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M E N S I L E D I D I V U L G A Z I O N E C U LT U R A L E
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13 marzo 1271 Cronaca di una morte (non) annunciata
Le luci nelle case degli altri il libro di Chiara Gamberale il 27 giugno a Mammagialla
AgriTusciaBurger, l’hamburger a km 0 dal 27 giugno al 6 luglio allo Slow Village
Il mare di grano Decarta ospita Monica Angela Baiona presente a Caffeina il 4 luglio
ABIO Viterbo dal 28 giugno al 3 luglio a Senza Caffeina
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2014 GIUGNO LUGLIO
12/13 ippocampo
acido lattico
carta stampata
6 storia
12 incontri
18 caos letterario
Cronaca di una morte (non) annunciata
Conosciamo la Vitersport Libertas
Storie di una libreria disordinata / 8
Orlando Samperi
Gabriele Ludovici
Claudia Paccosi
tendenze
nota bene
alimentazione
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14 incontri
19 slow food
Il jazz fruibile
AgriTusciaBurger
Gabriele Ludovici
a cura di I giardini di Ararat
Compendio del compratore folle
2014 GIUGNO LUGLIO
Martina Perelli
salute
tam tam
ospiti
10 psicologia
16 incontri
20 mentre cucino
Anoressia: non solo moda
La generazione felice
Il mare di grano
Paola Salvati
Elisa Spinelli
Monica Angela Baiona
11 volontariato ABIO, dalla parte del cuore Sabrina Manfredi
LAVALLIERE Editoria e Servizi editoriali
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n.
Allega (barrare la casella che interessa): assegno bancario intestato a Lavalliere Società cooperativa copia bonifico intestato a Lavalliere Società cooperativa IBAN IT22 E030 6914 5001 0000 0003 853 DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
editoriale
DECARTA Scripta volant Mensile di divulgazione culturale Numero 12/13 – Giugno/Luglio 2014 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Ilenia Boschi, Carlo Alberto Bianchini, Gabriele Ludovici, Claudia Paccosi, Martina Perelli, Paola Salvati, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via della Palazzina, 81/a - 01100 VITERBO Tel. 0761 326407 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 0761 326407 - 340 7795232 Foto di copertina Manuel Gabrielli I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito.
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irca un anno fa, più precisamente il 27 giugno del 2013, il primo numero di Decarta vedeva pubblicamente la luce. Quasi due mesi prima, il 9 maggio 2013, una “macchina” chiamata Lavalliere Società Cooperativa veniva coraggiosamente messa in moto.
Difficilmente qualcuno ha memoria del suo primo compleanno, prima di tutto per motivi di coscienza ed in generale perché si tratta di un avvenimento importante soprattutto per i genitori. Questo numero allo stesso modo è importante soprattutto per noi che lo abbiamo creato, rappresenta un anno di sforzi ed il raggiungimento di un piccolo traguardo. Vorrei però far notare come queste pagine, oltre ad essere commemorative di un anniversario, portano impresso anche l’inizio di nuove collaborazioni, in particolare un retro curato dallo staff del JazzUp Festival ed un nuovo spazio interno dedicato agli ospiti. La nostra macchina è in movimento, nelle figure di collaboratori e finanziatori: si ringrazia chi ha reso e chi sta rendendo possibile questo viaggio. Manuel Gabrielli Presidente Lavalliere Società Cooperativa
Chiuso in tipografia il 19/06/2014 www.decarta.it
DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
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ippocampo
storia
Cronaca di una morte (non) annunciata Orlando Samperi | orlando.samperi@decarta.it - Foto di Sabrina Manfredi e Manuel Gabrielli
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o sempre visto Viterbo come una bellissima città con una forte personalità medioevale, una storia importante alle spalle e infiniti segreti. Ma, a dire la verità, di rado mi è capitato di vederla nei libri di storia a scuola. Sì, certo, è stata sede papale, molti sanno anche che è stata teatro del conclave più lungo della storia, ma sui testi di divulgazione scolastica ci si ferma qui. Male! Anzi, malissimo! Roma è stata il fulcro della Storia nazionale, vero, ma questo non vuol dire che la vicina Viterbo sia da considerarsi una città di relativo interesse. Gli occhi del mondo hanno guardato spesso a questa città; con invidia, o curiosità… Una volta addirittura con orrore. Ed è proprio in quest’ultimo caso che mi sono imbattuto curiosando nella storia di uno dei suoi monumenti più sottovalutati: la chiesa di San Silvestro, meglio conosciuta oggi come chiesa del Gesù. Effettivamente non salta all’occhio per magnificenza, né per la sua eleganza: in effetti se dovessi parlare solamente della struttura, ne avrei per pochi minuti. È una chiesa romanica, modesta, una facciata non decorata, un portale con architrave sopra al quale spicca l’affresco di una Madonna col Bambino. Ancora più su si riconosce il simbolo della Confraternita del Nome di Gesù, e una monofora. Il campanile, a vela, presenta fregi più antichi. C’è un’altro campanile sul retro, e 6
sugli spioventi due leoni ricordano ai passanti dove si trovano. L’interno è semplice, con un’unica navata; due monofore a destra e due a sinistra, oltre all’apertura sopra l’altare, sono gli unici punti di luce, quando le porte sono chiuse. Gli affreschi sono di varie epoche, dal ’300 al ’500, mentre il crocifisso ligneo è del ’600. Ma c’è qualcosa in questa chiesa che la rende particolarmente degna di nota. Qui si è svolto un avvenimento che tutto
il mondo ha visto, e che ha avuto ripercussioni politiche in tutta Europa; ne parlò addirittura Dante nella Divina Commedia.
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iamo nel 1271, il 13 marzo. La chiesa, grazie anche alla sua posizione strategica, è una delle più importanti della città, tanto che vi troviamo personaggi di primo piano nel panorama politico europeo. A Viterbo si sta svolgento il conclave che porterà all’elezione di Gregorio X come papa, dopo più di mille giorni nei quali il mondo cristiano è rimasto senza guida spirituale. Enrico di Cornovaglia, cugino di Enrico III re d’Inghilterra, fa sosta a Viterbo mentre accompagna il corteo funebre di Luigi IX, morto di peste nell’ottava crociata (tra l’altro senza aver mai combattuto. Fu fatto santo da lì a poco. Certi meccanismi non cambiano mai…). Insieme a lui ci sono Carlo d’Angiò, re di Napoli e di Sicilia, e suo nipote Filippo III, che diventerà, a soli 25 anni, re di Francia in agosto. Insomma, la crema della nobiltà. Tutti e tre stanno partecipando alla funzione che si svolge nella chiesa di San Silvestro. Enrico è seduto davanti, e non vede che nella chiesa, discretamente, entrano Guido e Simone di Montfort. Certo, magari non li riconoscerebbe, sono passati anni da quando loro padre lo aveva imprigionato e poi liberato. Infatti Enrico, anni addietro era stato suo malgrado coinvolto nella seDECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
conda guerra dei Baroni, che vedeva contrapposti Enrico III, che come sappiamo è suo cugino, e Simone V di Montfort, anche lui un cugino. Scelse di stare col re, Simone V fu catturato, ucciso e smembrato, come monito ai futuri ribelli.
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l fatto che ora, nella stessa chiesa ci siano due dei sui figli (il terzo perse la vita con il padre), non lascia intendere nulla di buono. Ed infatti i due, sguainate le spade, avanzano veloci verso la navata centrale, visti solo dal sacerdote officiante. Non ci sono guardie (siamo in chiesa, insomma!), le uniche armi presenti sono gli spadini ornamentali che i nobili portano come accessori per la cintura. Il sacerdote cerca di frapporsi tra Enrico e i due ragazzi, ma loro non vogliono certo perdere un’occasione tanto ghiotta per vendicarsi, uccidono il prete e raggiungono Enrico, che nel frattempo è arrivato all’altare. L’altare è il luogo più sacro, a quel tempo nemmeno un assassino può essere toccato se si trova presso un altare consacrato. Ma i fratelli ormai non si fermerebbero di fronte a nulla, e passano Enrico a fil di spada di fronte all’attonita platea, che ora comincia a rendersi conto dell’accaduto. Ma la loro opera non è finita: come loro padre fu smembrato, loro, con i loro mezzi, fanno la stessa cosa con Enrico, e gli estraggono il cuore dal petto, per riporlo in una borsa. Un chierichetto cerca di fermarli, ma viene mortalmente ferito. Dopodiché fuggono. Lo so, può sembrare inverosimile… Un omicidio così, davanti a tutti, e nessuno che li fermi, nessuno che intervenga… Ma del resto, i re e i nobili presenti in chiesa, tutti agghindati, coperti dei loro vestiti migliori, non erano certo prodi combattenti pronti a dare la vita per Enrico… avevano popoli da governare, loro! E così i cattivi scapparono, la tradizione ci dice per via dei Pellegrini, e fecero perdere le loro tracce… Furono scomunicati, condannati, ma non catturati, e il cuore di Enrico fu portato a Londra, dove tra l’altro è ancora conservato. DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
Dante pone Guido, il maggiore dei fratelli, nel dodicesimo canto dell’Inferno, tra i violenti contro il prossimo, immerso fino al collo nel sangue bollente: Poco più oltre il centauro s’affisse sovr’ una gente che ’nfino a la gola parea che di quel bulicame uscisse. Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, dicendo: “Colui fesse in grembo a Dio lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola”.
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omunque, inutile dirvi che da quel giorno la chiesa cadde in disgrazia. Molte corporazioni si susseguirono nella sua gestione: quella degli Ortolani, i Gesuiti, i Carmelitani
scalzi, i Penitenti, la confraternita del Nome di Gesù, ma nessuno riuscì a cancellare dalla memoria del popolo il sangue lì versato, e alla fine, ormai abbandonata, la chiesa crollò parzialmente verso la metà del secolo scorso. Per fortuna la Cassa di Risparmio nel 1987 l’ha restaurata e i Cavalieri e le Dame dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro ora si occupano della struttura, in modo che noi possiamo goderci la vista di questa chiesa, un tempo centro del mondo. Non lasciatevi ingannare dall’aspetto, dedicate a questa chiesa, o passanti ignari, l’attenzione che si merita, perché in questo luogo è stata fatta la Storia!
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Compendio del compratore folle Mamma, è shopping on-line… Martina Perelli | martina.perelli@decarta.it
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on sono una persona a cui piace sperperare soldi. Non so se è per vocazione personale o per l’educazione impartitami, ma se c’è un’occasione tendo a coglierla. Risparmio di qua per avere qualcosa in più di là e ricordo con orgoglio quelle mille lire che mia madre mi consegnava per ogni “ottimo” preso a scuola. Poi le mille lire sono diventate il singolo euro, la mano generosa di mamma una carta Postepay su cui caricare le finanze necessarie per i miei bisogni. E la Postepay è diventata shopping online. Chi compra online lo fa in parte per pigrizia e noia: è un po’ la trasposizione 2.0 della classica “televendita pentole e suppellettili-materassi soffici come non mai”. Mia nonna si accomoda sul divano e ordina bracciali Swarovski che la signorina della televendita mostra come l’occasione del secolo; io prendo il mio pc e, sfogliando cataloghi online e siti di abbigliamento, occupo un paio di ore a confrontare questo e quel sito, quello scarponcino scamosciato con quello in finta pelle, sempre all’insegna dell’agognato risparmio, naturalmente. Col tempo ci si riesce a fare una vera e propria cultura all’interno delle piattaforme di shopping online, si impara a vagliare le varie offerte, a capire a quale sito è meglio rivolgersi. Le paroline magiche sono low-cost e risparmio e, in effetti, rispetto alle compere fatte di persona nei negozi, il risparmio c’è. Il compratore online si divide in più categorie, se vogliamo.
- Il fanatico del “ce l’ho solo io”: colui che va a cercare quell’unico gadget di quella edizione limitata che producono in occasione della ricorrenza più sconosciuta e che risulta introvabile nei negozi. Allora che fai? Lo ordini online e a chi te lo chiede menti rigorosamente affer8
mando che “No, ma è inutile che lo cerchi, ormai l’hanno esaurito e non torna più”. Pessimo. - Il compratore compulsivo: ci sono degli istituti di recupero appositi per simili soggetti. Non importa che si tratti di abbigliamento, accessori, apparecchi elettronici, libri o quant’altro. Lui compra e compra e compra e quando arriva il senso di colpa si risponde “Però è online, al negozio sai quanto l’avrei pagato? Ho fatto un affarone”. Da ricovero. - L’affarista: la gioia per questa tipologia di soggetti risiede più nell’atto di “acquistare risparmiando” che nell’oggetto comprato. L’affarista medio si aggira poi col suo bell’acquisto aspettando solo che gli sia posta la fatidica domanda: “Che carini questi occhiali, dove li hai presi?” per rispondere tronfio: “Li ho fatti arrivare dalla Cina, li ho pagati solo quattro euro e senza spese di spedizione”. A quel punto si aspetta che tu gli faccia la Ola e lo elegga a nuovo eroe nazionale. Fastidioso. - Il pigro: se la pizzeria è a duecento metri da casa, lui chiama e se la fa por-
tare a domicilio. Se l’ascensore è occupato aspetta dieci minuti buoni che faccia tutti i piani piuttosto che salire le scale. Questo soggetto non può proprio fare acquisti nei negozi come i comuni mortali, una giornata in giro per gallerie commerciali per lui è il peggiore dei supplizi. Allora si posiziona sul letto, computer portatile sulle ginocchia e sacchetto di patatine a fianco. È un po’ il contrario dell’affarista, non importa risparmiare o cercare l’occasione, ma solo raggiungere il risultato del minor dispendio d’energie per ottenere il prima possibile l’oggetto del desiderio. Bradipo. Non so bene in quale categoria io rientri, ma è certo che, in quanto compratore online, da qualche parte dovrò pur posizionarmi. Forse a metà tra l’affarista e il compulsivo, di certo tra quelli che fanno arrabbiare le proprie madri ogni volta che queste si vedono recapitare pacchi a casa e per lo più provenienti da ogni angolo del mondo. La scusa è sempre quella: “Mamma è shopping online, si spende poco!”. Peccato che lei non ci creda poi tanto. E voi che compratori siete? Pensateci su, ché tanto nessuno è esente. DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
upside down
dove
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Via della Palazzina, 109
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Anoressia: non solo moda Una patologia complessa che colpisce donne e uomini. Paola Salvati | paola.salvati@decarta.it
un ruolo nell’esordio della patologia a una combinazione di geni, biologia e ambiente; è accertato che avere un familiare con tale disturbo aumenta la probabilità di ammalarsi, mentre è ancora un’ipotesi che anomalie del sistema serotoninergico possano predisporre allo sviluppo del disturbo alimentare e ad alcuni tratti associati quali il perfezionismo.
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l cibo oltre a sostentarci e nutrirci ci gratifica e ci consola; basta pensare a come un cioccolatino, mentre lo si assapora, può cambiare in meglio lo stato d’animo. Ma c’è una condizione che sovverte questo accostamento fra nutrizione e appagamento e anzi diventa sinonimo di mortificazione personale e di progressivo svilimento del proprio corpo e della propria integrità psicofisica. Una patologia di cui si dibatte dagli anni ’60 quando si cominciò ad affermare un modello di femminilità che si discostava dai canoni classici, che esaltavano forme morbide e rotonde, per lasciare il posto a corpi più “longilinei” e a una donna in via di emancipazione. Una malattia che conta in Italia 55.000 nuovi casi all’anno, con esiti di mortalità del 10%: l’anoressia, dal greco anoreksis che significa “completa mancanza di appetito”. Le parole che sono state spese a vario titolo fino ad adesso e che normalmente siamo abituati a leggere in relazione a questa particolare patologia meritano di essere aggiornate e adeguate a un contesto che la rivoluzione del mondo digitale, fra gli altri fattori, ha contribuito a rendere più complesso. Innanzitutto è bene 10
dire che è un fenomeno che non riguarda più il solo mondo femminile in quanto viene colpito da questo disturbo un numero sempre maggiore di soggetti di sesso maschile; secondo l’ABA (Associazione per la ricerca sull’Anoressia, la Bulimia e i Disturbi Alimentari) in Italia i 670.000 casi stimati di maschi anoressici non rispecchierebbero appieno l’incidenza della patologia in questa parte della popolazione, che sarebbe ben più consistente. È opportuno inoltre precisare che l’anoressia in questo momento è la seconda causa di morte fra gli adolescenti e i giovani, dopo gli incidenti stradali, e la prima causa di morte fra le patologie psichiatriche. Riguardo invece alle cause scatenanti del disturbo, nel passato c’è stata la tendenza a un’associazione forse un po’ semplicistica fra l’insorgenza della malattia e i modelli di bellezza e di successo proposti e implicitamente imposti dal mondo della moda femminile e dello spettacolo. In realtà si tratta di una patologia complessa, alla base della quale vi sono fattori predisponenti di ordine culturale, familiare e individuale. Gli ultimi studi tendono ad attribuire
Tra le ragioni che sottendono ai comportamenti anoressici vi sono la percezione dell’individuo di subire eccessive pressioni e aspettative da parte dell’ambiente in cui vive, o di ricevere scarsa attenzione dai propri familiari, oppure di essere oggetto di scherno da parte dei coetanei per il proprio aspetto e di non potersi affermare socialmente a causa della propria fisicità. Altri fattori che predispongono e precedono l’insorgere del disturbo sono la scarsa emotività espressa da eccessivo e rigido controllo di emozioni e sentimenti, la tendenza al perfezionismo, una bassa autostima oltre che l’ansia generata dall’approssimarsi della maturità, nei soggetti in età puberale.
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’influenza socio-culturale viene esercitata nella approvazione più o meno esplicita di associazioni quali magrezza=bellezza e magrezza=valore personale. Su questa base si possono inserire condizioni che innescano il processo patologico come la modificazione dell’equilibrio familiare causato da separazioni e lutti, nuove sollecitazioni provenienti dall’ambiente scolastico e affettivo, malattie fisiche e, come accennato prima, l’inizio della pubertà. Dalla dieta si passa a un ossessivo e ferreo controllo alimentare che, nonostante la perdita di peso, viene perpetuato nel tempo, perché dal dimagrimento il soggetto trova rinforzi positivi nella sensazione di autocontrollo, nel suscitare DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
salute l’attenzione degli altri, nell’orgoglio e nel senso di superiorità. Nello stesso tempo la persona anoressica riesce con questo comportamento a rimandare le modificazioni fisiche espressione della maturità psico-biologica legata all’adolescenza. L’esordio della malattia avviene infatti fra i 12 e i 25 anni, con picchi fra 14 e 18 anni.
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fronte della dinamica di insorgenza appena descritta, si è aperto negli ultimi anni uno scenario che ha rivoluzionato il mondo dell’anoressia, trasferendo la patologia da una dimensione intimista ad una collettiva, con la nascita e la diffusione di siti Pro Ana.Tramite blog e chat, si incitano e si diffondono comportamenti anoressici di origine nervosa. Si stima che solo in Italia ci siano circa 300.000 siti che dispensano consigli pratici per la perdita di peso e metodi per nascondere comportamenti anoressici e gli effetti degli stessi alla famiglia, alla scuola, al contesto sociale. Inoltre da questi luoghi di incontro virtuali esercitano il loro influsso veri e propri tutor che offrono supporto a quanti manifestano difficoltà nel tollerare la mancanza di cibo. L’obiettivo comune è il raggiungimento dei 35 kg di peso, visti come un traguardo e un valore. In questo modo l’anoressia sta assumendo fra chi ne è affetto i connotati di una filosofia di vita.
volontariato
ABIO, dalla parte del cuore Alla scoperta della associazione di volontariato presieduta dal prof. Massimo Palumbo, primario di Pediatria. Sabrina Manfredi | sabrina.manfredi@decarta.it - Foto di Alberto Scaglietta
Attiva in città fin dal 2009, ABIO Viterbo (Associazione per il Bambino in Ospedale onlus) si è costituita ufficialmente come associazione autonoma nel gennaio 2011. Tra le tante realtà del volontariato che contribuiscono a rendere migliore l’assistenza sanitaria in Italia, ABIO è sicuramente tra le più importanti e meritorie perché opera con passione e competenza nel delicato contesto pediatrico. L’associazione, come ci spiega la segretaria Novella Bentivoglio che ne coordina le attività, impegna gli attuali quaranta volontari a garantire la partecipazione diretta – almeno mezza giornata ciascuno a settimana – in servizi specifici presso il reparto ospedaliero.
ABIO Viterbo opera infatti direttamente all’interno del reparto di pediatria dell’Ospedale Belcolle dove i volontari accolgono e sostengono bambini e famiglie con l’obiettivo di ridurre al minimo il potenziale rischio di trauma che ogni ricovero presenta, attraverso il gioco e attività ricreative in uno spazio colorato e a misura di bambino. La giornata nazionale, che si svolge l’ultimo sabato del mese di settembre, “PerAmore PerAbio”, è dedicata ai bambini, al volontariato e alla solidarietà: tante persone acquistando un cestino di pere scelgono di offrire il proprio contributo, sostenendo così i corsi di formazione che l’Associazione organizza ogni anno per portare nuovi volontari in Pediatria. ABIO Viterbo vanta ormai da tre anni la presenza a due importanti appuntamenti: la partecipazione alla “Città a colori” e a “Senza Caffeina”. Per saperne di più sull’Associazione, conoscerne le attività e scoprire come contribuire e/o partecipare, vi invitiamo a seguire la pagina Facebook (ABIO Viterbo). ABIO Viterbo c/o Ospedale Belcolle Strada Sammartinese 01100 Viterbo Tel. 324 8637263 E-mail: abioviterbo@libero.it
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Anche quest’anno ABIO Viterbo è presente a Caffeina Festival, dal 28 giugno al 3 luglio, nello spazio “Senza Caffeina” presso il Cortile dell’Abate.
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Conosciamo la Vitersport Libertas Un’importante realtà locale nel campo dello sport paralimpico. Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it
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n punto di riferimento per quanto riguarda le attività sportive per disabili nel viterbese è senz’altro la A.S.D. Vitersport Libertas. Con un’esperienza quasi quarantennale, la Vitersport in questi anni si è tolta parecchie soddisfazioni a livello locale e nazionale. A presiedere l’associazione è Paola Grispigni, a lei chiediamo di parlarci della sua storia: «Il tutto è nato tra gli ospiti della casa di cura di Villa Immacolata, con attività legate al basket in carrozzina e all’atletica leggera, interpretando lo sport come veicolo di integrazione. La voglia di fare di questi ragazzi ha attivato in seguito un progetto di inserimento nel tessuto cittadino: usciti dalla casa di cura, il tutto è proseguito con l’integrazione di nuove discipline sportive.» Il mondo dello sport paralimpico presenta delle dinamiche differenti: «Ci sono, fortunatamente, pochi atleti e per questo alcune squadre come quella di basket sono durate fino a che ci sono stati partecipanti. Dopo si sono affermate altre discipline come il tennis, il tennis-tavolo ed il nuoto. Nell’ultimo decennio si sono aggiunte anche l’handbike e l’hockey in carrozzina. Siamo orgogliosi di aver mantenuto le prestazioni sportive della Vitersport su livelli alti.» Tra i protagonisti della Vitersport iniziamo col parlare di Paolo Baroncini, 12
che l’anno scorso ha vinto la maglia rosa al Giro d’Italia di handbike nella categoria MH2, e di Mirko De Cortes, che ha raggiunto la maglia gialla – il top – nel Campionato europeo disputatosi a Barcellona nel 2013, nella categoria MH5. Sia Baroncini che De Cortes sono assistiti Inail: la Vitersport infatti accoglie coloro che hanno subito infortuni sul lavoro, avviandoli alle attività sportive. Particolare rilievo ha la squadra di wheelchair hockey, ovvero l’hockey in carrozzina: «Essa coinvolge 15 atleti: la peculiarità di questa attività è quella di includere atleti con disabilità più gravi, grazie all’utilizzo di speciali carrozzine elettriche. La squadra, fondata sette anni fa, in breve tempo ha raggiunto il massimo campionato nazionale. Abbiamo grandi aspettative per la prossima stagione, in
quanto grazie ad una serie di sostegni saremo in grado di possedere un parco carrozzine adeguato. Purtroppo queste carrozzine elettriche non sono fornite dal Servizio sanitario nazionale.» L’attività sportiva con più partecipazione è il nuoto, che impegna 54 sportivi. Si tratta della disciplina che offre maggiori possibilità di pratica: «Il nuoto accoglie atleti con disabilità non solo fisiche, ma anche intellettive, relazionali e sensoriali. Dieci nostri nuotatori gareggiano a livello regionale e nazionale, mentre i restanti sono amatori: per noi comunque la partecipazione è già un successo. L'agonismo è semplicemente una dilatazione delle nostre attività, che permette di darci visibiltà ed allo stesso tempo di far vivere ai ragazzi l'esperienza del confronto.» Tra i migliori nuotatori della Vitersport troviamo
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Alessandro Pacchiarotti, che partecipa ai Campionati nazionali (categoria S3) nonché, come premesso, anche atleti con disabilità di diverso tipo come Giada Berretti, Antonio Carosi, Emanuela Marchini, Gianluca Varrino e Benedetta Verdecchia.
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ortare avanti un’associazione sportiva di questo tipo comporta il coinvolgimento di numerose persone. Le attività paralimpiche inoltre presentano pochi gradini: si passa dalle gare amatoriali ai confronti nazionali: «Si tratta di un impegno laborioso e costoso. Basti pensare all’hockey in carrozzina: organizzare una trasferta comporta il coinvolgimento di una ventina di persone per supportare una squadra di dieci elementi, in un campionato in cui dobbiamo spostarci fino in Sicilia.» La Vitersport può contare sul volontariato, la principale risorsa che funge da motore di tutte le attività: «I nostri volontari costituiscono un bellissimo gruppo, formato da giovani ed adulti: alcuni di essi sono qualficati ed offrono anche assistenza tecnica agli atleti. Molti sono stati disposti a prendere delle qualifiche, ad esempio come istruttori di nuoto e terapeuti. Aderiamo anche al progetto “Trovavolontariato” promosso dal CESVSPES (i due Centri di servizio per il volontariato del Lazio, ndr), e partecipiamo a tutti i bandi locali. Inoltre è anche possibile devolvere il 5x1000 alla nostra associazione.» Le istituzioni locali fungono da supporto, fornendo gli spazi dove far praticare gli atleti, e con queste prerogative il futuro della Libertas è positivo: «Vogliamo consolidare ciò che abbiamo creato ed implementare il tutto con nuove discipline come il calciobalilla, che da quest’anno fa parte degli sport paralimpici. Sono molti coloro che potrebbero essere coinvolti nel calciobalilla, magari non hanno voglia di sudare! Inoltre cerchiamo nuovi spazi e volontari per ampliare il settore del nuoto: contiamo sulla partecipazione concreta ed attiva del Comune, attraverso il Tavolo permanente del volontariato». Il progetto Partecipare in sanità permetterà infatti una nuova forma di cooperazione, nata dall'incontro tra l’Ausl di Viterbo e le associazioni di volontariato aderenti all’iniziativa, per ora una sessantina. In altre parole, un nuovo spazio di dialogo tra i volontari e la Direzione generale. La Vitersport negli anni ha anche organizzato essa stessa degli eventi sportivi, e l’obiettivo è di proseguire brillantemente anche in questa strada. Potete seguire le attività della A.S.D.Vitersport Libertas e reperire i contatti sul sito www.vitersport.blogspot.it.
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Il jazz fruibile
ouriteswing g.wix.com/myfav myfavouriteswin facebook.com/MyFavouriteSwing reverbnation.com /myfavouriteswin g
Un interessante quintetto made in Tuscia. Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it - Foto di Manuel Gabrielli
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e il jazz è il leitmotiv di questo numero di Decarta, nella nostra rubrica per musicofili questo mese focalizziamo la nostra attenzione su una band di jazzisti made in Tuscia. Il progetto My FavouriteSwing nasce nel 2012: attualmente la formazione è composta da Daniela Turchetti (voce), Riccardo Notazio (chitarra), Luca Necciari (contrabbasso), Luciano Orologi (sax) e Alberto Corsi (batteria). Ho l’occasione di parlare con Daniela e Riccardo, che mi raccontano le origini della band: «Si è trattato di finalizzare in un progetto le tante collaborazioni musicali che avevamo già avuto in passato. Rispetto alla formazione iniziale si è aggiunto in corso d’opera il contrabbassista Necciari, un grande professonista molto conosciuto, ma il jazz ha la particolarità di non essere un genere rigido, bensì versatile». La versatilità è proprio alla base dell’attuale repertorio dei My FavouriteSwing, che si cimentano nei cosiddetti standard. Il concetto di standard si discosta parecchio dalle classiche cover che si possono trovare negli altri generi musicali: «Gli standard per i jazzisti sono come dei canovacci, nati dai pezzi scritti per i musical americani e resi più sintetici. Sono delle strutture che si possono rielaborare liberamente, a differenza delle cover che invece nella maggior parte dei casi sono fedeli al brano originale». Il loro repertorio è infatti molto particolare: «Riproponiamo pezzi classici rock e pop trasformandoli in chiave jazz e bossa nova. In alcuni casi il riarrangiamento è simile, in altri modifichiamo gli accordi. Alla fine, quando cambi 14
sia la melodia che le parole, il pezzo diventa tuo!». Questo meccanismo improvvisato rende ogni loro concerto una sorpresa, nel puro spirito del jazz: «La risposta del pubblico è ovviamente altalenante, a volte calda ed a volte meno, dipende anche dall’educazione all’ascolto nostrana. Noi strizziamo l’occhio ad un approccio che renda più fruibile il jazz attraverso il riarrangiamento di pezzi noti».
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hiedo loro anche di parlare della situazione generale del panorama jazz italiano: «Esiste un’avanguardia italiana, ma la nostra realtà è più distante rispetto a quella di paesi come la Germania e i Paesi Bassi, dove il concetto di avanguardia è centrale. In Italia si punta più ai classici jazz e bossa nova». Non si può negare che in Italia l’innovazione spesso sia sacrificata alla sicurezza di percorrere strade già battute, e questo purtroppo non riguarda solo la scena musicale, che per inciso deve fare i conti – in tutti i sensi – con degli ostacoli economici a tratti incomprensibili: «Alcuni soldi che si spendono, ad esempio per pagare la SIAE, potrebbero essere investiti nella crescita professionale ed artistica dei musicisti. Invece oggi per i ragazzi che iniziano a suonare è difficile persino esibirsi senza chiedere alcun compenso, dato che le tasse sui diritti d’autore devono essere pagate anche dai locali. In questo modo, la musica è un settore che rischia di seccarsi come una pianta al sole». Amara verità. Tornando a parlare di cose belle, Daniela e Riccardo mi raccontano le sensazioni che si provano a proporre la loro musica: «Il bello del jazz è che lo stesso
brano si può suonare ogni volta in un modo nuovo, dettato dal momento, dal mood. Tutto è improvvisato e l’interpretazione differisce, un pezzo può diventare da brioso ad introspettivo… dipende sia dal pubblico che dallo stato emotivo, nonché dall’interazione estemporanea tra i musicisti».
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ra i loro artisti preferiti, Daniela mi cita voci come Ella Fitzgerald, Ellis Regina e João Gilberto, mentre Riccardo chiama in causa le chitarre di Wes Montgomery, Jim Hall e Charles Mingus. Entrambi hanno sempre avuto la passione per la musica, anche se hanno iniziato a studiarla più tardi rispetto a molti. Mi spiegano che ciò rappresenta quasi una sfida: «Il percorso è senz’altro più faticoso, perché iniziare da bambini comporta il vantaggio di interiorizzare la musica come se fosse un gioco, quindi più naturalmente. Studiare la musica presenta le stesse difficoltà dello studiare una lingua: per fortuna oggi il percorso educativo è cambiato ed a scuola non ci si disamora più delle sette note. Sono gli stessi docenti, ad esempio nei licei musicali, a suonare attivamente e può capitare che a un esame di terza media gli studenti possano attaccare l’amplificatore e suonare un brano degli AC/DC, cosa un tempo impensabile!». In questo periodo, i My FavouriteSwing stanno perfezionando la registrazione dei loro brani, con l’intento futuro di iniziare a proporre pezzi propri: «Stiamo facendo affidamento su tutte le nostre forze per promuovere il progetto». Ma per la musica, questo ed altro: «L’amore per l’arte ti consuma. La musica è come uno sport estremo, ma senza i rischi fisici!». DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
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La generazione felice L’importanza dei centri sociali in un invecchiamento sano ed attivo. Elisa Spinelli | elisa.spinelli@decarta.it
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l 20 maggio all’Università della Tuscia è stata presentata pubblicamente un’interessante ricerca sociale: Centri sociali ANCeSCAO: Benessere, Empowerment, Inclusioni e relazioni. Decarta c’era e ha incontrato i protagonisti di questo importante lavoro scientifico. L’indagine sociale nasce da una sinergia fra l’ANCeSCAO provinciale di Viterbo, il Dipartimento Disucom dell’Università degli Studi della Tuscia e i Comuni di Civita Castellana, Soriano nel Cimino e Tarquinia. L’ANCeSCAO (Associazione Nazionale Centri Sociali, Comitati Anziani e Orti) è un’associazione democratica e apartitica, che agisce in totale autonomia e senza finalità di lucro, nata nel 1990 e riconosciuta dallo Stato Italiano come ente d’assistenza nel 1994. Le finalità specifiche dell’ANCeSCAO si possono racchiudere in tre parole chiave: aggregazione, solidarietà civile e culturale, ed - infine - benessere psicofisico, non solo per gli anziani ma per tutta la comunità. È nel potenziamento di queste parole chiave che si rispecchia la volontà dell’ANCeSCAO di commissionare la ricerca sociale condotta dall’Università degli Studi della Tuscia. “Se conosci, potrai migliorare”, così 16
esordisce Arnaldo Picchetto, presidente provinciale di Viterbo dell’ANCeSCAO dal 2002, che vive da vent’anni in prima persona la realtà dei Centri e – pur essendo in pensione – ha deciso di continuare ad impegnarsi nella società civile. Il presidente Picchetto espone la sinergia che è nata dalla ricerca, così: «Rappresenta per noi un passo verso il futuro. Abbiamo sollecitato quest’indagine sociale perché volevamo conoscere le aspettative, i desideri e i pensieri degli anziani che frequentano i centri sociali ANCeSCAO. Volevamo mettere in luce le potenzialità e le possibili soluzioni per i problemi che la stessa ricerca ha rilevato. Il periodo storico che stiamo vivendo ci impone di conoscere e di migliorare. Attraverso l’approfondimento scientifico possiamo capire se l’ANeSCAO sta facendo bene, e come possiamo rapportarci in futuro.» Durante il nostro incontro, parlando con Arnaldo Picchetto e i suoi colleghi della dirigenza e dell’associazione, la parola “futuro” è tra le più usate: “Può sembrare strano che persone che si avvicinano agli 80 anni parlino di futuro, eppure è così.” In realtà, non è per niente bizzarro, anzi è la misura di come le persone che guidano l’ANCeSCAO siano profondamente attente e sensibili verso
la società, e allo stesso tempo serenamente legate alla vita. Picchetto prosegue nella sua analisi: «Spesso le persone dal momento in cui vanno in pensione si ritrovano a vivere la solitudine, perché magari hanno perso il coniuge e i figli fanno la loro vita; in alcuni casi possono dedicarsi ai nipoti, ma non basta. Questa condizione di solitudine fa perdere il gusto della vita e, di conseguenza, le aspirazioni e la fiducia nel futuro. Invece, frequentando i centri sociali si scopre un modo nuovo per organizzare la propria vita, perché si costruisce con gli altri: è l’inizio di un’altra vita. Non bisogna pensare che una persona a 70 anni sia finita, non possa più avere aspirazioni. Di certo non ne ha come una di 30, ma comunque ha ancora delle prospettive. Le persone che frequentano i Centri hanno capito che la loro vita non finisce a 70 anni o perchè hanno smesso di lavorare. Mi emoziono ogniqualvolta una persona viene da me e mi ringrazia, dicendomi che il centro anziani le ha ridato la vita. E la ricerca ha evidenziato proprio quest’aspetto. Nei nostri Centri c’è aggregazione sociale e vivacità: corsi di ginnastica, di computer, gite, sala lettura, estemporanee di pittura, viaggi all’estero e in Italia. La prerogativa dell’ANCeSCAO è di migliorare la qualità della vita di tutte le persone mediante progetti concreti.»
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’ANCeSCAO provinciale di Viterbo è presente in 52 dei 60 comuni della provincia, e gli iscritti sono 12.500, quindi, circa un ultra 65enne su 5 è iscritto all’ANCeSCAO. Di certo la crescita e la diffusione così ampia dell’Associazione è frutto anche della sensibilità delle amministrazioni locali, interessate a indagare, attraverso la ricerca scientifica, la qualità della vita dei cittadini anziani, in modo da poter orientare politiche socio-sanitarie efficaci ed efficienti. Infatti, l’indagine sociale Centri sociali ANCeSCAO: Benessere, EmpowerDECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
ment, Inclusioni e relazioni ha preso in considerazione aspetti organizzativi e gestionali dei centri sociali anziani, con il focus principale rivolto alla qualità di vita degli iscritti. In sostanza, gli esperti scientifici dell’Università degli Studi della Tuscia hanno esaminato una realtà sociale piuttosto grande, rispondendo in pieno a una delle fondamentali tematiche dell’Unione europea: l’invecchiamento sano e attivo. Infatti, poiché l’Unione europea si trova ad affrontare un rapido cambiamento della struttura demografica, è importante sviluppare soluzioni per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione sulle finanze pubbliche e sulla protezione sociale. In questo senso la ricerca ha evidenziato potenzialità notevoli proprio nei centri sociali: grazie al cosiddetto “effetto ANCeSCAO” si produce risparmio di risorse socio-sanitarie e miglioramento della qualità della vita della popolazione anziana. Dai risultati dell’indagine sociale si evince che una riduzione dell’uso dei farmaci connota gli iscritti rispetto alla popolazione generale, e che, inoltre, i soci ANCeSCAO hanno bisogno di essere ricoverati significativamente di meno degli anziani medi. La spiegazione dell’“effetto ANCeSCAO” si ritrova principalmente in due motivi: in primis, nelle attività che segnalano una “proto-territorializzazione dei servizi socio-sanitari”, ovvero azioni mirate a fare prevenzione proprio nei centri sociali (misurazione della pressione, del colesterolo e della glicemia, sensibilizzazione clinica); in secondo luogo, nell’interazione sociale e nella solidarietà verso gli altri si sviluppano
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l’auto-stima e una maggiore cura di sé, e si riducono i motivi di depressione. rnaldo Picchetto, conferma questa fotografia sociale: «Anche guardare un programma televisivo è un’esperienza attiva nei Centri: perché si crea dialogo e discussione con le altre persone. Tutte le attività dei Centri cercano di creare relazioni, ecco qual è una delle nostre prerogative fondamentali. Dalla ricerca è emerso che le persone, che frequentano l’ANCeSCAO, hanno fiducia nella vita e nel prossimo, e ciò alimenta sempre più la voglia di conoscere. La mente e il corpo sono legati; se si è psicologicamente attivi si riuscirà a gestire meglio i propri malesseri fisici, che possono essere prevedibili in età anziana. Invece, pensare continuamente a un dolore fisico, perché appunto si vive soli, perché non si fanno attività che impegnino attivamente la mente, fa aumentare la percezione del malessere. Nei Centri le persone riescono ad ascoltarsi meglio.»
sere psicofisico rispetto a chi non partecipa alla vita di associazioni.» In conclusione, l’indagine sociale traduce i dati raccolti e l’analisi che ne segue in un’affermazione importante: “i nuovi welfare devono essere orientati ed ispirati ad un modello di sussidarietà orizzontale, ovvero un welfare che sappia incidere sulle reali capacità dei cittadini per migliorarne la qualità della vita”. Il modello dei centri ANCeSCAO,che la ricerca sociale ha fotografato ed analizzato, rende evidente il ruolo chiave degli anziani in un contesto sociale così mutevole ed incerto come quello attuale, in quanto i capitali sociali che si creano all’interno dei centri hanno alla base l’aggregazione e la solidarietà come elementi vitali. Arnaldo Picchetto conclude il nostro incontro proprio affermando la consapevolezza che «ciò che contraddistingue l’ANCeSCAO è sicuramente la relazione umana, il voler comunicare e partecipare, non solo tra noi anziani ma con la società civile tutta.»
La ricerca evidenzia una condizione importante: impegnare attivamente la propria mente rende reattivi, in questo senso i centri sociali ANCeSCAO; essendo “produttori di capitale sociale primario” – come afferma la prof.ssa Simona Fallocco – producono effetti positivi non solo per gli iscritti ma per tutta la collettività, poiché contribuiscono alla costruzione della pacifica convivenza sociale. Arnaldo Picchetto ribadisce che «il lavoro scientifico e le sue conclusioni sono la pre-condizione per un lavoro sociale che sia efficace ed efficiente, che sia in grado di orientare azioni capaci di ridurre le criticità ed implementare le buone pratiche. I Centri possono essere reali occasioni di crescita personale, costituire maggiore benes-
l titolo dell’articolo di questo mese La generazione felice potrebbe far pensare a un film ambientato alla fine degli anni Sessanta, quando i giovani pretendevano che la società e le istituzioni riconoscessero diritti e prerogative politiche e sociali; invece, la “generazione felice” a cui ci riferiamo comprende tutte quelle persone che – nonostante non siano più giovani – credono nel futuro, che sono curiose e partecipative, insomma che hanno fiducia. Sarebbe importante prendere esempio dalla “generazione felice” e fare “rete”, in barba alle conseguenze della società liquida, dove l’incertezza sociale ed esistenziale ci rende diffidenti e, quindi, soli.
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carta stampata caos letterario
Storie di una libreria disordinata / 8 Scoprire “Le luci nelle case degli altri” con Chiara Gamberale, in attesa di Caffeina Festival 2014. Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it
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l fascio di libri nella valigia è tornato a casa, fra le grigie e polverose mura antiche di Viterbo, dove si è di nuovo stabilito sulle massicce mensole di pino ascoltando la sera il gorgogliare di una fontana e il cinguettio degli uccelli la mattina, quando i primi raggi di sole colpiscono il palazzo Papale e le tegole dei tetti su cui si affaccia la finestra della stanza si tingono di rosso. I nuovi ospiti si sono uniti ai vecchi e attendono trepidanti il nuovo evento che ravviverà il condominio: sì, Caffeina Festival 2014 arriverà anche quest’anno a popolare le vie della cittadina viterbese e io, libreria disordinata e, a volte, itinerante, sono pronta ad accogliere nuovi condomini nel mio palazzo del sapere. Ma oggi la mia storia non parlerà dei nuovi ospiti eccitati dal caffè, dato che il festival non è ancora iniziato, ma di una dolce signorina, timida, ma bella, con le gote sempre un po’ arrossate per l’imbarazzo e gli occhi lucidi d’emozione. È Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale, un volumetto giunto nella libreria avvolto in carta da regalo, lucida, liscia ed elegante, color verde smeraldo, stretta in un nastro di raso bianco panna. Quando dei libri vengono regalati sorgono sempre grandi dubbi, potrebbe essere il regalo più bello di tutti, ma allo stesso tempo un’orribile delusione, potrebbe essere un sottile volume di Gramellini tanto emozionante da farti scorrere le lacrime alla fine della sua ultima pagina, o un manuale sul giardinaggio, una guida sulla dieta Dukan o l’ultimo di Baricco. Il piacere della sorpresa è anche l’inaspettato, il caso, il destino o il succedersi degli eventi che porta un determinato libro a trovarsi avvolto in quella carta da regalo, scelto da quell’amico o da quel parente per te. 18
Io, libreria disordinata, ormai fortunatamente non più così polverosa, sono convinta che alcuni libri possano cambiarti l’esistenza, farti riflettere, capire cosa sta accadendo attorno a te e anche, con un pizzico di coraggio, farti prendere importanti decisioni. Le luci nelle case degli altri è proprio uno di quei libri,appena arrivata tra i miei scaffali sembrava solo una timida adolescente con una molletta fra i capelli, i piedi scalzi e le ginocchia piegate, guardava tutti gli altri alzando impercettibilmente i suoi occhi lucidi, si sedeva in un angolo,abbracciava le gambe con le braccia e sospirava impaurita. Come per le cose più belle e preziose, anche questo libro, sembrava tutt’altro che straordinario, anzi, appariva come circondato da uno spessore di ordinarietà, si mostrava come una storia semplice, una fra tante, senza nemmeno troppe cose da dire, come tutte le cose belle si nascondeva. Le luci nelle case degli altri è invece un libro capace di entrare nel profondo di ogni lettore che abbia amato, di ogni lettore che si è sentito piccolo e inadatto, difettoso e ridicolo di fronte a “quella persona”, è un libro che narra una crescita, uno sviluppo e un’adolescenza, è una storia che accende la luce nelle case degli altri, scoprendo che ovunque, anche dove il tavolo sembra più lucido, le finestre più pulite e l’aria più profumata, si nasconde il dolore, i
problemi che sembrano appartenere solo a noi, che il tavolo lo lasciamo sempre pieno di briciole.
È
la storia di Mandorla, bambina di sei anni che un giorno perde la mamma, giovane e intraprendente amministratrice del condominio in via Grotta Perfetta 315, ma acquista ben cinque famiglie, presso cui vivrà a turno scoprendone i segreti e accendendo la luce nelle loro case. Maria infatti, la madre, lascia una lettera in cui svela che il padre di Mandorla vive nel condominio, le famiglie però decidono di non fare un test del DNA per non cambiare le loro vite. Lentamente Mandorla circondata ed educata da tante persone diventa donna, cresce e si innamora, forse dell’uomo sbagliato o forse del ragazzo giusto, come voleva Maria. I due però, proprio come accade ed è accaduto a tutti noi, si cercano, si allontanano e dividono le loro strade sentendosi inadatti l’uno per l’altro, senza accorgersi che sono parti combacianti della stessa mela, che per insicurezza mostra solo il suo lato sbagliato. Le luci nelle case degli altri è un romanzo sull’amore nelle sue molteplici forme e nei suoi più variegati colori, è un romanzo dove rispecchiarsi, perdersi e dove credere, anche se il verdetto è inesorabile: non sapremo mai fino in fondo chi è che amiamo.
Chiara Gamberale Le luci nelle case degli altri Mondadori, 2010 - pp. 408 ISBN 978-8804595441 •••••••• Chiara Gamberale presenta Per dieci minuti a Caffeina Festival 2014 venerdì 27 giugno alle ore 15 presso la Casa Circondariale Mammagialla. L’autrice incontra i detenuti per ricreare il clima del festival e contribuire a migliorare la qualità della loro vita. DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
alimentazione
slow food
AgriTusciaBurger Un progetto dell’Agriturismo culturale I giardini di Ararat all’interno dell’Arena Slow. I giardini di Ararat
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l cibo è tutto, il cibo è ovunque, il cibo è tradizione e futuro, il cibo è rivoluzione. Anche quest’anno Caffeina sposa Slow Food e dà vita allo Slow Food Village a piazza del Comune, uno spazio ecogastronomico del gusto in cui promuovere le tematiche e i valori dell’organizzazione internazionale che, da sempre, si batte per un cibo buono e pulito. Una piazza interamente dedicata che offrirà all’interno dell’arena Slow per tutte le serate di Caffeina i laboratori del gusto, lo street food, l’enoteca e lo Slow Kids per i più piccoli.
I giardini di Ararat saranno presenti all’interno dello spazio Slow Kids con programmi di agrididattica interessantissimi sull’importanza degli insetti per preservare la biodiversità. Saranno poi presenti nello spazio Street Food con due iniziative. Ma cosa è lo street food? Lo “street food” è un cibo comodo, facile, giovane. Si può consumare addirittura camminando, poiché non necessita né di posate né di piatti. Si identifica principalmente in tre elementi: è economico, è comodo ed è re-
peribile in ogni angolo della città tramite chioschi e furgoncini. Nell’arena della rivoluzione con il cibo dunque, non poteva mancare un pregetto sperimentale, ma anche abbondantemente sperimentato, che sta diventando un franchising made in Tuscia dell’Agriturismo culturale I giardini di Ararat: AgriTusciaBurger. Reale del cibo di strada, l’hamburger che fino a ieri ha identificato un periodo di poca attenzione enogastronomica e sintesi del nemico fast food, diventa oggi un’arma vincente per sollevare quesiti giusti come “hai mai chiesto al tuo cibo da dove viene? Hai mai chiesto al tuo cibo se ti rappresenta?”. AgriTusciaBurger ci ricorda che non è importante la forma di ciò che mangiamo ma le modalità con cui quel cibo è stato prodotto. AgriTusciaBurger è il panino fatto con il cuore. Nel vero senso della parola. Infatti l’hamburger viene preparato tenendo in considerazione il tema del quinto quarto, in pieno stile slow food. Utilizzare il quinto quarto ha un significato di alta sensibilizzazione che
ci ricorda di non usare sempre gli stessi tagli! Un manzo non è fatto solo di filetti e lombate. Le parti che non si acquistano spesso finiscono tra gli scarti e vengono buttate aumentando gli sprechi. Un bovino vivo pesa 700 chili: i tagli da lombata rappresentano 35 chili, quelli da filetto cinque o sei. E il resto? La simbologia nell’AgriTusciaBurger è di casa. Il cuore infatti viene utilizzato anche per sottoscrivere un’altro aspetto importante che è legato al territorio e al popolo etrusco. Sono gli etruschi infatti i più golosi di cuore bovino nella storia. Gli ingredienti utilizzati per arricchire l’AgriTusciaBurger sono tutti preparati artigianalmente con prodotti a km 0, preferibilmente con produzioni da aziende agricole biologiche. «AgriTusciaBurger è un progetto più che interessante, che è stato bambino ed ora diventa grande e va per la sua strada, – dice Laura Belli, – siamo orgogliosi di averlo partorito dalla nostra filosofia aziendale.» Tradizione e futuro, questo è ciò che il cibo rappresenta per noi. Veniteci a trovare!
www.igiardinidiararat.it Strada Romana, 30 (o Strada Provinciale, 57) 01100 Bagnaia (VT) Tel. +39 0761 289934 Email: giardinidiararat@gmail.com Orari di apertura per la ristorazione da Mercoledì a Domenica: Pranzo e Cena festivi: Pranzo - prefestivi: chiamare in Agriturismo
I giardini di Ararat sono presenti, nell’ambito del Caffeina Festival, all’interno dello Slow Food Village di piazza del Comune presso lo spazio Slow Kids e – con due iniziative – all’interno dello spazio Street Food.
N.B.: è gradita la prenotazione.
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Il mare di grano “Mentre cucino” è una nuova rubrica in cui la scrittrice Monica Angela Baiona racconta episodi ispirati alla sua vita privata che si concludono con una ricetta. Monica Angela Baiona ha scritto poesie e racconti e ha recentemente pubblicato il libro “La Vera Natura” che presenterà nel corso del Caffeina Festival.
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campi dorati del grano che si lasciano pettinare dal vento estivo ad Alice ricordano il mare anche se è lontano, talmente lontano che l’odore invadente della salsedine non riesce neanche a raggiungerlo. “Alice scendi?” “Arrivo nonna!” la bambina scende lentamente e con concentrazione gli scalini di pietra, stretti e alti . Ha le gambe ancora troppo corte per poter scendere con la stessa disinvoltura di sua sorella maggiore. “Andiamo dai! A quest’ora le galline avranno già finito di covare!” Nonna Anna allunga il braccio magro e abbronzato mentre attende che la nipote scenda l’ultimo scalino. “Chiara?” “Dorme ancora, ti prego nonna non la svegliare andiamoci solo noi altrimenti le uova le prende tutte lei!” e tira in fuori le labbra assumendo un’espressione imbronciata. “Va bene, va bene” dice la nonna con un sorriso bonario ed apre la porta d’ingresso facendo entrare in casa il sole del primo mattino. Alice ritorna ad essere 20
allegra e insieme si avviano all’uscita. “La tua casa nonna è la più bella del mondo!” dice la bambina mentre s’incamminano verso la piazza del paese. “Davvero? Perché?” “Perché dalla mia camera vedo il mare di grano e dalla porta della cucina si arriva subito in piazza dove il pomeriggio posso giocare con i miei amichetti. Non è come abitare a Milano che vedo solo palazzi da tutte le finestre di casa e per giocare con gli amichetti devo uscire con la mamma per andare al parcogiochi.” “Devi venirci più spesso dalla tua vecchia nonna!” le dice abbracciandola. “Tu non sei vecchia! Sei una signorina!” ribatte la nipotina con convinzione. Mentre attraversano la piazza la corriera arriva proprio in quel momento e Alice tira il braccio della nonna indicandogliela con febbrile eccitazione. L’arrivo della corriera è il momento più atteso da Alice e suoi amici che interrompono i propri giochi per assistere all’arrivo della “gigantesca macchina blu”, come la chiamano loro, e soprattutto per
osservare le persone che scendono e salgono. Fanno a gara a chi riconosce per primo questo o quello oppure si divertono ad inventare storie sui viaggiatori che non conoscono. “Quella suora ha avuto un figlio è scappata dal convento e cerca rifugio qui perché nessuno la conosce in questo paese” ha detto una volta Antonio, il figlio del macellaio. “Invece quell’uomo è il nuovo maestro e dicono che rinchiude i bambini cattivi nell’armadio fino a Natale, poi li fa uscire perchè sennò Babbo Natale se ne accorge che il bambino non c’è più” aveva detto un giorno Rocco, il figlio della pasticcera. “La donna con il vestito elegante invece è una dottoressa e vuole guarire tutte le malattie dei bambini” aveva quasi sussurato come una preghiera Elena che aveva una sorella costretta a muoversi sulla sedia a rotelle. Anche adesso Alice non può fare a meno di rimanere a guardare i passeggeri scendere e salire dalla “gigantesca macchina blu”. Ma a quell’ora del mattino DECARTA GIUGNO/LUGLIO 2014
scende solo un uomo con una grossa pancia e sale una donna vestita a lutto, subito dopo la corriera riparte e l’anziana donna riprende il cammino tenendo per mano la nipotina. Quando passano vicino alla grande fontana che si affaccia sulla vallata, Alice accarezza con i polpastrelli di una mano la superficie dell’acqua fresca e pulita. “Nonna è vero che tanto tempo fa bevevate tutti da questa fontana?” “Certo! Anche ora si può bere quest’acqua… qui è ancora tutto genuino come allora, come se il tempo non fosse passato…” Subito dopo raggiungono i giardini pubblici, poi attraversano un viale alberato e una strada sterrata che segna il confine tra il paese e i campi coltivati che lo circondano. Proprio su quel confine c’è un casale e il pollaio della nonna di Alice.
Raggiunto l’ovile la nonna apre il cancelletto di ferro e Alice la segue nascondendosi dietro la sua enorme gonna perchè ha paura delle galline. La nonna la incoraggia a entrare, chiude il cancelletto alle sue spalle e agita le braccia verso le galline dicendo ad alta voce: “sciò, sciò!”. Così le galline si allontanano dai mucchietti di paglia sulle quali erano appollaiate e Alice può iniziare la sua caccia al tesoro e infilare la piccola mano in mezzo al morbido mucchietto di fili dorati. “Eccolo! Eccolo! È ancora caldo!” urla felice tenendo tra le dita un uovo e lo alza in cielo come un trofeo. “Brava! Cerca, cerca che ce ne sono altre. Sono tutte fresche!” “No nonna, sono calde!” La nonna sorride senza dire niente
poi estrae un ago dalla tasca, fora le estremità dell’uovo e lo porge alla nipote che lo succhia con ingordigia. “È buonissimo nonna!” Alice ogni volta che trova un uovo corre dalla nonna e glielo porge colma di felicità. La nonna li infila in tasca e quando le tasche sono piene li sistema nel reggipetto. Dopo aver raccolto tutte le uova ripercorrono la strada dell’andata e tornano a casa. Giunte a casa la nonna poggia tutte le uova sul tavolo della cucina, apre lo sportello del frigo e ne estrae una radice di rafano e un pezzo di pecorino, sotto gli occhi curiosi di Alice. “Che fai nonna?” “Ora rompiamo qualche uovo e prepariamo la rafanata!” Le risponde sottovoce, come se le rivelasse un segreto, strizzandole un’occhio.
Ricetta della Rafanata 3 uova Un pezzo di radice di rafano Pecorino a piacere Un pizzico di sale Sbattere le tre uova in un recipiente capiente e unire tre cucchiai di radice di rafano grattugiata e il pecorino grattugiato in quantità desiderata, aggiungere infine un pizzico di sale. Versare il composto ottenuto in una padella antiaderente leggermente unta. Cuocere circa 15 minuti a fiamma bassa, comunque fino a quando il composto si addensa. La radice di rafano viene coltivata prevalentemente in Basilicata e in Alto Adige. In Germania e in Austria è molto utilizzata in cucina.
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Monica Angela Baiona La Vera Natura Innocenti Editore, 2013 - pp. 160 ISBN 978-8898310043 •••••••• Monica Angela Baiona presenta La Vera Natura a Caffeina Festival 2014 venerdì 4 luglio alle ore 18 presso l’arena di piazza Santa Maria Nuova.
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