L'imPAZiente n.18

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BIMESTRALE DI INCHIESTA, APPROFONDIMENTO E COMUNICAZIONE REALIZZATO DA P.A.Z. 1,50 €/Euro

LA FOLLE CORSA

PER ANNI HANNO PERCORSO LA TRATTA GALLIPOLI-MESSINA “A TAVOLETTA” PER RISPETTARE GLI ORARI PREVISTI DALLA DITTA. TRE AUTISTI SALENTINI SI RIBELLANO: LICENZIATI, REINTEGRATI, POI TRASFERITI SALENTO: piccole imprese mafiose crescono CAMPO PANAREO: i Rom chiedono cittadinanza 488: storia di occasioni perdute BUONE NOTIZIE: le manifatture Knos ESTERI: report da Korogocho

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PH: PAOLO MARGARI (WWW.FLICKR.COM/PAOLOMARGARI

Marzo/Aprile 2008

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1 DR LE

Numero 18/diciotto


MARZO/APRILE 2008

INCHIESTA 4

Salento Mafia spa

APPROFONDIMENTI 10

Le Manifatture knos non contengono nulla

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Lavorare in sicurezza un affare di tutti

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Rom, nomadi per forza

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Campo Panareo un progetto blindato

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Fine della corsa

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Corsano: comune imPAZiente

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Aborto=omicidio? chiedetelo alle donne

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488 cronaca di una morte annunciata

CULTURA

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Diritto d’autore un ostacolo al diritto allo studio

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musica: Amour fou la nuova stagione del rock

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Come un bambino Report da Korogocho

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cinema: Il fascino della pena

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libri: Schegge pop dall’Italia

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teatro: Cominciare da zero

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L’impaziente inglese di Vito D’Onghia

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Il periscopio di Mauro Marino

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L’altra scienza di Ferdinando Boero

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Effetto Albemuth di Carlo Formenti

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L’incostante di Stefano Cristante

Redazione: Michele Frascaro, Matteo Serra, Paolo Mele, Melissa Perrone, Francesca Garrisi, Daniele Greco, Carmen Tarantino, Massimo Ferrari, Andrea Aufieri, Ilaria Florio, Alfredo Polito, Andrea Spartaco, Gianluca Marasco, Marco Leopizzi Grafica e Impaginazione: Danilo Scalera

Foto di Salvatore Bello, Paolo Margari Rubriche: L’impaziente inglese - Vito D’Onghia Il periscopio - Mauro Marino L’altra scienza - Ferdinando Boero Effetto Albemuth - Carlo Formenti L’incostante - Stefano Cristante Editore: P.A.Z. - autoproduzioni via Puccini, 32 - 73100 Lecce

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Direttore responsabile: Valentina D’Amico

Foto di copertina ed elaborazione: Paolo Margari (flickr.com/paolomargari)

RUBRICHE 56

sito: http://www.impaziente.org admin: Alessandro Serra email: impaziente@pazlab.net tel: 0832.349536

Stampa: A.G.Marino srl Lecce Hanno collaborato: Cesaria Ratano, Marco Semeraro, Coolclub, don Raffaele Bruno Ringraziamo: Comune di Corsano, Provincia di Lecce, Dino De Pascalis, Davidino, Rosanna Mazzarello, Sabrina, Antonella, Angela Albanese, Salvatore Serra, ARCI,Manifettaure KNOS, Regione Puglia, Gigi De Luca, Eugenio Iorio, Simona, Micol, Raffaella Ferilli, prof. Anna Maria Quarta chiuso in redazione il 10 Marzo 2008 per inserzioni pubblicitarie: Michele Frascaro 339.1812137 - 0832.349536 commerciale@pazlab.net iscritto al n. 917 Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 24 Gennaio 2006


EDITORIALE//EDITORIALE

SCRIVO SEDUTA IN UN CAFFÈ DAVANTI AL MUSEO DELLE

ARTI, A SEATTLE, STATO DI WASHINGTON

D

a perfetta italiana, dopo quattro giorni di intrugli locali (mai paese ha potuto partorire una cucina più irrispettosa del buon sapore e della genuinità) sono corsa a prendere un espresso. Discreto. Lo stomaco per oggi è redento. Una goccia nell’oceano, diceva Teresa di Calcutta. Stare qui, in un certo senso, rilassa, perché ti scrolla di dosso quella (a volte) insopportabile responsabilità che senti gravare sulle spalle: come se la salvezza del mondo dipendesse da te. Seattle-Roma, distanza in linea d’aria: 9.129 chilometri - 5.660 miglia. Per le strade sconfinate di questa controversa nazione: africani, asiatici, europei. Americani, alla fine pochi. L’America amplifica la dimensione cosmopolita che pure si può avvertire a Roma, appena assaggiare a Lecce, con i suoi neanche cinquemila stranieri residenti. Tu, un puntino nell’universo. A che pro dunque affannarsi? Quanto vale il mio impegno? Che ricaduta ha il mio contributo (nel Salento) per i miliardi di esseri umani sparsi per il mondo? Per la costruzione di una società che vorrei (non più, ma) giusta. “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”. È la convinzione da cui si parte, la spinta per procedere. Usura, morti sul lavoro, aborto, truffa allo Stato. Ne scriviamo su questo numero de L’ImPAZiente. Ne parliamo da sempre, denunciando i misfatti, le ingiustizie in un territorio che pure “ha saputo trovare gli anticorpi per reagire” va ripetendo in questi giorni don Luigi Ciotti anticipando la Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia in programma a Bari il 15 marzo. E da qui vogliamo partire, da questa affermazione di speranza, per raccontare, a partire da questo numero, l’altra faccia del Salento. Quella che si oppone, fa resistenza e contrattacca, anziché lagnarsi e basta. Quella che ai convegni e alle belle parole preferisce la pratica e dimostra il suo saper fare. Inauguriamo da oggi, con questo numero, le nostre (vostre) Buone notizie e non possiamo non cominciare con quella che ci sembra la risposta più forte al bisogno di partecipazione che la società oggi, non solo a Lecce, rivendica: l’officina culturale delle Manifatture Knos.

Uno spazio, questo delle buone notizie, che proponiamo come seconda lettura, ma chissà, prima o poi, guadagnerà anche l’apertura. Dipende da n(v)oi. Sono tante ancora le novità de L’ImPAZiente. Più approfondimento culturale in una terra maestra nel coniugare recupero delle tradizioni con innovazione e apertura a nuove contaminazioni. Ben otto pagine per conoscere le novità e per conoscerci: le nostre compagnie teatrali, i film, i libri, la musica. Rivoluzioniamo lo spazio caratterizzante la rivista: quel Botta e risposta sempre molto letto, ma che ha rischiato di diventare uno sterile, gratuito (un altro!) palcoscenico per i cantori di turno. Largo ai protagonisti, quelli veri, con in più un approccio critico da cui il parere della redazione risulterà ancora più evidente. Con Botta e risposta, la rivista prende posizione, parteggia. Perché sulle questioni dirimenti per il nostro vivere non vogliamo (non ci piace) trincerarci dietro il fantomatico dovere di obiettività tanto sbandierato nei corsi di formazione dell’Ordine dei giornalisti, e tanto vantato nei talk show (alla Bruno Vespa) e poi tanto spesso (nelle stesse sedi) calpestato. Preferiamo il confronto diretto, lo scambio di opinioni schietto e palese, ospitando volentieri, in ogni angolo della rivista, pareri diversi, anche discordanti. Personalmente, lo dichiaro apertamente, a dispetto di quanto scrive il professore Boero nella sua rubrica, che sia stato un errore invitare all’apertura dell’anno accademico, come ospite unico, il professore, papa Joseph Ratzinger. Per ragioni disparate, che sarebbe troppo lungo esporre e che riguardano da un lato il pensiero di questo papa in materia di scienza, religione e libertà di culto, e dall’altro il ruolo (svilito e patetico) della classe politica e dirigente italiana. Ho lasciato il caffè davanti all’Art museum di Seattle e con lui, scrivendo, l’impotenza inizialmente provata è sfumata in energia, per esplodere presto in ImPAZienza… di fare, di pensare, di lottare. Perché “l’indifferenza è il peso morto della storia” diceva Antonio Gramsci. Valentina D’Amico l’impaziente 18 | 3


INCHIESTA//SALENTO MAFIA SPA

TXT ALFREDO POLITO / IMG PAOLO MARGARI

SALENTO MAFIA spa 4 | l’impaziente 18


SALENTO MAFIA SPA//INCHIESTA

IL CONVEGNO SVOLTO ALLA CAMERA DI COMMERCIO

“ Salentu: l’usura, lu racket, lu tormentu La Camera di Commercio di Lecce ha distribuito un questionario su racket e usura a ottomila imprese salentine, da restituire in forma anonima. Hanno risposto solo in 763. L’usura c’è ma non si denuncia

Il territorio della Provincia di Lecce, dopo anni difficili, ha ottenuto risultati importanti. Ma non è che ci siamo improvvisamente trasferiti in qualche zona montana della Svizzera”. Esordisce così il Prefetto di Lecce Gianfranco Casilli, presentando la campagna di ascolto in tema di racket e usura che la Camera di commercio di Lecce, insieme alla Prefettura e al coordinamento regionale di Libera, ha condotto negli ultimi mesi del 2007. Una tappa del lungo percorso di legalità che condurrà a Bari il 15 marzo, quando si celebrerà la tredicesima giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Le preoccupazioni, le paure, che alcuni anni fa interessavano questo territorio, il “dacci oggi la nostra bomba quotidiana”, per usare l’espressione di Cataldo Motta, Procuratore aggiunto della Dda di Lecce, sarebbero superati. Ma «certe fenomenologie», avverte Casilli, «sono presenti». I conti non tornano Sono stati ottomila i questionari distribuiti dalla Camera di Commercio a tutte le imprese salentine. Potevano essere restituiti in forma assolutamente anonima. Ne sono tornati indietro solo 763. Meno del dieci per cento. E nelle risposte, qualcosa

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INCHIESTA//SALENTO MAFIA SPA

non quadra. Il 61 percento degli intervistati ritiene che l’estorsione esista e che sia un fenomeno “molto diffuso”, ma quando si passa a chiedere se effettivamente, oggi, l’impresa subisca episodi estorsivi, o sia sotto usura, le risposte precipitano: solo l’1,18 per cento denuncia estorsioni e l’1,83 ammette di essere vittima di un cravattaro. «Evidentemente i conti non tornano», ammette il Prefetto, convinto che la percezione di insicurezza abbia giocato un ruolo importante nella compilazione dei questionari. Di certo c’è che «non possiamo pensare che il livello dell’estorsione e dell’usura sia rappresentato da queste cifre. Dobbiamo invece, ahimè, prendere atto che ancora una volta, quando si parla di certe fenomenologie preoccupanti per gli imprenditori, si è un po’ reticenti. Non c’è altra spiegazione». “Tutto va bene” (la strategia Provenzano) «Questa non è terra di mafia», ribadisce Cataldo Motta. Lo ripete dai tempi del maxiprocesso di Lecce del 1991, quando affermò che la realtà territoriale del Salento non era mafiosa, aprendo così il cuore alle speranze («soprattutto quelle dei difensori», precisa sarcastico). Ma non c’è dubbio che una parte del contesto criminale salentino rientri nel campo di applicazione del 416 bis. «Però – spiega – quella è un’accezione giuridica, mentre sotto il profilo sociologico la cultura mafiosa non ha attecchito. Si è riusciti ad evitarne un vero radicamento sul territorio». «Guardate – avverte il procuratore antimafia – non per condividere la strategia di Provenzano, ma anche da noi, in realtà, l’impressione che tutto vada bene, da qualche tempo, c’è. Esiste una sorta di sommersione delle condotte criminali. Non ci sono più manifestazioni clamorose, eclatanti. Ma in questa tranquillità le organizzazioni mafiose continuano a fare affari, e a denunciare è sempre una percentuale minima». Perché dello strozzino si può sempre avere bisogno Nel 2005, 98 imprenditori si sono dichiarati vittime di “atti delittuosi in genere”: furti, rapine, danneggiamenti. Solo 19 di loro hanno ammesso di essere state vittime di “altro”. E questo “altro” comprende anche le estorsioni. «La tendenza dell’usurato invece – chiarisce Motta – è quella di proteggere il rapporto

con l’usuraio perché, in prospettiva, dell’usuraio potrà sempre avere bisogno». Ecco perché le denunce praticamente non esistono. Nel 2007, 151 persone hanno accusato i propri estorsori.190 se si contano anche i procedimenti finiti per competenza alla Dda, quelli per i quali si è aggiunta l’aggravante del metodo mafioso. Circa l’80 per cenCATALDO MOTTA to dei denunciati è costituito da persone ben note alle procure. È il segno che a qualcuno le cosche non fanno paura, e vuole essere lasciato a lavorare in pace. Però alla Camera di commercio 467 persone hanno confidato che l’estorsione è una pratica “molto diffusa”. «Ci sarebbe da chiedersi su quali basi», ragiona Cataldo Motta. «Certo è che, a fronte di 80 persone che denunciano estorsioni - spiega il procuratore - oltre la metà sostiene che il fenomeno sia molto diffuso». Sarà per questo che, se in Italia appena il cinque per cento dei titolari di piccole e medie imprese denuncia i ricatti, da queste parti la percentuale si raddoppia. «Sono gli stessi che cercano di difendersi come possono – si legge nel rapporto “La Puglia economica” dell’ex Fondazione Caesar, oggi Osservatorio regionale su sicurezza e legalità di UniPolis - al di là dell’intervento delle forze dell’ordine: essere assicurati lo considerano un salvagente (25%), oppure fanno ricorso alla vigilanza privata (28%), né disprezzano l’installazione di telecamere (19%) e di vetrine corazzate (11%)». Ma c’è il 26 percento dei diretti interessati che veste i panni della maggioranza silenziosa e ostaggio inerme delle cosche. Inoltre proprietari e gestori di queste attività

“Su usura ed estorsioni c’è ancora molta reticenza”

“In questa tranquillità le organizzazioni mafiose continuano a fare affari, e a denunciare sono sempre in pochi.”

L’ARRESTO DI BERNARDO PROVENZANO

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SALENTO MAFIA SPA//INCHIESTA

MANIFESTAZIONE A CALIMERA IN ONORE DI ANTONIO MONTINARO

Secondo uno studio di Confcommercio GFK Eurisko la Puglia sarebbe una delle capitali del racket e delle estorsioni

– anche in questo caso il 22 percento e sempre secondi alla indicò, seppure in numero non rilevante, segnali di imprenditoria Campania – «spesso nonché malvolentieri finiscono per essere mafiosa, di intrecci tra malavita e settori dell’imprenditoria, tra imbrigliati nella rete degli usurai da cui non riescono più a libe- attività economiche riconducibili a gruppi criminali e attività lerarsi». Il resoconto, nato come documento di preparazione alla gali. Cataldo Motta non nasconde che sia ancora «un aspetto di giornata del 15 marzo, tiene conto delle analisi fornite da Sos grande rilievo e di grande allarme». Impresa di Confesercenti, dal Ministero dell’Interno e «dall’impietosa fotografia» che scatta lo studio di Confcommercio-Gfk Mafia S.p.A./Premiata ditta tarocca Eurisko, secondo cui la Puglia sarebbe una delle capitali del ra- (Non si butta via niente) cket delle estorsioni». Medaglia d’argento, dopo la Campania. Antonio Perrone, ex boss di Trepuzzi, a lungo sottoposto al Batteremmo perfino regioni come Sicilia e Calabria: secondo i regime di 41bis (il carcere duro per i mafiosi), è l’autore di “Vista conti dell’Osservatorio, il 22 percento degli imprenditori puglied’interni”, il romanzo autobiografico che ha ispirato “Fine pena si paga il pizzo. mai”, il film di Davide Barletti e Lorenzo FRANCESCO FORGIONE, Il sottosegretario alla Giustizia Alberto Conte nelle sale dal 29 febbraio. Questo è il PRESIDENTE COMMISSIONE ANTIMAFIA Maritati però esprime dei dubbi su questa modo in cui Perrone descrive la Sacra Coclassifica, perché bisogna considerare che rona Unita: una «denominazione partorita lo stesso reato in Calabria o in Sicilia ragda una mente bigotta come quella del “vecgiunge livelli molto più alti, ma non lo dechio” (Pino Rogoli, ndr), che si era ispirato nuncia nessuno. «Ciò non toglie – recita il ai grani del rosario» – constata lo scrittorapporto di Unipolis – che la situazione sia re – che ha cessato di esistere nel 1986, tutt’altro che confortante». vale a dire ai tempi del primo processo per associazione di stampo mafioso in quel di Bari, ma – continua – pur essendo questo Piccole imprese mafiose crescono un dato ormai definitivamente accertato, è (si comincia così) rimasta tuttavia come definizione di comoNel 2001, su richiesta della Commissiodo». ne parlamentare Antimafia, la Dda salentina Così, come tutte le altre mafie, si evolve studiò i rapporti tra impresa e criminalità. anche quella galassia di bande criminali che, Quelli che portano, attraverso un mec“per comodità” chiamiamo Sacra corona canismo graduale, all’impossessamento unita. dell’impresa da parte della cosca e alla sua gestione proprio come attività mafiosa. Un tempo i padrini salentini campavano “Ha effettuato acquisto di beni o servizi con lo spaccio di droga, il contrabbando da fornitori suggeriti da esponenti della di sigarette, le sofisticazioni alimentari, le criminalità organizzata?”, si chiedeva agli estorsioni e i “cavalli di ritorno”. Oggi, seimprenditori. In otto risposero di sì. “Ha guendo l’esempio (o il suggerimento?) di aleffettuato assunzioni di persone segnalate tre mafie potrebbero anche aver impiegato da esponenti delle criminalità organizzata?” mani e professionalità esperte rimaste senQuattro risposte affermative. Altri otto imza lavoro dopo la crisi del comparto tessile prenditori ammisero di aver ricevuto “rie calzaturiero del leccese. E così entrano chieste di protezione”. Fu così che la Dda

Registrati piccoli segnali di imprenditoria mafiosa, e di intrecci tra mafia e settori dell’imprenditoria

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INCHIESTA//SALENTO MAFIA SPA

anche nel settore delle griffe taroccate. Sempre secondo lo studio dell’ex Fondazione Caesar diretta da Nisio Palmieri, «il Salento può considerarsi la base logistica delle contraffazioni nel settore della moda». Degli oltre 90 miliardi di euro fatturati l’anno scorso dalle mafie italiane, cifra pari a quella di una multinazionale come la Philips Morris o, per restare in casa, superiore di quasi 40 miliardi a quella del Gruppo Fiat, ben sette provengono dalla contraffazione. L’import-export italiano in questo settore rigorosamente controllato dalla criminalità si concentra per il 70 percento nel Mezzogiorno. Puglia e Salento in testa, con un fatturato che supera i tre miliardi e mezzo di euro annui. I dati forniti dalle categorie dei commercianti «fanno il paio – si legge nella relazione – con una delle ultime analisi elaborata dal Ministero dell’Interno, quando si è trattato di mettere a punto il programma operativo destinato ad assicurare la sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno». Il Viminale, infatti, classificava come “province a forte condizionamento criminoso” quelle di Foggia e Lecce, dove estorsori e usurai recitano il ruolo di padroni incontrastati, o quasi, del territorio». L’elevata mortalità e natalità di imprese emersa dagli ultimi studi

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CALIMERA: MANIFESTAZIONE ANTIMAFIA

eseguiti dalle Camere di commercio di Foggia e Lecce certo non depongono a favore: «il probabile sintomo – afferma il rapporto di SicurPuglia – del tentativo di penetrazione nell’economia legale da parte della criminalità organizzata». Anche il settore del trattamento e smaltimento dei rifiuti, compresi quelli speciali e pericolosi, non si sottrae agli appetiti dei gruppi criminali, almeno in maniera circoscritta al Salento meridionale, come ha sostenuto Cataldo Motta nella recente audizione presso la Commissione d’inchiesta sui rifiuti. Quello storico delle sigarette, se da una parte sta tornando in auge, dall’altra è accompagnato da una diversificazione del mercato, ad opera delle organizzazioni criminali, che si dedicano allo spaccio di prodotti petroliferi, zucchero, bevande alcoliche fino agli animali esotici. «Nei Tir che arrivano nei porti pugliesi – conclude UniPolis – si può trovare davvero di tutto».


SALENTO MAFIA SPA//INCHIESTA

L’imprenditore mafioso La testimonianza di Giancarlo Caselli: “L’economia illegale è un vero e proprio antistato in competizione con lo Stato”.

«

L’usura e l’estorsione sono tasselli dell’economia illegale», afferma Giancarlo Caselli, procuratore di Torino. Sono tanti i vantaggi di cui gode l’imprenditore mafioso: anzitutto «è ricco di suo, perché il suo portafoglio viene continuamente riempito dalle mille attività illecite, dal traffico della droga, agli appalti truccati, al traffico di rifiuti tossici, che costituiscono il profilo criminale della mafia». Quindi non ha bisogno di andare in banca a farsi prestare i soldi, potendo contare su un fiume ininterrotto di denaro a costo zero. Ed essendo già ricco, può praticare prezzi assolutamente concorrenziali rispetto all’imprenditoria onesta. «E poi, io imprenditore mafioso – ragiona Caselli – se ho dei problemi con pezzi delle istituzioni come li risolvo? Con la suggestione, l’intimidazione, la minaccia, la corruzione e se necessario la violenza». Sono dei vantaggi importanti che spiegano come «l’economia illegale sia uno dei

IL PROCURATORE GIANCARLO CASELLI

L’economia illegale risucchia attività, commerci, imprese, forze sane che nelle pratiche legali trovano sempre meno il filo per costruire la propria affermazione

grandi problemi del nostro paese, come il governatore della Banca d’Italia Draghi ha recentemente ricordato». L’economia illegale risucchia attività, commerci, imprese, forze sane che nelle pratiche legali trovano sempre meno il filo per costruire la propria affermazione. Secondo Caselli «è un’onda silenziosa ma potente, che rischia di avvolgere tutto, di insinuarsi dappertutto, di prendere possesso di tutto, corrompendo». Un pezzo dopo l’altro conquista palazzi, uffici, negozi, alberghi, officine, capannoni, e li mette a servizio dei propri affari. Un vero e proprio antistato, con un suo sistema economico, un suo mercato del lavoro, in competizione, «purtroppo spesso vincente», con lo Stato. Perché troppo spesso lo Stato dà l’impressione di volersi ritrarre, di non voler combattere fino in fondo con la necessaria determinazione una battaglia che invece non solo si deve fare, ma facendola si può anche vincere. l’impaziente 18 | 9


BUONE//NOTIZIE

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Le Manifatture Knos non contengono nulla Una buona notizia. Arriva da Lecce e per fortuna non è ancora chiaro di cosa si tratti. Ce la racconta l’Associazione Sud-Est di_Matteo Serra

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’esterofilia è una malattia curabile. Succede spesso, quando si viaggia, di tornare a casa con i denti stretti e un atteggiamento altezzoso del tipo “ma perché non succede mai niente di davvero innovativo dalle mie parti”. Berlino, Parigi e poi Barcellona, le capitali europee della cultura ma soprattutto dell’innovazione, della creatività, della sperimentazione. Spazi giganteschi dove le idee si scambiano, si condividono, si contaminano, si realizzano. Abbiamo sempre guardato con ammirazione le realtà estere come se avessero una marcia in più, l’idea giusta al momento giusto, lo spazio adatto, il sostegno necessario. Abbiamo cercato di ricreare luoghi e forme che non ci appartenevano per il solo gusto di assomigliare a qualcuno o qualcosa. Abbiamo gestito spazi, occupato stabili, affittato stanze per creare qualcosa di nuovo. A volte ci siamo riusciti, molto spesso no. Spazi sociali, contenitori culturali, centri polivalenti, luoghi di aggregazione, laboratori urbani. Pure definizioni. La pratica è sempre un’altra cosa. Le parole in certi casi limitano. Quando la teoria, che pure ha la sua importanza, si traduce in pratica comune i risultati arrivano e si vedono e tutto riacquista il giusto senso. La prima “Buona notizia” che l’imPAZiente decide di pubblica-


BUONE//NOTIZIE

re, in questa tanto attesa nuova sezione della nostra rivista, è dedicata al più interessante esperimento glocale nel nostro territorio in questi ultimi anni: le Manifatture Knos. Abbiamo cercato di individuare una definizione che potesse racchiudere il senso di quello che accade in quel luogo rianimato dall’Associazione Sud-Est. Non ci siamo riusciti. Non è uno spazio sociale. Non è un centro culturale. Non è assolutamente un contenitore. Di cosa si tratta? Perché nasce ora e con quali obiettivi? Lo abbiamo chiesto a Michele Bee tra i promotori e gestori delle Manifatture: “Il Knos non è un contenitore, nel senso che non si tratta di una scatola neutra e pronta ad essere riempita di qualunque cosa. Il progetto del Knos è un progetto in costruzione e aperto, che ha a che fare con l’ampliamento della partecipazione democratica e culturale, con la possibilità di maturazione creativa per i giovani emergenti e per i professionisti che troppe volte sono costretti ad emigrare per far riconoscere il proprio lavoro”. Sorridiamo, perché è vero: quando si smette di parlare e si inizia a fare, ciò che prima credevi fosse la parola giusta per un concetto chiaro, nella pratica diventa inconsistente. Contenitore non è il termine adatto. Men che meno “contenitore culturale”, perché la cultura non si contiene. “Il Knos - dice Bee - è una città a forma d’arte, che si pone dinanzi alla città reale non come alternativa, ma come misura possibile, con tutta la carica provocatrice, sovversiva e istitutiva di un tempo nuovo, di cui solo gli artisti sono capaci”. Sono tante le realtà che partecipano al palinsesto delle Manifatture. Le solite, le nuove, quelle che esistono da sempre e quelle che si creano intorno ad un caffè. Una cosa le accomuna: il vigore, la creatività, la forza. È questa la magia del Knos, ridà anima e speranza, propone una visione finalmente nuova: “Giornalmente alle Manifatture Knos lavorano una trentina di persone alle quali se ne aggiungono numerose altre che partecipano alle attività con loro singoli progetti”. Michele Bee è entusiasta, nelle sue parole si legge il presentimento di essere sulla giusta strada e la convinzione

di non essere da solo. La Provincia di Lecce ha fortemente voluto questo spazio e va dato merito al settore cultura per aver compreso l’importanza di un simile progetto. Le Manifatture Knos nascono all’interno della struttura che per oltre trent’anni ha ospitato la scuola di formazione professionale per operai metalmeccanici ed elettrotecnici, creata dai Salesiani a metà degli anni 60. La sua consistenza reale è rappresentata da una biblioteca per bambini, un teatro, una sala di postproduzione video, un sala proiezioni, una sala di incisione, una radio, una sala riunioni, un punto di ristoro, una sala conferenze, una mediateca e una serie infinita di iniziative importanti a livello locale, nazionale e internazionale. Su un progetto in particolare vogliamo però porre l’accento: i laboratori per i bambini. “I laboratori, ispirati al grande lavoro condotto dal grafico e designer italiano Bruno Munari, sono il primo vero banco di prova del Knos. Sono i primi laboratori che hanno visto la luce e a tutt’ora i laboratori più frequentati e che danno le maggiori soddisfazioni. Conduciamo laboratori di scrittura creativa, di iniziazione alla musica e all’arte, di teatro, di manualità; corsi dei quali i bambini sono entusiasti e ai quali si aggiunge la programmazione di una rassegna teatrale per bambini e dei percorsi guidati alle mostre del Knos già in corso e in collaborazione con le scuole. Lavoriamo con e per le nuovissime generazioni, non solo perché abbiamo ritenuto fondamentale mantenere la destinazione formativa delle Manifatture Knos, ma anche perché pensiamo che il lavoro più importante e difficile sia quello con i bambini, i quali costituiscono il principale agente di rinnovamento all’interno delle famiglie”. Questa è la nostra prima buona notizia. Un augurio di buon lavoro agli amici del Knos. Un invito per i nostri lettori, tenetevi informati sulle iniziative in programma visitando il loro sito www.manifattureknos.org.

Uno spazio di 4mila metri quadrati abbandonato da più di dieci anni viene restituito alla città

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BUONE//NOTIZIE PERCORSI INFORMATIVI DI SICUREZZA ALL’ISTITUTO “BOTTAZZI” DI CASARANO

Un tour nel Salento per promuovere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro. I “PerCorsi” di PAZ nelle scuole e nei Comuni di_Michele Frascaro

Lavorare in sicurezza: un affare di tutti BRAINSTORMING

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a notizia è di quelle che non destano clamore e non occupano le prime pagine dei giornali, tranne in un caso: quando la quotidianità si trasforma in tragedia. Il tema della sicurezza sul lavoro torna alla ribalta in Italia solo quando avvengono stragi come quella dell’acciaieria di Torino, o dei cinque operai di Molfetta. Un bollettino di guerra, che si aggiorna puntualmente, ogni anno, ogni ora. La notizia che vi diamo non riguarda l’ennesimo morto sul lavoro, ma un progetto che sta compiendo un lungo tour nelle scuole e nei Comuni del Salento per parlare di cultura della sicurezza sul lavoro e di prevenzione. Parte dal Salento la controffensiva alle morti sul lavoro: in una terra dove, nel 2007, muoiono 18 lavoratori, dove il lavoro nero rappresenta ancora oggi la norma, la Cooperativa PAZ decide di investire risorse e tempo in un progetto di informazione e sensibilizzazione su queste tematiche. Nasce così “Lavorare in-sicurezza”, coinvolgendo, forse per la prima volta, tutti i soggetti interessati, sia in riferimento ai partner coinvolti (Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, categorie degli edili, Provincia, Inail, Spesal, Cpt, Scuola Edile, Ase Rlst, Provveditorato agli studi e 13 Comuni), sia in riferimento agli utenti del progetto stesso: gli studenti di dieci istituti tecnici della provincia, i lavoratori di domani, i cittadini, gli imprenditori. Il tutto con modalità comunicative moderne, come il brain storming che ha stimolato la produzione di idee e il confronto costante dei

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“Lavorare in sicurezza” vuole essere solo un contributo in termini di informazione e sensibilizzazione, su una tematica che deve coinvolgere tutti più giovani. Dietro c’è un lavoro approfondito, prodotto da una redazione giornalistica che, con l’apporto specialistico dei tecnici, ha realizzato una pubblicazione per gli studenti e per i cittadini coinvolti nei “Percorsi di sicurezza”. Intanto un altro staff, all’interno della Cooperativa, sta dando vita alla campagna di comunicazione che parlerà al territorio. Uno slogan su tutti, è quello che accompagna l’intero percorso di iniziative: “Lavorare in sicurezza: un affare di tutti”. Non c’è la presunzione, né la volontà, di sostituirsi all’attività di prevenzione istitu-

zionale, né tanto meno al ruolo di formazione delle scuole: “Lavorare in sicurezza” vuole essere solo un contributo, portato in punta di piedi, in termini di informazione e sensibilizzazione, su una tematica che deve coinvolgere tutti, a ogni livello. Un contributo anche alla verità, perché si sappia e si comprenda che la fatalità ha ben poco a che fare con le morti sul lavoro. Si muore in una fabbrica piuttosto che cadendo da un’impalcatura, semplicemente perché non si lavora in sicurezza. Lo hanno detto gli studenti: si muore per la fretta, per superficialità, ignoranza, per mancanza di regole, di controlli, per i soldi. Sono parole loro: “Il fattore economico prevale sul valore della vita”. Ogni anno le stime ufficiali parlano di un milione di infortuni sul lavoro: 2500 gli infortuni ogni giorno, quattro i morti. Il tutto ha anche un costo sociale per il Paese: 45 miliardi di euro. È per questi numeri, che nascondono tragedie e lutti, che ognuno, per il proprio ruolo, è chiamato a un impegno sociale: arrestare questa guerra. Un incidente sul lavoro non è fisiologico: in un Paese civile è inaccettabile che una persona muoia a causa del lavoro. E questo, prima ancora di diventare il punto di un programma elettorale, è bene che diventi un cardine della nostra cultura, un punto fermo per tutti: per chi oggi lavora e per chi domani si troverà in un cantiere o davanti a un macchinario. Nessuno si senta escluso, perché lavorare in sicurezza è un affare di tutti. Di tutti noi. www.lavorareinsicurezza.net


TITOLO APPROFONDIMENTO//APPROFONDIMENTO

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APPROFONDIMENTO//ROM, NOMADI PER FORZA

LECCE: CAMPO SOSTA PANEREO

Rom, nomadi per forza La storia della comunità salentina: di sgombero in sgombero, vent’anni all’insegna dell’emergenza e del disprezzo di_Melissa Perrone

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ono passati vent’anni dall’arrivo delle prime famiglie rom nel Salento, eppure sul piano delle politiche di accoglienza sembra di essere all’anno zero. Era il lontano 1988 quando la città di Lecce si misurò per la prima volta con la “questione rom”. Allora una ventina di persone, originarie di Podgorica (ex Titograd) e provenienti da Messina, si stabilì su un fondo privato al terzo chilometro sulla provinciale Lecce-Torre Chianca. Né luce elettrica, né acqua, né servizi per la piccola comunità, che arrangiò il suo accampamento alla meglio con vecchie roulotte e tende da campeggio. Resterà lì fino al febbraio del 1991, quando decide di avvicinarsi alla città occupando un vecchio stabile di proprietà comunale: le “Case Minime” di via Vespasiano Genuino, vicino al cimitero. Una sistemazione certo non ottimale, viste le condizioni fatiscenti dello stabile, ma quantomeno con un tetto e quattro


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mura. A fare il resto l’inventiva della comunità che, grazie alla cultura del riuso, riesce incredibilmente a rendere accogliente il posto, ad arrangiare un riscaldamento con vecchi bidoni che fungono da stufe e, in qualche caso, a dotarsi anche di energia elettrica grazie ad allacci volanti e non proprio ortodossi. Solo a questo punto il Comune si accorgerà della loro esistenza. Un’attenzione che si tradurrà in un’ordinanza di sgombero, con relativo spiegamento di forze, con il solo obiettivo di allontanare la comunità dal centro abitato. Nessun piano di recupero, infatti, per le abitazioni occupate, ma solo un repulisti a favore della città vetrina e benpensante. Arrivò poi il turno dell’ostello di San Cataldo. Abbandonato da tempo, ma sufficientemente lontano dalla città per non richiamare l’ira dei leccesi, viene scelto dal Comune come nuova destinazione per i Rom. Ancora una sistemazione di fortuna allora per una comunità che, suo malgrado, si vede trasformata in nomade, nonostante la sua storia nel paese d’origine fosse oramai fatta da secoli di abitazioni e città. Un tentativo dopo l’altro, sempre sull’onda di una presunta emergenza alimentata anche dai media locali che gridano allo scandalo e urlano di allarme sicurezza e decoro, si arriva fino al 1995: è solo allora che l’amministrazione si pone effettivamente e per la prima volta il problema di questi nuovi cittadini cui, per legge, viene e negata la possibilità di avere una residenza e dunque anche un facile accesso al permesso di soggiorno. Con una operazione di polizia in grande stile, alle prime luci dell’alba, sotto scorta e tra le proteste dei residenti, la comunità viene trasferita presso l’ex campeggio “Solicara”. Nasce così il primo, vero e ufficiale campo sosta del Comune di Lecce. Un intervento che risolve però solo in parte i molteplici problemi di questa comunità che nel frattempo,

ROM ALL’INTERNO DI CAMPO PANAREO

soprattutto dal 1991, in seguito ai fatti della Uno Bianca, si arricchisce di tante nuove famiglie. Se finalmente arriva una residenza ufficiale per la comunità, non si può dire infatti altrettanto di progetti di inserimento nel tessuto cittadino. Le famiglie rom, alcune delle quali composte anche da giovani nati e cresciuti in Italia, non vengono mai coinvolte e interpellate in merito alla possibilità di nuovi interventi. La parola d’ordine, al di là dei proclami, resta sempre allontanare il più possibile dagli sguardi dei leccesi. E il pregiudizio, in assenza di interventi istituzionali che vadano nel senso contrario, continua a farla da padrone. Un clima al quale i rom reagiranno con un atteggiamento di ostilità e chiusura che porterà, in qualche caso, anche a commettere ingiustificabili atti di teppismo nei confronti di abitazioni vicine al campo. Nel febbraio del 1998, poi, l’ultimo atto: campo Panareo. Qui le condizioni igieniche finalmente un po’ migliorano, ma i problemi di fondo continuano ad esistere. Il campo è pensato – anche sul piano ufficiale – solo per la sosta temporanea. Non è strutturato per essere luogo stabile di residenza. Basta poco, infatti, e la situazione scoppia: le fogne non reggono, d’estate è un forno e d’inverno si gela. Vent’anni, evidentemente, non bastano all’amministrazione per comprendere che la comunità Rom è in realtà stanziale. E se si pensa di investire fondi o a politiche ad hoc, si riesce a pensare solo ed esclusivamente a campi sosta. Le abitazioni, abbiamo deciso noi gaggè (i non rom), non le meritano ancora.

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Campo Panareo un progetto blindato da un milione di euro Riqualificare il Campo o tentare un superamento dello stesso? Le associazioni chiedono soluzioni definitive. Diritto alla casa e all’istruzione per le comunità rom che da anni vivono in Italia di_Francesca Garrisi

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di qualche settimana fa la notizia che l’Europa ha stanziato un milione di euro in favore delle famiglie che vivono a Campo Panareo. Data la cospicua somma in gioco, vien da pensare che dunque finalmente le loro condizioni di vita potrebbero sostanzialmente cambiare. E invece no. Perché tutto dipende dal modo in cui il Comune di Lecce deciderà di impiegare tali fondi. Una prima discussione in merito si è aperta nell’ambito nel Consiglio territoriale tenutosi recentemente in Prefettura, cui prendono parte Comune, Provincia, Asl, Iacp, le associazioni presenti sul territorio, nonché le rappresentanze delle comunità di immigrati. “È stata presentata una bozza di riqualificazione del Campo da realizzare attraverso i fondi stanziati dall’Unione Europea - spiega Katia Lotteria (Comitato per la difesa dei diritti degli immigrati)-. Da quanto si è saputo, prevede la sistemazione delle fogne e l’aggiunta di un certo numero di container standard, le cui dimensioni


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sono indipendenti dal numero di persone destinate ad abitarli”. Solo indiscrezioni in realtà, perché il progetto è blindato, non è dato conoscere il suo contenuto. Al momento, infatti, è in corso un bando di gara. Sono state presentate una serie di proposte che giacciono in busta chiusa, cosa che impedisce al Comitato e alle altre associazioni di prendere diretta visione per poi pronunciarsi in merito. Intanto il Comitato ha comunque avanzato una serie di considerazioni abbastanza critiche rispetto all’ipotesi stessa di impiegare i fondi dell’Ue per l’ennesima “riqualificazione” di Panareo. “In primo luogo - spiega ancora Katia - già l’idea di tenere ancora in piedi il Campo non ha ragion d’essere, in virtù del fatto che lo stesso è stato concepito originariamente con una durata circoscritta nel tempo. Inoltre, la vita al Campo implica inevitabilmente la ghettizzazione delle famiglie presenti al suo interno, impedendone la piena ed effettiva partecipazione alle attività lavorative e relazionali della società. Ad oggi infatti - continua - loro non sono in grado di usare la città, di rapportarsi ad essa con la consapevolezza dei diritti e doveri, proprio a causa della segregazione di cui sono vittime”. D’altra parte, proseguire con la ciclica riqualificazione di Panareo attraverso interventi occasionali, legati cioè esclusivamente all’esplosione di specifiche emergenze (quali, ad esempio, quella connessa alle fognature) comporterebbe l’ulteriore dispendio di cifre considerevoli di denaro pubblico, senza per questo offrire soluzioni congrue alle problematiche che quotidianamente le famiglie del Campo si trovano ad affrontare. Ed infatti anche queste ultime sono estremamente critiche rispetto all’ipotesi dell’ennesima, occasionale, bonifica del Campo, come pure i Laici Comboniani e lo Sportello Immigrati della Provincia. “Nel frattempo - spiega Katia Lotteria - il Comitato, insieme alle altre associazioni presenti sul territorio, ha avanzato una serie di proposte volte piuttosto a realizzare, rispetto all’esperienza di Panareo, la parola d’ordine superamento”. “È stata suggerita la possibilità di stipulare accordi con lo Iacp o altri enti - aggiunge Maria Grazia Simmini, Laici Comboniani - così da consentire alle famiglie del Campo di poter avere in affitto case popolari a equo canone. Inoltre è stata chiesta l’istituzione, in Prefettura, di Commissioni tematiche su questioni chiave quali quelle connesse alla scuola, al lavoro, alla sanità e alla casa. Per quanto riguarda l’obbligo scolastico ad esempio, sarebbe necessario che questo venisse effettivamente garantito fino all’istruzione superiore, cosa che adesso non accade”. Ad oggi, infatti, nella gran parte dei casi i ragazzi frequentano solitamente

fino alle medie. Per accompagnare adeguatamente i ragazzi del Campo nel loro percorso formativo, bisognerebbe quindi poter fruire del supporto di mediatori culturali. “In materia sanitaria - prosegue Katia - tra gli abitanti di Panareo c’è una scarsissima informazione, addirittura molti hanno paura di rivolgersi ai medici. Basti pensare che un ragazzo colpito da malattia polmonare è stato spostato in quattro ospedali diversi, neanche si trattasse di un pacco postale”. Per quanto riguarda la questione abitativa poi, bisogna sfatare l’ormai logoro luogo comune legato al nomadismo. “Infatti - ci spiega Katia - il fenomeno del nomadismo non appartiene affatto alle famiglie che risiedono nel Campo, ma piuttosto alla storia dei loro antenati, risale quindi a secoli fa”. La conferma arriva anche dagli stessi rom. Elvira e Antonella spiegano: “Tutti noi nella ex Jugoslavia abbiamo lasciato le nostre case per sfuggire dalla guerra e dalla fame. Alcuni tra noi (come la stessa Antonella, ndr) sono sempre vissute in Italia. Perché devono ancora considerarci nomadi?”. Dalle considerazioni delle associazioni, ma soprattutto dalle parole delle famiglie che vivono a Panareo, emerge dunque chiaramente una volontà di riscatto e pieno inserimento rispetto alle quali l’ennesima, occasionale bonifica appare del tutto insufficiente, oltre che penalizzante. “Nessun campo può essere buono”, continuano infatti Elvira e Antonella, che di campi certamente se ne intendono, visto che sono qui fin dagli anni 90. “Perché non possiamo avere delle case? Chiedono, “Non vogliamo per forza vivere tutti insieme, vogliamo soltanto poter avere delle abitazioni dove far vivere decorosamente i nostri figli, dove lavarli in un bagno al chiuso, senza rischiare di farli ammalare”. L’appello dunque è unitario: è necessario pensare ad un utilizzo diverso dei fondi pubblici, lavorando per moltiplicare le occasioni di inclusione e partecipazione. Un esempio di questo, come ci spiega Desi (mediatrice culturale presso lo sportello “Lecce Accoglie” e volontaria a Panareo), è stato infatti la massiccia partecipazione di donne e ragazze del Campo al corso d’informatica organizzato dallo Sportello immigrati della Provincia. l’impaziente 18 | 15 19


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FINE DELLA CORSA//APPROFONDIMENTO

Fine della corsa Da Gallipoli a Catania, in autobus e “a folle velocità”: lo denunciano tre autisti salentini secondo cui gli orari previsti dalla ditta sono impraticabili, sempre che si voglia rispettare il codice della strada di_Michele Frascaro

Agosto 2006. Marcello Rollo viene fotografato da un autovelox a Bagnara, mentre percorre a 90 km orari quel tratto della Salerno-Reggio Calabria dove la legge impone, invece, il limite di velocità di 80. Il verbale contestato alla ditta riporta una sanzione di 296,69 euro e due punti di detrazione sulla patente di guida. La ditta lo “gira” automaticamente a Marcello, chiedendogli di provvedere subito al relativo pagamento. Altrimenti, “come da consuetudine aziendale”, Marcello ha la possibilità di “dilazionare l’importo in quattro mensilità” (di 74,17 euro ciascuna), “trattenute direttamente” sullo stipendio. La ditta avverte anche che “in mancanza di un celere riscontro” avrebbe ritenuto “congruo l’importo della dilazione”. Come dire: se anche non rispondi alla nostra sollecitazione, sappi che noi ti togliamo comunque il relativo importo dalle successive buste paga. Marcello ancora oggi ripete: “È assurdo, prima ci costringono a fare le corse e poi ci dobbiamo pure pagare i verbali, e i punti sulla patente”. Da qui parte la rivolta, anzi, la decisione di “coalizzarci e rispettare semplicemente i limiti di velocità previsti dalla legge”.

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APPROFONDIMENTO//FINE DELLA CORSA I DUE AUTISTI LUIGI ROLLO E LUIGI VETRUGNO

La storia Marcello Rollo (45 anni), Luigi Rollo (50 anni) e Luigi Vetrugno (54 anni) sono tre autisti salentini, dipendenti della ditta “Paolo Scoppio & Figlio autolinee srl” con sede legale a Gioia del Colle. I tre erano addetti, fino al gennaio del 2007, alla guida di autobus di peso superiore ad otto tonnellate nel tratto Gallipoli-Messina (autolinea Gallipoli-Siracusa), linea extraurbana in concessione pubblica. Un percorso di circa 560 chilometri, i cui tempi di percorrenza sono rigidamente stabiliti in una tabella di marcia che prevede la partenza da Gallipoli alle ore 7.15 e l’arrivo a Messina alle ore 16 (dopo quaranta minuti di traghetto), e con tappa intermedia prevista alle ore 15.20 a Villa San Giovanni, luogo dell’imbarco. Orari, questi, convalidati dalla Motorizzazione civile di Bari. “Ma quel percorso – sostengono i tre autisti - matematicamente non si può fare in quegli orari, sia per i limiti di velocità imposti dalla legge, sia per i numerosi rallentamenti che si incontrano. Dovevamo fare le corse a tavoletta, a 100 km orari, anche su una strada dove non si può andare a cento. La Gallipoli-Maglie la facevamo via Alezio-Collepasso a 100 fissi, mentre il limite è 60 km orari”. I particolari spaventano: “Sulla Salerno-Reggio Calabria, scendendo da Roviano fino ad Altilia, sono circa 12 chilometri di curve bruttissime in galleria: noi le facevamo “sparate”, il pullman correva da solo in discesa, e i camionisti ci lampeggiavano, ci prendevano per pazzi. E tutto per non perdere il traghetto delle 15.20”. L’imPAZiente ha incontrato Luigi Rollo e Luigi Vetrugno, il primo da sette anni, l’altro da cinque alle dipendenze della Scoppio: “Prima fermavamo a Castellaneta, poi hanno deciso di mandarci direttamente a Messina e lì abbiamo visto che era necessario fare le corse per poter rispettare gli orari. Questo per sei mesi, da giugno fino a dicembre del 2006. Lo abbiamo fatto pure prima, ma mai siamo stati beccati dagli autovelox”. Luigi Rollo pare il più determinato e la sua foga contrasta con la pacatezza di Luigi Vetrugno: “Dopo quel verbale abbiamo deciso di rispettare i limiti di velocità per non incappare in altre decurtazioni dei punti sulla patente e degli stipendi; e così ci siamo resi conto che non riuscivamo a prendere nemmeno il traghetto delle 16.00, ma quello delle 16.40. Si arrivava a Messina con un’ora di ritardo, con lamentele dei passeggeri che conoscevano un orario che non si poteva mantenere”. Luigi è un fiume in piena: “Dopo due giorni di ritardo ciascuno, mio fratello (Marcello), senza contestazione e senza preavviso, è stato sospeso dal servizio: non ha trovato l’autobus nella rimessa di Nardò, dove solitamente si recava per prendere il mezzo. Dopo è toccato a noi”.

“Dopo il verbale abbiamo deciso di rispettare i limiti di velocità, per non avere altre decurtazioni di punti e di stipendi”.

tualmente condotto” e bolla il comportamento dei tre dipendenti come “sintomo di una grave negazione dei doveri contrattuali e di una altrettanto grave lesione dell’elemento fiduciario” che può causare “conseguenze disastrose per l’attività aziendale”, e per tutto questo dispone la sospensione cautelare dal lavoro, in attesa di giustificazioni che i tre lavoratori avrebbero dovuto produrre. I tre autisti allora si rivolgono ad un avvocato (Iuri Chironi): alla ditta dicono di non voler più piegarsi ad una consuetudine che, imponendo il sistematico superamento della velocità consentita per legge, li espone a sanzioni e, soprattutto, a gravi pericoli per la propria sicurezza e quella degli altri automobilisti. La ditta non ci pensa due volte e li licenzia. Forte del fatto che i tempi di percorrenza sono stati approvati dal Ministero dei Trasporti-divisione motorizzazione civile di Bari.

Dal licenziamento al reintegro I lavoratori si oppongono ai licenziamenti: i tre contestano gli orari previsti dalla ditta e autorizzati dalla Motorizzazione civile, e chiedono espressamente la verifica dei tempi di percorrenza “considerati i limiti di legge, i vari attraversamenti cittadini con conseguenti semafori, incroci, traffico, rallentamenti, deviazioni” ed eventuali imprevisti. I giudici del lavoro del Tribunale di Lecce danno loro ragione. Diverse sentenze, emesse tra marzo e luglio 2007, giudicano il licenziamento sproporzionato rispetto alla condotta dei lavoratori che “non si sono sottratti agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, essendosi attenuti ai limiti di velocità imposti dal codice della strada agli autobus di peso superiore ad otto tonnellate”, e cioè 50 km/h nei centri abitati, 80 km/h sulle strade extraurbane, 100km/h sulle autostrade. E poi sottolineano che se pure “i tempi di percorrenza della autolinea siano stati approvati dal Ministero dei trasporti-m.c. di Bari, l’ufficio provinciale può in qualunque momento prescrivere l’aumento dei tempi di percorrenza qualora ritenga che la velocità massima e commerciale non soddisfi le

Licenziati perché dannosi alla ditta Dapprima (il 6 dicembre 2006) la contestazione disciplinare, dieci giorni dopo il licenziamento. A tutti e tre gli autisti protagonisti della rivolta la ditta contesta “inspiegabili ed ingiustificati ritardi” nei primi giorni di dicembre “nell’arrivo a Catania del mezzo da loro abiLA SALERNO - REGGIO CALABRIA

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FINE DELLA CORSA//APPROFONDIMENTO

La sentenza del giudice del lavoro dispone il reintegro “nello stesso posto e nelle stesse mansioni”. Ma la realtà sarà molto diversa

esigenze di sicurezza del servizio e di incolumità pubblica e non risponda nel contempo alle esigenze del traffico”. Viene così disposto il reintegro per tutti e tre i lavoratori “nel posto di lavoro occupato e nelle mansioni svolte prima del licenziamento”. Dal reintegro al mobbing? La “Scoppio” non può che eseguire la sentenza e il 27 settembre 2007 comunica ai tre autisti l’avvenuto reintegro, ma con una sottile variazione: il trasferimento della residenza lavorativa. Motivo: la ditta sostiene di non gestire più la tratta GallipoliMessina. Per questo Marcello Rollo è spostato sulla tratta Barletta-Messina, Luigi Rollo sul servizio pubblico a Barletta e Luigi Vetrugno sui bus urbani di Gioia del Colle. I lavoratori si oppongono ai trasferimenti “perché finalizzati solo ad aggirare l’ordine di reintegro”. In realtà, dicono, “il disciplinare di concessione della linea Puglia-Sicilia vede ancora oggi la ditta “Scoppio” quale concessionaria della linea Gallipoli-

la storia

Com’è cominciata “Vi racconto di mio padre”

Tutto nasce all’Istituto tecnico Fermi di Lecce, al termine di un incontro organizzato dalla Cooperativa P.A.Z. per parlare agli studenti di sicurezza sul lavoro. Si avvicina un ragazzo: “Mio padre è stato licenziato perché voleva lavorare in sicurezza”. Giuseppe è il nome del ragazzo, il padre è un autista di autobus. Quegli autobus che, ogni giorno, percorrono la tratta da Gallipoli a Messina, costretti a corse infernali per rispettare gli orari previsti dalla ditta e approvati dalla Motorizzazione civile di Bari. Il padre di Giuseppe è stato licenziato, insieme ad altri due colleghi, perché a un certo punto della loro vita lavorativa, hanno deciso di rispettare i limiti di velocità imposti dalla legge.

Messina, unitamente ad altre società con essa in Associazione temporanea di imprese” (Ati). Questo vuol dire che in linea di principio la tratta Gallipoli-Messina sarebbe gestita ancora dalla Scoppio, ma insieme ad altre società collegate tramite l’Ati. Ma, di fatto, i lavoratori denunciano che “per sette anni, sistematicamente, ogni giorno, abbiamo guidato indifferentemente autobus della Interbus (una delle aziende collegate, ndr) e della Scoppio”. Luigi Rollo chiarisce: ”Io andavo la mattina con il pullman dell’Interbus e tornavo la sera con l’altro della Scoppio, e così il giorno dopo, partivo con la Scoppio e tornavo con l’Interbus. Da settembre non sarebbe più possibile. Questo vale, però, solo per noi”. “Tanto è vero che - denunciano i tre autisti - ancora oggi un autista della Scoppio a Messina guida, ogni giorno, solo i pullman dell’Interbus e li porta fino a Siracusa. Questo signore, dipendente Scoppio, nel momento in cui noi facevamo la nostra causa, non aveva contratto, lavorava in nero”. I lavoratori contestano “il più che sindacabile scambio di linee tra le società concessionarie in Ati” e ancora una volta si oppongono ai provvedimenti adottati dall’azienda. La sentenza di primo grado dà loro ragione, mentre in appello i giudici ribaltano il verdetto, accettando i trasferimenti, perché “l’azienda effettivamente non gestisce più la linea Gallipoli-Messina”. Venerdì 25 gennaio 2008 ancora novità. I tre autisti ricevono una lettera di trasferimento immediato. Luigi Rollo dai bus urbani a Barletta sulla linea ministeriale Barletta-Messina, così come il fratello Marcello; Luigi Vetrugno passa dal trasporto pubblico locale a Gioia del Colle alla linea ministeriale BarletLUIGI ROLLO ta-Messina, con conseguente cambio di residenza lavorativa. Ma la realtà dice ancora altro: “Ogni tanto - dice Marcello - mi fanno fare qualche corsa col bus scolastico, o faccio carburante al pullman”. Per di più gli stipendi arrivano col contagocce e “solo dopo varie ingiunzioni di pagamento”. l’impaziente 18 | 23


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Il lavoro che non nobilita “Partivo il lunedì mattina da Gallipoli, arrivavo lunedì sera a Messina e andavo a dormire a Catania – racconta Luigi Rollo – perché la ditta ci dava una stamberga fatiscente per dormire e dovevamo anche pagare noi. L’indomani dovevo ritornare, quindi partivo come passeggero da Catania fino a Messina, qui prendevo l’autobus e lo riportavo a Gallipoli, e quindi dormivo a casa. Il giorno dopo ero di riposo, quindi un’andata, un ritorno e un riposo. Così riuscivo a trascorrere due notti con la mia famiglia”. I trasferimenti imposti dalla ditta rendono tutto ancora più difficile. “Io dovrei dormire una notte a Messina e due notti a Barletta quindi affittare casa in ognuna delle due città - dice Luigi Rollo - mentre prima almeno due notti le passavo a casa mia. Mi trovo costretto ad abbandonare la mia famiglia perché non posso, una volta rientrato dalla Sicilia, mettermi in macchina e tornare da Barletta a casa, a San Donato. Con tutto quello che ne consegue. Ho una figlia che ha seri problemi di salute, con continue esigenze di cure e spostamenti. Mi stanno costringendo a licenziarmi”. Anche per Luigi Vetrugno questo trasferimento suona come una condanna: “Dopo 54 anni, dopo una vita sui mezzi, mi arriva questo trasferimento a Barletta che mi sconvolge la vita completamente”.

minuti di sosta per il pranzo. Con la verifica dei tempi risulterebbe che per fare tutto il tragitto Gallipoli-Messina, rispettando i limiti di legge e tutti i rallentamenti previsti, impiegheremmo più ore di quante previste dalla stessa Motorizzazione civile, per cui un solo autista non potrebbe farle da solo per legge, e quindi la ditta sarebbe costretta a prevedere un secondo autista per quella corsa. Io per sicurezza non posso fare più di nove ore di guida al giorno, anche sommando straordinari”. Rollo e Vetrugno hanno presentato vari esposti a tutte le possibili istituzioni interessate al caso, ma mai nessuna risposta. Dal 2000 chiedono la verifica dei tempi di percorrenza, forse oggi qualcosa si sta muovendo. Il Ministero dei trasporti ha risposto il 23 gennaio scorso ad una lettera scritta da Marcello Rollo nel novembre del 2007 in cui si richiedeva la verifica dei tempi di percorrenza. Stefania Spina, la responsabile del procedimento chiede all’Ufficio periferico del dipartimento dei trasporti terrestri di Bari “la verifica dei tempi di percorrenza, considerando la relazione tra i tempi assegnati e i tempi reali di percorrenza”. È un primo punto a favore di questi tre lavoratori che però sono perseguitati da un dubbio: “Ma se rientro, che devo fare? Devo correre o devo rispettare i limiti di velocità?”. A giudicare quello che fanno i colleghi “la storia rimane sempre la stessa”. “Stanno correndo, ma con quei tempi assegnati è naturale, altrimenti non arrivi in tempo per prendere il traghetto”. A chi interessa la sicurezza di questi lavoratori? E la sicurezza di tante persone che ogni giorno circolano sulle strade percorse da mezzi lanciati verso una folle corsa.

Il Ministero dei trasporti ha risposto a una lettera di Marcello Rollo. Qualcosa forse si muove

Qual è il senso, l’utilità di queste folli corse? Arrivando in tempo per prendere il traghetto delle 15.20, gli autisti faranno forse altre corse? Luigi Rollo: “Se io parto alle 7.15 e arrivo alle 15.20, secondo quanto previsto dalla tabella di marcia, per legge sforo l’orario di guida e, quindi, la ditta dovrebbe prevedere la presenza di un secondo autista. Per non pagare un’altra persona ci fanno fare queste tratte in tempi estremamente brevi”. Luigi Vetrugno è più completo: “Noi giornalmente dovremmo fare nove ore di lavoro, di cui un’ora di sosta. In realtà, durante il nostro lavoro, noi cercavamo di recuperare facendo solo venti 24 | l’impaziente 18


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Rubrica a disposizione dei Comuni salentini per promuovere attività e progetti di particolare interesse sociale

Corsano: legalità e trasparenza i punti cardine di Raona

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Giacca e cravatta, su un paio di jeans, il sindaco del Comune del Sud Salento rivolge attenzione soprattutto all’ordinaria amministrazione: “Alle cattedrali nel deserto preferisco l’impegno verso i cittadini”

a cura di Massimo Ferrari

Toscano in bocca e abbigliamento casual, Biagio Raona, primo cittadino di Corsano, esterna una naturale semplicità già rispondendo a chi fa notare l’importanza del suo ruolo: “Non mi sento, né sono importante”, esclama il sindaco togliendosi gli occhiali da sole mentre si prepara per essere intervistato. “Premetto - puntualizza, guardando a quanto fatto ad un anno dalla scadenza del mandato - che sono fortunato perché ho collaboratori molto validi. Purtroppo, le difficoltà sono tante, come in tutti i Comuni. Quando ci insediammo, facendo tesoro anche della precedente esperienza di assessore, dissi a consiglieri e giunta che ci sarebbe dovuto essere un impegno forte, da parte di tutti, ma non per fare chissà cosa, ma per l’ordinaria amministrazione. Secondo me è fondamentale. Sull’amministrazione straordinaria, spesso fatta di cattedrali nel deserto, io sono assolutamente contrario”. Sindaco, in un contesto nazionale di tagli agli enti locali, come garantite i servizi alla persona? “Con notevoli difficoltà. Nel corso del nostro mandato, abbiamo vissuto due anni di governo di centrodestra e due di centrosinistra; al di là del colore politico dei governi centrali, noi siamo molto attenti alla spesa. Un esempio. Il Comune, fino all’anno scorso, spendeva per il ricovero dei cani nei canili circa 47mila euro, per le persone solo 18mila. È un controsenso, è veramente pazzesco. Nel Sud Salento noi siamo stati tra i primi a sterilizzare i randagi e questo ci consente di rimetterli sul territorio, e risparmiare denaro da destinare alle persone”. Lei pensa che sia più facile essere un buon politico o un buon amministratore? “È più facile essere un buon politico. L’amministratore è il terminale, sempre a contatto con la gente. Si deve costantemente misurare con i problemi. Il politico no. Il politico

fa una scelta che finisce lì. Poi saranno gli amministratori a dire se è utile o meno”. Come giudica le primarie per individuare un rappresentante di partito o un candidato? “Io sono contrario alle primarie. In Italia sono solo di facciata. Non sono libere. Un partito grosso è chiaro che può condizionare le scelte. Invece, stando insieme, è facile individuare il candidato sindaco o altro, non perché sia il più bravo, ma perché è l’unico in grado di creare sintesi e mantenere l’equilibrio indispensabile per garantire la legislatura”. Qual è la principale richiesta avanzata dai cittadini più giovani del suo Comune, oltre al lavoro ovviamente? “Quattro anni fa i giovani lamentavano che a Corsano, a differenza di paesi come Tricase o Maglie, non ci fosse vita culturale. Per fortuna, diversi esponenti dell’amministrazione credono nella cultura. E possiamo dire di aver creato tanti eventi che hanno dato una risposta”. Crede che vada rivisto qualcosa sulla legge dell’elezione diretta del sindaco, considerato che spesso voi primi cittadini siete per così dire “ostaggio” dei vostri consiglieri? “È una domanda difficile. Il problema non è il consigliere o il sindaco. Io parto dal presupposto che la classe politica sia lo specchio della società. Anche i cittadini devono cambiare la loro mentalità. Specie qui al Sud. Si dice spesso: “Voto tizio perché mi garantisce determinate cose”. Non può essere sempre così. Nell’amministrare va tutelato il bene pubblico e non il bene del singolo”. Il progetto che le sta più a cuore, già realizzato o da realizzare. “Io non voglio parlare di opere, che pure abbiamo fatto. Parlerò del rapporto con i cittadini. Noi abbiamo fatto tantissimo affinché regnasse legalità e trasparenza. Questa è la cosa che mi sta più a cuore. Indipendentemente dal colore politico, stiamo governando Corsano andando incontro a tutti i cittadini, indipendentemente se hanno votato noi o altri. Trasparenza e legalità, questo è il progetto, ma soprattutto il messaggio che abbiamo cercato di infondere”.

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Rubrica a disposizione dei Comuni salentini per promuovere attività e progetti di particolare interesse sociale

Un crocevia di Popoli nel festival del Mediterraneo

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Dopo l’esperienza di “Mir preko nada” (Pace oltre la speranza), Cesario Ratano, oggi delegato corsanese alla Cultura, ha ideato e promosso l’importante progetto internazionale

RATANO CON IL SINDACO PALESTINESE DI BEIT SAHOUR

All’estremità del Salento, di Puglia e d’Italia, Corsano è oggi crocevia di culture e di Popoli. Il piccolo paese sudsalentino si sta distinguendo già da alcuni anni per le tante iniziative di carattere internazionale che hanno come filo conduttore Popoli, un progetto finanziato da Regione, Provincia, Unione dei comuni Terra di Leuca e Comune di Corsano, ideato e promosso dall’assessore alle Politiche culturali Cesario Ratano. Quest’anno la manifestazione è arrivata alla quarta edizione e si sta rivelando sempre più interessante, tanto da diventare una delle iniziative più importanti del territorio. Il festival, seppur giovane, trae spunto da precedenti percorsi. L’idea di coinvolgere i popoli del Mediterraneo in un progetto comune nasce nel 1993, quando a Corsano era attivo il movimento “Mir preko nada”, coordinato da Ratano. Il movimento è rimasto in attività per dieci anni: si è occupato dell’accoglienza presso famiglie della provincia di Lecce di centinaia di bambini bosniaci e croati, in fuga dai conflitti; ha promosso la firma della “Lettera dell’amicizia” tra la città di Osjek, in Croazia, e alcuni comuni salentini; si sono organizzate raccolte di aiuti umanitari per Bosnia e Albania; si sono prestati i primi soccorsi a centinaia di profughi che sbarcavano sulle coste del Capo di Leuca. Una volta diventato amministratore di Corsano, su quel bagaglio di conoscenze acquisite Ratano ha progettato Popoli. “È una straordinaria esperienza di incroci e contaminazioni culturali di genti dell’Europa e del Mediterraneo - spiega l’assessore – Essa può innescare meccanismi di vera e propria cooperazione internazionale non solo a Corsano, ma in tutti quei Comuni pronti ad ispirarsi a Popoli e a lavorare insieme. Il progetto ha il suo apice nel festival di agosto, con la partecipazione di importanti artisti stranieri, portatori genuini delle culture dei paesi di provenienza. Lo scorso anno abbiamo avuto la Big Da-

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vid’s Band, dalla Francia, le Las Migas, dalla Spagna, e Mounir Troudì, dalla Tunisia, oltre ai kenioti Michi Kenda ed al gruppo dei Mascarimirì di Claudio Cavallo, che è anche il direttore artistico dell’ensemble musicale”. “Popoli - continua Ratano - ha la sua sintesi proprio nel momento finale del festival, quando tutti i gruppi suonano insieme, dando vita ad un’orchestra unica, come unici sono anche i ritmi e le melodie che improvvisano in ensemble”. Ma il progetto non prevede solo gli appuntamenti corsanesi. La kermesse si sposta poi in Tunisia, ad El Jem, per la collaborazione con il festival internazionale Decouvert21. Il tema di quest’anno sarà l’acqua e particolare attenzione sarà rivolta a quelle popolazioni che ne soffrono la mancanza. La data clou è prevista per il 3 agosto, quando Popoli esploderà in tutta la sua bellezza. Ma la manifestazione estiva ha anche altri momenti collegati. “Abbiamo una forte collaborazione con la Provincia di Lecce, altri comuni e associazioni - aggiunge Ratano - con i quali ci siamo impegnati nel comitato pro Nairobi e nel progetto sulla Coltura e cultura dell’ulivo in Palestina e Israele; facciamo parte di una rete di partenariato internazionale con città di Francia, Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca, Croazia, Armenia, Palestina, Tunisia e Marocco; ci siamo fatti coinvolgere nell’organizzazione dei viaggi del treno della memoria ad Aushwitz; abbiamo realizzato una prima fase di scambio di giovani con la città di Romans in Francia e due giovani di Corsano sono stati chiamati dalla stessa città a fare un corso di cartapesta, per insegnare oltre confine la tecnica della realizzazione dei carri del carnevale corsanese”. E se Popoli è il filo conduttore di tutte queste iniziative di “politica estera”, Corsano ha anche la sua parte di “politica interna”. E Ratano, anche nel ruolo di delegato all’Ambiente, ci tiene a sottolineare i diversi pro-


COMUNI//IMPAZIENTI

PIAZZA SAN BIAGIO, CORSANO

getti in corso, in stretta collaborazione con altri assessorati. “Negli ultimi decenni - premette l’assessore - il paese ha perduto quasi tutto il patrimonio storico urbanistico, per colpa di politiche insane che hanno inseguito un fantomatico progresso. Ora siamo impegnati nel recupero di quanto è possibile salvaguardare. Sicuramente questo assessorato può ritenersi importante, specie per un paese che vuole proiettarsi nel futuro con progettualità nuove e investimenti nel campo culturale, che nell’immediato possono sembrare poco fruttuosi, ma sono la base per la crescita della collettività, a cominciare dai bambini e dai giovani. Corsano è un paese che macina idee alle quali prestiamo attenzione e collaboriamo: vedi il bellissimo festival canoro De Finibus Vocis organizzato dai fratelli Scarcella, la sagra agreste della Pro Loco, il ventennale di Radiovenere con Cristicchi e lo stesso Carnevale di Corsano, dal mio punto di vista, il migliore della provincia di Lecce per la qualità della cartapesta e dei carri allegorici. In altri settori, siamo partiti prestando attenzione al decoro urbano e alle periferie, riqualificando la zona 167, rileggendo il verde pubblico; siamo impegnati nella tutela dell’ambiente con un costante controllo del territorio, anche se molto ancora resta da fare in termini di educazione e rispetto ambientale. La cultura l’abbiamo intesa in senso strategico, da qui la denominazione di “Politiche culturali”, che permettono di spaziare in più direzioni con un comune denominatore fatto di conoscenza finalizzata alla crescita personale e collettiva, recupero dei beni storici e naturalistici, per la loro fruibilità. Interventi notevoli hanno riguardato la ristrutturazione della biblioteca e il progetto per

il recupero e la valorizzazione dell’archivio storico comunale, ma anche i lavori sulla costa, con la riqualificazione di “Canal del rio”, “Guardiola” e “Funnu Vojere”, fino alla valorizzazione della sentieristica e della rete di tratturi della “Via del sale”; con il diradamento di un’estesa pineta, maldestramente piantata dieci anni fa in una zona ricca di flora autoctona che rischia l’estinzione. Ma cultura - evidenzia ancora Ratano - è anche conoscenza dell’uomo e delle sue diversità etniche, culturali, religiose, sociali e politiche”. Per l’assessore dunque “conoscenza e rispetto arricchiscono chi li pratica. È infantile pensare di crescere restando chiusi nel proprio piccolo. Il nostro primo atto amministrativo è stato quello di dichiarare Corsano “Città per la Pace”, quale simbolo forte e impegno concreto a promuovere la cultura della pace e dei diritti umani. Corsano è uno dei primi Comuni di Puglia ad aver adottato la ”Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale”, con l’impegno ad attuare una politica che renda i giovani protagonisti delle scelte che li riguardano. In un mondo globalizzato come il nostro, ogni popolo dipende dall’altro ed ogni uomo e donna sono strettamente legati alle storie di altri uomini e altre donne. La pace si può raggiungere solo permettendo l’incontro fra culture diverse, perché la conoscenza fa superare i pregiudizi, valorizza le differenze e innesca meccanismi di solidarietà e di fratellanza. Un mondo in cui la pace è possibile chiude Ratano - si costruisce dal basso, dal coinvolgimento delle piccole realtà che si possono interfacciare in modo sincero, senza alchimie politiche, permettendo il trasferimento dei saperi”. MOUNIR TROUDI A POPOLI

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BOTTA//E RISPOSTA

ABORTO=OMICIDIO?

CHIEDETELO ALLE DO NNE Per alcune settimane si pensava potesse rappresentare il tema cruciale della campagna elettoral e, e invece, dopo un mome nto di discreta impennata , le parole e le idee, pro o co te dietro il duello dei son ntro, si sono dissoldaggi. Le prime pagine dei giornali, più che riemp ite da colonne di testo, sembrano attraversate da colonnine di mercurio: un punto in su, un punto giù, quasi a voler misurare il livello di attenzione alle questioni che interessano il Paese attraverso una feb brile corsa al consenso diffuso. Per un consenso quanto più ampio possibile, un argomento come la po ssibile modifica alla legge 194, quella che dal 1978 regola in Italia la tutela sociale della maternità e l’in terruzione volontaria di gravidanza, risulta tropp o delicato e rischioso pe r essere amplificato e analizz ato con profondità. E allora, fuori dalle reg ole voga del momento, che me della cronaca più in tte al centro volti noti e che dà molto spazio ai sor risi a trentadue denti dei leader politici e poco ai mu si induriti delle persone che vivono, con la propri a esperienza quotidiana, i cambiamenti sociali, l’imPA Ziente sceglie di dedicare questo “Botta e rispo sta” a chi voce non ha. Qual è l’opinione di chi no n ha megafoni alla bocca e telecamere puntate? Le donne comuni, quelle che non militano in politi ca che non vogliono apparire, abitualmente o mai e co che le riguarda così dirett sa pensano di un tema amente? L’imPAZiente le ha cercate per strada, dav anti gresso di scuola, nei corri ai supermercati, all’indoi dell’Università. Commesse, studentesse, ins egnanti, casalinghe: son o state tante a rispondere a due semplici domande attraverso cui si aprono campi di indagine molto complessi. Da una parte si è tentato di misurare la percezione e la reazio ne riguardo a un dibattito che di fatto, ancora og gi, tarda a coinvolgerle in prima persona. Dall’altra abbiamo cercato di capire quanta informazione c’è tra le donne di ogni età e grado di istruzione riguar do a uno degli aspetti fon damentali della normativa vig dignità e della libertà della ente: il “rispetto della donna” (art. 5 L. 194/78).

LE DOMANDE 1 • L’ABORTO È OMICIDIO? 2 • IN CASO DI GRAVIDANZA O INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA, CHI PENSI CHE POSSA AIUTARTI? di_Carmen Tarantino 28 | l’impaziente 18


BOTTA//E RISPOSTA

NI 26 AN ESSA COMM

no a tre ando lo si fa. Fi so di qu e nd pe di i po no, è il ca • “No, per me la legge, non è omicidio. Se se dovesse mesi, come dice o, perché no. Alla mia età, lema, dirt bo pr un ob ricorrere all’a a, non sarebbe nt ci in e mbino. Se ar st re di salute del ba soltanto: avvenire di ne io iz nd co lla e pende anche da di questo, si rischia di soffrir o nt co ne tie si non mbino”. io e anche il ba lio di lei nessuno”. eg m a, m • “La mam

NI 27 AN TE POLACCA BADAN

la, trovo qui da so a straniera mi nn ”. do io id e ic m co om • “Anche se e è sempre un l’aborto per m abortito qui senza famiglia, mia età hanno lla de e er ni ra e st miglia, ma poi • “Molte ragazz nfronti della fa iglia invece co i ne na og rg in Italia, per ve che a distanza di anni. La fam iche si , an ntana. Le mie am ico ad lo si sono pentite è se e ch an om utarti, r un aiuto econ può sempre ai e al ragazzo, pe pr m se lte vo ri sono . clinica privata” abortire in una

I 50 ANAN NE T N E IN PENSIO INSEGN

e sempre esipre esistita e ch sociale, sulla m se a, ic ag tr altà a • “No. È una re re conto da un punto di vist zionale posra ne ù te pi i o cu od di m à, l ster rvenire, ne te in di o cioè che tante at o, rc at a in pass ev quale si è ce ed cc su e ch za fatta presso quello sibile, evitando per l’interruzione di gravidan odo che ro ebbe fare in m tario, vr do si donne morisse , le vi ci un Paese vista sani le mammane. In ero tutelate da un punto di ss te ci arrivano fo en e m te, evidente queste donn el sc te es qu a no ibile”. perché, se arriva e meritano tutto l’aiuto poss no chiamate o so rt he ffe lic so bb o pu rie in mod strutture sanita i istituzionali”. le te en am ur ic nt re • “S n vedo altri refe a intervenire, no

NI 74 AN NGA CASALI

n per. Se la salute no n vota vi lla de e nz circosta rché no • “Dipende dalle za credo di no, se lo fanno pe ”. io an id id ic av ritengo om mette la gr figlio, allora sì, lo amma, no?”. gliono avere un cerdote forse. Oppure la m sa • “Non lo so, un l’impaziente 18 | 29


BOTTA//E RISPOSTA

23 ANSITNAIRIA DAMS UNIVER

NI CEO CLASSICO 17 AN NTESSA LI STUDE

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so, soio in nessun ca id ic om è n no è una ra• “No, trovarsi incinta respona se o tt tu at pr la ia età: non ha né gazzina della m eno credo sia il caso di om sabilità né tant quello che penso io, in r Pe a. el rs prende ona adulta a e se è una pers avidanza, ch an , so ca ni og gr nterruzione di decidere per l’i arsi omicidio”. er non è da consid ssi di tenere il bambino, de ci de so ca • “Nel perlo prima dovrebbero sa abortire, ri to ni ge i ie m i di ti, se decidessi o poi. Altrimen amente a chi rivolgermi, er non saprei sinc ari mi consulterei con ag m te en lm inizia ”. he ic am lle de

e mentre si casi. Se succed n cui si • “Dipende dai on una pers a co avanti n co ia or st a ha un rtare perché non po sta bene, allora bbe un omicidio in quel re la gravidanza? Sa In ambiente universie. m o nd co siano dei caso se so, però, che ci es sp ta pi ca o tari tare a una onali, può capi rapporti occasi età di restare incinta, ma ia e chi è ragazza della m n sapere neanch granno di , la so re di esse e una ti casi è sempr il padre. In ques decidere, ma alla fine lità de responsabi rovini anche la vita con si a un e ni casi credo ch prevista. In alcu n no za an id av una gr o”. va bene l’abort edo, al personale di un , cr ei er i informa• “Mi rivolg r avere maggior . Anche pe o, ri to consulto or ab gimento dell’ zioni sullo svol data più volte nei conan se, io ci sono i diversi e meno gravi, e iv ot m r nfuse di sultori, pe n le idee più co cerchi, co ta ci us e ne sono ch li ig nno i cons prima: non ti da soddisfacenti secondo to ol volgersi a non sono m e meglio che ri me. Ma è sempr di gravidanza, un parere so ia famiglia un’amica. In ca mpre, ma la m se e rv se o ic med ”. lta sicuramente sarebbe coinvo


BOTTA//E RISPOSTA

24 ANNI

MILITARE

• “Dipende dall’interpre tazione: io sono dell’idea che se una donn a è troppo giovane e non se la sente di affrontare una gravidanza deve avere la libertà di scegliere. Diversamente sarebbe un gran problema per la propria vita e per il bimbo . Nel mio caso ad esempio, un a gravidanza mi costringerebbe a interr ompere l’attività e sarebbe un casino. Qu indi è una scelta molto personale, anche se dal punto di vista morale si può consi derare un omicidio. È meglio pensare pri ma a non restare incinta”. • “I miei genitori, solo la famiglia”.

26 ANNI

UNIVERSITARIA SPECIAL IZZANDA • “No: è uguale a scelta, a scegliere se mettere al mondo una cre atura oppure no, ma non è un omicidio. In nessun caso”. • “Sicuramente la prima persona a cui lo direi sarebbe un’amica, sol tanto per avere un appoggio immediato. Dovendo decidere di abortire, penso che mi rivolgerei a un ginecologo di fiducia. Se non lo avessi, penso che mi riferirei a un consultorio che ritengo sia la str uttura pubblica di riferimento anche pe r le ragazze che come me si trovano in una città che non conoscono”.

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FUNZIONARIA UNIVERS ITARIA • “Sì, direi di sì, perché son o nessuno può provarlo, nas convinta che la vita, anche se ca nel momento in cui l’o vulo si incontra con lo spermato zoo”. • “Intanto le persone a no i più vicine. Esistono, sì,d ei consultori; tra gli amici, ci son o persone più illuminate, ma, nel momento in cui la perso na ha dei dubbi forti sulla decisione da prendere, ritengo che stessa: è un tipo di scelta la risposta si trovi solo in se troppo personale, che si di decidere di avere un tratti figlio o di interrompere una gravidanza, le conseguenze psicologiche sono molto pesanti. Può essere paradossalm ente dannoso rivolgersi all’esterno, perché potrebbe ori entar veramente convinti e che e a una scelta di cui non si è ,una volta fatta, è irreversi Anche i condizionamenti bile. che possono arrivare dai genitori non sempre coincidono con i voleri della figlia”.

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BOTTA//E RISPOSTA

86 ANNI

ASTROFISICA uguale a omicidio? Margherita Hack, per lei aborto è zione in cui le donne “Ma certamente no, l’aborto è una situa rtimento. D’altra dive un o cert si trovano costrette, non è ire seriamente è la preparte, quello su cui occorre interven cruenti come la pillola o venzione: oggi esistono metodi men colata, dovrebbe esseosta così re RU 486 che, invece di esse rebbe essere fatta più re diffusa. Allo stesso tempo, poi, dov . zze” educazione sessuale tra le raga il dibattito, ampliSecondo lei a che cosa è finalizzato ta oggi? sen ficato dai media, così come si pre un ritorno indietro spa“Da parte della Chiesa cattolica c’è si stia tornando al Meventoso, con Papa Ratzinger mi pare fede deve prevalere la dioevo. Dichiarare, ad esempio, che pi di Galileo. E poi ci tem ai e rnar sulla scienza, significa rito ara, che, non si capisce sono questi personaggi, come Ferr a antiaborto: gli atei pagn cam per quale ragione, iniziano una Stiamo assistendo a un devoti sono dei gran voltagabbana. rio e retrivo. E purtropmovimento fondamentalista, reaziona c’è un atteggiamento tra sinis di po da parte anche dei politici e, che inviti la Chiesa di debolezza: manca una risposta fort faccende sue e a non delle a stare al suo posto, ad occuparsi si dichiara laico”. che e Paes un di interferire sulla politica ta di appelli come il Oggi rinasce, anche sotto la spin volgere le donne coin le suo, un movimento che vuo di reagire con forza. della società civile, a cui si chiede le energie sufficienti Secondo lei ci sono i numeri e lia? tag per affrontare questa bat essere libere delle pro“Ma io penso di sì, le donne devono è che possono decideprie scelte e del proprio corpo, non one che comunque pers o inali card re per loro dei vecchi 32 | l’impaziente 18

in un Paese civile vuol non hanno i loro problemi. La libertà donne. Donne che, dire anche libertà di scelta da parte delle e a disposizione le aver però, vanno messe in condizioni di ento che ci sono, per soluzioni meno traumatiche, dal mom operare le proprie scelte”. AZiente dimostraLe donne intervistate dall’imP che rivendicare, un più , arsi cur no una volontà di assi dichiarano, in magdiritto alla scelta; d’altra parte si diritti e poco fipri pro dei gioranza, poco informate he e al loro funblic pub e ttur stru alle duciose rispetto dovrebbero che e zionamento. Quelle stesse struttur a 194. È d’accordell e zion lica garantire la corretta app do con questo sentire comune? pubbliche e i con“In molte regioni le strutture sanitarie ma ci sono grandi e, ben no iona funz sultori in particolare gnerebbe intanto che i differenze da un luogo all’altro. Biso e poi, insisto, occorre ero davv i consultori funzionassero tutt anche a scuola”. one enzi prev la per fare più formazione ta l’obiezione di valu Da donna di scienza lei come o casi denunson Ci ? dici me coscienza da parte dei à dei medici si diciati di consultori in cui la totalit chiara obiettore. consultorio ci fosse al“Bisognerebbe che per legge in ogni vorrei vedere quanti meno un medico non obiettore. Poi in realtà l’intervento o ican prat tra questi medici obiettori sto sì che andrebbe Que . loro casa a to di aborto a pagamen verificato e controllato”.


TRUFFA ALLO STATO//APPROFONDIMENTO LA SEDE DELLA CHEVIN

I

488: cronaca di una morte annunciata Negli ultimi 5 anni, a Lecce e provincia, sono state denunciate 187 persone per truffa con la legge 488/92. 102 milioni di euro i contributi percepiti illecitamente, 2659 i posti di lavoro promessi, 619 le assunzioni di_Gianluca Marasco

l ministro Bersani in un’intervista del gennaio scorso è stato categorico:“Non voglio più sentir parlare della legge 488. Basta, la chiudo. È superata!”. Negli ultimi anni, al Sud, i finanziamenti derivanti dalla 488/92 hanno creato più problemi che soluzioni. Più delinquenza che legalità. Concepita per distribuire contributi a fondo perduto e a tassi agevolai alle aziende che promuovono programmi di sviluppo e incremento dell’occupazione nelle aree depresse del paese, solo negli ultimi sei anni ha bruciato 50miliardi di fondi straordinari, per metà europei, in migliaia di progetti senza capo né coda. Nei prossimi sei anni la cifra salirà a 100 miliardi, ma stavolta “non si dovrà più finanziare la vertigine da lusso che ha accecato tutti, ma l’essenziale, l’accrescimento del ‘capitale socialè, non quello della singola impresa” ha ribadito Bersani. La storia della legge 488 così giunge all’epilogo non prima di aver evidenziato i nervi scoperti dell’imprenditorialità meridionale, destinataria dei finanziamenti europei e nazionali per lo sviluppo fin dal 1994. Davvero ricco il diario tutto salentino dello spreco di denaro pubblico, ricostruito sulla base dei dati fornitici dalla Comando della Guardia di finanza di Lecce.

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APPROFONDIMENTO//TRUFFA ALLO STATO

“Se i finanziamenti fossero stati impiegati in modo lecito in questa provincia avremmo un’economia ben più florida”

Spreco made in Salento Negli ultimi 5 anni a Lecce e provincia sono state 187 le persone denunciate all’autorità giudiziaria, 38 quelle tratte in arresto. Ben 102 milioni di euro i contributi percepiti o usati illecitamente dalle aziende. Al giugno 2006, sulla base dei “business plan” (i piani di investimento da presentare all’atto dell’istanza di finanziamento pubblico) delle aziende indagate, i posti di lavoro previsti nel complesso erano 2659. Ma sono state solo 619 le unità effettivamente assunte con una differenza di 2040 posti di lavoro in meno. “Un segno chiaro di quanto queste attività frodatorie perpetrate da alcuni criminali, imprenditori disonesti, possono aver nuociuto alla nostra realtà socioeconomica” afferma il comandante provinciale della guardia di finanza, colonnello Michele Dell’Agli. “Se i finanziamenti fossero stati impiegati in modo lecito in questa provincia avremmo un’economia ben più florida”. I dati relativi a tutte le forme di finanziamento pubblico allo sviluppo, nella sola provincia di Lecce, dicono che su 1332 concessioni nei due PON 94-99, 2000-06, ne sono state integralmente revocate 231 (il 17,34 percento) e di queste, il 31 percento in seguito ad indagini della guardia di finanza. In soldoni 231 frodi fanno oltre 80 milioni di euro su un totale di 557 milioni. Ciò vuol dire che non tutto il tessuto imprenditoriale salentino è malato, ma 80 milioni di euro truffati e 2040 posti di lavoro non creati, per una terra come la nostra arsa dalla disoccupazione, non sono pochi. Fanno la differenza. Gli eventi Tutto parte dal 2001. Dai 4 interventi della Guardia di Finanza di quell’anno si arriverà ai 18 interventi del 2004 e a 14 interventi nel 2005. Una crescita molto rapida data dalla scoperta di intrecci e sistemi di società a scatola cinese. Le inchieste madri delle truffe alla 488 sono quella sull’azienda Che.vin di Rocco Antonio Chetta a Lequile e sull’albergo fantasma di Santa Maria di Leuca della società Half Moon di Gianfran34 | l’impaziente 18

i numeri

La truffa in cifre I dati della GdF

Negli ultimi 5 anni sono state fatte 72 indagini in materia di truffe alla 488, nelle quali sono state riscontrate 142 violazioni dell’articolo 640 bis del codice penale, che punisce la frode alle agevolazioni, insieme ad altre di carattere penale, tributario e societario che quasi sempre si accompagnano alle frodi. co Lunetta. Dalle notizie apparse sulla stampa locale è emerso che Chetta avrebbe emesso false fatturazioni per dimostrare investimenti necessari ad ottenere i contributi richiesti. Lunetta, invece, avrebbe deciso di costruire una Beautyfarm da sogno con un investimento pari a 63 miliardi di vecchie lire e 400 posti di lavoro. Lunetta, nel 2002, risentito “degli ostacoli burocratici”, acquistò una intera pagina del Corriere del Mezzogiorno per pubblicare una lettera aperta al sindaco del Comune di Castrignano del Capo. Dimentico, forse, che su quei terreni non avrebbe potuto mai costruire nulla poiché sottoposti a vincolo paesaggistico e che, quindi, la concessione edilizia di cui si faceva forte e sulla base della quale aveva intascato i fondi della 488 era palesemente illecita. Il processo ai due inizierà il 2 aprile prossimo e vede coinvolta un’altra figura di spicco della professionalità locale: il super consulente Gianfranco Napolitano, uno dei maggiori specialisti della legge 488/92. Proprio Napolitano fa da trait d’union con altre inchieste in corso. È stato consulente del patron del gruppo Mixer Media Paolo Pagliaro, che nel 2001 ottenne per RadioRama un contributo di 959 milioni di lire con una pratica della legge 488: dalle indagini svolte dalla Guardia di finanza emerse che alcune apparecchiature televisive sarebbero state acquistate sborsando una somma minore rispetto a quella che si evince dai documenti contabili allegati alla domanda presentata per avere accesso ai benefici previsti dalla legge. Pagliaro, in seguito, restituì quanto,


TRUFFA ALLO STATO//APPROFONDIMENTO

secondo la Procura, era stato percepito illecitamente, e ora è in attesa che un processo chiarisca definitivamente la vicenda. Lo stesso Napolitano sarebbe indagato (fonte Il tacco d’italia on line del 7.11.06) insieme ad altre dieci persone per tentata truffa in concorso: secondo l’accusa costituirono 10 società il giorno stesso in cui richiesero finanziamenti allo Stato per 80 milioni di euro complessivi, società “fantasma” in quanto prive di strutture e di reddito d’imposta, necessari per richiedere i finanziamenti. Attraverso la sua società di consulenza, la “Servizi Italia”, Napolitano deteneva il 50 per cento del capitale sociale di ogni sodalizio .

IL COMANDANTE PROVINCIALE GDF LECCE COL. MICHELE DELL’AGLI

Altri luoghi, altri personaggi Il 25 maggio 2006 viene arrestato un altro nome noto del panorama industriale salentino, l’ex-vice presidente di Confindustria Lecce, Vincenzo Benisi. Con la sua Megatex Srl di Melissano, spacciando per nuovi macchinari usati, avrebbe ottenuto 2 milioni di euro tramite la legge 488/92, per produrre le calze che non puzzano, le cosiddette “calze del futuro”. Soldi poi restituiti. Restano zone di terra e capannoni vuoti a Nociglia, paese in cui sarebbe dovuto sorgere un polo industriale con un finanziamento, tramite la 488, di quasi dodici milioni e mezzo di euro e altri 8 milioni di fondi “Pia innovazione”. Un’opera che avrebbe dovuto offrire lavoro a ben 460 persone. Nel novembre 2007, invece, l’accusa di associazione a delinquere per undici persone, tra cui l’imprenditore toscano Renato Padovano, per una della più grosse truffe mai messe a segno nei confronti dello Stato e dell’Unione europea. Un mese dopo la stampa locale riporta la notizia dell’ennesima truffa, sempre in relazione a indebiti finanziamenti della 488: a

Corigliano d’Otranto vengono sequestrati tre capannoni e diversi macchinari del Gruppo Corvaglia per una somma complessiva di 15 milioni di euro; anche qui il sospetto di aver spacciato per nuova, strumentazione usata, o averla fatturata a prezzi superiori rispetto al reale valore. Infine, il non plus ultra. Svelata da un articolo de Il Sole 24 ore del novembre 2000, la nota faccenda Texma srl dell’imprenditore parmigiano Rodolfo Marusi Guareschi, disposto, bontà sua, al trasferimento della sede della società da Varese a Gallipoli (in zona archeologica!), capace di un aumento di capitale in un batter d’occhio da 50 a 1000 miliardi, della contemporanea creazione di 452 imprese, per investire oltre 22.000 miliardi nel povero Mezzogiorno, garantendo (sic) “un milione di nuovi posti di lavoro”. Stranamente tutti i 452 progetti di investimento sono identici e, pur cambiando il settore di attività, ciascuna delle 452 imprese dichiara di voler investire 49,9 miliardi, chiedendone 11,9 di contributo pubblico.

A Nociglia doveva sorgere un polo industriale. Con 460 nuovi posti di lavoro. La realtà è fatta di terreni incolti e capannoni vuoti

NOCIGLIA: ZONA INDUSTRIALE

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APPROFONDIMENTO//TRUFFA ALLO STATO LA SEDE DELLA GDF A LECCE

“La responsabilità del consulente tout-court si accerta quando non si limita alla consulenza ma effettua una compartecipazione all’opera criminosa”

I meccanismi per truffare La logica della 488 è quella della partecipazione dell’imprenditore all’investimento, al “rischio” per l’ampliamento e l’innovazione dell’impianto: i progetti non vengono mai finanziati al 100 percento con risorse pubbliche ma per quota parte. Allora che ti fa l’imprenditore? Organizza un aumento fittizio di capitale sociale “mediante falsificazioni delle scritture contabili dell’azienda e con operazioni bancarie di copertura. Molto spesso un primo passaggio della frode era proprio questo” spiega il Comandante Dell’Agli. “Basta effettuare versamenti ripetuti sul conto bancario dell’azienda. In realtà versamenti e prelevamenti a catena di una medesima somma, giustificati, dal lato dei versamenti, come sottoscrizione di capitale sociale o finanziamento soci e, dal lato dell’uscita, come pagamento di beni o servizi funzionali alla realizzazione dell’investimento”. La legge 488 eroga i fondi a partire da una graduatoria a punteggio stilata sulla base di alcuni parametri quali la creazione di posti di lavoro o le certificazioni di qualità ambientale degli impianti. E allora, altro stratagemma usato era quello delle false attestazioni ambientali da parte di organismi di certificazione inesistenti o compiacenti, e false fatturazioni di costi della certificazione mai sostenuti. O ancora: documentare come nuovo acquisto un macchinario usato, la sovrafatturazione della realizzazione delle opere murarie, degli impianti e dei capannoni. Proprio i capannoni sono spesso le uniche cose che realmente si costruiscono. Andando in giro può capitare di trovare molti capannoni industriali vuoti, perché per ottenere la prima tranche dalle banche concessionarie bisogna dimostrare un primo stato di avanzamento dei lavori. Queste le condotte fraudolente. Ma per fare tutto ciò è necessario conoscere bene le leggi, saperle interpretare. Cose da specialisti, insomma. Il ruolo dei consulenti Il comandante Dell’Agli dice: “Nel Salento finora non abbiamo individuato intrecci tra il mondo delle truffe alla 488 e la criminalità organizzata di stampo mafioso o attività di carattere usurario, come in Sicilia e Calabria. Ma collegamenti con forme di criminalità economiche: false comunicazioni sociali, reati 36 | l’impaziente 18

tributari, societari o di altra natura, violazioni della normativa antiriciclaggio. Chi gestisce il tutto? Chi mette in relazione tra loro imprenditori, periti, funzionari di banca, amministratori pubblici e politici al fine di organizzare una truffa? Chi fa da base d’appoggio e trova sul territorio i prestanome per gli imprenditori del nord (milanesi, bresciani, fiorentini, parmigiani) che speculano con i fondi destinati al Mezzogiorno? È emerso dapprima in Sicilia ed è giudiziariamente accertato, il ruolo chiave di certi consulenti aziendali, professionisti esperti in finanziamenti pubblici. “Il consulente è in grado di aiutare l’imprenditore ad affrontare difficoltà amministrative e giudiziarie. Così come può agire in modo corretto, consigliare bene, può anche agire illecitamente – afferma Dell’Agli -. La responsabilità del consulente toutcourt si accerta quando non si limita alla consulenza ma effettua una compartecipazione all’opera criminosa”. È questo il caso di Gianfranco Napolitano? “Tutto è sub-iudice” risponde il colonnello dell’Agli che spiega “l’ipotesi è che abbia assunto la regia di certe operazioni fraudolente e abbia fatto da tramite tra i diversi attori coinvolti nelle truffe”. Lo Stato risponde Dal 2001, di fronte al forte danno economico e d’immagine nei confronti dell’Unione europea, lo Stato italiano ha impresso una svolta in direzione di una maggiore trasparenza, attraverso una vasta azione repressiva da parte della guarda di finanza. Già un anno prima, su sollecitazione di una direttiva comunitaria, era stata adottata una norma sul sequestro cosiddetto “per equivalente”. Se prima si poteva sottoporre a sequestro solo il bene o l’utilità direttamente frutto del reato stesso, oggi si sottopone a sequestro e poi si confisca un bene o un’utilità equivalente alla somma provento dell’illecito. Una garanzia per lo Stato che, in qualità di garante nei confronti dell’Ue del buon fine dei finanziamenti, è obbligato in caso di mancato utilizzo, alla restituzione dei fondi frodati. Ora lo Stato, può rivalersi sui colpevoli di truffa e non rimanere gravato del debito verso l’Ue. Parte il nuovo ciclo di fondi europei, quelli del 2007-2013. Gli ultimi. Avremo imparato a sfruttarli a dovere e a non sprecarli? Avremo imparato a fare gli imprenditori, e non gli imbroglioni?


DIRITTO D’AUTORE//APPROFONDIMENTO

Diritto D’Autore Un ostacolo al Diritto allo Studio? Sono molti gli universitari che giurano di essere obbligati dai docenti a comprare i loro testi. Si tutelano le attività culturali o gli interessi di imprese editoriali? di_Marco Leopizzi

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novembre, Guardia di Finanza e Siae hanno operato in due copisterie di Lecce l’ennesimo sequestro di testi fotocopiati. Destinati per lo più agli universitari, gran parte dei quali ricorre alle fotocopie per l’impossibilità di sostenere le spese abnormi dei volumi originali. Difficoltà che determina un indebolimento del diritto allo studio, sancito dalla Costituzione (artt. 3; 34) e dalla legge 390/1991 sul diritto agli studi universitari. Poco prima di Natale, un docente della facoltà di Economia è stato accusato dai propri alunni d’avergli requisito le fotocopie di un suo libro di testo. L’associazione studentesca Udu, forse un po’ platealmente ma in modo certo efficace, s’è presentata in aula chiedendo spiegazioni direttamente al docente (il video lo trovate su www.impaziente.org). Il professore ha sostenuto d’aver più volte richiamato in passato gli studenti e di averli pregati di comprare il libro. Una serie di avvenimenti sta riporl’impaziente 18 | 37


APPROFONDIMENTO//DIRITTO D’AUTORE

tando l’attenzione sul tema del diritto d’autore e della relativa legge 633/1941 che stabilisce la tutela della creatività e della giusta remunerazione per l’autore come presupposti indispensabili per la promozione e l’incentivazione dell’attività artistica e culturale. La questione investe in pieno anche il mondo universitario e dello studio tout court, come s’è visto. In base a questa legge, infatti, il professore di Economia ha formalmente ragione. Il limite massimo delle pagine fotocopiabili di un volume è del 15 percento. Dunque, fotocopiare l’intero testo è un illecito, perché lede il diritto d’autore. Peraltro, il problema è perfino amplificato per gli studenti di beni musicali e dello spettacolo, che ai libri affiancano spesso dischi e video, ovviamente non riproducibili, e spartiti, per i quali non è neanche concesso il 15 percento di fotocopie. D’altra parte nessun regolamento obbliga lo studente a studiare sul testo indicato dal docente (che è testo “consigliato”), tanto meno a comprare il libro, potendolo invece prendere in prestito dal compagno o da una biblioteca. Eppure sono molti gli studenti, specie di Scienze della formazione, che giurano di essere obbligati da alcuni docenti a comprare i loro testi e a firmarli, in modo da impedirne perfino il prestito. Se le lamentele degli studenti fossero fondate, i professori di Scienze della formazione agirebbero, certo, in modo altrettanto illecito. Bisogna comunque rendere merito alla maggior parte dei docenti dell’Università del Salento, che agisce in piena regola e spesso, anzi, viene incontro agli studenti. Fatto salvo il concetto ispiratore della legge, dunque, ad essere da tempo criticata è la sua formulazione, che ha di fatto spesso ostacolato la diffusione delle opere, anch’essa necessaria a remunerare ed incoraggiare. La legislazione, infatti, non ha quasi tenuto conto finora delle esigenze del pubblico, subordinata, invece, a corporazioni quali Siae (Società italiana autori ed editori) e Fimi (Federazione industria musicale italiana), tese a garantire gli interessi delle imprese editoriali e discografiche, celandosi dietro la favola della tutela dell’autore. Il problema è oggi più che mai ineludibile, a causa dell’enorme sviluppo delle tecnologie (dalla fotocopiatura ad internet). Una prima risoluzione del problema sarebbe, dunque, il prestito, ma è purtroppo solo parziale. Le biblioteche sono spesso fornite di un’unica copia dei testi ed il compagno, si presume, altrettanto. Anche un’eventuale copia digitale da scaricare gratuitamente sarebbe contra legem. Uniche soluzioni, dunque, sono: l’autorizzazione volta per volta dell’autore, dell’editore e dei curatori a riprodurre gratuitamente libri, spartiti e dischi, o eventualmente il rilascio di tali

la normativa

La legge 633

proteggere il diritto d’autore Prevede la facoltà dell’autore di un’opera (letteraria, musicale, pittorica, fotografica, scientifica, didattica, etc.) di autorizzarne o vietarne la riproduzione e l’utilizzo, ed il contemporaneo diritto al compenso per ogni uso. A questo si collega una serie di diritti connessi, relativi ai soggetti (produttore, editore, esecutore, etc.) che a vario titolo partecipano alla creazione dell’opera e che, di conseguenza, acquistano a loro volta la facoltà di autorizzare/vietare ed il diritto ad un equo compenso.

opere in regime di copyleft (fantascienza spielberghiana); o un’iniziativa del legislatore per estendere le eccezioni al diritto d’autore, per finalità di studio, all’intera opera e non solo ad una parte. Pochi mesi fa sembrava avvicinarsi simile soluzione. Il Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore s’apriva ai membri di Frontiere digitali e, quindi, ad una rappresentanza dei fruitori. Ma, ad ora, l’unico risultato è stato il famoso comma 1-bis che la legge 2/2008 ha aggiunto all’art. 70 della legge 633/1941, grazie alla proposta della Commissione cultura della Camera dei Deputati, presieduta dall’on. Pietro Folena (PRC). Il comma 1-bis estende le eccezioni al diritto d’autore a internet, permettendo «la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche», ma vincolandola all’uso «didattico o scientifico» e alla qualità delle opere («a bassa risoluzione o degradate»). Il giudizio sul comma è ancora sospeso, si aspetta il decreto del Ministero per i Beni e le attività culturali che definisca i livelli di degradazione delle opere ed i siti autorizzati a pubblicarle. Ma la paura che questa sia solo una beffa è più che fondata. Sul sito di Repubblica, il 31 gennaio scorso, si leggeva una dichiarazione di Enzo Mazza, presidente Fimi: «La legge non ci preoccupa perché sappiamo già come sarà il decreto che fisserà i paletti. E per uso didattico si intenderanno solo i siti che si occupano ufficialmente di didattica, quindi istituzioni accademiche. Nemmeno i siti personali di professori». La domanda nasce spontanea: Come fa Mazza a conoscere già il contenuto del decreto? Un particolare ringraziamento alla Prof.ssa Valentina Marangi

per saperne di più

Sul web

Consigli utili in rete www.siae.it www.dirittodautore.it www.fimi.it www.interlex.it www.puntoinformatico.it www.frontieredigitali.it www.creativecommons.it 38 | l’impaziente 18


DIRITTO D’AUTORE//APPROFONDIMENTO

“Tutelare troppo significa condannare alla sparizione” Ricercatori, insegnanti e professionisti costantemente alle prese con i limiti della 633/1941. Intervista a Roberto Giuliani, docente al Conservatorio di Roma di_Marco Leopizzi

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a legge sul diritto d’autore ostacola anche l’attività degli studiosi. Ricercatori, docenti e professionisti del mondo dei beni culturali sono costantemente alle prese con i limiti, ormai insostenibili, imposti dalla 633/1941 (LDA). Roberto Giuliani è docente di Storia della musica per didattica presso il Conservatorio di Roma, collaboratore scientifico della RAI e della Discoteca di Stato, membro del comitato del progetto SIdM Musica nel 900 Italiano, e docente di Discografia e Videografia Musicale e di Filologia del Restauro dei Supporti Sonori presso l’Università del Salento. Secondo Giuliani “per motivi di studio dovrebbe essere possibile fotocopiare e masterizzare tutto”. La LDA garantisce la libera riproduzione di parti di opere per finalità di studio. Tuttavia sussistol’impaziente 18 | 39


APPROFONDIMENTO//DIRITTO D’AUTORE

no gravi ostacoli al lavoro di restauro e studio delle fonti musicali. Ce li può illustrare, assieme agli eventuali danni causati al patrimonio artistico? “La normativa non distingue un successo di Sanremo, destinato a grossi guadagni, da un’esecuzione di una musica rara, magari di decenni fa, che interessa un ristrettissimo mercato. La copia per finalità di studio non consente la diffusione di un patrimonio delicato e deperibile. La commercializzazione della musica classica, antica e contemporanea consente al più di coprire gli sforzi di produzione, per non parlare dei costosi interventi di restauro. Tutelare eccessivamente questo materiale significa condannarlo al disinteresse e alla sparizione, soprattutto per i nastri magnetici l’invecchiamento corrisponde alla sparizione della documentazione sonora”. La recente aggiunta del comma 1-bis all’art. 70 della LDA fa molto discutere, in particolare per gli aggettivi “a bassa risoluzione” e “degradate”. Come possono adattarsi tali misure agli scopi didattici e scientifici citati dallo stesso articolo? “L’abitudine di ‘sporcare’ le copie ad uso di studio per evitarne la commercializzazione è usanza non nuova, certo si pone per questi oggetti artistici un problema di ordine estetico, la musica dovrebbe essere ascoltata alla sua qualità massima”. In che modo dovrebbe intervenire il legislatore per garantire, fatto salvo il diritto d’autore, le attività di studiosi e studenti, e la conseguente salvaguardia del patrimonio artistico italiano? “Per motivi di studio dovrebbe essere possibile masterizzare tutte le musiche e IL PROFESSORE ROBERTO GIULIANI

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fotocopiare tutti i libri, non solo perché gli studenti non hanno un reddito sufficiente, ma anche perché dovremmo incitarli ad ascoltare e leggere il più possibile. Quando saranno ricchi dottori sarà giusto che acquistino i prodotti di mercato, ma qui stiamo parlando di strumenti di studio. Per quanto riguarda la salvaguardia, l’esistenza in più copie al mondo di una registrazione ne evita la sparizione (facile in caso di copia unica) oltre a favorirne la diffusione”. Nella legislazione inglese il diritto d’autore si estende fino a 50 anni dalla pubblicazione dell’opera. In Italia fino a 70 anni dopo la morte dell’artista. Qual è il senso di una durata così lunga nel nostro Paese, visto che solo pochissime grandi star ne trovano vantaggio? “Ben lungi dal voler tutelare il diritto dell’autore, l’estensione tutela ormai i figli, i nipoti e i pronipoti dell’autore, il che, francamente, mi sembra troppo. Se posso capire, da un punto di vista etico, che i figli di “geni”, che probabilmente hanno avuto da questa condizione non solo vantaggi ma anche problemi, possano essere “risarciti”, non credo che questo possa valere per tutte le generazioni a venire”.


COME UN BAMBINO//REPORT

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Come un bambino Lo scorso anno, in occasione del WSF svoltosi a Nairobi, l’imPAZiente ha conosciuto Longhinos, un ragazzo di 22 anni con la passione per la videocamera e il racconto. In questo numero il suo primo report da Korogocho di_Longinos Nagila*

a mia prima visita a Nairobi fu nel 1989, quando mio padre trovò un lavoro presso l’amministrazione comunale come addetto alla sicurezza, cosa che gli avrebbe permesso di provvedere ai bisogni della sua famiglia senza allontanarsi da noi. Mia madre lavorava in un panificio a Busia. Lasciò il lavoro quando papà fu assunto. Io avevo tre anni. Busia è una piccola città nel Kenya occidentale, al confine con l’Uganda. All’epoca era diversa da adesso. Le uniche tribù che conoscevo erano i Kalenjin e i Baganda dell’Uganda. La convivenza con le altre tribù era un qualcosa di positivo perché io, da piccolo, ho potuto imparare che non c’erano differenze anche se si parlavano dialetti etnici differenti. Ma si giocava assieme. Ho imparato poche parole dai Kalenjin, come “chamige? Mising” (“Come stai? Bene”) e in cambio ho insegnato loro qualche parola della mia tribù, il tutto in perfetta armonia. Ma a Nairobi ho scoperto che esistevano molte più tribù di quelle che conoscevo io. Ho incontrato i Luos dalla provincia di Nyanza, i Kikuyus dalla provincia centrale e i Kambas dell’est. Ho fatto amicizia con loro senza correre alcun rischio. Giocavamo assieme, mangiavo con loro, quando mia madre non c’era loro si prendevano cura di me. A Korogocho ci sono più di 15 tribù, le più grandi sono i Luos, i Kikuyus e i Luhl’impaziente 18 | 41


APPROFONDIMENTO//COME UN BAMBINO

IN ALTO: MESSA NELLA PARROCCHIA DI ST. JOHN; A DESTRA LONGINOS E LA PRESIDENTE DI HUIPALAS; IN BASSO: ALL’INTERNO DELLA BARACCOPOLI

il conflitto etnico non faceva parte del nostro vocabolario. Eravamo un’unica famiglia

Quella zona era stritolata dalla povertà, ma c’era la vita e la potevi vedere negli occhi della gente

yas. Così ho dovuto per forza adattarmi a questo sistema di socializzazione. La vita a Korogocho era diversa da Busia. A Busia un monolocale carino con l’acqua è fatto di mattoni e malta. I bagni erano sempre puliti e non c’era spazzatura in giro. A differenza di Korogocho e altri slums in Kenya o ovunque nel mondo, qui io noto una grande differenza; nessuno si preoccupava di costruire fogne per questi poveri contribuenti, le case erano fatte di qualunque materiale di recupero disponibile. Di pezzi di latta, plastica, fango, e non c’erano strade da utilizzare in caso di necessità. Quella zona era stritolata dalla povertà, ma c’era la vita e la potevi vedere negli occhi della gente, nella loro ospitalità e nel rispetto verso gli altri. Certo c’erano anche episodi spiacevoli ma non erano così clamorosi, se qualcuno faceva qualcosa non si guardava alla sua appartenenza etnica, e la soluzione era proporzionata all’accaduto. Feste e celebrazioni univano la gente, c’era una squadra di volley formata da elementi di tutte le tribù e ne andavamo fieri, eravamo un solo Korogocho, un unico popolo unito nella sventura. E anche se c’era povertà, la vita era dura per tutti, con i prodotti carissimi e i salari bassi, ma amore e unità dava42 | l’impaziente 18

no alla gente una ragione di vita. Io ero un Luhya che viveva in armonia con le altre tribù, ma la nostra etnicità non veniva sbandierata, il conflitto etnico non faceva parte del nostro vocabolario. Eravamo un’unica famiglia. La famiglia di Korogocho. E non c’erano solo kenioti a Korogocho, ma anche europei. Korogocho stava diventando multiculturale e multi-razziale. Padre Alex Zanotelli, un missionario italiano, viveva con noi. Lo incontravo ogni giorno quando andava al Centro Muruku della discarica di Dandora e a sera ritornare con una borsa sulla spalla a far visita ai malati. Lui era un eroe per questa comunità, tutti lo conoscevano, lo amavamo, la gente lo andava a trovare e la sua porta era sempre aperta a tutti. I bambini lo salutavano quando lo incontravano e spesso lo accompagnavano gridando “Hawa yu” (“How are you?”, Come stai?). *Longinos Nagila è il nostro corrispondente da Korogocho, studia, grazie ad uno sponsor, al Buru Buru Institut di Nairobi, vuole diventare un artista e dipinge le nostre pergamene solidali. Il report è stato tradotto dall’inglese da Huipalas.


COME UN BAMBINO//APPROFONDIMENTO

Elezioni/conflitto etnico 1992

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el 1992 per la prima volta dall’indipendenza in Kenya si sono avute elezioni con più partiti politici. Si respirava l’aria da campagna elettorale, io ero emozionato. Le donne scrivevano canzoni per i loro leader; e ovunque si sentivano slogan e canzoni. Ogni mezzo di comunicazione era buono per raggiungere le masse. La lotta politica diventò un’abitudine per noi. La democrazia era un fatto positivo. C’era un’immagine che catturava i miei occhi, il disegno di un leone che mangiava un pollo. Il leone simboleggiava il partito FORD mentre il pollo il partito KANU. Era sarcastico. Fu durante la campagna elettorale che scoppiarono le violenze. Al supposto attacco ad un gruppo di politici e sostenitori del Ford da parte di giovani Somali e Borana del partito Kanu seguì un’ondata di omicidi e violenze. Due tribù etniche si stavano combattendo; dalla mia prospettiva la violenza aveva una prospettiva tridimensionale: politica, etnica e religiosa. I Luos sostenevano i Ford e la maggior parte di loro sono Cristia-

ni mentre i Borana e i Somali sostenevano i Kanu a maggioranza islamica. Ho visto un uomo con gli intestini tra le mani dopo essere stato accoltellato. La pace che questa comunità aveva conosciuto era svanita; l’amore che la teneva unita si era trasformato in odio. Tutti contro tutti, le porte dell’odio erano state spalancate. Ci siamo stretti all’etnicità e abbiamo dimenticato l’unità. Le donne venivano violentate, non c’era né ordine né giustizia e le persone erano assetate, assetate del sangue dei propri fratelli e sorelle. I confini tra i Lous, i Somali e i Borana erano stati tracciati. La violenza era esplosa in molte zone del Paese e in particolare nelle zone di confine. Per una settimana ci fu tensione ovunque e la gente viveva nel terrore di essere attaccata dalla tribù avversaria, il Kenya era lacerato dall’etnicità. I negozi erano chiusi per paura dei saccheggi, non era sicuro camminare per strada e si restava chiusi in casa. Poi arrivò la polizia con le pistole e i gas lacrimogeni. C’era calma ma non pace, per quanto tempo la polizia poteva continuare a presidiare le strade? La pace non si ottiene con pistole e gas. La via della pace è il dialogo. Padre Alex fece da mediatore. Prima invitò i leader religiosi per un dialogo di pace e poi i partiti politici; Luos, Borana e Somali si incontrarono nella St John Catholic Church. Si organizzarono preghiere interreligiose e molte persone vi parteciparono. Poi ci lavammo le mani sporche di sangue con un segno di pace e

Tutti contro tutti, le porte dell’odio erano state spalancate. Ci siamo stretti all’etnicità e abbiamo dimenticato l’unità

LA PERIFERIA DI NAIROBI

Per quanto tempo la polizia poteva continuare a presidiare le strade? La pace non si ottiene con pistole e gas. La via della pace è il dialogo

LONGINOS CON LA SUA VIDEOCAMERA

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APPROFONDIMENTO//COME UN BAMBINO

da quel giorno sotterrammo la nostra etnicità. Padre Alex offrì a tutti una piattaforma per allargare la mente e parlare con calma. Alex parlava sempre di non-violenza attiva per risolvere i problemi. Ci dava gli esempi di Martin Luther King e di Gandhi, il padre della non-violenza. Così fu firmato un accordo di pace e la vita tornò ad essere di nuovo normale. Durante ogni elezione in kenya si registra un tasso di violenza quasi sempre indirizzato verso una determinata comunità. Solo nel 1992 non vi furono casi di violenze serie. Spesso è l’insicurezza che scatena la violenza etnica a Korogocho. Nell’aprile del 1994 dopo la chiusura delle scuole, a Ngunyumu fu linciato un uomo sospettato di essere un ladro. Il giorno dopo fu identificato e si scoprì che era di Grogan. Ngunyumu è dei Luos mentre Grogan dei Kikuyu. La sera iniziarono gli scontri tra le due parti e durarono tre giorni e tre notti. Come sempre ci furono dei morti, delle case bruciate e dei feriti.

Chi è Huipalas L’Associazione Huipalas è un organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus) apartitica, con sede a Mesagne, le cui attività sono rivolte al perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale, ai sensi dell’art. 10, D.Lgs.4 dicembre 1997, n. 460. Huipalas (dal nome della sciarpa con i colori della pace), ha come finalità quella di promuovere e attuare programmi di cooperazione con i Paesi in Via di Sviluppo, selezionare e formare personale tecnico da inviare nei PVS, promuovere programmi di cooperazione anche in collaborazione con le agenzie e le organizzazioni internazionali, sviluppare la solidarietà tra i popoli ed educare ad uno sviluppo sostenibile. L’associazione nasce a Mesagne ad opera di un grupDaniel (nella foto accanto) po di volontari che è orfano di entrambi i gedopo un’esperienza nitori, con 4 fratellini più di volontariato in Africa, presso la bapiccoli che deve sostenere, raccopoli di Korogosogna di diventare ottico. cho, a Nairobi, hanno Studia grazie al contributo deciso di contribuire e aiutare i missionari del Comune di Andria che che in quelle zone ha aderito alla rete solidale dedicano la vita ai Huipalas. Per questo Huipa- popoli africani. Attualmente l’associalas cerca altre adesioni zione è impegnata a completare l’adesione delle amministrazioni comunali alla Rete Solidale per i Sud del mondo. I progetti attualmente in campo ci vedono impegnati a sostenere la scuola informale di Korogocho (baraccopoli di Nairobi), fortemente voluta da padre Alex Zanotelli e oggi curata da padre Daniele Moschetti e padre Paolo Latorre. Oltre la scuola informale che ospita circa mille bambini, sosteniamo un centro di recupero per bambini di strada che sniffano colla, e prevediamo l’adozione di trenta bambini orfani. Siamo presenti sul territorio di Brindisi e di Lecce svolgendo diverse attività interculturali che mirano a formare una coscienza civica e una cittadinanza terrestre, collaborando con le scuole, le parrocchie e le diverse associazioni attive nel sociale. Info e contatti: Maria Antonietta Pignataro, Presidente Huipalas via A. Gramsci 19, recapito telefonico 0831.737911; cell. 3479349967 email: huipalas@libero.it Per sostenere i nostri progetti: cc postale N. 66909268 banca etica cc N. 512620 CAB 12100 ABI 05018 CIN Q


TITOLO APPROFONDIMENTO//APPROFONDIMENTO

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cultura musica

Amour fou La nuova stagione del rock a cura di Coolclub

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abato 15 Marzo la rassegna Keep Cool, curata da Coolclub, approda alle Manifatture Knos di Lecce con il concerto degli Amour fou, una delle band italiane più ispirate di questa stagione. Il gruppo nasce dall’incontro fra Alessandro Raina (cantautore ed ex voce dei Giardini di Mirò), Cesare Malfatti (La Crus, The Dining Rooms), Leziero Rescigno (Soul Mio) e Luca Saporiti (Lagash). Il loro album d’esordio La stagione del cannibale è un viaggio fra Londra, Parigi e Berlino. Una scrittura che omaggia Battisti, Tenco, Radiohead, Notwist e Blonde Redhead. Ne abbiamo parlato con Alessandro Raina voce e una delle anime del progetto. Un gruppo dei gruppi verrebbe da dire, come vi siete incontrati? Non esageriamo. Sicuramente ho avuto la fortuna di collaborare con artisti (prima i Giardini di Mirò ora alcuni componenti dei La Crus) di cui ero da tempo un fan. Ci siamo incontrati fra un concerto e l’altro, ma musicalmente ci ‘frequentavamo’ già. Amour fou e si pensa subito a Breton, alla cultura francese, quanto di questo immaginario è nella vostra musica? Senza timore di apparire forzatamente “colti” abbiamo fatto nostro un concetto diffusissimo nella cultura francese, semplicemente perché è il più efficace per definire precisamente una delle tante manifestazioni dell’amore nella storia, forse la più diffusa. L’amour fou è stato celebrato in tantissime opere non solo francesi, al di là di quelle omonime di 46 | l’impaziente 18

Rivette e Breton, e nel nostro piccolo abbiamo cercato di aggiungere un contributo in più, sicuramente attualizzato ma al contempo molto legato a una stagione già passata. La stagione del cannibale racconta una storia, due vite, un paese e nasce da un incontro fortuito e fortunato, ce lo racconti? È andato tutto come si narra nelle note stampa del disco. Ad una festa ho incontrato due persone con cui mi sono ritrovato a parlare del passato dell’Italia e di Milano, scoprendo che erano stati amanti e si erano lasciati il giorno della strage di piazza Fontana, evento a cui sono legato per varie ragioni storiche e non. Un tempo innamorati si sono persi e ritrovati decenni dopo, ma se da amanti incarnarono tutto il bello e il fragile di un idillio da separati hanno sposato le molte facce dell’individualismo finendo col rimuovere (o quasi) ogni legame reciproco. Questa transizione – personale e storica- dall’innocenza del sogno al cinismo del disincanto mi ha impressionato moltissimo e fatto riflettere


cultura musica Baustelle Amen

sugli ultimi quarant’anni della nostra società civile. Ci sono due anime perfettamente in equilibrio nel vostro progetto: la musica e i testi. Come comunicano tra di loro? Questo disco è nato a sprazzi, trovando la sua identità solo verso la fine, quando ci è parso chiaro che sia musicalmente che narrativamente il tutto andava a comporre un piccolo affresco. Le canzoni sono uscite molto velocemente, e credo che questo sia dovuto da un lato all’aver trovato in fretta una modalità efficace per esprimere tanto il mio immaginario quanto il colore della mia voce (che ad oggi non è certo versatilissima) e dall’altro alla chiarezza di intenti che io e Leziero abbiamo sempre mantenuto nel comporre e arrangiare i brani. Il rock che incontra la canzone d’autore è un po’ la sintesi che usano per descrivervi, credi sia una strada da percorrere per svecchiare la nostra musica senza dimenticare da dove veniamo? Io credo si debba essere coerenti ed onesti. Chiedersi se davvero, nel marasma di proposte, sia lecito chiedere al pubblico un po’ del suo tempo e dei suoi soldi per ascoltare le proprie creazioni. Credo che un artista debba essere consapevole delle ragioni profonde per cui pubblica un’opera. Da sperimentare è rimasto poco e l’urgenza creativa è ormai paravento di tanti, troppi secondi fini. Non pretendiamo di svecchiare nulla. Siamo consapevoli delle nostre radici musicali, dei nostri modelli tanto quanto delle diverse sensibilità che ci colpiscono nel panorama internazionale. Del passato rivendichiamo sicuramente un modo di intendere la musica, slegato dal calcolo manageriale o dalla furberia proprio perchè totalmente piegato alla passione pura, che non è certo nello scrivere e pubblicare un disco cercando pensando di aver trovato la formula del successo, ma nel prendersi cura di un suono, nel continuo studio, nel passare notti ad arrangiare una partitura di piano o nel rivedere un film alla ricerca di una soluzione. Abitudini che sembrano meno diffuse di un tempo. Osvaldo Piliego

Warner Quarta fatica di studio per l’oramai terzetto originario di Montepulciano (Fabrizio Massara ha lasciato la formazione dopo La Malavita). Un album che vince per netto distacco sui precedenti: il più compiuto, maturo, completo. Un lavoro che decanterà lentamente e che fra 10 anni verrà indicato come uno dei manifesti della storia pop italiana. C’è tutto per creare il culto Baustelle, dalla cura (anche estetica) del dettaglio, alla personalità di Francesco Bianconi che convince sempre di più ai testi (e sempre meno alla voce) alla straordinaria Rachele Bastreghi che non a caso appare presente come non mai alla voce e che è protagonista del miglior pezzo dell’intero album, quella Dark Room che ci auguriamo diventi un singolo. Gemme su gemme in album che, nonostante le sue 15 tracce, presenta ben pochi momenti di stanca. Su tutte Baudelaire, pronta a fare la storia; umorismo nero e menzione meritoria anche per Spaghetti Western. L’iperproduzione caratteristica dei Baustelle “multinazionali” viene qui utilizzata come uno strumento per mescolare senza timori le varie influenze che hanno caratterizzato il gruppo, soprattutto quel gusto per il tropicalismo che diviene poi, un po’ a sorpresa, la cifra distintiva di questo “Amen”. Bravissimi. Dino Amenduni

Stateless Stateless

!K7 Records Cosa succede nel prendere ciò che di meglio ha prodotto la musica made in UK negli ultimi anni? Risposta: Stateless. La band originaria di Leeds mostra un originale maestria nel saper dosare gli elementi più propri del pop-rock, con in mente soprattutto Radiohead e Coldplay, e dosarli con l’elettronica di Bristol (Massive Attack e Portishead). Folgorato dalla band addirittura Dj Shadow, che li ha voluti a tutti i costi nel suo ultimo album come ospiti e durante l’ultima tournee degli Unkle come gruppo spalla. Ma gli Stateless non sono un minestrone dove si mescola tutto questo. La band infatti incorpora questi elementi per portarli su binari originali e creare un proprio linguaggio musicali che, infine, risulta distaccato dagli elementi da cui era partito. Prism #1 colpisce subito per le vorticose scale di pianoforte e per le struggente voce del cantante Chris James, l’elettronica minimale di Exit dà i brividi, Bloodstream ricorda i migliori Massive Attack con un cantato capace di far piangere,This Language è drammatica e appassionante. La chiusura del disco è affidata ai sette minuti di Inscape, crepuscolare, buia, triste ma avvolgente. Un disco bellissimo, capace di lasciare un solco nell’anima di ogni ascoltatore e di portarlo in luoghi a volte deprimenti, ma sicuramente splendidi. Giuseppe Lisi

Burning seas Extract Album

promo CD+DVD Un passo alla volta, senza fretta, questi ragazzi sono arrivati a forgiare uno stile personale e credibile, giusto punto d’incontro tra schemi derivati da consistenti applicazioni di tecniche di old school thrash, nu & death metal e schegge di techno-metal a delinearne i contorni (ma questo, forse, lo sapevate se vi è già capitato di ascoltare il loro precedente materiale). Arrivano dalla Puglia i Burning Seas, terra culturalmente assai fertile musicalmente parlando, ma fuori dal giro del metal meno ortodosso. Tanto di guadagnato per chi come loro segue da sempre soltanto l’istinto, al riparo dalle solite iper-sfruttate convenzioni ed è riuscito a mettere in piedi qualcosa che scotta e riluce. Camillo “RADI@zioni” Fasulo

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cultura cinema

il fascino della pena Intervista al protagonista di “Fine pena mai (Paradiso perduto)” a cura di Michele Pierri

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laudio Santamaria è uno dei giovani attori italiani di maggior talento. Classe 1974, romano, esordisce a soli 23 anni, segnalandosi subito per una versatilità che gli ha permesso di interpretare i ruoli più disparati. Il primo approccio col grande pubblico avviene con “L’ultimo bacio” (2001), il fortunato film generazionale che ha aperto le porte degli Stati Uniti a Gabriele Muccino. Dopo questo altre ottime interpretazioni come quella del fumettista Andrea Pazienza (“Paz”, 2002), ma la vera consacrazione arriva in “Romanzo criminale” (2005) con il ruolo di Dandi, uno dei componenti della sanguinosa Banda della Magliana. Da qui forse la scelta di affidargli il ruolo di Antonio Perrone in “Fine pena mai (Paradiso perduto)” di Davide Barletti e Lorenzo Conte, pellicola che racconta il Salento degli anni ‘80 attraverso gli occhi di uno degli affiliati alla Sacra Corona Unita, condannato a 49 anni di detenzione di cui 9 nel rigido regime di isolamento carcerario del 41 bis. Il racconto, tratto dall’autobiografico “Vista d’interni” di Perrone (edito da Manni), non è altro che la resa dei conti di un territorio che solo per un po di tempo ha deciso di non fare i conti col passato, di mettere da parte quella che è stata una buia pagina da voltare e che è da molti considerata come la “perdita della sua verginità”. Claudio Santamaria propone il suo punto di vista di attore, ma anche di uomo che ha dovuto confrontarsi con il bilancio di una vita e di un’esperienza. Ma ora spazio alla sua. Partiamo dalle tue esperienze passate, che ti hanno visto più volte vestire i panni del malavitoso. Qual’è il motivo per cui si rappresenta così

tanto la criminalità? Qual’è il fascino che esercita? Dai romanzi al cinema, credo che la criminalità abbia il fascino delle storie fuori dall’ordinario. Quelli che vengono rappresentati in questo tipo di narrazione sono spesso personaggi estremi, tragici e proprio per questo così affascinanti. Senza tener poi conto del fatto che interpretare ruoli del genere è sempre una bella sfida per un attore. Parliamo di questa sfida allora. Immedesimarsi in Perrone non deve essere stato facile, è un personaggio più complesso del normale. Che lavoro hai fatto per entrare nella psicologia tutta particolare di quello che fu un criminale per “vocazione” e non per necessità? Penso che questo sia un aspetto che ha reso il mio lavoro ancora più interessante. Perché mentre Dandi aveva per così dire il percorso segnato, Perrone è libero nella scelta di intraprendere questo tipo di carriera e quindi più profondo e sfaccettato. A questo proposito mi ha colpito molto una delle

SCENE TRATTE DAL FILM “FINE PENA MAI”

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cultura cinema

frasi che lui dice nel libro: “Volevo vincere un monumento all’ozio, invece mi sono ritrovato nella condizione di sopravvivere”. Lui voleva rompere i suoi limiti, esplorarne i confini e solo dopo si è ritrovato in un gioco più grande di quello che poteva reggere. Per rendere questo aspetto ho cercato di concentrarmi in quel lato infantile che c’è in ognuno di noi quando da bambini cerchiamo di imitare il criminale, di quella voglia di non dare conto a nessuno, di cibarci di adrenalina. Spostiamoci per un attimo sull’impatto che questo film avrà sul territorio. Date le ferite che riaprono, credi che prodotti come questi aiutino il dibattito per rompere quel meccanismo tutto italiano fatto di omertà e connivenza ? O sono solo prodotti artistici e come tali vanno considerati? Credo che l’arte abbia in qualche modo un dovere, non certo categorico, ma può e deve aprire le porte del pensiero. A volte può legittimare pensieri nascosti o anche risvegliare coscienze. Certo, non si pretende che l’arte faccia solo quello, ma credo che al pari dell’intrattenimento ci sia per chi fa un prodotto il dovere di inserire al suo interno un elemento educativo che può aiutare anche a superare ostacoli del genere. Per dire questo faccio mia una frase di Jodorowsky che sosteneva che “l’arte ha senso di esistere solo se è terapeutica”. È così che la vedo anch’io. Per chiudere, sembra che questo film racchiuda al suo interno una grande intensità. Ma cosa ha lasciato dentro te un’esperienza così forte? Come attore mi ha dato certamente sicurezze in più. Il personaggio che interpreto ha un temperamento forte, difficile, mentre io sono abbastanza mediatore. Raramente tiro fuori quegli aspetti che sono invece caratteristici di Perrone. Inoltre questo ruolo è arrivato proprio quando venivo da una metamorfosi fisica di forte dimagrimento per interpretare in una fiction il cantante Rino Gaetano. Il dover fortificarmi, modificare il mio corpo ha fatto si che vivessi il nuovo personaggio in maniera più profonda, immedesimandomi totalmente.

“Tropa de elite” (Truppa d’elite) Josè Padilha

Cast: Wagner Moura, Caio Junqueira B.O.P.E. sta per “Battaglione Operazioni Speciali della Polizia” ed è il corpo d’assalto per contrastare il narcotraffico nelle difficili favelas brasiliane. Nera la sua divisa, un teschio il suo simbolo, il Bope, come recita una battuta del film, “non entra in azione per arrestare, ma per uccidere”. Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino, arriva anche in Italia il film-rivelazione che ha posto nuovamente l’accento sulla corruzione della polizia regolare brasiliana e sull’ambiguità di una borghesia sudamericana che sia lamenta della criminalità per poi esserne la causa. Ne è uscito fuori un film, violento, realista e assolutamente impietoso, che risolleva un interrogativo vecchio quanto il mondo. Il fine giustifica i mezzi?

“Standard operating procedure” (Una procedura standard) Errol Morris

Cast: Joshua Feinman, Merry Grissom Le torture ai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib sono il triste sfondo del nuovo e scioccante documentario del regista già premio Oscar per “The fog of war”. I fatti, che solo una manciata di anni fa sconvolsero il mondo, vengono qui raccontati senza giudizi, ma con la dirompente forza delle immagini accompagnata a straordinarie ed inedite interviste dei militari americani coinvolti, che non fanno altro che stimolare altre dubbi. Da cosa nasce la guerra in Iraq? E quale volontà politica c’è dietro tali nefandezze, considerate dai vertici militari statunitensi nient’altro che “una procedura standard”? Il film ha vinto l’Orso d’argento alla scorsa Berlinale.

“Il cacciatore di aquiloni” (The kite runner) Marc Forster

Cast: Khalid Abdalla, Homayoun Ershadi L’amicizia di due bambini di etnie e classi sociali differenti nell’Afghanistan devastato dai conflitti. Nel film Amir e Hassan, compagni inseparabili ed appassionati di gare di aquiloni, sono sconvolti da un tragico avvenimento che coinvolge uno dei due mentre le truppe sovietiche invadono il Paese. Quando Amir emigra con la sua famiglia negli Stati Uniti, i bambini si perdono di vista crescendo con ambizioni e prospettive opposte. Ma trent’anni dopo la vita darà a loro la possibilità per ritrovarsi. l’impaziente 18 | 51


cultura libri

Schegge pop dall’Italia Intervista a Cristiano de Majo e Fabio Viola Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato minimum fax a cura di Rossano Astremo

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ettete in una pentola “Viaggio in Italia” di Guido Piovene e aggiungete a vostro piacimento qualunque libro di reportage firmato da David Foster Wallace, mescolate a fuoco lento e a cottura ultimata condite il tutto con una spruzzatina del Vollmann meno selvaggio e Sebald quanto basta. Il risultato ottenuto è “Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato”, libro scritto da Cristiano de Majo e Fabio Viola, edito da minimum fax, che può essere considerato una sorta di immersione nei posti che costituiscono una vera e propria “mappa del nostro immaginario pop, televisivo, culturaloide”, dalla villetta di Cogne ai templi new age di Damanhur, dagli alberghi di San Giovanni Rotondo al teatro Ariston. Come è nata l’idea di questo viaggio attraverso l’Italia e perché avete scelto questi luoghi e non altri? Fabio: “L’idea del libro è nata da uno dei progetti in cui Cristiano si confrontava con la sua aderenza alla contemporaneità, e il tutto risale ad anni fa. I luoghi sono stati scelti operando una selezione tra decine di opzioni che, alla luce della nuova ottica in cui il progetto era stato inquadrato, 52 | l’impaziente 18

ci erano venute in mente. Abbiamo pensato a dei veri e propri percorsi tematici più che a dei singoli episodi, e pensiamo in tutta onestà di essere riusciti a mettere insieme un quadro esauriente, o perlomeno corposo, di una certa Italia”. Da Cogne a San Giovanni Rotondo, da Sanremo a Venezia, il vostro peregrinare è sempre accompagnato da uno scetticismo totale, da una nevrosi del dubbio continuo, da un interrogarsi perenne, da un’assoluta ritrosia nei confronti di coloro i quali si perdono nel gorgo del “turismo malato” che considerate bersaglio privilegiato del vostro lavoro… Fabio: “Non so, io non mi sento di usare la parola “malato” riferita al turismo perché sebbene ne disapprovi certe dinamiche a mio avviso eccessivamente automatiche, non mi piace fare il critico sociale e il libro comunque non ha quello scopo là. Spero non venga percepito come un libro moralista. Direi invece che, come giustamente fai notare tu, ci sia un gorgo, e che nel gorgo ci siano un milione di domande che gorgheggiano. A noi piace che il tono del libro sia questo; così come ci piace che, oltre alle nostre domande, gorgheggino anche le parole delle persone che abbiamo incontrato nel corso del viaggio.” Su “Italia 2” compare con evidenza l’ombra ingombrante di un maestro di questi tipi di reportage che è David Fo-


cultura libri HEATHER MCGOWAN AUTRICE DEL LIBRO SCHOOLING

ster Wallace. Nel libro non solo viene citato, ma, ad esempio, l’utilizzo molto spesso parodistico delle note è un omaggio all’uso spropositato che Wallace fa delle stesse, molto spesso narrazioni nella narrazione. Volevo chiedervi cosa vi affascina della scrittura di Wallace e, andando oltre, in cosa pensate siano diverse l’America da Wallace descritta in “Tennis, tv, trigonometria…” o “Considera l’aragosta” rispetto all’Italia del vostro libro? Cristiano: “Wallace è un grande scrittore americano, ma soprattutto, come dici tu, un maestro, e ancora di più un maestro di scrittura saggistica. I suoi saggi e i suoi reportage operano uno sfondamento totale. Ci fanno intravedere la possibilità di frullare riflessione teorica, cronaca, e invenzione trasformando tutto questo in letteratura. Da lui abbiamo imparato che non è importante come o di cosa si scrive, ma come si guardano le cose. In quanto alla domanda che fai sulle differenze tra la nostra Italia e la sua America, le differenze sono tantissime, è chiaro. Ma quella che forse esce fuori con più forza nel libro è il fatto che, a differenza degli americani, noi italiani abbiamo la pretesa di essere autentici anche quando non lo siamo”. “Italia 2” è un libro voluto, pensato e scritto da due menti. Come avete organizzato il lavoro di scrittura? Ci sono aneddoti in proposito? Cristiano: “Per lavorare in due senza squartarsi a vicenda è necessario che il progetto sia ben strutturato. La struttura per noi era una scaletta che facevamo per ogni capitolo. Poi ci dividevamo i paragrafi da scrivere (ma non vi diremo mai l´ordine!). Poi ci leggevamo. Poi ci correggevamo. È evidente che per scrivere in due bisogna rinunciare a un pezzo di sé. È un’operazione dolorosa… Abbiamo litigato, forse ci siamo anche un po’ odiati, però - e ora corro il rischio di cadere nella retorica - questo libro è anche il frutto di una bella amicizia e sono sicuro che non sarebbe venuto così se io e Fabio fossimo stati solo colleghi”.

Heather McGowan, Schooling, Nutrimenti È stato nella mia libreria, nella zona riservata ai testi non letti, per qualche mese. Non so per quale ragione “Schooling” di Heather McGowan, romanzo edito da Nutrimenti, mi aveva sempre respinto. L’avevo sfogliato più di una volta, avevo letto la bandella, e non era bastato il giudizio entusiasta di Rick Moody, un autore che amo molto, a farmi cambiare opinione. Poi, qualche giorno fa, in una sera un po’ triste, mi sono deciso ad aprirlo e leggerlo seriamente. L’incipit è burrascoso, si fa fatica ad entrare nel mondo costruito dalla McGowan, il continuo cambiamento della voce narrante, la prosa che si nutre di strappi, frammentata, fortemente lirica, non lascia spazio a lettori disposti a non soffrire, ai lettori della domenica, per intenderci. La lettura di “Schooling”richiede partecipazione e se questa si fa totale il lettore, a missione compiuta, potrà ritenersi soddisfatto. Pienamente. È quello che è capitato al sottoscritto. “Schooling” racconta la storia di Catrine, una tredicenne che dopo la scomparsa della madre è costretta ad abbandonare gli Stati Uniti per recarsi in Inghilterra a studiare presso un austero collegio, lo stesso in cui molti anni prima aveva studiato il padre. In collegio incontra Gilbert, professore di chimica e pittore fallito, col quale Catrine instaura un rapporto profondo, al limite del lecito, che, in poco tempo, diviene argomento privilegiato di discussione degli altri docenti e allievi. In fondo una storia non totalmente originale, la passione che nasce tra un uomo adulto e un’adolescente non ancora donna, ma non per questo meno conturbante. Ciò che però sorprende è la prosa della McGowan, la sua capacità di fare del romanzo genere onnivoro e plasmabile, forma non monolitica ma ibrida e polifonica. Ottima scelta da parte della sempre più combattiva Nutrimenti. Antonio Perrone, Vista d’interni. Diario di carcere, di “scuri” e seghe, di trip e di sventure, Manni Una storia in forma di diario, che intervalla la narrazione in presa diretta ai flash-back: dalla droga alle rapine al racket del gioco e delle estorsioni al calvario del carcere duro e dell’isolamento. Senza reticenze, l’autore racconta le organizzazioni criminali di Puglia, la solidarietà omertosa, i rituali, l’incoscienza e la ferocia; racconta quell’universo rimosso che è il carcere; le relazioni tra detenuti e con gli agenti di custodia e con quelli che stanno fuori, le miserie, le prepotenze e le violenze, la privazione d’ogni dignità. Un documento di grande valore sociale, da cui è stato tratto il film “Fine pena mai” di Davide Barletti e Lorenzo Conte. l’impaziente 18 | 53


cultura teatro

Cominciare da zero Magari con un corso di teatro a cura di Andrea Aufieri

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’avvio di questa rubrica è simultaneo a quello del laboratorio teatrale “Attore opera viva”, un corso di base di due mesi tenuto ogni anno da Piero Rapanà. L’attore e regista ha fondato quindici anni fa il Teatro Blitz con il sodale Mauro Marino: ha un’esperienza quasi trentennale, dedicata per un terzo allo studio Astragali, con il quale si è formato prima delle esperienze all’Ert di Modena e con il teatro della Valdoca. Ha cominciato a mettere a disposizione la sua preparazione per i primi laboratori quando il Blitz nemmeno camminava e da quattro anni ha messo su l’opera viva, l’attore, corpo/voce, autore di sé stesso. Il corso è aperto a 10 partecipanti di tutte le età che non hanno preparazione o vogliono ripassare: gli appuntamenti bisettimanali, ogni martedì e giovedì dalle 19.30 alle 22, proseguiranno fino a fine maggio. È allettante tentare di capire qualcosa di questo mondo, cominciando proprio dal teatro come momento per sé stessi, un bel po’ al di qua della professione. Anche perché, tanto per capirci, chi scrive è un appassionato di “momenti creativi”, ma non un addetto ai lavori. Piero, come hai cominciato con questa storia del teatro? “Io non sono figlio d’arte e di teatro non ne sapevo nulla: nel 1984, a 22 anni, vivevo una fase critica o mistica della mia vita, non so, ero preso dalla ricerca. Casualmente la notte di Natale mi accorgo di un manifesto di un laboratorio di Astragali: c’era un manichino con gli arti rotti e la scritta “L’attore che viene dal futuro”. Fu una folgorazione e infatti la mattina successiva andai da Astragali a chiedere informazioni, e ci sono restato dieci anni”. Chi è l’attore? “L’attore è un essere umano che ha la capacità di mediare

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la realtà attraverso la finzione, ti fa ridere delle disgrazie e ti fa piangere per delle cretinate. L’attore è come un tramite tra quello che è e quello che vorrebbe essere”. Sembra facile, ma la semplicità è il risultato evidente della complessità. “Infatti, durante il corso cerco di coinvolgere tutti nell’acquisire consapevolezza del proprio essere e dei propri limiti e cominciare a sentire, contro una vita che non fa altro che farci mascherare. A parte i giovani determinati a divenire attori, molta gente partecipa perché non controlla i propri stati d’animo, non riesce a guardarsi dentro”. Non sarebbe meglio andare da uno psicoterapeuta? “Il discorso è simile perché stai lavorando sull’essere umano: qui il tuo strumento sei tu e questo ti permette di avere fiducia. Attraverso gli esercizi arrivi a capire come fare per


cultura teatro MAURO MARINO E PIERO RAPANÀ

Luoghi_Blitz al fondo Verri

Raccontiamo i luoghi dove ha trovato sfogo il teatro vivo a Lecce per indicare molto della passione che anima gli operatori di questo mondo e per dare alcune implicite risposte a tante domande

non vergognarti e acquisire fiducia in te. Conosci il corpo con le tecniche di espressione corporea; poi scopri di avere più voci e giochi con il canto. Giochiamo, come i bambini, perché si lavora sulla tela bianca, prima ci si scopre e poi ci si conosce”. Il primo approccio con il palcoscenico? Cos’è il teatro? “Teatro è l’anagramma di attore: è parte dell’individuo perché possiamo fare a meno della scena e del luogo, ma non dell’uomo. L’opera è il proprio sé che non si conosce e si cerca di conoscere. Io ho cominciato anche perché credevo che con quest’arte avrei trovato la soluzione di tutti i mali anche se ho scoperto che non è che trovi la soluzione, ma riesci a percepirli ed esternarli attraverso l’arte. Poi diventa una malattia, se io non vado in scena poi sto male. Non vorrei però che divenisse un lavoro stabile da routine, c’è il rischio di perdersi: mi hanno sempre insegnato che si deve cercare una mediazione tra le due cose”. Qual è il secondo passo? “Magari un corso di livello più elevato: quando si scende in profondità è necessario del tempo. I metodi Stanislavskij e Grotowski, alla radice di qualsiasi pratica, permettono agli attori di lavorare su sé stessi per almeno otto ore al giorno, continuamente. E non si campa d’aria”.

Blitz è un’incursione corsara del teatro nei territori vasti della poesia o viceversa, e spesso si è davvero espresso in performance improvvisate nei negozi, nella galleria di piazza Mazzini oppure sul carrozzone delle Notti salentine, quelle bianche o tarantolate. È il 1993 quando Piero Rapanà e Mauro Marino rientrano a Lecce da un decennio di gavetta e di picaresche avventure. Avvertendo l’esigenza di trovare casa in senso artistico, nonostante a Lecce siano cresciuti (di nuovo, non solo in senso artistico), dalla vecchia amicizia fanno sbocciare un nuovo sodalizio: il Teatro Blitz. I due ci vanno pesanti da subito: la prima produzione è “Lager”, ispirata all’analisi poetica dell’opera di Primo Levi, Danilo Dolci e Tommaso di Ciaula, ed ottiene una nomination di prestigio al premio “Scenario”. Negli anni seguenti la ricerca spinge gli autori a sviluppare l’idea che la poesia possa farsi discorso, possibilità d’incontro e di dialogo, soprattutto con i più giovani. Nasce così “Nuvole”, 150 repliche in quattro anni, che affronta la fantasiosa possibilità che Angelo chieda a Creatore di raccontargli nientemeno che il mondo. Poi “Sarajeva”, sulla tragedia bosniaca, e “A.r.a (armonioso riso amaro)”, seguito ideale di “Nuvole”, sulla caduta di Angelo sulla Terra, anzi al Sud. “Che fortuna…sono qui”, l’ultima produzione, è un omaggio alla poesia, il soggetto principale dell’opera, sviluppata proprio in quadri poetici. Nel frattempo la casa arriva davvero, ed è sul corso, quello prima del progetto Urban, in via santa Maria del paradiso, che dà nome all’associazione. Un angolo da spartire con la cartapestaia Silvia Mangia e le due pittrici Anna Maria Massari e Rita Guido. Poi per fortuna arriva Urban, quei 50 metri quadri possono ospitare quaranta persone ed il fondo è ribattezzato in memoria dell’artista Antonio Leonardo Verri. Perché come lui Marino e Rapanà incoraggiano i sogni di molti esordienti scrittori, attori o musicisti che siano. Ovvio che di questo habitat Blitz è il figlio prediletto, tanto che ormai gli attori hanno preso confidenza con il palco e lo considerano uno di loro, nonostante siano frequenti le trasferte nelle scuole, nei laboratori, nelle librerie e anche presso la Asl, dove il fondo Verri gestisce un laboratorio di scrittura per gli ospiti del Centro per la cura e la ricerca sui disturbi del comportamento alimentare. Associazione culturale Fondo Verri • Via s. Maria del paradiso, 8 73100 Lecce tel/fax: 0832.304522 • e-mail: fondoverri@tiscali.it • blog: fondoverri.splinder.com

Scena viva_da non perdere Marzo

7 Nuovo Teatro Verdi Brindisi Hair-Scotti Bros. 12-15 Teatro Piccinni Bari Le storie del signor Kreuner di B.Brecht -spettacolo di R.Andò e M. Ovadia-Arena del Sole, Ert Modena. 18 Politeama Greco Lecce Why…be extraordinary when you can be yourself di D. Ezralow e A. Holzbog – Agr Associati. 18-19 Teatro Orfeo Taranto Sette piani di D. Buzzati spettacolo di U. Pagliai e P. Gassman-Teatro Stabile di Verona,Teatro Stabile del Veneto. 27 Politeama Greco Lecce Bestiario salentino regia di Salvatore Della Villa.

Aprile

9-13 Teatro Piccinni Bari Tartufo di Molière regia C.Cecchi-Teatro Stabile delle Marche, Mercadante Stabile di Napoli. 17 Politeama Greco Lecce Don Pasta. Selecter in the food for love di Don Pasta, con Mairie de Toulouse et École de cirque le Lido. 20 Nuovo teatro Verdi Brindisi I due gemelli veneziani di C.Goldoni spettacolo A. Calenda, M.Dapporto-Noctivagus,Teatro Stabile Del Friuli-Venezia Giulia. 26-27 Cantieri Koreja Lecce Il sacro segno dei mostri di Danio Manfredini- Ert Modena, Ctb Brescia. l’impaziente 18 | 55


l’impaziente inglese LA NUOVA FACCIA DELLA FAMME a cura di Vito D’Onghia

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i ero preparato delle note, avevo visto più programmi del solito in TV. Avevo anche finito di leggere un’interessante raccolta di articoli di Elizabeth David, una delle prime a scrivere di cucina sui quotidiani inglesi a cominciare dalla metà degli anni 50. A voi, popolo italiano, ventre grasso del sapere culinario di generazioni, volevo parlare della tradizione culinaria inglese, provocarvi con la storia di un rinascimento, a voi, con l’intelletto ormai in pappa tra sanremi e perenni campagne elettorali ma tuttora proprietari di eccelsi palati fini, illuminarvi con l’esempio di una crescente coscienza etico-gastronomica. Ma lo farò, lo farò, magari la prossima volta, perché c’è di più urgente da dire che, mentre noi ci spanziamo di fettuccine e ci freghiamo l’abbacchio c’è una nuova fame nel mondo. Attenzione: non sto qui a creare sensi di colpa, né agitare lo spettro dell’ultima carestia in centr’Africa. No, anche se è vero che il World Food Programme delle Nazioni Unite, un’organizzazione responsabile di sfamare milioni di persone nei paesi più poveri del mondo grazie ai contributi volontari delle nazioni più ricche, ha dichiarato che quest’anno rimarrà a corto delle riserve necessarie a causa di un incremento drammatico dei prezzi di tutti i beni di consumo primari così come dei costi di trasporto. Grano, farine, zucchero, riso, latte, olio hanno subito un aumento del 40% sui mercati mondiali. Il budget è rimasto purtroppo lo stesso. Questa è tuttavia la cosiddetta ‘punta dell’iceberg’, poiché il problema colpisce fasce di popolazione mai prima intaccate, quelle delle zone urbane e dei ceti medi. In altre parole, le merci sono sugli scaffali dei supermercati ma non sono economicamente accessibili. Disordini e proteste causate dalla difficoltà ad ottenere questi beni affiorano per la prima volta nei centri urbani di paesi come il Marocco, lo Yemen, l’Indonesia, l’Egitto. In Russia solo un accordo raggiunto con i produttori ha

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stabilito il congelamento dei prezzi. Il Pakistan ha reintrodotto il razionamento (scomparso dal 1980) per alcuni strati della popolazione. La Malesia ha pianificato la creazione startegica di scorte dei beni principali. L’India ha vietato l’esportazione di riso, se non quello di qualità superiore Basmati. Gli stessi silos di riserve di grano degli Stati Uniti sono ai livelli più bassi dagli anni 70. Della crisi, per una volta, beneficiano anche i piccoli produttori che finalmente assistono alla prima inversione di tendenza degli ultimi trent’anni. Tuttavia le cause nascono lontano dal loro pezzo di terra, innescate innanzitutto dall’enorme crescita economica di nazioni come Cina e India, con conseguente aumento della domanda di carne e altri beni prima considerati di lusso. In secondo luogo il World Food Programme individua il crescente utilizzo di benzine biologiche, o biofuels, come fattore determinante. L’uso sempre più vasto che si fa di terre coltivabili per produrre carburante toglie spazio a terre destinate a produrre cibo ed è potenzialmente devastante. Infine, il cambiamento climatico, variabile sempre più impazzita, rende più difficile coltivare terre per alimenti e non fa che aumentare la generale volatilità dei mercati. Le pressioni sugli spazi coltivabili e sull’agricoltura sono quindi molto più forti che in passato. Chissà che in questo guazzabuglio di problemi non sappiano infilarsi ben bene le multinazionali (Monsanto su tutte) che hanno investito molto sullo sviluppo delle coltivazioni transgeniche negli ultimi anni. In una situazione sempre più precaria come quella delineata non sarà difficile convincerci del fatto che ‘pappa’ più grossa e resistente, economica ed ottenuta agevolmente in meno spazio o su terre meno fruttuose sia la risposta. Da lì il passo al brevetto sul grano, sul riso è poi così tanto da fantascienza?


il periscopio IL NON TEMPO A SUD EST! a cura di Mauro Marino

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a circa due anni per necessità, ma anche con un certo piacere, sono pendolare. Da Campi Salentina a Lecce mi sposto in treno. Tratte anche lunghe, sino a Casarano o a Tricase. Costa poco e se ti muovi organizzandoti e con il giusto passo puoi farcela perché c’è una variabile indefinita nell’organizzazione delle Ferrovie Sud Est: il tempo. Fattore essenziale per chi viaggia! Chissà se quando c’era lui… la “littorina” giungeva in orario! Oggi dovevo essere a Maglie per le dieci e trenta. Ottimo: da Lecce c’è un treno alle nove e quarantatre, arrivo previsto dieci e diciotto, recita l’orario ferroviario invernale feriale. Alle dieci e zerocinque finalmente si parte. Arrivo a Maglie alle undici. Non tanto male poi! Solo tre quarti d’ora di ritardo per fare pochi chilometri. A bordo le carrozze sono piene, tutti a chiedersi, ma con umiltà e rassegnazione, il perché di questo destino.Vana è ogni logica! Alla partenza la cosa che si nota è una “gran folla” di macchinisti, controllori, maestranze che si affannano intorno alle gloriose carrozze già protagoniste di una delle migliori pellicole girate nel Salento. Quell’Italian Sud Est che in cuor suo, esaltando il ‘paradosso’ della ferrata salentina, puntava alla sua riconsiderazione ed al suo rilancio. Speranza rimasta tale. La ferrovia salentina fu anche tema della campagna elettorale del presidente Giovanni Pellegrino, che ‘consumò’ due giorni in viaggio, con cameramen al seguito, verso il sud Salento per saggiare in nuce le qualità di quello che, giustamente, considerava uno strumento essenziale del suo nuovo Salento. La chiave di volta di una stagione di progresso, dove mobilità, turismo e marketing territoriale si sarebbero strettamente coniugati. Nulla purtroppo è cambiato. Affidarsi ‘depensando’ è il monito: non aver premura! L’avventura è nello spirito di questo vecchio servizio. Come in sogno lasciarsi trasportare! È tutto così “familiare”. Viene il controllore, veste di morbido velluto

marron intonato al beige del maglione di lana, solo un budge verde lo identifica. Oltre a bucare il biglietto ti chiede dove sei diretto e ti dice dove scendere per proseguire verso la destinazione. Le ferrovie Sud Est sono organizzate per snodi, come una metropolitana con le sue stazioni di “smistamento”. Novoli, Lecce, Zollino, Maglie. Un ideale sistema di tratte che se accordato nelle coincidenze garantirebbe una agevole mobilità. A guardar bene si scorgono atti di modernizzazione. Il cantiere aperto nella tratta NovoliCarmiano che costringe a fastidiosi trasbordi su pullman. L’elettrificazione e la costruzione di cavalcavia permetteranno la chiusura di alcuni passaggi a livello, mandando in pensione i casellanti: vera pagina mitica di questa ‘saga’ ferroviaria! Scrive Franco Cassano nel saggio dedicato ad Italian Sud Est: “S’intrecciano storie di follia, di fedeltà alla terra, di poesia e di dolore, lungo le linee di una ferrovia che narra a bordo delle sue rotaie il lento girare del Salento su se stesso”. E penso: non si poteva puntare ad una manutenzione generale delle tratte, al rinnovo del parco macchine avviandoci a velocità di “littorina” alla messa a punto del servizio? A rallentare questo processo c’è poi la vertenza aperta dagli ambientalisti e da alcune amministrazioni comunali sulla nuova tratta da costruire nella Valle della Cupa per collegare la stazione di Carmiano con la sede universitaria di Ecotekne. Unico sollievo il paesaggio. Scorgi frammenti incantati. Il Salento delle pietre, dei tagli nelle cave. Distese di ulivi e di macchia trattengono odori e ti ammaliano quando sei costretto a lunghe pause in aperta campagna. Quel Salento che nella ferrovia trovò il suo piccolo sviluppo che esportava grandi quantità di patate e di tabacco. L’uomo in marrone ci dice che la stazione di Zollino è prossima, per Maglie si cambia, si raccomanda: “Per scendere aspettate che il treno sia fermo”. Perché ci stavamo muovendo? A margine si segnala che l’unica stazioncina pienamente recuperata e ammodernata è quella minuscola di Melpignano! Zona franca del Salento. Quando dici la taranta!

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l’altra scienza POSSONO I GENI ESSERE FESSACCHIOTTI? POSSONO, POSSONO! a cura di Ferdinando Boero

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accio parte del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Ecologia e, l’anno scorso, ho fatto una proposta che, sulle prime, ha sconcertato i miei colleghi. Invitiamo il Papa ad aprire il nostro Congresso annuale! Questo Papa, e anche il precedente, ha parlato spesso dei problemi dell’ambiente, e ha detto cose che sono totalmente condivise dagli ecologi. Abbiamo una pressione troppo forte sull’ambiente, non possiamo pensare che il mondo sia lì perché noi ne approfittiamo, lo dobbiamo custodire e dobbiamo dividerci le sue risorse in modo equo. Son le stesse cose che diciamo noi! Noi le diciamo sulla base di argomentazioni scientifiche, il Papa arriva agli stessi risultati per strade differenti. È una meraviglia se si ottengono gli stessi risultati, no? Ognuno rinforza l’altro. Ho convinto i miei colleghi, in gran parte professori universitari, e abbiamo invitato il Papa. Aveva altri impegni e ci ha mandato Monsignor Sgreccia, il capo dell’Accademia Pontificia Pro Vitae. Abbiamo fatto una tavola rotonda con Monsignor Sgreccia, con lui hanno interagito altri tre ecologi (tra cui io) e poi c’è stato un dibattito. E alla fine, parafrasando Prigogine, ho parlato di Nuova Alleanza tra Chiesa e Scienza sui problemi dell’ambiente. La vediamo nello stesso modo. Certo, se andiamo alle soluzioni, per molti di noi il problema principale è che siamo più di sette miliardi e che la bomba demografica deve essere disinnescata. Ma questo lo ammette anche la Chiesa. È il “come” disinnescarla che potrebbe trovare posizioni contrastanti. I cosiddetti “metodi naturali” consigliati dalla Chiesa (che quindi ammette che in qualche modo le nascite vadano limitate) sono magnifici e funzionano con percentuali di successo che vedono una media di fallimenti di circa una volta ogni due anni. Il che significa che le donne restano incinte ogni due anni, se hanno una vita sessuale standard. Ma questi sono dettagli. Su cui discutere e scontrarsi, non lo metto in dubbio. Ma è inutile litigare su cosa non si è d’accordo dimentican-

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do tutte le cose su cui si è d’accordo. Così non si progredisce. I professori antipapa della Sapienza sono dei fessacchiotti. Hanno negato il diritto di parlare nella loro sede ad una persona che, quando è presente, dà una rilevanza mondiale all’evento. Avrebbero potuto chiedere di leggere prima il discorso del Papa, non per censurarlo ma, eventualmente, per chiedere altrettanto tempo per un intervento di replica. Non solo si è persa un’occasione importante di, magari, dire direttamente al Papa che, in certi casi, sbaglia. Si è anche data l’impressione al mondo che la scienza non gradisce ascoltare chi, in alcuni casi, la critica. Le critiche al Papa dei professori e degli studenti sono, a mio modesto parere, fondate sulla analisi di dichiarazioni papali che, anche secondo me, sono molto discutibili. Ma la scienza si basa proprio sulla discussione, sul confronto di opinioni differenti. Lo so che un conto è basare le proprie affermazioni sul dubbio (la posizione degli scienziati) e un conto è basarle sulla intima convinzione di aver ragione perché ci si basa sul libro scritto per ispirazione divina (la posizione del Papa), ma questo è il mondo in cui viviamo e gli scienziati non possono chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, gridando che non sono d’accordo. Questo comportamento è un cattivo servizio alla scienza e un ottimo servizio all’integralismo religioso che, giustamente, avrà ottimo gioco per fare vittimismo e dichiararsi oggetto di intolleranza e settarismo. Come negare che le cose stiano così? Gli scienziati hanno ben altri argomenti che la censura preventiva per far valere le loro opinioni. Non trovo altra parola per definire i miei esimi colleghi de la Sapienza: fessacchiotti. Magari per ottime ragioni, ma pur sempre fessacchiotti.


effetto albemuth CARITÀ PELOSA a cura di Carlo Formenti

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a qualche anno le grandi imprese esibiscono volentieri i propri meriti (reali o presunti) in materia di Corporate Social Responsibility: aiuti alle aree più povere del mondo, attenzione all’impatto ambientale dei prodotti, finanziamenti alla ricerca contro gravi malattie, politiche di assunzioni “politicaly correct” (niente discriminazioni nei confronti di minoranze teniche, donne, gay, ecc). Forse non vale la pena di chiedersi in quale misura (io un’idea in merito ce l’ho, e voi?) questa “svolta etica” rispecchi una effettiva volontà di “conversione” o risponda a pure esigenze di immagine (nell’era di Internet il rischio di subire “sputtanamenti” da parte del passa parola degli utenti-consumatori è aumentato esponenzialmente, per cui sembra saggio mettere le mani avanti…). Ma un episodio recente può comunque aiutarci a valutare la “pelosità” di certe intenzioni caritevoli. Nei giorni scorsi è rimbalzata sulle pagine di molti media, online e offline, la polemica fra Negroponte e Intel a proposito del famoso notebook ultraeconomico che il guru del MediaLab lanciò qualche tempo fa, come strumento per ridurre il digital divide a danno dei Paesi in via di sviluppo. La macchinetta da cento dollari avrebbe dovuto consentire ai milioni di giovanissimi africani, asiatici e latinoamericani che vivono in zone dove la Rete è ancora un miraggio, di accedere a loro volta alle conoscenze e alle opportunità garantite dai media digitali. Com’è noto, il progetto ha incontrato notevoli difficoltà a causa del tiepido sostegno ottenuto dai governi interessati e dalle imprese consorziate nel progetto (denominato OLPC ). particolarmente roventi le polemiche fra Intel, che ha da poco abbandonato il progetto, e Negroponte, che ha accusato la società leader del mercato dei processori di aver voluto sabotare il progetto per meglio promuovere un suo prodotto, il Classmate (più caro, accessoriato e decisamente “for profit”) come soluzione alternativa al digital divide. Intel ha replicato sdegnata, esibendo le proprie credenziali “umanitarie” (anche loro, al pari di Google, non vogliono venire etichettati come

“evil”) e ribadendo la tesi che il loro computer funziona mentre quello di Negroponte è una trappola. Non mi interessa entrare nel merito delle accuse incrociate fra i litiganti, mi limito a citare il brano di un articolo dell’Economist che, a mio parere, esprime con lucido cinismo la “filosofia” del grande capitale in materia di tecnologia, “aiuto” ai Paesi in via di sviluppo e profitti: “La questione di fondo è capire se esiste un mercato in grado di generare profitti per i computer superconomici nel mondo in via di sviluippo. Se l’opzione for profit può essere realizzata solo attraverso prodotti il cui prezzo è superiore alla disponibilità economica dei potenziali utenti, allora l’opzione caritatevole resta valida. Ma se invece è possibile sviluppare una strategia for profit, allora ci sono buone ragioni per credere che il problema del digital divide possa essere risolto meglio dal mercato piuttosto che dalla carità o da politiche di corporate social responsibility”. Non servono, mi pare, ulteriori commenti.

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l’incostante

NICHILISMI DA OSCAR a cura di Stefano Cristante

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ualche anno fa sembrava che il cinema dovesse arrendersi alla televisione. In coincidenza dell’avvento delle tv commerciali e del videoregistratore, la gente sembrava sempre meno propensa a uscire per infilarsi in un cinema. Invece le cose sono poi andate diversamente: effetti speciali e dolby sorround, poltroncine anatomiche e multisala hanno rilanciato il cinema come mezzo di largo consumo, soprattutto giovanile e – assai più della tv – come mezzo che racconta le grandi storie. Ma oggi, che dedichiamo attenzione ed entusiasmo rinnovati al cinema, che storie ci vengono raccontate dal cinema? Prendiamo gli Stati Uniti, cioè la cinematografia moderna per eccellenza. Ho visto di recente due film che puntano a molti Oscar: Il petroliere di Anderson, con Daniel Day Lewis, e Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen. Il primo lavora sul passato remoto, i primi anni del ‘900. La società rurale americana dell’epoca ospita le prime automobili, i minatori si ammazzano di lavoro in condizioni di sicurezza inesistenti, si innalzano le prime colonne di legno per incanalare il fiume di petrolio che irrompe dal sottosuolo. Bisogna possedere un know-how geologico per decidere dove scavare e abilità nelle trattative – sia con i contadini che con le grandi società petrolifere pronte a cannibalizzare il fiuto e il talento dei pochi indipendenti. Soprattutto bisogna essere spietati e disposti a tutto. Ad assecondare il fanatismo religioso se i suoi sacerdoti possono convincere i fedeli a cedere terreni petroliferi a prezzi stracciati. A separarsi da un figlio adottivo rimasto sordo dopo l’esplosione di un pozzo. Ad ammazzare gli intrusi, a non dare confidenza ad alcuno. Sapendo che, alla fine, il fanatico sacerdote che ne aveva – obtorto collo – assecondato i piani, sarebbe tornato a chiedere aiuto. Il petroliere, in un atto di lucida paranoia, pretende che il prete confessi la propria disonestà e la propria mancanza di autentico carisma religioso. Dovrebbe bastare. Invece no: l’epilogo della relazione tra mondo economico e mondo religioso è la morte (violentissima) del secondo per mano del primo. Il film dei fratelli Coen è invece ambientato negli anni ‘80. Mondo di supercriminali che, al confine tra Stati Uniti e Messico, si ammazzano a vicenda come

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mosche per una valigia da due milioni di dollari (dovuti alla droga). La valigia finisce tra le mani di un improbabile cacciatore di frodo – ex marine in Vietnam – che sarà inseguito per tutto il film da un killer dotato di arma ad aria compressa. Se, nel caso del petroliere, gli scrupoli sembrano cadere poco a poco, nel caso del killer dei Coen non si riesce a rintracciare il benché minimo barlume di pietà. La faccia inespressiva, il killer avverte qualcuna delle sue vittime che è arrivato a mettere fine alla sua vita perché lo “aveva promesso”, che nel suo linguaggio equivale a dire che aveva preso un impegno (anche se l’altro contraente era nel frattempo defunto). Il suo sguardo inespressivo vira su un leggero sorriso quando sente la vittima proferire la frase: “Non sei obbligato ad ammazzarmi”. Risponde laconico: “Dite tutti la stessa cosa”. L’edificazione degli Stati Uniti, cioè della superpotenza vincente del xx secolo, ha le sue radici nel sangue e nella violenza. Ma questo è noto da tempo. Il fatto nuovo – almeno parzialmente – è che gli anti-eroi che lo popolano sono immersi in una situazione assolutamente misogina di autosufficienza che, accoppiata alle prorompenti tecnologie del ‘900, sembra racchiudere il segreto della loro efficienza e del loro successo. Uomini soli. Privi non solo di legami sentimentali, ma anche di un barlume di rapporto affettivo. Gli individui che vengono eliminati da questi super-eroi nichilisti sono cose, perché con essi non si stabilisce confronto. Ognuno sa ciò che deve fare. Ognuno sa ciò che deve tacere. Siamo lontani dall’anti-eroe di Taxi Driver: i suoi balbettii e la sua afasia erano ricerca di comunicazione. Ora non più. La visione dell’America che sarà premiata all’Oscar pare che verrà da queste pellicole. Brutto affare essere l’unica superpotenza rimasta. Mi piacerebbe sapere se il successo di Obama deriva anche dal fatto che sembra capace di contrastare queste visioni nichiliste più che mature (“Non è un paese per vecchi” vuol dire che non ci si arriva, ad essere vecchi in America?) non con la semplice ragione o con un programma ma con un afflato comunitario che parla agli americani di un’ultima chance.


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