Stuart Eizenstat ha ricordato che i movimenti di mercato non sono determinati da un ristretto numero di speculatori e quantomeno da un’unica persona. […]” * Mengarelli F., Bangkok chiede aiuto all'Fmi, «Il Sole 24 Ore», 29 luglio 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 5

Appendice 6 “[…] Non c’è da stupirsi quindi che le critiche alle riforme di Kim siano endemiche. […]. Dopo l’apertura del mercato finanziario coreano, dice Hoo (membro della Commissione presidenziale per le riforme finanziarie, n.d.r.), conseguenza diretta del nostro ingresso nell’Ocse, adesso è necessario rendere competitivo questo settore che per anni era una longa manus del Governo, che gli diceva cosa fare e lo proteggeva dai rischi del mercato. In alcuni casi, come in quello della Hanbo (colosso dell’acciaio andato in fallimento, n.d.r.), al Governo non dispiacerebbe dire alle banche cosa fare ma queste, oberate da debiti inesigibili, difficilmente lo ascolteranno. […] secondo la Commissione presidenziale per le riforme finanziarie, le sei maggiori banche coreane risulterebbero esposte per debiti inesigibili per 20 miliardi di won, il 14% dei loro prestiti globali, un livello di guardia che sarà indispensabile ridurre. […] Rompere il cordone ombelicale che tradizionalmente ha legato a filo doppio il mondo finanziario ai gruppi industriali (con garante il Governo), avrebbe tuttavia effetti positivi. Una delle disuguaglianze che è necessario correggere nell’economia coreana, è lo strapotere dei Chaebol, rispetto alla piccola e media industria. Il problema non è solo coreano (il modello resta quello giapponese), ma in Corea non esiste l’indotto della componentistica, che nel Sol Levante dipende dalla grande industria ma non ne fa parte, e quindi i Chaebol fanno veramente il bello e il cattivo tempo. […]”. * Busetto G., Corea, il miracolo è in panne, «Il Sole 24 Ore», 26 agosto 1997, sez “Commenti e dibattiti”, p. 9

Appendice 7 “Le Tigri asiatiche (grandi o piccole che siano) non sembrano graffiare più. È come se d’improvviso queste economie fossero entrate in crisi e non fossero più in grado di garantire i rotondi tassi di sviluppo del recente passato. Il problema di fondo è di capire se queste difficoltà siano solo di carattere contingente o affondino le loro radici ben più in profondità, lasciando quindi intraveder una crisi di lungo periodo. […] Sicuramente siamo di fronte a un periodo di forte transizione in cui i pilastri su cui poggiavano queste economie stanno venendo meno. […] È evidente che un consolidamento era necessario e che aspettarsi tassi di sviluppo attorno al 6-8%, senza interruzione, era fisiologicamente impossibile. Ma la situazione evidenziata negli ultimi mesi è di quelle che va al di là delle semplici crisi di crescita. È la crisi di un sistema, la crisi di un modello che finora è stato di grande successo. Per questo è quanto mai difficile individuarne le cause reali (esistono molte concause) e trovare i giusti antidoti. Il salvagente lanciao dal Fondo monetario internazionale e da altre istituzioni (per il totale di una ventina di miliardi di dollari) a favore della Thailandia, se da un lato ha avuto un effetto-tampone sulla situazione del Paese, dall’altro ha messo in evidenza i limiti di queste misure: si tratta, infatti, di una diga fragile, contro una voragine finanziaria ben più ampia, che ha eroso buona parte delle riserve del paese e che ha convinto a elevare i debiti a livelli vicini al non ritorno. […]” * Calcaterra M., Le Tigri del Sud Est asiatico non graffiano più i mercati, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Rapporti -Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 6

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Appendici

Appendice 8 Inoltre: “[…] L’Fmi, che già esercita un ruolo di sorveglianza sulle politiche macroeconomiche, utilizzerà le proprie missioni anche per tenere un occhio sulle lacune dei sistemi finanziari. L’altra area nuova nell’atteggiamento del Fondo verso i paesi membri è quella del “buon governo”, inteso come lotta alla corruzione. […] «Non possiamo sradicarla da soli – dice una fonte del Fmi – ma possiamo far sentire la nostra voce ed esercitare la nostra influenza soprattutto in quei paesi che hanno bisogno dei nostri finanziamenti”. Ma l’adattamento più importante alla globalizzazione dei mercati il Fmi lo farà non cercando di contrastarla, ma piuttosto facendosi promotore di una completa e ordinata liberalizzazione dei movimenti di capitale. Proprio nelle riunioni di questi giorni si discuterà l’emendamento del proprio statuto che in origine gli assegnava un compito solo sulla parte corrente della bilancia dei pagamenti. […]”. * Merli A., Globalizzazione avanti tutta, «Il Sole 24 Ore», 19 settembre 1997, sezione “Rapporti -Fondo Monetario Hong Kong '97-”, p. 1/3

Appendice 9 ”[…]…ieri è stata un’altra giornata nera. Il ringgit malaysiano e la rupia indonesiana hanno toccato nuovi minimi assoluti, rispettivamente a 3,1985 (-1,7% dai 3,1440 di venerdì) e a 3.190 (-2,9% da 3.100) per un dollaro Usa. Dall’inizio della crisi ai primi di luglio, il ringgit si è svalutato del 26,7% e la rupia del 31,1%. Questo nuovo cedimento rende perplessi gli analisti. I movimenti di mercato, ha detto Sani Hamid della Mms (Standard and poor’s) «sono ormai fuori dalla razionalità». La pressione dell’offerta ha interessato anche il dollaro di Singapore (a 1,5288 da 1,5250) e il baht (a 35,65 da 35). Il peso filippino è rimasto sui livelli di fine settimana (attorno a 34 per un dollaro), beneficiando della decisione della Moody’s di mantenere stabile le previsioni per le banche di Manila poiché, secondo le agenzie di rating, il deprezzamento della valuta (-29% dai primi di luglio) non è una seria minaccia per gli istituti di credito […]” * Calcaterra M., Nuovo prestito per la Thailandia, «Il Sole 24 Ore», 30 settembre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 16

Appendice 10 “Qualunque sarà il destino della proposta giapponese di un piano di salvataggio per il Sud-Est asiatico, non ci sono dubbi che per il momento le turbolenze sui mercati della regione sono destinate a continuare. […] Finché questi (i problemi strutturali, n.d.r.) non saranno spazzati via da riforme radicali sul fronte finanziario, ma anche sociale e politico, difficilmente si potrà tornare ai ritmi forsennati di crescita del Pil ai quali la regione ci aveva abituati. […] La necessità di risolvere i problemi strutturali della regione come condizione necessaria per tornare a crescere non può non far pensare alla crisi del “peso” di fine 1994. «Ma qui rischiano di essere condizioni ben peggiori del Messico – avverte Rui Gomez Belo, ex dirigente della Banca mondiale –. In Thailandia e Malaysia quello che i governi locali dicono di voler fare è ben diverso da quello che fanno. Insomma, c’è un problema politico e finché non verrà risolto nemmeno quello economico potrà esserlo»” * Pensabene S., L'Asia? Un nuovo Messico, «Il Sole 24 Ore», 27 settembre 1997, sezione “Settimana finanziaria”, p. 31

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Appendici

Appendice 11 “Nuovo record negativo per la Rupia Indonesiana, che ieri è arrivata perdere il 9% in una sola seduta, crollando al minimo storico di 3,725 sul dollaro dopo aver iniziato la giornata a quota 3.400. La valuta ha perso oltre il 50% dall’inizio dell’anno e secondo molti analisti il crollo potrebbe non essere finito. […] Dietro il brusco calo della valuta indonesiana la convinzione che il settore finanziario del Paese sia in profonda crisi: almeno 40 banche sono fallite o sull’orlo del fallimento, su un totale di duecento istituti attivi nel Paese. Il dato positivo sul surplus commerciale, diffuso ieri, non è riuscito a rasserenare il clima. In luglio il surplus è quasi raddoppiato rispetto allo scorso anno […]” * Non firmato, Indonesia, la rupia ai minimi, «Il Sole 24 Ore», 4 ottobre 1997, sezione “Politica ed economia internazionali”, p. 5

Appendice 12 “Rupia in picchiata, al punto che la banca centrale indonesiana è tornata a intervenire pesantemente sul mercato per la prima volta da mesi. Dopo il crollo del 9% di venerdì, ieri la moneta indonesiana ha perso il 6,2% ed è scesa al minimo storico di 3,865 contro il dollaro, trascinando al ribasso anche il ringgit malaysiano, il dollaro di Singapore, il baht thailandese e il peso filippino. […] La corsa alla vendita di rupie è infatti partita dal timore di possibili mancati rimborsi dei prestiti denominati in dollari. L’indebitamento del settore privato indonesiano, secondo voci ricorrenti, sarebbe molto superiore ai 60 miliardi di dollari ufficialmente ammessi dal Governo. Il presidente indonesiano Suharto ha convocato ieri un summit di emergenza del Governo per discutere della crisi valutaria. […] …il ministro per l’Economia, le Finanze e lo sviluppo Saleh Afiff ha annunciato che per allentare la pressione sulla rupia il governo farà pressioni sui creditori internazionali per un riscadenziamento dei debiti delle società indonesiane. Ma secondo molti analisti potrebbe non essere abbastanza. L’Indonesia potrebbe trovarsi costretta a rivolersi al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale nel tentativo di riportare stabilità ai mercati finanziari. Le riserve indonesiane sono solide ma Giakarta ha ammesso un deficit fiscale di oltre 9mila miliardi di rupie, […]. Ma con le elezioni presidenziali tra meno di sei mesi è probabile che Suharto cerchi di risolvere i problemi “in casa”, senza il clamore di una formale richiesta di aiuto all’Fmi. […]”. L’autore, pur sottolineando una situazione potenzialmente ancora più grave di quanto appare, sembra non biasimare la decisione di Suharto, in quanto: “[…] Il baht thailandese è sceso a 36,75 sul dollaro in seguito alle affermazioni di un funzionario della Banca centrale (poi smentite) secondo le quali il maxi-pacchetto di aiuti dell’Fmi di 17,2 miliardi di dollari non sarebbe stato sufficiente a rimettere in sesto l’economia di Bangkok. Il ringgit è scivolato a 3,388 contro i 3,363 di venerdì, nonostante le fiduciose affermazioni del premier Mahathir Mohamad, secondo cui la Malaysia riuscirà senz’altro a superare la crisi senza alcun aiuto dall’estro. Il peso filippino ha chiuso in leggero calo a 34,926, il limite sotto il quale le banche con un Gentlemen’s agreement si sono impegnate a non scambiarlo. […]”. * Es. R., Indonesia, rupia in picchiata, «Il Sole 24 Ore», 7 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 9

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Appendice 13 Punto2: “[…] Il budget sarà ridotto di 100 miliardi di baht a 823 miliardi, così da consentire un surplus di 69,8 miliardi per l’anno finanziario che si concluderà il 30 settembre ’98. L’Fmi aveva posto come condizione un surplus minimo di 50 miliardi, pari all’1% del Pil. […] I risparmi […] deriveranno in parte da tagli alle spese e in parte da nuove tasse. Saranno tagliati alcuni grandi progetti infrastrutturali […], mentre verranno aumentati dazi e accise, in particolare su “importazioni di lusso.

Punto 3: […] Un’agenzia, la Asset management company, si accollerà i crediti in sofferenza delle 58 società delle quali il Governo quest’estate ha ordinato la chiusura e avrà un capitale di un miliardo di baht. Le società dovranno presentare un piano di “salvataggio” entro la fine di novembre, che la Amc dovrà poi valutare. Un’altra agenzia, la Financial restructuring agency, con un capitale di 500 milioni di baht, avrà invece il compito di controllare la corretta gestione degli asset da parte delle società. Un’altra novità introdotta ieri consente agli stranieri di acquisire il controllo (fino al100%) di banche e società finanziarie thailandesi: fino a ieri il limite era fissato al 25%. Ma è una misura transitoria, dopo dieci anni gli stranieri dovranno tornare a una quota pari o inferiore al 49 per cento.

Punto 4: l’autore dell’articolo riporta il commento positivo di Michel Cadmessus, ma si pone alcune domande: “[…] Basterà il pacchetto annunciato ieri a frenare la crisi economica che quest’estate ha travolto la Thailandia? Le opinioni degli analisti sono divise tra ottimismo e pessimismo, ma concordi sul fatto che ci vorranno anni perché i problemi del settore finanziario possano essere risolti. “È assolutamente impossibile calcolare le esatte dimensioni del problema Thailandia” ammette un funzionario dell’Fmi inviato a Bangkok per studiare la situazione. Forse il ministro thailandese ha le idee più chiare sulla situazione: ieri ha dichiarato che il Governo chiederà più fondi all’Fmi. I 17,2 miliardi di dollari già concessi potrebbero non essere sufficienti” * Es. R., Pacchetto di riforme in Thailandia per ristrutturare il settore finanziario, «Il Sole 24 Ore», 15 ottobre 1997, sezione “Economia internazionale”, p. 7

Appendice 14 “Da varie parti del mondo si elevano critiche agli Stati Uniti per le pressioni che esercitano affinché il modello americano venga adottato in ogni angolo del pianeta. […] Gli Stati Uniti – lo ha ricordato a fine luglio la signora Albright alla riunione dell’Asean in Malaysia – sono convinti che il loro modello sia buono in sé , per tutti e applicabile in ogni luogo, e non specifico della società americana. Da qui nasce la contestazione alla pretesa egemonica Usa, il cui alfiere da almeno un decennio è proprio il primo ministro della Malaysia, Mahathir bin Mohamed, che proclama a gran voce il diritto alla diversità dei popoli e delle culture. […] …il discorso sull’egemonismo americano non ha vie d’uscita. O meglio, ha solo quella di essere respinto sul piano teorico e accettato con risentimento sul piano pratico. Ora, sia l’inquadramento teorico sia quello pratico del problema trascurano la dimensione storica della natura dell’egemonia. È vero che la storia non ha mai registrato l’egemonia di un solo Paese su tutto il resto del mondo. Ma […] può uno stato che si trovi nelle condizioni di esercitare una egemonia rinunciare ad essa? Quando si ha l’egemonia, si cerca solo di trovare i mezzi più efficaci per perpetuarla. Ciò introduce la questione di come definire l’egemonia nel mondo di oggi. […] …disporre di meccanismi non coercitivi che si autofinanziano e si diffondono per virtù propria, senza costi per la potenza egemone. Si può quindi affermare che la tecnica (in particolare quella di Internet, n.d.r.), 377


Appendici secondo l’intuizione baconiana, condiziona politica ed economia, e sorregge l’egemonia Usa che si è costruita inducendo, non necessariamente in modo coercitivo ma per i risultati che se ne potevano ottenere, il resto del mondo ad adottarne le regole utilizzandone le risorse. Sul piano storico, quindi, gli Stati Uniti non possono rinunziare a introdurre nel mondo dosi sempre più massicce del loro fattore di potenza. Sul piano politico, non si vede perché dovrebbero rinunziarvi. Allora perché tante resistenze? Esse sono sostenute essenzialmente da quei gruppi di potere, nazionali o sub-nazionali, che hanno natura corporativa e vocazione mediatrice (politici, economici, sindacali, culturali, religiosi), i quali vedono minacciate le basi delle loro secolari rendite da potere dall’affermazione del modello americano di «democrazia di mercato»” * Corneli A., E l'egemonia americana viaggia con Internet, «Il Sole 24 Ore», 7 ottobre 1997, sezione “Commenti e dibattiti”, p. 5

Appendice 15 “Sono poco più di venti milioni gli abitanti della Malaysia, pochi per giustificare un investimento diretto nel Paese. «Se si va a produrre sul posto – osserva Massimiliano Sponzilli, direttore dell’ufficio Ice di Kuala Lumpur – bisogna pensare di vendere in tutto il Sud-Est asiatico». Insomma, la Malaysia come base per attaccare l’Asean. Che è un entità più ampia della “piccola” Malaysia, l’insieme dei Paesi Asean (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico) conta qualcosa come 490 milioni di abitanti e quindi nn mercato con un numero equivalente di consumatori. […] Dell’Asean fanno parte nove Paesi: oltre ai cinque che dettero vita all’associazione nel lontano 1967 (Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore e Thailandia), anche Brunei, Vietnam e gli ultimi ammessi, nel luglio scorso, Birmania e Laos. […] È una sorta di Unione europea formato Asia, all’interno della quale i dazi imposti sui prodotti commerciali sono in caduta libera e dovranno comunque essere compresi fra lo 0 e il 5% entro il 2003. […] Così chi produrrà, anche parzialmente in una delle “pedine” Asean, potrà poi vendere indisturbato in tutto il Sud Est asiatico. In questo contesto perché scegliere proprio la Malaysia? Dal punto di vista geografico si trova proprio nel cuore dell’Asean. Le infrastrutture sono di buon livello rispetto ad altri Paesi come l’Indonesia e le Filippine, […]. E poi la Malaysia è stabile politicamente e ha buoni rapporti con tutti gli Stati dell’area, […]” * Martinelli L., Una porta aperta sull'Asean, «Il Sole 24 Ore», 16 ottobre 1997, sezione “Mondo & mercati”, p. 26

Appendice 16 “[…] Per il Giappone c’è scarso spazio di manovra se non, come dice Susumo Kato, analista di Bzw, quello di «intervenire con decisione a livello fiscale, riducendo il drenaggio sulle aziende sui lavoratori dipendenti» in modo da stimolare la domanda interna. «La crisi del Sud Est asiatico – continua Kato – ha portato a una generale riduzione delle esportazioni giapponesi nell’area. Il 20% ad esempio per qul che riguarda la Thailandia e tra il 10 e il 15 per quanto concerne altre nazioni. Questo calo, che si aggiunge all’attuale modesto livello dei consumi interni sta diventando preoccupante e potrebbe portare a una pericolosa fase di stallo dell’economa». […] Si tenga conto, poi, che il Giappone è fortemente impegnato con investimenti diretti nell’area e che l’attuale stato di emergenza di queste economie e delle loro valute potrebbe influire negativamente su queste partecipazioni. […] Anche dal punto di vista finanziario, secondo l’analista di Bzw, il

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Appendici Giappone ha da valutare attentamente la situazione, ma non da allarmarsi più di tanto. Le banche nipponiche, infatti, si stima abbiano solo il 4% dei loro crediti impegnati nel Sud Est asiatico. […] La conclusione è che: “[…] Al punto in cui siamo arrivati sarebbe bene però che il Giappone uscisse allo scoperto e mettesse in pratica le proposte avanzate nelle scorse settimane a Hong Kong nel corso della riunione annuale dell’Fmi, di costituzione di un fondo monetario regionale che possa operare nei casi di emergenza e come ammortizzatore delle tensioni esistenti. Vedremo se questo progetto subirà una accelerazione, tanto più che non sembra ci possano essere altre strade alternative a disposizione. […] È probabile che il Pil in quest’anno fiscale aumenti solo dello 0,5%, sempre che non si verifichino nuovi intoppi nell’immediato futuro. «Altrimenti – conclude l’economista di Bzw – la crescita potrebbe essere addirittura vicina allo zero.” * Calcaterra M., Anche Tokio accusa il colpo. Rischio di crescita zero nel '98, «Il Sole 24 Ore», 24 ottobre 1997, sezione “In primo piano”, p. 2

Appendice 17 “Fra crisi acute ed effimere riprese, l’emorragia di capitali dall’Asia continua, lasciando borse sfibrate a cadere sempre più in basso. […] Fra la paura di rimanere intrappolati con poco più che carta straccia in mano e l’avidità di comprare titoli a prezzo di saldo, continua a vincere la prima. Anche perché l’alimenta l’incertezza del mercato più grosso del mondo, quello americano, e la debolezza dimostrata, ieri, da Wall Street, sostiene più d’uno a Hong Kong, potrebbe avere nuove ripercussioni oggi a chiusura di settimana. […] …il mercato ormai, aspetta soltanto pretesti per giustificare la sua paura. E i buoni motivi non mancano. A cominciare dalla Thailandia, si nuovo sull’orlo di una crisi finanziaria davanti alla prospettiva di restituire 21 miliardi di dollari di prestiti esteri entro l’anno. E probabilmente della stessa misura, se non superiore, è il buco che deve colmare, nei prossimi due mesi, l’Indonesia, dove il presidente Suharto è impegnato da quasi tre settimane in un braccio di ferro con i tecnici del Fmi sulle condizioni di un intervento di soccorso delle organizzazioni finanziarie internazionali. Se la febbre asiatica è destinata a durare, più difficile è capire quanto possa influenzare i mercati americani. Le esportazioni Usa nel Sud Est asiatico sono limitate (il 4% del totale) e i mercati americani beneficeranno comunque, del minor costo delle importazioni. Ma il panorama potrebbe cambiare se la crisi si estendesse all’Asia settentrionale.” * Ricci M., L'emorragia delle tigri asiatiche, «La Repubblica», 31 ottobre 1997, sezione “Economia”, p. 31

Appendice 18 “[…] un imbarazzo ancora più grande circonda la ricetta economica per risolvere la crisi. Una prima versione, proposta inizialmente dal Fondo monetario e dal suo direttore Stanley Fisher, prevedeva riforme strutturali nel credito e nel governo delle imprese, alcuni salvataggi bancari e bassi tassi di interesse. In questo modo si volevano tagliare alcuni nodi incestuosi tra Governo, banche e imprese, si salvavano le banche capaci di propagare la crisi su altri mercati, si puntava sullo sviluppo economico per ammortizzare i debiti del settore privato. Contro questa visione ha invece prevalso la ricetta del Governo americano, proposta da Bob Rubin e soprattutto dal sottosegretario al Tesoro Larry Summers. Questa ricetta affianca alle riforme e ai salvataggi bancari, una politica di restrizione monetaria, che attraverso gli alti tassi di interesse punta innanzitutto alla stabilizzazione del cambio. Un cambio più stabile può dare ordine al commercio nell’area, evitando svalutazioni competitive da parte dei Paesi vicini, a cominciare dalla Cina. In questo modo evita scompensi all’interscambio 379


Appendici tra usa e Far East. Ma la stretta sui tassi di interesse porta anche a un crollo dello sviluppo coreano, generando per questa via un ulteriore peggioramento della situazione debitoria del settore privato. […]”

* Siniscalco D., Banche G-7, rischi e costi dell'intesa per la Corea, «Il Sole 24 Ore», 30 dicembre 1997, p. 1/3

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*Per non appesantire la bibliografia abbiamo ritenuto utile rendere disponibile l’intera bibliografia degli articoli citati (928) in un file di foglio elettronico, inserito all’interno del CD allegato alla tesi.

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