Ti ho cercata nel mio tempo

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TI HO CERCATA NEL MIO TEMPO

DAV I D E N E G R I


1 SPELLO

Che si trattasse di un vero malessere fisico o altro era difficile capirlo. I ritorni, il risveglio della memoria su certi momenti del suo passato, il ripercorrere strade e viottoli della sua infanzia, gli facevano sempre uno strano effetto, a metĂ tra il calmo piacere di un posto caldo e familiare finalmente 1


ritrovato e la leggera inquietudine data dalla consapevolezza di esser entrato nella fase discendente del proprio percorso di vita. L'unica discesa che costa più della salita. Alla soglia dei cinquant'anni anni sembrava che tutte le fatiche fin lì sostenute iniziassero a chiedergli conto. La notte il sonno tardava sempre ad arrivare ed era tutto un rimbalzare tra la camera da letto e il soggiorno, sempre con un tablet in mano, quasi fosse divenuto una protesi della stessa, cercando in tutti i modi di non svegliare Janet, che dormiva al suo fianco. Si stordiva con notizie di tutti i tipi, dalla politica alla scienza sino agli argomenti di gossip, entrando in un vortice ipnotico che di certo non lo aiutava a rasserenarsi, né ad agevolare il sonno. Alla fine, quasi sempre, stramazzava sfinito indipendentemente dal luogo ove fosse coricato e gli pareva che la sveglia avesse congiurato contro lui per suonare nell'esatto momento in cui prendeva sonno, con quel tempismo che solo quei maledetti attrezzi riescono ad avere. In realtà era passata qualche ora, mai sufficiente per consentirgli d'iniziare le mattinate con quel senso di appagamento e serenità che solo il vero sonno profondo ti può restituire. Ritrovarsi a Spello però era cosa diversa. La pensione dove alloggiava s'affacciava su uno dei viottoli del piccolo centro storico del paese umbro e aveva un che dell'aria della sua casa d'infanzia. Il letto era confortevole e s'avvertiva anche al piano superiore il gradevole aroma della legna che bruciava nel caminetto di sotto, nel soggiorno. 2


Nulla a che vedere con il caldo sintetico del suo appartamento al ventisettesimo piano del Condos “The Dawn” di Toronto, un modulo di novanta metri quadrati arredato in stile minimal con una parete intera a finestra che s’ affacciava sul lago Ontario. Lui lo chiamava “l’acquario”, vista la percezione che si aveva osservando dall'esterno il vorticare di centinaia di uomini dentro quei mastodontici silos di vetro. Era un collage di vite private in tempo reale modello “Truman Show”, dove solo ogni tanto le tende scorrevoli automatiche di qualche appartamento entravano in funzione a proteggere la privacy dei residenti cosa di cui, evidentemente, ai canadesi poco fregava. “Saremo anche cool ma sembriamo pesci rossi li dentro” si ripeteva. Percorrendo la strada principale si rese conto di alcune novità. A Spello la vita trasudava ancora di storia millenaria e persino cambiare il colore di una persiana ad una finestra era già un mezzo affare di stato. Più che il posto in sé era la gente ad essere, ovviamente, cambiata. Ai vecchi e caratteristici personaggi delle botteghe s'eran in gran parte sostituiti giovani, per la verità volenterosi, ma decisamente improvvisati; oltre a ciò i caratteristici negozietti d'abbigliamento e souvenir erano ormai finiti anche lì in mano ai cinesi, così come molti bar e la pizzeria d'angolo “Il Rifugio”, che era un simbolo storico del paese. Gianfredo, il proprietario, alla morte della moglie s'era fatto liquidare in contanti ed era sparito in mezzo a leggende che erano state per lungo tempo uno degli argomenti preferiti dei suoi compaesani. Col passar degli an3


ni la storia si colorava di dettagli inverosimili e particolari piccanti sulle sue passioni personali notturne. A Federico ciò interessava davvero poco, ma gli spiaceva un po' non veder più nessuno del suo passato . Quella prima mattina a Spello, dopo esser arrivato stravolto la sera precedente da Malpensa con l'auto a noleggio e un lungo volo da Toronto alle spalle aveva, come detto, un sapore strano. Più il tempo passava più il mantello della nostalgia cominciava ad avvolgerlo riportando in vita le sensazioni che provava da ragazzo, quando quel paese era tutto il suo universo. Decise perciò di concedersi un attimo per sé e si fermò al caffè della piazza per sorseggiar qualcosa di caldo. Nel bar sembrava che il tempo si fosse davvero fermato a trent'anni anni prima. Non c' era alcun segno di modernità, la tv nell'angolo appoggiata su un piedistallo in legno barcollante era ancora di quelle a tubo catodico. Aveva sicuramente avuto il suo momento di gloria quando era stata acquistata, ma ora sembrava ormai un vecchio relitto. Accanto ad essa , sulla parete, imperavano articoli di giornale ritagliati di un tal Pascucci, originario di Spello, che dopo vari trasferimenti in club umbri era diventato un mediocre terzino dell'Atalanta. “Ad ognuno il suo Messi” pensò. Il pavimento a piccole piastrelle quadrate di graniglia bianca e nera, lucido e ben tenuto, già da solo proiettava la mente nel passato, trattandosi di una finitura in voga decenni prima. Tutti i mobili e i tavolini erano in stile anni ’70 con linee rigorose e semplici e, nonostante un po' di polvere qua 4


e là, apparivano complessivamente decorosi e curati. L'odore del caffè pervadeva la sala donandole un che di rassicurante. S'avvicinò al bancone ed ordinò un espresso all'anziano barista ancorato alla macchina del caffè, quasi fosse un sostegno. Il suo ingresso zittì comunque i pochi avventori presenti in quel momento e ne attirò l'attenzione. Era uno straniero o quantomeno un cliente occasionale di passaggio e come tale costituiva una novità degna di nota. «Saprebbe mica indicarmi dove si trova lo studio del Notaio Uber? So che dovrebbe essere in zona» chiese al barista che lo scrutava con curiosità, avendo forse riconosciuto in lui tratti familiari. «Certo. Non è molto distante da qui, basta che prenda la salita a destra e arrivi di fronte alla chiesa, vedrà di fianco una farmacia e un portone. Il notaio ha ufficio lì.» La frase era caduta nel silenzio del bar, e ora tutti avevano capito chi era. In molti, dopo la sua morte, si erano infatti chiesti a chi sarebbe finita l'eredità di Sergio Bassetti. Ora la risposta era di fronte a loro. La famiglia Bassetti era stata una delle più ricche di Spello. Proprietari terrieri da generazioni avevano rappresentato uno dei punti d'orgoglio per l'intera comunità locale, anche per le importanti attività filantropiche del nonno paterno, finché il penultimo della dinastia, Sergio, s'era mangiato buona parte del patrimonio con una serie d'investimenti sbagliati oltre a una passione esagerata per le gonne. Si sapeva che in vita c'era ancora il figlio Federico, ma che lo stesso aveva da an5


ni rotto i rapporti col padre, col quale aveva sempre discusso e litigato. Uscì dal bar ancora inseguito dagli sguardi e dai bisbigli dei clienti e s'incamminò verso lo studio del notaio. Qualche giorno prima, con sua grande sorpresa, aveva ricevuto una email in posta certificata dallo studio Uber che lo convocava a Spello per la successione ereditaria, sottoscritta da Sergio. Leggere quell'email fu, nonostante il rancore che ancora covava per un uomo che era geneticamente suo padre ma verso il quale non nutriva stima alcuna, un vero colpo al cuore. Questo, si vergognava ad ammetterlo, per due precisi motivi. Il primo era che ciò lo poneva ineluttabilmente di fronte alla cruda realtà della vita che ha sempre comunque un'unica spietata conclusione, considerazione questa apparentemente scontata, che diventa tuttavia ancor più concreta di fronte alla scomparsa di un genitore. Il secondo perché s'immaginava l'uomo che lo aveva messo al mondo affrontare quel percorso finale senza essersi riconciliato in alcun modo con l'unico figlio rimasto. Anche lui capiva che di fronte a ciò non esisteva risentimento che tenesse. Sergio era stato un padre affettuoso solo per un breve periodo dopo la morte della moglie, avvenuta quando lei era ancora giovane per uno di quei mali che non lasciano scampo. Antonella, che era una donna forte ma incredibilmente dolce, aveva continuato a minimizzare la sua sofferenza per non esser di peso al marito, non spaventare Miranda, la figlia più piccola e Federico, il maggiore. 6


“Sto bene, tranquilli” ripeteva spesso ai figli che la vedevano sempre più emaciata e stanca entrar ed uscire dall'ospedale, piegata dai veleni della chemio. Ma resisteva. Resisteva per i figli, resisteva per istinto di protezione nei confronti di Sergio che in verità non meritava granché tali attenzioni, visto il suo comportamento autoritario e impulsivo, a cui andava sommata anche una oggettiva incapacità di esser un buon padre e marito. Eppure forse proprio questo spingeva Antonella ad esser così apprensiva verso di lui. Sergio era semplicemente inadeguato per affrontar i marosi della vita e le sue continue reazioni scorbutiche ad ogni piccolo ostacolo non ne eran che la conferma. Grazie alla sua superficialità era riuscito nell'ardua impresa di erodere, anno dopo anno, buona parte del patrimonio Bassetti affrontando azzardi imprenditoriali continui. Inoltre, le voci riguardanti i suoi discutibili comportamenti privati, tradimenti inclusi, erano ormai di dominio pubblico. Antonella sapeva e sopportava perché non voleva dare ai figli una vita lontano dal padre e sperando, in cuor suo, di riuscire a correggere quel marito e padre “difettoso”, insistendo in quella disperata impresa con la stessa caparbietà che spinge i salmoni a risalire le cascate dei torrenti per finire nelle fauci degli orsi. La sfortuna degli eredi Bassetti non si era però limitata solo a colpire i suoi genitori, ma anche Miranda, la sorella, scomparsa qualche anno prima in un tragico incidente strada7


le. Federico era dunque l'unico in vita di quella famiglia, un tempo prestigiosa e potente. Fu quello un colpo quasi mortale, poiché Miranda per lui era sempre stata un fondamentale punto di riferimento e di confronto. Era la sorella minore, ma aveva sempre dimostrato molta più lucidità nel valutare il modo con cui affrontare gli ostacoli che la vita ti presenta. «Ben arrivato Dott. Bassetti» disse il notaio, accogliendolo nei suoi uffici dal mobilio tipicamente rigoroso e classico, come sempre vengono arredati tali ambienti, quasi ciò costituisca garanzia di serietà e rigore della categoria. «Ha fatto buon viaggio?» «Sì grazie, ottimo» tagliò corto Federico per non soffermarsi troppo a lungo su quegli inutili convenevoli. «Bene mi fa piacere. Se lei è d'accordo verrei subito al dunque. Come immaginerà il motivo del nostro incontro riguarda l'eredità di suo padre. Lo stesso ha infatti scritto di suo pugno, a pochi giorni dalla morte, un testamento olografo che le destina l'intero patrimonio di famiglia.» A Federico non sfuggì una leggera espressione sarcastica sul volto del notaio che, essendo storicamente di casa, era informato sulle vicende che avevano riguardato le disavventure finanziarie di Sergio. Quell' “intero” stava a significare “rimanente”. «Purtroppo, come forse saprà, del patrimonio iniziale resta ben poco. Suo padre le ha infatti lasciato un conto corren8


te con poche migliaia di euro, oltre alla proprietà della casa di via Brodolini.» Federico non riuscì ad evitare di pensare al padre e alla situazione nella quale si era probabilmente trovato negli ultimi giorni di vita. Rivolgendosi al notaio, con un certo impaccio, chiese: «Mi perdoni la domanda: come è morto esattamente mio padre?» «Suo padre, purtroppo, nell'ultimo anno di vita ha subito un fortissimo peggioramento delle sue situazioni di salute causato da una grave insufficienza epatica che, alla fine, non gli ha lasciato scampo.» «Inoltre… negli ultimi anni era diventato un alcolizzato» aggiunse con imbarazzo, sorpreso del fatto che il figlio non si fosse nemmeno preso cura d'informarsi sulle cause del decesso, ma guardandosi bene dal commentare la cosa. «E come mai ha scritto un testamento di suo pugno essendo io l'unico erede rimasto in vita? Non si tratta di un atto superfluo?» «Non è poi così infrequente, mi creda. Accade spesso che questi atti che vengano redatti più per motivi morali che non giuridici. La procedura di successione comunque richiederà solo qualche giorno per esser perfezionata, giusto per il trasferimento di alcuni documenti, dopodiché lei potrà accedere al conto bancario e ai certificati di proprietà dell'immobile, divenendone così il legittimo titolare a tutti gli effetti di legge. Posso già, comunque, consegnarle le chiavi di casa.» 9


Il resto dell'incontro si svolse sui risvolti burocratici della successione. Al termine il notaio consegnò le chiavi della casa di famiglia a Federico e lo salutò abbastanza freddamente. “Di sicuro nei prossimi giorni la mia reputazione in paese non migliorerà” pensò Federico fra sé. Non era stato un bell'incontro. Durante la chiacchierata con il notaio gli erano aumentati i sensi di colpa per quello che era successo con suo padre. Non aveva neppure partecipato al funerale e ora se ne pentiva amaramente. Il fatto inoltre di essere rimasto l'ultimo della famiglia Bassetti gli dava una strana sensazione. Certo ora la sua vita si svolgeva a Toronto, era sposato con Janet e il suo mondo era ormai da tutt'altra parte, ma si trattava pur sempre di un capitolo che si chiudeva definitivamente e che lasciava dietro sé ricordi legati a una parte importante della sua esistenza. Nei primi anni dopo il suo trasferimento a Toronto Janet aveva rappresentato tutto per lui. Era stato un amore vero, o almeno così a lui era parso, con quella ragazza straordinariamente bella ed estroversa che lo aveva accolto e aiutato ad inserirsi in un paese straniero. Grazie a lei Toronto era divenuta la sua casa. Purtroppo, nonostante tutti i tentativi fatti, la coppia non aveva avuto figli per un problema, apparentemente insanabile, al liquido seminale di Federico. Forse anche per questo negli ultimi anni sembrava che mancasse un pezzo al loro rapporto. Non erano il sesso o l' intimità a venir meno, ma pareva che con l'andare del tempo il clima fra loro si fosse congelato in un ripetitivo limbo. Stesse frequentazioni, 10


stessi riti, stessi dialoghi. Janet sapeva tutto di lui e viceversa, facevano lavori simili, lei come senior account di una famosa agenzia pubblicitaria e lui come direttore marketing di un secondario marchio di abbigliamento sportivo locale. Mancavano però ormai completamente le emozioni e i fremiti dei primi anni. Era successo senza quasi che se ne fossero accorti, tutto era divenuto così scontato e monotono. Vero era che questo pareva essere il male che affliggeva anche molti loro amici, ma si trattava comunque di una magra consolazione. Tutti questi pensieri frullavano nella mente di Federico mentre, uscito dallo studio del notaio, s'incamminava a piedi verso il centro del paese. Quel giorno doveva anche sbrigare qualche altra commissione e decise di spostare a metà pomeriggio la visita alla sua vecchia casa. Uscito dall'ultimo negozio e concluse le incombenze da assolvere, si diresse verso via Brodolini. Da più di venticinque anni non percorreva quel tragitto e, passo dopo passo, percepiva l' emozione diventare inevitabilmente sempre più intensa. I ricordi apparivano come immagini sfuocate, figure del suo passato si materializzavano davanti a lui, rivedeva volti, percepiva gli odori e i suoni provando ad immaginare come sarebbe stato varcare nuovamente quella soglia. Mentre annegava in questo mare di sensazioni fu svegliato dal trillo del suo telefono. Lo estrasse dalla tasca e guardò lo schermo: “Janet calling…" «Hi honey» cinguettò Janet. 11


«Ciao amore, tutto bene?» «Si tutto ok, ma ero preoccupata. Non ti ho sentito, volevo sapere se stavi bene e com'era andata dal notaio.» «Tutto bene, mio padre mi ha lasciato le ultime poche cose che gli eran rimaste» disse Federico con una nota di tristezza che non sfuggì a Janet. «Capisco. Tu come ti senti? É stata dura immagino.» «Si, lo é stato. Mi son sentito da schifo. Anche se sai bene cosa pensavo di lui, non meritava ciò. Nessuno dovrebbe morir solo come un cane e io ho dimostrato di non esser un uomo migliore.» Janet capì subito lo stato d' animo di Federico ed evitò d'infierire. Più volte negli anni precedenti aveva infatti cercato di convincerlo ad ammorbidirsi verso Sergio, ma invano. La cosa aveva anzi generato spesso forti discussioni fra loro e lei, per il quieto vivere, aveva sempre lasciato perdere. Velocemente cercò di spostare il discorso su altro. «Hai idea di quando potrai tornare?» «Credo ne avrò ancora per qualche giorno, sai la casa e le altre cose da gestire...» «Prenditi il tempo che ti serve amore. Ti voglio bene » «Anch'io te ne voglio piccola, tanto. Ti chiamo stasera.» Terminata la conversazione camminò ancora per qualche minuto finché non giunse davanti al portone di casa. Si fermò per un attimo, traendo un profondo respiro, poi girò la chiave nella toppa e si preparò al tuffo nei ricordi. 12


2 CASA

Due cose possono normalmente accadere quando si ritorna nella propria casa d’infanzia dopo periodi di tempo così lunghi: la si può trovare irriconoscibile, rinnovata con cambi di colore alle pareti, nuovi infissi, nuovi arredi e addirittura nuovi muri o può aver mantenuto la maggior parte degli ele13


menti che la connotavano intatti ed aver subito solo parziali, ininfluenti, ritocchi. Quando Federico aprì il portone si rese conto che la sua non rientrava in nessuna di queste due categorie. Era semplicemente cristallizzata nello stesso stato in cui l'aveva vista per l'ultima volta, venticinque anni prima. Di fronte a lui apparve una fotografia in tempo reale del passato. La prima cosa che avvertì fu la differente percezione delle dimensioni. Tutto era molto più piccolo di come se lo ricordasse. La porta d’accesso dava su un ingresso rettangolare con tre porte, due delle quali poste sui due lati corti e una, di fronte, di fianco alla scala che portava al piano superiore. A sinistra si accedeva ad un ripostiglio mentre a destra c’era una ampia stanza nella quale ancora imperava il grande armadio usato per i cambi stagione. Quello era sempre stato un ambiente strano che veniva utilizzato un po’ per tutto; regolarmente d’estate diventava lo spazio più importante in cui stare in quanto fresco e ventilato. Dalla porta di fronte invece si accedeva al vano caldaia, spesso usato anche come lavanderia. Ogni cosa era al suo posto, c’era addirittura ancora la macchina da cucire elettrica che sua madre aveva usato per confezionare alcuni vestiti per Miranda. Sui muri s’intravedevano i segni della pallina da tennis che lui usava per giocare, facendo regolarmente infuriare sua madre. Tutto era come allora. Ma quello che lo sconvolse ancor più dell’aver rivisto ogni cosa “congelata” fu constatare che 14


l'intero ambiente era ricoperto da un incredibile strato di polvere. Era una polvere che si era depositata sicuramente in anni e anni, non in qualche mese. Davanti a lui appariva solo la traccia di orme che proseguivano lungo la scala di marmo, anch’essa leggermente impolverata, ma sicuramente mantenuta più pulita dal frequente passaggio . In quella casa, di certo, non entravano persone da anni. Evidentemente suo padre ci si era praticamente segregato dentro da tempo e non aveva fatto entrare quasi nessuno, perché sarebbe stato impossibile non restare sconvolti da quella visone decisamente inquietante. Salì la scala, con timore, accarezzando il corrimano in legno che sempre usava da piccolo come scivolo per raggiungere rapidamente a cavalcioni il piano inferiore. La vetrata smerigliata che separava la balaustra superiore era ancora la stessa di allora, aprì la porta di accesso ed entrò nell’ingresso del piano . Come tutte le case di un tempo gli spazi non erano calcolati basandosi su principi di risparmio energetico o seguendo concetti di ottimizzazione degli ambienti, per cui l’ampio ingresso, che era sostanzialmente spazio sprecato, fungeva da collegamento per tutte le stanze del piano superiore. Quest'ultimo era composto da due camere da letto, due bagni , cucina ed un ampio soggiorno suddiviso in sala da pranzo e spazio relax.

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Fortunatamente tutto qui era abbastanza pulito e solo su qualche mensola della libreria in sala s’intravedevano tracce di polvere recente. Tuttavia il disordine imperava. Vestiti buttati a casaccio, piatti fortunatamente puliti ma impilati ovunque, riviste, libri e giornali anche a terra, una quantità incredibile di lettere non aperte. Ogni cosa esprimeva un senso di abbandono e trasandatezza. Era molto chiaro che Sergio si era lasciato andare nell’oblio della depressione fino a fregarsene di tutto, perdendo con ogni probabilità anche qualsiasi forma di rispetto verso la sua stessa persona. Era però incredibile rivedere ancora tutti gli oggetti di un tempo. Li riconobbe perfettamente uno ad uno: i posacenere, le lampade da tavolo in sala, i libri, i vasi in vetro, la collezione di pipe, l'elefantino in marmo appoggiato sulla mensola della libreria, il giradischi... Ogni oggetto accendeva emozioni e ricordi con grande intensità e riportava a galla i momenti vissuti, ricollegandoli in un puzzle della memoria che via via andava componendosi sempre più chiaramente. Puntò dritto alla stanza che divideva con Miranda e si ritrovò proiettato indietro... «Fede la vuoi smettere di spostare tutti i miei libri di scuola ogni volta che ti appoggi sulla scrivania per smontare quei maledetti aggeggi elettronici?» 16


«Se comandi già a otto anni non so cosa potrà mai capitare a chi ti prenderà per moglie, sorellina mia » Sulla scrivania trovò ancora impilati alcuni quaderni che aveva usato alle medie, ne aprì uno a caso e si soffermò nel leggere un tema che aveva scritto il Federico di trent'anni prima. Era come incontrare di nuovo un vecchio amico e riconoscerne i tratti, i modi, lo stile attraverso ciò che ci racconta. La cosa lo commosse profondamente. Pensò a quel ragazzo e a tutte le battaglie e i dolori che avrebbe poi dovuto affrontare negli anni a venire. Avrebbe voluto scrivergli alcuni consigli su quel quaderno con una mano invisibile in modo che un mattino, svegliandosi e aprendolo, se li fosse trovati davanti come dono di uno sconosciuto e che gli fossero serviti per non commettere gli errori più gravi e dalle conseguenze dolorose. Ricordando quel periodo era però orgoglioso di aver fatto da scudo e protetto Miranda dall’irascibilità del padre, che era perciò cresciuta molto più sicura e serena di lui. Ne rivedeva chiaramente l’immagine mentre lo riabbracciava dopo ogni piccola scaramuccia, totalmente impotente nel resistere all'affetto verso quel fratello-padre sostitutivo. Faceva ora ancora più male rendersi conto che di quella famiglia, oltre a lui, non restava più nessuno. Avrebbe voluto per un giorno poter riportare le lancette indietro fino a quegli 17


anni per godersi la spensieratezza con cui, nonostante tutto, viveva a quel tempo. La cucina gli ricordò subito sua madre intenta a tirare la sfoglia. Non aveva mai più visto nessuno farlo in casa da allora. Era un momento di festa osservare quel bianco monte candido di farina che si trasformava magicamente in una pasta molliccia per poi divenire tagliatelle. Uscito dalla sua stanza si diresse verso la camera dei genitori. Anche qui tutto era intatto, a parte una leggera inclinazione del letto che, con l' andare degli anni, aveva finito per disallinearsi sui montanti. Le coperte erano stropicciate e in disordine. Era chiaro che veniva rifatto di rado, più che altro tirato su alla bell'e meglio. Aprì l'armadio e si ritrovò davanti tutti i vestiti di suo padre, ma anche quelli di sua madre, a comprova che evidentemente Sergio non aveva più voluto un altra donna in quella casa dopo la scomparsa della moglie. Girandosi di fianco vide il mobile basso con il grande specchio che sua madre usava sempre per truccarsi prima di uscire per cene o serate col marito. Erano elementi d'arredo molto in voga in quegli anni. Di fronte al mobile c'era ancora lo sgabello basso su cui Antonella si sedeva per dar inizio a quello che lei definiva, sorridendo, “il restauro”. Pensò a sua madre e al dramma della malattia, la rivide truccarsi e pettinarsi lì, nei giorni delle cure, mente lottava disperatamente per mantenere un aspetto gradevole e femminile. Il ricordo di questa sua ostinazione nel non voler cedere alla malattia e 18


del suo orgoglio di madre e moglie lo commosse profondamente. Si sedette sullo sgabello come faceva lei un tempo e si strinse il volto nelle mani restando così per qualche istante. Quando risollevò lo sguardo osservò per un attimo la sua immagine riflessa e vide un uomo diverso. Per la prima volta si rese conto di stare invecchiando. Lo percepì più che altro dall'espressione stanca che segnava il suo volto. Il passaggio del valico dalla gioventù alla vecchiaia avviene infatti spesso così, in un attimo. Improvvisamente cambia il modo in cui ci vediamo. A Federico accadde esattamente in quell'istante, davanti alla specchiera di sua madre. Osservò il mobile che ricordava perfettamente, ne sfiorò la mensola superiore e scese con la mano verso i due grandi cassetti che abitualmente contenevano collane, anelli, orecchini, prodotti cosmetici e qualche altro oggetto personale. Istintivamente li aprì e riconobbe molti oggetti di bigiotteria di sua madre, nulla di oro né altri preziosi di valore. Evidentemente Sergio, nell'ultimo periodo della vita, aveva addirittura attinto a quell’ultima estrema riserva, liberandosi di quegli oggetti dal forte valore affettivo pur di coprire qualche debito di gioco o per comprarsi alcolici. Doveva essere stata una discesa nel pozzo dell'abbandono, della solitudine e della depressione davvero terribile, pensò Federico fra sé. Nel cassetto di destra c'erano almeno una ventina di lettere ancora perfettamente imbustate e ordinate. Federico ne aprì una a caso. Era una lettera di Antonella indirizzata a Sergio nei tempi del loro fidanzamento. Si soffermò a leggere le 19


prime righe poi avvertì la sgradevole sensazione di essere intento a violare la loro intimità e la richiuse, ripiegandola. Sfogliò velocemente le altre cercando di cogliere ancora qualche traccia di profumo sulla carta, memore del fatto che sua madre amasse mantenere quel vezzo sulle lettere che scriveva, ma si rese conto che gli anni trascorsi s'eran portati via anche quel pezzo di lei. Si decise perciò a ricomporle. Proprio mentre stava richiudendo il cassetto notò però una stranezza: qualcosa ne arrestava il movimento, impedendone la chiusura. Non era un blocco deciso, ma più uno stropiccìo di carta che rendeva faticoso lo scorrimento. Provò perciò a tastare all'interno dello stipetto per capire se il problema nascesse da lì ma poi, scorrendo con la mano, avvertì qualcosa sotto. S'abbassò e, con grande sorpresa, vide una busta penzolare per metà dal fondo esterno del cassetto ma che, sganciandosi solo in parte, aveva finito per formare un blocco che impediva una chiusura agevole. La staccò con delicatezza e la ripose sulla mensola del mobiletto. Era diversa dalle altre, altra carta, altro formato. La osservò bene leggendo l'intestazione sul fronte della busta e rimase esterrefatto. C'erano solo tre parole: Ti aspetto. Martina.

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3 MARTINA

Alcune persone sono dotate di particolari forme di magnetismo, a volte si tratta del modo di parlare o di porsi, costruito attraverso il tempo e le esperienze di vita, ma in altri casi sono doti innate, quasi come fossero impresse nel dna dalla nascita. 21


Martina non aveva scelto di essere così, semplicemente lo era. Sua madre lo aveva capito fin da quando camminava appena, con quell'intuito e quella sensibilità che solo una madre può avere verso una figlia. Si era accorta subito che quella bimba, ancora incerta sulle gambe, già aveva imparato a dosare sorrisi e sguardi corrucciati, trascinando in una condizione quasi ipnotica chi si relazionava con lei. Ispirava tenerezza, come tutti i bambini suoi coetanei, ma anche una strana forma di ammirazione per come sapeva gestire le espressioni del viso e gli atteggiamenti del corpo. La cosa divenne ancor più chiara nei primi tempi della scuola. I ragazzini letteralmente impazzivano per lei, inventavano scuse di ogni tipo per poterle anche solo parlare un minuto, ritrovandosi poi regolarmente impappinati a farfugliare patetici tentativi di frasi ad effetto, con i volti arrossati dall'imbarazzo appena lei sorrideva o si rivolgeva a loro. Tutto questo non la aiutava troppo a legare con l'altra parte dell'universo perché l’invidia, si sa, avvelena le relazioni. Per Martina trovare amiche era davvero difficile in quanto le altre, inevitabilmente, la vedevano come una rivale da isolare. Eppure, anche se nessuno lo capiva, il suo potere seduttivo era totalmente involontario, cosa che lo rendeva ancor più micidiale. Con l'età dello sviluppo le cose si complicarono ulteriormente perché dalla crisalide sbocciò definitivamente una farfalla di unica bellezza. Era alta, fisico slanciato con le giuste forme, non eccessivamente marcate, lunghi capelli castano chiari lisci che incor22


niciavano un viso particolare, non esattamente perfetto rispetto ai canoni classici, forse addirittura un po' allungato, ma straordinariamente intenso e ravvivato da due occhi blu profondi, spiazzanti e da labbra carnose e invitanti. Uno sguardo in grado di leggere un anima e due labbra per agguantarla. Aveva inoltre una postura perfetta e un’andatura particolarmente sensuale. A quindici anni Martina era dunque già così. Insomma tutto questo aveva concorso a porla al centro dell'attenzione fin da piccola, fenomeno ulteriormente amplificato dalla piccola realtà sociale di Spello, paese di poche anime. Eppure Martina faticava ad accettarsi. La sua indole la spingeva ad esser spesso schiva e a non amare troppo le luci della ribalta, pur provando a volte piacere nel ricevere complimenti e apprezzamenti. Fin dall’infanzia aveva tuttavia compreso che la parte più evidente di quel patrimonio, regalatole dai suoi genitori, era come un conto alla rovescia, pronto a dissolversi con ogni probabilità con gli anni e non voleva perciò basare la sua vita solo quello, come avrebbe sicuramente fatto la stragrande maggioranza delle sue giovani amiche. Si era quindi applicata con dedizione allo studio, affrontando il liceo scientifico con un bel piglio e ottenendo ottimi voti, anche se continuava a “litigare” con le materie linguistiche ed in particolare con lo spagnolo. «Devo esser l'unica italiana che non riesce ad imparare lo spagnolo!» si ripeteva spesso, stizzita. Fu per quel motivo 23


che un giorno sua madre si rivolse ai Bassetti, memore del fatto che il figlio maschio, Federico, aveva trascorso due anni di studio in Spagna e si sapeva padroneggiasse egregiamente la lingua. I Bassetti erano, come detto, una famiglia conosciuta e di alta posizione sociale a Spello, certo molto più dei DeMarchi che venivano da tradizioni lavorative umili, seppur assolutamente rispettabili. Il padre di Martina faceva il fornaio e la madre si adoperava come domestica presso un'altra famiglia importante di Spello. Fu per lei difficile trovare il coraggio di suonare al campanello di Antonella Bassetti, con la piccola Martina al fianco e chiederle se suo figlio Federico fosse disponibile ad aiutarla con qualche ripetizione. «Sono più che certa che Federico sarà ben contento di aiutare Martina, ma credo sia meglio rivolgere direttamente la domanda a lui» rispose Antonella con fare amichevole, facendo accomodare la signora DeMarchi e Martina nel salotto e offrendo loro un tè caldo. «Se mi date un minuto lo chiamo e gli chiedo di unirsi a noi in modo che possiate domandarglielo direttamente.» «Grazie Signora Bassetti, lo apprezziamo molto e scusi di nuovo per questa intrusione» replicò Lidia De Marchi. Per Federico, allora ventiquattrenne, quella non era stata una bella mattinata. La sera prima era andato a festeggiare con alcuni amici un bel trenta e lode preso in diritto penale dopodiché aveva mantenuto una condotta che di penalmente corretto aveva probabilmente poco, visto il tasso alcolico con cui aveva guidato fino a casa dopo la consueta baldoria al 24


pub. Il problema dei capogiri e una nausea latente non gl'impedirono tuttavia di sentire sua madre chiamarlo più volte per invitarlo in sala dove alcune persone lo aspettavano. Infilò al volo un paio di jeans e una tshirt bianca, uscì nel corridoio e si diresse verso il soggiorno, senza nemmeno essersi fatto la barba, per vedere di che si trattasse. Aprì la porta velocemente e si sedette distrattamente, salutando la signora De Marchi che già conosceva. Poi spostò lo sguardo su Martina e rimase sorpreso. Quella era la ragazzina che ricordava aver visto con i De Marchi in giro per il centro di Spello qualche anno prima? No, non era possibile. Quella era una bambina, o meglio, in un qualche modo anche questa lo era ma... si accidenti, non era una donna, era ancora piccola… ad un tratto tutto il suo ribollir di pensieri fu interrotto dalla domanda di Lidia De Marchi. «Federico, so di doverti chiedere un grande favore perché sei in piena corsa per la tua laurea, ma vista la tua esperienza di lingua spagnola vorrei chiederti se te la senti di aiutare mia figlia Martina con qualche ripetizione» . La domanda colse Federico un po' in contropiede, ma si affrettò comunque a rispondere: «Credo signora che per me sarebbe solo un piacere. Vorrei sentire però anche da Martina se è d'accordo ad aver me come insegnante.» Passarono pochi secondi che però a Federico parvero eterni mentre Martina raccoglieva i capelli con le mani, spostan25


doseli su un fianco e reclinando leggermente la testa verso di lui e fissandolo. «Io sono pronta anche ora, se vuoi.» La frase di per sé non aveva alcun sottinteso peccaminoso eppure, per un attimo, rimase sospesa nell'aria divenendo pesante come un macigno per poi riprecipitare fra i presenti e cadendo fortunatamente nell'apparente indifferenza generale. Per tutti, tranne che per Federico. “Ho troppo testosterone in circolo” pensò Federico fra sé, quasi vergognandosi d' aver interpretato in modo distorto quella risposta. Il resto dell'incontro si svolse principalmente sul dialogo fra Antonella e Lidia De Marchi che si scambiarono qualche pettegolezzo sulla vita di paese, mentre Federico e Martina sembravano assorti nei reciproci pensieri. In Federico tuttavia era avvenuto qualcosa. Aveva provato una strana attrazione verso la ragazzina seduta di fronte a lui, cosa che lo aveva turbato, facendolo subito assalire da sensi di colpa. Era una ragazzina di quindici anni, poco più che una bimba, quindi minorenne e tanto bastava. S'impose perciò di sopprimere sul nascere tale pulsione e concordò con Martina un incontro a casa sua per il giorno successivo nel primo pomeriggio. «Non temere, servirà giusto un’oretta per saggiare il tuo livello di conoscenza dello spagnolo e vedere se hai lacune da 26


colmare. Ricorda di portare i compiti che ti hanno assegnato». Martina lo fissò dritto negli occhi e gli disse semplicemente : «Ci sarò» ma anche qui fece una breve pausa prima di parlare, fissandolo dritto negli occhi, cosa che destabilizzò ulteriormente Federico. Dopo circa un'ora Lidia e Martina DeMarchi se ne andarono, incrociando sulla porta di casa Sergio Bassetti che stava rientrando e che le salutò con un leggero cenno del capo. Sergio era un uomo educato, avendo ereditato insegnamenti sul comportamento in società fin da piccolo tuttavia, fra gli altri difetti che aveva, andava aggiunto anche il classismo sociale per cui non manifestò grande entusiasmo nel veder uscire le due donne da casa sua. «Che ci facevano qui le De Marchi?» chiese subito ad Antonella. «Mah… nulla, la figlia di Lidia ha bisogno di ripetizioni in spagnolo e Federico s'è offerto d'aiutarla.» A quel punto Sergio si girò di scatto verso suo figlio e rabbiosamente gli chiese: «Avrai mica detto di si??» «Papà certo che ho detto di si, è una ragazza del mio paese, ha bisogno di una mano e non vedo perché non dovrei farlo.» «Non è gente da frequentare! Non sai com'è vista quella ragazzina in paese?» 27


A questo punto, fortunatamente, intervenne Antonella stemperando gli animi e ricordando che i De Marchi erano brave persone e che la differenza di età fra i due ragazzi era tale da scongiurare qualsiasi “rischio” avesse in testa Sergio, che se ne andò proferendo improperi verso i giovani e le loro moderne condotte morali. “Proprio lui parla…” pensò Federico fra sé, innervosendosi ancor di più. La notte di Federico passò un po' burrascosa, si alzò più volte accendendo la televisione e cercando in tutti i modi d'inseguire quella sensazione di torpore che precede il sonno. Non riusciva a darsi pace, era un bel ragazzo, circondato spesso da coetanee che lo cercavano, amava flirtare ed aveva già parecchia esperienza per la sua età e non concepiva né tollerava d'essersi imbattuto in una ragazzina che con due sguardi lo aveva turbato in quel modo. Oltre che vergognoso, vista la giovane età di lei, era anche umiliante ed imbarazzante. Eppure... eppure nel dormiveglia lei gli riappariva in pensieri e forme non propriamente casti e ciò non faceva che peggiorare le cose. Alla fine comunque s'addormentò decidendo che l'indomani avrebbe chiamato la ragazza per annullare il tutto adducendo impegni di studio o usando qualche altra scusa. Il gorgoglìo del caffè e il suo aroma riempivano la cucina quando Federico apparve sulla soglia, ancora frastornato dalla notte insonne, muovendosi lentamente per andare sedersi al tavolo di fianco alla finestra che dava sul giardino. 28


Antonella e Miranda erano già sveglie da un po’, mentre Sergio continuava come suo solito a dormire fino a tardi. Federico si accorse, col suo ingresso, d’aver interrotto una discussione in atto fra madre e figlia. «Beh che c'è? Vi fermate perché entro io?» «No tranquillo, stavo solo discutendo con tua sorella dell'incontro con i De Marchi» rispose Antonella. «Non stavamo discutendo Ma', ci stavamo incazzando!» «Ma Miranda! Che parole usi! Ti sentisse tuo padre...» «Fermi, fermi, fermi....spiegate un po' che c' é da discutere?» chiese Federico. «Beh Federico sai...tuo padre ieri sera forse ha esagerato, ma ciò che diceva non è del tutto inventato. Quella ragazzina ha fama di esser già una divoratrice di ragazzi ed è minorenne, sai che significa vero?» insinuò Antonella. «Senti mamma, non voglio discutere di questa cosa. Prima mi chiami per farmi decidere se aiutare la "povera" ragazzina in crisi a scuola, poi parli con papà e ti fai condizionare, insomma cosa vorresti che facessi? Che evitassi d' aiutarla perché in paese dicono che è già una zoccola in fasce?» «Federico!! Non usare queste parole in casa nostra!» «Ok piantiamo qui la discussione altrimenti finisce come sempre» concluse Federico uscendosene dalla cucina stizzito e dirigendosi verso la sua stanza con la tazza del caffè in mano. 29


Poco dopo Miranda lo raggiunse in camera e si sedette sul letto mentre lui s'infilava la camicia guardandosi nello specchio. «Fede io sono con te, non possiamo sempre vivere con questa mentalità da bigotti del cazzo dove dietro ad ogni mossa vien visto un peccato mortale» disse Miranda . «Grazie Miri, ma qui mi sembrano tutti impazziti. La ragazzina ha bisogno di ripetizioni, mica di esercizi ginnici con un ventiquattrenne. Avrà suoi coetanei per quelli, in più ci si dimentica di come sono io e la cosa mi fa incazzare come una bestia» rispose Federico passandosi velocemente il pettine fra i capelli e infilandosi il giubbotto per uscire. Diede un veloce bacio in fronte alla sorella e si diresse verso le scale, scendendole a grandi balzi, fino ad aprire la porta di casa per poi salire sulla Vespa diretto all'università. Sapeva di non esser stato del tutto sincero, ma contava sulla sua capacità tenuta in certe situazioni e si sentiva decisamente risollevato rispetto alla sera prima. Avvertiva d’aver nuovamente il controllo della situazione. Rientrato a casa a ora di pranzo divorò come sempre famelicamente tutto quanto aveva messo in tavola sua madre e decise di assumere un comportamento più assertivo con lei, parlandole come nulla fosse successo a colazione. Evitò però di dialogare col padre, col quale ormai il rapporto era da tempo sempre più deteriorato. Il non parlarsi era il minore dei mali possibili fra loro, anche se Antonella soffriva tremendamente per quella situazione. 30


Appena ultimato il pranzo Sergio uscì salutando frettolosamente la moglie e gettando solo uno sguardo veloce su Federico, Miranda era a scuola per uno dei rientri pomeridiani. Dopo circa mezz'ora, mentre Federico era nella sua stanza intento a riordinare le cartelle degli appunti presi in mattinata all'università, sentì chiaramente suonare il campanello di casa e sua madre avvicinarsi per aprir la porta. Inaspettatamente fu di nuovo assalito una certa agitazione. Stavolta però la sua reazione a tale stato d’animo cambiò. Era irritato dal non riuscire a dominare quell'emozione così infantile ed immatura. «Federico, c’è Martina» avvertì la madre «Vieni Marti, entra pure» replicò confidenzialmente Federico, aggiustandosi il colletto della camicia e ravvivandosi i capelli con le mani. La porta si aprì e in una frazione di secondo lui ebbe confermati tutti i timori che la notte lo avevano tenuto sveglio. Davanti a lui si era appena materializzato un mix perfetto di senso del proibito e candore, malizia e ingenuità, insomma quella che si sarebbe potuta definire la perfetta abitante dei sogni da non raccontare. «Buenas tarde seńior !» esordì Martina. Indossava semplicemente un paio di jeans strizzati addosso ed una camicetta bianca aperta fino a dove è lecito, teneva sulle spalle un maglioncino blu di cotone, ma aveva cambiato il taglio dei capelli. Erano leggermente più corti, sempre lisci e scalati, con una frangia laterale che le copriva parte del viso 31


e che lei spostava ad arte con la mano o con una mossa del capo. Federico fece appello a tutto il suo autocontrollo per simulare disinteresse verso quella provocante visione, affrettandosi a concentrarsi sui suoi doveri d'insegnante. La fece accomodare di fronte e non di fianco a lui, in modo illogico e poco pratico, viste le letture e gli esercizi che dovevano fare insieme, e cercò di assumere un comportamento imperturbabile, ma cordiale. Il problema era che così facendo rischiava di cadere nell'eccesso opposto, rendendo ancor più evidente il suo disagio. Martina al contrario pareva del tutto serena, tranquilla e spontanea. Mentre stava per finire la lezione, che per la verità sarebbe dovuta durare solo un'ora, Federico prese a leggere un estratto di “Bodas de Sangre” di Garcia Lorca e, nel trasporto per quel testo, non si accorse che Martina lo stava fissando fino a quando, raggiunto l'ultimo capoverso, rialzò la testa e impattò lo sguardo di lei. Era uno sguardo profondo, ed era chiaro che era già da un po' che lo stava osservando. Vacillò, ma resse stoicamente con gli occhi negli occhi. Non sapeva che dire né come reagire mentre lei, con la solita naturalezza, gestiva quel momento alla perfezione e dirigeva il gioco con consumata maestria. Proprio mentre la situazione stava necessariamente per arrivare alla rottura di quell'imbarazzante stallo irruppe nella stanza Antonella aprendo di colpo la porta e chiedendo loro se volevano del tè e dei biscot32


ti appena fatti. In un attimo, con una lieve torsione della testa, Martina trasformò quello sguardo sensuale in un ampio sorriso rivolto alla madre di Federico, interrompendo così la magia di quel momento. Nei giorni successivi, a cadenza alternata, Martina fece visita a Federico più volte per le lezioni, ma non si ricreò più una situazione di tale intimità. Inizialmente Federico si augurò, vergognandosene, che ciò accadesse, che ci fosse di nuovo una chance, ma lei parve orientarsi verso un più equilibrato rapporto di cordiale amicizia, concentrandosi sulla lezione di spagnolo. Lezione che, da ciò che percepiva Federico, serviva a ben poco perché in verità Martina era eccellente sotto tutti i profili in quella lingua, andando così a generare ulteriori dubbi sui reali motivi per quella richiesta d'aiuto. “Se veniva qua per me perché ora si comporta così? che intenzioni avrà?” andava domandandosi e si chiedeva anche se non fosse il caso di chiarir la cosa con lei in maniera diretta. Le avrebbe detto chiaro e tondo che aveva capito il suo giochetto, che lui non era un ragazzino da maneggiare a suo piacimento e che mai e poi mai sarebbe andato con una minorenne. Si giunse così all'ultimo fatidico giorno delle ripetizioni che avevano concordato e, in un certo qual modo, Federico si sentì rasserenato di esser passato incolume da quel potenziale rischio. Col tempo c'avrebbe riso sopra ripensando a quanto stupido era stato a farsi strane idee. 33


La lezione si svolse come al solito fra qualche esercizio e qualche lettura e ci si avvicinava sempre più allo scadere dell'ora quando, a causa di un movimento maldestro, Martina urtò un portapenne e Federico, nell'istintivo tentativo di evitare che cadesse a terra con tutto il suo contenuto, allungò la mano finendo per tagliarsi leggermente l'indice destro col tagliacarte. «Oddio perdonami Fede, che scema che sono...faccio solo casini, ti sei fatto male?» si scusò lei. «No tranquilla non è nulla, solo un tagliettino leggero» rispose lui, tamponandosi un paio di gocce di sangue che uscivano dalla ferita con un fazzolettino di carta. «Fa vedere, ho un po' di esperienza di tagli ed escoriazioni, con tutte le botte che prendo a judo.» Così facendo Martina si avvicinò a Federico e prese la sua mano fra le sue, osservando la ferita e ripulendola a sua volta con un fazzoletto. Poi, lentamente, si avvicinò con la bocca e passò delicatamente la lingua sul dito infortunato. Questa volta però fissando Federico dritto negli occhi. Per una frazione di secondo a lui mancò quasi il fiato, essendo stato preso completamente in contropiede, poi sentì salire in sé un onda di eccitazione incontrollabile, tremendamente intensa. Lottò con tutte le forze per non farsi sopraffare da quello tsunami ormonale, ma in quel mentre Martina prese a sbottonarsi la camicetta ponendosi a cavalcioni su di lui e, facendola scendere sulle spalle, scoprì i suoi piccoli e turgidi seni attirando con la sua mano la testa di Federico ver34


so di lei, in modo che la sua bocca le sfiorasse i capezzoli. Aveva una pelle fantastica e profumava di paradiso. Fu come il rompersi di una diga, come il crollo di un colossale argine. Lui la sollevò sulla scrivania, alzandole con decisione la gonna e togliendole in un batter d'occhio le mutandine. Era chiaro che lei ne sapeva probabilmente più di lui in fatto di sesso, usava le gambe, il bacino, le labbra divinamente. Sapeva come e quando spingerlo ad aumentare o a rallentare il ritmo. Lui prese a baciarla selvaggiamente, volle assaggiarla ovunque e possederla subito. Il suo modo di ansimare e di gemere erano un carburante potentissimo che lo spingevano a non fermarsi, a proseguire in quel vortice lussurioso che pareva incontenibile. Raggiunsero più volte l'orgasmo insieme fino a quando, sudati e stravolti, non stramazzarono sul parquet. Era entrato in Paradiso, ma ora temeva si sarebbero spalancate le porte dell'inferno. Aveva oltrepassato una linea di confine. Era stato con una ragazzina. Steso a terra, di fianco a lei, girò la testa guardandola: «Mio Dio che ho fatto, non avrei...» ma non ultimò la frase perché la mano di Martina passò delicatamente sulla sua bocca, richiudendola. «Non c'è nulla di sbagliato in quel che hai fatto. Sono stata io a volerlo per prima» gli sussurrò lei avvicinandosi e baciandolo sulle labbra.

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4 VIA

Passarono giorni, mesi e quello che poteva esser stato solo un momento fugace si trasformò in una vera e propria relazione. Tutto era estremamente complicato per loro, anche la sola eventuale frequentazione occasionale poteva dar adito a sospetti e congetture eppure, paradossalmente, quella diffi36


coltà accresceva il desiderio e la voglia di vedersi. Federico lentamente si scrollò di dosso i sensi di colpa abituandosi sempre più al fatto che fra loro fosse nato un amore vero. Martina dimostrava in tutto e per tutto ben più dei quindici anni che aveva, in quanto a maturità e atteggiamento, per questo Federico amava anche trascorrere il tempo con lei parlando di un infinità di cose e non solo lasciandosi trascinare dagl'impeti ormonali. Innegabilmente l'attrazione fisica giocava un ruolo importante ma ora il loro rapporto poteva dirsi, se non proprio paritario in termini di esperienze ed età, quantomeno più equilibrato di ciò che lui avrebbe mai potuto immaginare all’inizio. Si vedevano due o tre volte alla settimana, rubando momenti alle loro differenti vite, cercando di goderseli il più possibile. Tuttavia, nonostante i mille sforzi e le attenzioni, qualcuno già iniziava a nutrire dei sospetti. D'altra parte, come detto, Spello era una piccola realtà e nemmeno applicandosi col massimo dello scrupolo sarebbe stato possibile esser sicuri di non venir scoperti. Qualche voce serpeggiava e, come facile supporre, tale tipo di pettegolezzo costituiva un piatto prelibatissimo per chi non amava farsi gli affari propri. Erano sussurri e passaparola carichi di veleno, non certo animati da scopi nobili, quali l'eventuale volontà di tutelare Martina, potenziale parte debole di quella supposta relazione clandestina e “illegale”. In quel periodo Antonella cominciò ad accusare i primi disturbi e si sottopose perciò a un lungo ciclo di analisi segui37


ta dal Dott.Mazzoni, storico medico condotto di Spello e amico da sempre dei Bassetti. Lei fu anche la prima in famiglia a venir a conoscenza della voce che circolava in paese, essendosi venuta a trovare accidentalmente su una corsia del piccolo supermercato del rione mentre su quella accanto, la proprietaria del negozio e una sua cliente, stavano facendo allusioni sullo “scabroso” tema che aveva come coprotagonista proprio suo figlio. Fu una tremenda doccia gelata che la sconvolse totalmente. Considerava inaccettabile un rapporto fra Federico e una minorenne ma anche, e forse soprattutto, il fatto che le sue aspettative venissero in quel modo totalmente disattese. Martina era lontana anni luce da ciò che Antonella voleva per lui. Lo attese perciò a casa, sincerandosi che l'orario in cui affrontare la discussione fosse incompatibile con quello di Sergio che avrebbe probabilmente assalito il figlio fisicamente se fosse venuto a conoscenza della cosa. Alle sei e mezza sentì la porta di casa aprirsi e si precipitò giù per le scale come una furia. «Cosa diavolo è questa storia che ho sentito fra te e quella ragazzina?» urlò Antonella, curandosi di non chiamar Martina col suo nome, ma sottolinenando col massimo dell'enfasi il sostantivo con cui l'aveva sostituito. Veder sua madre urlare come un ossessa a quel modo spaventò inizialmente Federico anche se, quasi istantaneamente, questa sensazione si trasformò in collera. Viveva questa reazione come una insostenibile intrusione nella sua vita priva38


ta, maledicendosi al tempo stesso per non esser stato evidentemente prudente a sufficienza per evitare che qualcuno li scoprisse. Doveva però velocemente elaborare una replica efficace e tatticamente decise di prender tempo con una risposta interlocutoria: «Ragazzina? Innanzitutto vorrei sapere di che parli» domandò, simulando stupore. «Sai benissimo di chi parlo, della figlia dei De Marchi. Belle lezioni posso immaginare abbiate fatto quando eravate qui, per di più sotto i miei occhi, stordita che non sono altro! » «Mamma, secondo me devi essere impazzita. Non so che fantasie ti passino per la testa e non ne voglio comunque discutere. Con Martina ci siamo incontrati due o tre volte in paese e le ho offerto un caffè. Siccome però questo è un posto di merda, così come lo sono tutti i suoi abitanti, da lì saranno scaturiti i soliti pettegolezzi e maldicenze. Questo è quanto.» Si era giocato il jolly. Era chiaro che lui non sapeva in che modo o chi li avesse scoperti, ma non poteva far altro che bluffare per verificare quanto e cosa sua madre sapesse. Dal canto suo Antonella fece una lunga pausa, scrutandolo a fondo negli occhi, poi si sedette distrutta sulle scale portandosi le mani al viso. «Ho paura Federico, non mi sento più io, ho paura di aver qualcosa di brutto. Perdona, forse mi son fatta trascinare sentendo due pettegole in negozio che accennavano questa cosa.» 39


«Te l'ho detto mamma, questo paese è meraviglioso come storia e architettura, ma la gente è provinciale e maligna» così dicendo aiutò la madre ad alzarsi e a spostarsi sul divano. Dentro lui eran però nuovamente apparsi i suoi abituali compagni dell’inizio: i sensi di colpa. A casa De Marchi la notizia deflagrò dopo un paio di giorni a causa di una amico del padre che aveva chiaramente visto Federico e Martina baciarsi fugacemente in auto ad un semaforo di Gubbio. Al suo rientro in casa Martina notò che, stranamente, sua madre e suo padre erano a tavola seduti, senza che nulla fosse apparecchiato come al solito. Lidia De Marchi aveva gli occhi arrossati e gonfi ed era chiaro che avesse pianto a lungo. Il padre, accigliato e scuro in volto, le ordinò immediatamente di sedersi. «Ho una notizia per te. Fra tre giorni ti trasferisci a Trento da tua cugina che ti condurrà in un collegio. Io e tua madre desideriamo che tu finisca la scuola là» sentenziò Antonio De Marchi con voce ferma. «Ma papà perché, che è successo, perché mi fate questo?» prese a singhiozzare Martina. «Ti basti sapere che non siamo degli stupidi e che sappiamo della tua frequentazione col figlio dei Bassetti. Dio non voglia che mi ritrovi costretto a venire alle mani con loro per ciò che ti ha fatto. Inutile ti dica che non voglio che tu lo veda mai più, a partir da ora!» rispose Antonio. Detto questo si al40


zò dal tavolo e si diresse in salotto sbattendo violentemente la porta. Lidia con le lacrime agli occhi fissò sua figlia e non ebbe la forza di mantenere lo stesso tipo di tono, pur condividendo le parole del marito. «Marti tu ora non puoi capire, Federico non è adatto per te. I Bassetti sono una famiglia ricca, ti userà e sfrutterà finché gli sarà comodo poi ti abbandonerà come uno straccio, fregandosene dei tuoi sentimenti e del tuo cuore. Ti vede come un giocattolo. La storia è sempre la stessa e la tua non è diversa dalle altre. L'unico modo per noi per salvarti da questo destino è allontanarti da qui, in modo che tu possa coltivare nuove amicizie e conoscere persone più adatte a te e alla tua età.» Martina tentò una debole reazione, ma la mano della madre si alzò delicatamente a zittirla, spegnendole quell'istintivo sussulto di ribellione. Sapeva bene che quando suo padre decideva qualcosa usando quel tono si trattava di un diktat irrevocabile, contro cui era inutile combattere. Corse perciò subito in camera e si gettò sul letto affondando la faccia nel cuscino e iniziando a piangere in silenzio. Avvertì il dolore amplificarsi in lei, entrarle nella carne e morderla, strapparle pezzi di anima, mentre non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginare ad un’esistenza senza Federico. All'inizio del rapporto aveva giocato le sue armi seduttive, ma alla fine c'era caduta dentro in pieno e se ne era inna41


morata, come mai le era capitato prima. Forse era davvero questo il sapore dell'amore e non comprendeva come potesse esser possibile rinunciarvi. Nei giorni successivi Federico, sfidando le minacce dei suoi, cercò di prender contatto con Martina, ma tutti gli appuntamenti nei loro luoghi convenzionali andarono a vuoto. Non poteva telefonarle a casa né farsi vedere nei paraggi a gironzolare, perché ormai la cosa era troppo pericolosa. Cercò quindi d'immaginare una soluzione per poterla contattare in un qualche modo. Si rivolse ad una sua compagna di scuola che aveva conosciuto di vista e, consapevole comunque del rischio a cui si stava esponendo, le si avvicinò mentre camminava verso la fermata dell'autobus. «Ciao Rita, perdona la domanda: hai visto per caso Martina a scuola in questi giorni? Sai dove posso rintracciarla?» Purtroppo, però, Rita apparteneva al gruppo delle amiche che morivano di invidia per Martina, cosa ora ulteriormente amplificata dal fatto che la storia fra lei e il bel Federico Bassetti serpeggiava come succulenta notizia fra i banchi di scuola. Per quel motivo gli rispose mentendo spudoratamente: «Si certo, è venuta a scuola ma devo confidarti che a noi ha chiaramente raccontato che non ne vuole più sapere della storia con te, ha voluto solo divertirsi un po' e nulla più. Tieni conto che lei fa sempre così, quando si scoccia sparisce e non si fa più trovare. Non sei il primo e mi sa che non sarai nemmeno l'ultimo.» 42


A Federico balenarono in testa mille congetture ed ipotesi anche se, in effetti, quella più probabile poteva essere che i De Marchi , venuti a conoscenza della cosa, avessero fatto un lavaggio del cervello di Martina e lei si fosse svegliata da quello stato d’invaghimento, preferendo dileguarsi nel timore di non saper reggere la discussione e il confronto con lui. Era pur sempre una quindicenne, più matura rispetto alla media delle sue coetanee, ma non certo avvezza a situazioni così critiche e conflittuali. Anche per lui però fu una mazzata tremenda. Avrebbe fatto di tutto per sentirselo dire direttamente da lei, ma temeva anche di scadere nel ridicolo, inseguendo quella flebile speranza a fronte di una lunga serie di evidenze logiche. Arrivò persino ad ipotizzare di presentarsi dai De Marchi, poi temette che la situazione sarebbe potuta degenerare coinvolgendo alla fine anche Sergio, che notoriamente amava alzare le mani. Insomma lo scoop per il quotidiano locale sarebbe stato garantito, ma per tutti loro sarebbe solo stato un caos immane. Martina dal canto suo trascorse gli ultimi tre giorni a Spello cercando a sua volta un modo per comunicare con Federico. La cosa però era complicata, essendo sorvegliata a vista. Pensò così di scrivergli una lettera ed escogitò un sistema per recapitargliela. Sua madre le aveva infatti chiesto di accompagnarla al mercato rionale che distava pochissimo da casa Bassetti e, durante un momento di distrazione in mezzo ad una moltitudine di persone, riuscì a correre fino al davan43


zale della finestra di Federico che si raggiungeva abbastanza agevolmente grazie ad una scala esterna dell'abitazione vicina. Gli scuri erano abbassati e Martina riuscì ad infilar la lettera, avvertendo chiaramente il rumore della stessa che atterrava sul parquet. Missione compiuta. Di lì a poco Federico sarebbe rincasato e l'avrebbe letta, perché la stanza di Federico era off limits per tutti quando lui non c' era. Mentre stava correndo verso sua madre che la richiamava a gran voce riuscì persino a scorgerlo in lontananza intento ad aprir la porta di casa. Provò una forte stretta al cuore. In certi periodi dell’anno le vallate umbre sono spazzate da forti venti e quella primavera pareva confermare quel rito della natura. E fu così che uno di questi refoli s'infilò fra gli scuri della finestra di camera di Federico, percorse il parquet come un leggero manto invisibile e delicatamente sollevò una busta che si trovava a terra fino spingerla sotto il taglio della porta, per lasciarla poi atterrare esattamente al centro dell'ingresso del piano superiore. Antonella era in camera sua intenta ad aggiustarsi l' acconciatura e con la coda dell'occhio percepì quel movimento nell'ingresso, si alzò , vide la busta e la raccolse. La aprì e prese a leggerla mentre tornava verso lo sgabello posto davanti alla specchiera.Via via che scorreva le righe i suoi occhi si spalancavano sempre più e la sua espressione si trasformò in stupore finché, d’un tratto, udì la porta dell'ingresso aprirsi e Sergio salire le scale veloce chiamandola. Istintivamente infilò la lettera nella busta e velocemente 44


la spinse dentro il cassetto, senza accorgersi che quel movimento così repentino l'aveva fatta scivolare, incastrandola, sul fondo dello stesso. Aveva appena finito di richiuderlo quando Sergio si affacciò con gli occhi lucidi e tenendo in mano un foglio dell'ospedale. «Mazzoni mi ha dato gli esisti Antonella, devo portarti subito in ospedale. Hai un tumore in stadio avanzato.»

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5 LA LETTERA

Federico teneva in mano la busta e si preparò a fare un salto quantico nel passato. Chiaramente il tempo e gli anni avevano lentamente logorato l'intensità di quella delusione amorosa giovanile, ma era chiaro che, con ogni probabilità , quella lettera gli era stata nascosta. Allo stesso tempo non ca46


piva come mai un messaggio di Martina potesse trovarsi lì, in mezzo alle cose di sua madre. Con curiosità, mosso anche dal timore di scoprire che ciò potesse anche solo in parte intaccare il buon ricordo che aveva di Antonella, aprì la lettera ed iniziò a leggere:

Ciao amore, ho passato ore infernali in casa da quando i miei sono venuti a sapere della nostra storia. Non puoi nemmeno immaginare la reazione furiosa di mio padre. Cosa avremo mai fatto di così malvagio? Penso in continuazione a tutti i momenti indimenticabili trascorsi con te e non voglio che finiscano per colpa di questa stupida mentalità di paese. Non sopporto più questo posto, questa gente. All'inizio, quando ti ho conosciuto, ammetto di essere stata attratta dal tuo aspetto, dal fatto che eri più grande di me. Volevo conquistarti, sedurti, farti mio. Ti vedevo come una sfida per me che avevo sempre avuto a che fare con ragazzini che mi cascavano ai piedi e per i quali ho sempre provato poco interesse. Ma tu eri diverso. Eri un uomo vero, difficile da coinvolgere. Dopo quel primo pomeriggio da te in cui l'abbiamo fatto però mi è scattato qualcosa dentro. Non è stato come me l'ero immaginato. Ho provato piacere, certo, ma stavolta mi sono sentita scuotere dentro, come mai mi era successo.

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Poi, nei giorni successivi e fino ad oggi, mi sei sempre stato accanto, mi hai ascoltata anche quando ti raccontavo delle mie stupide storie da ragazzina viziata o delle mie insicurezze. Non mi hai giudicato. Mi hai capita. Più stavo con te e più mi rendevo conto che tornarmene a casa diventava, ogni volta, uno sforzo insostenibile. Guardavo di nascosto sempre l’ora, sperando che l'orologio, per magia, si potesse fermare e regalarmi ancora tempo. Amore, mi hai travolta. Come possono chiedermi di rinunciare a te ora? Sarebbe come togliermi l'ossigeno che respiro, come togliermi l' anima. Ho trovato solo questo sistema per contattarti perché i miei hanno deciso di mandarmi via Mercoledì e non avrò modo di vederti o sentirti. Non voglio che tu pensi che me ne sono andata senza una spiegazione. Mi mandano in collegio a Trento e non tornerò prima di qualche mese. Anche allora, temo, sarà quasi impossibile vedersi, non mi molleranno un attimo. Sono certa che col tempo mi dimenticherai, anche se il solo pensarlo mi distrugge . Io non potrò farlo. Sarai sempre con me. Mercoledì mattina mi accompagneranno alla stazione di Foligno e ho pensato una cosa: a Spoleto dovrei cambiare treno e, controllando gli orari, ho visto che potrei prenderne uno che parte un'ora dopo a quello che avevo stabilito. Forse non è granché come proposta, ma non posso partire senza averti visto e stretto ancora una volta. Ti aspetterò al binario 2 verso le 11, dove c'è l'edicola. 48


Mi manchi da morire, ti amo. Marti Federico alzò la testa e cercò di capire come si sentiva. Aveva appena finito di leggere la lettera di una ragazzina, un pezzo di una storia che lo aveva visto protagonista venticinque anni prima e che ora si sarebbe potuta serenamente ricordare come una infatuazione giovanile, peraltro non troppo onorevole dal suo punto di vista, considerata l'età delle ragazza. Questo tipo di ricordi a volte affiorano dalla memoria, ma il tempo tende inevitabilmente a consumarli e affievolirli, riducendoli al ruolo di gregari dei ricordi più forti, come quelli tristi legati alla scomparsa di persone care o quelli più piacevoli come il primo bacio o la prima notte d'amore vero. Tuttavia questa finestra sul passato aveva una carica particolare. C'era dentro un senso di incompiutezza, c'era il senso di abbandono di una ragazzina sulla banchina di una stazione che aveva atteso immersa nella sua solitudine e delusione. Quel dolore aveva perforato gli anni mantenendo ancora intatta la sua forza, riempiendo l'anima di Federico di una smisurata tristezza. Capì che sua madre aveva in qualche modo intercettato la lettera e che l'aveva nascosta, pensando di aver fatto la cosa giusta. Probabilmente l'aveva infilata nel cassetto e non era più riuscita a trovarla, essendo scivolata sotto il ripiano. 49


In realtà la notizia che le era giunta quel giorno, l'immediato ricovero, la lunga degenza e le cure debilitanti avevano appannato la sua memoria impedendole di ricordare con precisione dove l'avesse riposta. Di sicuro, conoscendola, anche qualora l' avesse ritrovata, non ne avrebbe parlato con nessuno. Immerso in questi pensieri discese le scale per uscire dalla casa. Aveva bisogno d'aria, di sganciarsi per un attimo da quella macchina del tempo che quei muri rappresentavano e di riprender contatto con la realtà. Quel concentrato d'emozioni lo stava confondendo. Chiuse la porta dietro a sé e si diresse verso il centro del paese, infilandosi la lettera in tasca. Mentre camminava allungò una mano nell'altra, estrasse un toscano e se lo accese. Fumare il sigaro lo aiutava a rallentare il ritmo nel fine settimana, ma ora aveva soprattutto bisogno di arginare l'agitazione che gli avevano causato tutti quei ricordi e fece perciò uno strappo alla regola. Impugnò il cellulare e compose il numero di Janet. A migliaia di chilometri di distanza il telefono di lei squillò a vuoto per un po' e infine cadde la linea. Si rammaricò della cosa perché in quel momento aveva davvero bisogno anche della sua voce per calmarsi. Le luci di quel tramonto di fine primavera conferivano un tono ancora più caldo alle strade e a viottoli che percorreva per dirigersi verso la pensione dove, di sicuro, lo stava aspettando una cena coi fiocchi che veniva regolarmente servita su 50


una terrazza chiusa da vetrate e che si affacciava sulla splendida vallata. Girato l'ultimo angolo prima di arrivare a destinazione e quasi si scontrò con un uomo abbastanza alto, che procedeva con passo spedito. Per un attimo i due si fissarono poi lo sconosciuto si aprì in un ampio sorriso. «Federico, ma sei davvero tu? » Lui lo fissò per un istante, riconoscendo qualcosa di familiare nei tratti dell’uomo, senza però ricordarsi esattamente chi fosse. «Sono Roberto, Roberto Passerini. Eravamo compagni di scuola alle medie» Accidenti ecco chi era, il famoso “Panzer”! Così era infatti chiamato Roberto a causa della sua stazza fisica che gli aveva fornito un grande vantaggio come centravanti della squadra di calcio del rione. Era un mito tra i suoi amici, Federico incluso. «Grandissimo Panzer! Che piacere vederti, sei in splendida forma!» replicò Federico. «Beh insomma ho avuto anch'io le mie rogne di salute l' anno scorso, ma ora sto bene. Anche a me fa davvero piacere rivederti» . Spesero almeno una ventina di minuti a ricordare i vecchi tempi e a raccontarsi delle novità poi Roberto lo volle invitare a cena e, nonostante Federico fosse davvero stanco, non se la sentì di rifiutare. 51


Roberto viveva con la moglie con la quale, come lui e Janet, non avevano avuto figli. La cena fu squisita anche se tra un ricordo e l'altro entrambi finirono per alzare un po' troppo il gomito per cui la moglie decise di lasciarli soli a raccontarsi aneddoti del passato in maniera più libera di quanto non avrebbero fatto con lei presente. Federico aveva ancora in testa il ricordo di quello che era accaduto nella casa e, allungando la mano nella tasca, avvertì la busta di Martina. Decise d'indagare con Roberto. «Ti ricordi dei De Marchi?» «Certo che si, mia madre mi mandava sempre a prendere il pane da Antonio e Lidia era una sua cara amica» «E....che fine anno fatto?» «Perché me lo chiedi, li conoscevi?» domandò Roberto incuriosito. «Bah no... giusto di vista...» rispose imbarazzato Federico, supponendo che lui non sapesse nulla di ciò che era accaduto con Martina. «Vediamo… da quel che mi risulta son andati via da Spello già da un pezzo. So per certo che si sono separati e che lui è tornato a Trento, da dove veniva. Lidia si è risposata un po' di anni fa e vive a Roma col nuovo marito» «Non avevano anche una figlia?» chiese Federico, pregando d'averci visto giusto sul fatto che Roberto non sapesse nulla. «Ah intendi Martina? Si certo. Lei sta in Spagna, è sposata, o almeno lo era fino a tre anni fa .» 52


«In Spagna?» domandò Federico sorpreso dalla strana coincidenza. «Si, ma non ho idea dove di preciso.» «È a Roses» intervenne la moglie di Roberto mentre transitava di fronte a loro per portare via la bottiglia della grappa e riporla prudenzialmente lontano dal loro raggio, nella credenza in cucina. «Se non ho inteso male credo gestisca un bar o un pub» «D'altra parte in molti se ne sono andati negli ultimi anni e come dar loro torto, diventa sempre più difficile qui per il lavoro e tante altre cose....» aggiunse Roberto scolandosi l'ultimo sorso dal bicchiere. «Ti fermi ancora per molto?» chiese a Federico. «No, giusto un paio di giorni per sbrigare le ultime faccende poi torno a Toronto. Dovrò pensare di mettere in vendita la casa di famiglia perché sarebbe solo una complicazione gestirla, stando così lontano .» Continuarono a parlare ancora per un po' finché la stanchezza ebbe il sopravvento su Federico che si congedò con un caloroso abbraccio da Roberto e da sua moglie, ringraziandoli per la piacevole serata e ripromettendo loro di farsi vivo di tanto in tanto via Skype. Uscito di casa si strinse fra le braccia infreddolito e si avviò verso la pensione. Mentre camminava, al termine di quella lunga giornata vissuta fra grandi sussulti emotivi, si ritrovò a pensare all'ineluttabilità del destino, a quello che era accaduto a tutte le persone del suo passato che erano riapparse 53


nella sua mente come in una commedia, immerse in quel grande palcoscenico della memoria che era per lui Spello. Non si allontanò da questa suggestione, ma la assecondò fin quando non si ritrovò sotto il portone della pensione. Era esausto e felice che ci fosse un letto pronto ad accoglierlo.

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6 ITALO

I due giorni restanti trascorsero per Federico fra scocciature burocratiche e lunghe conferenze via Skype con la sua azienda. Fortunatamente la tecnologia disponibile via internet permetteva perfettamente di lavorare anche da dove si trovava. Ciò non sempre però costituiva un vantaggio. Tutti 55


si erano infatti abituati a una sua costante reperibilità e diventava sempre più difficile esser lasciato in pace anche quando era in ferie, come in quel momento. Si collegò più volte con Janet, a metà pomeriggio, per darle il buongiorno e parlare con lei dei programmi per l'estate e le vacanze, le questioni di casa e altre piccole amenità. La trovò un po' tesa e stressata, cosa che lei attribuì al fatto di non esser riuscita a dormire bene negli ultimi giorni. Arrivò così la mattina dell'ultimo giorno a Spello in cui si ritrovò nella hall della pensione con i bagagli fatti e una leggera malinconia che lo iniziava a pervadere. La sua permanenza in quel posto aveva infatti riacceso sensazioni che lui credeva totalmente rimosse e ora il distacco da quei vicoli, quelle piazzette, quegli scorci di storia millenaria costituiva un doloroso abbandono. Nulla lo tratteneva ormai più lì, essendo tutto il suo vecchio mondo ormai irreversibilmente dissolto mentre quello nuovo lo attendeva dall'altra parte dell'oceano. Non poteva però negare a sé stesso che l'esser in procinto di riporre una pietra tombale su un pezzo importante della sua vita lo rattristasse enormemente. Roberto si presentò a sorpresa con un paio di amici alla pensione, giusto nel momento in cui Federico stava caricando i bagagli. Li riconobbe subito, anche se in cuor suo rimase un po' stupito da come gli anni li avessero cambiati. Si scambiarono gran pacche sulle spalle e abbracci prima che lui salisse sull’auto, continuando a salutarli col braccio fuori dal finestrino finché non girò al primo incrocio. 56


Il viaggio per Milano sarebbe durato più di cinque ore e aveva previsto di fermarsi a pranzo dalle parti di Nonantola, vicino a Modena, alla trattoria “Italo Pedroni”, un posto reso famoso dall'ottimo cibo, dai prezzi contenuti e dal fatto che il titolare era un vero e proprio personaggio. “ M a l t r a ttava” i clienti obbligandoli a depositare i telefonini spenti in un box prima di entrare in sala, serviva sempre prima gli uomini delle donne e applicava tante altre piccole angherie, artatamente ideate per ottenere un certo clima di terrore, ma anche di forte ilarità. Più di una volta aveva visto sbattere fuori persone e coppie perché si eran permesse di spegner la sigaretta nel piatto. Esisteva infatti tutta una graduatoria di “reati”. Quest’ultimo era da cartellino rosso, per Italo. A Federico, tutto sommato, non dispiaceva dover fare quel lungo viaggio. Il paese che gli scorreva sotto le ruote mentre guidava restava sempre uno dei più belli del mondo, anche se erano troppe le cose che lo avevano umiliato e depresso negli ultimi anni. La vita in Canada era enormemente più semplice e molto meglio organizzata, tutto funzionava perfettamente. Ma gli odori della terra, il sole, i vicoli, le chiese e tutte le altre meraviglie che lui ricordava dell'Italia erano dei veri e propri miracoli irripetibili. Era un po’ come vedere una donna ricoperta di stracci, ma pur sempre di una bellezza unica. Procedeva con calma pensando a Janet e al fatto che l'indomani l'avrebbe rivista e proprio in quel mentre, quasi fossero telepaticamente connessi, lei lo chiamò. 57


«Ciao amore, stai rientrando?» disse con un tono di voce un po' dimesso. «Ciao piccola ma...sono le quattro di mattina lì, stai bene??» «Si si, sto bene... faccio solo un po' fatica a prender sonno... volevo solo sentirti.» «Sei sicura che sia tutto ok? Ti ho sentita un po' nervosa ultimamente» «No... è tutto a posto, forse solo stanchezza...» «Ah ok, cerca di non esagerare col lavoro honey. Comunque sono in viaggio per l' aeroporto.» «Si credo sia quello... Bene, allora ti aspetto per domani. Provo a dormire ora. Bacio» disse chiudendo la conversazione senza aspettare la replica di Federico. In passato qualche volta era capitato che Janet avesse avuto momenti in cui era giù di corda, ma in questa occasione a Federico parve di percepire qualcosa di diverso. Si rincuorò però nel accorgersi che lei era tornata al centro dei suoi pensieri quando per un attimo, a Spello, si era ritrovato in alcuni momenti con la mente rivolta a Martina. Era una cosa ridicola, infantile; a cinquant'anni ancora lì a farsi intenerire da nostalgie poco più che adolescenziali. Arrivato a Cesena entrò sulla A1 per imboccare la Bologna-Milano e puntuale, verso l'una, uscì dal casello di Modena Sud, puntando verso la trattoria di Nonantola.

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“Italo non ci sarà più” pensò fra sé, considerando anche l'età che aveva Pedroni quando si erano visti l'ultima volta 15 anni prima “E magari non c'è più nemmeno la trattoria”. Fu perciò sorpreso di rivederlo immobile sulla porta, accigliato e torvo come sempre, perfettamente calato nel personaggio. «Giovanotto conosce le regole, vero?» fu il benvenuto di Italo. «Si si le conosco, niente telefonini. Sa, pensavo fosse morto, visto che son quindici anni che non vengo qui» lo stuzzicò Federico. «Behhh.. l'è andata male caro mio, sono ancora vivo e vegeto e pronto a cacciarla fuori al primo sbaglio!!» Il pranzo fu, se possibile, ancor meglio di quello che Federico si aspettasse. L’unico problema era che per non esser buttati fuori bisognava terminare ogni portata per cui alla fine uscì sazio, ma ingrassato di due chili. Mentre pagava si fermò a fissare il grande muro con appese le polaroid che Italo scattava a chi veniva espulso, in modo da ricordarsi il volto della persona, nel caso tornasse. Era un trovata geniale e che, ovviamente, aveva uno scopo poco più che folcloristico. Scorrendo le foto vide volti di gente che rideva, altri arrabbiati, altri sorpresi, donne che urlavano in direzione dell'obiettivo poi, quasi per caso, ne notò una che attirò la sua attenzione. La si vedeva solo per metà perché era infilata sotto le altre. Non capiva bene cosa lo incuriosisse poi notò che il ragazzo nell’immagine indossava una camicia militare, continuò a scrutarla 59


a lungo finché si rese conto: era la camicia che aveva comprato al mercatino della Nato a Perugia trent'anni prima. Quel ragazzo era lui. Spostò la foto e, come per incanto, vide apparire Martina al suo fianco. Un flash gli illuminò la mente e ricordò perfettamente quella giornata. Avevano praticamente finito di mangiare e lei, che aveva insistito per farsi portare da Italo nonostante la distanza da Spello, gli chiese: «Accidenti non son riuscita a farlo arrabbiare, come possiamo farci espellere?» «Semplicissimo, quando vedi che é in zona prendi una forchetta e inizia a mangiare dal mio piatto. Ci butta fuori in due secondi.» Detto, fatto. Tre minuti dopo erano in strada e la loro foto appesa in bacheca fra i “vips”. Finito di pagare approfittò di un momento di distrazione di Italo per staccare la foto dalla bacheca e riporla nella busta che teneva in tasca e che conteneva la lettera di Martina, dopodiché ripartì per Milano. La radio trasmetteva “Never gonna give you up” di Rick Astley mentre si avvicinava allo svincolo di Piacenza per proseguire in direzione Milano-Malpensa. Quel brano gli aveva sempre trasmesso una certa euforia sin da quando era esploso come successo internazionale nel ’87, d'altro canto quegli anni a cavallo tra gli ’80 e ’90 erano stati molto prolifici di successi e quel pomeriggio Radio 105 Classic li stava passando tutti in rassegna. Procedeva con calma, essendo in ampio 60


anticipo sull'orario del volo e osservando la progressione inversa dei cartelli segnaletici che tracciavano un countdown di distanza dallo snodo autostradale. Cinque chilometri, due e mezzo, uno e mezzo... Proprio in quel momento Federico decise di spostare la giacca e riporla sui sedili posteriori e il movimento, in maniera del tutto casuale, fece uscire la busta che teneva in tasca, lasciando spuntare la foto fatta da Italo venticinque anni prima. Martina puntava gli occhi fissi su di lui, quasi volesse mandargli un messaggio attraverso il tempo. Faticando a restare concentrato sulla guida prese in mano la polaroid e la portò sul volante, in modo di poterla guardare mantenendo sullo sfondo la carreggiata. L'immagine gradualmente si sovrappose a quella del cartello che diveniva sempre più grande e che indicava, da un lato direzione Milano, dall'altro La Spezia. Doveva proseguire dritto per l'aeroporto ma in quell'istante il dj alla radio, con tempismo perfetto, fece entrare in assolvenza “If you leave me now” dei Chicago. Le immagini del presente e del passato iniziarono a confondersi nella sua mente e si sentì nuovamente travolgere da una forte emozione poi, quasi di riflesso, la sua mano destra iniziò ad esercitare una leggera pressione sul volante facendolo ruotare di poco. La macchina, dolcemente, prese così a svoltare per imboccare la direzione ligure. Era stata una decisione d'impulso, irrazionale. Per una volta, dopo molti anni, aveva seguito il suo istinto e ora si af61


facciava su un sentiero che conduceva verso una meta ignota. Come poteva però pensare di andare a cercare Martina a Roses? Che senso aveva quella decisione? Lei si era sposata, aveva probabilmente figli e a distanza di così tanto tempo era logico pensare che se anche l' avesse incontrata lui le sarebbe apparso come un estraneo. Eppure, nonostante ciò, provava una certa euforia. Stava godendosi un momento suo ed era una dimensione nuova, che lo faceva sentire vivo. Chiamò la compagnia di noleggio dell'auto e spiegò il cambiamento. Non fecero obiezioni chiedendo solo di ricevere una conferma via email prima che passasse il confine. Telefonò al suo capo a Toronto e inventò una storia un po' inverosimile, ma a cui probabilmente lui fece finta di credere. Erano molto amici e Federico non s'era mai opposto quando in passato era capitato di dover far le ore piccole o lunghe tirate sul lavoro. Non era certo uno scansafatiche. Concordarono perciò che poteva rientrare con calma, quando aveva finito di sbrigare le sue cose, purché si rendesse reperibile su Skype tutti i giorni. Con Janet fu più dura. Era la prima volta che le mentiva e la cosa lo turbò molto. Le disse che Steve, il suo capo, l'aveva chiamato chiedendogli di fermarsi in Spagna per un attività di tutoring per un cliente e che lui aveva accettato perché l'avrebbero premiato con un interessante bonus. Janet non fu felice della cosa, ma comprese. Finite queste telefonate si sentì sollevato. Certo restava il problema che stava andando in Spagna a cercare una persona che dopo venticinque anni era diventata probabilmente 62


un'estranea e senza aver la minima idea di cosa dirle, sempre che fosse stato in grado di trovarla. I chilometri scorrevano sotto le ruote della berlina e i cartelli delle uscite sfilavano sotto i suoi occhi con ritmo quasi ipnotico quando la stanchezza cominciò ad attanagliarlo. Decise di fermarsi a Ventimiglia per la notte, prima di procedere verso la Costa Azzurra. Il cielo era incredibilmente terso e le luci del paese iniziavano ad accendersi per illuminare le vie mentre scendeva i pochi tornanti che lo separavano dal centro. Era affamato e di sicuro non si sarebbe fatto mancare una bella cena a base di pesce. Doveva star leggero, il giorno dopo l'attendevano altri chilometri da percorrere e un' incognita a cui, in quel momento, non voleva pensare.

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7 BIENVENIDO

Si svegliò all'alba riposato e rilassato. Uscì sul balcone della sua camera che s'affacciava sul mare e restò a respirare l'aria fresca della mattina. Il sole stava sorgendo e disegnava un riflesso infuocato sull'acqua che dall'orizzonte puntava dritto verso di lui, riscaldandogli il viso. Decise di regalarsi 64


quel momento mentre alcuni ragazzi sotto l'hotel iniziavano a scaricare di tutto da furgoni parcheggiati a poca distanza. Era giorno di mercato e di lì a poco il lungomare si sarebbe popolato di centinaia di persone brulicanti. Dopo la doccia scese per far colazione finita la quale ritornò in camera, accese l'ipad e iniziò una ricerca su internet per tentare di rintracciare Martina. Provò su Facebook e su altri siti social, ma senza successo. Un po' deluso chiuse il trolley, si diresse verso la reception, pagò il conto e uscì per caricare il bagaglio sull'auto e ripartire. L'attendevano ancora sei ore di viaggio, fortunatamente le più piacevoli dal punto di vista paesaggistico. Doveva percorrere la Costa Azzurra, un tratto di Provenza e puntare verso Montpellier per poi entrare il Spagna a La Jonquera. A quel punto, in un'ora, sarebbe stato a Roses. Mentre guidava, appena passato il confine con la Francia, prese il telefono e compose un numero spagnolo. Dopo due squilli una voce maschile rispose da un ufficio situato al secondo piano di una banca in Plaza Catalunya a Barcellona: «Diga?» «Ciao Julio sono Federico come stai?» «Federico che piacere! Sto benone e tu?» «Anch'io grazie. Perdonami se ti disturbo, ma sono in transito per un breve periodo in Spagna e volevo fermarmi per qualche giorno a Roses.» 65


«Ottima idea, bel posto ed è il periodo giusto per andarci» rispose Julio. «Giá, almeno lo spero… Se non ricordo male conoscevi un italiano che aveva una agenzia immobiliare e abitava a Figueres Magari potrei farmi dare qualche dritta da lui su dove alloggiare in zona.» «Direi che cadi in piedi, amico mio. Si chiama Stefano Patrizi e non sta più a Figueres, ma proprio a Roses. L'agenzia si chiama Aic ed è sul lungomare Avenida de Rhode, di fianco al Tramonti Restaurant. Vai pure a nome mio.» «Mille grazie Julio e ricordati di chiamarci quando verrai con Carmen a Toronto, in giugno.» «Puoi contarci. Adiós amigo!» rispose cordialmente Julio congedandosi. Sembrava un segno del destino. Se Martina aveva veramente un bar a Roses probabilmente attraverso Stefano sarebbe riuscito a trovarlo. Verso mezzogiorno si trovava ormai vicino a Montpellier e decise di fermarsi per pranzare, visto che eran quasi cinque ore che guidava avendo fatto solo una breve sosta a Aix-EnProvence per il rifornimento. Il tempo stava iniziando a rannuvolarsi con la rapidità tipica con cui può cambiare in quelle zone in primavera. Trovò una creperie molto carina e pulita e non si fece sfuggir l'occasione di gustarsi le specialità della casa, suggeritegli dal simpatico ragazzo che serviva ai tavoli. Si sedette fuori, nonostante l'incombente rischio di pioggia, non troppo distante da una coppia di anziani che sorseg66


giavano un tè. Mentre li osservava iniziò ad estraniarsi col pensiero cercando di valutare quella situazione in modo obiettivo. Comunque la girasse si ritrovava chiedersi che gli avesse preso: era forse impazzito? Ciò che più lo turbava era la difficoltà nel capire perché non fosse ritornato su quella scelta insensata subito dopo aver svoltato a Piacenza. Non era certo un ragazzino e tali colpi di testa si potevano giustificare solo quando si è molto giovani, nella fase della vita in cui il cuore e l'emozioni prevalgono sulla saggezza e il raziocinio. Aveva vissuto una esistenza piena, ricca di esperienze e non poteva certo ritenersi un immaturo né, almeno se lo augurava, una persona affetta da patologie psichiche. Tuttavia qualcosa dentro lui evidentemente era rimasto a covare nell'ombra, attendendo il momento giusto per venir fuori. Forse Martina non c'entrava ed era lui invece il problema. Era lui ad avere una camera magmatica ben nascosta dentro che ora premeva per espellere lapilli d'ignoto. Si rammaricò della sua incapacità di gestire questa forza che, evidentemente, era in grado di prevalere sulla sua parte razionale, augurandosi tuttavia che la scelta fatta sarebbe servita a fargli conoscere quel suo lato, fino ad allora restato inesplorato. Aveva appena finito di mangiare che iniziò a piovere qualche goccia e il cameriere si precipitò a sparecchiare i tavoli di fianco al suo, mentre la coppietta di anziani si alzava per andare a pagare il conto all'interno del locale. Si accodò a loro, con pazienza, attendendo che l'uomo raccogliesse dal portamonete gli spiccioli per comporre esattamente l'importo ri67


chiesto. La mano gli tremava e faticava parecchio per individuare i pezzi giusti, ma non poté non osservare il modo in cui lo guardava la moglie. Era uno sguardo di grande affetto, non di commiserazione, ma di rispetto. Era li per dirgli con gli occhi “fai con calma, prenditi il tuo tempo. Io sono qui, con te…” Era forse quello che cercava anche lui? Un amore che poteva durare tutta una vita con quello stesso tipo di rispetto e stima che dimostravano quelle due persone sconosciute, eppure così fortemente complici? Non poteva esser quella la risposta. Lui stimava e rispettava Janet, l'aveva amata e probabilmente l'amava ancora. L'amava nello stesso modo in cui si possono amare due persone che stanno insieme da anni, quando le grandi onde della passione hanno cominciato ad abbassarsi per lasciar posto ad un rapporto più lineare, meno sorprendente e fantasioso certo, ma pur sempre in grado di avvolgerti come una grande coperta calda fatta di affetto e attenzioni. Uscito dal locale fece una corsa per raggiunger l'auto mentre la pioggia iniziava a battere forte e tuoni e lampi saettavano nel cielo. Balzò dentro tutto bagnato e ripartì accendendo il riscaldamento per asciugarsi e cercar di evitare uno dei suoi consueti attacchi di mal di testa da cervicale. Poco dopo le tre del pomeriggio, passato il confine con la Spagna, vide apparire all'orizzonte il gigantesco cartellone con il “Toro di Osborne” che segnava il passaggio del confine imperando con tutta la sua maestosità sulla vetta di una colli68


na sulla sua destra. Col tempo era diventato uno dei simboli più famosi di Spagna, anche se in realtà era semplicemente il logo di una azienda che produceva vini e sherry. Transitò di fianco a La Jonquera. Ancora un’ora e sarebbe arrivato a Roses. Il fatto di esser ormai così vicino alla sua meta cominciava ad inquietarlo, ma si adoperò per fare in modo di bloccare subito quel pensiero sul nascere, ripromettendosi che avrebbe affrontato più avanti l'argomento che lo preoccupava e che riguardava come e in che modo avrebbe mai potuto proporsi verso Martina. Sempre che fosse riuscito a trovarla. Ora era fondamentale andare ad incontrare Stefano, l' amico di Julio e farsi dare qualche dritta sul posto e su dove alloggiare. Eventuali domande su Martina dovevano esser poste in modo giusto, da non crear sospetto, poiché Stefano era amico di Julio e di sua moglie Carmen e una parola di troppo sarebbe potuta finire alle orecchie di Janet. Tutti questi ragionamenti sulle strategie da adottare lo infastidivano e preoccupavano, poiché lui era sempre stato sincero con Janet e si sentiva a disagio ogniqualvolta lei gli tornava in mente. Il temporale che lo aveva seguito per un po', dopo la sosta a Montpellier, era ormai alle sue spalle e nuovamente il sole tornava a splender in cielo, facendo salire la temperatura su valori quasi estivi. Questo clima mediterraneo gli mancava terribilmente quando era a Toronto, specie durante l'inverno, quando le temperature canadesi si abbassano ben oltre i meno venti gradi e la gente passeggia sotto la 69


città utilizzando “The Path”, un tunnel pedonale di ventinove chilometri che scorre sotterraneo, perfettamente attrezzato, lussuoso, pieno di negozi e centri commerciali e che permette di spostarsi da edifici distanti fra loro senza dover mai salir in superficie. “Bella opera architettonica ma… meglio il clima di qua” pensò sorridendo. Finalmente imboccò la strada che incrociava il lungomare sul quale si trovava l' agenzia di Stefano. Turisti, perlopiù inglesi, si sarebbe detto, andavano nella sua stessa direzione verso la spiaggia per sfruttare gli ultimi raggi di sole di quella giornata. Giunto all'incrocio svoltò a destra, in modo da lasciarsi il mare a sinistra a pochi metri e quasi immediatamente si rese conto d'aver avuto fortuna. Un insegna a bandiera indicava il ristorante Tramonti. Parcheggiò la vettura senza alcuna difficoltà, esattamente sotto il ristorante e si guardò intorno per capire se vedeva il simbolo dell'agenzia immobiliare. Nulla, da dov'era lui non si vedeva alcuna insegna o targa appesa al muro. Entrò nel ristorante e s'imbatte in un tipo rubicondo e il viso simpatico «Disculpe sabría decirme dónde está la agencia Aic?» esordì nel suo fluente spagnolo. «Usted es un hombre afortunado. L'Aic está arriba » Perfetto, problema risolto. Era al piano di sopra. Nel ringraziarlo scoprì che si chiamava Enrique ed era il titolare di Tramonti. Già che c'era prenotò un tavolo per cena. 70


La scala interna che portava all'agenzia era stretta e ripida e terminava con una porta bianca elegante, su cui però non appariva alcun cartello. Bussò due volte finché non sentì la serratura scattare. Sulla porta apparve una ragazza mora molto bella, sui trent'anni, carnagione scura con lunghi capelli bagnati tirati all'indietro, avvolta in un bianco e morbido accappatoio. Dall'interno dell'appartamento perveniva un “tappeto” musicale chillout. «Buenas tardes, usted quiere hablar con Stefano?» esordì la ragazza. «Si grazie, sono Federico un amico di Julio di Barcellona.» «Ahhh Federico, accomodati» si sentì rispondere da Stefano che però dalla sua posizione non era visibile, in quanto nascosto dalla balaustra e dai pochi scalini interni ancora da percorrere prima di affacciarsi sulla sala. «Julio mi ha chiamato poco fa e sarò ben felice di aiutarti se posso, intanto se vuoi rilassarti e farti un bagno, non far complimenti.» Mentre ascoltava Federico aveva salito gli ultimi gradini e si era affacciato sulla sala. Rimase a bocca aperta nel vedere al centro della stessa una grande vasca circolare in cui era immerso Stefano, un bel uomo brizzolato e abbronzatissimo, con altre due “silflidi” dello stesso stampo di quella mora che gli aveva aperto la porta. Tutti rigorosamente come madre natura li aveva fatti. Anche la mora si tolse l' accappatoio e s'im71


merse con loro. Sul bordo della vasca imperavano bottiglie di champagne e cocktails. «Grazie per l’offerta ma preferirei andare in albergo per disfare la valigia e far qualche telefonata. Avresti mica una dritta da darmi per alloggiare in un posto confortevole qui a Roses?» «Ti ho già prenotato una suite all’Almadraba Hotel. È ad un chilometro da qui, sempre sul lungomare. Stesso prezzo di una singola. Conto ancora qualcosa a Roses!» «Accidenti che efficienza, non so come ringraziarti! Poi magari domani, se non ti disturbo, ripasso di qui per chiederti qualche altra informazione» concluse Federico. «Nessun problema, ma tieni conto che se ti va possiamo andar a cena insieme anche già stasera.» «Fantastico, ho prenotato un tavolo qui sotto al Tramonti quindi volentieri. Alle dieci va bene?» «Benissimo Fede, a despues...» lo salutò Stefano. Se non altro era un tipo simpatico, anche se probabilmente un po’ puttaniere, ma quelli eran cavoli suoi. Alla sera a cena avrebbe avuto l'occasione perfetta per indagare con lui, magari sfruttando i fumi della sangria che di certo sarebbe scorsa a fiumi, visto il soggetto. Uscito da casa di Stefano, che evidentemente fungeva anche da sede della sua agenzia, salì in macchina per dirigersi verso l’hotel. Costeggiò il lungomare ricevendo un paio di telefonate di lavoro. Quello sarebbe potenzialmente potuto divenire un problema nei giorni a venire. Il fuso orario era in72


fatti sfasato in modo tale che la notte spagnola corrispondeva al pomeriggio canadese e lui non poteva certo negarsi negli orari di lavoro, vista la parola data a Steve in cambio del nullaosta ricevuto per starsene un po’ in Spagna. Arrivato in albergo rimase colpito dalla sistemazione di lusso che Stefano gli aveva organizzato. Era stato davvero ospitale ed era chiaro che come PR ci sapeva fare. Chissà che gli aveva raccontato Julio a proposito di lui. Aprì il Mac, accese Skype e subito lampeggiarono due alerts: una videochiamata da Janet e l’altra da Geoffrey, un suo collega. Rispose a quella di Janet. Nel video lei gli apparve con un sorriso accennato e due profonde occhiaie. «Ciao piccola, che bello rivederti. Ma hai dormito stanotte?» «Ciao amore, non molto. Sono giorni di tensioni sul lavoro, abbiamo consegne urgenti e arrivo sempre all’ultimo. Ho davvero voglia di staccare e di andarmene a far un giro in un posto fuori dal mondo, sola con te, senza rotture. Tu come stai? Dove sei ora?» «Io sto bene, sono a Roses. Preferisco alloggiare qui, il cliente è a Figueres, che non dista molto, ma almeno alla sera quando torno e mi affaccio alla finestra vedo il mare» disse, cercando di rendersi credibile. Parlarono delle solite cose per qualche minuto poi Janet, per un attimo, a metà del discorso, spostò lo sguardo verso qualcosa che era evidentemente appoggiato sul tavolo, fuori dal campo visivo della webcam. Continuò a parlare ancora 73


un po' palesemente distratta, infine si congedò da lui in modo decisamente frettoloso. Quasi sicuramente aveva settato il cellulare con la suoneria azzerata e ricevuto una chiamata. Era l’unica spiegazione plausibile. Dunque anche lei custodiva un segreto. Cercando di analizzare la questione con freddezza a Federico risultava una sola spiegazione per questo suo comportamento anche se gli pareva inverosimile: forse aveva un amante. Si appoggiò sul bordo del letto guardando fuori dalla finestra, mentre il sole lentamente precipitava nel mare, dando inizio al quotidiano rito del tramonto. Avvertì la precisa sensazione di esser sull'orlo di un baratro e si sentì svuotato di tutte le forze. Pensò a quanto poco può bastare perché da una situazione di calma e stabilità possa scatenarsi una tempesta in grado di cambiare la morfologia delle nostre esistenze e di quanto tutto nella vita sia così precario. Non riusciva immaginare chi potesse essere, forse un suo collega o qualcuno che frequentava la palestra dove lei andava. Janet, nonostante non fosse più una ragazzina, era ancora assolutamente attraente, ed era più che plausibile che ricevesse avances da qualche uomo che le girava attorno. Di certo lei non aveva mai dato adito a sospetti ma, a ben vedere, la cosa sarebbe potuta valere anche per lui e ciò non lo rincuorò. Era chiaro che non era ancora accaduto nulla di compromettente, ma il binario sul quale aveva iniziato a muoversi era quello della menzogna, non c’era dubbio. Dunque tutto poteva essere. 74


I suoi ragionamenti furono interrotti dai popups sullo schermo che segnalavano le continue chiamate di Geoffrey. Controvoglia si decise a rispondergli. Gli accennò di alcune richieste che aveva fatto un cliente di Montreal, che esulavano dagli ambiti di competenza di Federico e per le quali chiedeva comunque il suo supporto. Geoffrey era un bravo ragazzo, un po’ senza palle a dire il vero, ma anche buono e generoso e non se la sentì di mandarlo a quel paese. Gli diede qualche consiglio e lo salutò mentre l’altro si sperticava in ringraziamenti, finalmente rincuorato e sollevato.

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8 ROSES

Non aveva ancora finito di asciugarsi dalla doccia che il telefono in camera squillò. «Hola hombre, ti piace la sistemazione?» esordì Julio dall'altro capo del telefono. Evidentemente aveva parlato con Stefano che gli aveva dato il numero dell'hotel. 76


«Si grazie Julio, Stefano è stato molto gentile. Mi sembra un tipo sveglio e anche molto simpatico» rispose Federico, glissando sui dettagli del suo harem e sull'ambiente modello “Missione Goldfinger” che si era trovato davanti nell'appartamento. «Senti Fede, per la verità non sono questioni mie e non so neanche se faccio bene a parlartene ma... Carmen ha sentito Janet poco fa. Era molto giù di corda e ci siamo preoccupati, sapendoti così distante.» «Grazie amico mio, apprezzo invece molto le vostre attenzioni. Siamo solo in un momento delicato, sai come capita a volte...» replicò non riuscendo a trovare le giuste parole. «Si si capisco, figurati. Ho dovuto però chiamarti o Carmen non la smetteva di martellarmi, se ti serve qualcosa fatti vivo, anche se son certo che Stefano ti assisterà alla grande.» «Ancora grazie e manda un abbraccio a Carmen» concluse Federico mentre finiva di passarsi l' asciugamano sui capelli. Riconsiderò la cosa e decise che non aveva però in mano elementi sufficienti per poter stabilire con assoluta certezza che la situazione fosse quella che aveva ipotizzato. Era troppo scosso dalle cose che gli erano successe negli ultimi giorni e probabilmente stava perdendo di lucidità. Decise quindi di concentrarsi sul suo obiettivo. Martina era probabilmente a pochi metri da lui, da qualche parte, in un bar lì attorno. Si vestì in modo sportivo, ma con un tocco di eleganza. Camicia bianca coi gemelli, giacca blu e jeans. Non era così 77


improbabile che quella sera stessa l'avrebbe incontrata e voleva esser pronto. Scese nella hall dell'albergo che era ancora presto. Guardò fuori dalla grande vetrata verso il mare e vide che il sole era ormai una mezza palla rossa che sprofondava all'orizzonte, regalando un colore caldo a tutto quello che accarezzava. Quale migliore occasione per farsi una passeggiata e magari fermarsi in un locale a sorseggiare un fresco blanco di qualità , attendendo che arrivasse l'orario giusto per la cena? Percorse il lungomare, segnato da un filare continuo di palme, godendosi l'odore di salsedine e lo sciabordio delle onde che s'infrangevano sul bagnasciuga, a pochi metri da lui. Mentre camminava si ritrovò a guardare spesso dietro al bancone dei bar che via via sfilavano dalla parte opposta della carreggiata, nella remota speranza di riconoscere Martina. Certo, poteva essere cambiata e difficile da riconoscere. Pensò alla delusione che lo avrebbe colto nel vederla sfiorita rispetto al ricordo che aveva di lei e si rese conto di quanto presuntuoso fosse quel ragionamento. Era ovvio che doveva essere cambiata. Lui non era forse invecchiato? Pensava di essere ancora il Federico che faceva stragi di cuori da giovane? Beh, si sbagliava e lo sapeva bene. Non che lo si potesse considerare un brutto uomo, anzi. Aveva ancora un fisico longilineo e sportivo, capelli brizzolati e un certo fascino. Ma gli anni lo avevano ovviamente segnato. Se ne era accorto guardandosi nella specchiera di sua madre a Spello e ora si ritrovava spesso a controllarsi nei riflessi delle vetrine, cercando un assolu78


zione che non arrivava. Quella era una battaglia persa. Doveva accettare il passare degli anni e godersi ancora il pezzo di vita che lo attendeva, ringraziando di esser ancora abbastanza in forma. D’un tratto ebbe un sussulto quando vide un piccolo barettino con l'insegna “Martines” e due giovani donne che servivano sangria a profusione agli avventori presenti. Una delle due assomigliava all'immagine mentale che si era fatto di lei. Poteva avere attorno ai quarant'anni, mora, bei lineamenti con un taglio corto un po' sbarazzino. Si avvicinò deciso ad ordinare da bere e si accorse che le pulsazioni avevano accelerato, come avesse precorso uno scatto bruciante. Poteva apparirle così, all'improvviso? E se poi l'avesse riconosciuto e liquidato con due battute, spegnendo in un colpo le fantasie che avevano popolato la sua mente e ricacciandolo in un vicolo a fondo chiuso senza speranze? Quando arrivò a pochi metri dal bancone lei si girò e gli stampò un sorriso in faccia. Per un attimo il tempo si fermò come in uno stop frame. Ma non era lei. Gli ci volle un attimo per riprendersi dallo shock e si rese conto di quanto complicato sarebbe stato affrontare quel momento. Fino ad allora non ci aveva pensato. Creare una strategia, però, sapeva di sbagliato, non sarebbe stato spontaneo nei comportamenti e se c' era uno imbranato a gestire le situazioni artefatte quello era proprio lui. Si sarebbe incasinato facendo errori su errori e rendendo la cosa to79


talmente falsa e innaturale. Meglio correre il rischio e lasciar fare al caso. Dopo essersi scolato due meravigliosi bicchieri di Ossian cominciò ad avvertire il tipico senso di rilassatezza e leggera euforia che ti dona l’alcool. Ne aveva bisogno in quel momento. Si compiacque di quella sensazione che lo accompagnò fino a quando salì i gradini del Tramonti per dirigersi al tavolo che aveva prenotato. Non s’era ancora seduto che il cameriere fece “atterrare” sull'elegante tovaglia bianca una bottiglia di Crystal seguita, quasi in contemporanea, dall'arrivo di quattro flut e da Stefano che si presentò con due stangone bionde al tavolo. Fu colto di sorpresa, ma non se ne rammaricò. Non aveva, per la verità, in programma una nottata hard, ma un po' di compagnia spensierata gli faceva piacere. Osservando il terzetto capì che probabilmente non avrebbero disquisito sul Trilemma di Agrippa, ma di tematiche meno impegnative. «Caro Federico ti presento Olga e Tatiana» annunciò Stefano strizzando l'occhio. Quello doveva proprio avere il chiodo fisso. «Nice to meet you, ragazze» replicò Federico, scostando la sedia con un gesto di cavalleria per far accomodare Tatiana che era la più vicina a lui, lasciandola piacevolmente sorpresa per quell'attenzione riservatale. Probabilmente nelle sue abituali frequentazioni non erano consueti quei moti di galanteria. 80


La serata passò via liscia come l'olio. Stefano era un ottimo intrattenitore e nemmeno lui si tirava indietro, se era nello spirito giusto. Riciclò qualche pezzo del suo repertorio di battute e le ragazze si divertirono parecchio. Via via che i bicchieri sfilavano, inevitabilmente, si allentavano i freni inibitori e, tra lui e Tatiana, iniziò a crearsi una certa complicità. Il copione era già scritto. Si vedeva già immerso nella vasca, stordito dall'alcool, a scambiarsi le valchirie con Stefano. Quante volte in gioventù aveva trascorso serate simili e quante volte s’era svegliato con un cerchio alla testa ricordandosi poco o niente di quello che era accaduto durante la notte. Poi, d’improvviso, si ricordò del suo obiettivo. Doveva ottenere informazioni su Martina e forse il fatto che fossero tutti un po’ ubriachi l'avrebbe aiutato a far passar senza sospetto la domanda che doveva formulare. Era anche vero che Stefano non si era fatto grandi scrupoli nei suoi confronti, presentandosi con le due ragazze al tavolo, non sapendo ancora bene che tipo lui fosse, né se avrebbe gradito “l’offerta". Forse era superfluo preoccuparsi della cosa. Quasi avesse capito a cosa stava pensando Stefano gli bisbigliò all'orecchio : «Non preoccuparti Fede, Julio è stato il primo a dirmi di farti distrarre un po' e, non credere, anche a lui piaccion questo tipo di... distrazioni... » “Apperò” pensò fra sé Federico, vedi il buon Julio, zitto zitto... A quel punto decise di lanciarsi. 81


«Senti Stefano, io sto cercando una persona che ha un locale, credo un bar, qui a Roses. È una donna italiana, sui quarant'anni e si chiama Martina De Marchi. Forse però si è sposata e ha acquisito il cognome del marito, che non conosco.» Stefano lo guardò per un attimo perplesso, evitando d'indagare sui motivi di quella strana richiesta. Poi si appoggiò una mano sul mento, in atteggiamento pensoso. «Dunque vediamo...Martina...italiana...No, direi proprio di no. Roses conta ventimila abitanti e ti assicuro che conosco tutti i bar e i locali di qui. Il fatto che poi sia italiana restringe l'ambito di ricerca. Magari abita in zona e può darsi che mi sbagli, ma in questo caso fa sicuramente un altro lavoro.» La risposta lo spiazzò in pieno. Se Stefano non poteva aiutarlo come diavolo avrebbe fatto a trovarla? Gli venne il dubbio che la moglie di Roberto avesse sparato l'informazione a caso, poi si tranquillizzò, ricordando la certezza assoluta con cui aveva affermato dove si trovava Martina e il fatto che Roses non era Barcellona o Madrid. A nessuno verrebbe in mente quel posto, a caso. Chiaramente poteva anche essersi sbagliata. Lui però non aveva altri appigli. Si trovava aggrappato ad una sporgenza, senza corda di sicurezza e doveva uscire da quella situazione. Poteva averla persa per sempre se non recuperava qualche altra informazione su di lei. Era rimasto troppo scosso dall'insuccesso del suo piano per aver voglia di finire la serata in baldoria. Evitò perciò di aderire all'offerta di Stefano che insisteva perché si spostasse82


ro tutti a casa sua. Tatiana lo guardò un po' delusa, ma era certo che l'indomani lei si sarebbe consolata ugualmente con qualche nuovo pretendente. “…Storia di una amore nato e finito all'interno dell'arco temporale necessario per scolarsi cinque caraffe di sangria, in quattro”, pensò Rientrò in albergo verso le due e mezza, decisamente stanco. Si buttò sul letto e iniziò a guardare il soffitto cercando di raccogliere le idee. Forse poteva chiamare Lidia De Marchi inventando una scusa. C'erano però due problemi da risolvere: come recuperare il telefono di Lidia e che tipo di balla inventarsi per farsi dire dov'era Martina. No, la cosa non stava in piedi. Non aveva neppure una foto, se non quella di lei da ragazzina, non sapeva che aspetto potesse avere ora. Insomma, era al punto zero. Con questi pensieri che gli ronzavano in testa faticò tremendamente ad addormentarsi. Si assopì solo verso le quattro. Fortunatamente nessuno aveva chiamato dal lavoro, risparmiandogli almeno quella rottura, ma non sapeva da dove ripartire. Passarono due giorni in cui le tentò tutte. Si rivolse persino ad alcuni PR italiani dello “Chic”, famosa discoteca di Roses. Martina non aveva certo più l'età per frequentare quegli ambienti, ma quei tizi conoscevano tutti in paese. Erano amici di Stefano e si diedero da fare coinvolgendo anche gente di 83


Figueres, nel caso l'informazione fosse sbagliata e il posto dove cercare fosse invece quello. Niente. Sembrava che nessuno in quella zona la conoscesse. Iniziò lentamente a convincersi che era una ricerca inutile e fu preso da un grande senso di sconforto. Magari lei da tutt'altra parte del mondo. La mattina del terzo giorno a Roses aprì l'ipad e cominciò a guardare i voli per il ritorno. Si sentiva sconfitto e svuotato. Sapeva che una volta a Toronto avrebbe forse dovuto affrontare Janet e capire cosa stava succedendo. Le chiacchierate fatte con lei su Skype nei due giorni trascorsi gli avevano ulteriormente acceso dei sospetti. Una sera addirittura gli era parso di vedere sullo sfondo, appeso all'attaccapanni del loro ingresso, un giaccone sportivo con ganci cromati che lui non ricordava di possedere. Ritenne però assurdo che, nel malaugurato caso la situazione fosse quella peggiore da lui immaginata, Janet lo chiamasse dal pc usando la webcam con l' amante in giro per casa. Poi si ricordò che l’aveva comprato ad Aspen tre anni prima. Stava diventando paranoico. In tutti i casi doveva però ammettere a se stesso di aver fatto una idiozia lasciandosi trasportare da un idea assurda. Rimase per un attimo incerto col dito sullo schermo poi cliccò sul tasto “confirm” per acquistare il volo Iberia che il giorno successivo l'avrebbe riportato a casa. Avventura finita. Back to reality... 84


Uscì per godersi in qualche modo quell'ultima giornata che si preannunciava splendida e con un gran sole. Puntò dritto al bar delle ragazze che aveva visto la prima sera, quello con l'ipotetica sosia di Martina. La ragazza dai capelli corti lo riconobbe e si fermò a parlare con lui mentre gli serviva una cerveza. «È a Roses per lavoro?» domandò passando un panno umido sul suo tavolo. «No, cerco una persona. Una donna, italiana che pensavo si fosse trasferita qui.» «Questioni di cuore?» azzardò lei «Già...questioni di cuore. Irrisolte. Ma solo dal lato mio, mi sa...» replicò Federico fissando la schiuma nel bicchiere di birra. «Mi perdoni, quindi lei è venuto fin qui dall'Italia per cercare una donna, senza nemmeno sapere esattamente dove sta?» insistette lei. «Si, solo per questo.» «Beh io dico che se un uomo facesse questo per me mi farei trovare, anche senza sapere che mi cerca» disse la ragazza sospirando. Lui le sorrise per la gentilezza e restò seduto al tavolo godendosi la tiepida temperatura di quel fine Maggio, decisamente più caldo anche rispetto alle medie stagionali di quei posti. Poi, accendendosi un sigaro, notò che le autovetture che passavano sulla strada, di fianco alla distesa dei tavoli, iniziavano a rallentare. Una Jeep stava uscendo dal parcheg85


gio e aveva costretto le altre auto a fermarsi. Dopo qualche colpo di clacson lentamente ripartirono ma la Jeep, che ora conduceva quella breve fila, procedeva ad andatura lentissima. Contò una, due, tre autovetture sfilare, poco distanti dal suo tavolo, finché transitò una Smart Cabrio bianca. Alla guida c'era una giovane ragazza, elegante e abbronzata. Quando fu esattamente di fianco a lui, sfruttando la velocità a passo d'uomo della fila, per un attimo girò la testa nella sua direzione ad osservare una vetrina. Gli venne un colpo. Era Martina. L'onda adrenalinica lo colpì in pieno, quasi paralizzandolo, mentre la Smart procedeva e usciva dalla sua zona di prossimità. A breve avrebbe accelerato perché poco più avanti la fila stava iniziando a dilatarsi. Con un balzo felino si mise in piedi e prese a correre verso la piccola cabrio. In quel preciso momento la ragazzina alla guida iniziò a premere sul acceleratore per aumentare la velocità. Entrò in strada come una furia, sbandando nella corsa e trovandosi proiettato al centro della carreggiata, rischiando di venir travolto da un furgone che non lesinò prolungati colpi di clacson mentre dall'interno dell'abitacolo fuoriuscivano improperi a profusione verso Federico. Ma lui ormai era in stato di trans. Aveva il “Marlin” della vita agganciato all'amo e si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che perderlo. La distanza però aumentava, non riusciva a legger bene la targa e a breve l'auto avrebbe svoltato per immettersi su una via più ampia dove sarebbe stato impossibile raggiunger86


la. Optò per una scelta apparentemente scellerata, ma lo fece a ragion veduta. Si allontanò dalla strada, tagliando per un giardino pubblico, contando sul fatto che la Smart avrebbe seguito il corso del traffico. In quel caso, ad un certo punto, se la sarebbe trovata a poco più di quattro metri di distanza, ma senza la possibilità di far nulla in quanto, su quel lato, il giardino era chiuso da una inferriata altissima. Prese quella decisione perché poco prima, mentre era ancora al tavolo, aveva notato che sulla fiancata della vettura c'erano alcune scritte pubblicitarie e se fosse riuscito a leggerle sarebbe stato forse in grado di risalire al proprietario del mezzo. Arrivò con tempismo perfetto, ringraziando dentro sé il suo trainer che in palestra lo massacrava sempre di attività cardiofitness. Stava ormai per raggiungere l'inferriata quando, a tre passi dalla stessa, inciampò sulla radice di un albero e volò al tappeto come un sacco di patate. La Smart sfilava in quell'istante e lui era a terra. Alzando la testa riuscì solo a leggere una parte della scritta inclinata “…aquès”. Troppo poco. Non era più al punto zero ma sarebbe stata dura. L'auto poteva provenire da qualche paese della Costa Brava o persino da Barcellona, cosa che avrebbe reso impossibile la ricerca. Si maledisse per essersi inciampato come un imbecille a pochi metri dal successo, poi si fermò un attimo a ragionare. La ragazza alla guida aveva al massimo vent’anni, non poteva quindi essere Martina, semmai sua figlia. Era un giorno infrasettimanale ed era altamente improbabile fosse venuta per 87


motivi di svago o magari doveva fare qualche commissione. Inoltre quel tipo di auto non era adatta per tragitti lunghi, quindi non poteva venire da troppo lontano. Capì di aver segnato un punto. Se ne ritornò al bar per provare a calmarsi e ordinò un altra cerveza. Clara, la barista mora con cui aveva parlato poco prima, gli si avvicinò. «Confermo anche che se un uomo dovesse far una corsa così per me lo sposerei.» «Già, peccato che sia stata una corsa inutile.» «Non l'ha raggiunta?» «No, ho raggiunto solo un pezzo di sportello su cui ho letto “…aqués”.» «Scritta inclinata verso l’alto?» chiese Clara «Si, inclinata.Perché?» rispose Federico illuminandosi speranzoso. «È la scritta del logo di Cadaqués, un paesino a quindici chilometri da qui sul mare. C'è una della case di Salvador Dalì in quel posto. Molto grazioso, bella scelta ha fatto la sua amica» sorrise Clara, rientrando verso il bar. Ora, finalmente, aveva ritrovato il bandolo della matassa. Controllò dallo smartphone su Wikipedia e vide che Cadaqués contava duemilasettecento anime. Il campo di ricerca si restringeva perciò sensibilmente. Inoltre aveva l'indizio della Smart Cabrio e la descrizione della ragazzina, la cui particolare bellezza non poteva certo passare inosservata in un posto così piccolo. 88


Insomma, a meno di sorprese, stavolta la vera Martina stava per essere trovata.

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9 CADAQUÉS

Rientrò in albergo e per prima cosa cancellò la prenotazione del volo di ritorno. Fortunatamente non aveva ancora avvertito Janet, per via del fuso orario. Ultimò una presentazione che doveva mandare in ufficio entro la giornata e rispose ad un paio di emails che eran giunte durante la notte. Già che 90


c’era controllò la strada per Cadaquès. In mezzora l'avrebbe raggiunta. Scese senza esitazioni nella hall, si fece scaldare un toast che mangiò in tre morsi uscendo per andare a prendere l'auto. Era decisamente euforico. Quella che pareva una missione impossibile ora sembrava decisamente alla sua portata. Mentre guidava per uscire dal centro di Roses e portarsi sulla strada provinciale iniziò a pensare alle prime mosse da compiersi. Chiamò per prima cosa Stefano e lo aggiornò sulle novità, magari conosceva qualcuno a Cadaquès che gli avrebbe ridotto ulteriormente lo sforzo per la ricerca. «Insomma l'hai trovata» disse Stefano, dopo il breve resoconto che gli fece. «Non ancora, ma credo non sarà complicatissimo. È sicuramente a Cadaqués e volevo sapere se c'è qualcuno che conosci in paese che possa aiutarmi.» «Puoi andare da Ramón, è il proprietario del Café de l'Habana, un caro amico. Il locale è facile da trovare, basta che, appena arrivi a Cadaqués, prosegui per la strada e giri a destra costeggiando il mare. Appena passato il porticciolo lo vedi sulla curva. È un posto caratteristico in stile cubano, non puoi sbagliarti. » «Non finirò mai di ringraziarti Stefano» disse Federico. «Figurati è un piacere. Vedrai che stavolta ci sei. Piuttosto ti sposti lì o resti a Roses ora?» «Per ora resto a Roses, poi vedrò.» 91


«Saggia decisione hombre, buena suerte!» concluse Stefano congedandosi. Il tratto di strada che conduceva a Cadaqués era pieno di curve insidiose in mezzo a brulle colline che erano probabilmente bruciate in un incendio recente. Sembrava di addentrarsi verso il deserto. Era ormai a pochi chilometri dal paese e ancora non scorgeva abitazioni o segni di vita. Poi, passato un tornante sulla sinistra, vide apparire Cadaqués in basso, adagiata su un piccolo golfo. Era un villaggio di case bianche dai muri rustici. Sembravano abitazioni di pescatori. A mano a mano che si avvicinava si rese conto che il posto era molto diverso da Roses. Aveva un aria più sofisticata, pur nei suoi tratti spartani. Sembrava una di quelle tipiche località che, una volta scoperte e presi di mira dal turismo, possono perdere la loro anima e trasformarsi in “Barnum” del divertimento. Pareva però che fino ad allora ciò non fosse avvenuto. La particolare posizione del posto, a pochi chilometri dal confine francese e il fatto di esser tagliato fuori dalle grandi arterie di comunicazione, lo avevano preservato e protetto. Capì subito perché Dalì lo avesse amato. Arrivò in paese e seguì le indicazioni di Stefano che si rivelarono precisissime. Parcheggiò l'auto alla bell'e meglio lungo la stradina dopo porticciolo e si avviò a piedi verso il Café de l'Habana . 92


Aprì il pesante portone di legno ed entrò nella prima saletta del locale. Si rese subito conto che il posto doveva esser chiuso al pubblico in quell'orario perché le sedie erano girate sui tavoli e il pavimento bagnato emanava un forte odore di detergente. Era un ambiente estremamente particolare, fatto di tante piccole stanze, collegate l'una con l'altra da aperture ad arco che trasmettevamo un grande senso d'intimità e calore. Sui tavoli erano posizionate lanterne a candela e non era difficile immaginare quanto potesse esser suggestivo di sera sorseggiarsi un rum in quel posto, magari in compagnia della persona amata. Dalla sala di fianco a quella in cui si trovava si avvertivano le voci di due persone che parlavano, interrompendosi spesso con sonore risate. Si sporse dal muro e vide un uomo corpulento con grandi baffi e un grembiule annodato in vita intento a scaricare bottiglie di vino da uno scaffale e una donna anziana con i capelli raccolti che teneva in mano uno spazzolone da pavimenti. «Buenas tardes, quiero hablar con el seńor Ramón» esordì Federico. «Eccomi. Lei chi è?» rispose il baffone, sospettoso. «Sono un amico di Stefano dell'agenzia Aic di Roses. Mi ha dato lui il suo riferimento» replicò Federico per tranquillizzarlo. «Gli amici di Stefano sono anche amici miei! Come sta quel disgraziato?» disse Ramón sorridendo disteso. «Direi che sta benone.» 93


«Mi fa davvero piacere. Posso fare qualcosa per lei? Purtroppo il locale ora è chiuso, apriamo solo di sera, ma se deve mangiar qualcosa ci arrangiamo.» «La ringrazio ma avevo solo bisogno di un informazione. Cerco una donna che si chiama Martina De Marchi e che dovrebbe avere un locale qui a Cadaqués.» «Ma certo, la Marti! Ha il Jazz Rock Café sulla piazzetta, che sicuramente lei ha costeggiato arrivando con l'auto. Sono amico della sua socia, Estrella, ma conosco bene anche lei. A quest'ora loro sono aperti, la troverà sicuramente lì.» Ce l'aveva fatta. Era stato a un millimetro da cedere solo poche ore prima e ora si sentiva carico di mille energie. Non vedeva l'ora di prendere l'auto e raggiunger la piazzetta. Ringraziò Ramón e la donna che era con lui, che scoprì esser la madre, e uscì come un razzo per andare a recuperare l'auto. Salito in macchina si fermò un minuto per raccoglier le idee. Era arrivata l'ora fatidica e lui si era ripromesso che avrebbe agito in maniera istintiva, qualora fosse riuscito a rintracciarla. Venne però assalito da molti dubbi e si rese conto che sarebbe stato meglio elaborare un minimo di strategia per poterla avvicinare. In primo luogo era molto probabile che fosse sposata. Sapeva che aveva una figlia ed era plausibile che la stessa lavorasse nel locale. Non era facile prevedere che reazione avrebbe potuto avere la madre, con la figlia accanto, nel vederlo. 94


Poi c'era un altro problema: sicuramente lo avrebbe riconosciuto ma, con ogni probabilità, avrebbe giusto speso qualche minuto con lui per ricordare i vecchi tempi e l'avrebbe liquidato, magari invitandolo amichevolmente a ripassare dal locale per venirla a trovare nei giorni successivi, finché non fosse ripartito. Era la cosa più logica che sarebbe potuta accadere. Dopo venticinque anni potevano essere ormai due estranei perché il tempo, oltre alle cose, cambia anche le persone. Il suo tempo poteva non esser stato il tempo di Martina. Restò per qualche istante con gli occhi chiusi e la fronte appoggiata sul volante dell'auto, poi accese il motore. In tre minuti raggiunse la piazzetta che era vicinissima e parcheggiò. Scese dall'auto e sentì il bip del telefono che segnalava un messaggio in arrivo. Cliccò sullo schermo ed apparve un sms. «Call me. Steve.» Restò per un attimo perplesso guardando lo schermo dello smartphone. Quello non era lo stile di Steve, era un messaggio troppo conciso. La cosa lo mise in agitazione per cui preferì richiamarlo subito al cellulare. Dopo qualche squillo Steve rispose. «Ciao Fede, ti ho chiamato perché temo d' aver combinato un casino.» «Siamo andati oltre la dead line per la consegna della nuova collezione di sneakers?» chiese Federico, sapendo quanto fosse importante quel progetto. 95


«No no, ho fatto casino con Janet che mi ha chiamato per chiedermi il nome di una freelance con cui ho lavorato. Parlando del più e del meno ho dato per scontato sapesse che tu eri in Spagna per vedere una casa da affittare a Barcellona, come mi avevi detto, e lei si é zittita. A quel punto mi son reso conto che le avevi dato una versione diversa.» «Cazzo Steve, questo fa piovere sul bagnato!» sbottò Federico. «Senti Fede, io posso capire tutto, ma non sono scemo. Sei lì per una donna. Magari siete un po' in crisi e volevi farti una vacanza con... relax . Detto ciò non sono cazzi miei, ma se tu me l'avessi detto subito magari avrei evitato di entrare sul tema con Janet, non credi?» «Si lo so, ma è complicata Steve...» «Guarda, non voglio saper altro perché , come detto, non sono cavoli miei, ma una cosa voglio dirtela: fai attenzione a non perdere una come Janet. È una gemma rara.» “Già...rara, e ora l'avrò ancora un po' più persa di qualche minuto fa” , pensò fra sé. «Ok Steve, grazie del consiglio e non preoccuparti. Non è colpa tua, sono io che ho fatto casino. A presto» disse, chiudendo la comunicazione. Ancora una volta il pensiero di Janet, che lo preoccupava non poco, si era inserito in un momento delicato del suo piano e, come già accaduto in altre occasioni, si sentiva confuso. Martina però era lì a pochi metri e si decise di rimandare il problema alla consueta chiamata della sera. 96


10 JANET

Quella mattina Janet si svegliò decisamente a pezzi. Era un periodo terribile per lei sul lavoro e la mancanza di Federico le pareva insostenibile. Di certo non poteva andare avanti cosÏ e attendere che lui tornasse per capire cosa le stava accadendo. Si sentiva male fisicamente. Chiamò in ufficio e prese 97


un giorno di permesso per andare all' Humber River Hospital a far un ciclo di esami. Era certa di avere qualcosa, ma non capiva di che si trattasse. Mentre guidava aveva chiamato Steve ed era rimasta sconvolta dalla telefonata. Le due versioni contrastanti che Federico aveva dato sui veri motivi del prolungamento della sua permanenza in Spagna, lasciavano solo intendere una cosa: c'era di mezzo una donna. Si sforzò di non chiamarlo subito, anche se l'istinto la spingeva a farlo, perché si stava sentendo sempre peggio e voleva arrivare in ospedale per fretta. Era spaventata, sola e si sentiva tradita e abbandonata. A sua memoria quella era ormai già diventata la giornata più brutta della sua vita. Appena entrata in sala d' aspetto fu subito presa sotto custodia da due infermiere molto professionali che percepirono il suo stato di disagio. Non la avevano ancora fatta stendere su una barella per portarla nella zona delle ecografie e della tac che lei prese a vomitare violentemente, finché non svenne dalla debolezza. Aveva la pressione bassissima e non riprendeva conoscenza. Bip, bip, bip… il monitor di fianco al letto lampeggiava ad indicare il ripetitivo picco del battito cardiaco. Janet si svegliò dolcemente avvertendo ancora un po' di dolori al basso ventre. Di fianco al letto c'era Steve che era stato da lei informato dell'emergenza durante la stessa telefonata che l'aveva preoccupata e turbata. Capitava spesso che quando Federico 98


era in trasferta dicesse a Janet di chiamarlo, in caso di problemi seri. Quella, però, era la prima volta in cui lei aveva effettivamente avuto bisogno di aiuto e Steve non mancò all’appello. Era preoccupato per lei ed imbarazzato per il caos che aveva contribuito a creare. «Ciao Steve» disse lei, aprendo lentamente gli occhi. «Ciao Janet, come ti senti?» chiese Steve, visibilmente scosso. «Meglio grazie, qui son tutti bravissimi. Io però vorrei sapere che cos'ho esattamente, sono spaventata.» Mentre stava per replicare Steve fu bloccato dal professor Miller che aprì la porta della camera di Janet ed entrò con un codazzo di assistenti. Il medico lo guardò per un attimo poi gli chiese di uscire perché doveva parlare a Janet. Passò quasi un minuto durante il quale il professore, con gli occhiali appoggiati sulla fronte, continuò a scartabellare fra fogli e lastre, finché s'interruppe fissando Janet che, nel letto, lo guardava tremando come una foglia. Per un attimo l'espressione di Miller restò fissa con gli occhi su di lei poi, inaspettatamente, si aprì in un grande sorriso. «Pare sia in arrivo un erede dunque.» sentenziò Miller. Janet rimase a bocca spalancata. Era l'ultima cosa che avrebbe creduto. Certo, aveva saltato un ciclo mestruale, ma era già accaduto in passato senza alcuna conseguenza. Inoltre il medico aveva dato a Federico pochissime speranze riguardo al fatto che potesse avere figli. Insomma era accaduto un miracolo ma, purtroppo, nello stesso giorno in cui lei ave99


va scoperto che suo marito probabilmente, e magari anche in quel preciso istante, era dall'altra parte del mondo a scoparsi l'amante. Steve rientrò e lei gli comunicò la notizia. «Ma è una cosa bellissima Janet!» esclamò, sinceramente felice per lei e Federico. «Si, direi che è un miracolo. Devo però chiederti un grande favore.» «Volentieri , tutto ciò che vuoi. Dimmi pure.» «Se senti Federico non dirgli assolutamente nulla.» «...ma Janet, come puoi tenerlo all'oscuro di una notizia così?» chiese lui stupito della richiesta. «Steve, non sono così stupida come si può credere. Fede è via per una donna, la chiacchierata di stamattina mi ha fatto aprire gli occhi. Il nostro rapporto si è un po' appiattito negli ultimi due anni e credo che lui sia giunto ad un bivio. Voglio che prenda la decisione senza basarsi su questa cosa. Il bambino sarà e resterà sempre anche suo figlio, ma deve scegliere in serenità. Non voglio avere al mio fianco un uomo che passa il giorno a chiudersi in bagno per mandare sms o che s'inventa meeting di lavoro nei week end.» «Capisco, ma sei sicura sia la cosa giusta da fare?» insistette lui. «Si lo è. Federico non è tipo da storiella di sesso fine a se stessa. Se ha preso questa decisione, correndo questo rischio, lo sta facendo per capire cosa vuole dalla sua vita. Io purtroppo non posso farci nulla, se non attendere che lui scelga o andarmene. » 100


Steve si fermò per un attimo a fissarla mentre gli occhi gli s'inumidivano. Capiva la tremenda battaglia interna che Janet dove vivere in quel momento e l’ammirava. Nonostante lei avesse chiaro cosa stesse accadendo in Spagna in quel momento non faceva trapelare alcun risentimento. Era veramente una donna di grande valore e in cuor suo si augurò che Federico facesse la scelta giusta. «Promesso, non dirò nulla. Ma da oggi in poi o io o Susan passeremo da te ogni giorno a trovarti. Spero che ci accetterai come zii adottivi...» disse Steve strizzandole l'occhio. Si strinsero in un abbraccio dopodiché lui uscì dalla stanza e s'indirizzò verso il parcheggio. Doveva mentire al suo amico e la cosa non gli piaceva affatto, ma capiva la posizione di Janet e la rispettava, quindi l'avrebbe fatto.

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11 JAZZ ROCK CAFÉ

La piazzetta di CadaquĂŠs altro non era che un grande rettangolo in terra battuta di circa quaranta metri per venti, sul perimetro del quale erano posizionati alcuni alberi di media altezza, messi lĂŹ per dar ombra alle panchine sottostanti. Uno dei lati lunghi era esposto sul fronte mare mentre gli altri tre 102


erano circondati da piccoli negozietti di artigianato, abbigliamento da spiaggia, da una focacceria e una gelateria. Al centro del lato lungo opposto si leggeva chiaramente l’insegna al filo di neon verde con la scritta in corsivo Jazz Rock Café. Anche questo locale, come quello di Ramón, sembrava più improntato per la sera, momento in cui i turisti rientravano dalle spedizioni al mare e si dedicavano al relax e alle passeggiate in paese. Essendo però posizionato nella zona centrale di Cadaqués il Jazz Rock serviva sia colazioni che pranzi, anche durante il giorno. Appoggiati alle panchine della piazzetta sostavano gruppi di giovani ragazzi vestiti in modo un po’ stravagante e bizzarro, per quegli anni. Sembravano rimasti ai favolosi “Seventies”, sia come abbigliamento che come abitudini. Rollavano canne in tutta tranquillità e bevevano birra. L’odore dolciastro dell’erba si diffondeva piacevolmente tutto intorno. Federico attraversò lo spiazzo ed arrivò di fronte al locale. All’esterno c’erano tavoli con gente che mangiava e beveva, ma alcuni si erano anche posizionati dentro, da dove proveniva una rilassante musica lounge. Era chiaro che la musica era un elemento centrale per quel locale che aveva, nell’area esterna, anche un piccolo palco sul quale, evidentemente, si esibivano spesso gruppi. Notò la Smart parcheggiata in modo approssimativo di fianco all’ingresso con due gomme sul marciapiede e vide, attraverso le finestre, la ragazzina transitare dentro il locale 103


con tre boccali di birra da portare ai tavoli. Prese il coraggio a due mani ed entrò. Lo spazio interno non era enorme. Si trattava di una grande stanza rettangolare che ospitava più o meno dieci tavoli. Sulla destra c’era il bancone dietro al quale sostavano un ragazzo molto giovane di colore e una donna sui trentacinque. Probabilmente si trattava di Estrella, la socia di Martina. Nessuno lo notò più di tanto in quanto erano tutti molto presi ad evadere gli ordini. Il ragazzo chiamò la donna per farsi porgere un vassoio e Federico ebbe la conferma che il suo sospetto fosse giusto: si trattava proprio di Estrella. Si sedette su uno degli sgabelli di fronte al banco e in quell’istante lei alzò lo sguardo e lo notò. Gli sorrise, senza dirgli nulla, mentre finiva di risciacquare dei boccali da birra e asciugarli con uno strofinaccio da piatti. Dopo averli riposti su un ripiano gli si avvicinò. «Bienvenido. Debe comer señor?» chiese con voce melodica. «Si grazie. Vorrei un po’ di boccadillos e una cerveza pequeña.» «Vale» rispose lei. Poi, girandosi, si rivolse verso la cucina che era separata dall’ambiente da due porte in legno stile saloon. «Marti per favore di a Emilio di prepararmi un vassoio di boccadillos e una paella. Se riesci portami la salsa roja, ché l’ho finita.» 104


Era una questione di attimi e lei sarebbe apparsa. L’avrebbe riconosciuto? Come l’avrebbe trovata? Non fece in tempo a elaborare queste domande che le due porte di legno si aprirono e lei apparve con una bottiglietta di salsa in mano. Era cambiata. In meglio. Rispetto al ricordo che lui aveva di lei ora si trovava di fronte una donna leggermente più formosa, incredibilmente armonica. Il taglio dei capelli era però rimasto immutato così come il suo incredibile sguardo. Aveva un colorito ambrato, frutto sicuramente della vita sana in una località di mare e una pelle fresca e vellutata. Dimostrava molto meno degli anni che aveva. Questo suo fascino traspariva in pieno anche se in quel momento indossava solo un paio di jeans e una tshirt del Jazz Rock Café. Provò immaginare cosa sarebbe potuta diventare con un abito corto da sera e i tacchi. Si sentì incredibilmente inadeguato per lei. Gli anni erano passati a velocità differenti per loro, il divario si era ancor più dilatato. Per un attimo rifletté sul fatto di alzare i tacchi e andarsene, lasciando i soldi sul bancone ancor prima d’aver consumato. Poi si calmò e restò seduto. Lei gli diede un occhiata distratta e gli fece un cenno di cortesia abbassando il capo, stesso saluto che rivolse ad una coppia seduta di fianco a lui. Non lo aveva minimamente riconosciuto. Mentre beveva la birra Federico provò a valutare la situazione. 105


Era un quadro peggiore di quanto non potesse immaginare. Nemmeno per un attimo lei si era soffermata a domandarsi chi fosse. Chiaramente, il fatto che si fossero incrociati solo per un istante e l'esser così fuori dal contesto in cui si erano conosciuti anni prima, incideva. Inoltre, il suo aspetto, al contrario di quello di Martina, era enormemente cambiato. Ma era anche possibile che il suo ricordo di Federico fosse entrato, come abbastanza logico, nella scatola delle foto in bianco e nero che si lasciano in soffitta, dimenticate. Quelle che nessuno guarda più. Restava solo una cosa da capire. Com’era cambiata lei dentro. Aveva una figlia e, con ogni probabilità, un marito che forse amava. Ciò avrebbe chiuso definitivamente la porta della speranza. Ma lui, giunto a quel punto, doveva e voleva capire. Finì di mangiare l'ultima tortilla poi ordinò il caffè. Cominciò a pensare che la cosa più logica da fare fosse attendere la fine dell'orario di punta e magari approcciare Martina, dicendogli chiaro chi era. “O la va o la spacca”, pensò. Non gradiva però l'idea di starsene lì impalato o di mettersi a girovagare nei paraggi come un ragazzino che aspetta la propria fidanzatina all'uscita di scuola. Aveva ancora un minimo d'amor proprio per cui prese la decisione di uscire e ritornarsene a Roses, per riordinar le idee. Ormai sapeva dove trovarla e poteva prendersi un po’ di tempo. Il viaggio di ritorno verso Roses fu strano. Dentro sé provava sensazioni contrastanti. In fondo l' esperienza vissuta fi106


no a quel momento era stata tutto un correre sull'orlo di un precipizio e, chissà perché, inizialmente si era convinto che trovarla fosse il vero e unico problema. Si sbagliava di grosso. Ora che sapeva dov'era non capiva come muoversi senza far danni e, in verità, i danni stavano già emergendo. Ad esempio nel suo rapporto con Janet. Dunque non si trattava solo di affrontare questo nodo irrisolto legato al passato e che senza alcuna ragione era così prepotentemente esploso, ma anche capire cosa sarebbe stato di quella che fino a quel momento era stata la sua vita. Giunse a Roses a metà pomeriggio e se ne andò in albergo a rispondere alle emails di lavoro. A Toronto l'ufficio era aperto ed iniziarono ad arrivare chiamate da colleghi e da qualche cliente. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare Janet nel giro di qualche ora e non si sentiva per niente pronto. Si creò una giustificazione preconfezionata per lei, immaginando di raccontarle che si, in effetti, non le aveva detto tutta la verità, ma che aveva pensato al viaggio in Spagna solo starsene un po' da solo, dopo le vicende di Spello. Si sentì davvero meschino a pensare di mentire inventando una giustificazione basata sui sentimenti, eppure in quel momento era l'unica cosa da fare. Si ripromise di non indagare sui sospetti che gli erano venuti riguardo a lei, rimandando la cosa al momento del suo rientro. Verso sera decise di uscire per prendere un po' d'aria e si avviò sul lungomare quando ricevette la chiamata di Stefano. 107


«Dunque l' hai trovata?» «Si grazie, Ramón è stato molto utile.» «Bene mi fa piacere. È una donna che viene dal tuo passato scommetto...» «Si esatto.» «Deve esser una persona davvero speciale se ti sei spinto fino qui per venirla a cercare.» «Il punto è che non lo so. Non so cosa sia diventata lei ora, Stefano. Ho fatto una cosa assurda e non capisco perché.» «In queste cose, amico mio, credo che uno non debba mai chiedersi perché, ma sia meglio lasciarsi guidare dal proprio istinto. Tanto se provi a bloccarlo fa come la lava dei vulcani: trova in altra via per uscire» disse Stefano. «Già...» annuì Federico. Cambiando argomento che fai stasera? Usciamo a bere qualcosa?» «Si volentieri, devo distrarmi. Magari ci vediamo in quel barettino a metà del lungomare» propose Federico. «Ah certo quello di Clara, lo conosco. Ok dai, facciamo per le dieci» approvò Stefano. «Perfetto. A dopo.» Chiuse il programma di posta e aprì Skype. Il nickname Jan21 era già in linea. Lei attendeva la sua chiamata. Dopo due squilli la finestra sul Mac si aprì ed apparve Janet. Aveva deciso di lasciarle la palla e si era preparato ad un accoglienza tesa e aggressiva. Incredibilmente la trovò invece 108


molto dolce e affettuosa. Cominciò a pensare si trattasse di una pantomima che lei avesse studiato ad hoc per vedere come lui avrebbe reagito. Gli avrebbe detto la verità o atteso la sua versione dei fatti per poi sbottare? Era tremendo pensare che tra loro si stava inserendo questo veleno, ma lui sapeva di non aver la coscienza pulita. In un qualche modo la stava già tradendo. Quello di cui non era ancora certo era cosa stesse invece combinando lei. I suoi sospetti potevano essere fondati? Sia in una caso che nell'altro per certo il loro rapporto stava, in quel momento, correndo sulla lama del rasoio. Il tutto mentre i due erano divisi da un oceano. Bisognava solo far si che quella distanza, fino ad allora solo geografica, non si consolidasse anche nei sentimenti fra di loro. Il fatto però che l'argomento della telefonata fatta con Steve non venisse fuori lo stupiva enormemente. Come mai non ne parlava? Gli stava forse concedendo una chance di recupero? Nel qual caso come poteva giocarsela? Continuarono a parlare del più e del meno poi Janet si alzò per andare un attimo in cucina continuando però a parlargli. Spostandosi liberò la vista sul tavolo che c'era dietro la scrivania e Federico notò un pacco, elegantemente imballato con la carta regalo di Harry Rosen, noto negozio di abbigliamento maschile di Toronto. Dallo stesso, appesa con una catenella cromata, pendeva un una busta che probabilmente conteneva una dedica per il beneficiario del regalo. Appena Janet ritornò davanti allo schermo Federico sparò la domanda a freddo. 109


«Bello il pacco di Harry Rosen, è un regalo per me?» Janet inizialmente non capì poi si girò e lo vide sul tavolo dietro a sé. Presa completamente alla sprovvista cercò d'inventare una giustificazione balbettando e arrossendo. «Ah...ehm...dici quello? Beh no...in verità è un regalo per Brian che compie gli anni domani. Abbiamo fatto una colletta in ufficio e io mi son presa l'incarico di andarlo a comprare» disse, incespicando. Federico non ricordava la data di compleanno di Brian, capo di Janet, ma di sicuro non era a metà maggio. Era del Leone, cosa di cui lui si vantava spesso nelle cene, sostenendo i pregi di quel segno zodiacale. Questa volta non potevano esserci dubbi. Nella vita di Janet era entrato un uomo e lei probabilmente stava attendendo solo il suo rientro per dirglielo. Ciò giustificava anche il silenzio di Janet a proposito della bugia da lui raccontata. Una volta a Toronto quel suo passo falso le sarebbe tornato utile e gliel’avrebbe spiattellato in faccia, riuscendo persino a liquidarlo, senza passare da stronza. Doveva aver covato dentro quel risentimento verso lui da molto tempo e deciso di sfruttare quell'occasione che lui le stava offrendo su un vassoio d' argento. Terminarono la conversazione salutandosi come sempre con reciproche affettuosità, che a lui suonarono come totalmente false. Ormai era un gioco delle parti. Appena chiusa la conversazione Janet si girò verso il tavolo e chiamò Steve al cellulare. 110


«Steve, sono Janet.» «Ciao Janet stai bene?» rispose lui dall'auto. «Si tutto bene, ma stasera quando siete venuti tu e Susan avete scordato sul mio tavolo il regalo che lei ti ha fatto.» «Si lo so, scusa avrei dovuto chiamarti ma ho ricevuto una montagna di chiamate dall’ufficio. Susan m'ha fatto una testa così per la dimenticanza. Senti domattina mandami per favore il pacco in sede con un pony express o quella mi ammazza!» supplicò Steve. «Non temere, sarà fatto. Ciao Steve.» «Ciao Janet e... riposati.» Federico era a pezzi. Una cosa era avere sospetti, ben altra avere certezze. Il peso di quella nuova consapevolezza lo schiacciava come un macigno, impedendogli di ragionare. Sentì il bisogno di sfogarsi con Stefano che lo ascoltò per tutta sera pazientemente mentre Clara, passando di tanto in tanto e raccogliendo stralci del loro discorso, s’inteneriva a vederlo in quelle condizioni. Dopo qualche calvados iniziò a sentire gli effetti dell’alcool e finalmente un senso di rilassatezza pervaderlo. A tarda ora Stefano si congedò da lui perché l’indomani in mattinata aveva una serie di appuntamenti con clienti che dovevano affittare case per l’estate. Lo salutò con un abbraccio. Era sorpreso di come, in pochi giorni, fosse nata tra loro un'amicizia. Inizialmente lo aveva giudicato male, considerandolo un superficiale. Era invece 111


una persona intelligente che certo amava divertirsi, ma che sapeva gestire molto bene le relazioni con gli altri, fossero d’amicizia, di lavoro o col gentil sesso. Il bar stava chiudendo e Clara si sedette di fianco a lui a sorseggiare un acqua tonica. «Sei una salutista eh?» disse Federico «No, è che se iniziassi a bere alcool da quando apro alla mattina fino a sera a quest’ora starei strisciando tra i tavoli. Adoro questo lavoro, ma fisicamente ti distrugge» rispose lei. «Tu di distrutto hai poco, credimi. Qui davanti, invece, hai un uomo a pezzi.» «...la tua amica misteriosa?» chiese Clara «Non so, forse non è mai esistita. Forse é solo nella mia testa» rispose lui. Lei restò per un attimo a guardarlo con aria interrogativa. «È complicato Clara, sono io ad esser complicato. Non so cosa mi stia prendendo. Non mi riconosco» proseguì lui. «Sono brava a metter insieme i cocci sai?» gli disse lei, guardandolo dritto negli occhi. Era chiaramente un invito. La fissò per un attimo e inghiottì l'ultimo sorso di calvados. Mezz’ora dopo erano avvinghiati fra le lenzuola a casa di Clara. Federico fece l’amore con foga, in modo animalesco. Lei reagiva ad ogni suo tocco con gemiti e sospiri provocandolo e stuzzicandolo continuamente. Era un fascio di nervi, vibrante, calda. Era quello che serviva a lui, in quel posto, in quel 112


momento. Non si dissero quasi nulla, lasciando parlare la chimica dei loro corpi. Alle cinque di mattina s’addormentarono sfiniti. Verso le sette un raggio di sole rimbalzò sul vetro della finestra semisocchiusa e lo svegliò. Si trovò di traverso nel letto, solo parzialmente coperto dal lenzuolo. Si alzò per andare in bagno e notò che Clara non c’era. Sul tavolo lesse un appunto in cui gli diceva di aver preparato la macchinetta del caffè in cucina e di portar le chiavi di casa al bar, lasciandole alla sua socia, perché lei quel giorno doveva andare a Barcellona e non sarebbe rientrata in giornata. La firma era un bacio col rossetto. Era chiaro che si era trattato solo di sesso. Clara doveva esser abituata a veder sparire gli uomini che passavano da Roses. Per questo non aveva usato fronzoli o mezzi termini con lui. Apprezzò questa sua franchezza e pensò che una donna del genere meritava ben più di rapporti fugaci. Forse però quello era ciò che lei voleva in quel momento della sua vita e il fatto che se ne fosse andata senza chiedergli altro era un messaggio chiaro: “E’ stato bello, ora non roviniamo tutto.” Si sentiva certamente meglio della sera prima ma il magnete interno che lo attirava verso Martina aveva ripreso il suo lavoro e capì che doveva tornare a Cadaqués.

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12 GUARDAMI

Arrivò a Cadaqués verso le nove e mezza e si diresse subito al Jazz Rock. Pochi avventori stavano ultimando la colazione e lui si sedette su uno dei tavoli all’esterno che davano sulla piazzetta. La sera prima doveva esserci stata un bel po’ di baldoria, visto il livello di riempimento dei cassonetti dell’im114


mondizia poco distanti dal locale e il numero di bottiglie di birra infilate dentro enormi sacchi trasparenti, appoggiati a terra. Per prendere l’ordine al suo tavolo venne la figlia di Martina. Lui s’irrigidì per un attimo, imbarazzato, ma lei lo tolse d'impaccio. «Italiano vero?» «Già, si vede tanto?» «Solo un italiano può presentarsi a colazione a Cadaqués con pantaloni chiari, giacca blu e pochette» lo canzonò un po’. «Hai ragione, non me lo vedo molto un tedesco farlo. A proposito, come ti chiami ?» domandò Federico. «Luna. Tu come ti chiami e cosa posso portarti?» domandò lei un po’ sfrontatamente. «Federico. Vorrei mi portassi dei croissant al miele e una spremuta d’arancia. Pensi di farcela Miss Luna?» «Certo Mr Gekko…» rispose lei aprendosi in una risata. Accidenti, era davvero sveglia la ragazza. Aveva subìto capito l’allusione alla famosa battuta di Michael Douglas nel film Wall Street e trovò sorprendente lei lo conoscesse. Mentre era al tavolo, in attesa della colazione, la vide arrivare. Indossava una gonna corta nera e una canottiera aderente bianca che esaltava le sue forme perfette. Quasi avesse letto i suoi pensieri del giorno prima, indossava scarpe con un leggero tacco. Aveva raccolto i capelli, la115


sciando scendere ad arte qualche ciocca sul viso. Un trucco leggerissimo completava il quadro. Evidentemente la sera precedente aveva fatto tardi, lasciando alla figlia e a Estrella l’incombenza dell’apertura mattutina. Passandogli davanti lo guardò e stavolta si ricordò d’averlo visto il giorno prima al bancone. «Salve, ben tornato!» disse, con tono squillante. Federico sentì il sangue iniziare a scorrergli rapidamente nelle vene, riconoscendo le tonalità della sua voce. Improvvisamente si ritrovò proiettato nel passato... lei che gli parlava, tenendo il suo viso fra le mani. «Buongiorno a lei…» balbettò. «Martina, mi chiamo Martina. Credo che potremmo darci del tu, no? Il tuo nome?» gli chiese mentre si avvicinava all’ingresso del bar, tenendo fra le braccia una scatola di croissant. Ecco un altro momento critico, pensò Federico. Doveva dirle il suo nome e forse la somma di quegli indizi le avrebbe risvegliato la memoria. Non era possibile che non avesse minimamente percepito la somiglianza dei suoi lineamenti con quelli di un volto noto e ora, associare quell’indizio ad un nome, l’avrebbe probabilmente aiutata a ricordarlo. «Federico»disse lui, attendendo che i meccanismi mnemonici facessero il loro lavoro. Era certo che avrebbe reagito. Ma si sbagliava. Entrando nel locale, si limitò a dire: «Bene, allora ti chiameremo Fede. Sai a noi, qui al Jazz Rock, non piacciono i nomi troppo lunghi .» 116


Avevano comunicato, certo. Ma lei praticamente non lo aveva visto. Era un estraneo, una persona che aveva appena conosciuto, cosa che probabilmente le capitava quotidianamente con chissà quanti altri, gestendo un locale così trafficato. Restò seduto al tavolo, attendendo che gli portassero la colazione. Si guardò intorno. Cadaqués era davvero bella, sembrava fuori dal tempo. Non era solo il posto in sé ma tutto il contorno, la gente, la musica per le strade, gli odori. S'immaginò quanto potesse esser magica di sera e decise che doveva spostarsi lì. Distava poco da Roses ma il fatto di andarsene, di scegliere Cadaqués, era come fare un omaggio a lei, alla sua Martina. Era dirle “Mi vedi? Sono qui per te, solo per te… Guardami.” Dopo qualche minuto Luna uscì con un vassoio in mano e si diresse al suo tavolo. Mentre appoggiava il bicchiere della spremuta e i piattini coi croissant lui le chiese: «Stasera c’è qualche gruppo che suona qui ?» «Per la verità no, ma... se mi prometti che lo tieni per te, ti rivelo un segreto» disse lei avvicinandosi alla sua sedia e curvandosi leggermente per non farsi sentire. «Promesso» «Beh...Lucas, il ragazzo che lavora al bar da noi è amico di Lee Oskar. E’ a Cadaqués in questi giorni. Gli aveva detto che una sera sarebbe venuto a cena e avrebbe suonato qualche pezzo. Verrà domani.» «Lee Oskar?? Starai scherzando?? Il mago dell’armonica a bocca! » 117


«No, non scherzo. Ma non lo dire a nessuno, o Lucas mi ammazza.» «Tranquilla, resta un segreto fra te e… Mr Gekko, o meglio, Federico» ammiccò lui, strizzandole l'occhio. Forse anche quello era un segnale. Quante probabilità potevano esserci che si ritrovasse di fronte al suo musicista preferito proprio in un posto così piccolo e totalmente sperduto? I miracoli, evidentemente, accadevano. Finì con calma la colazione e si alzò, uscendo sulla piazzetta. Doveva trovare un posto dove alloggiare a Cadaqués e pensò di mandare un sms a Stefano. Dopo due minuti il suo telefono squillò. «Ehi, Rodolfo Valentino!» lo sfottè lui scherzosamente. «Ciao boss, mi sa che ti devo chiedere un altra dritta.» «Figurati, nessun problema. Dimmi pure.» «Ho deciso di spostarmi qui a Cadaqués e francamente non so dove alloggiare. Qualche consiglio?» chiese Federico. «Lo vedi che sei un uomo nato con la camicia? Ho un appartamento sfitto fino al sette giugno proprio a Cadaqués, se vuoi lo puoi usare. È solo un trilocale, ma è in centro, di fianco alla piazzetta.» “Bingo!” pensò lui fra sé. Era il secondo segnale positivo nel giro di pochi minuti. «Grazie Stefano, poi mi dici cosa...» non riuscì a finir la frase che Stefano lo interruppe. «Ma figurati per così pochi giorni! Almeno c'è qualcuno che apre le finestre e me lo tiene in ordine. Stasera se vuoi 118


possiamo mangiare qualcosa da Ramòn, oppure al Jazz Rock.» «Ehm...il Jazz Rock, vedi… è proprio quello il posto...» disse Federico. «Cavolo! È vero, ha cambiato gestione da non molto ma non conoscevo i nuovi titolari. Non c’avevo pensato.» «Non preoccuparti, sei stato fondamentale come aiuto in questi giorni. Passo da te a prender le chiavi dopo che ho finito in albergo, se non ti scoccia.» «Perfetto, a después hombre!» lo salutò Stefano. Rientrò a Roses per far le valige. Ancora una volta stava ripartendo dopo solo pochi giorni. Non andava lontano ma sapeva che anche quello era un addio. Non avrebbe più rivisto Roses, né Clara. La cosa gli spiacque. C'avrebbe tenuto ad abbracciarla e stringerla, a dirle grazie per come l'aveva ripescato dal vortice della disperazione la notte prima. Era stata un angelo e non avrebbe mai potuto ringraziarla abbastanza. Si fermò a sbirciare un ultima volta fuori dalla finestra della sua camera, poi chiuse la valigia e si avviò al piano inferiore per pagare il conto ed andarsene. Arrivò da Stefano e salì velocemente le scale. Gli aprì la porta la stessa ragazza del primo giorno che gli consegnò le chiavi dell'appartamento di Cadaqués dicendogli che Stefano era dovuto andare fuori città per un impegno improvviso e l'avrebbe chiamato più tardi, per raggiungerlo a cena. 119


Tornò in strada e prese l'auto. Percorse un tratto di lungomare e girò a sinistra, puntando verso la provinciale. Sbirciando nello specchietto vide il mare di Roses sparire lentamente dietro sÊ e, con esso, andarsene anche un altro pezzo della folle avventura che aveva intrapreso.

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13 CARRER DE LA MIRANDA

Stefano gli aveva detto che la casa non distava molto dalla piazzetta di CadaquĂŠs per cui decise di parcheggiare nella solita zona di fianco al grande spiazzo in terra, sul lato del mare. Scese con la valigia, gettando un occhiata in direzione del Jazz Rock che, a quell'ora del pomeriggio, era semideserto. 121


Vide solo Lucas che usciva per passare velocemente un panno inumidito sui tavoli. Si chiese quali potessero essere gli orari di Martina e quali fossero le sue giornate libere. Era curioso di sapere della sua vita. Non riusciva ancora a farsi una ragione del perché non l'avesse riconosciuto. D'accordo, erano passati venticinque anni, ma loro non si erano semplicemente frequentati come amici, erano stati amanti. Possibile che a lei non fosse venuto in mente nulla vedendolo? Provò anche a considerare l'ipotesi che l'avesse riconosciuto facendo finto di niente, per timore di un qualcosa che tuttavia lui non riusciva a immaginare. Poi scartò questa opzione. Per quanto una persona possa fingere esiste sempre una reazione non verbale che la tradisce, un momento d'imbarazzo, una pausa o uno sguardo di troppo. Lei non aveva mostrato nulla di tutto ciò. No, non poteva essere. Semplicemente non sapeva chi era. Percorse un breve tratto di strada e guardò sull'etichetta della chiave l'indirizzo di casa : Carrer de La Miranda, 9. Immediatamente si ricordò di sua sorella. Anche quella era una strana coincidenza. Miranda, a distanza di così tanti anni dalla sua scomparsa, gli mancava ancora tremendamente. Lei era sempre stata la sua vera famiglia. Neppure il rapporto con Janet aveva mai raggiunto un tal livello di profondità. Chissà che avrebbe detto di questa sua follia, di questo stupido inseguimento a caccia di un passato che magari sarebbe stato meglio lasciare sepolto. Forse, invece, l'avrebbe 122


capito. Miranda riusciva a comprenderlo meglio di quanto lui non fosse in grado di fare con sé stesso. Si fermò sulla banchina del porticciolo per chiedere ad un pescatore dove si trovasse la via che cercava. Ottenuta l'informazione ripartì con la valigia puntando una stradina in salita che partiva dalla piazzetta. Fece due o tre svolte nei suggestivi vicoli della parte storica di Cadaqués finché sbucò in quello giusto. Osservando i numeri di fianco alle entrate vide che si trovava all’altezza del numero venti, prese a scendere e passò di fronte ad un insegna in legno appesa al muro sopra una porta. Diceva semplicemente: Pilar. Dal profumo che usciva dalle finestre doveva trattarsi di un ristorante. “Se si mangia bene sará comodo averlo così vicino”, pensò. Poco distante notò la targhetta indicante il civico nove e la porta d'ingresso in legno verde, da poco verniciata. Il vicolo, così come quasi tutti quelli di Cadaqués, era costituito da due filari di casette basse, a due piani, contrapposte. Lo stile era rustico, con muri irregolari bianchi e infissi in legno verde scuro. Quasi tutte, al secondo piano, avevano un balconcino con ringhiera in ferro battuto alla quale erano appesi vasi di buganville che conferivano una vivace nota di colore. Girò la chiave nella toppa ed entrò trovandosi subito di fronte una scala ripida che portava al secondo piano. L'appartamento era incantevole. Costituito da un grande soggiorno con angolo cucina, godeva di un ampia camera da 123


letto e di un lussuoso bagno. Era raffinatamente arredato con mobili in legno grezzo, lunghe mensole a muro ed eleganti faretti che diffondevano una luce calda sulle pareti color panna. Poche moderne stampe, di grandi dimensioni e ispirate a particolari in macro delle opere di Dalì, completavano l’insieme. Svuotò la valigia e collegò l'ipad alla dock station che trovò su una mensola. Scelse di ascoltare un album di Lee Oskar. Aprì il Mac e si collegò per scaricare la posta. Tra le tante ce n'era una di Steve che gli raccontava di probabili modifiche all'interno dell'azienda. L'email, su quel dettaglio, non era troppo chiara per cui preferì chiamarlo. «Ciao Steve, come va ?» disse appena lo vide apparire sullo schermo. Notò che era un po' agitato, ma attribuì la cosa alla discussione che avevano avuto per via della gaffe da lui fatta con Janet riguardo al suo viaggio in Spagna. «Ciao Fede, per la verità sono leggermente preoccupato. C'è molto movimento qui in azienda in questi giorni. Vedo entrare ed uscire funzionari di banche e non so cosa bolle in pentola. Penso che Paul abbia in testa di far entrare un fondo di Private Equity nel pacchetto azionario» rispose lui, teso. «Steve, se anche così fosse per noi non sarebbe un problema, anzi. La nostra divisione sta andando molto bene e Paul ti adora, lo sai. Magari è la volta buona che ci propongono dei validi bonus fine anno !» cercò di rassicurarlo Federico. 124


«Sarà, ma credo che faresti meglio a tornare. Non è bene che non ti si veda in azienda in questi giorni» replicò Steve. «Si lo so, hai ragione ma io ... insomma...» incespicò lui. «Fede, sai bene come la penso. Hai Janet qui e credo che lei... » per un attimo fu tentato di dirglielo. Poi, ricordandosi della promessa fatta concluse: «... voglio dire, credo tu le manchi parecchio.» «L' hai sentita ?» «Si , l’ha chiamata Susan ma le ho parlato anch’io.» «E... non è incazzata con me ?» «No Fede, te l'ho detto. Ti aspetta.» Questo conto proprio non gli tornava. “In fondo però, se è stata in grado di tradirmi senza farmi percepire nulla, non vedo perché non dovrebbe poter simulare anche con Steve e Susan”, pensò. Non fece in tempo a finire il ragionamento che si aprì la finestra della call di Janet. Era a casa e non in ufficio, come suo solito. “Strano”, pensò. «Ciao Amore» esordì lei «Ciao, sei a casa?» «Ehm si... ho preferito lavorare da qui oggi. In ufficio stanno facendo dei lavori ed è impossibile concentrarsi con tutto il rumore che c’è.» Lui non se la beveva. “E' a casa per qualche altro motivo…”, pensó. «Beh allora hai fatto bene» disse, fingendo di crederle. «Pensi di averne ancora per molto lì ?» chiese lei. 125


Quel dialogo stava diventando insostenibile perché era chiaro che lei stesse fingendo di non sapere nulla. «Per la verità non lo so, sai, non dipende da me...» disse, rispondendo in modo neutro, non sapendo bene quale strategia adottare. «Ok, allora…torna presto. Ah Fede…» « Si..?» «Mi manchi, torna presto. Bacio» ripeté lei, chiudendo la chiamata. “Torna presto…ecco fatto, aveva concluso con una frase che ora risuonava più come minacciosa che non affettuosa”, pensò Federico. Si fece una doccia e si buttò sul letto per un’oretta, finché il campanello della casa in Carrer de la Miranda trillò e dalla strada si sentì la voce tonante di Stefano chiamarlo: «Hombre, estás en casa?» Federico gli aprì la porta e lui salì le scale a balzi. Aveva sempre un energia assurda e gli venne il sospetto che fosse corroborata da qualche aiutino. «Ti piace la sistemazione? guarda che vista!» disse Stefano aprendo le ante del balconcino dal quale si scorgeva un pezzo di mare. «È davvero molto carina, grazie ancora» «A proposito, forse avrai notato che qui vicino c' è Pilar, non ci crederai ma fa la miglior paella che si può mangiare da qui fino a Girona. Potremmo cenare lì poi andare a berci 126


qualcosa da Ramòn, sempre che tu non preferisca il Jazz Rock...» disse, strizzandogli l'occhio. In questo Stefano era davvero grossolano. Era chiara la visione che aveva delle donne: numeri. Gli sarebbe tornato difficile, se non impossibile, capire che Federico era mosso da ben altra motivazione perciò, evitando di addentrarsi in tale discussione, si limitò ad un «Vada per Pilar e il Café de l’Habana.» Al secondo piatto di paella Federico si arrese. Non l' aveva mai mangiata in vita sua così buona, era semplicemente spettacolare. Anche il locale gli piaceva molto. Per raggiungere la sala, appena entrati, bisognava salire una scala identica a quella che c'era per accedere al suo appartamento. Il ristorante era tutto sul secondo piano e si sviluppava su tre stanze, ognuna composta da quattro o cinque tavoli. Volutamente Pilar, il titolare, aveva contenuto il numero di coperti per mantenere uno standard elevato. Lo stile era sempre in sintonia con quello della località quindi semplice e ruvido, ma pulito e raffinato. Dalle pareti in pietra a vista penzolavano corde in canapa, reti da peschereccio, e qualche lanterna. Nella loro sala, purtroppo, c'erano solo tavoli d'inglesi che badavano a tracannarsi quanta più birra possibile. Di certo avrebbero poi proseguito nella seconda parte della serata in qualche altro locale, fino a ridursi ubriachi fradici. Federico si augurò di non ritrovarseli di nuovo al Café de l'Habana. 127


Durante la cena parlarono delle loro vicende di vita e scoprì che Stefano non si era certo risparmiato in quanto a esperienze. Era anche stato sposato ed aveva un figlio, col quale non andava per nulla d' accordo. La cosa gli ricordò qualcuno. «Se posso permettermi di darti un consiglio trova il modo di riavvicinarti o, quando deciderai di farlo, ti renderai conto del tempo che hai gettato via e potrebbe esser troppo tardi» gli suggerì Federico parlando del figlio ma pensando chiaramente alla sua storia col padre. «Si, è così. A volte però la vita si complica da sola. O forse siamo solo noi che la rendiamo così» replicò Stefano. Federico non poté evitare di considerare quanto mai fosse calzante quell'affermazione in quel momento anche per lui. Pilar venne un paio di volte al tavolo a parlare con Stefano a cui lo introdusse come un grande manager italo canadese. “Come venditore è davvero irraggiungibile”, constatò. Dopo cena decisero di raggiungere a piedi il Café de l'Habana e transitarono di fronte al Jazz Rock. Martina era fuori per servire un paio di tavoli e la vide in lontananza. Indossava pantaloni marroni aderentissimi e una camicetta bianca. Era, come sempre, splendida. Incrociò il suo sguardo e lei gli sorrise, salutandolo con un gesto della mano che lui ricambiò. «È lei ?» chiese Stefano. «Si, è lei» 128


«Una donna così può facilmente far perder la testa ad un uomo.» «Già» si limitò a dire Federico. Era imbarazzato. Nuovamente fu tentato di raccontargli i dettagli della vicenda, ma non riuscì . Aveva pure il vantaggio che quella con Stefano era una conoscenza recente. Probabilmente, di lì a qualche giorno, si sarebbero salutati promettendosi di rivedersi con quella tipica convinzione che si ha in queste circostanze che poi viene sistematicamente smentita dai fatti . Era un amico/estraneo, perfetto per confidarsi. A Roses, la sera prima, gli aveva raccontato senza indugio dei suoi dubbi su Janet, di Steve e di altre questioni private, ma di Martina non aveva detto nulla. Sentiva la cosa come troppo intima per poter esser condivisa e che, senza aver vissuto tutto il percorso a ritroso da lui fatto, sarebbe stato impossibile capirlo. Saggiamente Stefano, resosi conto del suo disagio, glissò cambiando argomento. Il Café de l'Habana si presentò in tutto il suo splendore serale. Appena entrati Ramòn venne loro incontro abbracciando Stefano e stringendo forte la mano di Federico. “Non è un stretta ma una morsa”, pensò lui. Dopo un quarto d' ora dacché erano entrati, e mentre fumavano due sigari cubani che aveva omaggiato loro Ramón, li raggiunse al tavolo una americana, amica di Stefano. Era decisamente sbronza e non la smetteva mai di parlare e bere. 129


Rimase con loro solo qualche minuto, raccontando idiozie assolute e continuando a tracannare superalcolici. Fortunatamente, così come era arrivata, se ne andò appena vide entrare un aitante ragazzotto spagnolo col quale aveva evidentemente una tresca. Federico non si disperò della cosa. Rimasero seduti al tavolo ancora un po’, ascoltando la musica live suonata nel locale da un gruppo cubano poi, proprio sulle note di Guantanamera, vennero interrotti da Ramón che si rivolse a Federico: «Ah Federico a proposito, mi son scordato di chiederti se hai trovato Martina?» «Si grazie, è stato semplice» «Bene mi fa piacere, la conoscevi?» La domanda lo colse di sorpresa. Stava diventando complicato gestire quel tipo di risposte in un micromondo come quello di Cadaqués. «Sono in ottimi rapporti con Philip, il marito. Quando è a Cadaqués passa spesso da qui a bersi un buon Caol» continuò Ramón. Si sentì scuotere. Quella era la prima volta che sentiva parlare del marito, anche se aveva supposto che fosse sposata. Ora però quella supposizione era diventata una certezza con un nome. Doveva fare attenzione a ciò che avrebbe risposto. Se avesse detto che la conosceva la cosa poteva prendere una 130


piega incontrollata e la voce sarebbe giunta magari alle orecchie di lei. Lui, ovviamente, non voleva svelarsi così. Se però avesse detto che non la conosceva e che si era confuso, Stefano avrebbe capito che intendeva nascondere qualcosa. Decise che questo era il minore dei mali. «No, in verità avevo un nome ma pensavo fosse un altra persona.Mi sono sbagliato» «Ah mi spiace. Allora...buon sigaro per adesso !» disse Ramón finalmente congedandosi e sollevandolo da quell’imbarazzante discorso. Stefano lo guardò inarcando un sopracciglio. «Insomma ho trovato un socio a raccontare balle !» aggiunse, scoppiando in una fragorosa risata.

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14 PREGO PER TE

Janet aveva chiuso in fretta la comunicazione con Federico perchÊ stava avvertendo una forte fitta all'addome. La videochiamata le aveva causato molta tensione. Temeva che da un momento all’altro lui le dicesse che era finita, che aveva un'altra. Anche la risposta incerta che le aveva dato sulla da132


ta del rientro l'aveva convinta che il loro rapporto fosse ormai tenuto insieme solo da un filo di speranza. Dalla sua speranza. Era spaventata, terrorizzata dall’idea di esser sul punto di abortire. Decise perciò di comporre il numero di Susan per farsi accompagnare all'ospedale. Steve era fuori ma Susan si precipitò subito da lei chiamando immediatamente anche un autoambulanza, per maggior sicurezza. Arrivarono sul posto quasi in contemporanea e il personale medico presente consigliò un immediato ricovero. Janet a Toronto non aveva nessuno oltre a Federico e a pochi amici. Viveva in Canada da parecchi anni ma era originaria di Fountain Hills in Arizona. I suoi genitori non si erano più mossi da là, anche perché suo padre era da tempo gravemente malato. Neppure a loro aveva parlato della sua gravidanza perché voleva esser sicura di passare incolume la fase critica dei primi giorni. Se fosse accaduto qualcosa di brutto il cuore di suo padre non avrebbe retto. In quel momento Steve e Susan erano i soli di cui si fidava e loro si dimostrarono incredibilmente disponibili e affettuosi con lei. Erano delle persone davvero care. Appena giunta in ospedale, mentre la trasportavano lungo le corsie, si rese conto di avere perdite di sangue e i medici furono costretti a sedarla per evitare che la crisi di panico rischiasse di peggiorare le cose. 133


Seduta di fianco alla porta del pronto soccorso che dava sulla sala del medico di guardia Susan vide transitare una barella con Janet in stato incosciente. Aveva una flebo inserita nel braccio e un colore pallidissimo. Dai volti degli infermieri percepì che la situazione era molto critica. Il suo telefono squillò, era Steve. «Che succede Susan ? Ho trovato quattro tue chiamate» domandò Steve spaventato. «Sono all’ospedale, Janet è stata male. Ho paura Steve, temo stia per abortire» disse lei in lacrime. «Siete all’ Humber River?» «Si.» «Resta ferma lì, arrivo immediatamente tesoro e… vedrai che ce la farà. Il professor Miller è un fenomeno» concluse lui per rincuorarla, ma temendo dentro di sé il peggio. Passarono trenta minuti d’inferno per Susan in attesa che Steve arrivasse finché finalmente, dalla finestra del pronto soccorso, vide la sua macchina entrare oltre la cancellata e fermarsi con uno stridio di gomme di fianco all’ingresso. Lui scese concitato e corse veloce verso di lei finché non la raggiunse e l’abbracciò. Avevano perso il loro primo figlio in un modo analogo e quindi capivano bene lo stato d’animo di Janet. «Hai visto Miller dopo che l’ha visitata?» le chiese lui preoccupato. «No, l’ho visto entrare venti minuti fa ma non è più uscito.» 134


Steve prese tempo, sedendosi di fianco a Susan e appoggiando la nuca al muro dietro sé. Dopo un lungo silenzio chiese: «C’è una Cappella qui che tu sappia ?» «C’è di sicuro, credi che…? » «Si Susan, credo che questo sia il momento di pregare, questo credo.» Dopo circa due ore il professor Miller apparve sulla porta della sala d’aspetto. Steve e Susan lo guardarono trepidanti. Per un attimo lui li fissò poi chiese loro di seguirlo, dirigendosi verso il suo studio. Una volta entrati li fece accomodare su un divano, sedendosi di fianco e non dietro la scrivania, come faceva abitualmente. Era un bravo medico e sapeva bene quanto la psicologia fosse importante nel suo mestiere . «Per prima cosa voglio dirvi che sia Janet che il bambino stanno bene» esordì, ma non fece in tempo a finir la frase che Susan prese a singhiozzare per scaricare tutta la tensione accumulata. «Oh Dio Signore, ti ringrazio» riuscì solo a dire lei fra le lacrime. «In secondo luogo va detto che, come è chiaro, si tratta di una gravidanza a rischio. Janet dovrà stare a casa, ferma, senza fare assolutamente sforzi di nessun tipo fino alla fine della gestazione» continuò. Poi, aggiunse: «Perdonate la domanda indiscreta: il marito dov’è?» Steve prese la parola per togliere dall'imbarazzo Susan 135


«Professore…innanzitutto grazie, grazie davvero per tutto quello che sta facendo. Per la questione del marito, beh… diciamo che per ora non può essere qui, ma che mi prenderò l’impegno personale di farlo tornare in fretta.» «Bene, sarà fondamentale che le stia accanto in questa delicata fase» concluse Miller. «Possiamo vederla?» chiese Susan. «Si ma solo pochi minuti , non deve stancarsi.» Si congedarono quindi da lui, ringraziandolo di nuovo, e raggiunsero la camera di Janet posta al terzo piano dell’Humber River. Quando li vide entrare anche lei si commosse e si strinse in un lunghissimo abbraccio con Susan. «Non farci più questi scherzi» disse Steve, cercando di alleggerire il clima. «L'abbiamo scampata bella io e il ragazzo qui» disse lei accarezzandosi dolcemente la pancia. «Non riesco a dirvi quanto siete preziosi voi per me in questo momento» proseguì poi, fissandoli con affetto. «Senti Janet, so già cosa mi dirai, ma vista la situazione credo che sia indispensabile che Federico sappia. Sono convinto che....» «No Steve, questa cosa accaduta oggi non cambia nulla. Ti ho già detto come la penso e, in verità, credo che lui abbia già scelto» disse lei con un espressione di sconforto. «Ma non puoi tenerglielo nascosto, lo capisci?» 136


«Non glielo terrò nascosto ma voglio che lui prima decida. Poi saprà, come è giusto che sia.» Non c' era nulla da fare. Steve si arrese di nuovo. La motivazione di Janet, per quanto apparentemente illogica e vendicativa, era però comprensibile. Lei voleva che Federico tornasse, ma voleva il suo Federico, padre del suo futuro figlio e non un uomo a metà. Lui non sarebbe stato altro che questo se avesse dovuto scegliere lei, per via del figlio. Non sarebbero mai stati felici e, alla fine, ne avrebbe risentito anche il bambino. “Janet ha ragione dal suo punto di vista, ma Federico merita una possibilità”, pensò Steve. Cominciò così a ragionare su come risolvere la questione.

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15 MR. LEE OSKAR

Federico si svegliò con un tremendo mal di testa. Quello, purtroppo, era sempre stato uno dei suoi compagni abituali, fin da quando era ragazzino.

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Soffriva di emicranie devastanti che col tempo, per fortuna, erano andate attenuandosi in frequenza e intensità. Ogni tanto però, quell'infido “socio” riappariva. Si alzò dal letto con un forte senso di nausea e inghiottì una pastiglia di naprossene. Di lì a breve avrebbe fatto effetto, anche se avrebbe risentito fino a sera del malessere e di un certo stordimento che quel farmaco regolarmente gli dava. Lesse un po’ di notizie su internet poi, verso mezzogiorno, cominciò a sentirsi meglio. Aveva dormito pochissimo nei giorni precedenti e voleva recuperare energie a tutti i costi. Quella sera, al Jazz Rock, sarebbe arrivato Lee Oskar e forse quella circostanza l'avrebbe aiutato ad avvicinarsi di più a Martina, magari sfruttando le sue competenze su quell’artista che musicalmente lui ben conosceva. Si stese a letto per ricaricare le energie, riproponendosi di accendere il Mac poco prima di uscire, nell'orario giusto per le solite chiamate di routine, lavoro e Janet. Già... Janet. L'idea di proseguire quella farsa con lei lo faceva innervosire, dentro però si sentiva bruciare dal dubbio. Era una sensazione contraddittoria, per l'ovvio motivo che lui stava facendo altrettanto, eppure, in qualche modo, sembrava che la sua vicenda potesse esser più giustificabile, ai suoi occhi. Provava a convincersi che dietro il suo colpo di testa ci fosse una motivazione più “nobile”, mentre quella di Janet doveva esser solo una questione di sesso. Per forza, solo sesso poteva essere. 139


Poi ci rifletté e si rese conto che aveva davvero perso lucidità e obiettività. Era alla deriva, ma ormai non poteva fermarsi. Si risvegliò molto tardi, accese il portatile e trovò varie chiamate perse su Skype. Richiamò Janet che gli rispose, attivando solo l' audio . «Ciao, perché non accendi la webcam?» «Ciao, non so, non funziona oggi... non capisco, sembra bloccata. Come stai? » chiese lei . «Sto bene grazie. Strana però questa cosa, di solito va benissimo la tua webcam.Tu come stai ?». Era evidente che ormai ogni cosa generava sospetto e non aveva creduto nemmeno per un istante che il pc di Janet avesse problemi, semplicemente non voleva mostrare dove si trovava . «Sto abbastanza bene. Ho un po' di casini in ufficio in questi giorni, ma per il resto ok. Lì come vanno le tue cose?» chiese lei per sondare la sua reazione. «Qui vanno bene, ma non so per quanto ne avrò. Forse ancora un po’ di giorni» replicò lui, cercando di essere credibile. Era assurdo, surreale. Le stava mentendo, sapendo che lei sapeva che stava mentendo. Solo che lo era per entrambi. Anche Janet faticava a mascherare i rumori dell'ospedale e non vedeva l'ora di terminare in fretta la chiamata, per evitare che Federico capisse che non era al lavoro. Conclusa la con140


versazione si salutarono perciò velocemente per non destarsi reciproci sospetti. Poco dopo, puntuale , arrivò, la chiamata di Steve. «Ciao Fede, stai bene?» «Si grazie Steve, sto bene. Lì come vanno le cose?» «Beh, in verità ti chiamavo proprio per questo. Devi assolutamente tornare entro quattro o cinque giorni. Venerdì hanno convocato una riunione per annunciare l'ingresso del fondo. Ora è ufficiale. Vogliono che ci sia tutto lo staff dirigenziale e quindi anche tu» affermò Steve deciso. «Capisco, io non so se...» provò a replicare Federico. «Fede, è meglio che tu mi dia ascolto. Siamo amici ma sono anche il tuo capo, vedi di non fare sciocchezze.» Stavolta il tono aveva del minaccioso. Federico rimase perplesso. Era la prima volta che sentiva Steve così agguerrito, poi pensò che era logico lo fosse. Avrebbe avuto grossi casini se fosse mancato alla riunione. Il problema era che non aveva la minima idea di che piega stesse per prendere la sua vita in quel momento e l'idea di tornare a Toronto gli sembrava irragionevole. «Va bene Steve, ci penso. Promesso.» «Vedi tu» rispose l'altro con un certo distacco. Appena chiusa la comunicazione Steve si chiese se la mossa avrebbe avuto effetto. Di sicuro serviva per accelerare la decisione di Federico, ma lo metteva anche di fronte ad un 141


cambio di vita totale, nel caso avesse scelto la sua nuova “fiamma”. Avrebbe dovuto cambiare tutto, lavoro compreso. “Rien va plus”... a breve lo si sarebbe capito. Arrivò al Jazz Rock verso le dieci. Quella sera c'era meno gente del previsto per cui si accomodò in un tavolo esterno d'angolo, in posizione strategica. Anche il Jazz Rock, così come il Café de l'Habana, di sera cambiava volto. L'effetto delle luci, calde e mirate, rendeva l'ambiente estremamente suggestivo. Inoltre, il contorno architettonico, composto da muri bianchi grezzi e pavimento in assi marine, enfatizzava ancor più tale impatto. Luna uscì fuori baldanzosa dall'interno del locale e, in modo disinvolto, si sedette al tavolo di Federico per prendere l'ordine. «Ciao Mr Gekko, hai dato un occhiata alla lista?» «Yesss Luna. Direi... antipasto di mare caldo e una bella orata al sale.» «Vino?» «Uno chardonnay» «Ottima scelta» approvò lei. Appena Luna se ne andò lui gettò lo sguardo sulla piazzetta che si stava popolando di giovani. Vederli lì sorridenti, a scherzare e ridere fra loro, gli fece ricordare i momenti spensierati della sua vita e si rammaricò nel constatare come quegli anni passino, quasi sempre, nella piena inconsapevolez142


za. Molto spesso, infatti, quelli a venire te li faranno rimpiangere. Dopo qualche minuto Martina passò di fianco al suo tavolo per servire una coppia di giovani, seduta accanto a lui. Girandosi, lo vide e si fermò con il vassoio in mano a guardarlo, inclinando leggermente la testa. «Ma tu non togli mai la giacca?» chiese lei incuriosita. «Dipende... se ne vale la pena.» Lei lo guardò in maniera inequivocabile. Era la classica risposta da italiano “piacione” di cui Federico si pentì immediatamente. Sbagliare una simile frase nell'istante in cui lei stava iniziando a conoscerlo, voleva dire entrare nella sua lista degli uomini superficiali e insignificanti e precludersi qualsiasi possibilità futura. Se lei lo avesse percepito così le sue chances di recuperare sarebbero state nulle. Quasi a confermare ciò Martina se ne andò, scuotendo la testa. Questo stupido episodio gli aveva rovinato la serata. Federico non era tipo da riuscire a mascherare la cosa e Luna, via via che andava e veniva dal tavolo per servirgli le portate, se ne accorse. «Che hai Fede, non ti piace il cibo?» «Ci mancherebbe, è buonissimo. Solo che ho fatto una battuta infelice con tua madre e credo abbia frainteso» si sfogò lui. «Ah non farci caso. A volte è un po' prevenuta con gli uomini. Magari dipende dal suo problema.» Federico raggelò. Di che problema parlava? 143


«Problema? scusa se non sono indiscreto di che parli?» s'arrischiò lui. «Ehm...per la verità è una cosa un po' privata ma... tu mi sembri una brava persona, inoltre fra qualche giorno di sicuro sparirai quindi te lo dico. Quando partorì me entrò in coma per una reazione allergica all'anestetico. Si riprese in fretta, ma perdendo pezzi di memoria retrograda. Non ricorda molti anni del suo passato, se non a flash. Ha visioni, ma non collegate fra loro. » Federico rimase fulminato: amnesia. Si trattava di una amnesia, ecco perché non lo riconosceva. Da un lato la cosa lo tranquillizzò, ma dall'altro lo preoccupò molto. Tutto quel capitale emotivo che lei avrebbe potuto avere parcheggiato in un lato profondo del suo animo in attesa di riemergere, era dunque oscurato, forse irrimediabilmente. Se voleva riconquistarla doveva cominciare da capo. Come avrebbe dovuto comportarsi a questo punto? Ragionandoci con calma, mentre gustava la cena, capì che la strada non poteva esser quella di dirle chi lui era in realtà. Non sarebbe certo stata l' elencazione storica delle prove che lui poteva addurre a riaccenderle la passione. Ci si può ricordare di qualcosa, ma riportare a galla le emozioni, per chi soffre di amnesia, è quasi impossibile, a meno che le stesse non riemergano quando tutto il quadro è completato, quando ogni tassello è tornato al suo posto. «Capisco. Mi spiace...» si limitò a dire lui, riprendendo a mangiare e dissimulando la sua preoccupazione. 144


Passò circa mezz'ora quando, dalla piazzetta di fronte, vide due uomini accompagnati da tre ragazze avvicinarsi al Jazz Rock. Uno dei tre era più anziano. Aveva un look particolare con giacca blu, sciarpa bianca e occhiali azzurri. Era Lee Oskar. Federico rimase di stucco, il suo idolo musicale era lì a pochi passi da lui, in carne e ossa. Luna aveva disposto le cose per bene e i cinque presero posto di fianco a Federico. «Visto? É arrivato» disse lei sottovoce passando di fianco al suo tavolo. «L'ho visto eccome. Sei un mito Luna!» rispose lui, sorridendo. Restò seduto al tavolo di fianco a loro fumandosi un bel toscano finché non ebbero finito la cena poi, a tarda ora, l’uomo seduto di fianco a Lee Oskar si fece portare la chitarra del locale e iniziò a suonare. Era semplicemente divino. Le poche persone ancora sedute presero via via coscienza che doveva trattarsi di un professionista e girarono le sedie nella loro direzione. All’interno del locale rimase solo Estrella mentre Luna Martina e Lucas uscirono ad ascoltare quel fenomeno. Lee Oskar era uno sconosciuto per i presenti, essendo un musicista di nicchia. Doveva la sua notorietà al suo periodo come leader dei War, ma da molto anni ormai faceva pochi concerti ed esclusivamente come solista.

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Le dita del suo amico scorrevano rapide sui capotasti della chitarra quando Federico riconobbe il refrain di “Our Road”. Lee estrasse dalla tasca della giacca la sua armonica a bocca e iniziò il famoso assolo del brano. A sentire quelle note Federico fu travolto da un ondata di emozioni. La musica, il contesto, Martina di fronte a lui… tutto quanto era così intenso, così vero. Sentì i suoi occhi inumidirsi e, cercando di non mostrarlo, si passò la mano sul volto, per asciugarselo. Quando rialzò lo sguardo, attraverso i tavoli e le persone, dall’altra parte rispetto a dove era seduto lui, vide Martina che lo stava fissando. Gli sorrise con dolcezza, avendo lei colto quel suo gesto di sensibilità. Lui ricambiò. Quel suo moto spontaneo aveva riaperto le porte e lei iniziò a chiedersi perché da qualche giorno le apparisse spesso l’immagine sfuocata di quell’estraneo nella mente. La mattina seguente Federico si svegliò rilassato. Aveva dormito profondamente e sentiva che con Martina non tutto era compromesso. Forse anche lei si era resa conto d’aver affrettato un po’ troppo il giudizio su di lui. Aveva voglia di una giornata al mare, visto che da quando era a Cadaqués non aveva mai approfittato delle belle spiagge del luogo. Chiamò Stefano per salutarlo e chiedergli come stava. Gli rispose subito. «Ciao Fede, sto benone. Tu? Come va la tua vacanza lì?» 146


«Bene grazie. Senti io oggi mi vado a rilassare un po’ in spiaggia vuoi che ci vediamo da qualche parte stasera a cena? » «Eh magari, purtroppo devo partire. Vado a Londra per una settimana a firmare contratti con un agenzia. Mi sa che ci dovremo vedere al prossimo giro» rispose lui. Federico restò scosso dalla notizia. Per tutto il tempo dal suo arrivo e fino ad allora Stefano era diventato un punto di riferimento, il fatto che stesse per partire lo faceva sentire ancor più solo. «Ah…ok. Io... non so come ringraziarti Stefano. Sei stato un angelo» «Ma figurati, piuttosto spero che tornerai a trovarmi. Ah, se devi andare in spiaggia ti consiglio Port Lligat, c’è una insenatura molto carina e poco affollata lì, non faticherai a notarla. Tra l’altro è vicinissimo a dove sei. Puoi restare quanto vuoi nell'appartamento, ma se decidi di partire prima del mio rientro lascia per favore le chiavi a Pilar. Buena suerte amigo! » «Grazie, grazie ancora Stefano!» disse Federico congedandosi. Un’altra porta si chiudeva alle sue spalle nel corridoio verso l’ignoto che stava percorrendo. Port Lligat... ma si, perchè no? Scese in strada e si fermò da Pilar per farsi dare indicazioni. Ci si poteva arrivare anche a piedi e optò per quella soluzione, vista la giornata. Percorse 147


qualche viottolo per uscire dal centro abitato poi tagliò per degli stradelli che passavano in mezzo a campi popolati da verdi cespugli, pietre e sabbia. Si sentiva il profumo del mare e delle piante aromatiche, mentre una piacevole brezza spirava verso di lui. Vide la spiaggia di Port Lligat giù in basso, a qualche centinaio di metri da dove si trovava, proprio mentre un gruppo di ragazzi passava a bordo di moto e scooter. Erano quasi tutte coppie. L'ultimo della fila si fermò e dallo scooter scese il passeggero che venne verso di lui, togliendosi il casco. «Ehi Mr Gekko, che ci fa in giro per la campagna da solo?» «Luna! ma che coincidenza, anche voi andate a Port Lligat?» chiese Federico, sorpreso di vederla. Gli piaceva quella ragazza, era simpatica, aperta ed era stata la prima a dargli confidenza a Cadaqués. «No, noi andiamo a Caials ma è vicinissimo, a poche centinaia di metri da qui. C'è un isoletta di fronte graziosissima che si raggiunge a nuoto» rispose lei, mentre gli altri centauri stavano tornando indietro e scendendo dalle moto. «Perché non vieni con noi?» gli propose con entusiasmo. «No grazie, vi alzerei la media dell'età e sarei un pesce fuor d' acqua. Apprezzo comunque l'offerta» rispose Federico scherzosamente. Aveva appena declinato la proposta quando notò che tutto il gruppo stava portandosi vicino al bordo di una scogliera 148


da cui si dominava tutta quell'area, probabilmente per godersi il panorama. «Ok peccato, sono certa che i miei amici invece ti avrebbero apprezzato Mr Gekko» disse lei sorridendo e , salutandolo con un cenno della mano, si portò verso gli altri. Federico ricambiò il saluto e si mosse nella direzione opposta, apprestandosi a scendere verso la spiaggia di Port Lligat. Non è ancora ben chiaro perché lo fece ma quando era ormai a cinquanta metri da loro si voltò, forse per guardarla ancora una volta nello splendore dei suoi vent'anni, mentre scherzava e si divertiva coi suoi amici. Fatto sta che ad un certo punto il gruppo si compattò vicino al bordo della scogliera e, per gioco, alcuni iniziarono a spintonarsi. Durante uno di questi movimenti un ragazzo, leggermente più atletico degli altri, prese a rincorrere un piccoletto che, poco prima di essere raggiunto, con mossa agile, riuscì a scansarsi. Così facendo però sbilanciò il ragazzo che lo inseguiva, facendolo inclinare in avanti e mandandolo a cadere rovinosamente addosso a Luna. Il suo esile fisico, non riuscendo a contenere la forza dell'impatto, si trovò proiettato all'indietro. Presa dal terrore provò a mulinare disperatamente le braccia in aria per recuperare stabilità, ma invano. Sparì in un attimo dietro il bordo del promontorio, volando giù per il precipizio con un urlo agghiacciante. Federico vide tutta la scena. Ancor prima che lei iniziasse a cadere dalla scogliera le sue gambe, quasi prevedendo ciò 149


che stava per accadere, s'erano già messe in moto. Corse al massimo della velocità possibile, con il terrore dentro l'animo , non sapendo cosa ci fosse sotto il costone. Tutti i ragazzi nello spiazzo erano sulle rocce e urlavano disperati, annichiliti da ciò a cui avevano assistito. Appena giunto sul posto, ansimando come un forsennato, Federico spostò letteralmente a spintoni due ragazzi che guardavano giù e si preparò al peggio. Sotto la scarpata il mare entrava con forza, generando grandi onde schiumose e facendo apparire e scomparire appuntiti scogli affioranti. Se Luna era caduta lì non c'era alcuna speranza. L'unica ipotesi rincuorante era che, nel caso avesse preso casualmente la cadenza giusta della risacca, poteva esser finita sull'acqua, ma pur sempre da venti metri d'altezza. Federico scrutò il mare intimando anche a tutti gli altri di farlo, nella speranza di vederla. I ragazzi capirono subito che era meglio affidarsi a lui ed eseguirono l'ordine. Ma di Luna nemmeno l'ombra. Più di venti occhi cercavano e cercavano quando, all’improvviso, una ragazza urlò, indicando un punto preciso nel mare sotto di loro. «Eccola, eccola!!!» Tutti insieme fissarono la zona indicata ed ecco che lei apparse. Sarebbe più corretto dire che appariva e scompariva sotto le onde, provando debolmente a muoversi finché non si bloccò, girata in posizione prona, con il volto sott’acqua. Era evidentemente svenuta. Non c'era tempo, due minuti così e sarebbe morta affogata. Alcuni ragazzi partirono di gran car150


riera correndo giù per il perimetro del costone di roccia, ma era un percorso lungo, non sarebbero mai arrivati in tempo. Non restava che un alternativa: saltare. Federico si tolse maglietta e scarpe mentre i ragazzi lo supplicavano di non farlo perché si sarebbe schiantato sulle rocce o, nel caso più fortunato, sarebbe svenuto anche lui in acqua, magari con qualche frattura. Ma lui ormai non sentiva più. Era terrorizzato, consapevole però che era l'unica possibilità. Se Luna fosse morta avrebbe portato con sé per tutta la vita il rimorso di non aver tentato. Se invece le cose fossero andate male anche a lui, sarebbe stato il destino. Prese una lunga rincorsa e si gettò. Appena spiccato il balzo guardò sotto e capì che stava per morire, il mare si era ritirato e si vedeva solo una continua distesa di rocce bagnate appuntite. Si sarebbe sfracellato. Si preparò all'impatto immaginando il dolore delle fratture, il sangue e pregò di batter la testa subito per non sentire più nulla poi, quando era ormai a pochi metri dal suolo, vide lo scorrere portentoso di un onda predisporgli un enorme cuscino d'acqua azzurra che iniziava a schiumare , avvicinandosi alle rocce più basse. Entrò casualmente in modo perfetto, di piedi. Fu comunque un impatto violento e frastornante. L'acqua gli entrò nel naso facendoglielo dolorare e prese un colpo forte anche nelle parti basse, perché le gambe non erano perfettamente serrate al momento dell’urto con la superficie. Riemerse però intero, mentre da sopra della scogliera i ragazzi lanciavano un 151


boato di gioia. Girandosi vide Luna a venti metri da lui. Mentre nuotava a più non posso credette di non riuscire a raggiungerla in tempo. Stava andando piano, troppo piano, accidenti! Spinse con braccia e gambe, mulinando col massimo della forza che aveva in corpo e, finalmente, l'agguantò. La girò subito, era cianotica. Con uno sforzo immane, supportato dalla adrenalina in circolo, riuscì a passarle il braccio attorno al collo per riportarla verso riva. Pregava che non avesse ricevuto un danno alle vertebre, altrimenti quella posizione di salvataggio avrebbe procurato gravi lesioni. Quando giunse sulla spiaggia, stremato dalla fatica, c'erano già tutti i ragazzi schierati, ma l'autoambulanza doveva ancora arrivare. Era totalmente senza fiato, con le braccia e le gambe in fiamme. Ebbe però la forza di girarla supina, porre la bocca sulla sua e soffiare ritmicamente. S’interruppe solo un attimo per appoggiarle l'orecchio sullo sterno accorgendosi, con terrore, di non sentire alcun battito. Non aveva mai fatto un massaggio cardiaco e i ragazzi attorno a lui erano paralizzati dallo spavento, totalmente incapaci di dargli aiuto. Appoggiò i palmi delle mani, incrociandoli, e iniziò ad esercitare una forte pressione sul petto di Luna con colpi cadenzati e decisi. Attorno si era creato un silenzio surreale. Il tempo rimase sospeso per una durata indefinita mentre avvertiva la presenza dei ragazzi dietro a sé, uniti con lui nella speranza che riuscisse a rianimarla. 152


Forse fu quella forza d'insieme di tante anime concentrate per aiutarne una sola che diede l'energia al cuore di Luna per battere un primo impulso, poi un altro, poi un altro.... Era ripartito. Federico fece giusto in tempo a vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi nel respiro, poi crollò nella sabbia bagnata, percependo in lontananza il suono dell’ambulanza che si avvicinava. “Ho salvato una vita, già solo per questo la spedizione a Cadaqués ha avuto un senso” pensò, prima di svenire.

Le luci al neon gli abbagliavano la vista quando si svegliò. Capì di essere in un stanza d’ospedale percependone l’odore da disinfettante e osservando gli scarni arredi. Era collegato ad una flebo e si sentiva rotto dappertutto, ma era integro. Si passò la mano sul corpo per aver conferma di ciò poi, all’improvviso, fu assalito dalla paura. Si ricordava del fatto che Luna aveva ripreso a respirare dopo il suo intervento prima che fosse sceso il buio nei suoi occhi. Ce l’aveva fatta? Si alzò bruscamente dal letto, infilandosi le ciabatte usa e getta e fece per procedere verso la porta. In quel mentre entrò un infermiera che vedendolo in piedi urlò: «Ma che fa? E’ impazzito? Deve star giù almeno ancora per due ore e finire la flebo!» «Come sta la ragazza, la ragazza che è entrata con me?» domandò ansioso. 153


«Sta bene, le ha salvato la vita. Gli amici ci hanno raccontato del suo gesto. Ha avuto un coraggio da leone Sig. Bassetti» Federico si sentì sciogliere. Ce l’aveva fatta, ora poteva calmarsi. «Posso vederla?» «Stasera no, deve stare in osservazione e non deve agitarsi. Domani, se è tutto a posto, potrà farlo. Lei comunque verrà dimesso fra qualche ora, mentre la ragazza ne avrà ancora per tre giorni, salvo complicazioni.» L’infermiera uscì dalla porta, incrociandosi con un altra persona che stava cercando d’entrare. Appena apparve sulla soglia Federico si sentì invadere da un ondata di calore. Martina lo fissava senza quasi aver la forza di parlare. Aveva gli occhi arrossati dal pianto e il viso stanco, ma era bella come sempre. Gli si avvicinò senza dir nulla e, con estrema delicatezza, si chinò sul suo letto per stringerlo in un dolcissimo abbraccio. Lui ricambiò restando a lungo in quella posizione. Il suo viso infilato fra i suoi capelli, il suo profumo, il calore di quella stretta. Era un grazie silenzioso, intenso, vero. Era una donna che gli diceva “senza te non avrei più mia figlia”. Nel rialzarsi lentamente lo baciò sulla fronte. «Federico…io…io…» non riusciva a proseguire, perché le lacrime avevano ripreso a rigarle il volto. 154


«Martina, non devi dire nulla. Non avrei potuto non farlo. Non l’avrei mai lasciata in acqua senza provarci. E’ andata bene grazie a Dio.» «Sai, l’altra sera al Jazz Rock ti ho fissato. Non avevo capito nulla di te all'inizio poi, guardandoti bene, me ne sono resa conto. Gli occhi non mentono. I tuoi sono occhi che conosco, che ho già visto» disse, asciugandosi il viso con un fazzoletto. Per un attimo Federico pensò lei stesse per ricordarsi di lui, poi proseguì: «Sono gli occhi di un uomo di valore, sensibile e profondo. Ma c’e’ qualcosa in te che va oltre. Qualcosa che non so spiegare.» Era dunque così. Dentro lei lentamente i tasselli stavano cominciando a muoversi e lui pensò attentamente a ciò che stava per dire. Aveva senso riattivarle tutta quell’area di ricordi che fino allora era stata oscurata? Era certo che sarebbe stata la cosa giusta quando nemmeno lui sapeva se sarebbe rimasto o sarebbe tornato a Toronto di lì a pochi giorni? In quest’ultimo caso sarebbe stato come lasciarla di nuovo sulla banchina di quella stazione di venticinque anni prima, sola a soffrire nella disperazione dell’abbandono. Non aveva il diritto di farlo. Purtroppo però, non riusciva neanche a fermare quell’impeto di attrazione che provava per lei, per quello che era stata e, soprattutto, per quello che rappresentava ora. Lo stava travolgendo di nuovo, non c’era dubbio. 155


«Anche tu sei una donna speciale Martina. Io so che sei speciale» rispose lui. «Io stasera resto qui a far la notte ma domani, se Luna starà bene, vorrei vederti. Estrella e Lucas si occuperanno del Jazz Rock per almeno quattro giorni, facendosi aiutare da amici. Mi hanno “proibito” di andare a lavorare.» «Certo Marti, volentieri» annuì, cercando di dissimulare la felicità che sentiva dentro. «Resterai ancora molto a Cadaqués?» chiese lei, riuscendo con difficoltà a mascherare la speranza che riponeva nella sua risposta. «Ancora quattro giorni, penso.» «Allora ho quattro giorni per capire da che mondo arrivi, Mr. Bassetti» concluse Martina, tenendo fra le mani il cartellino agganciato al letto con stampato il suo cognome. Uscito dall’ospedale di Figueres, dove era stato ricoverato con Luna, Federico prese un taxi per farsi riportare a Cadaqués. Durante il viaggio ripensò che ciò che era appena accaduto con Martina aveva del miracoloso. Tutto il percorso fatto negli ultimi giorni, da quando aveva scelto di svoltare a Piacenza, aveva dell’incredibile. Per un’infinità di volte si era venuto a trovare in situazioni apparentemente irrisolvibili. Prima la complicata ricerca di lei, durante la quale aveva affrontato in più circostanze presunti punti di non ritorno. Poi, ed era stato ancor peggio, l’incontro con Martina, la sua iniziale indifferenza, la sua amnesia. 156


Ora però, tracciando un bilancio parziale, si stava rendendo conto d'aver salvato una vita e che la sua Martina cominciava a riavvicinarsi. Poiché però nella vita i dubbi e le incertezze non finivano mai, si trovava di nuovo a fronteggiare un ostacolo. Era la paura di ferire quella donna. Era certo di ciò che sarebbe successo di lì a poco? Era certo di non dover tentare nemmeno un chiarimento con Janet? Inoltre Martina era sposata, dettaglio non trascurabile. Che fine aveva fatto il marito? Di nuovo i dubbi che lo avevano assalito poco prima in ospedale presero a logorarlo, mentre osservava fuori dal finestrino del taxi avvicinarsi le brulle colline di Cadaqués. Nel preciso momento in cui il taxi di Federico entrava in paese, dall'altra parte dell’oceano, Janet stava rientrando a casa dopo la degenza in ospedale. Si sentiva bene, nonostante tutto. Il professor Miller era stato, come sempre, fantastico nell'aiutarla a ricostruire fiducia e ad abbattere le sue angosce. Aveva speso ore per spiegarle che, se avesse seguito scrupolosamente le regole dettate, sarebbe riuscita a concludere bene la gravidanza. Iniziava per lei un periodo di assoluto riposo, includendo con ciò anche la riduzione al minimo di qualsiasi sbalzo emotivo perché, essendo causa di stress, avrebbe potuto costituire un pericolo definitivo per il feto che portava in grembo. Entrò nell’appartamento, situato ai piano alti del condos in cui abitava con Federico, e guardò le persone in strada 157


muoversi nelle loro frenetiche routine quotidiane. Si soffermò a pensare come la sua vita fosse stata così solo fino a pochi giorni prima e di come fossero subito cambiate le sue prospettive con l'inizio della maternità. Esisteva un nuovo metro di misura delle priorità e avrebbe lottato con tutte le sue forze per consentire a suo figlio, o sua figlia che fosse, di crescere in un clima sereno e disteso. Il sordo dolore di sapere il suo compagno lontano, forse prossimo a staccarsi definitivamente da lei, agiva in sottofondo, come un disturbo costante e onnipresente. Non passava minuto in cui la mente non tornasse per un attimo su di lui, immaginandolo avvolto nelle braccia di una altra donna mentre la baciava e ci faceva l'amore. Il suo animo ribolliva ma doveva farsi forza e resistere. Sapeva che presto avrebbe avuto la risposta, anche se le pareva che la stessa fosse già stata scritta. Come aveva detto a Steve, non c'era nulla che lei potesse fare. La partita si stava giocando altrove senza che lei potesse minimamente influire, avendo inoltre deciso di mantenere il segreto sul bambino. Il taxi si fermò nella piazzetta per farlo scendere e Federico pagò l'autista ricompensandolo con una lauta mancia. Prima di portarsi verso casa decise di fermarsi a prendere un caffè al Jazz Rock. Gli faceva impressione pensare di entrare il quel posto senza vedere né Martina né Luna. Si piazzò davanti al bancone quando, a sorpresa, sia Estrella che Lucas corsero dalla cucina verso di lui per strin158


gerlo in un forte abbraccio. Rimase molto colpito da quel gesto spontaneo. Era chiaro che avevano saputo dell’accaduto e volevano dimostrargli la loro gratitudine per ciò che aveva fatto per Luna. Avevano appena sciolto l'abbraccio che Estrella ricevette una telefonata. Federico captò accidentalmente solo qualche parola quando lei, guardandolo e coprendo con la mano il telefono gli disse: «C'è una persona che vuole ringraziarti. Mi sono permessa di dirgli che eri qui, visto che mi ha chiamato.» Federico pensò a Martina e già il suo viso cominciò a illuminarsi. «Federico?» Era una voce maschile, immediatamente si preoccupò. «Si, chi parla?» «Sono Philip, il marito di Martina e il padre di Luna. Io non ho parole per dirle quanto le sono grato per ciò che ha fatto. Non mi basterà una vita per ringraziarla.» Federico rimase di ghiaccio. Fino a quel momento quell'uomo era stato nella penombra e quasi se ne era dimenticato. Ora emergeva in tutta la sua concretezza, spiazzandolo totalmente. Cercò di concentrarsi e di rispondere in maniera appropriata. «Philip sono certo che anche lei l'avrebbe fatto con la figlia di un altro. Mi creda, non c'è nulla di eroico, la ritengo una cosa dovuta» rispose, provando a mantenere un tono più naturale possibile. «Federico perdoni la domanda: lei hai figli?» 159


«No.» «Allora le auguro di averne in futuro. In quel momento potrà capire la grandezza di ciò che ha fatto. Mi spiace solo non esser lì per stringerla in un forte abbraccio.» «Grazie Philip ma...dove si trova?» chiese, avendo innegabilmente un secondo fine. «Sono a Dubai. Rientro fra una settimana e spero di riuscire a vederla.» «Ahimè temo sarò già ripartito, ma grazie per le belle parole.» «Grazie a lei e che Dio la protegga, come lei hai protetto la mia Luna.» Si salutarono così, mentre Estrella gli sorrideva spinando una birra per lui. Era stato un momento semplicemente sconvolgente. Si sentiva nuovamente male. La voce di Philip gli era parsa quella di un uomo sincero, commosso. Lui era lì a Cadaqués, pronto ad approfittare della sua assenza per sedurgli la moglie. Tutto l'orgoglio che aveva riempito il suo animo per il salvataggio di Luna, si era ora dissolto di fronte al disagio che avvertiva nel valutare il suo comportamento. Che diritto aveva d'irrompere all'interno di quella famiglia, sfruttando l'onda emotiva di ciò che aveva fatto e che aveva generato verso lui una riconoscenza infinita? Era una chiara speculazione sui sentimenti. Dentro a sé il volano della coscienza iniziò a vorticare all'impazzata. Non sapeva come e quando si sarebbe fermato. 160


Doveva andare a casa e dormire a tutti i costi, doveva riposare. Forse il mattino successivo si sarebbe sentito meglio, sempre che fosse riuscito a prender sonno. Martina sedeva di fianco al letto di Luna. Sua figlia dormiva con respiro regolare e una espressione serena. La mente si arrovellava per cercare di mettere in ordine tutte le emozioni di quel giorno. Aveva avuto nuovamente le sue periodiche visioni con immagini del passato che, come sempre, faticava a mettere insieme. Negli ultimi giorni però, i flashbacks erano aumentati nella sua mente e aveva compreso che Federico giocava un ruolo in tutto questo. Col tempo si era abituata a non mostrare mai reazioni strane all'esterno. Era un comportamento naturale, difensivo, poichÊ l'apparizione disaggregata dei ricordi avrebbe potuto portarla in lande sperdute della memoria dove eventuali persone non gradite, appartenute al suo passato, sarebbero potute riemergere, pur tuttavia prive delle connotazioni emozionali ad esse collegate. In pratica poteva riuscire a riconoscere un volto ma non era in grado di dire se quella persona era da evitare o meno. Qualcuno, consapevole di quella sua limitazione, avrebbe potuto approfittare di ciò. Per questo non aveva reagito minimamente alla vista di Federico anche se, fin dal primo giorno che l'aveva visto entrare al Jazz Rock, aveva avvertito qualcosa. Ora capiva che quell'uomo, se veniva dal suo passato, doveva essere di sicuro nella 161


“lista dei buoni”. Non poteva esser che così, visto ciò che aveva fatto. Ma chi era in realtà?

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16 IL MIO TEMPO, IL TUO TEMPO

La mattina seguente si presentò per Federico sotto una luce diversa. Tutta la stanchezza e l'affaticamento della sera prima erano svaniti. Incredibilmente era riuscito a dormire nove ore e si sentiva ricaricato. Anche il fastidio che aveva provato la sera prima, dovendo parlare al telefono col marito di 163


Martina, si era attenuato. Non toccava a lui giudicare cosa sarebbe stato meglio per lei, ciò che contava era non ingannarla e agire con sincerità di sentimento. Il resto riguardava l'imponderabilità del destino.Con stupore si rese conto di non aver chiamato Janet la sera prima, essendo crollato letteralmente nel letto appena rientrato. D'altra parte nemmeno lei l'aveva fatto. Pareva proprio che il loro rapporto fosse ormai prossimo al “game over”. “Un rapporto di anni finito via Skype senza aver avuto nemmeno la forza di dirselo” pazzesco, pensò. Si riebbe da quel momento di assenza mentale, ricordandosi che doveva correre a Figueres. Voleva sapere come stava Luna e vederla. Si chiese che direzione stesse prendendo quel suo rapporto con la figlia di Martina. Chiaramente la storia che li aveva visti protagonisti avrebbe cementato una affettività che fino ad allora era solo basata su una simpatia amicale. Avvertiva di voler bene a quella ragazzina e il sentimento che gradualmente stava provando verso lei era simile a quello paterno. Sembrava assurdo dirlo, visto che la conosceva da pochi giorni, ma era così. Stupidamente non aveva lasciato il suo numero a Martina e ciò fece crescere in lui l'ansia durante il tragitto percorso verso l'ospedale di Figueres. Nel corso del viaggio pensò a Philip. La sera prima gli era parso una brava persona ma, ragionandoci, qualcosa non quadrava. Sua figlia era stata in arresto cardiaco e a un passo dalla morte e lui si riprometteva di tornare da lei solo una settimana dopo? Non esisteva argo164


mentazione di lavoro che reggesse. Di fronte alla gravità di quello che era accaduto un vero padre avrebbe piantato seduta stante qualsiasi impegno e sarebbe corso a riabbracciare la figlia. Aveva senso pensare questo o era forse lui che stava travisando la cosa per provare a costruirsi un immagine mentale negativa del rivale al fine di giustificare le sue prossime azioni? Gli restò questo dubbio finché non arrivò al parcheggio dell'ospedale di Figueres. Infilò la macchina negli appositi spazi e discese di buon passo, dirigendosi verso il reparto dove era ricoverata Luna. Lungo il tragitto fu bloccato dal personale dell'ospedale perché stava visitando un degente al di fuori dell'orario consentito. Per sua fortuna, in quel momento passò il dottore che lo aveva curato la sera prima e lo riconobbe. «Lasciatelo pure andare, senza questo signore oggi la visita alla ragazza sarebbe avvenuta in un altro... contesto» disse a chiare lettere agli infermieri che, una volta capito chi era, si spostarono per farlo transitare. Superò le due porte che precedevano quella della stanza di Luna, la raggiunse ed entrò. Nella stanza c'erano due letti ma solo quello di Luna era occupato. Martina non c' era. Luna era sveglissima e appena lo vide allargò le braccia, invitandolo a lasciarsi stringere. Non solo lo abbracciò ma, con la sfrontatezza che la contraddistingueva, lo baciò ripetutamente sulle guance. Erano baci d'affetto vero, tipicamente 165


da figlia a padre. Federico si commosse profondamente e lei se ne accorse. Quando si rialzò dall'abbraccio, Luna lo fissò dicendogli: «Peccato...mi piaceva chiamarti Gekko.» «Ohhh… finalmente mi chiamerai Federico ora!» disse lui soddisfatto. «Assolutamente no. Un volo così da una scogliera senza farsi nulla lo fa solo James Bond, quindi....» rispose lei, ridendo. «Ecco... immaginavo. Ora sono James» disse fingendo di lamentarsi, ma prorompendo anche lui in una risata. Avevano da poco finito il loro scambio di battute che la porta si aprì ed apparve Martina. Appena lo vide s'illuminò e corse verso di lui per stringerlo. “Sembra che in questi giorni distribuiscano abbracci gratis qui in giro” pensò. Ma era normale, il legame fra Martina, Luna e lui si era stretto molto. «Ciao Marti, sei riuscita a dormire?» «Ti dico solo che se non mi svegliava Luna io avrei tirato avanti all'infinito. Lei riposava tranquilla stanotte e ne ho approfittato. Nemmeno a casa dormo così!» «Fortunatamente domani la dimettono perché han finito gli esami ed è a posto. Io rientro a Cadaqués adesso e la vengo a riprendere domattina. Tra l’altro è meglio che alziamo i tacchi in fretta perché è in arrivo una “mandria” di suoi amici e ti assicuro che ci sarà un macello qui a breve» disse Martina. «Sei in auto?» chiese Federico. 166


«No, io son venuta ieri sull'ambulanza con lei, se non ti disturba ti chiederei un passaggio.» «Mi disturberebbe se tu tornassi in altro modo....» rispose Federico, guardandola negli occhi.Rimasero per un attimo fissi così e lui si trovò istantaneamente proiettato indietro negli anni. Si ricordò del giorno in cui si ferì accidentalmente col tagliacarte e dello sguardo di lei, provocatorio, sensuale. Erano sempre gli stessi incredibili occhi blu, sempre la stessa insostenibile intensità. E di nuovo, ci si perse. Martina, dal canto suo, fissandolo ebbe un flash. Vide nella sua mente una stanza, libri e quaderni aperti su un tavolo e un volto sfuocato. Sembrava un giovane, un ragazzo. Per un attimo pensò di dirlo a Federico, poi si bloccò. A volte le era capitato di parlare con persone chiedendo loro se per caso si conoscessero, perché aveva colto qualche dettaglio in esse che le diceva qualcosa. La risposta era stata negativa, sempre. Per questo motivo, e per non passare da fuori di testa, aveva smesso di farlo. Si convinse che anche questo doveva essere un dejavu, uno scherzo della sua mente e della sua memoria confusa. Per la prima volta dopo venticinque anni Federico si trovava nuovamente solo con Martina. L'aveva al suo fianco in auto, era lì con lui, finalmente. Nei primi minuti di viaggio non si parlarono. La musica alla radio riempiva quel vuoto sulle note di “Regresa mi” de 167


“Il Divo” mentre entrambi percepivano l'alchimia particolare di quel primo momento insieme. Martina era turbata, non capiva cosa le stesse accadendo. Cominciava a provare una forte attrazione per quell'uomo conosciuto da così poco e non era abituata a quel tipo di reazione. Era una donna sola dal punto di vista affettivo. Certo, aveva Luna che costituiva il perno centrale della sua esistenza, ma il suo spirito di donna, moglie e amante era sopito e quasi spento, da tempo. Philip era stato un buon marito e un bravo genitore nei primi anni successivi al matrimonio, anche se non era il padre biologico di Luna. Lei era stata il frutto di un amore fugace quando Martina aveva venticinque anni ed era stata a lavorare un’estate in Grecia per tre mesi. Il ragazzo olandese che l'aveva messa incinta era poi sparito in Sudafrica, inseguendo le sue tavole da surf che rappresentavano la sua unica e vera ragione di vita. Aveva deciso di non abortire e non si era mai pentita di quella scelta che le era costata anni d'impegni e sacrifici. Ne era valsa la pena, Luna era una stella, era una luce vivida come non mai, era il suo mondo. Negli anni, il rapporto con Philip si era invece affievolito, anche a causa delle sue prolungate assenze per lavoro. Si occupava di acquisto e vendita di materie prime per una importante compagnia di Barcellona e la sua vita si svolgeva perlopiù fra l'Australia, gli Emirati e il Brasile. Quando tornava restava giusto un paio di settimane poi spariva per due o tre mesi, perso nelle sue trattative che erano sempre “decisive e 168


fondamentali”, come ripeteva abitualmente al telefono. Via via, col tempo, sua moglie e Luna erano solo divenute un porto tranquillo dove approdare dopo mesi di assenza. In realtà la sua indole era quella di un nomade, quella di un uomo che, dopo dieci giorni a casa, cercava qualsiasi scusa per ripartire e andarsene. A Martina non bastava. Guardò Federico di fianco a sé e lo vide immerso nei suoi pensieri. Era un uomo sensibile e vero, si sorprese a pensare a lui anche come amante. Le sue mani, il suo sguardo, il suo odore l' attraevano, non poteva negarlo. Scacciò quell'idea dalla sua mente dicendosi che in fondo non sapeva nulla di lui, da che mondo provenisse, che storia avesse dietro sé e che non avrebbe dovuto farsi venire strane idee. Mentre percorrevano gli ultimi chilometri prima di approcciare la via d'accesso a Cadaqués, cogliendola alla sprovvista, Federico le disse : «Ho parlato con Philip oggi» «Con Philip? Ma quando, dove?» «Ero al Jazz Rock e ha chiamato Estrella. Lei ha pensato di passarmelo e lui è stato davvero carino. Mi ha ringraziato molto.» Estrella doveva essere impazzita, pensò Martina. Ma che le era venuto in mente? Perché aveva fatto una cosa simile? Poi ragionò. In effetti era normale che l'avesse fatto, in fondo Luna era pur sempre la figliastra di Philip ed era logico che 169


Estrella volesse permettergli di ringraziare la persona che l'aveva salvata e che in quel momento era di fronte a lei. Questa reazione emotiva le confermò che i sentimenti che iniziava a nutrire verso Federico non rientravano nell'ambito di quelli preminentemente d'amicizia. Le stava accadendo qualcosa. «Ahh... ehmm… si, Philip è molto legato a Luna» riuscì solo a rispondere, imbarazzata. Federico dal canto suo aveva voluto misurare la reazione di Martina e la risposta era stata chiara. Era andata in crisi alla domanda. Forse da uno spiraglio iniziale stava iniziando ad aprirsi una seria possibilità per lui. Parlarono del più o del meno fino all'arrivo in paese , quando Federico le domandò cosa dovesse fare quel giorno. «Farei un salto a casa a farmi una doccia poi ho un paio di commissioni da sbrigare. Tu che fai?» domandò lei. «Per la verità nulla di che. Potremmo pranzare insieme se ti va» azzardò lui. «Si volentieri, mi sembra una buona idea. Ti porto a El Gato Azul. Sono amici e molto bravi. Alle due al Jazz Rock?» «Ok.» Rientrò a casa per chiamare il notaio Uber a cui doveva ancora mandare una copia di alcuni certificati e si versò un po' di tè freddo nel bicchiere, affacciandosi al balconcino sul viottolo. Vide uscire Pilar dal ristorante con un paio di sacchetti di baguette sotto braccio, che lo notò, ed alzò la mano in cenno di saluto, sorridendogli. Stava cominciando a sentir170


si a casa in quel posto. La gente iniziava a riconoscerlo anche se era arrivato da poco. Ma era un piccolo mondo quello di Cadaqués, poche anime vicine, poche anime appoggiate su quelle vecchie case bianche sul bordo del mare. Il mondo pareva rallentare lì e assumere una dimensione più umana. Provò a pensare se quella sarebbe potuta diventare la sua vita. Forse si. Scese in strada e si avviò a piedi verso il Jazz Rock, percorrendo le stradine del centro. Aveva la sensazione che i colori fossero più vivi ora, come se l' ambiente avesse reagito al suo nuovo stato d'animo. Era eccitato dall'idea di doverla corteggiare di nuovo, di dover cominciare dal principio, da quel sottile piacere che si prova quando si capisce che la direzione che si è scelta è la stessa dell'altro e non resta che sceglier bene le tonalità e le sfumature delle tinte, per far si che il quadro si componga ad arte. “Ogni amore è come quadro ben riuscito” pensò, mentre costeggiava un muro sul quale imperava un murales ispirato a “La persistenza della memoria” di Dalì. Arrivò a El Gato Azul alle due del pomeriggio in punto, andandosi a sedere ad un tavolo nella piccola saletta interna. L'ambiente non discostava molto da quello di Pilar, salvo per il fatto che appariva un po' più colorato verso le tonalità dell'azzurro che richiamavano la grafica del logo, la cui forma era facilmente intuibile visto il nome del locale. 171


Si fece portare un buon vino fresco e se ne versò un bicchiere. Assaporò il piacere di quel momento di attesa. La immaginò mentre si preparava, si vestiva e si faceva bella, pensando a lui. Forse stava correndo un po' troppo con la mente, ma il solo pensarlo era semplicemente sublime. Erano anni e anni che non provava nulla di simile. Forse anche per lei era così, o almeno lo sperava Federico. Dopo un quarto d'ora, proprio mentre la stava per chiamare al telefono, la vide entrare dall'ingresso del locale e dirigersi verso di lui. Indossava un vestitino intero fasciante e corto, color sabbia, che valorizzava la sua abbronzatura. Era leggermente scollato di quel tanto che bastava per fantasticare su quel precipizio carnale che s'intravedeva. Ai piedi portava eleganti sandali a tacco alto. Era irresistibile . E lo doveva essere davvero perché tutti gli uomini presenti, chi prima e chi dopo, non resistettero alla tentazione di guardare quello splendore. Federico era tornato in difficoltà. Per qualche momento, durante il viaggio di ritorno da Figueres in auto, gli era sembrato d' aver preso il controllo della situazione, ma ora era lì nuovamente imbambolato e incapace di agire in modo disinvolto. Lei se ne accorse, grazie al tipico intuito femminile che rende le donne molto più intelligenti degli uomini sotto questo profilo. «Guarda che non mordo » esordì lei «Peccato, già ci speravo» rispose prontamente. 172


In questo Federico era bravo. Quando era alle corde manteneva pur sempre una sottile verve umoristica che gli permetteva di ributtare la palla di là. In fondo la seduzione altro non è che un sottile gioco di posizioni mentali. «Chissà, magari lo scopriremo» replicò lei, mandando così un messaggio forte e chiaro. A questo punto, secondo la logica delle cose, i giochi si potevano considerare fatti. Esisteva tuttavia ancora un dubbio nella mente di Federico. Innegabilmente lui era fisicamente attratto da Martina, ma non voleva solo una storia di sesso. Voleva di nuovo la sua anima, quella che le aveva donato venticinque anni prima. C'era un nuovo e ultimo ostacolo quindi. Lei voleva la stessa cosa o stava semplicemente cercando una distrazione con un uomo che le piaceva, ma al quale non avrebbe mai aperto quella parte di sé? Ordinarono falafel e tabulè di verdure poi, mentre attendevano, Martina si rivolse a lui: «Philip è un brav'uomo...» Federico la guardava, ascoltando con attenzione. « … è stato un buon marito e un buon padre per Luna, anche se lei è figlia di un altro amore.» «Marti non sei tenuta a dirmi nulla se...» «Tranquillo, se te ne parlo è perché mi va di farlo, prendilo come lo sfogo di una donna delusa. Tornando a Philip, come dicevo, è stato un buon padre e marito ma ormai quell'uomo che avevo conosciuto non esiste più da anni. Non si tratta 173


della sua frequente assenza fisica ma della distanza che si è creata fra noi. C'è uno spazio siderale ormai e non credo che avrò più la forza per proseguire. A breve dovrò prendere una decisione difficile, perché so che lui non lo farà» spiegò Martina. Probabilmente gli stava lanciando un messaggio. Era tempo di riportare il discorso su di loro e Federico riprese il controllo. «Non riesco a guardarti negli occhi sai?» le disse. «Come mai ??» rispose lei, che invece sospettava il perché. «Hai occhi che guardano dentro e non ci sono abituato.» Era questo uno dei suoi punti di forza nei rapporti con le donne e non necessariamente con quelle che desiderava sedurre. Questa parte del suo animo dai tratti femminili, sensibili, insicuri, esercitava un attrazione fatale per l'altro sesso. Era sconcertante per una donna trovarsi di fronte ad un uomo deciso e determinato, ma che al tempo stesso non si vergognava di mostrare quel suo lato, considerandolo anzi, parte imprescindibile del suo carattere. «Da che mondo vieni Federico, cosa ci fa un uomo come te qui a Cadaqués » «Mi sono perso, Martina. Perso alla deriva di un'idea folle.» «Ti va di parlarmene?»

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«No, mi va di restare qui di fronte a te, per guardarti negli occhi fino a sera» rispose lui, accennando un leggero sorriso e toccandole la mano sul tavolo. Le chiavi di accesso all'anima di ciascuno di noi sono d'infiniti tipi, per ognuno esiste un proprio passe-partout. Per l'anima di Martina era quello il grimaldello segreto. La frase di Federico le deflagrò dentro come una bomba. Le toccò le corde più profonde. Era una frase di rispetto e amore, era dirti “Vedo chiaramente che la tua bellezza va ben oltre ciò che solo appare e io voglio quella parte di te. Sono qui per questo.” In quel preciso istante Martina capì che era lei lo scopo del suo viaggio. Finirono il pranzo con calma e si diressero verso il porticciolo. Camminavano piano, uno fianco all'altra, godendosi quell'intimità che via via prendeva sempre più corpo. Il pontile galleggiante più esterno verso il mare dondolava dolcemente sotto il ritmo calmo delle onde e Martina si sedette con le gambe a penzoloni, togliendosi le scarpe per non bagnarle. Con il palmo della mano diede due colpetti sul pavimento in legno accanto a sé per indicare a Federico di sedersi al suo fianco. Per due minuti non parlarono, godendosi il rollio del pontile e il sole del pomeriggio sul volto. La brezza che spirava come un velo leggero sull'acqua correva delicatamente e li rinfrescava. Poche barche a vela in lontananza s'inclinavano nella magica danza di lunghi bordi e veloci strambate. 175


«Ti piace la vela?» chiese di sorpresa Martina «Vuoi la verità?» «Certo che si.» «La adoro ma soffro molto il mal di mare e ciò limita il divertimento» rispose lui, rammaricato. «Scommetti che con me non ti accadrà?» «Ma vuoi portarmi in barca?» «Si, domani voglio portarti a fare un giro a vela» rispose lei decisa. «Agli ordini ammiraglio! Ma di chi sarebbe la barca?» «Era dei vecchi proprietari del Jazz Rock. Ce l'hanno venduta nel pacchetto con l' avviamento del locale. La usiamo poco ma è carina, un undici metri. Si chiama “Amanda”» A Federico sembrava di sognare, tutto stava andando alla perfezione, l'indomani avrebbero avuto una giornata intera solo per loro in mare e stava per affrontar la sera con lei, presumibilmente. Quello sarebbe stato un altro momento particolare perché la sera, si sa, scalda gli animi delle persone e in un contesto così tutto sarebbe stato molto più caldo e coinvolgente. L'euforia del momento gli aveva fatto scordare che il conto alla rovescia per il suo ritorno era scattato e di lì a due giorni avrebbe dovuto decidere. Qualsiasi decisione lui avesse deciso di prendere avrebbe generato pesanti ripercussioni su altri fronti. Qualcuno ne avrebbe inevitabilmente pagato le conseguenze e questa cosa gl'impediva di gioire totalmente del magico momento che stava vivendo con Martina. 176


«E tu sei sposato?» chiese lei «Si» rispose, non aggiungendo altro. «Figli?» «No, non ne abbiamo avuti.» «Oh mi spiace e...l' ami?» Aveva schivato il primo assalto ma questo era difficile da contenere. «Oggi come oggi non lo so. Credo di aver un gran casino in testa» rispose guardando la linea dell'orizzonte in mare, poi si voltò verso lei attendendosi un qualche tipo di reazione. Martina restò invece imperscrutabile. Era giunta anche lei in una fase della vita in cui non voleva più solo accontentarsi, voleva tornare ad un amore pieno, alla passione dei baci travolgenti, alle complicità più nascoste, quelle che non si raccontano, e a tutto quell'universo di cose che le mancavano tremendamente. «Non so niente di te, da dove vieni, che storia hai dietro alle spalle» osservò lei, convinta di farlo aprire. «Ho una storia come tante. Niente di entusiasmante credimi.» «Eppure...eppure, ho la sensazione di conoscerti. Possibile che non ci siamo già visti da qualche parte prima?» «Forse si, in un’altra vita» rispose Federico. In fondo quello era un modo per risponderle senza mentire totalmente. Nuovamente Martina sentì la sua mente viaggiare e confondersi, vide due ragazzi seduti su un muretto con le 177


gambe a penzoloni. La testa di lei appoggiata sulla spalla di lui e una torre alle loro spalle. Poi tutto si offuscò e ritornò al presente. Capì che Federico non voleva parlarle del suo passato e si domandò se la sua convinzione di averlo già conosciuto non dipendesse dalla voglia che aveva d'incontrare un uomo così. Forse era vero che lui la stesse cercando, ma non perché venisse dal suo passato. Erano semplicemente due persone che avevano la stessa esigenza e che, grazie al caso, si erano incrociati per una di quelle strane coincidenze che ogni tanto la vita ti propone. Non aveva senso cercare un perché e non godere di quella incredibile alchimia. «Ci vediamo questa sera?» chiese lui mentre si alzavano dal bordo del pontile per rientrare verso la piazzetta. «Stasera non credo di farcela. Devo andare a Roses e credo tornerò verso le undici» rispose lei , sorprendendolo. Non se l' aspettava. Era convinto e sicuro che lei sarebbe rimasta a Cadaqués per lui, indipendentemente da qualsiasi impegno avesse e invece si sbagliava. Non riuscì a celare un' espressione delusa sul suo volto ma, fortunatamente, lei proseguì. Però potremmo forse trovarci per bere qualcosa sul tardi, se ti va. «Ma certo, volentieri» rispose Federico, rinfrancato. «Allora appena rientro ti chiamo.» Quell'alternanza di gioia e sconforto e il tempo che scorreva inesorabile lo stavano davvero sconvolgendo. Si rese conto di come fosse totalmente in balia degli eventi, tuttavia la cosa 178


non gli spiacque. Si sentiva vivo, pieno di adrenalina. Un anima e un corpo che tornavano alla luce dopo anni di oblio. Si salutarono con un casto bacio sulla guancia e Federico restò a guardarla finché lei sparì dietro l'angolo della piazzetta. Era eccitato dal suo modo di muoversi, dalla sua innata sinuosità che era rimasta quella di anni prima e sentì il suo corpo vibrare al solo pensiero di riaverla di nuovo. Visto che era ormai metà pomeriggio decise di dedicarsi a sbrigare un po' di lavoro e rispondere alle solite email dell'ufficio. In quegli ultimi giorni la sua mente aveva vagato altrove ma era pur vero che aveva un senso del dovere e, in fondo, ora non gli pesava più di tanto occuparsi di quelle cose, poiché si sentiva rinfrancato e ottimista. Trovò qualche grana perché una delle campagne da lui approvate non aveva portato i risultati sperati. In compenso lesse un email di Paul che si complimentava per altre due azioni da lui studiate per il web che erano state di grande impatto. “Non si può sempre vincere” pensò fra sé. Si chiese come stesse Janet. Ogni volta che la sua mente tornava su di lei la ferita si riapriva. Teneva questo pensiero lontano, ma non poteva evitare di affrontarlo quotidianamente. Non era possibile cancellare anni e anni di convivenza insieme senza pagarne le conseguenze. Si sentiva sballottato tra emozioni contrastanti e arrivò persino a pensare che forse il fatto che potesse avere una relazione fosse un vantaggio. Non ci sarebbero stati sensi di colpa e la sua coscienza avreb179


be trovato un alibi perfetto per lasciarlo dormire in pace. Tuttavia non riusciva a immaginarla fra le braccia di un altro, non tollerava quell'idea. Doveva e voleva sapere. Accese Skype, lei non era in linea, vide invece Steve con la classica iconcina verde accesa. Cliccò sul pulsante di videochiamata e attese la sua risposta. La webcam di Steve si aprì e il suo viso serioso invase lo schermo di Federico. «Ciao Steve, come stai?» «Sto bene Federico, hai deciso quando torni?» replicò seccamente lui. Era decisamente freddo. Non lo chiamava mai usando il suo nome per intero ma solo “Fede” e il cambiamento di tale abitudine era un segnale chiaro di quanto ce l' avesse con lui. «No, ancora non lo so» al diavolo pensò, se vogliono sbattermi fuori per una una settimana in più che mi son preso dopo anni di risultati e duro lavoro che si fottano. «Bene, per me resta la data di venerdì. Se non ti vedrò in riunione sappi che non ti coprirò» rispose Steve bruscamente. Mentre lo osservava, Federico notò dietro di lui, sul mobile basso dell'ufficio, una shopping bag che conosceva. Allargò la finestra del Mac per vedere meglio e gli arrivò un colpo di maglio allo stomaco. Era il pacco regalo di Harry Rosen che aveva visto dietro a Janet quando l'aveva chiamata. Stesso formato e, soprattutto, stessa etichetta particolare. Ricordò di come lei fosse stata in imbarazzo nel momento in cui lui le 180


aveva chiesto per chi era il regalo e anche della risposta traballante e non veritiera che lei gli aveva dato. Nella sua mente si ricomposero tutti i pezzi e il quadro gli fu subito chiaro. Era Steve che la chiamava quando lei aveva chiuso frettolosamente Skype durante la videocall con lui ed era per Steve il regalo che aveva visto sul tavolo quando Janet si era alzata. Era lui l' amante di Janet. “Dio mio….” pensò. Il suo amico fidato e sua moglie. Un doppio colpo mortale. Ora i conti tornavano. Steve voleva farlo rientrare per chiarire la cosa e portare alla luce la sua relazione clandestina con Janet, trasformandola in un rapporto ufficiale. Pensò a Susan, al dramma che avrebbe vissuto, ai loro figli. Era disgustato, ferito. Non avrebbe mai potuto tornare a lavorare di fianco all'amante della sua ex moglie e sarebbe toccato a lui andarsene, poiché Steve era in rapporti troppo stretti con Paul per poter esser messo in da parte. Con una mossa l'avrebbe costretto a licenziarsi portandogli anche via Janet. Restò senza parole poi, resosi conto che non avrebbe avuto la lucidità di dire cose sensate, si limitò ad un saluto frettoloso e chiuse la comunicazione. Si affacciò al balcone osservando le persone che passeggiavano serene sotto di lui. Erano quasi tutti turisti, felici si sarebbe detto. Si sentiva strano, una parte dentro lui era morta ma un’altra stava faticosamente venendo alla luce e pensò 181


che doveva aggrapparsi a quella. Poteva essere davvero un nuovo inizio. Non fece in tempo a soffermarsi col pensiero su quella possibile prospettiva quando il cellulare suonò: “Janet Calling...” Prese il telefono in mano, abbassò la suoneria e lasciò lampeggiare lo schermo fino a quando non si spense. Nel giro di venti minuti ricevette altre tre chiamate seguite da un messaggio in cui Janet gli chiedeva se fosse tutto ok. Lui non ripose e rientrò in casa buttandosi sul letto. Janet continuava a guardare il suo cellulare sperando di vederlo accendersi. Sapeva che se non fosse arrivata una riposta sarebbe stato un messaggio definitivo. Significava che la sua storia con Federico era finita e che avrebbe dovuto pensare a voltare pagina. Appoggiandosi con le spalle al muro scivolò lentamente verso il pavimento e iniziò a farsi prendere dallo sconforto. Fino ad allora aveva lottato per non lasciarsi schiacciare da quella tristezza che la stava pervadendo, ma dopo quel segnale cedette e liberò il suo dolore, stringendosi il viso fra le mani mentre le lacrime scendevano copiose sul suo viso stanco.

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17 TRE GIORNI, UNA VITA

Federico si svegliò dopo circa un ora dacché si era buttato sul letto. Avvertiva i segnali del solito mal di testa in arrivo e ingurgitò due pastiglie per cercare di fermarlo prima che decollasse su livelli insopportabili. La scoperta che aveva fatto l' aveva sconvolto, ma di lì a qualche ora avrebbe rivisto Marti183


na. Doveva riprendersi e farsi trovare pronto. Scese in strada per non restare rintanato, decidendo di fare due passi. Si spinse verso la zona a ovest del paese seguendo la strada interna e passando di fronte al Café de l'Habana. Vide uscire la madre di Ramón che non lo riconobbe. Imprecava contro le tasse e il governo tenendo in mano un foglio che evidentemente era stato la causa della sua ira. Arrivò fino al promontorio dell’Hotel Rocamar e si fermò a guardare l'impeto delle onde che si frangevano sugli scogli. Era un moto ipnotico, continuo, regolare. In fondo anche la sua vita fino allora era stata così, ma come per il mare arriva la tempesta così per lui era arrivato il momento della sofferenza e delle scelte. Si chiedeva se fosse pronto. Arrivò da Pilar verso le dieci e si sedette al tavolo che aveva occupato la prima sera con Stefano. Pilar lo accolse col solito buonumore e lo coccolò con portate deliziose. Stava gustando uno straordinario secondo a base di gamberoni quando si ricordò di avere il cellulare con la suoneria disattivata. Rapidamente lo estrasse dalla tasca e fu assalito da un attacco di collera verso se stesso: due chiamate di Martina andate perse. Imprecando spinse il pulsante di recall ma dall'altro capo non giunse risposta. Si diede dell'idiota. Quella disattenzione poteva voler dire non vederla quella sera e mai come in quel momento quella era l'ultima cosa che lui voleva gli accadesse. Poi, con suo grande sollievo, il telefono suonò. «Ciao Fede, ma dove sei sparito?» domandò lei incuriosita. 184


«Scusami Marti, sono un idiota, avevo il telefono in silenzioso. Sono da Pilar sai dov'è?» «Certo, vuoi che ti raggiunga al ristorante?» «Secondo me conviene che ci spostiamo in un posto più tranquillo. Io salgo un attimo in casa qui davanti perché ho scordato il portafogli, potremmo vederci in piazzetta, sul lato del mare.» «Perfetto. Ci vediamo lì.» Appena chiusa la conversazione Federico chiamò Pilar dicendogli che l'avrebbe pagato l'indomani e si avviò verso casa. Sentiva chiaramente l'importanza del momento. Sarebbe stata una serata diversa dalle altre con Martina e capiva che si avvicinava il momento in cui lui avrebbe dovuto rompere gli indugi con lei. Agguantò il portafogli poi, già che c'era, ne approfittò per lavarsi i denti. Appena finito si guardò allo specchio e decise di togliersi la giacca per mettersi un più confortevole golf blu. Non voleva avere un look troppo ricercato, meglio sarebbe stato presentarsi in modo più naturale a lei quella sera. Stava infilandosi il golf quando sentì suonare il campanello. D'istinto spinse il pulsante dell'apertura del portone in strada senza guardare chi fosse e avvertì dei passi salire per le scale fino a quando la porta non si aprì. Martina apparve come un miraggio lasciandolo a bocca aperta. Indossava un paio di pantaloni neri aderenti ma dal 185


taglio elegante e una maglietta nera, molto leggera, senza maniche e col collo a lupetto. In mano teneva una bottiglia di calvados. «Ho preso questo, mi pareva ti piacesse, visto che lo ordinavi sempre al Jazz Rock.» «Ma…ma… come hai fatto a sapere che era questa la casa dove abitavo?» chiese lui sbalordito. «Tesoro, conosco Pilar da una vita. Mi è bastato chiederglielo» rispose lei, strizzandogli l'occhio. Federico la fece accomodare e si maledisse per non aver pensato a mettere in ordine la casa. In fondo c'erano serie possibilità che sarebbero finiti da lui quella sera, ma di certo non s' aspettava che lei avrebbe anticipato di così tanto le mosse. «Sai pensavo non mi chiamassi più, poi mi sono ricordato di aver spento la suoneria del telefono, quindi l'ho guardato, ho visto le chiamate e...» Non finì la frase. Martina gli si avvicinò a pochi centimetri dal viso, continuando a fissarlo con un leggero sorriso provocatorio. Non c'era nulla da fare, sapeva perfettamente come abbattere le sue difese, aveva sempre saputo farlo. Infatti, come nell'episodio del tagliacarte di molti anni prima, anche questa volta sentì salire un tremenda onda di eccitazione. Era una sensazione leggermente diversa rispetto al passato, c'era un misto di brivido erotico e coinvolgimento più maturo e profondo. Era un'emozione filtrata dall'esperienze di 186


una vita, ma pur sempre corroborata da una chimica che tra loro era rimasta immutata. Lei gli si piazzò di fronte, ponendo le braccia distese sulle sue spalle fino a portare i due visi a sfiorarsi. Il suo seno, perfettamente disegnato sotto la maglietta aderente, andò a sfiorare appena il suo torace. Attraverso i vestiti Martina avvertì chiaramente la sua eccitazione e, continuando a fissarlo, provocatoriamente gli disse. «Pare che qualcuno non dorma qui…» Federico avvicinò ulteriormente il suo viso e lei parve ritrarsi per un attimo, sempre tenendo quegl’incredibili occhi color mare fissi nei suoi poi, lentamente, ritornò verso lui, dischiudendo le labbra. Le due bocche si appoggiarono e le loro lingue iniziarono a sfiorarsi, dapprima lentamente, poi vorticando dolcemente in un crescendo d'intensità. Le mani di lui scesero lungo i suoi fianchi fino a stringerla con decisione a sé, mentre i loro respiri aumentavano d'intensità. I corpi si stavano predisponendo a quel reciproco dono di piacere. Federico fece scorrere le sue labbra lungo il collo mentre lei inclinò la testa all'indietro per godersi appieno quella sensazione. Le mani di lui le sollevarono la maglietta fino a scoprire i seni turgidi. Martina prese a gemere sottovoce quando la lingua di Federico cominciò a roteare dolcemente attorno ai capezzoli, ritti dall'eccitazione. Non aveva fretta, conosceva i tempi di lei e voleva portarla all'apice del desiderio fino a quando non l'avrebbe supplicato di prenderla. 187


Dentro la testa di Martina era tutto un vorticare di sensazioni sopite che gradatamente si risvegliavano, era il modo con cui quell'uomo la toccava, erano le sue mani, il suo odore. Sembrava che fosse in grado di leggere cosa lei volesse qualche istante prima che il desiderio si formasse nella sua mente. Ad ogni carezza, bacio, tocco, vedeva apparire immagini offuscate, richiamo di echi lontani del passato. Erano fotogrammi troppo sovrapposti per permetterle d’interpretarli o si trattava forse solo della suggestione di quell'intenso momento di passione? Fino a quell'istante lei era rimasta passiva, lasciando il suo corpo in balia di Federico, ma sentì crescere la voglia di ribaltare quell’equilibrio. Iniziò aprirgli la camicia, facendo scorrere le sue mani calde lungo il torace di lui, fino a slacciare l'ultimo bottone. Con calma la sua mano scese verso la cintura e l’allacciatura dei jeans. In due abili mosse slacciò e sbottonò prima l’una e poi l’altra. Si fermò solo per appoggiare il palmo aperto, per percepire la sua eccitazione. Proseguì fino ad abbassargli i jeans e infilò la sua mano dentro i boxer, cercando il contatto che voleva. Federico contrasse i muscoli dell’addome dal piacere e la lasciò fare per un po’ poi la prese per mano e la fece stendere sul tavolo del soggiorno. Iniziò a baciarla partendo dalle caviglie, salì progressivamente e inesorabilmente alle ginocchia, all'interno delle cosce, fino all’inguine. Era un supplizio inebriante per lei vederlo fare ciò con tale esasperante lentezza. Avendo chiaro quale fosse il traguardo di tale percorso Marti188


na divaricò completamente le sue sinuose gambe, pronta per ricevere i suoi baci. Lui, incurante, continuò a far scorrere le sue labbra sul suo ventre fino a ridiscendere nuovamente sull’inguine e verso l’altro interno coscia. Era un tortura ben ingegnata che la costrinse a supplicarlo di baciarla dove lei desiderava ardentemente . Dopo qualche minuto lui l'accontentò spostando la sua bocca e facendole toccare l’apice del godimento. Non le diede quasi il tempo di riprendersi da quel primo intenso orgasmo. Facendola alzare prese il suo viso fra le mani e, avvicinandosi, le sussurrò : «Voglio tu indossi i tacchi e mi segua» Lei lo guardò con fare interrogativo, eccitata dall'idea. Amava giocare e adorava il tono perentorio che lui aveva usato in quel frangente. Il suo era un giusto equilibrio fra dolcezza e determinazione sapientemente bilanciato, ciò che lei aveva sempre sognato di trovare . La portò in camera e le ordinò di mettersi in piedi, girata verso lo specchio con le gambe leggermente divaricate, fermandosi ad osservarla. Era una statua, perfetta, totalmente depilata ovunque e con una pelle ambrata freschissima. Martina sentiva i suoi occhi puntati sul suo corpo, capiva di essere in sua balia e la cosa la elettrizzava. Federico le si avvicinò da dietro e, appoggiandosi leggermente, iniziò a strusciarsi lentamente su di lei . Capì che era un’altra tortura. Lei lo voleva, voleva esser presa lì, subito, in quell'istante. Conscio che quell'attesa 189


avrebbe aumentato il piacere conseguente, lui trascinò ad arte quel gioco per un tempo indefinito poi, lentamente, entrò in lei, facendole vibrare il corpo dal godimento. Martina vedeva se stessa nello specchio, le mani di lui stringerle forte i seni, afferrandola in una presa implacabile e tremendamente intensa. Sentì le sue labbra avvicinarsi nuovamente alle sue orecchie e sussurrarle cose inenarrabili, che la facevano andare in estasi. Federico proseguì così, senza fretta, fino ad aumentare gradualmente l'intensità e il ritmo di quella danza lussuriosa e travolgente. Terminato quel gioco carnale ebbero giusto qualche istante per riprendersi fino a quando i loro corpi si ritrovarono di nuovo avvinghiati, tanta era l'attrazione reciproca. Stavolta fu Martina a dire a Federico di stendersi poi lei, con un gesto felino, gli balzò sopra per dettare tempi ed intensità di quel nuovo gioco, di cui lei aveva ora il controllo. Dosò i movimenti con perizia, arrivando a fermare l’oscillazione del bacino nell'esatto momento in cui Federico era prossimo a venire. Continuò spietatamente così fino a quando non raggiunsero l’ennesimo orgasmo insieme. Proseguirono tutta notte, tra carezze, baci e giochi lascivi, assaporandosi liberi, senza freni e tabù, concedendosi al piacere più sfrenato e appagante. Per entrambi non poteva esistere medicina migliore per alleviare i turbamenti che stavano vivendo nelle loro vite. 190


Alle cinque di mattina Federico si risvegliò nel letto ancora abbracciato a Martina. La testa di lei era appoggiata sul suo petto e ne seguiva il respiro. Abbassò lo sguardo per osservarla. Per la prima volta, da quando si era lasciato trascinare dal suo istinto in quella assurda avventura, si rese conto di quanto ne era valsa la pena. La vita gli aveva sbattuto la porta in faccia nell’esatto momento in cui gliene aveva aperta un altra. Non aveva parole per descrivere il significato di quella notte insieme a lei.

Il telefono suonò per un tempo indefinito. Entrambi erano immersi nel sonno più profondo quando la mano di Martina faticosamente fece scorrere la tendina dello smartphone per aprire la comunicazione. «Per fortuna che dovevi già esser qui!» esclamò Luna risentita dall’altra parte del telefono. A Martina venne un colpo. Guardò l’orologio che segnava le otto e mezza e lei, anziché essere a Figueres a prendere sua figlia, era ancora avvolta nelle lenzuola a casa di Federico che la stava guardando con fare interrogativo. «Oddio Luna perdona, ho fatto tardi…ehm…parto subito, aspettami cucciola» cercò di scusarsi lei. «Lascia stare Mà, viene Oscar a prendermi fra due ore perché è a Figueres per consegne, ci vediamo dopo.»

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Martina si sentiva davvero male per quella dimenticanza, ricordò però che aveva anche promesso a Federico che l’avrebbe portato in barca quel giorno. «Luna senti, tu stai bene?» chiese con apprensione. «Mà, io stavo bene già ieri solo che sai come funzionano queste cose, ti mettono in osservazione ecc ecc…» «Ok, senti…io avevo promesso ad un amica che l’avrei portata a fare un giro su “Amanda” oggi, ma non mi sento tranquilla a lasciarti da sola in casa.» «Perché tu pensi io stia in casa oggi? Non andrò di certo a Port Lligat, ma di sicuro non mi rinchiudo di nuovo al chiuso dopo tre giorni che mi son girata i pollici in una stanza, pur stando benissimo. Ci troviamo tutti da Oscar a guardare qualche film nel pome. Arriverò a casa verso le sette, quindi vai tranquilla.» «Sicura?» «Sicura.» rispose Luna decisa. «Ok a più tardi allora, ti voglio bene piccola.» «Anch’io Mà.» Federico la guardò poi, prendendola in giro, le disse. «Madre degenere… » «Degenere un corno, se non m’avessi fatto certe cose ora sarei stata a Figueres!» rispose tirandogli un asciugamano che era di fianco al letto e ridendo. «Bene ammiraglio, allora devo seguirla al porto?» chiese lui scherzosamente «Prima si lavi, si sbarbi poi si presenti in coperta » 192


«Agli ordini!» La prua di “Amanda” solcava veloce le acque fuori Cadaqués. Era una di quelle giornate in cui le nuvole corrono rapide in cielo e formano ombre sfuggenti e irraggiungibili sul mare. Il vento spirava forte, gonfiando le vele della barca che s’inclinava di lato per sfruttarne in pieno la potenza. Le mani di Martina si muovevano con maestria sul timone e sulle scotte eseguendo sequenze rodate, evidentemente abituali per lei. Federico si sentiva impacciato in quel contesto e un paio di volte rischiò, durante le strambate, di prendersi la barra della randa in testa, nonostante i frequenti avvertimenti di lei. Ma c’era un senso di libertà in quella cavalcata su quel mare blu cobalto, che regalava sensazioni da sogno. La giornata sembrava essere stata fabbricata apposta per completare quello che era successo la notte prima. Loro due, soli, a ricever gli spruzzi d’acqua addosso, i riflessi sulle onde alternati ai salti di luce dati dalle nuvole che s’interponevano nel cielo e oscuravano a tratti il sole, creando ogni volta nuove angolature e inquadrature di quegli scenari mozzafiato. Mentre lei timonava lui le si avvicinò da dietro e la cinse in un abbraccio. Era felice come non gli capitava ormai da troppo tempo. Non importava quello che sarebbe accaduto nell’altra sua vita poiché ora ne aveva di fronte una nuova, pronta per essere vissuta attimo per attimo, fino in fondo. Restava il dilemma di Luna: lo avrebbe accettato, avrebbe po193


tuto capire la scelta di sua madre? E se avesse reagito male che avrebbe fatto Martina trovandosi di fronte ad un bivio del genere? Era accaduto tutto troppo in fretta e si rese conto che sarebbe comunque stato necessario un po’ di tempo per far sedimentare la cosa. Probabilmente la stessa cosa valeva anche per Martina. Di sicuro quella notte il suo corpo non aveva mentito. Avevano fatto l’amore come due persone innamorate, non si era trattato di un semplice sfogo sessuale, questo gli era chiaro. Ma cosa ora passava dentro la testa di Martina gli era ignoto. Lei aveva parlato poco fino a quel momento, tenendo sempre gli occhi ben fissi verso l’orizzonte e sorridendogli ogni tanto con complicità. Capì che aveva bisogno di tempo per lei e rispettò il suo silenzio. Dopo circa un'ora di navigazione Martina diresse la barca verso una caletta, che evidentemente conosceva, e gettò l’ancora. Il mare sembrava una tavola e l’acqua era talmente trasparente che lo scafo pareva sospeso nel vuoto. Si tolse tutti gl’indumenti e lo guardò. «Che fai, non ti butti con me?» disse ammiccandogli, prima di tuffarsi. Federico la seguì a ruota togliendosi i boxer e la maglietta che aveva indossato durante la navigazione. L’acqua era fredda, essendo fine maggio, e l’impatto fu quasi traumatico, ma si sentì incredibilmente vivo. 194


Si avvicinò a lei e la strinse. Il contatto della sua pelle calda in quell’acqua cristallina gli accese nuovamente il desiderio. Martina non gli bastava mai. «Sei pentita?» chiese lui «Certo che lo sono… di non averti incontrato prima.» «Abbiamo tante vite non credi? Questa potrebbe essere quella nuova» azzardò lui. «Lo so.» «Ti spaventa?» «Ho vissuto fino adesso oscurando una parte di me Federico. Vedere la luce dopo anni di buio credo spaventerebbe chiunque. Ma non posso descrivere come mi sento ora, quanta felicità ho dentro.» Aveva risposto. Era chiaro che quel rapporto, seppur nato così in fretta, affondava in radici lontane che solo lui ricordava. Ciò che contava non era riaprire il libro del passato, ma usare quella sintonia fra loro che aveva attraversato gli anni. Federico l’aveva ritrovata nel suo tempo. Questo contava e null’altro. Risalirono in barca, rinfrancati da quella nuotata nelle fredde acque di fine maggio e si stesero sul ponte a prua per godersi il sole. Poche barche transitavano lontano tra sbuffi bianchi di schiuma e sobbalzi nelle onde. «Vuoi parlarne a Luna?» «Dovrò farlo» rispose lei, lasciando trapelare una leggera inquietudine. «Capirà?» 195


«Penso di si, ma credo che la sua reazione non possa esser prevedibile. Vuole bene a Philip che per lei è giusto un buon amico, anche se è pur sempre stato un punto di riferimento in anni delicati.» «Capisco. Forse servirà procedere con calma, non affrettare i tempi per rispettare i suoi, sempre che arrivi ad accettarmi.» «Tu gli piaci molto e lo sai» disse lei, accarezzandogli il volto. «Ma hai una moglie a Toronto, che pensi di fare con lei ?» chiese Martina. «Le parlerò, ma credo che il suo cuore sia già rivolto ad altri.» «Capisco» rispose lei, lasciando trasparire un forte senso di empatia per ciò che lui provava in quel momento. La giornata passò velocemente tra soste, nuotate e caste affettuosità. Avevano bisogno di trovare la sintonia anche nelle piccole cose, dopo aver verificato che quella fra le lenzuola era piena. Rientrarono in porto verso le sette e Federico scese velocemente per non correre il rischio di incrociare Luna mentre era in barca con Martina. Sua madre le aveva mentito alla mattina dicendole che sarebbe andata in mare con un amica e, vedendolo a bordo, avrebbe immediatamente capito ciò che stava accadendo. Non era il modo migliore per farglielo sapere.

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Dalla banchina del porticciolo Federico si rivolse a Martina che in barca stava ultimando i nodi delle cime d'ancoraggio. «Suppongo che sarà difficile poter trascorrere la notte insieme, sbaglio?» «Non sbagli, ma potremmo uscire a cena noi tre.» «Scherzi?» disse lui, totalmente sorpreso dalla sua proposta. «No, non scherzo affatto. Tu hai rimosso il fatto che tutti qui sanno che le hai salvato la vita ed è più che normale che tu esca a cena con noi per festeggiare, non credi?» «Ah già, dimenticavo che sono il nuovo Supereroe di Cadaqués» disse lui sarcastico, prendendosi una ciabatta in plastica addosso che Martina gli tirò dalla barca per gioco. «Ecco vedi, come l'uomo ragno. Mi toccherà girare mascherato perché, nonostante faccia del bene, avrò i media contro!» proseguì lui con lo stesso tono, ma stavolta Martina non riuscì a trattenersi dal ridere. Dopo quello scambio di battute si salutarono dandosi appuntamento al Café de l'Habana per le dieci. All'uscita del porto si baciarono sfiorandosi appena con le labbra poi, giunti nella piazzetta, si separarono per raggiungere le rispettive abitazioni, situate in due luoghi diametralmente opposti di Cadaqués. Federico entrò in casa con la sacca a tracolla e la buttò sul divano. Poi andò in bagno e si guardò nello specchio. Aveva preso una discreta “cotta” da sole anche se, per fortuna, 197


non si vedevano segni di scottatura. Si spogliò velocemente per farsi una doccia d'acqua dolce. Tutto quel sale sulla pelle iniziava a pizzicare fastidiosamente. Finito di lavarsi entrò in soggiorno in accappatoio e accese il telefono e guardò il display. C'erano altre due telefonate di Janet, arrivate in mattinata. Significava che aveva chiamato da Toronto alle tre e alle quattro di mattina. Ne trovò anche una di Steve fatta alle cinque del mattino, ora canadese. S’innervosì. Gli sembrava che ora i due attori principali del tradimento consumato alle sue spalle facessero a gara per cercare di farlo tornare a Toronto, per sbattergli la porta in faccia. Faticava ancora a immaginarsi Janet e Steve travolti da tale perfidia, ma esisteva anche una evidenza e una logica di fatti inoppugnabile a cui lui doveva per forza piegarsi. Bene, se questo era dunque il loro gioco ora le carte le avrebbe date lui e risposto con i suoi tempi. Sapeva già che prezzo avrebbe in tutti i modi pagato, “Almeno che decida io come e quando ciò avverrà” si disse fra sé. Si concedette un'ora di risposo e si guardò bene dall'accendere il Mac per leggere la moltitudine di email che avrebbe di certo ritrovato nella sua casella di posta. In quei giorni, col trasferimento delle shares al fondo Private Equity, che di fatto diventava il socio di maggioranza relativa della sua azienda, si sarebbero scatenati tutti i peggiori comportamenti di paraculismo, vuoi per mettersi in mostra sperando in promozioni e salti di categoria professionale per i più virtuo198


si, vuoi per proteggersi da possibili licenziamenti per i più lavativi. Per la nuova proprietà lui, non essendosi reso reperibile, sarebbe sicuramente rientrato in quest'ultima categoria, fatto che comunque non lo turbò minimamente. Stava occupandosi di una cosa ben più importante : la sua vita. Vita e lavoro erano due mondi che troppo spesso venivano considerati come sinonimi. Non per lui, non in quel momento. Il Mac si prese perciò il suo giorno di meritato riposo e restò spento sul tavolo. C'era però qualcos'altro che lo stava facendo pensare da quando era arrivato a Cadaqués. Gradualmente aveva preso contatto con i ritmi rallentati di quel posto che all'inizio lo avevano quasi infastidito ma ora, osservando i turisti passeggiare sotto il suo balcone, gli sembrò di rivedere l'immagine del Federico di qualche giorno prima. Riconosceva subito quelli appena arrivati: nervosi, irascibili, incapaci di gustare un pasto seguendo ritmi fisiologici senza “aspirare” quello che c'era nel piatto, a velocità ultrasoniche. Il cambiamento che stava subendo non riguardava solo la sfera affettiva ma tutto il suo mondo al completo, stili di vita e abitudini incluse. E nel nuovo mondo si sentiva meravigliosamente bene. «Luna c’e’ una sorpresa per te questa sera» disse Martina rivolgendosi alla figlia che si stava ancora asciugando i morbidi capelli con l’asciugamano. «Dai? Un regalo?» rispose lei speranzosa. 199


«Beh in un certo qual modo si, ceniamo al Café de L’Habana con Federico» disse lei ansiosa di vedere la reazione di Luna. Il Jazz Rock ancora per tre giorni sarebbe stato gestito solo da Estrella e dagli amici che si erano resi disponibili dopo l'incidente di Luna, ma né Martina né sua figlia avevano ovviamente alcuna voglia di andare a cena nel locale dove lavoravano abitualmente. «Davvero? Viene anche James?» «Mi auguravo che la cosa non ti dispiacesse, oggi l’ho incontrato e ho pensato fosse carino invitarlo.» «Beh… l’hai incontrato…diciamo pure che ci sei uscita in barca.» Martina trasalì. Evidentemente Luna l’aveva vista. In fondo la manovra d’attracco era durata un po’ e bastava che lei fosse passata per la piazzetta e che avesse volto lo sguardo verso il porto per vederli. Conosceva bene la barca e sicuramente non le sarebbe stato difficile scorgere anche Federico. Il fatto però che sua madre le avesse mentito era la conferma implicita che tra loro esisteva qualcosa che lei voleva nasconderle. Martina, consapevole di quella imbarazzante situazione, si sentiva con le spalle al muro, incapace di parlare. «Mamma guarda che non sono più una ragazzina. So come funzionano queste cose. Ciò che per me conta è che tu sia felice ma anche che faccia le cose con i tempi giusti. Questo lo dico soprattutto per te.» 200


Aveva dell’incredibile. In quell’istante sembrava che i ruoli delle due si fossero ribaltati. L’affermazione di Luna fu però un salvagente per Martina che replicò «Tesoro, io non so cosa accadrà, ma so che quello che sto provando per Federico mi mancava da troppo…» così dicendo s’interruppe, perché lei stessa sentiva di non avere ancora risposte certe dentro sé. Si sentiva comunque sollevata.

Janet aveva ancora provato a chiamarlo. Dopo gl'inutili tentativi di sentirlo aveva trascorso l’ultima notte con il cuore a pezzi, rimanendo a guardare il display nella speranza di ricevere un cenno da parte di Federico. Era scioccata dal suo comportamento. Sembrava l’avesse cancellata con un veloce colpo di spugna come se tutti gli anni trascorsi insieme se ne fossero andati in un lampo, senza lasciare alcuna traccia di sé. Aveva un figlio in grembo ma anche il sangue avvelenato dal dolore per la perdita dell’uomo che amava e che le aveva voltato le spalle, lasciandola freddamente a macerare nel suo dolore. Il campanello dell’appartamento di Janet suonò e lei corse speranzosa ad aprire la porta. Nella notte aveva immaginato che sarebbe potuto accadere, che Federico sarebbe potuto tornare anche così, all’improvviso. Quando aprì la sua illusione fu cancellata da una slanciata figura femminile sulla soglia. 201


«Ero preoccupata Janet, non hai risposto alle chiamate mie e di Steve» disse Susan, in evidente stato d’ansia. «Devi perdonarmi Susan, ho visto le chiamate ma non avevo nemmeno la forza di parlare. Avrei solo singhiozzato al telefono con te per un ora.» «Ti capisco tesoro, so cosa stai provando. Ma devi farti forza e andare avanti. Dentro me non è morta la speranza che Federico ritorni. Lo conosciamo molto bene anche io e Steve e nessuno dei due crede che lui possa andarsene così, non è da lui.» Forse aveva ragione Susan ma era certo anche che se non si faceva vivo significava che non voleva parlarle. Di sicuro aveva letto i suoi messaggi perché erano apparsi i segni di conferma lettura. In quel momento la donna con cui stava Federico, dall’altra parte dell’oceano, aveva fatto spostare il baricentro della sua vita così tanto da spingerlo a non volerla più nemmeno sentire al telefono. Si chiese se avrebbe avuto la forza di farcela senza lui.

Le luci soffuse del Café de l’Habana facevano risplendere ancor di più la bellezza di Martina e Luna quando Federico, dal suo tavolo, le vide entrare nel locale. Sembravano due sorelle più che madre e figlia. Avevano entrambe optato per una pettinatura raccolta, molto raffinata, che esaltava i loro lineamenti sensuali. Vederle insieme era per lui sconvolgen202


te. Rivedeva infatti la Martina del passato e quella attuale, quasi si trattasse di un gioco d’illusione. «Pensavo ti presentassi in smoking, James» esordì Luna scherzosamente. «Aspetta a vedere cosa può fare il mio orologio, poi mi dici» rispose lui, reggendo il tono dello scherzo. «Siete bellissime» aggiunse poi aiutandole ad accomodarsi. La serata trascorse piacevolmente tra battute e risate in un clima totalmente rilassato. Luna si aprì molto raccontando della sua vita, delle sue amicizie e persino di un ragazzo di Roses che le piaceva molto. Era incredibile vedere come in tre giorni si fosse già creata tra loro una tale complicità. A Martina brillavano gli occhi nel constatare ciò. Quell’uomo, piovuto dal cielo, stava entrando nelle loro vite come un coltello caldo nel burro, senza alcuno sforzo. Pareva lo stessero aspettando da una vita. Finita la cena Luna si congedò da loro per andarsene al Jazz Rock a incontrare gli amici, mentre Martina e Federico si fermarono nella zona antistante il Café de l’Habana sedendosi sul muretto, rivolti verso il mare. «Ha capito che c’è qualcosa tra noi» disse lei. «Dici che se ne sia accorta questa sera?» «No Fede, ci ha visti in barca e ha capito.» «Oddio, e che ha detto?» chiese lui, spaventato da quella notizia. 203


«Credo tu possa intuirlo. Non hai visto come si è comportata con te? L’hai conquistata Fede e, credimi, sei riuscito a fare in due giorni ciò che a Philip non è riuscito in anni e anni.» Restarono a parlare ancora a lungo mentre il moto delle onde a poco a poco rallentò fino a che il mare si trasformò in una immensa distesa calma e lucida. La luce giallastra dei lampioni si rifletteva sulla superficie dell’acqua restituendo una moltitudine di piccoli riflessi dorati. A poco a poco il vociare della gente attorno iniziò a scemare fino a quando non si trovarono soli nel silenzio, rotto unicamente dal leggero sibilo del vento. Si baciarono più volte stringendosi e sciogliendosi in abbracci pieni d’amore. «Meglio io rientri ora» disse Martina, guardando l’orologio. «Preferisco essere a casa quando Luna arriverà. Abbiam già fatto un grande passo per stasera e non voglio forzare troppo la mano con lei.» «Hai ragione Marti, avremo tempo» ripose lui, accarezzandole dolcemente il volto. Mentre camminava per rientrare a casa Federico si pose mille domande. Nonostante quello che stava accadendo a Toronto e che ancora gli appariva al limite dell'inverosimile, non riusciva a capacitarsi di come tutto stava invece incastrandosi perfettamente nella sua nuova realtà. Anche la pau204


ra di non esser accettato da Luna era stata ormai superata agevolmente, senza alcun problema. Quella sera stessa Martina avrebbe forse potuto trattenersi nuovamente da lui senza che la figlia obiettasse alcunché. Era stato infatti solo il loro scrupolo che li aveva spinti ad evitare ciò, anche se la voglia di restare insieme era incontenibile. Tirò fuori dalla tasca lo smartphone e non vide altre chiamate. Questo poteva solo significare una cosa: Janet stava iniziando a staccare definitivamente l’ultimo filo che li manteneva ancora in contatto. Di sicuro l’avrebbe atteso a Toronto, consapevole che prima o poi sarebbe tornato, e lo avrebbe liquidato di persona. Non riusciva tuttavia in alcun modo ad immaginarla così subdola e crudele verso di lui. Martina era stesa nel suo letto e ripercorreva nella sua mente quello che era accaduto nelle ultime quarantotto ore. Entrando nella fase di torpore che prelude al sonno profondo vide nuovamente apparire le immagini sfuocate di due giovani che si baciavano nello stesso modo in cui si erano baciati lei e Federico quella sera. “Forse sto già sognando” pensò fra sé , prima di addormentarsi. Federico aveva già preparato il caffè quando il campanello della casa di Carrer de la Miranda squillò deciso. Aprì la porta col pulsante posto al piano superiore e udì il familiare ticchettio delle scarpe di Martina risalire le scale. 205


«Buenos dias Seńor Bassetti» disse lei scherzosamente, apparendo con un vassoio incartato in mano. «Ciao tesoro, che bello rivederti.» «Direi che possiamo far colazione con queste meravigliose brioches che ho preso in quel piccolo forno di francesi sotto casa mia, ci beviamo un bel caffè, poi però devo sparire fino al primo pomeriggio perché ho i conti di chiusura mese con Estrella e, almeno quelli, devo farli con lei.» «Ma certo, l'importante è che tu ritorni presto perché già questa notte di astinenza senza te mi è sembrata eterna» disse Federico, guardandola con fare provocatorio. «Anche a me» rispose Martina, avvicinandosi per baciarlo con trasporto. Durante la colazione lui si sporcò involontariamente il viso come un bambino con la marmellata delle brioches che lei aveva portato, facendola ridere di gusto. Per ripicca, contenendo a stento a sua volta una risata, lui la schizzò usando il cucchiaino con la schiuma del cappuccino. In men che non si dica si scatenò una guerra fino a quando non si ritrovarono entrambi il viso ricoperto di quegli zuccherosi ingredienti appiccicosi. Prima di lavarsi si scattarono un paio foto col telefono, ridendo e facendo le boccacce, come due ragazzini scapestrati. Finita la colazione Martina salutò Federico e si diresse verso casa di Estrella, mentre lui uscì per andare da Pilar. Da qualche giorno gli era venuta alla mente una balzana idea e ora voleva vedere se riusciva a realizzarla. 206


Appena entrato lo vide nel corridoio, camminava verso la cucina. «Hola Pilar» lo salutò Federico. «Hola Federico» ripose lui, sorridente come sempre. «Senti Pilar devo chiederti un favore ma non dirmi di no, ti prego.» «Se posso volentieri.» «Ehm....insomma... m'insegneresti a far la tua paella ?» «Ahahahah, tutto qui? Guarda che la paella non è solo questione di cucina ma è “cabeza y corazón”.» «Dai fammici provare» supplicò lui. Pilar non ebbe nulla da obiettare e, anzi, si dimostrò divertito da quella proposta, lo portò in cucina e lo piazzò al fianco di Lucia che era considerata la più brava a preparare quella prelibata leccornia. Federico approfittò di quel momento per farsi una foto con loro mentre era all’opera, con tanto di mestoli in mano, che spedì subito a Martina. La risposta giunse immediata: “Woww!!! Sei ancor più sexy ai fornelli!!!” Passò così qualche ora fino a quando, verso l'una, si sedette a tavola per gustarsi il risultato di quel lavoro a cui anche lui aveva contribuito Rientrato a casa, dopo pranzo, si dedicò a far ordine, cosa che aveva un po' trascurato a causa dei vorticosi avvenimenti degli ultimi due giorni. Piegò camicie e magliette, che aveva fatto lavare, e ripose i pantaloni nell'armadio. Gettando un occhiata sulla sedia vide spuntare dalla tasca della giacca la 207


busta con la lettera di Martina che aveva trovato a Spello. L a aprì e recuperò la polaroid che aveva scattato a loro Italo. Erano davvero belli in quella foto. Avevano negli occhi la felicità di chi sa di amarsi e di avere ancora tutta la vita davanti. Verso metà pomeriggio Martina lo raggiunse a casa. Si erano ripromessi di uscire per fare un salto a Figueres a comprare un po’ di cose per lui perché stava ancora usando ciò che si era portato dal Canada, convinto di star via solo tre o quattro giorni al massimo. Non riuscirono però a metter piede fuori di casa. Di nuovo la passione che li attirava l’uno verso l’altra li travolse come un onda di piena. Era davvero difficile per Martina capire come lui facesse ad esser così presente verso ciò che lei desiderava, come fosse in grado di conoscere in quel modo il suo corpo e a portarlo con tal semplicità verso il piacere estremo. Sembrava davvero che lui possedesse la chiave d’accesso i suoi segreti più nascosti ma in fondo, si disse, “Ciò che più importa è che io l’abbia finalmente trovato”. Era l’uomo che a lei era sempre mancato, anche quando non sapeva nemmeno che esistesse. Mentre il sole fuori dalle finestre della casa di Carrer de la Miranda iniziava a calare sulle acque di Cadaques, Federico si girò verso di lei nel letto. «Resti con me questa notte?» «Si questa notte si, Luna dorme da una sua amica.» 208


«E’ stato tutto così veloce tra noi che quasi mi spaventa» proseguì Martina sospirando. «Hai dei dubbi su di noi? Sul fatto che possa davvero funzionare?» rispose lui, preoccupato. «No, non ho nessun dubbio, solo che ormai non ero più abituata a sentirmi così bene.» Federico si fermò a guardarla e capì a cosa alludeva. C’era un senso di pienezza nel loro fresco rapporto che travalicava qualsiasi possibile descrizione a parole. Era l’armoniosa unione del lato passionale e affettivo che si mescolavano tra loro in un connubio perfetto. Ordinarono del pesce alla griglia e vino bianco freddo a Pilar, chiedendogli la cortesia di mandar uno dei suoi ragazzi a casa per consegnare il tutto. Fu una serata bellissima in cui si parlarono delle loro aspettative per il futuro e del loro passato. Federico glissò su alcuni argomenti. Non le disse ad esempio che era originario di Spello per non creare sospetti. Voleva infatti ancora regalarsi una notte con lei accanto prima di raccontarle, nella mattinata successiva, tutta la vera storia che li aveva riguardati anni prima. Non sapeva se lei avrebbe ricordato e nemmeno come avrebbe reagito e questo lo spaventava. Ma doveva farlo o sarebbe rimasta per sempre un’area oscura sul loro rapporto. Continuarono a chiacchierare stesi sul letto fino a tarda ora quando a Martina iniziarono a socchiudersi gli occhi. Lui 209


fece scorrere su di lei la coperta leggera e si alzò per andare in bagno. Poco prima di entrare vide il telefono lampeggiare sul tavolino basso del soggiorno e si avvicinò per leggere eventuali chiamate e messaggi. Trovò solo l'sms di Steve che aveva appena fatto accendere il display. Fu tentato di non leggerlo, convinto del fatto che si trattasse dell’ennesimo tentativo di convincerlo a rientrare. Era però anche curioso di vedere cosa si sarebbe inventato questa volta, a che razza di trucco sarebbe ricorso. Strisciò il dito e il messaggio apparve: “Skype, ora!” Si sentì subito infastidito dal tono, ma chi si credeva di essere? Dopo quello che aveva fatto e stava facendo si permetteva di usare quei modi con lui? Cliccò sul pulsante dell’iphone e lo spense. Andò in bagno si sciacquò la faccia con acqua fresca e si guardò nello specchio. Per qualche strano motivo non si sentiva tranquillo. Per tutto il giorno era riuscito ad ignorare totalmente il pensiero di Steve e di Janet ma, a quell’ora della notte e nonostante avesse Martina nel suo letto, gli salì una rabbia tremenda. Capì che non avrebbe dormito e si decise a prendere il toro per le corna . “Al diavolo ora lo chiamo e lo mando affanculo, quel bastardo traditore !” Aprì il Mac, attese la comparsa delle icone e cliccò su quella di Skype. Controllando nella lista dei nomi vide che Janet non era online, mentre Steve era presente. Gli arrivarono molti messaggi da altri della sua lista che, evidentemente, gli 210


avevano scritto durante le ultime quarantotto ore. Non ne lesse nemmeno uno ma chiamò subito Steve. Mentre avvertiva gli squilli, che confermavano la connessione avvenuta, si preparò ad una furibonda lite. La finestra si aprì ed apparve il volto del suo “ex amico” trasfigurato dalla stanchezza. Era chiaro che la notte precedente non doveva aver dormito e Federico imputò la cosa in parte all’acquisizione in atto in azienda ed in parte a possibili sensi di colpa che prima o poi avrebbero per forza dovuto affliggerlo, visto quello che aveva fatto. «Ciao Fede.» «Steve» disse Federico, omettendo qualsiasi saluto di cortesia al fine di dare un tono volutamente distaccato a quell'inizio di dialogo, consapevole che sarebbe presto degenerato in rissa. «So che abbiamo avuto uno scontro nel corso della nostra ultima chiamata ma sono nuovamente costretto, in qualità di tuo amico, a chiederti di tornare. Per favore Fede, devi farlo» disse Steve serio. Federico provò a mantenere l’autocontrollo per qualche secondo prima di rispondere, poi esplose «Amico? Tu saresti un mio amico?» «Fede, ci conosciamo da più di vent’anni, ma stai impazzendo? Cosa ti sta succedendo? Non può essere che una donna ti abbia ridotto in questo stato in pochi giorni!» «Ma con quale coraggio! Con quale coraggio mi parli di amicizia e di donne, proprio tu? Credi che non abbia capito 211


di te e Janet, che sia così scemo da non essermene reso conto?» La frase tuonò nel silenzio più assoluto all’interno dell’ufficio di Steve. Per un lungo istante lui guardò nello schermo convinto di non aver capito bene. Non era possibile che la persona che gli era stata amica negli ultimi vent’anni avesse detto quello che le sue orecchie avevano sentito. Poi però Federico proseguì: «Devi dire a Janet che quando ti regala camicie di Harry Rosen si ricordi di non mettere il sacchetto in modo che si veda nello schermo durante le chat e che usi le buste standard e non quelle personalizzate, perché sono riconoscibili. La stessa cosa vale per te “amico caro”, visto che ancora lo scorgo dietro te! » Era proprio così. Federico aveva pronunciato quell’infamia e l’aveva fatto con convinzione. Ma di che sacchetto parlava quel folle? Improvvisamente gli venne un sospetto. Si girò, prese il sacchetto di Harry Rosen e lo portò davanti allo schermo. «Intendi questo sacchetto?» chiese Steve, aprendo l’etichetta e mettendola davanti alla webcam. Nello schermo di Federico le parole vergate a penna apparvero per un attimo confuse poi l’autofocus della webcam si aggiustò, permettendo una chiara lettura :“ With all my heart. Susan.” Federico rimase con la bocca a penzoloni completamente scioccato da ciò che aveva visto. Il biglietto era firmato da Susan, quello era un regalo di lei per Steve. 212


Aveva preso un abbaglio pazzesco, dubitato di un suo caro amico, insultandolo mortalmente. Oltre a ciò esisteva ora il serio rischio che anche i sospetti su Janet fossero del tutto infondati. Dall’altro capo del filo Steve, a sua volta sconvolto da quello che aveva sentito, ebbe un attimo di mancamento, poi si rialzò verso lo schermo. Fissava Federico ma non si leggeva in lui alcun sentimento d’odio. Dentro a sé, però, capì che era giunto il momento di spezzare il patto d’onore che aveva fatto con Janet. Doveva farlo per il bene di entrambi. «Fede, ho il serio timore che tu stia impazzendo. Avevo giurato a Janet che non l’avrei fatto ma non posso…io…non riesco… » “Oddio c’è dell’altro” , pensò Federico «Janet ti ha aspettato in silenzio tutti questi giorni, ha sofferto e mi ha chiesto in tutti i modi di non dirtelo, ma tu devi saperlo: è incinta e ha rischiato di abortire due giorni fa. Ora sia lei che il bambino stanno bene ma io e Susan non dormiamo da due notti per assisterla e non farla sentire sola. Sta soffrendo tremendamente in attesa della tua decisione.» Fu come lo scoppiò di una bomba atomica. Federico avvertì un onda d’urto colpirlo allo stomaco con una violenza insostenibile. Prese a tremare e riuscì solo a balbettare: «Incinta?? Mio Dio…mio Dio… ma perché, perché non me l’ha detto?» «Perché Janet ti ama al punto da non voler influenzare in alcun modo la tua decisione su questa cosa. Non voleva veder213


si tornare a casa un uomo con la testa da un'altra parte per tutto il resto della vita. E’ una persona unica Federico, te l’avevo detto» rispose Steve. Si sentì malissimo. Le congetture che aveva costruito nella sua testa l’avevano trasportato all’inferno, si era lasciato trascinare da pensieri e ipotesi terribili su persone che gli si erano dimostrate vicine e fedeli anche quando lui aveva fatto di tutto per allontanarle. C’era Janet. Aspettava un figlio da lui, era avvenuto il miracolo che per anni avevano inseguito e in quel momento, che sarebbe dovuto esser il più felice della loro vita, lui era riuscito a distruggere tutto, a lasciarla languire e soffrire da sola nella disperazione. «Ora Fede devi darmi ascolto: appena chiusa questa conversazione io ti prenoto un volo da Barcellona per domani. Lo troverai nella tua casella di posta fra venti minuti. Se sei ancora l’uomo che penso salirai su quell’aereo» concluse Steve, chiudendo la finestra di chiamata senza lasciargli possibilità di replica.

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18 L’IMMAGINE SFUOCATA

Martina aveva dormito divinamente e si svegliò stiracchiandosi nel letto, cercando con la mano Federico. Il posto di fianco a lei era vuoto e le lenzuola fredde, segno che lui doveva essersi alzato da un po’.

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Spostò il cuscino per sedersi sul materasso e si stropicciò gli occhi per permetter loro di abituarsi alla luce che filtrava dalla finestra. Quando li aprì lo vide sveglio, seduto davanti a lei, il volto scavato da una notte insonne. Era vestito, la valigia fatta di fianco al letto. Le bastò uno sguardo per capire. «Federico ma… te ne stai andando?» domandò con voce tremante . «Martina, ti prego…è difficile...» le rispose lui, abbassando lo sguardo a terra. «Ma come e’ possibile, poche ore fa eravamo qui a far l’amore e ora…?» «Marti, non posso spiegarti… » «Allora perché l’hai fatto, perché mi hai fatto questo? Perché mi hai portato fin qui per poi lasciarmi cadere come un peso morto?» protestò lei , iniziando a singhiozzare. «Martina io non volevo, io…» s’interruppe per un attimo a causa del nodo che gli si stava formando in gola. «…io non avrei mai immaginato che sarebbe finita così e in questo momento non riesco a concepire la mia vita senza te. Ma devo andare, non ho scelta, devo andare…» «C’è sempre la possibilità di scegliere Fede e io non posso credere che i tuoi abbracci, i tuoi baci, il modo in cui abbiamo fatto l’amore in questi giorni siano solo una finzione. Me ne sarei accorta. L’uomo che sei dentro non riesce a fingere. Perché allora?» Federico si alzò in piedi avvicinandosi alla finestra. Scostò le tendine e guardò in strada. Sembrava tutto come sem216


pre, Cadaques viveva una giornata come tante altre mentre dentro quella casa, in Carrer de la Miranda, si stava consumando uno degli atti più dolorosi di tutta la sua vita. Quasi fosse una premonizione il sospetto dei giorni precedenti aveva preso corpo: il destino gli aveva preparato una crudele sorpresa. L’aveva schiacciato in un angolo, obbligandolo ad operare una scelta che avrebbe avuto conseguenze dolorose per una persona a cui lui voleva bene. Quella persona era ora lì davanti, con gli occhi lacrimanti a supplicarlo di restare. Lei non l’aveva cercato ma era stato lui a trascinarla fino a quel punto, a gettarla in quell’abisso. Partendo, avrebbe conficcato un coltello fino in fondo nelle sue carni. Sapeva bene che qualsiasi spiegazione avesse provato a fornire sarebbe comunque rimasto aperto quel solco, quella spaccatura nell'anima di lei che avrebbe sanguinato per molto e molto tempo ancora. «Sarebbe complicato e senza senso se provassi a spiegartelo perché non ho risposte nemmeno dentro me. Ti basti sapere che tutto quello che ho fatto è avvenuto perché l’amore che provo per te supera ogni logica. Ha bucato il tempo, ma non è stato abbastanza. Non so se potrai mai perdonarmi, né se potrò perdonarmi io. Temo sia questo il prezzo che dovrò pagare per le mie scelte.» Martina non replicò, restando ferma sul letto mentre le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi profondi. In soli tre giorni era stata completamente sopraffatta dai sentimenti verso Federico, ma ora si ritrovava a terra e senza una spiega217


zione sensata. Aveva chiaro che non si era trattato di una semplice sfida di seduzione per lui, aveva sentito le mani di quell’uomo sulla sua pelle. Erano mani sincere, vere. Le aveva parlato di un amore che buca il tempo. Che significava? Era forse una persona che veniva dal suo passato? Guardandolo capì che non le avrebbe comunque detto nulla . Federico si alzò e si avvicinò a lei. Si aspettava che si sarebbe ritratta o che avrebbe magari avuto una reazione furiosa. Invece lei aprì le braccia per riceverlo in quell’ultimo doloroso abbraccio. Restarono così per un minuto poi lui si staccò a fatica, prese la valigia in mano e mise la giacca sottobraccio. «Marti, ti prego, resta qui ancora per qualche minuto. Se scendi e mi volto mentre vado verso l’auto potrei non farcela. Lascia le chiavi a Pilar per favore.» Parti da Barcellona ?» « Si» rispose lui «Non tornerai vero?» Prima di risponderle Federico restò un attimo sulla porta a guardarla mentre lei era ancora seduta sul letto e si asciugava le lacrime col lenzuolo. «No Marti, non tornerò» rispose, richiudendo la porta alle sue spalle. Rimase ferma in quella posizione per qualche minuto. Nella stanza c’era ancora l’odore di lui, quell’odore che non avrebbe più sentito. La vita le aveva fatto un regalo avvelena218


to portandola al vertice della felicità per poi sottrarle in un sol colpo quel sogno meraviglioso che ormai credeva realizzato. Si alzò a fatica, dirigendosi verso il bagno. Si guardò, aveva gli occhi gonfi, arrossati dal pianto e i capelli arruffati e scomposti. Si lavò, asciugò e cercò di ridarsi un contegno. Raccolse le cose sparse in giro che le appartenevano, si rivestì e, prima di aprir la porta, si voltò per l’ultima volta verso l’interno della casa. Un altro pezzo di lui si stava staccando da lei. Iniziò a scendere la scala ma, arrivata quasi in fondo, rischiò di scivolare su un gradino. Qualcosa si era infilato sotto la suola e sembrava esserci rimasto attaccato. Allungò la mano e lo tolse. Era una foto, una polaroid. Aprì la porta sulla strada per poterla vedere alla luce del giorno. Nel guardarla sotto il sole dapprima non capì, poi osservò meglio e restò stupefatta: era una foto di lei, poco più che adolescente, con un ragazzo, ma quel ragazzo… quel ragazzo era… Federico da giovane! La sua testa iniziò a vorticare follemente al punto che dovette piegarsi sulle gambe e sedersi in strada, appoggiandosi al muro. Centinaia di figure sfuocate le apparivano nella testa sovrapponendosi, prendendo infine corpo e chiarezza. Vide muri antichi, chiese, viottoli, l’interno di una casa, libri e quaderni su un tavolo, un maglione da uomo, una ragazzina sola sulla banchina di una stazione. Le immagini correvano come riprese fatte al volo da una camera in movimento, sali219


vano, si spostavano girando in un vortice continuo senza sosta fino a quando l’inquadratura si fermò sul volto del ragazzo e della giovane. In quel preciso momento Martina ricordò. Si sentì invadere da una emozione incontenibile. Infilò una mano nella borsetta e tirò fuori un altra polaroid. Era totalmente sfuocata, a malapena s’intuiva che c’erano due persone nell’inquadratura, ma i colori degli indumenti e le sagome dei volti combaciavano. Per anni aveva tenuto quella foto nella borsetta sperando di riuscire a ricordare da dove provenisse e col tempo era divenuta solo un suo portafortuna. In verità Italo, la volta in cui loro erano stati da lui, aveva scattato due foto, solo che la prima, essendo venuta male, era finita nel cestino. Lei però l'aveva recuperata e conservata. Federico era tornato dal suo passato. Quell’uomo aveva davvero attraversato il tempo, dopo venticinque anni era venuto fino lì per cercarla e colmare quel vuoto che evidentemente gli era rimasto dentro. Cancellare quel “ponte di vita” che aveva unito quei due periodi non era stato però semplice come aveva creduto inizialmente e, alla fine, si era trovato a dover scegliere. E in quella scelta Martina aveva perso. Non poteva però lasciarlo andare via così, senza riguardarlo negli occhi un’ultima volta per dirgli che in fondo anche lei, pur senza averlo riconosciuto, l’aveva aspettato dentro sé fino ad allora. Prese in mano il telefono e provò a chiamarlo ma ricevette di ritorno il messaggio della segreteria te220


lefonica. “Federico avrà spento il cellulare per evitare di cedere alla tentazione di tornare” pensò. Si rialzò e prese a correre, inciampando più volte sul ciotolato dissestato dei vicoli di Cadaques. Attraversò la piazzetta passando davanti al Jazz Rock Club senza neppure salutare Lucas che stava spazzando il marciapiedi antistante il locale e che la osservò preoccupato. Dopo una corsa a perdifiato entrò sbandando nella stradina di casa e si fermò ansimante di fronte all’ingresso, cercando di pescare le chiavi dalla borsa. Fu assalita dal dubbio che Luna fosse andata via la sera prima con la Smart, nel qual caso non sarebbe mai arrivata in tempo in aeroporto per riuscire a vederlo. Poi si girò e vide l'auto parcheggiata poco distante e tirò un sospiro di sollievo. Entrò in casa, agguantò le chiavi, uscì di nuovo e saltò in auto per partire a tutta velocità diretta all'aeroporto. Federico guidava con calma, il tempo sulla Catalogna stava iniziando a rannuvolarsi, quasi avesse seguito l'evolversi delle sue situazioni personali. Dopo giorni e giorni di sole grandi nubi si addensavano all'orizzonte ed erano dello stesso colore dei pensieri che offuscavano la sua mente. Pensava a Janet, alla sofferenza che lei aveva patito per colpa sua e al male che aveva fatto a Martina e forse in parte anche a Luna. L'avrebbe odiato per quello che aveva fatto a sua madre e per avere illuso anche lei. Sapeva che la sua era stata una scelta obbligata. Non sarebbe infatti stato possibile iniziare una nuova vita ignoran221


do l'atto d'amore compiuto da Janet verso di lui e il fatto che lei attendesse un bambino, frutto del loro rapporto. Volutamente quella mattina aveva evitato di aprirsi con Martina raccontando la vera storia, perché la cosa non avrebbe che finito per ferirla ancor di più. Aveva già sofferto abbastanza per dover patire ancora per colpa sua. A tutto questo pensava Federico mentre la sua auto percorreva gli ultimi chilometri che lo separavano dall'aeroporto El Prat di Barcellona. La piccola Smart correva veloce sul ruvido asfalto dell'autostrada mentre le prime grosse gocce di pioggia iniziarono a bagnare il parabrezza. “Ci mancava solo questo”, pensò Martina fra sé, pregando che quel tempo non causasse incidenti e code lungo il percorso che ancora le mancava per raggiunger la sua meta. Federico aveva almeno quaranta minuti di vantaggio ma il problema più grosso era che se non fosse arrivata in aeroporto prima del suo passaggio dai controlli di sicurezza le sarebbe stato impossibile riuscire a rivederlo ancora una volta. Voleva dirgli che aveva capito il perché e che non gli serbava rancore. Ora le era chiaro cos'era quel rumore di fondo che aveva disturbato la sua vita da quando era uscita dal coma, dopo la nascita di Luna. Quel cerchio dentro lei doveva essere chiuso e Federico era riuscito a farlo. L'amore che provava verso di lui le avrebbe forse permesso di sopportare anche il 222


dolore di quel distacco e magari il tempo l'avrebbe aiutata a far rimarginare quella ferita. Federico raggiunse l'aeroporto che diluviava e s'infilò nel parcheggio del car rental. Appena entrato nel grande atrio dell'area partenze individuò l'ufficio dove pagare il conto e riconsegnare le chiavi dell'auto. Si diresse poi verso l' area del check-in per consegnare i bagagli e ottenere la carta d'imbarco. Mentre attendeva il suo turno infilò la mano nella tasca della giacca e sentì il telefono. Resistette alla tentazione di accenderlo, conscio del fatto che un eventuale messaggio di Martina avrebbe rinforzato la tempesta che imperversava dentro lui. Si guardava intorno osservando quella moltitudine di persone muoversi freneticamente e pensava alle storie che ognuna di esse doveva avere dietro sé. Molti erano lì per viaggi di lavoro, di vacanza, c'era gente pronta ad imbarcarsi verso mete esotiche. Quel giorno, però, la pagliuzza corta della partenza per un addio doloroso era toccata a lui. Si sarebbe reversibilmente potuto dire che per lo stesso motivo a Toronto il suo sarebbe dovuto diventare l' arrivo felice di un marito ritrovato e futuro padre. Ma la vita purtroppo non funzionava seguendo percorsi lineari e anche in quel caso ne stava avendo conferma. Era entrato in quel meccanismo infernale per un suo colpo di testa, andando a sollevare una pietra che doveva esser lasciata dov’era, senza far danni. S'era invece ostinato a cercar di smuoverla fino a che non aveva causato 223


una frana colossale. E sotto quella frana c' erano rimasti la sua coscienza e Martina. Non riusciva né poteva assolversi e soffriva tremendamente. Consegnati i bagagli si fermò al bar per prendere un caffè poi si spostò nella zona dei controlli di sicurezza con la carta d'imbarco in mano. C'era una lunga fila e si mise pazientemente in coda. La piccola Smart imboccò il viale che portava all'aeroporto a gran velocità sotto incredibili scrosci d'acqua. Martina non riusciva a vedere quasi nulla nonostante i tergicristalli andassero alla massima velocità, procedeva a tentoni sotto quella pioggia battente fino a che, giunta a pochi metri, vide il cartello “Parking” e s'infilò con tal foga da rischiare di strisciare lo sportello sulla rampa di salita. Parcheggiò la macchina di traverso in una piazzolla, totalmente incurante del fatto che così facendo occupava ben due posti auto, e scese rapidamente iniziando a correre verso l'area partenze. Entrò finalmente nel grande atrio e si diresse verso i monitors che indicavano la lista dei decolli. Non conosceva il numero del volo né la compagnia, prese perciò a scorrerli velocemente cercando d'individuare quello giusto. Notò il volo Iberia Ib517 in partenza entro 40 minuti per Toronto. Era sicuramente quello, Federico sarebbe salito su quell'aereo. Senza fermarsi un attimo corse verso l’area dedicata ai controlli sicurezza dove però s'intravedeva una coda enorme. 224


Saltò in mezzo alla gente e, fra le imprecazioni dei passeggeri, prese a risalire la fila per cercarlo. Giunse alla fine ma di lui non c'era traccia. Stava cedendo allo sconforto quando il suo occhio cadde su uno schermo che indicava, nelle tre colonne di fianco ad ogni volo, anche l'area del controllo sicurezza. Lei era in quella sbagliata, si trovava praticamente dall'altra parte dell'aeroporto. Scostò le fasce che servivano per canalizzare la fila, uscendo da quel percorso obbligato, ritornò nel grande corridoio e riprese a correre. Federico ormai aveva solo tre persone davanti a sé e iniziò a togliersi le scarpe, l'orologio, porre il telefonino e cintura nella vaschetta preparandosi a passare il varco prima di recuperare i suoi oggetti e avviarsi al gate. Poco prima d'infilare il recipiente in plastica nel tunnel a raggi x e di passare sotto all'arco del metal detector si girò casualmente per un attimo alla sua sinistra e notò in lontananza una figura femminile che procedeva di gran carriera verso la sua direzione. “Questa perde l'aereo”, pensò. Poi raccolse i suoi oggetti e sparì dietro l'angolo in direzione del gate. Martina l'aveva invece riconosciuto. Aveva corso a più non posso ma erano ormai quindici minuti ininterrotti che lo faceva e il fiato le era venuto meno. L'aveva visto girarsi nella sua direzione ma era ancora troppo lontana per provare a chiamarlo col poco fiato che le era rimasto. 225


Federico era sfilato via oltre il controllo di sicurezza in una zona invalicabile per chi non fosse stato munito di un biglietto d'imbarco. Si appoggiò ansimante su una seduta libera, di fronte all'area controlli e in mezzo a due giovani assonnati con due voluminosi zaini ai loro piedi. Non c'era riuscita, lui sarebbe partito e lei non l' avrebbe mai più rivisto, di questo era certa. Con un grande sforzo e con un nodo in gola che quasi le impediva di respirare si alzò per ritornare nel grande atrio. Avrebbe visto sparire il volo dal tabellone e, con esso, dissolversi anche quell'ultimo residuo di lui. Mentre si avviava verso il grande schermo luminoso si accorse però che in un punto dell'atrio era possibile vedere i gates. Una parte della parete era stata volutamente lasciata aperta e sostituita da una lunga e spessa lastra di vetro, larga circa un metro, che da terra saliva fino al soffitto. “Forse da lì potrei riuscire a vederlo”, pensò rinfrancata. Si avvicinò al grande muro sotto gli occhi sospettosi di due agenti della Guardia Civil che mantenevano la soglia di attenzione alta, per paura di attentati. Federico era seduto nella zona imbarco in mezzo a un gruppo di canadesi rumorosi che erano evidentemente al rientro da un viaggio di piacere. Si sentiva quasi infastidito nel vederli ridere e scherzare mentre lui era ancora in pieno combattimento dentro sé. 226


Dopo qualche istante una hostess e uno steward con la divisa Iberia si avvicinarono al box e iniziarono a chiamare la gente a raccolta per l'imbarco. Rimase seduto preferendo attendere che la fila si diluisse, aveva il posto assegnato e non c'era urgenza di correre come quei forsennati di fianco a lui che stavano già accalcandosi. Si girò ad osservare gli altri gates e la gente in attesa poi puntò per un attimo lo sguardo in direzione del muro dietro sé. Fu colpito nel notare una fenditura con una grande lastra di cristallo inserita architettonicamente ad arte al suo interno e, dall'altra parte, una sagoma femminile appoggiata ad essa. Era una immagine strana perché si percepiva chiaramente che la donna guardava nella sua direzione. Continuò così a fissarla e fu lentamente assalito da un tremendo sospetto. Dall'aspetto, l'abbigliamento, la postura, quella donna sembrava… sembrava… era Martina! Sobbalzò d'istinto sulla sedia e scattò piedi mettendosi a correre verso di lei. In pochi passi le arrivò di fronte. Era lì a pochi centimetri da lui e il suo cuore prese a battere all'impazzata. Provò a parlarle ma lo spesso muro di vetro impediva il passaggio di qualsiasi suono. Prese in mano il telefono e indicò a lei di fare altrettanto. Martina, invece, lo guardò con gli occhi lucidi, appoggiò la borsetta a terra e tirò fuori due polaroid. Alzando le mani ne appoggiò una sotto la mano destra e una sotto quella a sinistra contro il vetro e rivolte verso di lui. Federico le guardò e contemporaneamente mise la mano in tasca accorgendosi di non aver più la foto fatta loro da Ita227


lo. Era sotto la mano destra di Martina e l’altra... l'altra era quella che aveva preso Martina dal cestino del ristorante quando Italo l'aveva buttata, ricordò. Alzò le mani a sua volta e le pose in corrispondenza di quelle di Martina. Lei gli sorrise e appoggiò la fronte contro il vetro, lui fece lo stesso. “Last call for Flight number Ib517” ripeteva l'altoparlante dell'aeroporto mentre Martina e Federico erano ancora fermi uno di fronte all'altro separati da quella enorme lastra trasparente che stava per trasformarsi in una distanza di migliaia di chilometri e in due vite che si dividevano per sempre. Togliere le mani da quel vetro fu, per Federico, lo sforzo più grande di tutta la sua vita. Lo fece lentamente, sollevando alla fine anche la fronte e facendo qualche passo indietro mentre continuava a guardarla. Restò così per un attimo, con lei che lo fissava, poi gradualmente si voltò e ritornò verso il gate. Porse alla hostess la carta d'imbarco e, prima di scomparire nel corridoio mobile che conduceva all'aereo, si girò per vedere un'ultima volta quegli incredibili occhi blu al di là del vetro.

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19 PER SEMPRE

Janet aveva trascorso le ultime quarantotto ore nello sconforto piĂš totale. Si sentiva svuotata, stanca e spaventata. La fine della storia con Federico, avvenuta in un modo cosĂŹ inaspettato e repentino, non poteva essere assorbita come niente fosse. Nonostante tutto quello che era avvenuto, nono229


stante il comportamento di lui fosse stato ingiustificabile sotto ogni profilo, non riusciva a mentire a sé stessa. Federico era stato, ed era ancora, il più grande amore della sua vita e non riusciva a considerarlo diversamente. Avrebbe continuato a coltivare l'illusione di vederlo un giorno apparire sulla soglia di casa pronto ad abbracciarla, come faceva ogni sera al ritorno dal lavoro. Una parte di lui stava ora crescendo dentro il suo ventre e quel legame sarebbe comunque rimasto per tutta la vita. Le luci dei lampioni in strada si accesero a illuminare una Toronto che si preparava ad affrontare il week end quando il suo telefono, appoggiato sul tavolo della cucina, prese a squillare. Lei istintivamente corse per rispondere, nella speranza di sentire la voce di Federico. «Ciao Janet sono Susan, come ti senti questa sera?» «Ah ciao Susan, abbastanza bene grazie… » rispose lei, non riuscendo a celare una punta di delusione. «Lo stai ancora aspettando vero?» chiese Susan, accorgendosi del suo tono dimesso. «Susan, come si fa a togliersi dalla mente una persona che si ama? Federico è la persona che più mi ha capita e non riesco a immaginarmi senza lui, non riesco a pensare a questa casa senza la sua voce, la sua presenza, io... non ce la faccio.» «Ti capisco, ma adesso hai anche una responsabilità più grande e quella deve essere la tua nuova priorità d'ora in poi. 230


Tuo figlio avrà bisogno di una persona che sappia crescerlo e tu, Federico o no, sarai una madre meravigliosa.» «Grazie, grazie davvero. Tu e Steve siete davvero i miei angeli custodi. Spero di farcela, spero davvero di riuscirci» rispose Janet, appoggiando il gomito sul tavolo e portandosi la mano sulla fronte. Finita la telefonata si alzò e si diresse in camera. Era ormai sera ma non aveva nessuna voglia di cenare. Quello sarebbe stato un week end difficile per lei, il primo trascorso senza Federico da quando aveva preso coscienza di essere stata lasciata per un'altra donna. Di sicuro prima o poi si sarebbe rifatto vivo, magari attraverso avvocati o chiamandola per concordare la separazione e si chiese come avrebbe reagito. La sola idea di rivederlo sotto quella nuova luce la sconvolgeva. Susan però aveva ragione: doveva rialzarsi per suo figlio, doveva farcela con le sue forze. Si tolse i vestiti per andare a farsi una doccia. Avrebbe passato le restanti ore, prima di addormentarsi, sola nel letto a guardare la pay-tv con la testa da tutt'altra parte. Il programma della serata era già scritto. Entrò in bagno, girò il miscelatore dell'acqua e la lasciò scorrere attendendo che si scaldasse poi, poco prima di entrare sotto il getto, avvertì un rumore secco provenire dall'altra stanza. Ebbe un sussulto, s'infilò l'accappatoio e si sporse verso l'ingresso. In piedi, con la valigia a terra e il viso stanco di chi non ha dormito da tempo vide Federico. Aveva scelto lei. Era tornato per lei. 231


Non riuscì a dire nulla, non corse né iniziò a tremare, semplicemente entrò nella sala, fece due passi e le gambe le cedettero, lasciandola in ginocchio a guardarlo. Lui si avvicinò visibilmente scosso, si abbassò, inginocchiandosi a sua volta, e la strinse in un caldo abbraccio. Restarono così per minuti, senza dirsi altro perché i gesti e i baci che si scambiarono presero il posto della parole, riempiendo di un confortante calore quel grande freddo che si era creato nei giorni precedenti tra di loro. Lui si spogliò, lasciando cadere a terra i vestiti e, prendendola per mano, la portò sotto la doccia. L'acqua scorreva sulla loro pelle insieme alle reciproche carezze che via via diventarono sempre più avvolgenti, fino a quando non si ritrovarono a fare l' amore in piedi sotto quel caldo getto. Restarono lì, per lunghi minuti, appagati da quella nuova intimità ritrovata. Una volta usciti dalla doccia lei lo guardò. «Che ne dici se apriamo il Crystal che c'è in frigo e ci mangiamo un po' di salmone con burro e crostini?» «Ottima idea» rispose lui. Janet s'infilò l'accappatoio e si diresse in cucina per preparare quel lussuoso spuntino mentre Federico, dopo essersi asciugato, si avvolse un telo bianco in vita e andò in soggiorno. Prese dalla borsa l'ipad e lo inserì nella dock station. Si spostò verso la grande vetrata e guardò le calme acque dell'Ontario che, all'orizzonte, disegnavano una perfetta linea di confine con il cielo, nella crepuscolare luce del tramonto. 232


Allungò la mano sul telefono e fece scorrere le immagini finchÊ non trovò la foto che cercava. Sul display apparvero due volti sorridenti, imbrattati di schiuma di latte e marmellata, mentre le calde note dell'armonica a bocca di Lee Oskar invasero la stanza.

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PROPRIETA’ LETTERARIA DI DAVIDE NEGRI

Copyright © 2014 by Davide Negri ccxxxiv


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