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M E N S I L E D I D I V U L G A Z I O N E C U LT U R A L E
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Giorgio Nisini in uscita il terzo libro dello scrittore viterbese
Due finestre sulla cittĂ
Confrontarsi con i propri limiti
Too Much Ado
Tacchi, odi et amo
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2014 OTTOBRE
ERRATA CORRIGE Ci scusiamo per non aver citato la Mastro srl di Viterbo tra le aziende che hanno collaborato alla costruzione della macchina di Santa Rosa. Nell’articolo erano poi contenute delle inesattezze riguardo la base da loro realizzata: la stratigrafia della costruzione della base di Fiore del Cielo è costituita da una struttura in alluminio e polistirene espanso sinterizzato (polistirolo). Il legno è servito a foderare con un foglio di compensato l’interno per permettere di stendere, per motivi di sicurezza, della vernice ignifuga, mentre l’esterno è stato realizzato rivestendo il tutto con resine acrilcementizie, ovviamente non infiammabili, e non vetroresina come era stato scritto.
editoriale
DECARTA Scripta volant Mensile di divulgazione culturale Numero 15 – Ottobre 2014 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Ilenia Boschi, Carlo Alberto Bianchini, Gabriele Ludovici, Claudia Paccosi, Martina Perelli, Paola Salvati, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via della Palazzina, 81/a - 01100 VITERBO Tel. 0761 326407 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 0761 326407 - 340 7795232 Foto di copertina Daniele Vita I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 01/10/2014 www.decarta.it
Nulla si distrugge, tutto si trasforma
È
di questi giorni la notizia di un Gianroberto Casaleggio profeta. Numerosi quotidiani hanno pubblicato citazioni in cui l’imprenditore e politico anticipa la morte dei quotidiani ed in generale dei giornali: “Stampare giornali o investirci oggi equivale a studiare da maniscalco al tempo in cui Henry Ford lanciava la Ford T”. Per fortuna per completezza di informazione questa profezia, pubblicata sul blog di Beppe Grillo, era accompagnata anche da un’infografica molto bella disegnata dall’organizzazione Future Exploration, guidata da Ross Dawson. Il tono dell'infografica e del sito in generale è molto più garbato e meno profetico, non si parla di morte e scomparsa ma di “Quando i quotidiani nella loro forma corrente diventeranno insignificanti”, accompagnando questa frase con un asterisco che rimanda alla fine della pagina dove si specifica che “Il fatto che i quotidiani nella loro forma corrente diventeranno insignificanti non fa parte dello stesso processo della morte delle notiziesu-carta, che continuerà in varie forme”. E questo vuol dire che indicare la morte della carta come il fatto più importante riguardo il futuro dell’informazione corrisponde a considerare solo una parte di un processo di trasformazione ben più importante. Alcuni dei fattori chiave di questa transizione verso nuovi mezzi sono attualmente il prezzo più accessibile di smartphone e tablet in unione ad una connessione internet più stabile e veloce. In tempi più lunghi c’è invece da considerare l’avvento delle nuove tecnologie, come un imminente arrivo di supporti in carta digitale più versatili e la creazione di piattaforme on-line per la condivisione di contenuti aperte a tutti. Altro aspetto da non sottovalutare sono i nuovi sistemi di monetizzazione delle notizie on-line attraverso pubblicità mirate, ovvero l’unico modo per fornire informazioni apparentemente gratuite ma nella realtà pagate con i dati sui propri gusti commerciali che tanti ignari utenti hanno fornito ai social network. Già da adesso molti siti di notizie sono nati con il solo obbiettivo di fare numeri da dare in pasto ai meccanismi di monetizzazione piuttosto che per fornire contenuti di qualità. Tra non molto saremo tutti così tanto saturi di cronaca nera, gossip e notizie inutili, che il valore e la necessità della buona informazione, anche a pagamento, non potranno fare altro che aumentare. Manuel Gabrielli Presidente Lavalliere Società Cooperativa
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Too Much Ado
Tacchi, odi et amo
Sabrina Manfredi
Gabriele Ludovici
Martina Perelli
carta stampata
ospiti
spazi da vedere
Due finestre sulla città Claudia Paccosi
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acido lattico 8
focus
Confrontarsi con i propri limiti incontri
incontri
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Giorgio Nisini, il realista metafisico che scrive dei nostri paesaggi
mentre cucino
Un dolce sogno Monica Angela Baiona
Claudia Paccosi
Manuel Gabrielli 9
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tendenze
Le donne più belle del mondo 6
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pillole di lettura
a cura di Claudia Paccosi
Alessio Vittori Cabriele Ludovici
LAVALLIERE Editoria e Servizi editoriali
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miti & leggende
Le donne più belle del mondo In primis, la Bella Galiana. Sabrina Manfredi | sabrina.manfredi@decarta.it - Foto di Sabrina Manfredi
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Viterbo la regina indiscussa in quanto a popolarità e devozione è Santa Rosa ma in passato, prima di Rosa e dei suoi miracoli, c’è stata un’altra donna famosa: Galiana, da tutti meglio conosciuta, per la sua avvenenza, dolcezza e bellezza, come la Bella Galiana. Come per ogni mito o leggenda che si rispetti, esistono varie versioni della storia della nostra bella. Quella più conosciuta ne colloca le origini nel mito di una Viterbo fondata dai Troiani, sbarcati sulle coste dell’Alto Lazio dopo la distruzione della città natia. Secondo la profezia, una troia bianca – scrofa o cinghiale – era apparsa loro indicando dove avrebbero dovuto fondare la città che sarebbe divenuta la nuova patria. Dalla fondazione in poi, per volere dei loro dei, i cittadini dovevano dare ogni anno una fanciulla (e di questo genere di sacrifici, a partire dai giovani immolati annualmente al Minotauro e via dicendo, i miti greci hanno insegnato molto ai vicini di Mediterraneo) in pasto a questa belva che evocava la loro terra d’origine ormai perduta. La fanciulla veniva sorteggiata fra le più belle e virtuose della città, condotta fuori dalla mura cittadine e là incatenata nuda ad un masso. La popolazione si ritirava poi ad una certa distanza e assisteva all’arrivo della sacra belva che, uscita dal bosco, divorava la vittima. Un anno fu estratta a sorte Galiana, giovane patrizia viterbese la cui avvenenza fisica, secondo la leggenda, poteva competere solo con le virtù morali di cui era dotata, tanto che in molti l’avevano “eletta” donna più bella del mondo. Insomma, era l’orgoglio di tutta la città. I viterbesi provarono dolore e sgomento, ma il destino l’aveva ormai designata e la fanciulla fu condotta sul luogo del sacrificio. Quando la campana della torre comunale suonò i rintocchi del mezzogiorno, arrivò la belva ma, mentre si apprestava a papparsi la fanciulla, dal limite del bosco uscì un leone che avventatosi sulla scrofa la dilaniò con quattro terribili colpi dei suoi artigli. La campana suonò nuovamente e il leone, così come era comparso, così scompariva. DECARTA OTTOBRE 2014
La città, riconoscente per essere stata liberata dal crudele tributo di sangue, fece dell’immagine del leone, con accanto la pelle bianca della scrofa con le quattro macchie rosse delle ferite poste in croce, l’emblema civico.
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el luogo dove si era svolto il prodigioso episodio fu realizzata in seguito una cappella votiva intitolata alla Madonna della Scrofa, divenuta poi Madonna del Soccorso, mentre sullo stesso masso del sacrificio venne scolpita la scena. Tutto questo favorì il diffondersi della fama della Bella Galiana, cui molti cavalieri vennero a rendere omaggio, e molti, fra cui un principe romano, a chiederla in moglie. Forse perché la bellissima giovane, riconoscente per lo scampato pericolo, si era votata a Dio o forse perché i viterbesi le erano talmente affezionati da non volerla perdere, le richieste di matrimonio furono sempre respinte. Un ricco pretendente non desistette e offrì invano preziosi doni. Infine, indispettito, con l’ausilio dei suoi concittadini mise l’assedio a Viterbo, esigendo la consegna della ragazza. La città resistette eroicamente, fino a quando i difensori riuscirono a ferire il pretendente respinto che, sul letto di morte, chiese quale ultima grazia di poter vedere Galiana per almeno una volta. Questa si affacciò allora dagli spalti delle mura cittadine per brindare alla pace raggiunta quando, per ordine del principe, un arciere scoccò contro di lei una freccia che la trafisse alla bianca gola facendo sgorgare sangue e vino. L’uccisore cadde poi sotto i colpi dei viterbesi che vendicarono così la morte di Galiana. Affranti, decisero di darle degna sepoltura ricavando un sarcofago per lei dal famoso macigno del sacrificio, che venne poi collocato sulla facciata della chiesa di Sant’Angelo in Spatha dove ancora oggi si può vedere (vabbè è una copia, ma ci si deve accontentare… almeno fino a quando non riaprirà il Museo Civico, dove è custodito quello originale). Tutto questo sembra avere una morale: altro che Parigi, sono a Viterbo le donne più belle del mondo!
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spazi da vedere
Due finestre sulla città Dalla Loggia delle Benedizioni, un pomeriggio al tramonto. Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it - Foto di Manuel Gabrielli
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crivere seduti su un muretto, appoggiati alla ringhiera di un balcone, sdraiati su un prato, tra la folla, nel silenzio, soli, con un taccuino e una penna fra le mani è una delle attività che preferisco. Forse perché non riesco a stare più di qualche ora senza che il cielo copra la mia mente, forse perché l’aria aperta libera i miei pensieri e, solo fuori, mi rendo conto che il mondo corre rapido verso un nuovo domani. Questa volta scrivo senza schermi, nessuna tastiera su cui digitare parole al ritmo serrato di una marcia, solo carta e inchiostro, proprio come si faceva una volta, dando il tempo alle frasi di passare attraverso lo sforzo manuale. Pensare, scrivere, faticare. Ora sì che sento di creare una “cosa”. A volte per vedere un luogo, e con questo intendo realmente vedere, non guardare, lo si deve visitare da soli, senza le distrazioni della quotidiana vita sociale. Solo noi stessi e il quadrato di spazio che abbiamo scelto. Oggi sono arrivata nella grigia piazza più famosa di Viterbo: piazza San Lorenzo. Ho ciabattato con i miei sandali estivi, che fatico a lasciare nell’armadio 6
nonostante sia ormai settembre inoltrato, sulla pavimentazione scomposta in tanti piccoli e duri sampietrini. Ho alzato lo sguardo verso il mio opaco orizzonte di miopia – sì, mi ostino a non portare gli occhiali nonostante la mia vista non sia perfetta, credo che a volte sia preferibile vedere solo ciò che la mente ci mostra senza accorgersi di tanti volti o gesti che incrociano il nostro percorso – e ho notato il balcone vicino al Palazzo Papale aperto. Proprio lì dove si mostra il noto palazzo del conclave c’è un piccolo cancello di ferro che si apre su un ampio balcone. Quasi sempre chiuso, proprio oggi che ho deciso di scrivere, aperto. A volte il caso gioca proprio la carta di cui abbiamo bisogno.
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elocemente salgo la maestosa scalinata che porta al mio eden dell'ispirazione, entro, mi siedo e tolgo le scarpe. Sono una di quelle persone che ama sporcarsi i piedi, scalza mi sento semplicemente meglio. L’ispirazione è istantanea, il titolo di ciò che voglio raccontarvi è già lì: come una stanza grigia con due finestre sulla città. Il balcone è vuoto, ci sono solo io e
il grigio. Seduta in un angolo, ho dietro le spalle le colonne più belle di Viterbo, attraverso di loro la piazza, quasi sempre vuota. Oggi un dalmata corre da un lato all’altro, il suo particolare colore bianco a macchie nere colpisce l’occhio, la sua vitalità è così inopportuna nel mezzo di tanta immobile e granitica storia. Mi volto, anche dall’altra parte il balcone si apre in un’ampia finestra sulla città, da dove sono seduta posso vedere il profilo dei palazzi di Viterbo toccati dalla calda e arancione luce del tramonto. Non mi sporgo, vedrei solo un cantiere in corso, disordinato, sporco e artificiale e non è quello che voglio raccontarvi. La cosa che più mi piace è il pavimento, grandi lastre grigie sembrano proseguire lo scalino su cui mi sono seduta. Al centro una fontana, posata al livello dei miei piedi. È come una stanza grigia, sul cui ruvido tappeto poroso posso poggiare le mie dita, posso muoverle e sentire il calore accumulato durante la giornata scaldare il mio tallone. Questa stanza grigia ha due splendide finestre, una si affaccia sulla piazza con uno sguardo preciso e nitido sulla pavimentazione, dove mattonelle bianche disegnano dei quadrati che da picDECARTA OTTOBRE 2014
cola amavo tanto percorrere; peccato, ora non posso più farlo, sarei additata come strana, o forse qui direbbero “goja”.
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all’altra parte si scorgono i palazzi moderni, prima però un ampio respiro d’aria: è l’enorme conca di Valle Faul. È come se fosse una stanza, la più bella delle stanze, il suo soffitto è il cielo e oggi ha un celeste così chiaro da sembrare bianco, in alcuni punti è rosa, in altri è semplicemente bello. Sì, il posto dove mi trovo è come una stanza grigia con due finestre sulla città. Proprio ora sento un canto, è un coro, probabilmente proveniente dalla cattedrale, è quasi impercettibile, ma io lo sento. Il caso è il migliore dei giocatori e da sola non sarei riuscita a scegliere musica migliore per questo momento. Il tempo sembra fermarsi, si alza il vento che annuncia l’ora di cena, i pochi turisti sono andati a rintanarsi nelle taverne e l’unico suono è quello del coro che, soave, DECARTA OTTOBRE 2014
bacia gli angoli della piazza, sussurra fra le sbarre del cancello di ferro, sfiora le solitarie colonne della scalinata e arriva al mio orecchio. A volte è bello, sì, bello è l’aggettivo che meglio esprime questa esperienza, sedersi soli in un quadrato di spazio,
anche se è il luogo che più abbiamo vissuto durante la nostra vita, e assaporarne i particolari, scorgerne le sfumature che sono solo nostre, uniche, come unico è il colore dell’iride, azzurra e chiara, nera e profonda, che colpisce in quel momento, con quella luce, gli angoli dello spazio.
Loggia delle Benedizioni Il Palazzo dei Papi, più comunemente chiamato Palazzo Papale, è, insieme al Duomo, il monumento più famoso della città di Viterbo. Assai noto per aver ospitato, tra 1268 e 1271, il primo e più luongo conclave della storia, durato 1.006 giorni. Lo spazio descritto è la Loggia delle Benedizioni, ovvero una loggia posta a lato del palazzo che fu costruita nel 1267 per volontà del capitano del popolo Andrea Gatti, sotto il pontificato di Clemente IV, papa assai amato dai viterbesi, i quali alla sua morte ne reclamarono anche la beatificazione. Il palazzo e la loggia sono visitabili per lo più di mattina, facendone richiesta al Museo del Colle del Duomo, sito alla sinistra della cattedrale di San Lorenzo. La fortuna può però baciarvi e alcune volte, raramente, potrete trovare il cancello della Loggia aperto all’ora del tramonto, proprio come descritto qui. Il caso gioca però sempre le sue carte, speriamo capitiate durante una partita favorevole.
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Confrontarsi con i propri limiti… … praticando il Brazilian Jiu Jitsu. Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it
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i tempi del liceo, quando avevo più o meno 16 anni, ricordo che mi feci coinvolgere dall’entusiasmo di un amico che si era da poco iscritto in palestra. Alcuni anni dopo, non pienamente soddisfatto dal solo allenamento con i pesi, decisi di affiancare anche qualcosa di più concreto. In quel momento avrei potuto scegliere tra tante altre arti marziali ma, complice il fatto che l’allora professore di educazione fisica al liceo ne era insegnante, mi iscrissi al suo corso di jiu jitsu brasiliano. Per spiegare in cosa consiste il BJJ (nel mondo è noto con il nome inglese Brazilian Jiu Jitsu) è necessario avere chiaro da dove deriva. Anche se contenuto nel nome, le sue origini non provengono esattamente dal jiu jitsu (o più correttamente jūjutsu) ma dal più moderno e codificato jūdō sviluppato da Jigorō Kanō. La variante brasiliana deve infatti gran parte della sua nascita al console giapponese Mitsuyo Maeda che, recatosi in Brasile nel 1920, insegnò le basi del Ne-Waza (il combattimento a terra del judo) a Carlos Gracie e quindi per proprietà transitiva anche ai fratelli di quest’ultimo. Tra i fratelli di Carlos è obbligatorio nominare Helio, considerato vero padre del brazilian jiu jitsu. Helio Gracie infatti, essendo gracile di costituzione, diede ancora più importanza al combattimento a terra, dove la tecnica può spesso valere molto di più di forza e peso. Il jiu jitsu brasiliano ha quindi conservato solo parte di ciò che era il jūdō dell’epoca, sia nell’aspetto tecnico che in quello filosofico. Questo comunque non nega gli obbiettivi sociali di quest’arte marziale che, nata con scopi di difesa personale, è diventata con il tempo soprattutto uno sport e quindi un modo per allenare il fisico e rafforzare il carattere. 8
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ornando a noi, mi trovai subito bene con il gruppo di allenamento al quale mi ero da poco unito. Sopra il tatami non esiste razza, credo o ideologia politica, il tuo sudore si mescolerà con quello del tuo avversario, sentirai il suo odore dentro le narici mentre ci lotterai e continuerai a sentirlo quando a casa tirerai fuori dalla borsa il vestiario ancora umido. Devi essere convinto delle tue capacità ed in cerca della vittoria ma allo stesso tempo pronto ad accettare la sconfitta. Questo non può che portare ad un duro confronto con i propri limiti, di qualsiasi natura essi siano. Ovviamente non tutti sono disposti a questo ma, a patto di approcciarcisi nella giusta maniera, è uno sport che può dare tanto e con il quale si stringono solide amicizie e sane rivalità. Amicizia nella vita e rivalità nello sport è ciò che ho provato e continuo a provare nei confronti di Alessio Vittori. Ci incontrammo sul tatami giungendo da strade diverse e questo nonostante fossimo già amici da anni. Io giunsi a questo sport nella maniera spiegata all'inizio, lui invece accompagnato da un caro amico che oggi non c’è più, Jonathan Moggi, scomparso tragicamente l’11 novembre di quello stesso anno. La prima gara del gruppo, che da allora si chiama Jonathan Moggi Fight Clan, avvenne pochi mesi più tardi e mi piace pensare che parte di quella grande tenacia che ha contraddistinto Alessio da quel giorno fino ad oggi provenga proprio dalla volontà di onorare la memoria di un grande amicizia. Ma, è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, ad Alessio in questa vita non è mai stato regalato niente e tutti i suoi traguardi sono sempre stati frutto di un’indole da vero combattente che spesso non si può fare molto altro che ammirare e perché no, anche un po’ invidiare.
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incontri
Alessio Vittori L’atleta locale convocato per i Mondiali di novembre in Russia. Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it
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n tutti gli sport, l’apice è la possibilità di rappresentare la propria nazione e Alessio Vittori ha conquistato la convocazione presso il team dell’Italia. Lo incontriamo presso la palestra dell’associazione A.S.D. Open Mind, sita a Vitorchiano e nella quale oltre ad allenarsi personalmente si occupa di iniziare le future leve all’arte del BJJ. «Ho conquistato la convocazione grazie alle mie vittorie degli ultimi due Campionati Italiani, sia nella categoria Gi che No-Gi. La differenza tra le due categorie è legata alla presenza o l’assenza del Gi, ovvero il kimono che si usa durante i match: senza di esso, la disciplina è puro grappling ed alcune posizioni sono diverse». I campionati in questione si svolgono sotto l’egida della FIGMMA (Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts), che da poco ha diramato le convocazioni per il Campionato Mondiale che si svolgerà in Russia dal 20 al 23 novembre. Vittori si sta allenando duramente per farsi trovare pronto in questo importante appuntamento, dopo alcuni infortuni patiti nel corso dell’anno. Ma il BJJ è uno sport duro e l’azzurro ricorda il suo approccio con la disciplina: «Svolsi il primo allenamento insieme a Jonathan nel 2010 e, nonostante dopo la prima lezione fossi tutto rotto, fu amore a prima vista per questo sport. Ho iniziato a fare agonistica e conquistai presto la mia prima vittoria nella Coppa Italia, esattamente un mese dopo la scomparsa di Jonathan». Come accennato prima, Alessio è anche istruttore e gli chiediamo di illustrarci quali sono i vantaggi del praticare il jiu jitsu brasiliano: «Anzitutto perché insegna il rispetto verso l’avversario, oltre a misurarsi con degli allenamenti duri: la preparazione atletica è importante. Ma DECARTA OTTOBRE 2014
soprattutto insegna a non arrendersi mai di fronte alle sconfitte, perché le prime soddisfazioni arriveranno dopo mesi e quindi bisogna essere perseveranti per continuare».
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’approccio dell’allenamento riprende la filosofia del nome della palestra: «Stiamo cercando di ampliarci e di coinvolgere più persone possibili, ed il concetto di open mind ci permette di inserire numerose discipline che magari vengono prese spesso in considerazione. Ci occupiamo sia di allenamento a corpo libero che funzionale: nel primo caso si tratta del metodo che utilizza soltanto il peso corporeo, quindi esercizi di coordinazione e forza pura. Per quanto riguarda l’allenamento funzionale, in questo caso si svolge un’attività specifica per stimolare una parte del nostro corpo, dando spazio anche ad attrezzi classici come i bilancieri e meno classici, come i copertoni delle ruote. L’allenamento funzionale quindi abbina la crescita della resistenza e della forza per imparare a muoversi: nella nostra ci-
viltà, alcuni movimenti sono andati perduti e abbiamo perso per strada alcune attività motorie». L’ottimismo dell’A.S.D. Open Mind è percepibile nelle parole di Alessio: «C’è un buon seguito di nuovi appassionati, tenendo in considerazione che il BJJ non è molto pubblicizzato ed è diffuso da poco in Italia, anche perché a vedersi non ha la stessa spettacolarità dei film di Bruce Lee o Sylvester Stallone. Solo partecipando ad una lezione ci si può rendere conto di cosa succede, quando inizialmente bisogna chiudersi come una tartaruga per evitare le prese dell’avversario…». Chissà se qualche lettore, mosso dalla curiosità, a questo punto avrà intrapreso il percorso che porta dal browser a YouTube e starà assistendo a qualche match di Royce Gracie o Marcelo Garcia. Intanto, auguriamo ad Alessio Vittori di farsi valere nei mondiali russi di novembre, e di poter avvicinare sempre più persone a quest’affascinante disciplina.
IL PALMARES DI ALESSIO VITTORI 2010 1° classificato – Coppa Italia FIGMMA (Serie D) 2011 1° classificato – Campionato Italiano Kombat League 1° classificato – Livorno Challenge FIGMMA (Serie D) 1° classificato – Salento Open Cup 2012 3° classificato – BJJ Open Italia 2° classificato – Milano Challenge 1° classificato – Coppa Italia Grappling 2° classificato – Serie A -66 kg
2013 1° classificato – BJJ Open Italia di categoria ed assoluti 3° classificato – Campionato Europeo (No-Gi) 3° classificato – Roma International Open 2° classificato – Milano Challenge 2° classificato – Coppa Italia BJJ Grappling (Gi) 2014 1° classificato – Roma International Open 1° classificato – Campionato Italiano BJJ (Gi) e Grappling (No-Gi) 2° classificato – Campionato Italiano Grappling (No-Gi) a squadre (con il J. Moggi Fight Clan)
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incontri
Too Much Ado La rock band viterbese alla ricerca di nuove strade. Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it - Foto di Francesco Meloni
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ntraprendere una carriera nell’ambito della musica è una scelta che comporta gioie e dolori, e a fare la differenza sono la determinazione e l’impegno. Vivere una scena musicale non è solo passare dalla sala prove al palco, ma anche saper leggere la propria realtà e riuscire a trarne delle indicazioni per poter raggiungere un’evoluzione. Questa piccola premessa introduce l’intervista ai Too Much Ado, rock band viterbese che da due anni si è stabilizzata con una formazione composta da Claudio Pisa (voce), Andrea Saraca (chitarra, theremin e cori), Valentino Rosi (chitarra e cori) ed Alessandro Medori (batteria). Il nucleo fondatore iniziò a muovere i primi passi circa dieci anni fa, e l’arrivo di Claudio al microfono è stato l’ingresso più recente: «Ci siamo conosciuti durante un’edizione di Rockin’ Cura» racconta il cantante, che dell’evento sito in Vetralla cura l’organizzazione, «in quanto si erano proprosti per suonare. Ero contento di dar loro spazio visto che si trattava di una band locale, che peraltro in quel periodo era in cerca di un nuovo cantante. Successe che dopo il concerto si dimenticarono lo sgabello del batterista: quando tornarono qui ci mettemmo a chiacchierare ed alla fine decisi di fare delle prove con loro. Fino a quel momento mi ero solo esibito in cover band». 10
Negli ultimi due anni i Too Much Ado – nome che richiama il titolo originale di Molto rumore per nulla, celebre tragicommedia di Shakespeare – hanno avuto così l’occasione di intraprendere un percorso di crescita, dando una forma più strutturata al progetto. Dopo la prima demo, realizzata con il precedente cantante, nel febbraio di quest’anno è stato diffuso online il nuovo EP, intitolato NO!. Mi spiegano che dietro al nome dell’EP c’è una storia curiosa: «Lo abbiamo intitolato così perché dopo le registrazioni non eravamo mai soddisfatti e la parola che usavamo più spesso era proprio “no!”. Il riscontro da parte del pubblico è stato positivo e la presentazione è stata bella, ma noi vogliamo e possiamo fare di più». Tra le cinque tracce dell’EP mi indicano il brano Il rugby di Ele – il primo prodotto con Claudio alla voce – come quello che rappresenta i possibili scenari artistici futuri del gruppo, mentre hanno notato che Deja Vu è la traccia che durante i concerti fa muovere maggiormente il pubblico. Avendo avuto modo di assistere ad un loro live, rimasi colpito dal loro affiatamento sul palco e dall’energia che riuscivano a sprigionare: «Il nostro messaggio è legato proprio alla componente del rumore. Un rumore organizzato, non frutto del caso,
che permette di sfogare la nostra rabbia. La parte live poi è il riscontro, la trasposizione fisica dell’essenza del gruppo, composto da veri scalmanati che hanno voglia di scatenarsi!».
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ttualmente la band ha deciso di prendersi una breve pausa per scegliere le nuove strade da intraprendere: «La prospettiva è di passare molto tempo in sala prove per il resto dell’anno, a meno di non cambiare idea in corso. Vogliamo sperimentare sonorità nuove, qualcosa di non collegato ai nostri precedenti lavori, in modo da trovare nuovi stimoli: potrebbe essere una frase, uno strumento o persino di un genere a darci l’ispirazione. L’importante è far evolvere la musica di pari passo col gruppo, affiancando alla crescita musicale anche quella personale». In tema di generi musicali, ci troviamo tutti d’accordo sul fatto che la nomenklatura sia diventata così vasta da aver messo in difficoltà gli stessi artisti. Il loro stile è rock, con sfumature stoner e blues: i brani si presentano come molto diretti. Chiedo alla band di parlarmi del loro punto di vista sulla scena musicale viterbese, facendo nascere una discussione molto interessante, che dimostra come i Too Much Ado abbiano a cuore la questione: «Negli ultimi due anni c’è stato un DECARTA OTTOBRE 2014
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dal sito rvista.org toomuchado.alte
cambiamento in meglio, da noi avvertito in prima persona. Prima un vero e proprio movimento non c’era, o era troppo delocalizzato verso alcuni gruppetti. La chiave sta nella sensibilità musicale delle persone: se ci sono ascoltatori c’è scena, e di conseguenza anche persone disposte a mettere in gioco il proprio talento ed a formare nuove band. Se l’aria è arida e non ci sono concerti, i gruppi seri non escono mai. Purtroppo poi la tendenza di alcuni organizzatori di eventi è quella di puntare sulla sicurezza delle cover band, ma come detto prima la situazione sta volgendo al meglio, grazie al lavoro fatto sul territorio da realtà come la Backstage Academy. Un esempio è stata la serata Save Rockin’ Cura, che ha visto la partecipazione di numerose band». L’evento Save Rockin’ Cura ha focalizzato l’attenzione su una questione allarmante: molti eventi della provincia di Viterbo, e non solo musicali, navigano in cattive acque a causa della mancanza di fondi. Un’autentico harakiri made in Tuscia, se pensiamo che la cultura dovrebbe essere il midollo osseo imprescindibile delle iniziative locali. Ergo, Viterbo e provincia stanno trovando linfa vitale dal punto di vista della partecipazione, ma la base su cui poggia ancora non è all'altezza: «Mancano i locali, dove si può suonare? Viterbo è una realtà in cui manca persino il minimo. Prima qualche posto c’era: ad esempio l’Officina Belushi, che era rivolta ad un certo tipo di musica e che col tempo sarebbe potuta migliorare, ma se ora regna solo l’assenza di spazi c’è poco da fare. Per molto tempo si è suonato in locali non DECARTA OTTOBRE 2014
adeguati alle performance musicali, adattandosi alla situazione: ma questo non va bene. Come si può accettare di suonare in uno luogo angusto quando a cinquanta chilometri da qui si ha la possibilità di esibirsi in posti più grandi?».
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a band però continua ad essere ottimista: «Nel futuro avremo anni migliori. Viterbo è vicina a Roma, e la tendenza delle persone è quella di allontanarsi dai grandi centri. Questa migrazione è di conseguenza anche culturale, e la nostra città potrebbe essere una delle prime province ad accoglierne parecchia, ricevendo quindi nuovi bagagli di esperienza. Il passo successivo sarà quello di abituare le persone a vivere determinati luoghi in cui si fa musica live. Avremmo voglia di creare un partito musicale!». In attesa che nasca qualche bel nuovo locale dagli spazi adeguati e dove possa troneggiare un palco attrezzato, i Too Much Ado hanno intrapreso un percorso che li ha portati ad esibirsi fuori dalla provincia, come a Roma ed in Toscana: «Quando abbiamo deciso di iniziare a fare sul serio ci siamo iscritti a molti contest. Consigliamo a tutti i piccoli gruppi locali di buttarsi fuori dalla sala prove: magari girando per fare concorsi musicali si perde qualche soldo, ma si guadagna tanta esperienza: quando ci siamo ritrovati in seguito a partecipare ad un contest a Viterbo, siamo saliti sul palco unicamente con la voglia di spaccare e senza ansie da prestazione. Bisogna uscire da Viterbo per capire le
altre mentalità, senza fissare come obiettivo quello di farsi conoscere prima a livello locale, perché qui è difficile suonare con continuità». Le numerose esperienze in trasferta hanno permesso ai Too Much Ado di confrontarsi e tessere rapporti con altre band, a prescindere dai generi musicali. Mi raccontano della loro amicizia con i Majakovich, band umbra che si è esibita proprio durante l’ultima edizione di Rockin’Cura, ed anche con i pisani Venus In Furs: «Coltivando i contatti con le altre band si possono creare rapporti bilaterali, partendo dal presupposto che si cresce se crescono tutti. Non bisogna circoscrivere la scena solo a Viterbo e provincia: se si creano le possibilità per far suonare anche band da fuori, a trarne giovamento saremmo tutti». I Too Much Ado si preparano dunque a un intenso periodo di prove, pronti a ripartire più rumorosi di prima. Oltre al sito internet (toomuchado. altervista.org), potrete seguire le loro attività anche sulla pagina ufficiale (Facebook.com/toomuchado). Conclusa l’intervista, rimango a piazza della Morte ad assistere al primo martedì spiccatamente autunnale dell’anno. In fondo basterebbe davvero un pizzico di buona volontà per allestire spazi a disposizione degli artisti, magari messi a disposizione dal Comune e gestiti dalle stesse persone che poi si esibiranno. Utopia? Speriamo caldamente di no. 11
carta stampata incontri
Giorgio Nisini, il realista metafisico che scrive dei nostri paesaggi Intervista allo scrittore viterbese che ha portato il Premio Strega fra le nostre mura. Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it - Foto di Sabrina Manfredi
G
iorgio Nisini, nato a Viterbo nel 1974, ha pubblicato La demolizione del Mammut (Perrone) nel 2008 con cui ha vinto il Premio Corrado Alvaro Opera Prima e La città di Adamo (Fazi Editore) nel 2011, grazie al quale è stato selezionato fra i finalisti della LXV edizione del Premio Strega. Dal 2012 inoltre è responsabile della collaborazione fra il Premio Strega e Caffeina, presentando due serate all’interno del festival, di grande eco nazionale: una con i cinque finalisti a pochi giorni dalla proclamazione, l’altra come prima intervista ufficiale al vincitore. È in uscita a gennaio 2015 il suo nuovo romanzo, sempre per Fazi Editore. Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di questo e del suo legame con la città di Viterbo. Per cominciare: tre aggettivi che descrivano lei e la sua scrittura. «Maniacale, razionale e irrazionale. Maniacale perché in ogni romanzo divento sempre più ossessivo nella riscrittura, nella scelta delle parole, razionale e irrazionale perché sono contemporaneamente una persona molto logica ed emotiva. Non a caso in tutti i romanzi che ho scritto c’è sempre un protagonista molto pragmatico che all’improvviso si scontra con qualcosa di irrazionale.» Due modelli letterari di Giorgio Nisini: uno dal passato, pescato tra i classici, l’altro contemporaneo, scelto dal panorama letterario internazionale. «Tanti sono, per uno scrittore, gli autori di riferimento. Dovendo scegliere, Do12
stoevskij di Delitto e castigo per i classici e fra gli autori contemporanei Saramago de L’uomo duplicato.» Giorgio Nisini è prima di tutto uno scrittore viterbese. Quale influenza, positiva o negativa, questa città ha sul suo lavoro? «La città ha avuto su di me due influenze, entrambe positive. Crescendo a Viterbo degli anni ’80 e primi ’90 sono stato costretto a scappare, ciò è stato fondamentale per confrontarmi con altri mondi e altri modi di pensare, sebbene poi io sia rientrato. L’altro aspetto che mi influenza tutt’oggi è dato dai paesaggi. Le mie storie sono tutte ambientate in paesaggi che hanno a che vedere con le nostre zone. Il nostro paesaggio molto raramente è stato scenario della letteratura, è un paesaggio vergine, è un territorio ancora da scoprire dal punto di vista narrativo.» Riguardo i suoi romanzi, la critica ha parlato di realismo metafisico. Può aiutarci a capire di cosa si tratta e se è d’accordo con loro? «I miei romanzi sono realisti, perché non sfociano mai nel fantastico e surreale, però spingo il realismo al limite, faccio accadere fatti e cose che adombrano qualcosa di misterioso. Sembra che si possa cadere nel metafisico e irrazionale nei miei romanzi, tuttavia questo non accade mai. Condivido l’opinione della critica; e poi il concetto di arte metafisica è stato utilizzato anche da un poeta che ho amato molto, Montale, che la intendeva
come uno scontro tra ragione e qualcosa che non è ragione.» Leggendo La demolizione del Mammut e il più recente La città di Adamo si percepisce uno spiccato interesse per l’architettura e le sue strutture. Può spiegarci come mai è proprio questo uno dei temi che stimolano maggiormente la sua scrittura? «Sono affascinato dalle costruzioni, dagli edifici, dagli ambienti urbani. Mi sembra che in questi ci sia qualcosa che ha a che vedere con la nostra società. Una città e le sue architetture sono sempre espressione della nostra civiltà. Sono molto affascinato dall’architettura, indipendentemente dal fatto di scrivere e quindi la utilizzo molto come scenario dei miei libri e affido alle architetture molti significati simbolici. Ad esempio nel mio secondo romanzo è assai importante il quartiere dell’Eur e la sua atmosfera metafisica.» In La demolizione del Mammut molti temi importanti vengono affrontati, primo fra questi l’eutanasia. Come mai ha voluto raccontarla e perché attraverso un paragone architettonico? «Ero stato influenzato da alcuni pensieri architettonici che tendono a vedere gli edifici come qualcosa che segue un ciclo biologico, composto di nascita, crescita e morte. Quando si demolisce un edificio in fondo è un atto di eutanasia architettonica paragonabile con quella umana. Ho tradotto l’eutanasia architettonica in una riflessione su quella umana.» DECARTA OTTOBRE 2014
Proprio in questo romanzo descrive le donne in maniera assai particolare: “Del cuore delle donne mi attrae la curiosità, l’entusiasmo per gli oggetti minori, per i dettagli. L’ossessione per il vacuo. Non riescono a possedere lo sguardo complessivo sulle cose, la necessità delle categorie definitive. Eppure hanno la loro contropartita. Sono delle sacerdotesse dell’inutilità. Sanno trasformare l’inutile in una categoria dello spirito. Nell’essenza.” È questa la sua idea di donna o c’è qualcosa in più? «Molti pensieri di uno scrittore filtrano nei personaggi. Qualcosa di questa frase la penso anche io, dell’universo femminile mi affascina positivamente l’attenzione per una serie di cose che a me spesso sfuggono, cose che sono in superficie, o che sono dettagli solo all’apparenza poco importanti. Rimango sorpreso e stupito da questo aspetto delle donne. Le sacerdotesse dell’inutilità è una frase forte, ma forse è vero che diano più attenzione all’inutile, almeno rispetto a me. Il mio non è un giudizio negativo, è pura curiosità per un modo diverso di osservare le cose.» Nel romanzo appare una descrizione della nostra contemporaneità che fa
tornare alla mente il film di Sorrentino La grande bellezza, vincitore nel 2014 del Premio Oscar come miglior film straniero. “[...] viviamo in una società incapace di essere felice. E sa perché? Perché confonde la felicità con l’onnipotenza. Vogliamo tutto, vogliamo essere belli, interessanti, pieni di soldi, vogliamo affascinare gli altri e non ci rendiamo conto, o solo troppo tardi, che un tale atteggiamento ci rende sempre, incondizionatamente infelici. Ma il corollario di questo assurdo modo di vivere è che finiamo per considerare ciò che non si allinea al nostro modello solo come un avanzo di cui disfarci: la malattia, la bruttezza, l’handicap, la vecchiaia.” Trova anche lei, quale anche esperto di cinema, che ci sia una comune idea intellettuale che condanna la falsa e perfetta felicità, per rivalutare l’autenticità della realtà, per difettosa, brutta o malata che sia? «Credo che ci sia una comune sensibilità. Sorrentino è un autore che mi ha influenzato nei libri successivi, soprattutto per il modo di costruire le sue storie, nei suoi primi film come L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore e L’amico di famiglia. Mi affascinano le sue scenografie e le atmosfere di fondo. In epigrafe a questo libro ho citato la frase di Gesualdo Bufalino che dice: “La malattia conferisce ai volti un presentimento, una luce che manca sulle guance dei sani”. Come se, nella malattia, che la
nostra società rifiuta, ci fosse una luce più interessante. Nella mia vita molto spesso trovo più interesse nelle cose che la società tende a rifiutare; quanto più una donna è perfetta, tanto meno mi interessa, spesso in una donna mi attrae il dettaglio sbagliato, qualcosa che non si allinea al canone. Nelle persone malate, che si trovano in uno stadio di sofferenza, mi sembra di intravedere qualcosa che non vedo nei volti dei sani, che mi incuriosisce e attrae. Nel mondo di oggi, si tende molto a nascondere il brutto, il malato, il vecchio, invece è proprio lì che si trova l’autentico, ciò che interessa a me.» Abbiamo già accenato all’imminente uscita di un nuovo libro, di cosa tratterà questa volta? «All’inizio del 2015 uscirà il mio terzo romanzo che si intitola La lottatrice di sumo e chiuderà l’ideale trilogia che ho chiamato “dell’incertezza”. Il protagonista sarà un fisico teorico, un uomo molto razionale che si imbatte con qualcosa che non comprende: la comunicazione con l’aldilà. Una frase con la quale potrei definire il romanzo è una domanda, in realtà rivolta al protagonista: e se il tuo primo amore dall’aldilà tornasse a farti visita? È la storia di un uomo che perde da giovane la donna che forse ha amato di più nella sua vita; molto tempo dopo, da adulto, riceve segnali che interpreta come possibili segnali di quel suo primo amore. Sarà una riflessione sulla comunicazione con l’aldilà.» 13
carta stampata pillole di lettura Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it
Cotroneo: Betty
Martin: Il trono di spade
“Si trattava di fare un’indagine. E io, in vita mia, non avevo mai fatto indagini, le avevo solo raccontate.”
“Ti do un consiglio bastardo. Rammenta sempre chi sei. Gli altri lo faranno. Fanne la tua armatura e non potrà mai essere usata contro di te.”
Nel 1987 George Simenon, il grande giallista inventore di Maigret, torna nella sua isola preferita a largo della Costa Azzurra: Porquerolles. Qui si troverà per la prima volta nel mezzo di un’indagine che riguarda nel profondo lui e i suoi libri. Roberto Cotroneo, intelligente penna di Sette, settimanale del Corriere della sera e direttore della Scuola di giornalismo LUISS di Roma, ci regala un piccolo prezioso racconto. Tesse la trama seguendo l’esempio del capostipite dei romanzi italiani: Manzoni. Infatti apre la sua storia con una lettera, annunciando che l’autore ha ritrovato un quaderno, proprio come Manzoni con il manoscritto anonimo del Seicento, abbandonato su un tavolo una sera d’estate. Da questo espediente, che non è nuovo alla letteratura, si apre la finestra su un’isola avvolta dalla spuma del mare e dalle ombre e nubi dei sospetti. L’indagine ruota attorno ad una donna che si fa chiamare Betty, come la protagonista di un oscuro romanzo di Simenon, che, dopo un’improvvisa sparizione, viene trovata in mare, uccisa. Un Simenon ormai anziano decide di scrivere una storia sull’indagine che si trova a compiere in prima persona, riversando nel manoscritto anche i dolori più reconditi e sconvolgenti della sua vita, come il suicidio della figlia Marie-Jo, credendo che nessuno entrerà mai in possesso dei suoi segreti e delle sue ferite. Cotroneo fa parlare uno degli autori più amati dell’ultimo secolo, con una scrittura degna della sua memoria.
Roberto Cotroneo Betty Bompiani, 2013 - pp. 192 - € 16,00 ISBN 978-8845274114
Le più famose parole di Tyrion Lannister, personaggio principale de Il trono di spade, lunghissima saga di George R.R. Martin che negli ultimi anni ha accresciuto i suoi lettori grazie alla fortunata serie televisiva di HBO che vede rinnovato il suo appuntamento con una quinta stagione in programma. Mondadori ha di recente pubblicato i numerosi volumi di Martin in una serie di Grandi Bestseller che vede racchiusa la saga in cinque tomi (l’ultimo in uscita a novembre) dallo spessore non irrisorio, ma dal prezzo contenuto. La saga è ricca di suspense, amori, tradimenti, sangue e morte. Come ormai è slogan sul web: mai affezionarsi ad un personaggio, potreste voltare la pagina e trovarlo già morto, che questo sia il re dell’intero regno, un’eroina o il presunto protagonista. Si tratta di una saga lunga da digerire (per chi non è così appassionato basterà seguire le quattro stagioni televisive già uscite, che non si può davvero fare a meno di vedere), ma degna di nota. L’autore infatti ha inventato un mondo di personaggi davvero appassionante e i colpi di scena possono rendere alcuni pomeriggi piovosi davvero meno grigi. Martin non ha però ancora concluso la saga e scherzosamente si prende gioco dei suoi lettori minacciando sui social la morte di personaggi storici e amati proprio come Tyrion. Per gli amanti del fantasy e non. A volte si può anche solo leggere per sognare di trovarsi in un altro mondo, e perché non cominciare dal Westeros, in una piccola e sudicia locanda, bevendo vino e cantando una vecchia canzone?
George Raymond Richard Martin Il trono di spade - Vol. I, II, III, IV Titolo originale: Game of Thrones Traduzioni di Sergio Altieri e Michela Benuzzi Mondadori, 2011/2014 - pp. 864, 984, 1224, 852 € 15,00 circa per volume
Foto: Box “Non ci sono mai grandi avvenimenti nelle sue foto. C’è la città che passa e scivola via, che semplicemente scorre attraverso piazze e strade.” Il volume edito da Contrasto qui descrive Robert Doisneau, fotografo francese della prima metà del XX secolo che immortalava su pellicola un mondo in cui si sarebbe sentito bene, fra persone gentili, dove trovare la tenerezza che desiderava ricevere. Il libro è compatto e ben strutturato fra le tematiche di reportage, guerra, ritratto, nudo, donna, viaggio, città, arte, moda, still life, sport e natura. Le sue pagine sono racchiuse da una comoda chiusura magnetica e illustrano le immagini dei più grandi maestri della fotografia internazionale. Perché soprattutto oggi l’immagine può essere arte. In un mondo sommerso da fotografie, molto spesso di scarsa qualità, scattate con lo scopo di testimoniare ogni attimo della nostra tristemente quotidiana vita, dobbiamo fermarci a vedere cos’è una vera foto, dove la realtà si mostra, senza ritocchi e aggiustamenti, a volte terribilmente cruda come nello scatto di guerra di Ron Haviv, altre intelligentemente bella come nella foto di Fabrizio Ferri che illustra l’italianissimo volto di Monica Bellucci coperto di miele. Accanto ad ogni fotografia, un breve saggio che racconta la vita dell’autore e la storia della fotografia mostrata. Per chi vuole cominciare a conoscere il fascinoso mondo della fotografia, attraverso i grandi che l’hanno resa un’arte.
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Foto: Box Le immagini dei più grandi maestri della fotografia internazionale A cura di: Roberto Koch 250 fotografie a colori e in b/n Contrasto, 2014 - pp. 512 - € 19,90 ISBN 978-8869654794
tendenze
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Tacchi, odi et amo La geniale pensata (o tormento) di un monarca francese. Martina Perelli | martina.perelli@decarta.it
A
volte mi capita di pensare a quel tale che un giorno, svegliandosi, ebbe una trovata geniale e inventò il tacco. Parlo del tacco rialzato delle scarpe, generalmente prerogativa femminile, amato e odiato da tempi non sospetti. Forse più odiato, almeno dalla sottoscritta. Il motivo per cui una donna debba calzare scarpe rialzate e sgambettare in giro non mi è molto chiaro, anche se certamente spiegabile in termini di acquisto di una certa sensualità. Indossare un tacco significa slanciare la gamba, assumere un portamento più impostato, valorizzare le linee del proprio corpo e guadagnare qualche centimetro. A conti fatti sembrerebbe qualcosa d’irrinunciabile, ma come la mettiamo con il dolore pungente alla pianta del piede e le dita rattrappite che in un secondo fanno assumere le movenze di un dinosauro sgraziato? E poi giù la sera a disperarsi e immergere i poveri piedi nell’acqua calda. Che strazio. Ecco, quando quel tale ha avuto questa geniale pensata, questi particolari dove erano? Difficile da dire, anche il nome del fatto che il tacco che noi conosciamo, odiamo, adoriamo e rendiamo feticcio, nasce per motivi ben diversi. Sempre vanesi, ma diversi: si dice che Re Sole fosse bassino, si dice che non amasse esserlo e, d’altronde, come dargli torto? A nessuno piace che si parli dei propri difetti, a nessuno piace che siano visibili a tutti e, quando si è il sovrano di Francia, il rischio di essere “giusto un po’ sovraesposto” è forte. L’esistenza di calzature che poggiassero su un tacco è attestata già in tempi più antichi, ma solo re Luigi XIV di Borbone ne fece una moda. Arguto, riuscì a fare della salvezza al suo difetto un vero e proprio “tormentone modaiolo” dal quale nobili e notabili non poterono sottrarsi. Non poterono nel vero senso della parola: il sovrano decise infatti di fare le cose in grande ed arrivò a modificare il protocollo di corte inserendo l’obbligo di indossare tacchi dal colore rosso per tutti i nobili che, grazie a questo espediente, erano immediatamente riconoscibili e potevano distinguersi dal popolino. Contenti e riconoscibili loro, più alto lui. Chiamatelo scemo… Da allora, tra alti e bassi e con le dovute modifiche, il tacco non ha più abbandonato il mondo della moda e del costume. Le DECARTA OTTOBRE 2014
dimensioni del tacco per le calzature maschili si sono ridotte e per quelle femminili sono invece cresciute vertiginosamente, fino all’uscita del temibile tacco a spillo negli anni Cinquanta. E di tanti posti che potevano sfornare tale malsana idea, secondo voi, dove fa la sua prima apparizione? Presto detto: in Italia. Quale gioia per le donne italiane che, sognando di girare anche loro La dolce vita, iniziano ad indossare il tacco che più di tutti riesce a slanciare la gamba, a renderci più graziose e sensuali. Sì, tutto molto bello, ma io il tacco lo detesto e da brava paladina del “vi prego, indossiamo quel che è pratico” non posso che gioire di fronte alle proposte delle passerelle degli ultimi tempi: tacchi larghi, solidi, stabili, che con quello a spillo hanno poco a che fare. E va bene che la caviglia alla Marylin era tutta un’altra cosa, lo capisco, ma diciamolo: quando la sera la vostra signora arriva a casa e il primo pensiero è fare i bagnoli e magari scroccare un massaggio, è ancora tutto così sexy? Avanzo un suggerimento: diamo la botta di “svirilizzata finale” agli uomini e proponiamo un tacco anche per loro? Così, solo per darvi un’idea della piacevolezza della caviglia tesa e della schiena dolorante.
P
er dovere di cronaca ammetto che esistono anche le Dee, le chiamo così perché solo dee possono essere quelle poche elette che indossano tacchi tutti i giorni, si muovono come se volassero leggiadre e, a fine giornata, affermano di non accusare nessun colpo. Tutta la mia stima, sorelle. Dal momento che dea non sono e che ne esistono ben poche, mentre scrivo indosso le mie piattissime ballerine e mi chiedo perché quel benedetto giorno non sono nata dea o uomo.
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ospiti
mentre cucino
Un dolce sogno Monica Angela Baiona
L
aura e Massimo si danno appuntamento in un luogo riservato lontano da occhi indiscreti. Hanno bisogno di molta privacy per questo incontro. Mentre lei attende il suo arrivo per un attimo teme che lui possa non riconoscerla dopo tutti quegli anni trascorsi senza mai vedersi, ma la sua paura si dissolve quando lo vede sopraggiungere da lontano mentre le sorride felice come se si fossero lasciati la sera prima. I loro volti sono arrossati dall’emozione, le loro mani sono nervose e trovano pace solo quando, finalmente, s’incrociano. “Sei bella come allora” le sussurra Massimo, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Laura arrossisce e socchiude gli occhi sorridendo imbarazzata. “Sono passati talmente tanti anni…” dice lei con un filo di voce. “Hai lo stesso modo di sorridere di quando avevi vent’anni” “Che modo?” “Riservato” risponde lui senza doverci pensare. I loro sguardi si posano ancora uno dentro l’altro, come allora. I ventidue anni che li hanno separati svaniscono all’improvviso come le nuvole sopra di loro che si nascondono dietro le montagne. Il sole deve poter illuminare ogni angolo di quell’ incontro. 16
“Non hai mantenuto fede alla tua promessa” dice lei d’un fiato sentendosi sollevata subito dopo. Aveva convissuto per molto tempo con il bisogno di dirglielo. “Quale promessa?” Massimo ricorda di non averne mantenute molte. “Che saremo invecchiati insieme…” risponde lei diventando triste all’improvviso, non perché lui non ricordi la promessa ma perché rinnovare la consapevolezza che il suo sogno sia svanito le fa male. “Sei tu che te ne sei andata… anche se è stata la cosa giusta” Massimo piega la testa di lato e indurisce un po’ i lineamenti. “Non potevo che tornare dai miei…” tenta di giustificarsi lei. “Certo! Hai fatto bene.” Massimo ora stringe più forte le sue mani per timore che le si possa allontanare un’altra volta. “Sono contenta che tu sia vivo. È un miracolo. Come hai fatto?” “Da solo. A un certo punto ho deciso che volevo smettere e ho smesso. Sono dieci anni che non mi drogo più. ” Laura annuisce poi guarda il tatuaggio che lui ha sul braccio: “Questo?” “L’ho fatto fare dal mio compagno di cella quando ero a spese dello Stato…” sorride con un angolo della bocca “rapina a mano armata…” si affretta a dire con imbarazzo, anticipando una sua prevedi-
bile domanda. Laura sceglie di non chiedergli altro. Non le interessa cercare nel suo passato cose che a lui non fa neanche bene ricordare. È certa che lui avrà avuto tempo per pensarci e redimersi. “Questa?” chiede lui sfiorandole la fede che ha sull’anulare sinistro. “Beh… una fede nuziale… sono due anni…” parla a stento come se ammettesse un tradimento e non riesce a guardare il suo ex fidanzato negli occhi. “Sono felice per te, davvero.” Dice Massimo sorridendole e cercando il suo sguardo.
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rascorrono le tre ore successive seduti su una panchina, lungo la riva di un fiume, nel bosco, a raccontarsi le loro vite, ricordando i loro momenti felici, prima che lui partisse per entrare nella prima comunità per tossico dipendenti in cui era stato. Il sole illumina ogni loro sorriso e si fa più caldo ogni volta che tra di loro si insinua un lieve imbarazzo. “Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto vivere. Nessuno avrebbe dovuto vedere le cose che hai visto tu.” Dice Massimo all’improvviso e diventa triste. Vorrebbe cancellare dalla memoria di Laura i ricordi più brutti. “È tutto ok. È passato tanto tempo… ora sto bene” Laura cerca di tranquillizzarlo e gli sorride affettuosa. DECARTA OTTOBRE 2014
“Hai realizzato il tuo sogno?” Chiede Massimo sperando che il loro passato doloroso non abbia intaccato la sua voglia di realizzarlo. “Ne avevo molti…” si rattrista pensando a quando immaginava che loro sarebbe stati insieme per sempre, poi aggiunge “… a quale ti riferisci?” “A quello di aprire una pasticceria!” dice lui con entusiasmo per cancellare l’alone di tristezza sceso sul suo viso. “Beh… sì…” risponde quasi con imbarazzo come se si stesse in colpa per aver realizzato i suoi sogni senza di lui. “Sono felice! Chissà che buoni che sono i tuoi dolci! Eri bravissima!”
cio porgendogli una mano. Lui infila la sua mano in quella di lei e si lascia guidare. “Qual è il dolce che preferisci preparare?” chiede Massimo mentre si incamminano. “La nuvola al limone” risponde lei senza guardarlo. “È il mio preferito!” “Lo so.” Laura si ferma, entra con i suoi occhi in quelli di lui e gli anni scorrono indietro velocissimi per poi fermarsi al loro primo incontro, quando erano giovani e innamorati, ma il passato non torna indietro e allora continuano a camminare avanti.
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Ricetta della Nuvola al limone
l volto di Laura ora si illumina di gioia e racconta a Massimo della sua pasticceria: “Ho aperto un locale in un vicolo un po’ nascosto della città. Mi piace l’idea che le persone che vogliono gustare un mio dolcetto per la prima volta, mi debbano cercare per un po’ prima di trovarmi. Le cose buone si gustano di più quando si fatica per raggiungerle… non trovi?” “È vero. Hai ragione.” Massimo ripensa a quanto tempo gli era servito per corteggiarla quando erano giovani e a quanto tempo aveva impiegato per perderla. Se ne rammarica e rimanda indietro questo pensiero. Avverte uno sapore amaro in bocca e sente rinascere dentro di lui il desiderio di assaporare un’altra volta un dolcetto preparato da lei. “Vieni con me, ti accompagno nella mia pasticceria” Laura sembra leggere i suoi pensieri e si alza di scatto, allunga il brac-
La ricetta della Nuvola al limone è segreta. Se volete gustare questo delizioso dolcetto lo potete trovare in una speciale pasticceria che si trova in una delle vie del centro storico di Viterbo. Non vi resta che cercarla.
Questa rubrica “Ospiti” è stata pensata per dar voce a coloro che vogliono vedere pubblicate su carta le proprie opere, che siano esse letterarie, fotografiche o illustrate. Chi fosse interessato può contattare la redazione, all'indirizzo e-mail info@lavalliere.it
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P O R TATA
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Quartieri dell’Arte a ottobre gli ultimi tre spettacoli
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Union Rugby Viterbo 1952 al calcio d’inizio
Un birrificio agricolo dalle “Terre di Faul”
Foto © Rocco Franceschi
Dancalia, terra di conquista
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a tavola
Un altro importante traguardo I giardini di Ararat al Salone del Gusto di Torino. I giardini di Ararat
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n ottobre importante che sottolinea lo stretto legame tra i giardini di Ararat e il movimento Slow Food. Iniziamo con il primo grande risultato ottenuto per l’entrata nel progetto dell’Alleanza dei Cuochi per i Presidi Slow Food in Italia. Un progetto ambizioso nato nel 2009 con una rete solidale, all’interno della quale i cuochi hanno stretto un patto con i produttori dei Presidi. Oggi il progetto dell’Alleanza dei Cuochi italiani e dei Presidi Slow Food riunisce 290 ristoranti e osterie italiane impegnate a valorizzare i Presidi. Essere un cuoco dell’Alleanza Slow Food significa sposarne la filosofia: scegliere materie prime locali, rispettare le stagioni, lavorare direttamente con i piccoli produttori e stringere con loro legami duraturi per conoscerli e valorizzarli. I Giardini di Ararat come tutti gli aderenti
al progetto s’impegnano a inserire almeno tre Presidi all’interno del proprio menù alla carta privilegiando quelli del proprio territorio. A Viterbo viene segnalato un Presidio: la Susianella di Viterbo prodotta dai Fratelli Coccia e dai Fratelli Stefanoni, questi ultimi pionieri del progetto e nostri partner. Il menù alla carta è stato studiato rispettando tutti i criteri sopraelencati e unendo ai prodotti buoni, sani e giusti l’arte della trasformazione enogastronomica che la famiglia Belli porta in tavola da quattro generazioni. Altro traguardo importante è la segnalazione dell’Agriturismo i giardini di Ararat all’interno di Osterie d’Italia che quest’anno, tra le altre cose, compie il suo venticinquesimo compleanno.
Ultimo appuntamento d’ottobre, ma non per importanza, è la degustazione che lo chef Laura Belli preparerà al Salone del Gusto a Torino, sabato 25 ottobre, all’interno del padiglione dedicato all’Alleanza dei Cuochi dei Presidi Slow Food. In questa occasione verranno presentate due portate con i Presidi Marzolina e Susianella di Viterbo. Per coloro che non potranno visitare il Salone del Gusto per provare questi piatti, riportiamo di seguito il link dove trovare anche il menù alla carta presentato all’interno dell’Agritursimo nei mesi di settembre e ottobre 2014. Pagina Facebook: Agriturismo-I-giardini-di-ararat Sito web: www.igiardinidiararat.it
Che cos’è il Salone del Gusto? l Salone Internazionale del Gusto organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino, è un mercato del cibo, un luogo d’incontro e aggregazione dove si praticano l’economia e lo scambio della cultura enogastronomica. L’obiettivo è fornire ai consumatori-visitatori delle indicazioni per conoscere e imparare a scegliere il cibo. Il salone diviene un vero e proprio luogo di dibattito sui grandi temi: dalle filiere ai consumatori, dalla pubblicità all’educazione, tutto, insomma, quello che concerne l’enogastronomia e l’economia ad esso allegata.
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www.igiardinidiararat.it Strada Romana, 30 (o Strada Provinciale, 57) 01100 Bagnaia (VT) Tel. +39 0761 289934 - Email: giardinidiararat@gmail.com Orari di apertura per la ristorazione da Mercoledì a Domenica: Pranzo e Cena festivi: Pranzo - prefestivi: chiamare in Agriturismo N.B.: è gradita la prenotazione.
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jazzup
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3 quartetti e 3 parole in 3 colori Il JazzUp Caffeina fa tappa all’Auditorium Parco della Musica e punta dritto all’EXPO di Milano.
Greg Burk, Viviana Ullo, Francesco Puglisi e John B. Harnold
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asce la collaborazione tra il JazzUp Caffeina Festival di Viterbo e Set Up New, principale promotrice e collaboratrice di Helikonia, realtà che da oltre venti anni svolge un’intensa attività di produzione e edizione musicale in uno dei luoghi sacri per gli amanti della musica di qualità: l’Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano. Instancabile JazzUp promuove questo nuovo importante avvenimento romano previsto il 6 di ottobre, inizio ore 21,00 nella bellissima cornice della Sala Petrassi. Una serata evento, un concerto che unirà diverse figure del firmamento jazzistico italiano e internazionale, sotto la regia di Valerio Gallo Curcio che ha curato anche la direzione artistica. Insieme a Viviana Ullo, giovane singer calabrese e recente scoperta del festival, saliranno sul palco romano il pregio jazzistico di Greg Burk e del suo trio italo-americano, composto dal sideman Francesco Puglisi, uno dei contrabbassisti più attivi in Italia, e dal biondo batterista newyorkese John B. Arnold, nipote del celebre compositore Hoagy Carmichael. Il grande carisma, la vena creativa e compositiva di Burk, ha così innescato un progetto artistico nato appunto durante l’ultima edizione della manifestazione viterbese, già finalizzato con la produzione del singolo Be Strong, composto appunto dal pianista americano. Caffeina a Viterbo, di fatto, oltre IV
ad essere un grande festival letterario, proprio attraverso la sinergia con JazzUp, si sta sempre più affermando come kermesse internazionale, così il pezzo, eseguito dalla bellissima voce di Viviana Ullo in prima assoluta, è stato adottato come sigla ufficiale della manifestazione. S’intuisce allora, come il prossimo appuntamento romano, anche dopo la recente e acclamata trasferta in terra di Puglia del JazzUp, proietta verso nuovi orizzonti questo marchio dell’eccellenza culturale viterbese: il festival sarà un atteso protagonista durante lo svolgimento dell’EXPO a Milano. Per l’occasione, il team organizzativo made in Tuscia, si avvarrà della collaborazione con Ah-Um, una delle manifestazioni più prestigiose nell’area lombarda, che si tiene nel quartiere Isola la terza settimana di maggio. Una rassegna quella milanese che, come spiega lo stesso direttore artistico Antonio Ribatti, “ha evidenti punti di contatto con il JazzUp Caffeina di Viterbo. La volontà degli organizzatori è di superare la semplice dimensione concertistica, per andare oltre, penetrando le molteplicità delle forme artistiche. Nel nostro caso – continua Ribatti – siamo voluti entrare in punta di piedi nel tessuto vivo di un quartiere, senza cercare di alterarne la dimensione, organizzando mostre fotografiche, rassegne di murales, un concorso sui poster e presentazioni di video e libri”.
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’è però molto altro in serbo per il 6 di ottobre. Al già prezioso contenuto mediatico, l’occasione si comporrà di altri valori artistici, impreziosita dalla presenza di altre due titolate formazioni, rigorosamente 4tet: Alberto Giraldi Jazz Quartet, con Alberto Giraldi al pianoforte, Ettore Fioravanti alla batteria, Filiberto Palermini ai sassofoni, Riccardo Gola al contrabbasso e Rosa’s Quartet, con Gilda Buttà al pianoforte, Ettore Belli alla viola, Adriano Ranieri alla fisarmonica e Luca Cola al contrabbasso. Condurrà la serata Claudio Boschi e per gli inserti narrativi l’attore Lapo Mantelli. In attesa di ascoltare sul palco della stupenda Sala Petrassi, l’interplay dei talentuosi musicisti impegnati, ci domandiamo se forse non sia il caso di segnalare con maggior impulso, questo lodevole, quanto efficace esempio di vera sinergia settoriale, dove, organizzatori, artisti, discografici condividono l’idea di operare verso una comune direzione. Un monito, che può rappresentare una risposta esemplare per risolvere la grave crisi che affligge il nostro paese, per dare una risposta a quei momenti che tutti noi viviamo e soffriamo quotidianamente, e ai quali il jazz cerca sempre di contrapporsi, rispondendo con la più grande arma comunicativa possibile: la musica!… da non perdere.
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Tre domande a Valerio Gallo Curcio Compositore, produttore, direttore artistico e musicale nonché regista del nuovo originale concerto. Valerio ci spieghi “l’idea sinergica” con Helikonia e il motivo di coinvolgere un Festival come JazzUp Caffeina in questa partnership? «La mia collaborazione con Valentino Saliola e Antonio Cece, iniziata da poco più di un anno, sta acquisendo sempre più un dinamismo funzionale per entrambi. Oggi, con l’adesione di un nuovo partner, il JazzUp Caffeina, che ho avuto modo di conoscere in occasione del JazzUp Festival di Viterbo, tenutosi a luglio scorso, ho potuto anche verificare la condivisibilità di intenti rispetto alla mia linea editoriale. Sono certo che insieme potremmo proporre delle interessanti novità.» Il JazzUp Caffeina Festival è un contenitore culturale polivalente, come del resto il modello di programmazione che ha premiato negli anni il palcoscenico dell’Auditorium, pensi anche tu di seguire questo indirizzo alla luce delle nuove tendenze del pubblico? «In effetti l’Auditorium, attraverso l’aper-
tura dei suoi spazi ad artisti meno conosciuti dal grande pubblico, permette proprio di verificare e sperimentare nuove espressioni musicali e di monitorare i nuovi talenti. In questo senso il nostro modello trova dei punti di forza nell’interazione tra Helikonia, Set up New e JazzUp Caffeina.» Sei stato l’artefice del grande risultato di consensi dell’appuntamento “Non solo bianco e nero” di qualche settimana fa, ora ti cimenti in un nuovo spettacolo puoi parlarci di come hai pensato di realizzarlo e dei suoi protagonisti? «Greg Burk Trio feat.Viviana Ullo, già felice intuizione di Giancarlo Necciari del JazzUp Caffeina Festival di Viterbo, sta destando l’interesse anche del pubblico romano, sarà presente con tre artisti del jazz internazionale il batterista newyorkese John B Arnold (nipote del celebre compositore Hoagy Carmichael), il contrabbassista italiano Fancesco Puglisi e la bravissima Viviana Ullo che interpreterà brani appositamente scritti per lei da Greg Burk; il
Rosa’s Quartet formazione che vede al pianoforte la grande concertista Gilda Buttà (interprete preferita di Ennio Morricone, a lei ha affidato l’esecuzione di meravigliose composizioni quali la colonna sonora de “Il pianista sull’oceano”) affiancata da abilissimi strumentisti quali Ettore Belli alla viola, Luca Cola al contrabbasso, Adriano Ranieri alla fisarmonica e al bandoneon; il M° Alberto Giraldi con il suo quartetto composto dai noti musicisti Filiberto Palermini ai sax, Ettore Fioravanti alla batteria e Riccardo Gola al contrabbasso. Sono gli artisti del prossimo appuntamento sul Jazz all’Auditorium: “Jazz & Jazz - 3 quartetti e 3 parole in 3 colori”. Non è così enigmatico il titolo di questo mio nuovo spettacolo, lascia facilmente trapelare l’abbinamento cromatico che sottolineerà la qualità e l’intensità della musica presentata da ciascun gruppo. Alle parole, ci saranno il narratore Lapo Mantelli e il presentatore Claudio Boschi (gli stessi di “Non solo bianco e nero”) entrambi giovani attori seri e versatili, nel mio team già da tempo.»
Greg Burk, piano & composer
Gilda Buttà, piano
Alberto Giraldi, piano & composer
John B. Harnold, drums
Ettore Belli, viola
Ettore Fioravanti, drums Filiberto Palermini, alto & soprano sax
Francesco Puglisi, double bass Viviana Ullo, singer
Adriano Ranieri, accordion & bandoneon
Riccardo Gola, double bass
Luca Cola, double bass
Greg Burk Trio feat. Viviana Ullo
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Alberto Giraldi Jazz Quartet
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Andar per mare… è un piacere! Nautica Fiorò è al 54° Salone Nautico Internazionale di Genova.
Luciano, ci racconti la storia del successo ormai ad infusione sotto vuoto, che parte dal piccolo consolidato del vostro centro nautico, che riesce Maestrale per passare alla linea Libeccio. Modelli ad offrire servizi per chi vive e ama il mare, che arrivano fino a 42 piedi, che possono raggiunsoprattutto l’assistenza e la manutenzione, punti gere, nelle versioni open, Sport e Cabinate velodi forza della vostra vision. cità fino ai 30 nodi.» «È più di mezzo secolo che la Intervista con mia famiglia lavora con impeQuali sono invece i consigli per Luciano De Fermo, gno e tanta passione per offrire il pubblico più giovane che ha quanto di meglio il mercato voglia anche di divertirsi? imprenditore che, nautico può offrire. Tutti i clienti «Senza dubbio dirigerei la prua insieme al fratello pretendono il massimo e il noverso il gommone. La nostra colLuigi, gestisce stro compito è di soddisfare laborazione con la Marlin, un ogni tipo di richiesta e, spesso, marchio storico di questo seguna delle realtà ci si ritrova al nostro ristorante mento, è iniziata molti anni fa più importanti a gustare i piatti tipici: a base con mio padre e il dott. Selva. Via del Lazio di pesce di lago e dei prodotti via è andata sempre più consolipiù genuini del territorio della dandosi.» e del centro Italia. Tuscia.» E per chi non si accontenta? La partnership prestigiosa con Evinrude e «Anche qui possiamo fornire un modello presente Mercury, quanto ha influito sul vostro standard al Salone Nautico: come il Marlin 790, un prodotto di clientela? top, molto duttile, che può essere equipaggiato «La barca è un gran bel giocattolo e dall’elica di con una tenda camper per la notte e di un comodo ogni motore ci si aspetta di soddisfare la propria wc marino nel vano sotto consolle.» voglia di prestazione. Un motore performante contribuisce ad un sapiente equilibrio tra erogazione e Torniamo alla motorizzazione, l’abbinamento consumi e la semplice evocazione di questi marscafo/motore è forse uno degli aspetti più delicati, chi storici, suscita adrenalina e ammirazione asil vostro centro è un punto di forza nella consusoluta, garantendo così uno standard qualitativo lenza. senza pari. «È senza ombra di dubbio questo uno degli aspetti più importanti: saper consigliare il cliente nel Cosa suggerisci a coloro che spinti dalla voglia modo giusto. Ad esempio se equipaggiassimo un di “andar per mare” decidono di acquistare mezzo come il Marlin 630 Dynamic, con il Merun’imbarcazione? cury 40 Pro, daremmo sicuramente la giusta indi«Senza dubbio suggerirei di acquistare uno “starcazione per usufruire di un motore da 4 cilindri ter kit” interessante: un 40 cv in abbinamento alla 995 cc. con elica in acciaio, e una velocità di 20 Fisherman 19 dei Cantieri Mimì di Napoli, barca nodi.» poco impegnativa, che lascia spazio alla libertà di navigazione, anche senza patente. Con la stessa Motori che possono sviluppare potenze elevate carenatura, fiore all’occhiello della gamma, la sono indicati per imbarcazioni più impegnative, ci linea dei “gozzi”, stampati con l’esclusivo sistema vuoi indicare alcuni esempi?
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«Mercury equipaggia anche la linea Sea Rey, e altri prestigiosi marchi che collaborano con noi da molto tempo, come QuickSilver che con la sua ACTIV 705 CRUISER è una delle nostre proposte di punta. Comoda e stabile, con un motore Mercury verado da 200 cv. Un’ampia zona pranzo si trasforma facilmente in una cuccetta doppia, ed anche il pozzetto per la zona pesca può essere adibito ad altri usi.» La vastità dei prodotti e le varie tipologie sono le caratteristiche più forti di Nautica Fiorò, per quanto riguarda l’usato cosa proponete? «Consiglio di visitare il nostro specifico sito www.barcheoccasioni.com dove sono davvero tante le offerte che si possono trovare.» Abbiamo compreso come Nautica Fiorò ha conquistato una prestigiosa posizione commerciale: fiducia totale nel prodotto consigliato e indicazioni calzate per le specifiche esigenze del cliente. Un mix tra lavoro e passione che traspare chiaramente nella soddisfazione che leggiamo negli occhi di Luciano De Fermo quando,congedandosi, ci dice: “noi sappiamo fare questo anche perché vogliamo fare questo”. In effetti, nel team JazzUp nessuno può dargli torto e il “rischio” di diventare diportisti in futuro sarà davvero molto alto!
Via dei Noccioleti, 16 01037 Ronciglione (VT) www.nauticafioro.it www.barcheoccasioni.com
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dove
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appuntamenti
Quartieri dell’Arte Il teatro allargato alla cittadinanza. Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it - Foto di Rocco Franceschi
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uartieri dell’Arte è un festival internazionale di drammaturgia che dal 1997, anno della sua fondazione, usa come proprio palcoscenico Viterbo e provincia. Nato dall’incontro di persone convinte del ruolo della drammaturgia nella società, ha avuto quale obbiettivo comune iniziale la rappresentazione di spettacoli che trattassero tematiche spesso controverse. Pilastro fondante di QdA, del quale è direttore artistico insieme ad Alberto Bassetti, è il drammaturgo Gian Maria Cervo, che abbiamo incontrato anche per alcune considerazioni sul ruolo del teatro nella società e soprattutto per un confronto tra la realtà tedesca e quella italiana. Gian Maria Cervo, nato a Napoli nel 1970 ma viterbese di adozione è appassionato di teatro fin dall’infanzia e scrittore fin dai 12 anni. Per quanto questa passione sia stata accompagnata da un percorso di formazione prevalentemente autodidatta, il background è quello della drammaturgia
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anglosassone, una scuola molto codificata e cosciente delle tradizioni, ma con il merito di non cadere mai nel dogmatismo e quindi di lasciare libertà anche alle contaminazioni. Dopo alcuni workshop in terra anglosassone e con una carriera di drammaturgo professionista iniziata 10 anni prima, il vero salto è stato compiuto con l’avvicinamento al teatro tedesco. A partire dai primi anni 2000 Cervo è stato infatti convocato come Hausautor presso lo Schauspielhaus di Amburgo. A partire da questo momento è quindi avvenuta la scoperta di un altro modo di intendere il teatro, una infrastruttura all’interno della quale vengono applicate le regole della Dramaturgie tedesca teorizzate da Lessing. Fatto che è bene specificare in quanto Lessing fu uno dei più grandi innovatori del teatro moderno ed introdusse delle figure precedentemente non esistenti, come quella del Dramaturge (che non è il nostro drammaturgo, che in tedesco viene invece chiamato Dramatiker) ovvero, per semplificare, il re-
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,00 o h 21 Viterb bre o t t a O lt o v 15 Bianco TELLO Spazio A CON FRA LL SORE to Bassetti chia er ro Ma di Alb ssand le A ia IALE Reg MOND A IM R P (VT) briano u L e r b i o 23 Ott Monaldesch o ADRE Palazz e h 21,00 DEL P do Vaselli O 0 T I ,0 R 7 I 1 h SP inan peare ET LO e Ferd s HAMN io Collovà liam Shake il d u W la e C ce di es Jo y da Jam
sponsabile del settore “ricerca e sviluppo” all’interno della compagnia teatrale. Grazie a queste innovazioni nacque in Germania un metodo di lavoro totalmente diverso da quello adottato nel resto del mondo, metodo che ha continuato ad innovare il teatro tedesco fino ai giorni nostri. Il teatro tedesco, come avveniva nell’antica Grecia, si pone quindi come compito quello di allargarsi alla cittadinanza e di mettere a disposizione uno spazio dove si possa fare approfondimento e analisi delle tematiche legate alla società. L’eredità di Lessing è quindi presente anche in Quartieri dell’Arte, un festival internazionale che si basa sulla capacità tecnica come unica selezione degli artisti invitati. Questo anche per ciò che riguarda gli interpreti: a dimostrazione i nomi di Claudio Santamaria, Gianpaolo Morelli, Carolina Crescentini e Eugenio Franceschini, che in gioventù hanno calcato i palcoscenici di QdA. Ma hanno collaborato anche altri nomi già illustri come Gabriele Lavia, Giancarlo Giannini (ospite di questa edizione di QdA il 27-28 settembre) e Vittorio Gassman che introdusse con una voce fuori campo la prima edizione di QdA del ’97.
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Sentendo parlare del teatro tedesco, non solo in termini geografici, sembra più di avere a che fare con un’istituzione piuttosto che con una semplice infrastruttura. In cosa si differenzia da quello italiano? «Innanzitutto da una più grande solidità economica che porta ad avere a disposizione risorse, umane e non, che sono di grande supporto al processo creativo. Ad esempio, il Burgtheater di Vienna dispone ogni anno di un budget di più di 60.000.000 di euro. Oltretutto in Austria è tutto molto diretto, non c'è intromissione politica nei finanziamenti, tutto è molto codificato e viene finanziato solo il teatro di stato. Il Burgtheater è finanziato dal pubblico per il 25% attraverso biglietti, merchandising e ristoranti. Con questa grande disponibilità economica vengono però sempre ingaggiati grandi attori per scopi morali ed etici. Da questo punto di vista è interessante come un autore troppo boulevard (dai contenuti troppo bassi, da strada) possa creare uno scandalo.»
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ianni Celati i di Joyce G an br i aria Cervo de eare Gian M Traduzione sp ke ha S di ene trad. delle sc ollovà a C io d u la C ia di di Gibellin Reg n le Orestia co ne io uz In coprod DIALE PRIMA MON ,00 tro (VT) h 19 30 Ottobre ontalto di Cas M ni va do Teatro Lea Pa MYDIDAE lerno ne Francesco Sa di Jack Thor aria Cervo e M n ia G di Traduzione io Pizzech Regia Aless TA ANA ASSOLU PRIMA ITALI
Quindi sono delle strutture molto lontane dall’obsolescenza percepita nelle nostre? «Un teatro che deve incidere sulla società si rinnova. Non solo nella struttura, ma anche in ciò che viene rappresentato. Per questo chi assiste ai nostri spettacoli rimane sorpreso nel capire quanto è attuale il tema che noi trattiamo. Che non è nemmeno l’attualità becera della cronaca; il teatro fa approfondimento e analisi ed è quest'ultima che, colpendo la sensibilità dello spettatore, ne accresce la consapevolezza.» Come viene considerato QdA dai grandi teatri di stato tedeschi? «Viene considerato e rispettato come punto di riferimento del teatro italiano e sono frequenti le collaborazioni con i grandi teatri di stato tedeschi. Questo nonostante poi le logiche siano diverse, in quanto si tratta di un festival residente in Italia. Oltretutto abbiamo un patrimonio artistico molto più vasto da sfruttare, al contrario della Germania che è stata in gran parte ricostruita.»
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sport
Calcio d’inizio La Union Rugby Viterbo 1952 inizia il campionato all’insegna della qualità tecnica. Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it
a Union Rugby Viterbo 1952 si appresta a disputare la seconda stagione dopo il cambio societario. La squadra neroverde punta a consolidare la propria filosofia sportiva, continuando a proporsi come valida organizzazione per la crescita professionale dei propri atleti.
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Inserita nel Girone B (Poule B) della Serie B, la formazione viterbese dovrà affrontare in gare di andata e ritorno il Civitavecchia Rugby Centumcellae, il Club Emergenti Cecina, il Livorno Rugby, la Polisportiva Paganica e la Union Rugby Tirreno: la formula prevede che le prime due classificate di ogni girone accedano alla Poule Promozione, un altro torneo a sei squadre al termine del quale si svolgeranno i play-off che decreteranno chi potrà salire in Serie A. Le ultime tre classificate dovranno invece giocarsi la permanenza nella categoria nella Poule Salvezza contro le squadre delle “zone basse” delle classifiche degli altri gironi. X
A pochi giorni dall’inizio dei campionati, che per la Union Viterbo prevede l’esordio sul campo del Cecina il 5 ottobre, incontriamo il vicepresidente Alessandro Pepponi ed il responsabile della prima squadra Marco Lanzi per parlare delle novità che accompagnano questa stagione 2014/15, ormai alle porte. Alla guida della squadra senior c’è sempre Michele Fabiani, che è anche responsabile tecnico del settore giovanile dalla Under-6 alla Under-14, mentre Cristiano Notarangelo resta al timone delle divisioni Under-16 ed Under-19 della squadra. Ogni divisione ha il proprio responsabile di riferimento per la società: per il minirugby l’incaricato è Luigi Petrolito, per le divisioni under Ugo Natalini mentre per la prima squadra, come accennato prima, Marco Lanzi. Nei quadri della Union Viterbo giocano un ruolo fondamentale anche gli Old, ovvero la squadra amatoriale com-
posta dagli ex-giocatori della prima squadra: nel rugby il limite per giocare è di 40 anni, ma tanti appassionati continuano a scendere in campo anche dopo aver superato i sessanta, senza alcuna intenzione di appendere gli scarpini al chiodo. Oltre a gettarsi nelle mischie, gli Old ricoprono anche altri ruoli: «Il rugby è come una famiglia – ci spiega il vicepresidente – e c’è bisogno dei grandi vecchi che permettano ai piccoli di crescere e agli adulti di lavorare con le spalle coperte. Il loro apporto è fondamentale, sia a livello di insegnamento che societario.» Lanzi ci parla del credo della società nero verde: «Non abbiamo degli obiettivi di risultato, quelli saranno una conseguenza del lavoro svolto. Noi vogliamo raggiungere un livello qualitativo e tecnico che ci permetta di crescere e di migliorare le nostre capacità. Non serve a nulla partire affermando di poter vincere il campionato se poi non si possiedono i mezzi tecnici e mentali, occorre invece creare l’atteggiaDECARTA OTTOBRE 2014
mento vincente che dà la possibilità di far aumentare il livello tecnico. E questo non vale solo per la prima squadra, ma per l’intera società: è un modo di operare che nel nostro progetto vuole partire dalle giovanili in su. Il nostro vero obiettivo è questo, e la Federazione premia le squadre che puntano sulle categorie giovanili per far crescere il movimento, penalizzando invece le società che non lo fanno.» La Union Rugby Viterbo conferma anche per questa stagione le tradizionali attività parallele ai campionati: archiviato il Trofeo del Capitano di settembre, ad aprile si svolgerà il Torneo Città di Viterbo, a luglio la Cena da palo a palo fino al Terzo Tempo Village previsto per luglio.
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assando alla squadra, i neroverdi hanno visto passare il talentuoso Simon Picone a L’Aquila Rugby, squadra neopromossa nel massimo campionato, ovvero l’Eccellenza. Picone rinforza il contingente di viterbesi della
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squadra abruzzese, composto anche da Ceccarelli e Matzeu: per la Union è però motivo di orgoglio poter vedere i frutti del proprio vivaio riuscire a raggiungere palcoscenici così prestigiosi. Passando agli innesti, le buone notizie arrivano dall’infermeria: l’ottima partenza dei viterbesi durante la passata stagione è stata frenata dai tanti infortuni, ma ora i giocatori in questione stanno recuperando. Moreno Menghini è guarito dalla frattura alla clavicola, mentre anche Pascucci, Capati, Belli e Troili sono di nuovo a disposizione per il primo calcio d’inizio. L’organico dei neroverdi può contare anche su dei volti nuovi: c’è da precisare che i giocatori della Union non ricevono alcun compenso per le loro prestazioni in campo, eccetto il rimborso spese che spetta a coloro che abitano lontani da Viterbo. Un gradito ritorno è il pilone Eros Tichetti, reduce dall’esperienza con la
casacca del Rieti; buone aspettative anche attorno ad Emanuele Andreoli, mediano di mischia con trascorsi a Piacenza, che vanta un titolo mondiale vinto nelle file della Nazionale italiana dei Vigili del Fuoco. Inoltre, agli ordini di mister Fabiani c’è anche il trentacinquenne trequartista Corrado Salvi, ex Rugby Roma e Colleferro. Dall’Under 19 viterbese si sono aggregate nuove leve quali Gabriele Duri, Daniele Porchiella e Guglielmo Tozzi. Potete seguire le attività della Union Rugby Viterbo anche sul sito Unionrugbyviterbo.it, ma vi consigliamo di passare un pomeriggio al Quatrini per gustarvi una partita dal vivo: il movimento rugbystico viterbese ha bisogno del sostegno di tutti per poter proseguire serenamente la sua attività che, da tanti anni, coinvolge intere generazioni di giocatori e le loro famiglie.
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Dove nasce un birrificio agricolo? Nelle “Terre di Faul”. Elisa Spinelli | elisa.spinelli@decarta.it
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l grande chimico Antoine Laurent Lavoisier, durante l’epoca della rivoluzione francese, costituì le basi della nuova chimica dimostrando che nell’aria è presente un elemento particolare: l’ossigeno. In questo modo Lavoisier pervenne alla formulazione della legge della conservazione della massa: “In natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Ritroviamo questo ragionamento in molte delle cose del mondo. La birra, ad esempio, per poterla apprezzare come bevanda ha bisogno di un’accurata trasformazione dell’orzo e del luppolo. È interessante notare che la Provincia di Viterbo è una realtà brassicola piuttosto importante, infatti, esistono ben 5 birrifici.Tra questi troviamo una novità: Terre di Faul, un birrificio agricolo gestito da Filippo Miele, a cui non solo piace produrre e bere birra artigianale ma che ama – anche – molto poterne parlare. Stiamo bevendo la Tiburzi, una delle birre più indicative del marchio Terre di Faul. Qual è la storia della tua azienda? Come sei arrivato a creare la tua prima Tiburzi? «L’embrione di Terre di Faul è nato tre anni e mezzo fa in una soffitta del palazzo dell’ufficio di mio padre, dove ho iniziato a fare homebrewing, cioè a proXII
durre birra in casa. Non l’ho mai considerato un gioco, sapevo chiaramente che avrei aperto un birrificio. All’inizio ho sperimentato la produzione di birre che mi piaceva bere, ripetevo le ricette finché non mi sentivo soddisfatto del gusto. La passione per la “trasformazione” di bevande alcoliche è una questione di “nascita”: provengo da una famiglia di distillatori, i Gorziglia. Devo dire che sentirsi questo tipo di tradizione sulle spalle è importante, perché t’incoraggia.» Sei un amante della birra, questo è lampante, ma è chiaro che la passione non basta per creare un birrificio; qual è la tua formazione? «Dopo essermi dedicato alla produzione di birra in casa – informandomi su internet – ho modellato meglio l’idea di aprire un micro-birrificio artigianale attraverso lo studio di testi specialistici, ovviamente in lingua inglese, poiché non c’è una bibliografia italiana in materia. Poi, ho seguito dei corsi di formazione: il più importante è stato quello del Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra a Perugia, un polo italiano autorevole, basti pensare che è frequentato anche da chi lavora in noti birrifici industriali. Inoltre, per un pe-
riodo ho lavorato negli Stati Uniti, per essere precisi sono stato in un birrificio gestito da un ragazzo di 27 anni, che si trova nel profondo sud degli USA, a Fayetteville, una piccola cittadina con un grande polo universitario.» A proposito di università, dato il settore in cui ti stai muovendo, che tipo di rapporto stai instaurando con la “Tuscia accademica”? «Credo sia fondamentale che le aziende si aprano alla ricerca, e, quindi, supportino il mondo scientifico. Nel mio piccolo, recentemente ho chiesto di poter ospitare tirocinanti del dipartimento di Biologia dell’Università della Tuscia. Spero che questa collaborazione possa essere più ampia in futuro, soprattutto considerando che il dipartimento di Agraria sta coltivando luppoli in via sperimentale, e mi piacerebbe, anche, poter collaborare con i microbiologi nella selezione dei lieviti.» Che cosa caratterizza Terre di Faul? «Siamo un birrificio agricolo – il secondo nella provincia – ovvero utilizziamo nelle ricette il 51% di materia prima autoprodotta, in questo caso l’orzo. In Italia la realtà del birrificio agricolo non è così diffusa: siamo 82 su 750 DECARTA OTTOBRE 2014
micro-birrifici esistenti. Il luppolo delle birre Terre di Faul proviene dagli Stati Uniti, ma ci sono birrai che utilizzano quello britannico, ceco o tedesco, perché in Italia ancora non c’è una produzione, ma una sperimentazione del luppolo; per questo motivo sono interessato a una collaborazione scientifica con l’Università della Tuscia. Creare un birrificio agricolo è una strada che ho voluto intraprendere per caratterizzarmi, purtroppo, però, ci sono tanti imprenditori di birra che dichiarano di essere produttori di materia prima, e quindi si fregiano della denominazione, ma in realtà non lo sono affatto. La legislazione in materia è recente e per il momento non ci sono controlli serrati.» Non solo hai deciso di aprire un microbirrificio, ma di essere produttore di materia prima. In sostanza, sei un giovane imprenditore a 360 gradi: ti muovi fra tradizione agricola e innovazione, poiché il settore della birra artigianale in Italia è relativamente recente. Com’è stato questo “tuffo” nell’imprenditoria? «Il “tuffo” è stato piuttosto rischioso per vari motivi: il periodo economico non è tra i più favorevoli, né improntato all’ottimismo, inoltre nella provincia di Viterbo esistono realtà stabili e vincenti nel mercato delle birre artigianali. Il mio caDECARTA OTTOBRE 2014
rattere mi permette, però, di considerare queste condizioni degli stimoli a creare un prodotto di qualità. C’è da aggiungere che noi birrai siamo mossi da una grande passione per quello che facciamo, e questo permette di sviluppare una competizione costruttiva tra di noi: ci scambiamo informazioni e pareri tecnici. Certo, in principio non è stato tutto “rosa e fiori”, soprattutto per quello che riguarda gli aspetti burocratici ed amministravi della gestione di un’azienda. Ultimamente sentiamo dire “largo ai giovani imprenditori”, e quindi l’opinione pubblica s’immagina che un ragazzo come me, che decide di aprire un’azienda, possa essere agevolato all’inizio del suo percorso; in realtà, molto spesso si tratta di spot politici, più che di aiuti concreti.»
all’occasione: l’ho chiamata Craven Road, in onore al personaggio di Dylan Dog; è un tipo di birra che immaginavo di produrre da tanto tempo. Si tratta di una Pumpkin Ale, in perfetto stile americano, è una birra aromatizzata alla zucca – io ho utilizzato una tipologia proveniente dalle campagne di Tarquinia – ed altre spezie, che possano caratterizzarla maggiormente.» Dove potremo gustare la “Craven Road” di Terre di Faul? «A fine ottobre potrete trovarla – sicuramente – alla spina presso il Beer Shock di Viterbo, ma sarà disponibile anche in bottiglia in altri locali della zona. Annuncerò l’uscita della Craven con un evento, che sto già organizzando. Vi aspetto!»
Quale ideale di birra tendi a produrre? «Sto lavorando per creare una birra educata, bilanciata, la definirei “stilosa”; per il momento sul mercato non esiste, e vorrei che fosse Terre di Faul a produrla. Tra poche settimane sarà pronta una nuova birra a marchio “Terre di Faul”.» Puoi rivelarci qualcosa? «Vorrei premettere che sono un appassionato della festa di Halloween, e, quindi, sto preparando una birra adatta XIII
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xenofilia
Dancalia, terra di conquista Incontro con Gianni Tassi, autore di un interessante reportage fotografico. Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it
a depressione della Dancalia, conosciuta anche come triangolo di Afar, è una regione dell’Africa orientale sita tra lo stato del Gibuti, quello dell’Eritrea e quello dell’Etiopia. Mentre le condizioni climatiche proibitive rendono la presenza di animali, uomini e piante pressoché impossibile, il terreno è invece geologicamente molto attivo. Il vulcano Dallol si trova infatti proprio in corrispondenza della nota Rift Valley ed è un luogo unico nel suo genere, caratterizzato da vasche acide contornate da formazioni saline, sorgenti calde, piccoli geyser ed in generale da una varietà di colori definibile quasi psichedelica. Purtroppo questo luogo unico e delicatissimo rischia di essere stravolto dall’attività umana: l’estrazione del potassio, iniziata all’epoca della colonizzazione fascista e continuata in seguito dagli Stati Uniti, ha ritrovato oggi un rinnovato in-
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teresse da parte delle grandi potenze mondiali, una su tutte la Cina. Gianni Tassi, giornalista professionista e reporter da una vita, ha preso parte alla fine dell’anno scorso ad una spedizione nella terra della Dancalia. Il reportage di questa avventura è stato oggetto di esposizione dal 20 settembre al 5 ottobre presso gli spazi di Palazzo Brugiotti a Viterbo. A seguire tre domande che abbiamo posto all’autore degli scatti. La Dancalia non è di certo una meta comune, come si è trovato a far parte della spedizione? «È stato un caso, in quanto Il Messaggero due anni fa mi ha pre-pensionato e dopo essere stato fermo per un po’ ho deciso di andare a fare un viaggio per conto mio. A me piace l’Africa ed il Medio Oriente, in quanto sono i luoghi che ho frequentato di più durante l’attività di reporter. Quindi dopo aver cercato su internet per
dei viaggi in Africa, mi sono imbattuto nella Dancalia, che ad essere sincero non avevo mai sentito nominare. Quando cercai su internet, tra i risultati delle varie agenzie di viaggio, comparve il nome di Luca Lupi (uno dei massimi esperti italiani sulla Dancalia, n.d.r.), al quale inviai una e-mail di interessamento. Sentitosi definito come agenzia di viaggio inizialmente rispose contrariato, in quanto è più propriamente un esploratore e organizzatore di spedizioni scientifiche. Ma dopo esserci chiariti e parlato riguardo il mio lavoro di fotografo e giornalista professionista, mi informò che il novembre dello stesso anno avrebbe portato dei vulcanologi in Dancalia e avrebbero avuto bisogno di un reporter. Partire è stato un bel caso, perché poi ho scoperto una terra particolare e molto difficile. Un territorio che National Geographic ha definito come: “il luogo più crudele sulla faccia della terra”. DECARTA OTTOBRE 2014
E in effetti lo è, basti pensare che a dicembre, il periodo della mia visita, facevano 45° e che nel periodo caldo, ovvero da luglio a settembre, la temperatura può arrivare anche a 55°. Il territorio poi è depressione vulcanica vastissima e totalmente desertica, dove non c’è acqua e non c’è vegetazione. Infatti ci abitano soltanto gli Afar, una popolazione nomade che si sposta di continuo e vive di pastorizia e dell’estrazione del salgemma formatasi dal ritiro del Mar Rosso. Dell’estrazione del sale si occupano solo gli Afar e i Tigrini. Infatti se la depressione di Afar è abitata dall’etnia omonima, sull’altopiano che domina questa zona vivono invece i Tigrini e gli Amhara. Gli Afar sono di religione musulmana, gli Amhara ed i Tigrini invece sono copto-cristiani. A causa di queste differenze etniche spesso scoppiano delle piccole faide. Il governo Etiope, per tentare di farli convivere, ha praticamente costretto i Tigrini a recarsi nella depressione e a vivere dell’estrazione del sale insieme agli Afar.» La sua è stata una spedizione scientifica, sarebbe possibile invece andare in Dancalia come turista? «Non si può, andare in questi luoghi è molto rischioso e noi andavamo in giro con una scorta armata. La Dancalia è sul confine tra Etiopia ed Eritrea, che sono in guerra da sempre e il rischio di incontrare dei gruppi armati fuori controllo è molto alto. Solitamente ci si reca solo per motivi di ricerca e di studio e anche se ci si volesse avventurare è necessario un permesso. Indispensabile è anche l’apDECARTA OTTOBRE 2014
poggio di qualcuno che conosca la zona e sappia muoversi. In questo Luca Lupi è bravissimo, è un profondo conoscitore del territorio e quando arrivavamo nei villaggi lo salutavano tutti.» Uno dei motivi di questa mostra è stato informare le persone riguardo il grave pericolo che corre la Dancalia, cosa sta succedendo esattamente? «Il mestiere mio è stato sempre quello di raccontare, ho organizzato questa mostra per far vedere come è adesso la Dancalia, perché tra una decina di anni rischierà di non essere più così. Sotto terra c’è un bacino minerario di 105.000.000 di tonnellate di potassio, elemento che si usa per la fabbricazione di esplosivi e per la concimazione del terreno. Siccome uno dei problemi più gravi per il futuro dell’umanità è l’alimentazione, i paesi più popolosi si
Gianni Tassi 64 anni, civitavecchiese, giornalista professionista, vice capo servizio nella redazione viterbese de Il Messaggero, fotoreporter in diverse zone di guerra: dalla Croazia all’Iraq di Saddam, passando per Palestina, Giordania e diversi paesi dell’Africa. Lui e un gruppo di volontari hanno fondato la onlus “Janine & Janet”, che raccoglie fondi a favore di Padre Stefano Scaringella, frate cappuccino e medico chirurgo, che trent’anni fa ha fondato un ospedale ad Ambanja, città a nord del Madagascar.
stanno cominciando a preoccupare di come dar da mangiare al proprio popolo nel prossimo futuro. Ovviamente per poter coltivare e sfruttare al massimo un terreno è necessario concimarlo adeguatamente, quindi su questo giacimento di potassio hanno già messo gli occhi Cinesi, Statunitensi e Canadesi. Al momento per arrivare nella Dancalia è necessario percorrere una strada sterrata che passa sopra i 2.500 metri dell’altopiano Etiope e noi per farlo ci abbiamo messo una giornata intera. Per rendere la zona più accessibile i Cinesi stanno costruendo un’autostrada, necessaria per portare i vari macchinari nel deserto. Si prevede quindi l’inizio di uno sfruttamento notevole del bacino minerario che porterà alla conseguente devastazione del territorio. Questo con il benestare del governo etiope e della corrotta classe politica che è interessata solo a vendere le concessioni. Sarebbe una destabilizzazione dell’equilibrio biologico, ambientale e sociale di un territorio già di suo delicatissimo.» Non c’è nessuno che si sta occupando della salvaguardia di queste terre? «Il territorio della Dancalia secondo vari esperti dovrebbe diventare patrimonio dell’umanità, una procedura che richiederebbe innanzitutto un interessamento del governo etiope e poi la presentazione di un progetto che solo come investimento iniziale costerebbe almeno 50.000 euro. A meno che non intervengano governi, enti e organizzazioni, questa operazione è destinata a rimanere solo un sogno.» XV