Decarta 20

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MENSILE DI INFORMAZIONE NON CONVENZIONALE - WWW.DECARTA.IT

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Oppio, La lotta oppiacei, al “drago” dell’eroina oppioidi inizia nei SerT Rams Viterbo, il baseball nel cuore

Sul palco! I “The Whips” si preparano a nuove sfide

Let the stars shine… Consigli per gli e-musicians

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2015 APRILE MAGGIO



editoriale

La politica delle droghe

DECARTA Scripta volant Mensile di informazione non convenzionale Numero 20 – Aprile/Maggio 2015 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Gabriele Ludovici, Claudia Paccosi, Martina Perelli, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via della Palazzina, 81/a - 01100 VITERBO Tel. 0761 326407 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 0761 326407 - 340 7795232 Immagine di copertina Capsule di papavero da oppio

I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 28/04/2015 www.decarta.it

Sei persone sono sedute in un centro di periferia per il trattamento delle dipendenze, per condividere la propria storia. Quando arriva il turno di Michael lui comincia a parlare della sua droga di un tempo, l’alcol, e ne parla facendo riferimento a quella notte di anni fa, quando ubriaco, sulla Massachusetts Turnpike, (un’interstatale degli Stati Uniti), causò un incidente, perse i sensi e si risvegliò in stato di arresto.” Ciò che avete appena letto è l’inizio di un articolo pubblicato sul sito del New York Times questo 25 aprile e potrebbe all’apparenza sembrare una storia come tante altre, se non fosse che il protagonista è Michael Botticelli, il nuovo direttore dell’Office of National Drug Control Policy, fatto che lo rende la massima autorità dopo il presidente Obama per ciò che riguarda la “Politica delle droghe” degli Stati Uniti. Il fatto che oggi al vertice di questo ufficio, un tempo comandato da persone provenienti dal mondo della polizia e delle forze armate, si trovi un ex alcolista, rappresenta un fatto epocale. Ancora di più se consideriamo che lo stesso uomo ha ammesso di aver fatto in passato uso di marijuana e cocaina. Michael Botticelli è un uomo con una storia personale particolare e ciò rende evidente come gli Stati Uniti stiano tentando di prendere le distanze dalla “guerra alle droghe” iniziata da Nixon agli inizi degli anni ’70. D’altronde, come riportato sempre sul New York Times il numero di americani morti per overdose di eroina negli ultimi anni ha subito un’impennata e nel 2013 ben 23.000 persone hanno trovato la morte in seguito ad un sovradosaggio di legalissimi farmaci antidolorifici. Gli Stati Uniti stanno affrontando da qualche anno una grossa difficoltà nella gestione del consumo di sostanze, legali e non, e Mr. Botticelli sembra essere uno dei modi con i quali il governo sta tentando di cambiare le cose. Così come un Obama ha sicuramente smosso gli animi delle minoranze, Botticelli sembra la persona adatta per far capire all’opinione pubblica quanto siano state sbagliate le decisioni prese negli ultimi 40 anni. Per il nuovo dirigente molti problemi sono dovuti allo stigma che da anni marchia chi ha problemi di dipendenza e quindi sulla difficoltà che incontrano queste persone nel rivolgersi ai servizi di recupero. Sulla carta nessuno meglio di lui può comprendere i disagi che affrontano queste persone, questo anche perché spesso sono dei disagi discriminatori e lui, in quanto ex alcolista e omosessuale sposato, non può che saperla lunga. Gli Stati Uniti sono indubbiamente la nazione più influente dell’ONU e questo vale anche nei confronti dell’Italia. Qui, come oltreoceano, il dipendente da sostanze viene spesso considerato un colpevole, una persona che se l’è andata a cercare e che per questo non merita aiuto. Questa idea è stata spesso rafforzata da una comunicazione sbagliata, sia da parte dei media sia da parte degli Stati, che con le loro politiche hanno di fatto reso gli alcolizzati dei reietti e i dipendenti da sostanze illegali dei colpevoli. Queste persone sono vittime di una malattia, che a sua volta è un sintomo di un malessere diffuso che può avere molteplici ragioni. Non ci è dato sapere quale sarà il futuro di Michael Botticelli ma ha ereditato un compito importante, perché le politiche in materia di droga che detterà la Casa Bianca verranno prima o poi applicate anche nel resto del mondo occidentale. Non possiamo fare altro che augurare buon lavoro a quest’uomo. La copertina di Decarta di questo mese ritrae delle capsule di Papaver Somniferum, conosciuto più comunemente come papavero da oppio e genitore di tutti gli oppioidi. Agli oppioidi, alla loro storia e alle loro problematiche abbiamo dedicato cinque pagine di questo numero, buona lettura. Manuel Gabrielli Presidente Lavalliere Società Cooperativa

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nota bene

storia

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Oppio, oppiacei, oppioidi

Sul palco! I “The Whips” si preparano a nuove sfide

Manuel Gabrielli 6

incontri

Gabriele Ludovici

La lotta al “drago” dell’eroina inizia nei SerT Elisa Spinelli

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acido lattico 10

incontri

hashtag

Consigli per gli e-musicians Giancarlo Necciari

incontri

Rams, il baseball nel cuore Gabriele Ludovici

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incontri

VII

Franco Limardi racconta Il bacio del brigante

I ricordi non appartengono solo a te!

Claudia Paccosi

Giuseppina Ruggiero

V

pillole di lettura

XI

unitus

Un nuovo approccio bio-tecnologico

a cura di Claudia Paccosi

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Oppio, oppiacei, oppioidi Breve, ma intensa, storiografia dell’oppio e dei suoi derivati Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it

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’oppio è una sostanza resinosa che viene ricavata dal lattice contenuto nelle capsule immature di una pianta nota scientificamente come Papaver Somniferum L. 1753. Il papavero da oppio, come è conosciuto in italiano, è una pianta che accompagna l’uomo da tempi antichissimi. Sappiamo praticamente per certo che i sumeri ne conoscevano le proprietà già 5.000 anni fa e, per quanto non sia documentabile, non è da escludere un uso anche molto precedente. L’oppio, come già detto, viene ricavato dal lattice contenuto in questa pianta, il quale contiene tantissime sostanze utili nella farmacologia e in gran parte accomunate dalla capacità di indurre analgesia, ovvero la mancanza di dolore. L’oppio è quindi stato per tantissimi anni un rimedio contro praticamente ogni male, inteso come sensazione dolorosa. Che fosse un dolore mentale o fisico, che si trattasse di resistere a ritmi di lavoro insostenibili, oppure di semplice rilassamento, l’uomo ha sempre tenuto in grande considerazione gli effetti dell’oppio. Non a caso vennero combattute guerre e emanate leggi a volte per la contesa del suo mercato, a volte per limitarne o proibirne il consumo smodato causato dalla dipendenza. Le sostanze direttamente estratte dall’oppio vengono chiamate oppiacei, sono circa 50, e di questa categoria fa parte la morfina, senza ombra di dubbio l’oppiaceo più abbondante, più noto e più utilizzato di sempre. Come se non più dell’oppio anche la morfina, estratta per la prima volta nel 1804 dal farmacista tedesco Friedrich Sertürner, fu apprezzatissima. Con lei nacque, oltre che un potente analgesico tutt’oggi utilizzato, anche la figura del tossicomane utilizzatore di siringa. Questo è dovuto al fatto che la siringa ipodermica venne inventata intorno al 1850 proprio per la somministrazione sottocutanea di morfina.

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er quanto la storia dell’oppio e l’uso di morfina avessero già dato le loro avvisaglie sulla possibilità tutt’altro che remota di incappare nella dipendenza, verso la fine del 1800 la Bayer fu la prima a brevettare la diacetilmorfina, quella che oggi è nota come eroina, e a distribuirla come un farmaco pressoché innocuo. L’immediatezza dell’uso endovenoso di eroina, la potenza dei suoi effetti e l’altrettanta immediatezza con la quale le persone cominciarono ad abusarne, la portò brevemente al bando che dura ancora oggi. Con il bando nacque

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l’eroina da strada, quella del mercato nero e quella che oggi finanzia le guerre in medio-oriente, perché l’eroina è comunque un derivato della morfina, che a sua volta viene estratta dall’oppio ed è in questa parte del mondo che l’oppio viene coltivato in maniera intensiva proprio a questo scopo. Con l’eroina nacque anche una nuova categoria di farmaci, gli oppioidi. Gli oppioidi includono sia gli oppiacei, sostanze naturalmente contenute nel lattice del Papaver Somniferum, sia altre sostanze semisintetiche o totalmente sintetiche accomunate dall’effetto farmacologico simile alla morfina. Negli anni ’80, come noto, l’eroina fece strage di giovani e anche per la sfortunata coincidenza della comparsa dell’HIV tra i tossicodipendenti, fu massiccia la campagna che tentò di scoraggiare i giovani dall’avvicinarsi all’eroina. Questo avvenne principalmente tramite del vero e proprio terrorismo più che con l’informazione e oggi che quel periodo ci appare lontano, ciò che è rimasto è solo la mancanza di conoscenza di un problema che non ha mai smesso di esistere e anzi rischia di essere latente nella sua propagazione. L’Africa, parti dell’Asia e la Russia sono oggi più che mai flagellate dalla dipendenza e – a causa di servizi sanitari non efficienti e dalla conseguente mancanza di dati – fare un stima veritiera risulta pressoché impossibile. Ci basti però pensare che i civilizzati Stati Uniti stanno affrontando un periodo epocale per quanto riguarda il problema di abuso di oppioidi, che siano essi legali o illegali.

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tipi di eroina – senza ombra di dubbio l’oppioide illegale più utilizzato – possono essere tanti, tendenzialmente nera, grezza e pastosa come la black tar, marroncina come la nota brown sugar o bianca come il cloridrato di eroina. Questa molteplicità di tipi rende molteplici anche i metodi di assunzione. L’eroina può essere sniffata, iniettata, fumata e i suoi vapori possono essere inalati. Non è sufficiente un libro, e tanti ce ne sono, per parlare di eroina e di oppioidi. Per ciò che riguarda l’eroina, il suo effetto è semplice, è una campana di vetro o, come l’ha definita un utente di Erowid, un sito specializzato sul tema sostanze, the most intense nothingness, ovvero “il nulla più intenso”. Lo spazio di questa pagina è finito, e lo concludo con un consiglio: conoscete l’eroina, studiatela, chi la conosce la evita. Non è lei ad uccidere, ma l’ignoranza.

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La lotta al “drago” dell’eroina inizia nei SerT Intervista ad Anna Rita Giaccone, coordinatrice dei SerT della provincia di Viterbo Elisa Spinelli | elisa.spinelli@decarta.it

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n un recente articolo l’ex segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, oggi membro della Commissione globale per le politiche sulle droghe, afferma che le strategie governative di “guerra alla droga” sono fallite perché si concentrano solo sulla criminalizzazione dei tossicodipendenti, i quali, invece, hanno bisogno di aiuto. “È importante – scrive Annan – trattare il consumo di droga principalmente come un problema di salute pubblica e concentrarsi su azioni punitive nei confronti dei grossi trafficanti e loro complici.” Nel 2008 una stima delle Nazioni Unite evidenziava come in dieci anni il consumo di oppioidi nel mondo fosse aumentato del 34,5%, di cocaina del 27% e di cannabis dell’8,5% (UNODC, United Nations Office on Drugs and Crime). Occorre osservare che gli oppioidi sono considerati gli stupefacenti illeciti più pericolosi, soprattutto per i rischi collegati alla loro assunzione. I dati sui consumatori di eroina in Europa sono preoccupanti: nel 2014 arrivano al 45,5% 6

di tutti i tossicodipendenti sottoposti a terapia (OEDT, Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze). Chi si occupa di curare e prevenire le dipendenze, in prima linea ci sono i SerT, sa che la tossicodipendenza da oppioidi è ancora, purtroppo, un fenomeno ampio che non si è mai arrestato. In Italia i SerT – Servizi pubblici per le Tossicodipendenze – sono stati istituiti dalla legge 162 del 1990, e hanno funzione di “prevenzione primaria, cura, prevenzione patologie correlate, riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo”. Per comprendere meglio il fenomeno della tossicodipendenza, soprattutto quella causata dagli oppioidi, abbiamo intervistato la dottoressa Anna Rita Giaccone, direttore della Struttura complessa (UOC) SERT, la quale comprende a sua volta 4 servizi SerT, 1 Centro diurno e il servizio interno alla Casa circondariale di Viterbo. Dottoressa Giaccone, cominciamo con alcuni dati: come si presenta statisticamente il fenomeno della tossicodipen-

denza da eroina nel Lazio e nella nostra provincia? «Occorre intanto dire che, secondo una Relazione del 2014 al Parlamento, in Italia la percentuale di consumatori di oppioidi in trattamento durante il 2013 presso i SerT è del 71,5%; facendo uno zoom sul Lazio nel 2013 vediamo che la sostanza primaria d’uso prevalente si conferma l’eroina nel 73,6% dei casi. I nuovi utenti con questa dipendenza sono il 45,8%, invece, gli utenti già conosciuti ai servizi sono 78,4%. Il numero degli utenti già noti ai SerT è piuttosto elevato, ma c’è una spiegazione: molti consumatori di oppioidi, infatti, sono inseriti in programmi che danno un’assistenza a lungo termine, in particolare la terapia sostitutiva.» A proposito di terapie: quali sono le cure mediche e psicologiche previste per chi fa uso di oppioidi? «Normalmente si parla, appunto, di “terapie sostitutive”: cioè trattamenti a base di farmaci. Oggi nei SerT non si usa solo il Metadone, ma anche la Buprenorfina DECARTA APRILE-MAGGIO 2015


associata al Naloxone, quest’ultimo è un farmaco molto più sicuro dal punto di vista dell’overdose. Infatti, il nostro scopo è duplice: salvare la vita dell’utente e utilizzare farmaci che rimuovano i rischi d’infezione. L’eroina trasmette in diversi modi germi di vario tipo, sia perché subisce dei “tagli” attraverso altre sostanze, sia perché la modalità di assunzione per iniezione favorisce la trasmissione d’infezioni, soprattutto l’epatite C e l’HIV. Le terapie sostitutive riducono la possibilità di somministrazioni parenterali (qualsiasi ingresso di una sosanza diverso dall’assorbimento intestinale, n.d.r.) degli oppioidi da strada perché si somministrano per via sublinguale – Buprenorfina e Naloxone – o orale – Metadone – e, quindi, hanno sicuramente il vantaggio di ridurre le patologie infettive. Il Metadone continua a essere la terapia sostitutiva maggiormente utilizzata nei SerT perché è un farmaco che si conosce e utilizza da più tempo, ma, in caso di misuso (termine che identifica l’uso intenzionalmente inappropriato di un farmaco – es: metadone iniettato anziché ingerito, n.d.r.) del metadone al di fuori del SerT, si consiglia la terapia composta da Buprenorfina e Naloxone. Infatti, il metadone utilizzato per via endovenosa, anziché orale, può ripresentare i rischi d’infezione che la terapia stessa vuole eliminare; utilizzando, invece, l’associazione di Buprenorfina e Naloxone si azzerano i rischi di misuso poiché il naloxone – antidoto degli oppioidi – si attiva solo in caso di uso scorretto endovenoso della buprenorfina – preparazione sintetica di oppiacei che agisce come agonista parziale degli oppioidi – e ne blocca l’effetto. Il nostro servizio prevede un programma terapeutico personalizzato per ogni utente. Il team di valutazione del SerT, composto di più professionalità (medici, infermieri, psicologici e assistenti sociali), dopo aver analizzato singolarmente il paziente, si riunisce e decide qual è il programma più adatto per la cura.» Può descriverci alcuni programmi terapeutici che sono utilizzati all’interno del SerT di Viterbo per curare gli eroinomani? DECARTA APRILE-MAGGIO 2015

Dal 2010 il numero di sequestri di eroina è notevolmente diminuito, con 32.000 sequestri stimati nel 2012 Fonte: OEDT, Relazione europea sulla droga, 2014

Principale farmaco sostitutivo degli oppiacei a livello nazionale (a sinistra) e in percentuale dei pazienti in terapia sostitutiva in Europa (a destra). Fonte: OEDT, Relazione europea sulla droga, 2014

«Non ci sono programmi stabiliti a priori, tutto dipende dal paziente: se la persona non è motivata a curarsi ed è, quindi, in una fase che definiamo “precontemplativa”, cioè il paziente non ha sviluppato nessun senso di malattia, allora il programma di cura all’inizio potrà essere esclusivamente farmacologico; se, in seguito, il paziente comincia a rendersi conto del proprio stato di dipendenza, si può attivare un programma combinato tra la terapia farmacologica e quella psicologica. Infine, quando l’utente in cura vuole agire attivamente e uscire dalla malattia di solito si propone un lavoro più approfondito per aumentare il suo livello motivazionale, si può – ad esempio – proporre una psicoterapia a lungo termine o un programma d’inserimento lavorativo. Il SerT di Viterbo ha portato avanti

anche il progetto del Centro diurno di accoglienza semiresidenziale, che migliora la consapevolezza dei pazienti con dipendenza da eroina perché interviene sull’idea della casa. Spesso, infatti, si tratta di pazienti che hanno avuto seri problemi dal punto di vista familiare, lavorativo e anche abitativo. Attraverso il progetto di casa “altra”, gli utenti possono ri-abituarsi ad avere una vita piacevole, realizzando bisogni primari, e cominciano a pensare che si può fare di più per risolvere la propria situazione di malattia.» L’uso di oppioidi resta prevalente in via endovenosa? «È ancora una modalità prevalente, anche se si sta modificando, visto che della via parenterale se n’è parlato tanto, e, quindi, in un certo senso ha convinto i 7


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Cifre complessive riguardanti l’approccio terapeutico predominante nei programmi residenziali a livello nazionale (a sinistra) ed europeo (a destra) (2011) Fonte: OEDT, Relazione europea sulla droga, 2014

nuovi utenti a non utilizzare quella via d’uso. Si sta diffondendo molto nei più giovani l’utilizzo dell’eroina fumata, tra l’altro questo fenomeno è frequente in persone che hanno utilizzato tutte le sostanze che il mercato offre; ad esempio si inizia fumando cannabis, poi pian piano si fuma cocaina per poi arrivare all’utilizzo dell’eroina fumata.» Eroina fumata: sta modificando la tipologia di tossicodipendente e, di conseguenza, la percezione stessa di essere affetti da dipendenza? «La diversa modalità di somministrazione può portare a sottovalutare la reale gravità del discorso di dipendenza. Nella mia esperienza di medico ho notato questa minimizzazione nella dipendenza da cocaina: sappiamo che ne gira moltissima e che molta gente ne fa uso, ma, in realtà, nessuno si sente un tossicodipendente. Basti sapere che è raro che una persona che fa uso solo di cocaina si rivolga al SerT, eppure è una tossicodipendenza gravissima; inoltre, è tra le cause maggiori di emorragie celebrali e d’infarto nei giovani. Però, l’uso della cocaina non è riconosciuto molto spesso negli ospedali come causa primaria di una patologia d’emergenza, perché non si fa ricerca della sostanza nel sangue del paziente.» 8

Il tossicodipendente da eroina fa uso anche di altre sostanze? «Nei servizi abbiamo utenti che restano molti anni per curarsi. Alcuni pazienti che hanno condizioni psicopatologiche, sociali e infettivologiche molto gravi rimangono sotto la protezione del SerT, che li accompagna, difendendoli dall’uso di altre sostanze tossiche. Spesso nei SerT notiamo che la dipendenza da eroina si accompagna ad altre sostanze, soprattutto l’alcool, peggiorando la condizione complessiva dell’utente. Oppure, capita anche che il paziente guarito, che si era svincolato dalla dipendenza da eroina, dopo qualche tempo cada in un’altra dipendenza.» Dal punto di vista genetico ci sono persone che possono essere più predisposte alla dipendenza? «Alcuni studi hanno evidenziato una base genetica nella dipendenza: esistono dei geni che sono stati evidenziati spesso nelle persone dipendenti. Molto probabilmente sussiste una vulnerabilità biologica genetica sulla quale può instaurarsi più facilmente una dipendenza, questo non significa, però, che avere quel tipo di gene faccia necessariamente sviluppare una dipendenza. Sappiamo che questa evidenza genetica deve essere accompagnata da altre condizioni:

innanzitutto dalla disponibilità della sostanza, dalla sperimentazione di una sensazione gratificante nell’assunzione e da una situazione ambientale e psicologica particolarmente predisponente (disturbi di personalità o dell’umore). Quando questi fattori di rischio si presentano contemporaneamente, in un momento in cui una persona è più vulnerabile, allora si può instaurare una dipendenza.» Che tipo di motivi spinge una persona a usare sostanze che creano dipendenza? «Sono convinta che uno dei motivi principali sia alleviare la propria sofferenza interiore, che può nascere da qualsiasi causa di disagio – poca fiducia nel futuro, disoccupazione, incertezza sociale – così la persona pensa di auto-curarsi attraverso una certa sostanza, perché non sa trovare all’esterno l’aiuto di cui ha bisogno. È importante ricordare che moltissime sostanze che producono dipendenza, dalla cannabis all’alcool, dalla cocaina all’eroina, creano una perdita di consapevolezza. Quando si entra in una dipendenza, non si è più consapevoli di sé stessi e del mondo circostante, per questo è importante ricordare che questa condizione è una patologia, che può essere sconfitta solo con un aiuto attento DECARTA APRILE-MAGGIO 2015


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Consumatori di eroina in trattamento Fonte: OEDT, Relazione europea sulla droga, 2014

e professionale. Nei SerT è fondamentale spendere molto tempo con il paziente che soffre una dipendenza, comprendere le ragioni che l’hanno condotto ad ammalarsi; questa scelta terapeutica “lenta” va contro sia il pensiero dominante della nostra società – molto competitiva – e sia contro ciò che il nostro Sistema Sanitario Nazionale impone: poco investimento di tempo a fronte di poche risorse finanziarie. È chiaro che quando si è di fronte a qualsiasi tipo di dipendenza non si può ragionare così: è fondamentale utilizzare molto tempo con il paziente.» Ci ha spiegato che la tossicodipendenza da oppioidi resta un fenomeno ampio e complesso, perché nella società civile non c’è questa percezione? «Ho osservato che l’uso di eroina sembra essere cancellato nella percezione comune delle dipendenze, spesso sento dire che “l’eroina non è più una droga che va di moda”; in realtà sappiamo che, purtroppo, continua a essere la sostanza più usata. Penso che questa percezione sia dovuta a una sorta di addormentamento sociale e istituzionale, che provoca una “non-azione omertosa” verso questo problema, che esiste, ma non si riesce a vedere nella sua interezza. C’è molta disattenzione istituzionale.» DECARTA APRILE-MAGGIO 2015

Perché spesso è trasmessa un’immagine pregiudizievole del SerT e non vengono diffuse le importanti attività svolte dal servizio? «Non ritengo sia un problema di comunicazione, secondo me c’è una condizione colpevole della rete istituzionale, che per prima dovrebbe trasmettere un discorso propositivo e funzionale dei servizi che si occupano di queste gravi patologie. Una delle affermazioni più false legate al SerT è quella di sostenere che le persone che si rivolgono a questo servizio saranno “marchiate” a vita, o inserite in una fantomatica lista di tossicodipendenti. Quando, invece, il SerT garantisce l’anonimato ai propri pazienti e una serie di tutele fondamentali per la guarigione. Inoltre, tutte le cure offerte nei SerT e nelle comunità collegate sono completamente gratuite per i pazienti che soffrono una dipendenza di qualsiasi tipo. Negli anni in cui si faceva prevenzione per l’HIV si è molto parlato dei SerT, purtroppo, però, l’attenzione è cominciata sempre più a diminuire, considerando che il servizio ha funzionato: non c’è più stata una sieroconversione dei nostri utenti. Si è erroneamente pensato, però, che il problema delle dipendenze fosse debellato per sempre; in realtà, se

Quantità di eroina sequestrata (2012) Fonte: OEDT, Relazione europea sulla droga, 2014

consideriamo i dati sull’HIV, scopriremo che la malattia non è per niente scomparsa, ma, anzi è aumentata nelle persone eterosessuali e non affette da dipendenze pericolose, come l’eroina. Questo è avvenuto perché è diminuita l’attenzione sull’HIV e le persone non utilizzano nessuna prevenzione nei loro rapporti, pensando che quella patologia non esista. Bisogna fare prevenzione, sempre.»

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Rams, il baseball nel cuore Forte di una consolidata tradizione, il team viterbese punta a lanciare i giovani Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it - Foto di Marco Terzoli

«La gente mi chiede cosa faccio in inverno quando non c'è il baseball. Vi dico cosa faccio: guardo dalla finestra e aspetto la primavera.» (Rogers Hornsby, giocatore della MLB tra il 1915 e il 1937)

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bbene sì: il baseball è quello sport che viene praticato nei periodi caldi dell’anno, dalla primavera alle soglie dell’autunno. Le sue origini sono molto antiche e il regolamento ufficiale è stato redatto nella prima metà del XIX secolo da Alexander Cartwright, uno dei membri della prima società di baseball, ovvero il New York City’s Knickerbockers Club. La popolarità di questo sport ha raggiunto il proprio picco non solo negli Stati Uniti d’America, ma anche nei paesi caraibici, latinoamericani e asiatici. Non a caso ancora oggi a quelle latitudini si giocano i campionati più competitivi, che nel corso degli anni hanno consegnato alla storia dello sport stelle come Babe Ruth e Joe DiMaggio. In Europa il baseball ha iniziato a diffondersi dopo la Seconda guerra mondiale, a seguito dello sbarco degli Alleati: in Italia i progressi sono stati graduali, e hanno condotto la nostra nazionale ad essere la migliore del continente, seconda solo ai Paesi Bassi.

Viterbo può vantare una lunga tradizione legata al baseball. L’affiliazione del Rams Baseball Club Viterbo alla FIBS risale infatti al 1971. La squadra, che gioca le sue partite nel diamante del “Giancarlo Massini” sito a Santa Barbara, ha da poco iniziato il campionato 2015 del Girone C della Serie A Federale. A raccontarci la storia e le prospettive dei Rams (ovvero “gli Arieti”) è il presidente, il dott. Piergiorgio Zuccaro Labellarte, protagonista del club fin 10

dalle sue origini. Il massimo dirigente ha parlato a ruota libera, e nei suoi occhi era impossibile non percepire il grande amore per questo sport. «La squadra già esisteva nel 1961, nata grazie alla passione di un ragazzo di Foligno, figlio di un carabiniere trasferitosi a Viterbo. Il primo campo di allenamento fu quello vicino all’Oratorio dei Padri Giuseppini. Inizialmente in Italia il baseball era legato alle zone dove erano sbarcati gli americani durante la Seconda guerra mondiale, come ad esempio Nettuno: ora i centri nevralgici si sono spostati al nord, specialmente a Parma, Bologna e Rimini. Insomma, i concorrenti adesso sono davvero tanti.» Gli esordi dei Rams sono stati davvero pioneristici, ma grazie all’impegno degli appassionati il club si è tolto belle soddisfazioni, riuscendo a diventare un punto di riferimento riconosciuto anche fuori Viterbo: «Eravamo dei veri e propri artigiani. L’evoluzione è stata lenta, ma in crescendo: bisogna contare che noi iniziammo a giocare quando avevamo già 18-20 anni, e per imparare bene occorre apprendere i fondamenti del gioco ben prima. In seguito arrivò persino una società contrapposta, per iniziativa del parroco della parrocchia di San Francesco. L’allargamento del movimento portò alla possibilità di creare anche le squadre giovanili, in modo che i ragazzi potessero iniziare a giocare già dai 10-12 anni. È fondamentale creare una base di giovani in grado di dare continuità ai ri-

sultati ottenuti. Se in passato nel nostro roster erano inclusi numerosi giocatori provenienti da fuori, nel momento di crisi abbiamo potuto puntare sull’attività giovanile, tanto che ora l’80% della squadra è composto da ragazzi locali. Non a caso, nella Rappresentativa italiana che in questi giorni (dal 6 al 9 aprile, ndr) ha disputato il Torneo delle Accademie e Barcellona, ci sono due nostri ’98, il lanciatore Maurizio Andretta e il ricevitore Leonardo Ceppari.» Il Torneo delle Accademie è organizzato nientemeno che dalla Major League Baseball, la storica lega statunitense, e vi partecipano i giovani giocatori provenienti da tutta Europa. In ogni sport che si rispetti, ci sono i maestri che con la loro esperienza possono orientare l’intero movimento verso la crescita. Questo è valso anche per il baseball viterbese: «La nostra svolta è arrivata verso la fine degli anni ’80, quando abbiamo ingaggiato dei tecnici cubani. Essi ci hanno permesso di apprendere tecniche di gioco evolute, che solo chi ha giocato a certi livelli può conoscere. Ti faccio l’esempio del venezuelano Luis Olmedo, che ha fatto parte del roster dei Rams negli anni ’90 ed in passato aveva giocato negli Stati Uniti (due stagioni nella Carolina League tra il 1983 e il 1984, ndr). Tutto questo arricchimento ci ha dato una bella spinta, culminata nel 2000 con la promozione in Serie A, che all’epoca costituiva la massima serie italiana. Purtroppo non avevamo lo stadio dotato di illuminazione per soddisfare le DECARTA APRILE-MAGGIO 2015


esigenze del regolamento, e così non potemmo giocare in quella categoria. Il successo ci diede comunque visibilità, e diversi giocatori sono partiti dai Rams per poi giungere nel massimo campionato e persino in Nazionale. A livello giovanile poi, potevamo già vantare la conquista del Campionato Nazionale Cadetti nel 1998.»

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crescere all’inizio del XXI secolo non sono solo i Rams, ma tutto il movimento del baseball italiano. Purtroppo la recente estromissione di questo sport dalle Olimpiadi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca a tutti gli appassionati, ma per la squadra viterbese resta la soddisfazione di aver contribuito a lanciare giocatori a livello internazionale: «Basti pensare ad Andrea Sgnaolin, viterbese d.o.c. che a soli 9 anni andò in Giappone con la squadra dei ragazzi. In seguito ha raggiunto la Nazionale ed attualmente milita nel Grosseto. Possiamo citare anche Alessandro Vaglio, campione d’Europa con l’Italia nel 2012 ed ora nel roster della Fortitudo Bologna. Insomma, tutto questo testimonia un grande salto di qualità: purtroppo, ora che è più difficile ottenere un sostegno pubblico o privato, l’attività è entrata un po’ in stasi.» I Rams però non hanno mollato, DECARTA APRILE-MAGGIO 2015

mantenendosi sempre su buoni livelli: «Dopo la promozione sfumata nel 2000 abbiamo attraversato un decennio in cui non siamo mai scesi sotto la Serie B. Nella passata stagione si era creato un posto vacante in Serie A (che ora è la seconda serie nazionale, dopo la creazione nel 2007 dell’Italian Baseball League, ndr) e siamo stati contattati per farne parte, dato che abbiamo un’organizzazione affidabile.» L’obiettivo del club è quello di consolidare la posizione nella categoria. Il Girone C quest’anno prevede trasferte che vanno da Bologna a Foggia, passando anche per città storicamente legate al baseball come Grosseto: «Noi siamo stati chiari, non puntiamo a vincere il campionato ma a salvarci e far crescere i nostri giovani. Lo staff tecnico prevede figure di riferimento per ogni categoria, dalla prima squadra guidata da Alberto Massini e Claudio Vaglio (padre di Alessandro, ndr) alle giovanili. Da qualche anno gli Allievi si allenano assieme al Montefiascone Baseball, in modo da poter creare una franchigia in grado di partecipare al campionato. Inoltre, i giovani che non trovano spa-

zio in prima squadra possono disputare le gare della Under-21.» Chiudiamo con le belle parole del presidente Zuccaro sulla bellezza di questo gioco: «Il baseball è uno sport particolare, e siccome non tutti lo conoscono siamo entrati nelle scuole per coinvolgere i più piccoli. La tecnica è tutta da apprendere, perché in Italia i genitori sono più portati ad avvicinare i figli al calcio o alla pallacanestro. Ma io noto che quando il ragazzo viene al campo e inizia a prendere confidenza con l’attrezzatura e poi a giocare, si entusiasma eccome! Nel baseball non ci sono due squadre che si scontrano, ma che bensì cercano di contendersi il territorio. La bellezza sta proprio in questo, nella necessità di avere una squadra in grado di aiutarti. Ma è anche uno sport in cui hai delle responsabilità individuali da prenderti, come quando sei in battuta per intercettare la palla e cerchi di realizzare un fuoricampo, oppure quando ti trovi in difesa a cercare di non commettere errori. C’è molto da fare ancora, ma nel nostro piccolo abbiamo raggiunto una bella evoluzione, e ce ne rendiamo conto quando vediamo i ragazzi che si divertono.»

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nota bene

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Sul palco! I “The Whips” si preparano a nuove sfide Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it - Foto di Marco Palazzo

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ome potete immaginare, la partecipazione a un talent show non comporta automaticamente l’ingresso nell’Olimpo della musica, anzi: per molti artisti si tratta di un’esperienza raggiunta dopo anni di impegno e che servirà ad aumentare le motivazioni in vista delle nuove sfide da intraprendere. Ne sanno qualcosa i The Whips, band umbra che dopo aver partecipato ad Amici 14 è pronta a dare una svolta alla propria carriera iniziando a produrre brani propri, continuando a misurarsi il più possibile con la prova del palco. I The Whips sono composti da Michela Italiani (voce), Marco Berni (chitarra e voce), Giovanni Dominici (chitarra), Kevin De Coste (basso e voce) e Francesco Paris (batteria): con quest’ultimo abbiamo avuto modo di parlare del passato, del presente e del futuro del gruppo. Allora Francesco, come e dove è nato il progetto dei The Whips? «Tutto è iniziato quattro anni fa sui banchi di scuola, dove abbiamo avuto modo di conoscerci personalmente. In partenza eravamo solo io, Marco e Kevin in una classica formazione chitarra-basso-batteria, poi si sono aggiunti Michela e Giovanni. Per noi la scuola è stata un punto di incontro visto che veniamo da paesi diversi, anche se ora la nostra base – dove facciamo anche le prove – è Amelia. Dopo il nostro esordio sul palco il numero delle serate è aumentato, ma la svolta è stata l’acquisto di un impianto audio, finanziato dal padre di uno di noi. Come puoi intuire a 18 anni non hai molti soldi, quindi per ripagarlo ci siamo spartiti il ter12

ritorio facendo pressing su ogni attività possibile che in qualche modo ci avrebbe fatto suonare! Insomma, è stato un grosso impegno fin dagli inizi.» La vostra formazione musicale è uniforme o… ognuno ci mette del suo? «Beh, questo aspetto rappresenta un bene e un male per noi! Nel gruppo sono presenti tanti gusti diversi: ciò porta a un po’ di caos in sala prove, ma ci permette di avere una eterogeneità di pensiero pur possedendo di base delle radici pop-rock. Personalmente puntiamo a rielaborarle in chiave moderna, come i Coldplay di qualche anno fa o persino i Paramore, avendo la fortuna di avere una cantante! Ci piace mettere in risalto la sua voce, ad esempio Janis Joplin è un’artista che ci mette tutti d’accordo: non mancano però influenze tratte da artiste più recenti come Whitney Houston e Jessie J. Tra i nostri punti di riferimento ci sono pure mostri sacri del passato come i Led Zeppelin e i Pink Floyd, senza contare i Police, che adoro. Ma ognuno ovviamente ha i suoi “ideali”: al nostro bassista Kevin ad esempio piace la jazz-fusion.» Parliamo della vostra esperienza ad Amici: come siete approdati sul grande schermo e cosa vi ha lasciato questa partecipazione? «Ci siamo finiti quasi per caso. Stavamo suonando a una festa estiva ad Amelia quando una persona, che conoscevamo “di riflesso”, ci ha convinti a presentarci ai provini per partecipare ad DECARTA APRILE-MAGGIO 2015


Amici. Visto che non avevamo niente da perdere ci siamo detti “perché no?” e siamo andati giù a portare un brano di Mina riarrangiato. In seguito ci hanno richiamato per un secondo provino, poi per un terzo e infine, quando ormai ci eravamo lasciati alle spalle ogni titubanza, siamo stati selezionati per il casting vero e proprio andato in onda su Real Time. Superato anche quell’ostacolo, dopo una settimana ci siamo trovati nella diretta vera e propria, dove su quaranta concorrenti ne sarebbero sopravvissuti venti! È stato lì che ci hanno preso, forse perché abbiamo affrontato il tutto senza starci a pensare troppo su.» I The Whips hanno interrotto il loro cammino nel talent show dopo una sfida contro Valentina – cantante che in passato aveva già partecipato a Tu Si Que Vales – ma Francesco vede i lati positivi del loro debutto “catodico”: «Se vuoi fare il musicista alla televisione devi badarci poco, lo dico senza voler sputare nel piatto dove abbiamo mangiato. In realtà si possono trovare anche degli aspetti positivi, come la possibilità di poter collaborare con dei coach importanti che non sempre appaiono sul grande schermo, come ad esempio Pino Perris e Vincenzo Campagnoli. Si tratta di direttori d’orchestra con un’esperienza enorme, quindi ogni loro consiglio è oro colato. Inoltre, a seguito di un’esperienza di questo genere abbiamo acquisito parecchia sicurezza. Dopo aver alzato gli occhi rendendoci conto di avere gli sguardi di tre milioni di persone puntati addosso, eravamo consapevoli che la volta successiva il palco ce lo saremmo mangiato! Ma sia chiaro, la nostra essenza non è cambiata.» Come state pianificando il vostro futuro? «Tutto è stato rimesso in discussione, a partire dalla scaletta. Abbiamo deciso di prendere uno stile nostro, realizzando cover inaspettate da proporre in chiave DECARTA APRILE-MAGGIO 2015

rock e iniziando a scrivere pezzi originali. C’è bisogno di suonare subito, senza aspettare di avere tanti brani nuovi a disposizione, bensì inserendoli gradualmente nella scaletta. In cantiere c’è anche una serata di beneficenza nel teatro di Narni, promossa dal sindaco De Rebotti, persona che ci conosce bene: dopo esser stati in televisione volevamo ripartire da qualcosa di… pulito! Attualmente stiamo componendo e registrando alcuni brani che saranno presenti sul nostro disco, la cui uscita è ancora da stabilire: la nostra priorità, ora, è quella di risalire il prima possibile sul palco.» Dal vostro punto di vista di band emergente, come vedete la situazione della musica in Italia? «Premetto di essere un cultore del nostro Paese, e posso dirti che ci sono molti aspetti da analizzare. Ad esempio nell’ambito del cantautorato – quello “da Sanremo” e non quello stile De André – c’è ancora chi sa scrivere, quando c’è la volontà di porre il messaggio davanti alla musica. Ma se con-

sideriamo il contrario siamo piuttosto indietro rispetto all’estero: in Inghilterra si è sviluppato un filone da seguire con intelligenza, prendendo atto della nascita di nuove sonorità e aprendo i confini mentali. Artisti come James Bay, o anche altri più giovani, all’estero vengono lanciati dai produttori: noi cosa stiamo aspettando?» Infine, ci sono persone che vorresti ringraziare a nome dei The Whips? «Per il supporto psicologico non posso non citare Giuseppe Anastasi, Alessandro Quadraccia e Carla Quadraccia: visto che siamo una band emergente, spesso nella musica abbiamo trovato molte porte chiuse in faccia da locali e sale prove. Inoltre ringraziamo i coach che ci hanno seguiti ad Amici e tutti coloro che ci ascoltano e ci sostengono.» Potrete seguire i The Whips sulla loro pagina di Facebook per restare aggiornati sulle loro prossime serate che, come si evince dalle parole di Francesco, non saranno poche!

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jazzup

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Let the stars shine… consigli per gli e-musicians Intervista a Piero Lombardo, compositore e project leader dei Camera Soul Giancarlo Necciari

In soli tre anni un’ascesa verticale di Camera Soul arrivata sulle vette delle charts europee e internazionali, puoi sintetizzare il fenomeno? Una domanda che presenta due gradi di difficoltà, il primo è la parola sintetizzare, il secondo è cercare di rispondere senza passare per presuntuoso (ed infatti non ci riuscirò). Io e mio fratello Pippo componiamo musica da quarant’anni, nel 2011 concentriamo la nostra attenzione sul soul-jazz, cercando di far tesoro di tutta l’esperienza maturata. Alcuni brani composti negli anni, messi insieme e consegnati ad un gruppo di straordinari musicisti realizzano il primo piccolo miracolo. Words Don’t Speak il primo album di Camera Soul si concretizza. Il nome della band come è stato scelto? Leggenda popolare giapponese e indoamericana narra che una foto scattata ruba una parte dell’anima del soggetto, così a noi piace rubare un po’ di soul a chi ci ascolta, ma solo per il tempo del brano… ahah. E quindi dopo il primo album cosa succede? Credo sia fondamentale per chiunque crea, compone realizza e concretizza musica di qualità, focalizzare attentamente la fase divulgativa, di diffusione e alla fine di marketing. Ho avuto la fortuna di toccare con mano quanto possa essere devastante il potere di internet: fin dal primo sito web, passando per google, lastfm, ma soprattutto i due social più conosciuti (fb e twitter) ho contattato negli ultimi tre anni migliaia di persone. Selezionato nel tempo, quelle veramente interessate e amanti di questo genere, rendendo quindi strumenti spesso alienanti, come i social network, funzionali ad un mio personale interesse e obiettivo… diffondere la mia musica ovunque potesse piacere. Tecnicamente, hai curato maniacalmente quello che tutti chiamano marketing strategico! E veniamo ai sorprendenti risultati… Aver conosciuto persone meravigliose prima fan, poi sostenitrici e infine parte integranti del progetto. Mi vengono in mente quattro nomi nomi: Kathryn Ballard Shut (songwriter), Jess Biggs (writer and blogger) John Peters (primo deejay londinese ad accorgersi di noi) e Christine Joan Johnson (singer e manager). Ma, nessun italiano? No, e questo deve far riflettere… anzi, no… tu… il primo direttore artistico di Jazz Festival che ci ha considerati.

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E allora, dove vi ha portato questo tuo ossessivo utilizzo dei social? Undici submission ai Grammy Awards con il nostro secondo album Not for ordinary people, 2 volte vincitori dell’Akademia Music Award di Beverly Hills con 2 brani tratti dallo stesso album, secondo posto nella UK Soul Chart (dietro solo i mitici EWF) con dieci settimane di permanenza nella stessa classifica. Il terzo album Dress Code ha fatto di meglio e, mentre nella stessa UK Soul Chart siamo stati in vetta per tre settimane (cosa mai realizzata da una band italiana) e siamo ancora nella top 5 ad oggi, comincia ad arrivare anche la soddisfazione di vedere in ogni angolo del mondo i nostri download scaricati dappertutto iTunes, Amazon, cdbaby, Spotify… sembra l’inizio del successo, e io lo auguro non tanto a me quanto ai magnifici musicisti che ci hanno onorato della loro partecipazione, ma in particolare a mio fratello Pippo (il motore artistico), Maria Enrica (sentire, guardare e basta), Beppe, Fabio e Livy (tre in uno: il groove!) e Antonio e Gianluca (chitarre solo e ritmica assolutamente perfette). Poi i brass di Daniele e Gianfranco (international stars) e le belle voci in background (Piero e Elio).

fondo è amore… dedicategli ogni giorno una parte di voi e qualcosa di sicuro accadrà.

Ringrazio così il mio ospite, felice per avere avuto ancora una volta conferma che con la passione nessun risultato è precluso, senza farmi scappare l’occasione per invitarlo al festival, e di salutarlo con un personale augurio: “Ad majora Piero… Itaca è molto vicina!”.

Dove arriverete? E chi lo sa? Noi continueremo a comporre musica e realizzare dischi, finché ne avremo la possibilitá. Io ho inventato una personale chimera… e cioè il credere che esista la canzone perfetta, quella che chiunque la ascolti rimane rapito e incantato come Ulisse con le sirene. Per chiudere? Realizzate un qualcosa di qualità, questo è l’assioma, poi credeteci, in maniera maniacale ed ossessiva, in

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Maggio 2015

Insieme per un nuovo modello di sviluppo Nasce a Viterbo un nuovo modo di lavorare reen World Factory è una delle poche realtà che sta sperimentando a Viterbo ciò che in alcune zone d’Italia e in molti luoghi nel mondo è oramai una realtà più che consolidata, il coworking. Il termine non ha un vero e proprio corrispettivo in italiano ma il concetto è facilmente esprimibile a parole. Il coworking è infatti uno stile di lavoro che consiste nella condivisione degli spazi e di conseguenza anche di risorse, da parte di più persone o società di persone. Il coworking punta all’ottimizzazione degli spazi e dei costi e alla crescita di tutti gli aderenti tramite la comunione di intenti e la sinergia di risorse. Nel caso di Green World Factory il nodo di tutto è l’economia Green e Sostenibile, quindi risparmio energetico, rispetto per l’ambiente e lavoro artigiano.

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Ciò che si sta creando è una fabbrica, intesa come luogo di lavoro, caratterizzata dalla condivisione degli spazi, delle idee e delle energie. Al momento sono già presenti numerose realtà e rappresentanti di commercio, provenienti da Viterbo, provincia e varie zone d’Italia, che hanno scelto gli spazi di Green World Factory come appoggio o showroom. Potrete trovare arredamento per esterni, pietra su misura, materiali per edilizia eco-sostenibile, mobili in legno, biciclette elettriche, impianti di climatizzazione e illuminazione ad alta efficienza energetica, prodotti di artigianato, piscine, integratori alimentari, trattamento delle acque e impianti di allarme. Questo approccio porta allo sviluppo, oltre che della sinergia lavorativa, anche di contatti umani e la capacità di rendere

gli spazi di Green World Factory non un semplice negozio dove fare acquisti, ma anche e soprattutto un luogo dove potersi intrattenere. Il primo appuntamento da Green World Factory sarà il prossimo 14 maggio 2015 per la presentazione delle nuove aziende aderenti.

14 maggio inaugurazione della Factory Siamo a Viterbo - Strada Tuscanese km 3,200 - info 348 3973426 1

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Il mensile delle imprese verdi


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Acqua fonte di vita Come averla sana e oligo-minerale Ecosfera - F.P. | info@ecosferaonline.it - 0761 970411

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oi siamo quello che mangiamo, ma soprattutto quello che beviamo. Quello che l’Uomo mangia e beve è alla base della sua salute; senza acqua nessuna VITA potrebbe esistere. Infatti l’acqua è un elemento fondamentale per la sopravvivenza di tutti gli organismi viventi del mondo animale e vegetale. Vista la sua importanza e il ruolo che svolge sul nostro organismo l’acqua deve essere il più possibile sana e priva di sostanze tossiche. In natura le migliori acque sgorgano dalle sorgenti di alta montagna, questo perché l’acqua percorre un breve tragitto per arrivare in superficie rimanendo così leggera e carica di pochi sali minerali. Più si scende a valle e più l’acqua si carica delle sostanze presenti nel terreno, come sali minerali utili al nostro organismo ma anche di sostanze tossiche come arsenico, pesticidi, nitrati ecc. Le sostanze nocive possono essere presenti nel sottosuolo, sia per la composizione chimica naturale del terreno, sia per lo smodato e scellerato uso di anticrittogamici che l’uomo fa per diserbare e fertilizzare i terreni. Per far sì che l’acqua svolga al meglio il suo scopo di idratare e depurare, deve essere molto leggera e povera di sali minerali. Ai giorni d’oggi è prassi consolidata acquistare acqua in bottiglia per uso alimentare nella convinzione che sia migliore di quella che sgorga dai nostri rubinetti. Nella maggioranza dei casi non è così, in quanto la conservazione avviene in bottiglie di plastica per un periodo massimo di due anni e in questo lasso di tempo spesso i contenitori vengono sottoposti a sbalzi termici importanti che modificano la struttura molecolare della

plastica rilasciando così sostanze tossiche nell’acqua. Da non sottovalutare, inoltre, il danno a livello ambientale per la produzione e lo smaltimento della plastica. Nel territorio della Tuscia il problema acqua è molto sentito visti gli elevati valori di arsenico presente nelle falde acquifere. Un’ottima soluzione per risolvere il problema acqua è dotarsi di un apparecchiatura atta a purificarla ad uso alimentare rendendola oligo-minerale come un’acqua di alta montagna priva di sostanze nocive e non eccessivamente carica di sostanze depositanti per il nostro organismo. ECOSFERA nasce nel 2013, di recente fondazione, ma all’origine può vantare una pluriennale esperienza dei soci fondatori nel settore dell’Idrotecnologia e soluzioni per il trattamento e potabilizzazione dell’acqua a uso domestico, industriale e professionale. Crediamo fermamente che il Successo di ECOSFERA sia legato imprescindibilmente alla soddisfazione dei Nostri Clienti i quali sono i nostri più Importanti soci e i Nostri più Fedeli Promotori. ECOSFERA non ha mai confuso il valore con il prezzo, infatti tutta la gamma dei suoi prodotti è di progettazione, produzione e distribuzione Italiana e gode delle più importanti certificazioni internazionali in merito a qualità e sicurezza. Si tratta di apparecchiature con tecnologie all’avanguardia in grado di soddisfare ogni esigenza personale ed essere conformi alle più esigenti norme legislative attuali. Il connubio di tutti questi fattori ha portato ECOSFERA a essere diventata in poco tempo Azienda di riferimento per il trattamento acqua nel territorio della Tuscia e non solo.

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’ impianto di condizionamento è un sistema inventato e destinato al controllo termo-igrometrico, ovvero della temperatura e del tasso di umidità, di locali ad uso abitativo e lavorativo. L’impianto radiante a soffitto è la soluzione capace di garantire al nostro corpo le condizioni ideali di scambio termico.

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Il miglior comfort si ha quando il corpo riesce a smaltire il proprio calore secondo le giuste proporzioni tra i quattro modi di scambio termico (irraggiamento, convezione, conduzione ed evaporazione) uniformemente e su tutto il corpo. L’impianto a pannelli radianti a soffitto realizza queste condizioni ideali. Lo scambio termico per irraggiamento dipende dalla temperatura delle pareti circostanti e avviene senza movimento dell’aria. L’esempio più lampante di irraggiamento ce lo da la natura, ed è il calore trasmesso dal sole. La prerogativa di poter essere installato a soffitto, fa sì che vengano ottimizzati i modi di scambio termico tra l’ambiente da trattare e le strutture dell’edificio; opportunamente disposto, intercetta già in ingresso i carichi termici passanti, riducendo il fabbisogno interno di energia sia che lavori come elemento riscaldante in inverno cha da elemento raffrescante nel periodo estivo.

Il risparmio energetico, rispetto ad un impianto tradizionale, può essere stimato tra il 20 e il 40% nella fase di riscaldamento e di raffrescamento estivo, in abbinamento con regolazioni, deumidificatori e refrigeratori d’acqua ad alto rendimento. Il sistema di regolazione, tramite sonde a parete interattive di temperatura ed umidità, consente l’ottimale auto-adeguamento della temperatura del pannello alla temperatura di rugiada dell’ambiente. Un impianto radiante così governato è in grado di fornire rese termiche molto elevate. Considerata l’efficienza è un peccato non potervi mostrare l’impianto descritto, ma è semplice immaginare il risultato finale: l’elemento terminale non è visibile.

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Rapporto «Green economy» Imprese verdi motore di sviluppo DA “IL SOLE 24 ORE” | 23 febbraio 2015

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e imprese “verdi” come motore della ripresa nazionale. Sono sempre più numerose le aziende che puntano sulla riconversione ecologica. L’ambiente non è più percepito, da molti imprenditori, come ostacolo o vincolo, ma sempre più spesso come opportunità di nuovo sviluppo.

E in Italia l’eco-innovazione mostra una tendenza positiva. Nel 2012, secondo la classifica europea, era al quindicesimo posto, nel 2013 è salita al dodicesimo, tanto che il 98% degli imprenditori italiani afferma che si deve puntare sul risparmio e l’uso sempre più efficiente di energia e risorse». Questo, in sintesi, il contenuto del

rapporto sulla green economy 2014 – Le imprese della green economy: la via maestra per uscire dalla crisi – realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile e dall’Enea. Secondo il report «in Europa il 26% delle Pmi già offre prodotti e servizi “verdi” e il 93% ha messo in campo almeno un’azione per essere più efficiente».

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Franco Limardi racconta Il bacio del brigante Intervista allo scrittore che narra il brigantaggio nelle campagne viterbesi Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it - Foto di Massimo D’Alessio

ranco Limardi vive a Viterbo dal 1991, dove insegna e scrive i suoi romanzi, spesso intrisi del genere noir. Nel 1999 ha partecipato al Premio Calvino con il suo primo romanzo L’età dell’acqua, ricevendo una menzione speciale da parte della giuria. Nel 2013 è uscito per Mondadori il suo ultimo romanzo, Il bacio del brigante. Una storia che torna nel passato delle campagne che circondano la nostra città, quando i briganti si nascondevano tra gli arbusti, scappando dalla legge, che imperterrita indagava sui loro segreti sentieri. Abbiamo incontrato l’autore per conoscere meglio il suo ultimo libro e scoprire come, anche a Viterbo, la storia del brigantaggio ha fatto il suo corso.

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Per cominciare: chi è Franco Limardi? Tre aggettivi che descrivano te e la tua scrittura. «Non saprei trovarti tre aggettivi, trovo difficoltà a definire la mia scrittura. Vorrei scrivere in maniera efficace, essenziale ed emozionante. Il primo libro che ho scritto ha partecipato al premio Calvino nel 1999, con una menzione della giuria. Quando venne pubblicato, fui definito: “un autore emergente del noir”. In quella circostanza ho scoperto di essere un autore noir. Quel romanzo e i due pubblicati da Marsilio ebbero questa impostazione, Il bacio del brigante non è invece, secondo me, un libro di genere. Ora come ora non saprei dove collocarmi, racconto semplicemente delle storie.» Due modelli letterari di Limardi: uno dal passato, pescato tra i classici, l’altro contemporaneo, scelto dal panorama letterario internazionale. «Anche questa è una domanda difficile, ci sono molti grandi autori che amo davvero tanto. È difficile individuare due nomi, ma tra gli autori italiani penso a Cesare Pavese, che quindi possiamo scegliere come modello dal passato. Tra gli autori contemporanei prendo a esempio invece uno scrittore americano: Cormac McCharty. Mi piace da impazzire: magari potessi scrivere come lui.» Franco Limardi è uno scrittore prima di tutto viterbese, molto si nota nel tuo ultimo libro Il bacio del brigante l’inDECARTA APRILE-MAGGIO 2015

fluenza delle nostre terre. Quale ruolo gioca questa città nella tua vita di scrittore e come entra a far parte del romanzo? «Io sono viterbese di adozione, sono nato e vissuto a Roma fino ai primi anni Novanta. Ho sempre vissuto quindi Viterbo con gli occhi di chi scopre la città, di chi deve conoscerla. Viterbo è presente nel secondo e terzo romanzo, in questo ultimo c'è invece un po’ tutto il territorio attorno alla città, prima che diventasse provincia negli anni Venti del Novecento. Sono curioso nei confronti della storia e dei personaggi di Viterbo, proprio per questo ho parlato nel mio ultimo romanzo del brigantaggio in queste zone.» La figura protagonista del romanzo, come si indovina dal titolo, è quella del brigante, il re della macchia. Come mai ti sei concentrato su questa storica figura? Cosa racconta la storia de Il bacio del brigante? «Mi sono sempre interessato del brigantaggio, conoscevo quello meridionale come fenomeno storico, passaggio nella nascita della nostra nazione, una guerra civile con connotazioni politiche molto forti. Quando ho conosciuto il fenomeno del brigantaggio nel Viterbese mi sono reso conto che aveva caratteristiche completamente diverse rispetto a quello del Sud, simili al tramonto del West americano, quando ormai gli indiani sono quasi scomparsi e i fuorilegge devono lasciare il passo alla società moderna. È la storia della fine di un’epoca. Vicino Viterbo esisteva il sentiero dei briganti, conduceva attraverso la Toscana fino al di là degli Appennini in Emilia Romagna, era una strada usata dai fuorilegge per spostarsi e allontanarsi dai guai uscendo dallo stato Pontificio. Attorno a queste figure si sono costruite leggende che sono sopravvissute al tempo e sono oggi ancora molto vive, a cui io mi sono ispirato. Nel romanzo ci sono tre figure forti: Michele Pastorelli, in passato capo brigante, il suo vecchio braccio destro Luciano Fiorilli e il maggiore Carcano dei servizi segreti che deve catturare il “re della Macchia”.» Cito direttamente il romanzo. Un personaggio dice: “Il concetto di giustizia è molto elastico […] e variabile nel corso dei secoli nonché strettamente legato a chi la giustizia l’amministra III


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[…].” Questa frase rispecchia anche la tua opinione di giustizia? «In questo caso parla il maggiore Carcano, un ufficiale del Regio Esercito Italiano, fedele a casa Savoia. È però anche un uomo molto disincantato: sa benissimo che la legge è un concetto che cambia nel corso della storia ed è nelle mani di chi la vince. In un certo senso sono d’accordo con lui, ho parlato attraverso questo personaggio. La legge cambia attraverso i secoli a seconda di chi detiene il potere. È un dato anche molto attuale, purtroppo difficilmente mutabile.» Il romanzo è la storia di una continua lotta fra bene e male, tra giusto e sbagliato. Il confine tra i due estremi però spesso si confonde, nascondendocene i bordi. Quanto bene e male, giustizia e ingiustizia, tradimento e fedeltà sono realmente classificabili ne Il bacio del brigante? «Avevo l’aspirazione di raccontare storie vicine alla realtà e nella realtà quotidiana i confini tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia spesso diventano molto sfumati e labili. Mi interessava raccontare una storia dove non ci fossero eroi e cattivi troppo schematici ed evidenti. Mi interessava dare profondità psicologica alle figure che popolano il romanzo, uomini che vivono le loro contraddizioni, uomini che commettono errori. Non c’è mai completamente il bene o completamente il male. Solo Giuditta è un personaggio molto coerente e lineare, completamente positivo, non commette male, anche se deve affrontarlo.» Che ricerca hai compiuto per prepararti a questo libro? Cosa e dove hai cercato per immergere la storia nel suo periodo e ambiente storico? «Ho frequentato per un lungo periodo la Biblioteca degli Ardenti per documentarmi. Lì ho trovato molto materiale, consultando fotocopie anastatiche del Corriere di Viterbo della fine dell’Ottocento, che allora era un settimanale. Mi soffermavo anche sulle pubblicità dei negozi di abbigliamento ad esempio, mi interessava sapere quanto costassero allora gli abiti, per avere un’idea di come fosse allora la vita. Mi serviva per immergermi nella storia. Ho cominciato poi a girare per i luoghi che volevo descrivere, ho viIV

linea ferroviaria Roma-Viterbo, l’attuale Roma Nord. Ho così pensato di inserire questo dato storico nel libro, facendola pronunciare a un personaggio che vede nella modernizzazione soprattutto un’occasione di speculazione, corruzione e arricchimento. Mi piace inserire fatti veri all’interno del romanzo. Parlando di Viterbo invece: questa non riesce ad avere una propria identità culturale, paragonandola a paesi come Orvieto che riesce ad essere molto più viva, o a Montalto con il suo teatro. Noi siamo in una città dove non c’è più un cinema e dove il teatro è chiuso da anni. C’è mancata valorizzazione delle risorse della città.»

sitato a Cellere il Museo del Brigantaggio, in cui si trovano alcuni oggetti interessanti, come le boccette di chinino contro la malaria, spesso causa di morte. Poi sono stato alla riserva di Monte Rufeno, alla Selva del Lamone, per percorrere il sentiero dei briganti. La Selva è ancora come la descriveva Annibal Caro, fitta di piante e di rocce vulcaniche, un luogo davvero suggestivo.»

Infine, per concludere, quali sono i tuoi nuovi progetti letterari? Viterbo continuerà ad essere, con il suo passato e i suoi spazi, palcoscenico delle tue storie? «I progetti sono tanti. Per scaramanzia e a causa del particolare momento editoriale che stiamo vivendo cito però le mie diverse idee in maniera generica: alcune sono legate a Il bacio del brigante, altre sono invece autonome. L’orizzonte si allarga, andrò molto lontano da questa città. Nell’ultimo romanzo che ho terminato la vicenda è ambientata a Roma. Per il momento Viterbo non c’è, vediamo nel futuro.»

Cito ancora il testo: “Abbiamo chiesto al ministro come mai non si sia ancora provveduto al raddoppio della linea ferroviaria tra Roma e Viterbo… tu ricordi cosa signif icherebbe quel raddoppio per noi?” Purtroppo ancora oggi il collegamento ferroviario con la capitale crea alla nostra città non pochi disagi. Che Viterbo sia una città ancorata al passato, incapace troppo spesso di cambiare? «Questa citazione deriva da una mia consultazione del Corriere di Viterbo: mi sono imbattuto in un resoconto parlamentare, nell’interrogazione avanzata da due deputati del collegio elettorale viterbese al ministro dei trasporti dell’allora governo Zanardelli in cui chiedevano come mai nel 1898 non fosse stata ancora raddoppiata la DECARTA APRILE-MAGGIO 2015


carta stampata pillole di lettura Claudia Paccosi | claudia.paccosi@decarta.it

Abrams-Dorst: S. La nave di Teseo

Carver: Cattedrale

“Ciò che inizia sull’acqua sull’acqua finisce e ciò che finisce sull’acqua lì ricomincia.”

“Nella testa rivedeva, e la rivedeva in modo sorprendentemente vivido, Shiro che suonava quel brano. Pochi bellissimi secondi che invertivano il corso naturale del tempo, come un fiume impetuoso che risale la corrente.”

J.J. Abrams, geniale creatore di Lost e regista di Star Wars episodio VII (in uscita a fine 2015), si affida alla penna del romanziere Doug Dorst per portare una nuova creatura ibrida nel mondo della carta stampata. S. La nave di Teseo è un libro imparagonabile con tutti gli altri che siamo soliti vedere negli scaffali delle librerie. È un esperimento nuovo e suggestivo che invita il lettore ad allontanarsi dallo schermo dell’ebook e dalla digitalizzazione della cultura, per tuffarsi nella materialità del libro come oggetto, concreta somma di pagine. Si tratta di una storia misteriosa e quasi indecifrabile, tipica cifra stilistica dell'autore, in cui più trame, vite e personaggi si intrecciano sulle pagine di un libro vecchio, passato di mano in mano in una biblioteca universitaria americana. Accanto alla storia del romanzo, che compone il testo del volume abilmente reso antico, si scambiano battute due studenti alle prese con lo studio della criptica storia e del suo fuggevole autore: V.M. Straka. Il lettore dovrà quindi dividersi fra ingiallite pagine di un romanzo del 1949 e gli appunti a lato (resi dalla grafica come se fossero scritti a mano) dei due ragazzi che cominciano a conoscersi e ad amarsi tramite la scrittura, nel volume potrà poi trovare cartoline, lettere, ritagli di giornale e tovaglioli del Pronghorn Java che Eric e Jen lasciano tra le pagine ogni volta che leggono il romanzo. È un’idea preziosa di fare editoria, un’editoria curata e studiata, che presta tutta l’attenzione dovuta a quel lettore maniacale, che ama accarezzare la copertina in rilievo, annusare le pagine, sfiorare la carta per percepirne lo spessore. Assolutamente da avere sul proprio scaffale. La storia, beh, come insegna Abrams, è in ognuno di noi, e per apprezzarla dobbiamo scoprirne il valore indagandone l’anima.

Jack e Fran sono invitati a cena a casa di Bud e Olla, c’è però anche Joey, che non è una bambina, né una cameriera o una lontana parente: è un tronfio e piumato pavone che lancia il suo grido “Mei-au! Mei-au!” attraverso il portico del casale in campagna. È un ingombrante animale che invade l’appartamento dei coniugi e partecipa al banchetto, giocando con Harold, che invece è un bambino, e infastidendo Fran, che a quella cena non voleva nemmeno andarci. Questo è solo il primo dei dodici racconti che compongono questa raccolta di Carver del 1983, pubblicata in Italia da minimum fax solo nel 2002, ormai oggi acquistata dal grande colosso della cultura intellettuale Einaudi, che per più di trent’anni non si era accorto di questa perla statunitense. Oggi la casa torinese pubblica il breve volumetto con un’intelligente prefazione di Francesco Piccolo, il vincitore dell’ultimo Premio Strega, che dice: “mentre leggi, c’è proprio la vita così com’è”. Effettivamente Carver, ormai oggi definito uno degli esponenti della moderna letteratura americana, insieme a figure come Philip Roth e Yates, racconta la vita quotidiana, lo scambio verbale ed emotivo tra le persone. È una raccolta che parla di cene fra colleghi che non conoscono le loro storie, che racconta il tentativo di ricominciare dopo una caduta, dove trovare i piccoli appigli nella scarpata ripida e friabile che dobbiamo risalire ogni giorno. Cattedrale è la nostra storia, la storia di un’umanità che riesce a innalzare un enorme edificio slanciato, con guglie aggressive che si spingono verso il cielo, elaborate vetrate variopinte attraversate dai raggi del sole a primavera, trionfali altari sacri a cui rivolgere preghiere e speranze, ma che dietro una colonna, in un abside decentrato, raccoglie sempre la sua polvere e oscurità.

J.J. Abrams - Doug Dorst S. La nave di Teseo

Raymond Carver Cattedrale

Tit. originale: S Traduzione di Enrica Budetta Rizzoli Lizard, 2015 - pp. 472 - € 35,00 ISBN 978-8817068697

Tit. originale: Cathedral Traduzione di Riccardo Duranti - Introduzione di Francesco Piccolo Einaudi, 2014 - pp. 226 - € 12,00 ISBN 978-8806223786

Niven: A volte ritorno “Dio e Gesù nell’ascensore trasparente che scende all’inferno. […] Qui non ci sono nemmeno i bestemmiatori e gli eretici. A Dio, come sappiamo, non gliene frega una beata mazza se la gente crede in Lui o no. E nemmeno ci sono i sodomiti. (Dio adora i froci).” Dio ha passato una settimana di vacanza, cinque secoli terrestri, torna in ufficio con l’abbronzatura ancora fresca e le infradito ai piedi. Rientra e trova il disastro: guerre, inquinamento, razzismo e intolleranza. Il figlio, Gesù, ha invece passato il tempo distraendosi un po’, fumando canne e imparando a suonare la chitarra con Jimi Hendrix, rimanendo quell’hippie che già conoscevamo dall’anno zero. Suo padre è decisamente incazzato. Decide di rispedirlo sulla Terra per cercare di risolvere la situazione e tentare di avvicinare l’universo all’esempio rinascimentale che al Creatore piaceva tanto. Gesù piomba a New York e finisce per partecipare a un talent show musicale (ricordate che il suo mentore era Hendrix no? E poi come suonerà mai la chitarra Gesù? Da Dio!). La televisione è però un bel mezzo per trasmettere il suo messaggio al mondo, semplice, chiaro, ma efficace: FATE I BRAVI. Come però già la prima volta che aveva avuto a che fare con l’umanità, essendo parte di coloro che vivono al margine, lontano dalla globalizzazione, non sarà ben visto dalle autorità. Provocatorio e dissacrante (nel vero senso della parola), scardina ogni preconcetto culturale della religione, rendendola più umana, spassosa e divertita, superando tutte le barriere, di ideologia e linguaggio. Una fresca opera moderna divertente, seppure alla fine dolceamara. E visto che quello che fanno in paradiso lo ignoriamo, quello che non fanno ce lo dicono chiaro e tondo, non potrete resistere a questo romanzo!

DECARTA APRILE-MAGGIO 2015

John Niven A volte ritorno Tit. originale: The second coming Traduzione di Marco Rossari Einaudi, 2015 - pp. 392 - € 12,50 ISBN 978-8806225803 V



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CAFFETTERIA CAPOCCETTI (Via Marconi, 53/55 - 0761 347169)

Caffetteria Capoccetti Via Marconi, 53/55

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È primavera, finalmente! La Caffetteria Capoccetti è lieta di accogliervi di nuovo nel suo salotto all’aperto su via Marconi. Un buon caffè è quello che ci vuole, lo stesso che richiama la nostra insegna, preparato nel rispetto della lunga tradizione familiare, fin dal 1930. Lo potete gustare comodamente seduti, sia fuori, sia nel nostro caldo e rilassante ambiente interno. E con il caldo l’occasione è propizia per farsi stuzzicare dagli ottimi long drink, dai centrifugati e dagli aperitivi di frutta e verdura preparati con maestria da Walter e Alessia. Oppure per gustare i vari e buonissimi gusti del gelato, fornito come sempre dall’Antica Latteria. La bella stagione non vieta poi le bevande calde e potete, come sempre, concedervi un attimo per assaporare la nostra vasta selezione di tè provenienti da tutto il mondo. Oppure portarvi tutti i nostri sapori fin dentro casa, per prepararvi da soli un ottimo caffè o un tè. Vi aspettiamo come di consueto a colazione, per darvi il nostro migliore buongiorno, oppure a pranzo con i nostri piatti, caldi e freddi, e le nostre insalate, preparate appositamente per la bella stagione, e in qualsiasi altro momento della giornata per offrirvi una pausa piacevole e un prezioso momento di relax.

GREEN CORNER (Via San Pellegrino, 6 - 0761 092408) La pizzeria Green Corner è situata nella centralissima via San Pellegrino, nell’omonimo quartiere e nota per essere una delle vie più antiche della città. La pizzeria offre sia posti a sedere dove mangiare sia il servizio da asporto. I prodotti offerti sono i classici pizza e calzone ma è possibile ordinare anche degli ottimi fritti, dolci e salati, preparati sul momento.

Il giorno di chiusura settimanale è il lunedì, ma per il resto della settimana il forno rimane acceso fino a notte inoltrata.

a tavola

Il Green Corner è anche un locale molto attento al fenomeno della movida, in quanto sito in uno dei luoghi di maggior affluenza di persone durante il fine settimana. Dal dopo cena in poi è possibile usufruire del servizio bar, quindi birra in bottiglia e alla spina, shots e cocktails.

Green Corner Via San Pellegrino, 6

UNDERGROUND VITERBO (Via della Palazzina, 1 - 0761 342987) Rivenditori autorizzati: TICKETONE, LISTICKET, TICKETITALIA, POINTTICKET, BOXOFFICE LAZIO

BIGLIETTERIA AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Motomondiale 2015 – Mugello Teatri: Sistina, Brancaccio, Conciliazione, Mancinelli, La Scala BIGLIETTERIA PER MUSEI E MOSTRE Underground Via della Palazzina, 1

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EXPO MILANO 2015 – ESPOSIZIONE UNIVERSALE

intrattenimento

Rock in Roma 2015: Alt-j, Slipknot, Damian Marley, Muse, Chemical Brothers, Stromae, Lenny Kravitz, Robbie Williams, Slash, Verdena, Litfiba…

VII


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ospiti

I ricordi non appartengono solo a te! Giuseppina Ruggiero

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l telefono la voce della mia amica era commossa, poi ha domandato: “Ma le altre lo sanno?” E io per tutta risposta: “No, non lo sa nessuno. È solo una piccola storia, non credo possa interessare qualcuno”. “Secondo me dovresti dirlo invece. I ricordi non appartengono solo a te!” Sul momento il tono quasi perentorio della frase mi ha un pochino indispettita, sembrava una specie di invasione nella mia mente, un accampare assurde pretese. “I ricordi non appartengono solo a te”…. Per diverso tempo queste parole hanno fatto capolino tra i miei pensieri. Non ho potuto, però, concentrarmi bene su di esse, la preparazione dell’imminente esame lo impediva. Le anemie emolitiche quel giorno avevano diritto di precedenza. La sera sul treno, mentre ritornavo a casa, ormai lontana dai segni e sintomi che avevano riempito la giornata, quella frase si è nuovamente insinuata nei miei pensieri. “Che senso ha scrivere una frase se poi nessuno la legge?” Scrivere parole può essere un modo per seminare un tuo pensiero, un tuo frammento. Ma se non c’è nessuno a raccogliere quel frammento, che senso ha seminarlo? Potremmo aspettare che penetri nel terreno e che germogli, forse un giorno nascerà una pianta di frammenti ma il pensiero non funziona come un chicco di grano: ha bisogno di mani che lo raccolgano e lo conservino giù giù, in fondo alla mente. Forse lì un giorno crescerà la tua pianta di frammenti che andrà a confondersi con altre piante di frammenti. È così che funziona con i pensieri. Non so perché, sarà stata la luce dorata della sera, sarà stato il ritardo della coincidenza per Firenze o la noia di dover aspetVIII

tare per tornare a casa, comunque sia quei ricordi, che non appartengono solo a me, sono comparsi al di là del finestrino, si sono lasciati guardare, e io sono ritornata indietro nel tempo di almeno vent’anni. Oltre il vetro non vedevo scorrere le colline interrotte dalle punte dei cipressi, ma i suoni, gli odori, i colori del mio paese. Il giallo carico delle giornate estive che si unisce al marrone della terra, il nero delle stoppie bruciate, che macchia qua e là i campi fino all’orizzonte, fino al mare e poi la luce… la luce particolare del cielo di casa, quella luce accecante, schietta, prepotente, che non lascia adito ad indecisione alcuna. Al di là del vetro i colori diventano immagini, e le immagini scene. Nelle orecchie risuona la risata argentina di Assunta “a Granda” mentre scende aggrappata al palo sulla grande curva, vicino casa sua. Quanti anni potevamo avere? Otto, nove? Non lo so. Ricordo bene, però, le mani arrossate e doloranti per le innumerevoli volte che eravamo scivolate giù, lungo quel benedetto palo. L’attrito faceva bruciare i palmi e l’interno delle ginocchia, ma non appena i piedi toccavano terra, correvamo su per la breve salita pronte a ricominciare daccapo, soffiando incuranti sulle mani infuocate. Quando ritornavo a casa, prima che mia madre venisse a prendermi (e a darmele perché a volte ero rimasta fuori l’intero pomeriggio), passavo rasente al muro, cercando di non guardare l’abitazione diroccata in fondo alla strada. Gli occhi, però, non ubbidivano mai all’ordine dato dalla mente, ed eccomi là a fissare ammaliata quella casa misteriosa, la casa “dei Pauli”. Un delitto si era consumato tra quelle mura, lì un figlio aveva sgozzato la propria madre. La spaventosa storia racconDECARTA APRILE-MAGGIO 2015


tata da Assunta mi ritornava in mente proprio mentre percorrevo quel tratto di strada. Allora mi mettevo a correre con tutta la forza che avevo nelle gambe, non solo perché scendeva la sera e avevo paura dei rimproveri quanto, soprattutto, per il terrore di scorgere tra quelle pietre il fantasma sanguinante di una madre. Fantasma che, non si sa mai, poteva abbandonare il suo luogo di condanna, e rincorrere la bimba impertinente che aveva osato guardare nella sua direzione. A volte, (forza dell’autosuggestione!) mi sembrava di sentire un’agghiacciante risata e una folata di vento gelido lambire la mia nuca. Spaventata pensavo: “Domani farò l’altra strada anche se è più lunga!” L’indomani, invece, calpestavo puntualmente le stesse pietre, riprovavo la medesima angoscia e riformulavo l’identico pensiero. Non ho mai capito bene se questa incoerenza comportamentale fosse dovuta alla pigrizia o all’eccitazione.

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n nuovo flash: un raggio di sole che attraversa la grata di una finestra e profumo di pane, burro e marmellata nell’aria. Il profumo di pane, burro e marmellata è legato nella mia mente a Eleonora. Ricordo il “catoio” sotto casa sua dove avevamo messo su il nostro “Ufficio d’investigazione e giornalismo”. Questa bizzarra idea c’era venuta perché avevamo imparato a costruire “macchine da scrivere”! Sì, proprio macchine da scrivere. Bastava piegare le pagine del quaderno in maniera opportuna e battervi sopra le dita e… voilà, ecco trasformato il foglio di carta in una fiammante Olivetti! Passavamo ore intere ad immaginare di buttar giù chissà quali articoli, mangiando pane, burro e marmellata. Il gioco, e la gola, ci assorbivano completamente. Verso sera le dita erano talmente impiastricciate che i fogli vi restavano attaccati. Così le fiammanti Olivetti e i fenomenali articoli finivano nel cestino della carta straccia, senza alcun rimpianto da parte nostra e con sommo gaudio da parte delle formiche che divoravano quel poco che ci era sfuggito. Non sempre i nostri giochi erano così innocui, in alcuni casi abbiamo rischiato di farci male. Come quella volta a casa d’Assunta, al solo pensiero mi ritorna sulle labbra il sapore dolciastro dello “Strega” e la terribile voglia di vomitare. Ricordo perfettamente la casa della mia amica, ne sono stata

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una assidua frequentatrice per tutta la mia infanzia e per buona parte della mia adolescenza. Le scale sulla grande curva, l’ingresso con il lungo specchio appeso alla parete, il bagno illuminato da una finestrella in alto che faceva entrare uno spicchio di cielo, la cucina e soprattutto la sala da pranzo. Quella la ricordo nei minimi particolari! Se chiudo gli occhi posso ancora vederne la disposizione dei mobili: il divano giallo ocra, il buffet e il controbuffet, il tavolo e là, nell’angolo, il mitico mobile bar. La mia attenzione è conquistata, anche nel ricordo, da quel mobile. Mi piaceva tantissimo. Era in radica scura, sullo sportello vi era raffigurata una scena di caccia e l’interno era rivestito con un tessuto rosso brillante. La cosa che mi affascinava e mi lasciava a bocca aperta è che, per un misterioso congegno elettrico, l’interno del mobile si illuminava all’apertura dell’anta. I bicchieri e le bottiglie di liquore cominciavano a sfavillare alla luce della lampadina. Non esagero se dico che l’insieme era fiabesco: il colore dei vari liquori veniva rafforzato ed esaltato e il riverbero giungeva sulle pareti buie della stanza dove entravamo di nascosto e a luce spenta. Lì davanti ai riflessi del “Rosso Antico” e dello “Strega” ho preso la mia decisione: da grande, nella mia futura sala non sarebbe certamente mancato un mobile bar uguale a quello! Non sapevo ancora che il destino ci avrebbe messo lo zampino e che proprio davanti a quel mobile mi sarei presa la prima, forte, e per questo unica, sbornia della mia vita che mi avrebbe lasciata quasi astemia negli anni a venire.

Giuseppina Ruggiero è l’ospite di questo mese. Questa è solo la parte iniziale dei suoi racconti legati ai ricordi. Per seguire le altre puntate vai su www.decarta.it e cerca la sezione apposita.

IX


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SHAO YANG (Via delle Piagge, 1/1a - 0761 305401)

Shao Yang Via delle Piagge, 1/1a

È in arrivo l’estate e la prova costume può riservare brutte sorprese. Per ritrovare soddisfazione guardandosi allo specchio è opportuno cominciare ad osservare un regime dietetico controllato e praticare un programma di esercizi fisici idonei a smaltire i chili di troppo. A questo può essere utile abbinare l’utilizzo di prodotti naturali adatti a riequilibrare il peso corporeo, come DIMA SLIM COMPLEX della Solgar. Si tratta di un integratore che fornisce un’associazione di nutrienti ed estratti vegetali che agiscono sinergicamente, con diversi meccanismi, nella guerra contro il grasso. Un’unica capsula vegetale di DIMA SLIM COMPLEX fornisce Svetol®, Tè verde, Cromo picolinato, Capsaicina e Bioperine®, Colina, Metionina e Inositolo. In uno studio è stato osservato che l’estratto di semi di caffè verde decaffeinato (Svetol®) può favorire il fisiologico controllo glicemico. Il Cromo favorisce sensibilità insulinica e contrasta cali glicemici repentini che possono causare fame da carboidrati con conseguente assunzione di cibo. Il Tè verde supporta il controllo del peso riducendo l’assorbimento di grassi introdotti con la dieta. La capsaicina e Bioperine®, un estratto di pepe nero che ne supporta l’assorbimento, hanno dimostrato di stimolare la mobilitazione dei grassi dal tessuto adiposo. Colina, Inositolo e Metionina aiutano a contrastare l’accumulo di grasso.

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Per il vostro benessere e la vostra bellezza, Black Sun offre molteplici servizi in grado di soddisfare tutte le esigenze. Partiamo dal solarium: esso viene eseguito con l’ausilio di lampade ad alta pressione esafacciale per abbronzature parziali, e con doccia e lettino per quelle integrali. Inoltre Black Sun è un punto autorizzato Australian Gold, azienda leader nel settore dei prodotti per abbronzatura. L’area estetica è di prima qualità: include massaggi rilassanti decontratturanti, ayurvedici, anticellulite, drenanti, circolatori e trattamenti di radiofrequenza e pressoterapia. I prodotti utilizzati sono quelli della linea Olos, completamente naturali, con i quali vengono praticati specifici trattamenti viso e corpo. È possibile effettuare depilazioni con cera classica o con metodi moderni come l’elettro-depilazione ad ago e la luce pulsata. Per le unghie si effettua sia la classica manicure oppure trattamenti semipermanenti, nonché la ricostruzione in gel. Da non perdere, il percorso benessere dedicato alle coppie, che prevede massaggi e sauna. Lo staff, composto da Carla e due giovani ed esperte collaboratrici, è sempre pronto ad accogliervi con delle interessanti offerte, questo mese una particolare attenzione alla donna. Per altre info rimandiamo alla pagina: www.facebook.com/blacksun.viterbo Il centro è aperto con orario continuato (9-20) dal lunedì al sabato.

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OTTICA MILIONI (Via Marconi, 23 - 0761 340673)

Ottica Milioni Via Marconi, 23

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La luce blu è una parte dello spettro elettromagnetico visibile e la sua percentuale nella luce del sole è tra il 25% e il 30%. Una parte della luce blu aiuta a vedere meglio, regola il contrasto ed è indispensabile per la percezione dei colori. Oltre a questo influenza altre funzioni non prettamente visive: regola il ritmo sonno veglia e di conseguenza il funzionamento della memoria, l’umore e la produzione di alcuni ormoni. Ne consegue che un’esposizione eccessiva alla luce blu, in parte dannosa per la retina, può portare all’alterazione di alcuni delicati equilibri. Oggi questa attenzione è più necessaria che mai in quanto le lampade a basso consumo e qualsiasi dispositivo con tecnologia LED (quindi oltre alle lampade anche gli schermi di smartphone, tablet e alcuni televisori) emettono tra il 25% e il 35% di luce blu. Questa esposizione eccessiva può causare rossore e occhi irritati, secchezza degli occhi, visione offuscata, affaticamento, dolore alla schiena e mal di testa. Per ovviare a questi problemi la giapponese Hoya Optics ha sviluppato le lenti Blue Control, disponibili anche per chi non ha bisogno di lenti correttive della vista e realizzate appositamente per filtrare gli effetti dannosi della luce blu e venire incontro a questa nuova esigenza del mondo moderno.

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unitus

Un nuovo approccio bio-tecnologico nei settori agro-alimentare, ambientale e forestale Intevista al direttore del DIBAF, Giuseppe Scarascia Mugnozza Sara Morelli - Arianna Mugnari | AUSF

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al 2011, anno del Decreto Rettorale n. 350/11, le allora facoltà universitarie, furono convertite in dipartimenti. Come in tutta italia, anche nell’Università degli Studi della Tuscia è avvenuto lo stesso cambiamento. Nel caso della ex facoltà di Agraria possiamo distinguere il Dipartimento per l’Innovazione nei sistemi Biologici, Agro-alimentari e Forestali (DIBAF) e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia (DAFNE). Abbiamo intervistato il direttore del DIBAF, Giuseppe Scarascia Mugnozza, anche docente di Selvicoltura ed Ecofisiologia forestale. In quanto direttore del DIBAF, può spiegarci qual è l’area di competenza del dipartimento e cosa lo differenzia dal DAFNE? «Ciò che caratterizza il DIBAF è la ricerca di nuovi approcci biotecnologici nei settori agro-alimentare, ambientale e forestale. L’attenzione è principalmente rivolta all’ambito delle biotecnologie, contraddistinguendolo dalle competenze prettamente agrarie del DAFNE. Il nostro impegno consiste anche nel promuovere l’instaurarsi di rapporti internazionali per la ricerca e la didattica, ad esempio con organizzazioni internazionali come la FAO. A livello nazionale l’Università della Tuscia, in particolare con il supporto del DIBAF, intrattiene dei rapporti con diversi atenei a Roma e in Molise per sviluppare delle attività di ricerca anche nel settore paesaggistico.» La parola “innovazione” che appare nell’acronimo del Dipartimento ne definisce anche la principale caratteristica? «Il DIBAF porta avanti un discorso di

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innovazione della ricerca e delle sue applicazioni. A questo proposito si favoriscono relazioni con imprese esterne all’ambiente universitario creando una compresenza che permette, quindi, di condurre direttamente all’esterno ciò che è sviluppato all’interno dell’ateneo. In questo modo è agevolato un ingresso al mondo del lavoro a vantaggio dei nostri studenti, con iniziative sostenibili anche economicamente, per esempio anche grazie a tre società di spin off sostenute o partecipate dal DIBAF e create dai nostri laureati. Nel campo dell’innovazione, soprattutto per ciò che riguarda le biotecnologie, è attivo BIOINNO (Bioinnovation & Entrepreneurship), un progetto europeo sviluppato nell’ambito del Lifelong Learning Programme “Erasmus Multilateral Projects - Knowledge Alliances” e coordinato da Antoine Harfouche, docente presso il DIBAF. Sono coinvolte diverse università europee, quali la University of Cambridge in Inghilterra e l’Artesis-Plantijn University College in Belgio ed è stato creato per raggiungere alcuni importanti obiettivi come individuare metodiche ed opportunità per favorire la formazione dei giovani nell’imprenditorialità, consentendo loro di sviluppare le capacità necessarie a riconoscere le potenzialità di un dato prodotto e come collocarlo sul mercato.» Può farci un resoconto delle attività portate avanti dal DIBAF dal 2011, anno della sua istituzione, a oggi? «Le attività svolte dal DIBAF sono davvero numerose, ma vi esporrò le principali. Nella ricerca agro-alimentare si cerca di sviluppare la vitivinicoltura attraverso la produzione di vini locali migliorando la qualità e i livelli di produzione dei lieviti. Nell’ambito forestale, invece, lavoriamo sullo studio della sostenibilità am-

bientale cercando applicazioni volte a ridurre l’impatto del carbonio causato dalle filiere. Vengono messe a punto tecnologie innovative per il monitoraggio delle foreste con lo scopo di quantificarvi il bilancio di CO2, importante per il ruolo nella mitigazione del clima che le foreste stesse rivestono. Infine, riguardo alle biotecnologie si promuove la ricerca microbiologica applicata alla trasformazione delle biomasse per la produzione di biocombustibili, al fine di attuare una bio-economia per la salvaguardia dell’ambiente. La chimica verde (chimica da biomasse) è materia d’interesse comune ad altre associazioni quali ENEA e CNR. Inoltre operiamo anche per l’utilizzo di microrganismi nel disinquinamento di terreni contaminati.»

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orremo concludere questo articolo con una riflessione ispirata dalle stesse parole del prof. Scarascia Mugnozza: di lavoro, presso l’Università degli Studi della Tuscia, ne viene svolto parecchio e riceve costante attenzione da parte di realtà economiche e di prestigiosi atenei italiani ed esteri. Nonostante tali riconoscimenti, c’è però bisogno che gli enti amministrativi, sia nazionali, sia locali, sostengano con maggiore forza e convinzione le esigenze di un settore così importante come quello della ricerca e dell’istruzione. A livello locale questo è fortemente manifestato dalla mancanza di adeguati collegamenti con Roma, che oltre ad essere capitale d’Italia è anche tra i maggiori bacini di utenza dei corsi di laurea. Sarebbe auspicabile pertanto un miglioramento dei trasporti, delle infrastrutture e dell’accoglienza, per incrementare l’affluenza di studenti, non solo italiani ma anche e soprattutto stranieri.

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servizi

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Chiama Giuliano! Lo specialista del risarcimento assicurativo Redazione

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el 2009 Giuliano & Giuliano, forti di una lunga e consolidata esperienza maturata nel settore della gestione dei sinistri stradali in diversi contesti, fondano la Giuliano Infortunistica Srl – nota al pubblico con il logo GIULIANO SERVIZI - Assicurazioni e Infortunistica. L’obiettivo primario è quello di assistere con competenza e professionalità i propri clienti coinvolti in incidenti stradali e sinistri di ogni genere che necessitino di un risarcimento assicurativo. Giuliano Servizi, nasce per offrire anche sul nostro territorio un servizio ormai molto diffuso e conosciuto, soprattutto in tutto il nord Italia, caratterizzato da una forma di assistenza che non prevede esborsi a carico del cliente fino al riconoscimento del pieno indennizzo e delle spese sanitarie sostenute presso strutture in convenzione. Abbiamo posto alcune domande ai titolari di Giuliano Servizi per meglio cogliere le modalità operative dell’impresa. Quali sono i vostri punti di forza? «Sicuramente l’esperienza infortunistica specifica consolidata dall’azienda, sia dal punto di vista assicurativo e di relazioni con i Centri Liquidazione Danni delle varie compagnie assicurative sia nella conduzione di tutte le attività relative ai più complessi iter medici, è ciò che differenzia l’offerta di Giuliano Servizi. Riuscire ad ottenere il giusto indennizzo richiede oggi esperienza nel gestire articolati iter sanitari, nel mettere a disposizione del cliente una rete di professionisti convenzionati garantendo presenza, consulenza ed assistenza in ogni delicata fase sia dal punto di vista tecnico che, spesso, umano, considerata la particolare condizione nella quale chiunque abbia subito un danno può venire a trovarsi. XII

Successivamente entrano in campo altre competenze tecniche assicurative e in materia di risarcimento oltre al forte patrimonio di relazioni nel settore ormai consolidato da Giuliano Servizi.» Potete spiegare più dettagliatamente le modalità operative? «L’attività inizia con un primo contatto da parte del cliente insieme al quale viene effettuata un’analisi del sinistro e valutata l’opportunità di procedere a una richiesta di risarcimento. È importante sottolineare che in questa fase, di per sé estremamente complessa, delicata e articolata, l’esperienza nell’analisi di tutti i dati essenziali per la ricostruzione della dinamica dell’evento, acquisiti personalmente dagli esperti di Giuliano Servizi sul teatro del sinistro, l’analisi della segnaletica stradale o quant’altro previsto dalle leggi vigenti rappresenta un singolare valore aggiunto che può fare la differenza nell’attribuzione delle percentuali di responsabilità.» Come si evolve il rapporto con il Cliente? «In caso di valutazione positiva, il cliente conferisce mandato a Giuliano Servizi ad agire in nome e per suo conto. Successivamente Giuliano Servizi apre la pratica nei confronti della compagnia assicurativa interessata e ne seguirà ogni singolo passaggio fino alla negoziazione della richiesta di risarcimento. Contemporaneamente il cliente è affidato a un tutor che lo guiderà e assisterà, nel rispetto delle normative e delle previsioni medico sanitarie vigenti anticipandone, dove previsto, le spese e indirizzandolo alla rete convenzionata di strutture e professionisti del settore (medici legali, fisioterapisti, ortopedici, centri diagnostici ecc.).

Giuliano Servizi, inoltre, è presente in ogni fase della ricostruzione della dinamica del sinistro, nell’acquisizione di tutta la documentazione probatoria e identificativa (verbali delle autorità eventualmente intervenute, cartelle e atti clinici, relazioni con la Procura e altri organi pubblici ecc.).» Quali sono, dall’altro lato, i rapporti con le Compagnie assicuratrici? «L’obiettivo è quello di ottenere per il proprio cliente, ogni qualvolta ciò sia possibile, una transazione stragiudiziale e quindi rapida. Sempre ai fini della rapidità, non esitiamo a recarci personalmente presso le sedi interessate quando si renda opportuno trattare di persona con il funzionario liquidatore della compagnia risarcitoria. Giuliano Servizi è presente a Viterbo con la propria sede di via della Palazzina 81/a dove i suoi esperti sono a disposizione ogni giorno per ascoltare e valutare senza alcun impegno, in via preliminare, ogni esigenza in merito e fornire qualsiasi informazione utile.»

Sede legale Viale Igea, 12 - TARQUINIA • Sedi operative Via Cassia Botte, 80 - VETRALLA Via della Palazzina, 81/a - VITERBO

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Un impianto per ogni esigenza Acqua pura a casa vostra

L

’acqua di pozzo come l’acqua di falda può avere varie caratteristiche che la rendono non potabile. Tra le principali problematiche che si possono riscontrare citiamo: - presenza di batteri e legionella; - presenza di arsenico fluoruri ferro e manganese; - presenza di torbidità; - presenza di sabbie; - presenza eccessiva di sali come calcio e magnesio; - presenza di altri elementi chimici nocivi per tipo e quantità; - presenza di cattivo sapori e odori. La Teknosin con i propri impianti permette di trattare qualunque inquinante presente nell’acqua di pozzo e ren-

derla potabile. Per il problema batteriologico, cioè l’eliminazione dei batteri in acqua di pozzo o in acqua di sorgente, installiamo impianti di sterilizzazione a raggi ultravioletti oppure dosatori di ipoclorito di sodio, per il trattamento dei problemi chimici, abbiamo tutte le soluzioni adatte, (impianti a resine particolari e trattamenti tramite dosaggio di appositi prodotti), per la torbidità installiamo cisterne decantatrici opportunamente modificate, appositi filtri a rete lavabile e filtri a quarzite, per abbattimento della durezza abbiamo una vasta gamma di addolcitori mentre per gli altri inquinanti valutiamo in funzione del valore delle analisi e progettiamo il giusto impianto su misura per ogni esigenza.

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