PROCESS DESIGN DIALOGUE
Davide Maggio portfolio di laurea UniversitĂ IUAV di Venezia 2013/2014
Fotografia di Porto Marghera, Mestre, VE
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Davide Maggio curriculum vitae
nato a: Treviso 20/10/1990
davidemaggio@hotmail.it
twitter.com/davidemaggio3
nazionalitĂ : Italiana
+39 340 3259985
residente a: Covolo di Piave, TV via dei castellaz n. 9
facebook.com/davidemaggio
Esperienze lavorative
Studio Tecnico Adriano Berton
WS Arch. Hoemann & Verdugo
WS Arch. Sandra Giraudi
10-06-2008 / 03-09-2013 Collaborazione in mansioni di base, attivitĂ di progettazione e disegnatore tecnico
01-07-2012 / 21-07-2012 Workshop di progettazione intensiva
01-07-2013 / 21-07-2013 Workshop di progettazione intensiva
MZC+ Architects
WS Arch. Donatella Fioretti
WS LAN (Local Architecture Network)
03-09-2013 (in corso) Collaborazione in mansioni di base, attivitĂ di progettazione e disegnatore tecnico
14-02-2014 / 21-02-2014 Workshop di progettazione intensiva
01-072014 / 21-072014 Workshop di progettazione intensiva
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Lingua e istruzione
Lingua italiana e inglese
ITG Luigi Einaudi
IUAV Architettura Venezia
Madrelingua italiana Conoscenza dell’ inglese a livello scolastico
10-09-2004 / 10-06-2010 Ho frequentato l’istituto tecnico per geometri diplomandomi con 77/100
03-10-2011 / 28-07-2014 Ho frequentato l’università IUAV di Venezia laureandomi con 110/110 e lode
Software
Mac Os
Microsoft
Adobe InDesign
All Plan
Autocad
Archicad
Adobe Photoshop
Cinema 4d + Vray
Pacchetto Office
SketchUp 3d
SOME THINGS ABOUT ME . my life . accademic experience . some architects that inspired me
Quando ho cominciato a mettere insieme i vari frammenti che componevano la mia esperienza accademica, e tutto ciò che avevo fatto durante gli ultimi anni, ho pensato che avrei avuto bisogno di un sistema in grado di raccogliere le varie esperienze, capace di esporle nel modo più semplice e diretto possibile e che nello stesso tempo fosse in grado di rappresentare cosa per me avesse significato intraprendere questo percorso ora giunto al termine. Il mio interesse per l’architettura nacque quando mi iscrissi all’istituto tecnico per geometri, che grazie al tipo di insegnamento diretto e pratico, e all’ immissione quasi istantanea al mondo del lavoro, mi permise al terzo anno di fare la mia prima esperienza presso uno studio tecnico in cui ebbi modo di avere un confronto diretto con la materia. Grazie a questa esperienza, conclusasi poco tempo fa, cominciai a conoscere i nomi dei grandi architetti e delle loro opere. Tutto si fece più chiaro quando tre anni fa mi iscrissi all’università, che mi diede la possibilità di approcciarmi alla materia, fornendomi così gli strumenti necessari a sviluppare una prima e timida idea di ciò che per me è l’architettura. Penso che alla parola architettura non corrisponda un unico significato. Ogni volta che provo ad esprimere cosa sia essa per me credo sempre di non aver detto abbastanza o di essermi dimenticato di qualcosa. Forse è semplicemente qualcosa in eterno cambiamento frutto dell’esperienza dell’uomo, ancorata al tempo che passa e destinata ad un continuo evolversi fino al raggiungimento della forma perfetta, qualcosa di irraggiungibile e da sempre desiderata Process: studying for the beginning
Nel mettere insieme i frammenti ho pensato di suddividere la mia esperienza in tre parti. La prima chiamata “process: studying for the beginning”. Con questo titolo intendo indicare tutto ciò che ha generato in me curiosità e interesse nei confronti della materia, ciò che soprattutto mi ha dato le basi per capire come cominciare ad approcciarmi all’attività progettuale aumentando le mie conoscenze e con cui sono riuscito a colmare il passaggio dall’idea alla sua concretizzazione, la prima linea su un foglio bianco. “Sogno spazi pieni di meraviglia. Spazi che si innalzano e si sviluppano in maniera fluida, senza inizio ne fine, fatti di un materiale privo di giunti, di colore bianco e oro. Quando traccio la prima linea sulla carta per catturare il sogno, il sogno perde qualcosa (…) La prima linea sulla carta è gia una misura di ciò che non può essere espresso appieno; è già una perdita.”
Design: architectural project, concept and building
La seconda parte del mio percorso prende il nome di “design: architectural project, concept and building”. Come dicevo in precedenza l’architettura per me è qualcosa in continuo cambiamento, legata al tempo che passa. Allo stesso tempo penso che essa sia legata allo spazio, al luogo che le dona distanza, forma e dimensione che sono elementi fondamentali del significato stesso dell’architettura. E’ curioso imparare a giocare con questi termini, scoprire che al variare di uno il risultato finale può essere completamente diverso, capire come un oggetto se posto in un determinato punto dello spazio assume una funzione precisa che determina necessariamente una forma e una dimensione che ci consentono di capire la distanza tra esso e l’uomo.
Dialogue with an architect: professional practices and personal works
L’ultima parte della mia esperienza si chiama “Dialogue with an architect: professional practices and personal works” in cui cerco di riassumere con alcune immagini la mia esperienza al di fuori dell’università, un difficile contatto con il mondo del lavoro in cui le idee si scontrano con altre contingenze.
PROCESS: STUDYING FOR THE BEGGINING . Filippo Juvarra: Chiesa del Carmine . Carlo Scarpa, Tomba Brion . Pietro Porcinai, il paesaggio del XX secolo . Zaha Hadid, Ordrupgaard museum, il processo evolutivo di un’opera
L’inizio di un progetto è l’inizio di una nuova esperienza, quando mi viene assegnata la commissione cerco sempre di scavare nella storia alla ricerca di atteggiamenti che mi aprono suggestioni nuove e mi indirizzano ad un corretto e coerente modo di operare. Quando studio le opere dei grandi architetti cerco di cogliere le regole fondamentali, i dettagli che mi colpiscono, i colori che risaltano, i giochi di ombre e luci sotto il sole, la relazione con ciò che è vicino e i rapporti dello spazio con l’uomo. Con l’aiuto di veloci disegni su carta leggera ricalco le linee dei progetti e cerco di scoprire con un procedimento a ritroso le radici geometriche che comandano le varie forme, imparando soprattutto nell’incredibile vastità dell’opera di Alvaro Siza, che la semplice linea su un foglio bianco non è frutto di un singolo gesto ma di un ragionato pensiero progettuale. Analizzare le opere dei grandi architetti mi ha consentito di capire come le stesse siano direttamente collegate alla vita dell’uomo, al momento storico; nello stesso modo in cui l’arte esprime in pittura, scultura e musica le esperienze e le sensazioni dell’uomo l’architettura è in grado di fare lo stesso sfruttando i vari strumenti di cui è composta.
“non la mole di una fabbrica, non la ricchezza e la qualità dei materiali, nè la molteplicità delle linee, nè lo sfoggio delle rifiniture conferiscono grazia, bellezza e grandezza ad un edificio; ma il giusto rapporto delle parti l’una con l’altra e con il tutto, vuoi in modo affatto semplice, vuoi arricchito di alcuni ornamenti convenientemente disposti.”
James Gibbs- Book of architecture
FILIPPO JUVARRA
1678-1736 Analisi della chiesa del Carmine Docente Giovanna Curcio
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Filippo Juvarra è una delle figure simbolo della cultura architettonica europea, il crescente interesse per l’opera borrominiana coltivato negl’anni 1706-1713 presso l’ Accademia di San Luca a Roma, costituisce uno stimolo ad una produzione architettonica che nel giro di circa vent’anni (1725-1750) annovera un elevato numero di realizzazioni tutte di eccezionale bellezza. Sono questi gli anni in cui Juvarra svolge ai massimi livelli la propria attività professionale. Quando il giovane sacerdote messinese incontra il sovrano Sabaudo, giunto in Sicilia per prendere ufficialmente possesso dell’isola concessagli dal Trattato di Utrecht, è già un architetto formato. A Vittorio Amedeo va pertanto riconosciuto il merito e la perspicacia di avere intuito le potenziali risorse rappresentate dal giovane Juvarra. Per vent’anni, dal 1714 al 1735, Juvarra è il regista unico del rinnovamento architettonico e urbanistico di Torino.Juvarra fisserà i capisaldi di un programma edilizio che condizionerà in maniera indelebile lo sviluppo di Torino sino all’ Ottocento inoltrato. Juvarra è conscio del periodo storico che sta vivendo, in quest’ epoca si sta sviluppando l’ultimo tentativo di coordinare e organizzare gli elementi architettonici classicisti codificati nel ‘500. Quando si sofferma a rilevare la pianta e la sezione della chiesa brunelleschiana di Santo Spirito, mette in luce la limpidezza della struttura, la sua osservazione non cade casualmente su Santo Spirito; non è un semplice rifarsi ad una considerazione consolidata, quanto voler indicare che la chiesa rappresenta un momento di ricerca, di mediazione tra lo schema planimetrico latino e quello a croce greca. E’ evidente inoltre che dal rinascimento palladiano e michelangiolesco Juvarra trae spunto per attualizzare quei tentativi di unificazione verticale ottenuta non solo con l’uso dell’ordine gigante ma con l’integrazione caleidoscopica di volumi composti. Dopo il 1725 circa, Juvarra mette in evidenza la tendenza ad unificare le masse strutturali mediante un processo di assimilazione dell’intelaiatura portante all’interno dell’involucro murario, processo che però non conduce alla dissimulazione dello scheletro statico all’interno della della massa muraria: è quest’ultima invece che condensandosi in precise aree da origine a membrane parietali che paiono elastiche in quanto dilatate e traforate da ampie aperture. Il muro perde la sua qualità di elemento contenitore e l’edificio assume una configurazione scheletrica. Juvarra coglie la “conflittualità” nelle opere di Borromini e va alla ricerca di una unitarietà della forma architettonica intesa come momento di relazione tra spazio interno e spazio esterno. Se gli architetti del Seicento, per attenuare le tensioni che sorgono tra le opposte relazioni esistenti tra elementi portanti (verticali) ed elementi passivi (orizzontali), adottano un amplissimo repertorio di volute, curve e forme arricciate, Juvarra tende ad uno sforzo, evidenti in Stupinigi e nel Carmine, di unificare le parti componenti il sistema globale dell’edificio. Ciò avviene sia attraverso la scelta di piante dalle figure composite, sia mediante la modellazione plastica delle pareti. Dopo il 1725, la ricerca juvarriana si direziona verso le possibilità espressive insite nelle strutture murarie a telaio portante, appare evidente una maggiore progressione verticale dei volumi per ottenere, nella ricerca della bramata luce, una completa corrispondenza tra tonalità e dettagli, forma e spazio contenuto. Un aspetto sicuramente importante per la formazione artistica di Juvarra è costituito dal profondo rapporto esistente tra l’attività architettonica e l’interesse archeologico; sulla scia di Fontana, coglie del monumento del passato i rapporti più intimi tra architettura e archeologia. Con Juvarra diventa emblematico quel processo di trasposizione di forme, dettagli, tipologie, valori urbani e paesaggistici, dal monumento antico verso l’architettura che all’ora si andava concretizzando.
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Raggiunge la sua genialissima posizione di sintesi berniniana e borrominiana attingendo in maniera profonda nella cultura cinquecentesca, e Vignola diviene il termine di confronto più diretto e frequente; le sue “regole” costituiscono per Juvarra la fondazione base da cui si innalza tutto il telaio della cultura architettonica e dell’immagine professionale appreso nello studio di Fontana. Se da Borromini il messinese trae spunti per lo svilluppo di impianti centrici con prevalente accentuazione delle linee diagonali , intuizioni nella disposizione dei partiti architettonici su cui gravano i pesi strutturali, alcuni dettagli decorativi, l’uso frequente di ambienti poligonali diedri concavi, certamente da Bernini desume la predilizione per l’ordine gigante, in termini che derivano da Michelangelo, ma soprattutto riprende e svolge il tema della luce. L’ impianto della chiesa lascia libero distendersi ad un organismo longitudinale a nave unica, conclusa da una profonda abside circolare, e fiancheggiata da due file di tre simmetriche cappelle intercomunicanti, separate da pilastri binati. Il progetto di riferimento è quello di San Filippo Neri. I disegni rendono palese la volontà di dare forma compiuta ad una continuità spaziale diffusa in ogni parte della struttura, continuità ricercata anche mediante l’adozione di una fluidità architettonica e decorativa giocata soprattutto sull’uso degli spazi a diedri concavi. Come in San F ilippo gli spazi delle cappelle laterali si compenetrano con lo spazio della navata centrale; la trabeazione principale si inflette all’interno di ciascuna cappella seguendone l’andamento semicircolare, e segnando l’imposta della camera superiore. La mancanza di qualunque diaframma murario interposto tra la fonte luminosa, aperta nel muro di fondo delle cappelle e la navata, consente alla luce di irrompere nella chiesa avvolgendo l’involucro strutturale, che è limitato ai sostegni verticali. Essendo il fianco destro dell’edificio addossato alla manica del convento, Juvarra deve ottenere il massimo della luminosità dilatando il più possibile le superfici finestrate ricavate sull’unico lato disponibile. Egli prevede quindi due ordini di aperture: quello principale, con le finestre centinate nel livello superiore; il secondo livello inferiore è invece rappresentato dalle lunette che sormontato gli altari laterali; infine dispone una terza serie di finestre, costituite da oculi ellittici posizionati in corrispondenza delle campatelle minori. Eliminando i diaframmi murari intermedi, lo spiccato verticalismo della struttura sollecita l’architetto ad adottare un espediente costruttivo per migliorare il sistema statico: nasce così l’idea vincente degli archi liberi di collegamento tra i pilastri che separano le cappelle della navata (questa soluzione è ricondotta ad influenza dell’architettura Araba in terra Iberica-moschea di Cordova). La facciata presenta un risalto centrale, suddiviso in due ordini di lesene sovrapposte, l’inferiore corinzio e il superiore composito, altre lesene di ribattuta collegano l’avancorpo centrale con le due laterali più basse. Il campanile la cui stupefacente torre laterizia dal movimento concavo-convesso, prendendo le mosse da un basamento parallelepipedo, dissimulato nelle compagine architettonica della fabbrica risulta una componente formale ricca di un dinamismo architettonico certo estraneo alla rimanente parte dell’edificio. L’obiettivo principale ricercato da Juvarra è la captazione della maggior quantità di luce. Per far ciò egli dilata plasticamente l’involucro murario sino a lacerare volte e pareti per inserire ampie finestre. Ispirandosi probabilmente all’architettura gotica, egli applica con audacia strutturale un sistema costruttivo di concentrazione delle spinte statiche sui fulcri portanti isolati. I contrafforti gotici esterni sono qui ripiegati all’interno dell’edificio, dove divengono altri pilastri di ribattuta, innalzati a raccogliere le nervature di irrigidimento delle volte.
Fotografia di Tomba Brion, Cimitero di San Vito d’Altivole, TV
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CARLO SCARPA, COMPLESSO MONUMENTALE BRION Docente Maria Bonaiti corso di storia contemporanea
In the work of Carlo Scarpa Beauty the first sense Art the first word Then Wonder Then the inner realization of Form the sense of the wholeness of inseparable elements. Design consults Nature to give presence to the elements. A work of art makes manifest the wholeness of Form the symphony of the selected shapes of the elements. In the elements the joint inspires ornament, its celebration. The detail is the adoration of Nature. Louis I. Kahn
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The Joint... La quantità di percezioni che si sprigionano vivendo lo spazio all’interno del complesso monumentale Brion sono innumerevoli. Il caleidoscopio di sensazioni è parallelo a quello dei dettagli e della complessità intrinseca e non, dello spazio. Camminare all’interno, ascoltare e lasciarsi ascoltare, immergersi e cogliere i rumori e le vibrazioni del luogo. Al suo interno viviamo un percorso: “faccia quello che vuole fare, e dice l’architetto finalmente ho trovato una che mi ha dato carta bianca” è la possibilità dell’architetto di esprimere la sintesi del suo percorso: integrare le proprie percezioni, ritornare sui propri passi, ricoprire metri e metri di carta nel tentativo di esprimere la propria vita e instancabilmente ricominciare da capo cercando di raggiungere sempre e costantemente il più grande obiettivo, l’espressione pura della più intima esperienza. Il progetto così è esso stesso vita e raggiunge il suo compimento esattamente da dove è cominciato, vivendo per tutta la sua durata un’ implacabile metamorfosi. Il vero motivo per cui ritengo che Carlo Scarpa abbia dimostrato in quest’opera essere un grande maestro dell’architettura è l’incredibile capacità di trasmettermi mentre ora cammino tutto questo: un una cosa inspiegabile... nascita della vita... il cammino della vita... la morte... la resurrezione... il prato verde...
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La prospettiva è finalmente libera da qualsiasi dogma che la lega da una unilateralità, è flessibile gli scroci che scandiscono e indirizzano lo sguardo sono punti di partenza e nuove porte per immergersi nello spazio: solo in questo modo lo spazio diventa veramente naturale, quando mi viene consentito di seguire un sentiero diverso dalla strada battuta. E solo ora dopo uno stretto corridoio e seduto all’ombra del magnifico padiglioncino in legno riesco a comprendere l’eredità di tutto questo. L’uomo di fronte all’essenza deve farsi silenzioso. In questo contesto si riesce ad avvertire il sottile dialogo tra elemento ed elemento: il loro instancabile rapporto, l’unione che sprigiona l’ornamento e la sua celebrazione. È la nascita del dettaglio, la potenza della sapiente relazione fra i singoli elementi frutto del sapere artigiano, sprigionano la più alta espressione artistica. Non si tratta della volontà di forma dell’artista ma della manifestazione dell’arte stessa che nasce proprio qui, nel punto di incontro tra i singoli elementi. Mi immagino di vederle, le mani dell’artigiano: ruvide, solcate dal tempo e dall’esperienza. Le uniche, le sue, capaci di parlare tacitamente con la materia ascoltandola, restituendole la sua più intima bellezza. E’ l’arte del congiungere, ciò che Carlo Scarpa ha conservato nei suoi viaggi in Giappone e che ha appreso da giovane nelle fucine di Venezia: mondi così diversi ma che si trovano incredibilmente a parlare la stessa lingua.
… inspires ornament its celebration.
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The detail is… Nel guardare i dettagli di queste pareti, nell’osservare come l’ombra si modella e come la luce si piega dietro i dentelli di cemento mi accorgo della perfezione di queste forme: la loro funzione è quella di avere il massimo dialogo possibile con la natura, il cielo e la terra. Se dettaglio è la ricongiunzione di elementi per mano dell’artigiano, la sua celebrazione è il ritrovato contatto di questi in un’intima relazione con la natura. Ritornano alla mente i templi giapponesi, la loro sobria raffinatezza, la loro capacità di fare di cucitura virtù. Come possono una tale complessità di ingranaggi convivere armoniosamente nella natura? Come può il cigolio della porta essere così naturale? In che modo il dettaglio riesce ad abbracciare lo spazio? Ancora, come possono questi piccoli frammenti trasmettermi una così forte carica poetica? ‘’non bisogna pensare e dire: farò un’architettura poetica, la poesia nasce da una cosa in sé, (…) l’architettura è un linguaggio molto difficile da cogliere e da capire, (…) l’architettura è un linguaggio misterioso. Il valore di un’opera consiste nella sua massima espressione- quando una cosa è espressa bene, il suo valore diviene molto alto. ’’ Analizzando il modo in cui Carlo Scarpa ci fa percepire l’energia del luogo, riusciamo a comprendere il dialogo con la natura stessa.
DESIGN: ARCHITECTURAL PROJECT, CONCEPT AND BUILDING . Progetti per Santa Marta, Venezia . Architettura e paesaggio . CSMH: cappella della famiglia Barbon . PVC: polil vinil community . Murano urban park, Murano sacca San Mattia . Transitorietà e perennità, Porto Marghera e Venezia . Vestiges of the future Porto Marghera e Venezia
Distanze, forma e dimensione sono secondo me elementi fondamentali del significato dell’architettura. E’ curioso imparare a giocare con questi termini, scoprire che al variare di uno il risultato architettonico può essere completamente diverso, capire come un oggetto se posto in un determinato punto dello spazio assume una funzione precisa che determina necessariamente una forma e una dimensione, che ci consentiranno di capire la distanza tra esso e l’uomo. Penso per esempio alla diversità d’uso che si può fare dei semplici oggetti che fanno parte della nostra giornata: un tavolo se posto al centro della stanza all’ora di pranzo, in una casa di cinque persone, assume una forma, una dimensione e una funzione precisa; ma se prendiamo lo stesso tavolo e lo trasportiamo in un altro spazio ad una diversa ora del giorno probabilmente cambierà di dimensione, funzione e forma, che si dovranno necessariamente relazionare con l’uso che l’uomo farà di tale oggetto. Secondo me quindi lo spazio e la funzione, sono gli elementi portanti che mi consentono di avviare il processo progettuale attraverso il quale l’architettura prenderà forma distanza e dimensione, ed ecco perchè nei progetti cer-
co sempre un collegamento diretto e un contatto molto forte con il luogo e quindi con lo spazio che accoglierà il progetto stesso, mantenendo fissa e indelebile la funzione per cui quest’oggetto a senso di esistere. Analizzando il progetto del secondo anno a Monteriggioni lo studio che abbiamo portato avanti ha scavato profondamente le tematiche dello spazio e della funzione, analizzando gli usi tipici della zona, i materiali e il modo in cui gli stessi venivano costruiti, la topografia del terreno e l’imponenza storica che il vecchio borgo aveva nel paesaggio circostante. A seguito delle varie considerazioni fatte dall’analisi abbiamo tradotto in forma e dimensione ciò che il territorio e le persone ci stavano dicendo, cercando di lasciare nel modo più responsabile possibile una traccia del nostro passaggio.
“ Quando inizio un progetto cerco i punti di appoggio anche dove questi sono più deboli e più fragili [...] il progetto deve precisare il rapporto tra ciò che si mantiene e il nuovo; questi due elementi devono costruire un dialogo, ma questo dialogo deve mantenere un distacco. La parte nuova ha nuove geometrie e motivazioni diverse, è all’interno di queste che il progetto deve costruire dei rapporti organici con la parte vecchia” ALVARO SIZA
PROGETTI PER SANTA MARTA Urban Regeneration Fondamenta Santa Marta, Venezia Docenti, Arch. Carlo Magnani Arch. Valeria Tatano Arch. Paolo Merlini Arch. Stefano Gasparini Arch. Fiorenzo Bertan
Centro cultural de la Manzana del Revellin, Alvaro Siza
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La prima operazione è stata di descrizione e di analisi al fine di mettere in luce i caratteri costitutivi del luogo, prende il nome di Strategia della collocazione. Essa è la prima trasformazione dell’area e consente, attraverso il radicarsi al suolo, di dare forma allo spazio attraverso il sistema dei pieni e dei vuoti. I pieni e i vuoti diventano elementi della strategia, stabilendo precise relazioni con gli elementi pre-esistenti, stabilendo rapporti morfologici. Attraverso poi la Strategia delle relazioni, il progetto racconta il confronto tra sé e ciò che è al di fuori da sé, accettare la forma di un dialogo, evocare anche l’intervallo tra le cose come appartenente al progetto. Nelle relazioni esterne ciò comporta una riflessione sull’impaginato dei prospetti e ancor prima sulla conformazione dei volumi, ponendo l’accento sulla possibilità di creare un racconto intelligibile. Il programma prevede la realizzazione di una scuola materna e di un asilo nido, atti ad ospitare rispettivamente 60 e 20 bambini; inoltre si prevede la realizzazione di un’attività commerciale, due appartamenti, un’ auditorium e delle aule studio volte ad implementare il servizio offerto dall’università per i suoi studenti ma anche i cittadini. Il progetto nella sua configurazione definitiva si compone di tre volumi principali: il primo, collocato all’incrocio tra la calle nuova Teresa e la Fondamenta di Santa Marta, si pone nello stesso momento come elemento di chiusura di un sistema di edifici che con questo ultimo tassello danno forma al nuovo campo dietro il Convento delle Terese, e come elemento di gestione dei flussi provenienti dalle tre calli che all’ombra del grande platano si incrociano. Al suo interno il primo edificio ospita un’attività commerciale al piano terra e due appartamenti ai piani superiori. Il secondo edificio nasce dalla volontà di chiudere il sistema longitudinale creato dal volume del cotonificio e di dare vita ad un nuovo sistema di vuoti che permettono lo svolgimento di pratiche oltre che garantire un sistema di percorsi e di accessi regolati che si legano al contesto urbano. Il volume è composto da due piani indipendenti, al piano terra la scuola materna con un’ ampia corte ad uso esclusivo e collegamento diretto con gli spazi delle aule, al piano primo ci sono le aule studio per l’università oltre che un bar ad uso del terzo edificio. L’ultimo elemento di progetto è costituito dall’ auditorium e dall’asilo nido, l’accesso alla grande sala di 120 posti avviene da un piccolo campo ricavato tra gli edifici di progetto, una scala che porta al primo piano verso l’ingresso consente l’uso da parte dei cittadini e un’accesso diretto dal giardino dell’università consente l’utilizzo anche agli studenti, sfumando così senza negarlo un collegamento tra l’ambito scolastico e il tessuto urbano. Al di sotto dell’auditorium è inserito l’asilo nido che affaccia su un nuovo campiello ombreggiato dal grande sbalzo ricavato grazie all’inclinazione del solaio della grande sala.
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Edifico polifunzionale: scuola, auditorium residenze a.a. 2013/2014 Edifici residenziali a.a. 2013/2014 Edificio residenziale / commerciale a.a. 2010/2011
Pianta dell’ attacco a terra Edifico polifunzionale: scuola, auditorium residenze a.a. 2013/2014
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Pianta del piano primo Edifico polifunzionale: scuola, auditorium residenze a.a. 2013/2014
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Fotosimulazione Edifico polifunzionale: scuola, auditorium residenze a.a. 2013/2014
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Pianta dell’attacco a terra
Pianta del piano primo
Piante Edifici residenziali a.a. 2013/2014
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Santa Marta, Venezia. Foto del luogo
Santa Marta, Venezia. Foto del luogo
Fotosimulazione Edifici residenziali a.a. 2013/2014
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Prospetti e dettagli Edifici residenziali a.a. 2013/2014
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Dettaglio della copertura
Dettaglio dell’infisso scrorrevole
Fotosimulazione interna Edifici residenziali a.a. 2013/2014
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Il progetto è stato sviluppato in un’area adiacente alla sede della Facoltà di Architettura. L’area è posta all’estremo ovest della Fondamenta de l’Arzere, ha una forma a trapezio irregolare ed una superficie di circa 210 mq, si affaccia per due lati sul rio che prende lo stesso nome della fondamenta e sul rio di S. Marta, un lato affaccia sulla predetta fondamenta ed il quarto lato risulta in aderenza a edifici esistenti dei quali si prevede la conservazione. Sull’area esiste un manufatto adibito a ricovero e riparazione di piccole imbarcazioni con annesso magazzino (quest’ultimo escluso dal perimetro di progetto). Il muro di cinta ed il fabbricato esistenti all’interno del perimetro di intervento sono di recente costruzione per tanto se ne è prevista la demolizione. Il progetto ha visto la realizzazione di un’attività commerciale al piano terra con annessa l’unità residenziale per il commerciante e due unità residenziali su due livelli ai piani superiori.
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Vivere è passare da uno spazio all’ altro cercando il più possibile di non farsi troppo male. GEORGES PEREC
ARCHITETTURA E PAESAGGIO Monteriggioni, Siena, IT Docenti, Arch. Benno Albrecht Arch. Emilio Meroi
A guardare dall’alto lo spazio attorno alla città medievale, la campagna appare disegnata da un intreccio di linee bianche, strade strette e sterrate, quasi tutte portano dalla città verso i campi circostanti, perdendosi in tortuosi tracciati. Una di queste è proprio la strada di accesso principale a Monteriggioni. La strategia di costruire al di fuori delle mura, per preservare la densità e la conformazione del millenario centro storico, ha portato uno studio dell’area che circonda la città, rimasta incontaminata dagli sviluppi suburbani che hanno assalito moltissimi piccoli centri italiani. Le stradine e le loro imprevedibili forme sono elementi spaziali per noi di notevole interesse, punto di partenza dell’idea progettuale. La strategia di progetto è quella di insediarsi tramite un percorso, una linea, un viaggio d’accesso a Monteriggioni durante il quale un singolo elemento architettonico segue le curve del territorio, trasformandosi da guida del percorso ad elementi di vista, fino a diventare edifici (residenziali e commerciali) per poi scomparire di nuovo non appena il viaggio termina ai piedi delle mura. L’obiettivo del progetto è di sviluppare un percorso continuo che si integri organicamenti il paesaggio circostante composto da strade bianche campi e un sinuoso movimento del terreno. Materiali, forme e continuità delineano diverse percezioni spaziali, ad ogni passo e in questo modo descrivono sequenze di sensazioni e viste unite da un continuo discorso: uno spazio descritto da un semplice muro che con le sue salite e discese disegna molto di più di una semplice strada.
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paesaggio, Monteriggioni, foto del luogo
materiale, Monteriggioni, foto del luogo
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CSMH: cappella della famiglia Barbon Cimitero di San Michele, Venezia, IT Docente Arch. Lucchese Vincenzo
RIlievo Architettonico
La cappela funeraria della Famiglia Barbon si colloca nel cimitero monumentale di San Michele, nell’omonima isola della laguna Veneta, posta tra Venezia e Murano. Secondo la legge napoleonica del 1802, per motivi igienici i cimiteri delle città furono riuniti al di fuori delle mura. La cappella in esame si presenta come un tipico esempio di revival del manierismo veneto. I caratteri tipici del classicismo vengono ripresi e reinterpretati con eclettismo, distaccandosi dalle rigide regole canoniche che stabilivano rapporti tra gli elementi: si abbandona la rigidezza e l’armonia del classico, negando per esempio la coerenza tra struttura interna e facciata. Come accadde per molte correnti architettoniche, il manierismo in Italia è stato riportato in auge nei secoli successivi per rimarcare le radici storico-artistiche delle città, e principalmente per il proprio colto eclettismo, fu per molto tempo lo stile consuetudinariamente utilizzato dalle famiglie abbienti per sottolineare la propria cultura e raffinatezza, nonché la propria autorità. Non a caso lo ritroviamo spesso nell’architettura monumentale cimiteriale, sebbene Venezia abbia conosciuto in quell’epoca la sua stagione neogotica.
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Un elemento architettonico essenziale nella cappella, è sicuramente la serliana nella sua accezione manieristica-rinascimentale. Più che come struttura, nella cappella ritorna come ritmo, elemento che scandisce le pareti in spazi separati da lesene, legati tra di loro da proporzioni. La soluzione, adottata nella prima metà del sec. XVI di girare direttamente l’arco sullo spazio maggiore, lasciando architravato quello minore tra i sostegni binati, diede luogo alla serliana, caratteristica del genio rinascimentale, specialmente per l’impiego in sequenza, a scandire un ritmo di spazi. La varietà sansoviniana e la palladiana, restarono fondamentali, e ad esse possono riferirsi tutte le successive serliane. Considerate in serie, queste formarono portici e logge, come nella Basilica del Palladio o nella Biblioteca Marciana del Sansovino.
proporzioni dei prospetti
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FA M I G L I A
BAR BON
Murano urban park Murano sacca San Mattia Arch. Hoemann & Verdugo
Workshop di progettazione 1
Oggetto del corso è stata la creazione di un parco urbano nella zona nord dell’isola di Murano a Sacca San Mattia. Si tratta di un’area di 31 ettari che attualmente non ha un uso specifico ed è utilizzata come discarica di materiali edilizi o di scarti della lavorazione del vetro. Il progetto di un parco urbano in un contesto così caratteristico prende in considerazione la scala della Laguna, intesa come sistema urbano. Si tratta di recuperare un paesaggio capace di combinare interessi globali e necessità locali in una nuova ambientazione, lontana dall’immagine di Venezia come luogo di turismo di massa. Si è dovuto lavorare tenendo presente la difficoltà di progettare su un’area così estesa, apparentemente senza elementi caratterizzanti ma con potenzialità varie e differenziate. L’obiettivo del workshop è stato quello di porsi più domande possibili, così da poter elaborare risposte progettuali libere da schemi predefiniti .
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La metodologia di intervento ha previsto un masterplan inteso come strategia per delineare le azioni di programmazione finalizzate all’ottenimento di un risultato. Per le sue caratteristiche intrinseche di dimensioni e di posizione, Sacca San Mattia si presenta come una zona ad altissimo potenziale progettuale. Per dare importanza ad ogni progetto, si è procededuto identificando il masterplan con un motto o slogan. Ogni slogan è andato a costituire un elemento base e un oggetto architettonico, generatore importante per l’intero complesso. In un secondo momento gli slogan sono confliti in un unico programma di intervento basato sulla parola CONTTRASTO: contarasto tra la lo spazio percepito nell’isola, angusto, compresso “verticale”, e quello della sacca, dilatato, sconfinato, “orizzontale”.
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Murano urban park Terminal Marittimo
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il progetto del terminal nasce dalla necessità di un accesso dalla laguna al parco produttivo culturale, è situato in un punto strategicamente importante dove si incrociano le rotte nautiche che collegano l’aereoporto con la città di Venezia. Il progetto è pensato come una grande piazza coperta, un punto di arrivo e un punto di partenza. L’operazione di alzare rialzare il volume funzionale garantisce la percezione continuaPRODUCED della linea dell’orizzonte, caratteristica principale del paesaggio della sacca. Al suo interno l’edificio ospita una serie di funzioni relazionate con il parco e con la stessa Murano. L’idea principale del progetto è quello di continuare il nuovo parco urbano fino alla laguna e creando un nuovo grande spazio pubblico lungo la riva che può essere utilizzato in attività comuni di tutti i giorni, per l’attività del terminal marittimo, ma anche per i vari eventi e nuovi festival legati alla laguna. Per tale motivo il piano terra è unicamente costituito da tre pilastri serventi che liberano lo spazio, disponendo le altre funzioni ai piani superiori. In questa visione lil Terminal San Mattia sarà coinvolto in un sistema architettonico che lavora come facciata del nuovo programma di dell’intero parco urbano.
pianta piano terra
pianta piano primo
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pianta piano secondo
pianta piano copertura
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Transitorietà e perennità Porto Marghera, Venezia Arch. Sandra Giraudi Workshop di progettazione 2
Venezia è una città solcata dai viaggiatori, in passato mercanti, nel presente turisti, cacciatori di cultura ed eventi. Appartiene alle città eterne diventate di transito, stabili quanto precarie, indipendenti e con vita propria, ogni giorno sempre più fragile. Porto Marghera è legato ai luoghi marginali della candida Venezia dove anche le periferie sono marcate dal distacco, interposte ad un vuoto d’acqua, ad un paesaggio che reclama sempre dei limiti. Prevalentemente edificato in periodo bellico, Porto Marghera alterna stati d’attività a stati d’abbandono generando situazioni di grande potenziale. Le architetture di passaggio, tema del corso, sono rifugi per viandanti “obbligati” ad un nomadismo provvisorio. Sono architetture per una nuova realtà di persone itineranti alla ricerca di una vita migliore. Sono in fuga per ragioni di natura razziale o religiosa, a volte da un paese dove la povertà tronca ogni speranza: sono gli emigranti. Gli spazi a loro destinati rasentano gli estremi, sono luoghi chiusi e simili a prigioni di transito. In contrapposizione, l’integrazione reclama contatti e relazioni con la popolazione, momenti dove ognuno dimentica la propria origine. La priorità del corso si focalizza sulle aperture promotrici di dialoghi, sulle rotture nei muri di recinzione, sui momenti atti a promuovere l’autonomia e la qualità di vita dell’emigrante incarcerato, ad individuare possibili relazioni. I contenuti d’eccezione da approfondire, oltre al centro d’accoglienza, sono: ateliers artigianali, spazi di ristoro ed incontro, un mercato quale primario luogo pubblico in molte culture. I sentimenti che accompagnano il lavoro verso la sintesi finale toccano la solitudine e la speranza. I pensieri che seguono ogni scelta devono prevenire l’esclusione sociale e rafforzare i contatti con la popolazione. Alla fine, “l’altra Venezia”, Porto Marghera, si tingerà di colori densi di potenziale per uno sviluppo contemporaneo della città dove realtà anche dure porteranno a recuperare qualitativamente contesti urbani in disuso, a ridargli un significato verso la candida Venezia. E’ il tema della continuità, di un passato sempre vicino a storie analoghe. E’ il tema dell’intermodalità, non solo legata ai trasporti ma anche alle culture.
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Il laboratorio ha innanzitutto inteso dar luogo ad uno studio di tipo analitico del porto. Per questo motivo il corso ha previsto una suddivisione dei gruppi in base alle isole costituenti il polo industriale della città di Marghera. Ciò ha portato a considerazioni inerenti gli spazi per l’immigrato: spazi necessari per il suo presente, aree per consolidare una qualità di vita futura nel rispetto della sua dignità in modo tale di arricchire Venezia di potenziali interscambi culturali. In parallelo si sono raccolte immagini, secondo precisi criteri unitari, per il raggiungimento d’una narrazione d’insieme atta ad individuare: punti strategici e potenziali per uno sviluppo urbano percezioni individuali da condividere
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Petrolium industry
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ReclaimedMud Island
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Fusina Industrial Edge
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Chemistry Peninsula
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Commercial Harbour
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First Industrial Settlement
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Industrial Edge on Via Fratelli Bandiera
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Il nostro intervento ha riguardato il porto commerciale, brandello di terra agganciato a marghera per mezzo del ponte strallato. La storia di questa zona è una storia controversa e difficile che vede come protagonista lo sviluppo economico di un nord est in mano a grandi inprenditori colpevoli di aver avvelenato un territorio. Marghera e porto Marghera costituiscono una zona industriale, parte integrante di un grande complesso produttivo-residenziale concepito cento anni fa con grandi ambizioni. Ma oggi di fronte a una crisi economica senza precedenti come può essere letta questa zona? Paesaggi ex industriali che vivono l’era post industriale come si comportano? Come si trasformano e come possono essere trasformati affinchè generino un nuovo sviluppo per l’intera area e benessere per chi vi lavora? L’ “ex-nuovo” quartiere di porto Marghera non può essere considerato come un’area dismessa in senso stretto, come un’area morta, poichè in essa convivono 4 tipi di situazioni radicalmente differenti: 1) la porzione industriale ancora produttiva 2) stabilimenti industriali semi-riconvertiti al commercio e allo stoccaggio merci 3) zone totalmente riconvrtite ad altre modalità d’uso : studi professionali , uffici, esperimenti di arte e design 4) una parte sostanziosa di ciò che viene definita la “derelict land” che per buona parte dell’opinione pubblica rappresenta in toto il profilo dell’ex distretto industriale. In che modo rispondere a questa situazione? I sindacati parlano di un’improbabile rilancio produttivo, gli architetti di una tabula rasa laddove concretizzare una grande occasione progettuale. Ciò che a noi pare necessario è la possibilità di riutilizzare una zona già in parte urbanizzata collegata capillarmente a ferrovie, autostrade, rotte marittime, sfruttando ciò che c’è rivalutandolo sia da un punto di vista economico che sociale, ossia fornendo le aree abbandonate e depresse di servizi utili e funzionali a chi in questa zona lavora, migliorando la condizione lavorativa e di vita: riqualifica di un luogo pianificando il suo sviluppo. Tutto questo vuole entrare a far parte di un progetto che includa l’immigrato. Non si tratterà di creare centri accoglienza o strutture di primo soccorso. L’intento che ci poniamo è quello di responsabilizzare chi arriva, dargli dignità e considerarlo come uomo e non come “migrates”. Per fare questo risulta quindi fondamentale intraprendere un processo di integrazione che parti dalla base. Proprio per questo motivo il nostro progetto prevede oltre che a centri culturali, scuole di alfabetizzazione e zone del welfare piccoli appezzamenti da affidare agli stessi immigrati. Questa è la nostra sfida: possedere qualcosa incentiva a tutelarla, proteggerla e curarla. Ogni appezzamento, Adibito a coltivazioni floristiche, avrà perciò questo obbiettivo.
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L’intento che ci poniamo è quello di responsabilizzare chi arriva, dargli dignità e considerarlo come uomo e non come “migrates”. Per fare questo risulta quindi fondamentale intraprendere un processo di integrazione che parti dalla base. Proprio per questo motivo il nostro progetto prevede oltre che a centri culturali, scuole di alfabetizzazione e zone del welfare piccoli appezzamenti da affidare agli stessi immigrati. Questa è la nostra sfida: possedere qualcosa incentiva a tutelarla, proteggerla e curarla. Ogni appezzamento, Adibito a coltivazioni floristiche, avrà perciò questo obbiettivo. Il programma perciò prevede: - Terminal marittimo - Phone Center/Internet point - Centro di accoglienza - Mercato fra terra e acqua - Spazi di ristoro e ricreativi - Atelier artigianali
Programma degli spazi: 1
Terminal marittimo Phone Center/Internet point
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Mercato e Serre per la coltivazione floristica
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Alloggi
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Mercato e Atelier artigianali
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Vestiges of the future
Workshop di progettazione 3
LAN (Local Architecture Network) was created by BenoÎt Jallon and Umberto Napolitano in 2002, with the idea of exploring architecture as an area of activity at the intersection of several disciplines. This attitude has developed into a methodology enabling LAN to explore new territories and forge a vision encompassing social, urban, functional and formal questions. LAN’s projects seek to find elegant, contemporary answers to creative and pragmatic concerns.
L’archeologia è uno studio scientifico delle culture e degli stili di vita del passato, attraverso un’attenta analisi dei materiali. La scienza associa storia dell’arte, antropologia, etnologia, paleontologia, geologia, ecologia, scienze fisiche, ecc L’archeologia si trova al crocevia tra tutte le discipline di cui sopra; essa deve comprendere le caratteristiche essenziali di ciascuna per interpretare i risultati forniti dagli oggetti. L’architetto, in questo esatto grado, scava negli strati del presente, al fine di scoprire le tracce di domande che generano il futuro. Si occupa visioni dal mondo futuro, secondo la sua sensibilità. La parola “progetto”, etimologicamente significa “tirare qualcosa in avanti” e comprende per intero l’ambizione di questa professione. La chiave del successo di un progetto risiede nella visione, o più precisamente, nelle “fondamenta delle domande che generano questa visione”. Puro simbolo di modernità, il primo insediamento industriale di Marghera diventa l’elemento primario di una nuova struttura urbana. Attraverso lo studio di queste tracce di modernità industriale, l’obiettivo del workshop è quello di trovare un modo per introdurre in queste grandi elementi industriali, un nuovo concetto di scala umana. Quale potrebbe essere la prima azione a colonizzare il sito in modo da creare la città del futuro? Quale può essere il più piccolo intervento possibile per consentire una nuova rinascita urbana?
2014
1975
L’idea è quella di generare un possibile scenario di evoluzione della parte più antica di Marghera. Introducendo le nozioni di tempo, il workshop metterà in dubbio l’evoluzione di Venezia che ha portato a una separazione fisica e ideologica tra Marghera, Venezia e Mestre. Il workshop consisterà nel discutere e sviluppare le potenzialità di diversi livelli di densità, guidare gli studenti alla scelta della scala, del programma e del tempo per ogni singolo progetto.
2040
2020
Attraverso edifici, modelli evolutivi e una serie di collage gli studenti potranno rappresentare i diversi momenti di una rigenerazione urbana. Il corso prevedeva di sviluppare all’interno di ogni serbatoio esistente nell’area dei petroli, un progetto di edifici polifunzionali. L’area è interessata da 15 serbatoi tutt’ora funzionanti e di dimensioni variabili: sette hanno un diametro di 54 metri e gli altri otto di 72,4 metri.
1975, isola dei petroli
Collage fotografico dell’evoluzione dell’isola dei petroli e di Porto Marghera 2020, isola dei petroli
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2014, isola dei petroli
1975, Porto Marghera
1975
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2020, Porto Marghera
2020
2014, Porto Marghera
2014
2040, Porto Marghera
2040
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L’idea di progetto nasce da una suggestione: le relazioni fra gli spazi della città medievale e un sistema più regolare nato da una diversa razionalità. Gli elementi che caratterizzano lo spazio della città medievale sono, la compressione dello spazio di circolazione tra edifici e la complessa stratificazione formale i cui segni tangibili stanno nella complessità dell’articolazione volumetrica e degli spazi. L’ultimo elemento importante che abbiamo considerato è il vuoto della piazza centrale che si contrappone alla densità e alla compressione degli spazi a lei circostanti. Nel progetto abbiamo cercato di mantenere viva la memoria della forma dei serbatoi esistenti e lavoreremo cercando di stabilire delle relazioni coerenti con gli interventi nei serbatoi circostanti. Il progetto prevede la realizzazione di un complesso residenziale composto da: residenze per studenti con servizi attinenti collegati, residenze per anziani e famiglie, spazi comuni e commerciali. Al piano terra del progetto abbiamo cercato di mantenere una grande piazza di “isolato” e svuotando alcuni angoli del complesso abbiamo creato dei collegamenti con la piazza esterna prevista dal masterplan generale; inoltre abbiamo cercato di creare degli ambienti pubblici a doppia altezza per creare una collegamento, tramite passerelle poste a 5 metri di quota, con la circolazione principale del complesso. Per quanto riguarda il materiale abbiamo creato una relazione tra il luogo e le funzioni che il nostro complesso ospita, prevediamo quindi di utilizzare due materiali differenti: un materiale industriale per l’esterno che cerca quindi un collegamento con la serialità e la mateicità della zona e un materiale più caldo, familiare, per creare una relazione con le funzioni interne.
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DIALOGUE WITH AN ARCHITECT: PROFESSIONAL PRACTICES AND PERSONAL WORKS
10-06-2008 / 03-09-2013 Studio tecnico Adriano Berton 03-09-2013 in corso Studio MZC+ Architects
L’ultima parte della mia esperienza si chiama “Dialogue with an architect: professional practices and personal works” in cui cerco di riassumere con alcune immagini la mia esperienza al di fuori dell’università, un difficile contatto con il mondo del lavoro in cui le idee si scontrano con altre contingenze. Nel 2008 ebbi il primo contatto con la materia, collaborando con lo studio tecnico Adriano Berton, in cui imparai le mansioni di base e per la prima volta ebbi modo di visitare il luogo in cui l’architettura prende vita, il cantiere. Questa prima esperienza durò fino a poco tempo fa quando cominciai a lavorare in uno studio di architettura con un approccio al progetto molto diverso, molto più accademico, ma pur sempre professionale. Durante quest’ultimi anni ho avuto modo anche di avere qualche piccola commissione personale e una prima partecipazione ad un concorso internazionale di architettura.
Progetto di restauro e ampliamento di un edificio commerciale a Treviso, TV periodo di tirocinio presso lo studio MZC+, anno 2014
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Progetto di interni per un’ abitazione a Treviso, TV periodo di tirocinio presso lo studio MZC+, anno 2014
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Progetto di due unitĂ familiari a Montebelluna, TV anno 2013
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SFFDH: San Francisco fire department San Francisco, California Concorso internazionale di architettura
The aim of this masterplan is to give form to the American symbol of the fire fighter, who embodies bravery , fidelity, a spirit of sacrifice and a mission to protect the city of San Francisco. Our intent is to concretize the close relationship between fire fighters and citizens, between certain values and the American people who uphold them. It is this unique relationship is the driving force behind our project. The figure of the fire fighter, among the most important in American society, it is irreplaceable, so much so that they can be defined to all effects as superheroes that work and help the common people every day. The community feels protected and safe, almost as if it was embraced by these heroes. We believe that the concept of protecting and embracing society are both at the base of the emotions that the fire fighters can convey. The project highlights the every day activities of the fire station, allowing the community to observe and follow all its activities. Therefore, the main idea is to include and to exalt the image of the fire fighters through a circular walkway that winds around the station and that at the same time is detached from it, exalting the function of the inside of the building. People can observe their heroes at work, creating a very tight bond between the city, the citizens and the fire department. Spaces will be shared by everybody and will reflect the work of the fire fighters, heroes who live amongst the common people: as the fire fighters embrace their society, so the city will be able to embrace their work.
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Idea: make it possible for citizens to give and observe the function
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Context: the project linked to the roads of the city, meaning that the fire station inconveniently situated and easly accesible CREATO CON LA VERSIONE DIDATTICA DI UN PRODOTTO AUTODESK
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Functionality: as an architectural concept, able to connect multiple function inside
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Project: interconnected spaces shared by people in close contact with the reality of fire-fighters
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Embrace: symbolic gesture, driving force of the project
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