Dott. Ing. Prof.
MARCO TODESCHINI
OTTICA PSICOBIOFISICA LUCE E COLORI Relazione tratta dal volume: “La Teoria delle Apparenze”
A cura del Circolo di Psicobiofisica Amici di Marco Todeschini
OTTICA PSICOBIOFISICA LA LUCE Per cominciare questa disanima sull’ottica secondo la PsicoBioFisica del prof. dott. ing. Marco Todeschini facciamo un momento di storia della fisica per quanto riguarda le teorie sulla luce. Nel secolo XVII essa era spiegata dal Newton come un bombardamento rapidissimo di corpuscoli e tale ipotesi resse sino al 1801, allorché Young, innanzi alla Società Reale di Londra espose l’ipotesi che la luce fosse invece la vibrazione di un fluido speciale detto “etere”. Successivamente, nel 1900, in base all’esito negativo dell’esperimento Michelson, che sembrò provare la non esistenza dell’etere, la scienza ha rinunciato alla geniale ipotesi del Young, ammettendo solamente che la luce si manifesta per quanti di energia o fotoni, i quali si distribuiscono nello spazio secondo una legge di probabilità definito dallo Shrödinger con una relazione a carattere ondulatorio. Con ciò si è venuti ad ammettere che le onde non sono materiali, cioè non sono vibrazioni di un fluido ma bensì onde di probabilità di trovare una certa energia luminosa (fotone) in un punto piuttosto che in un altro. Quindi, con la nuova odierna ipotesi, non più etere ma vuoto assoluto nel quale si propagano dei quanti di energia (fotoni) con onde di probabilità. Che cosa siano questi fotoni, la scienza odierna ce lo spiega assicurandoci che sono entità che hanno le dimensioni di un’energia moltiplicata per un tempo. Ora facciamo subito notare che l’energia viene espressa sempre con relazioni nelle quali appare il termine di massa, così ad esempio l’energia cinetica è definita dalla seguente relazione: W mV
2
(1)
2
Un fotone h avrebbe quindi la seguente espressione: h Wt m V
2
2
t
(2)
Se m 0 diventa h 0 . Se non vi è una massa che vibra il fotone è nullo. Come si spiega allora che la scienza moderna ammette che i fotoni si possono trasmettere nel vuoto assoluto, cioè privo di massa? Bisogna allora pensare che vi siano delle masse piccolissime che vengono lanciate nello spazio vuoto a velocità pari a quella della luce. Ma con ciò si ritorna all’ipotesi di Newton del bombardamento che era stata scartata per varie ragioni, tra cui quelle principali della inammissibilità che dei corpuscoli potessero viaggiare a tale enorme velocità e per l’impossibilità di spiegare con la teoria dell’emissione i fenomeni ondulatori.
Gli scienziati moderni saltando a piè pari queste obiezioni, dichiararono di non saper spiegare come avveniva la trasmissione dei fotoni dalla sorgente della luce al punto ove si manifestavano i fotoni stessi, ma anche con questa dichiarazione, poco onorevole per la scienza, rimane pur sempre il fatto inconfutabile che se ad una superficie illuminata viene ceduta energia da parte di uno spazio assolutamente vuoto, è segno che contro quella superficie urta una massa seppur piccola a piacere, la quale cede la propria energia alla superficie considerata. Se tale massa è nulla, nessuna energia può essere ceduta alla superficie, cioè nessun fotone si manifesta. Come si vede gli scienziati moderni, allo scopo di spiegare i fenomeni ondulatori e quantistici della luce, sono caduti in ipotesi talmente oscure che hanno ridotto la scienza a non spiegare più nulla. Infatti non vengono spiegate né la modalità di trasmissione dei fotoni, né l’essenza intima della luce, né si è chiarito se il fotone sia dovuto ad una massa in movimento. Abbiamo notato che gli scienziati moderni sono ricorsi a tali ipotesi oscure per spiegare i fenomeni luminosi dicendo per il 60% che presentano caratteri ondulatori e per il 40% che presentano caratteri corpuscolari. Ma era proprio necessario ricorrere a tali oscure ipotesi? Non si poteva spiegare quella doppia caratteristica con la chiara ipotesi di Young? Gli scienziati moderni rispondono di no perché sono tuttora fermi nella convinzione che l’etere non esiste, in base all’esperimento di Michelson. Todeschini però ha dimostrato che questo esperimento lungi dal dimostrare l’inesistenza dell’etere, lo comprova chiaramente, sia pur nel concetto di un etere mobile e parzialmente mobile con i corpi celesti. L’unico esperimento sul quale poggiano le oscure ipotesi degli scienziati moderni è quindi in contrasto e non a favore di esse! Se si aggiunge che Todeschini ha dimostrato che il vuoto assoluto non esiste, ma che la materia e tutti gli spazi tra di essa sono costituiti da uno spazio fluido ponderale e che non è possibile far nascere alcuna forza, e quindi alcuna energia (nessun fotone) nel vuoto assoluto, si comprende subito come per spiegare la luce bisogna ammettere che essa sia provocata nella psiche da vibrazioni di un mezzo materiale che a sua volta abbia la facoltà di far oscillare determinati elementi materiali della retina dell’occhio, oscillazioni che trasmesse al cervello suscitano nella psiche la sensazione di luce. Bisogna quindi ritornare alla geniale ipotesi del Young, di uno spazio ponderale che vibra, con la sola differenza che non bisogna credere che sia la luce a trasmettersi, poiché essa è una sensazione che sorge solamente nella nostra psiche, ma si trasmette solamente la vibrazione di spazio corrispondente. Si tratta ora di dimostrare che con questa ipotesi si possono spiegare sia i fenomeni ondulatori che quelli corpuscolari della luce. Perché qui sta la questione che i fisici moderni non sono riusciti a risolvere e che qui invece saranno risolti. Si tratta in altre parole di dimostrare che anche ammettendo uno spazio materiale che vibra si può pervenire alla quantitazione che spiega i caratteri corpuscolari della luce, mentre la vibrazione ne spiega quelli ondulatori. Facciamo subito notare che la scienza moderna parla di quantitazione di energia, la quale, come abbiamo già dimostrato, è irrealizzabile.
Si dovrà quindi parlare di quantitazione dell’unica entità realizzabile e cioè la quantità di moto o del relativo impulso. In questo concetto il fotone non ha più le dimensioni del prodotto di una energia per un tempo, come indicato nella relazione (2), bensì quelle del prodotto di una massa per una velocità, cioè di una quantità di moto, secondo la relazione:
h mV
(3)
Dividendo questa equazione per il periodo di tempo T , avremo:
h
1 V m T T
(6)
e poiché l’inverso del periodo è uguale alla frequenza , ed una velocità divisa per un tempo ha le dimensioni di una accelerazione, avremo:
h ma
(7)
Ricordando che il prodotto di una massa per una accelerazione è equivalente ad una forza F , potremo scrivere:
F h ma
(8)
Stante che la luce è una sensazione come la forza, potremo porre:
F L h ma
(9)
Come si vede, considerando il fotone come una quantità di moto si perviene ugualmente alla quantitazione della luce ed inoltre si è in coerenza col principio che anche la sensazione di luce, come tutte le altre sensazioni, è equivalente ad una forza e non ad una energia. Che il fotone sia una quantità di moto si può anche dimostrare procedendo nel modo già più volte praticato per trovare le leggi di trasmissione delle vibrazioni sonore, termiche, elettromagnetiche, ecc.. Se consideriamo infatti una vibrazione di spazio a frequenza della luce, il moto armonico dell’unità di massa dello spazio sappiamo che è equivalente alla proiezione sul diametro del moto di un punto che descrive una circonferenza con velocità costante. Da precedenti calcolazioni che qui non riportiamo per brevità ( vedi “La Teoria delle Apparenze” capitolo 39°), l’accelerazione A1 massima dell’unitàdi massa dello spazio, risulta:
A1
4 2 R T2
(10)
Stante che la velocità della luce è costante, potremo porre:
V
2 R K T
(11)
E con ciò la (10) diventa:
A1 2 K
1 T
(12)
Moltiplicando tale accelerazione per la massa unitaria dello spazio avremo la forza F , cioè:
F 2 K
1 T
(13)
I primi quattro coefficienti del secondo membro sono evidentemente delle quantità costanti, epperò si può porre 2 K h , e tenendo presente che l’inverso del periodo è uguale alla frequenza , avremo: F h A1
(14)
La quale è identica alla (9) se si pone m e A1 a . Questo risultato ci dice che veramente il fotone è equivalente ad una quantità di moto (come volevasi dimostrare). Dalla (14) si vede che ad ogni frequenza corrisponde una ben precisata accelerazione ed una ben precisata forza. Ma le varie frequenze caratterizzano i vari colori della luce, e questa sorge e sparisce al raggiungere di due ben precisate frequenze limite di visibilità, quindi sia la luce che i suoi colori dipendono dalla entità della forza F , cioè quelle sensazioni sono equivalenti alle sensazioni di forze. Se chiamiamo L le sensazioni luminose, si avrà quindi in base alla (14): L F h m8a8
(15)
E’ questa l’ottava equazione psico-fisica. Essa ci dice che: “La luce ed i suoi colori non esistono nel mondo fisico, ma esistono in esso solamente le corrispondenti accelerazioni di masse o di spazio fluido in vibrazione. La luce ed i suoi colori sono apparenze (sensazioni) prodotte nella psiche da quelle accelerazioni trasmesse dalla retina dell’occhio al cervello”. La (15) ci dice che:”La luce ed i suoi colori L e la forza F sono equivalenti essendo entrambe equivalenti all’accelerazione di masse”. In base poi al postulato citato al capitolo II della “Teoria delle Apparenze” che
recita: “esiste soltanto ciò che dura nel tempo”, non possiamo dire che esiste una sensazione, né che esiste una accelerazione di masse, se la sensazione e la accelerazione non durano un certo periodo di tempo t . Ne segue che la (15) per rappresentare entità esistenti deve essere moltiplicata per t , e con ciò diventa: Lt Ft m8a8t
(16)
La quale ci dice che: “Le sensazioni luminose esistono solamente se durano un certo periodo di tempo t finito e diverso da zero”. Ci dice anche che:” Se la accelerazione dello spazio non dura un certo periodo di tempo t , nessuna sensazione luminosa sorge nella psiche”. La (16) si può scrivere poi anche nel seguente modo: Lt I m8V8
(17)
La quale ci dice che: “Le sensazioni luminose che durano un certo numero periodo di tempo t sono equivalenti ad un impulso I nella psiche, mentre sono equivalenti ad una quantità di moto m8V8 nel mondo fisico”. Se ora consideriamo la (14), sapendo che la forza è uguale alla pressione p moltiplicata per la superficie , potremo scrivere:
p h
(18)
Considerando come superfici le sfere concentriche alla sorgente delle vibrazioni, la superficie di una qualsiasi di tali sfere risulta:
4 R2
(19)
Sostituendo tale valore nella (18) avremo:
p
h 4 R 2
Posto
(20)
h h1 si ha: 4
p h1
1 R2
(23)
Dalla (15) e dalla (18) si ha:
p
L
(24)
Ma la luce per unità di superficie espressa da questa equazione, è equivalente a quella che gli ottici chiamano intensità luminosa J . Potremo quindi scrivere:
J
L
(25)
Ossia:
pJ
(25)
La quale ci dice che: “L’intensità luminosa J è equivalente ad una pressione p ”. Dalla (25) e dalla (23) abbiamo:
J h1
1 R2
(26)
La quale ci dice che: ”La intensità luminosa J è proporzionale alla frequenza della vibrazione ed inversamente proporzionale al quadrato delle distanze della sorgente delle vibrazioni dalla superficie sulla quale tali vibrazioni vanno ad infrangersi”. Se la frequenza si mantiene costante, possiamo porre h1 K1 e la (26) diventa:
J
K1 R2
(27)
La quale ci dice che:” La intensità luminosa J di una vibrazione di determinata lunghezza d’onda, è inversamente proporzionale al quadrato della distanza della superficie illuminata dalla sorgente delle vibrazioni”. Se invece consideriamo l’intensità luminosa su una superficie posta ad una h1 distanza costante dalla sorgente, potremo porre K 3 e con ciò la (26) R2 diventa: J K 3
(28)
La quale ci dice che: “Ad una determinata distanza della superficie illuminata dalla sorgente delle vibrazioni, l’intensità luminosa varia con la frequenza della vibrazione”. E’ noto che la relazione (27) è basilare nella fotometria, epperò questo prova che tale relazione è sperimentalmente accertata.
La (15) che esprime la equivalenza tra la luce e la forza ci dice che possiamo misurare la luce in chilogrammi, suoi multipli e sottomultipli. La cosa non sembrerà più tanto strana, dopo che abbiamo dimostrato che anche il suono, il calore, l’elettricità ed il magnetismo si possono misurare a peso. Come ad ogni nota musicale abbiamo fatto corrispondere un peso, cos’ ad ogni colore della luce corrisponderà un particolare peso. Infatti i vari colori della luce sono caratterizzati da una ben precisa frequenza; introducendo il valore di tale frequenza nella (15) potremo sempre trovare a quale forza F corrisponde il colore preso in considerazione, cioè il suo peso. Lasciamo agli ottici il compito di determinare in base alla (15) il peso di tutti i colori, facendo notare come anche nell’ottica la nostra teoria apra un campo immenso alle ricerche ed agli studi, palesando sempre più la sua fertilità. Sino ad oggi si è tentato invano di misurare la luce; partendo dal concetto di flusso di energia, si è tentato di valutane in lumen la potenza. Ma la luce è equivalente ad una forza e non ad una energia, e tanto meno ad una potenza. Due secoli si sono spesi per trovare le bilance di misura della luce, e non si è pensato che l’uomo era già munito di una bilancia ultra sensibile ed esatta, quale l’organo della vista! In verità bisogna concludere che noi siamo dotati di strumenti che ci accusano forze infinitesimali senza bisogno di alcun apparecchio fatto dall’uomo e senza bisogno di sforzi mentali. Il più ignorante degli uomini, infatti, quando distingue un colore dall’altro, distingue due forze piccolissime e con ciò la loro differenza ancor più esigua. La quantità (di forza) diventa qualità di colore nella psiche. Da quanto sopra dimostrato, la luce ed i suoi colori non esistono né si trasmettono nel mondo fisico, ma esiste in questo e si trasmettono solamente delle vibrazioni di spazio, le quali investendo gli atomi della materia li sottopongono ad accelerazioni che li costringono ad espellere elettroni. Nasce così l’effetto fotoelettrico scoperto da Hertz nel 1887. Tale effetto, come abbiamo già accennato altrove, consiste nel fatto che sotto l’incidenza di raggi X, od ultravioletti, oppure di raggi visibili, un gran numero di metalli e qualche gas danno luogo ad emissione di elettroni. Se chiamiamo con F2 la forza equivalente all’accelerazione dello spazio in vibrazione contro l’atomo, e con F1 la forza occorrente per far uscire un elettrone dall’atomo avremo: F F2 F1
(29)
Dove con F si è designata la forza con la quale l’elettrone sfugge oltre la cinta dell’atomo, o meglio, nel nostro linguaggio, la forza che provocherebbe nella psiche se esso urtasse contro l’epidermide con l’accelerazione corrispondente a lui impressa. Se m è la massa dell’elettrone ed a la sua accelerazione, sarà perciò:
F ma
(30)
Ma la forza F2 è quella dovuta alla vibrazione dello spazio, che in base alla (15) è esprimibile in funzione della frequenza di vibrazione, cioè: F2 h
(31)
Sostituendo i valori (30) e (31) nella (29) avremo: ma h F1
(32)
E’ questa l’equazione dell’effetto fotoelettrico e del suo inverso. Letta da destra verso sinistra ci dice che se l’elettrone urta un atomo, questo emette una radiazione a frequenza , letta da destra a sinistra ci dice che se una vibrazione luminosa investe un atomo, questo emette elettroni con una accelerazione corrispondente. Se tale elettrone colpisce l’epidermide viene suscitato nella psiche la sensazione elettrica E . Infatti in base alla prima delle 10 equazioni psico-fisiche del capitolo 41 della Teoria delle Apparenze, abbiamo: EF
e con ciò la (32) diventa: E h F1
(33)
L’effetto fotoelettrico è quindi simile a quello delle onde herziane quando incontrano un’antenna, e vi producono una corrente elettrica. In altre parole, sia una vibrazione di spazio a frequenza luminosa, sia una vibrazione di spazio a frequenza herziana, se investono gli atomi di una sostanza materiale, costringono tali atomi ad espellere elettroni, il cui flusso costituisce una corrente elettrica. Da ciò segue la seguente importantissima scoperta: “L’effetto fotoelettrico si identifica con l’effetto di un’onda herziana”. Balza chiaro da questa scoperta che la vibrazione a frequenza luminosa e quella a frequenza elettrica, si identificano entrambe in una vibrazione di spazio, sia pur con lunghezza d’onda diverse. In altre parole ciò che si trasmette nei due casi non è la luce e nemmeno l’elettricità, ma solamente il movimento dello spazio fluido ponderale. La luce infatti, come l’elettricità, sono due sensazioni, e come tali non possono sorgere che nella psiche degli esseri animati, allorché negli organi relativi della vista o del tatto vengono ad infrangersi quelle onde di spazio oppure gli elettroni fatti espellere da quelle onde ad un corpo. Abbiamo con ciò levato la maschera anche al misterioso effetto fotoelettrico facendone intravvedere il meccanismo, e facendolo rientrare nel caso generale dell’investimento di un fluido sugli atomi, facendolo diventare un caso particolare della fluido-dinamica. Facciamo rilevare che la legge dell’effetto fotoelettrico è stata da Einstein
sintetizzata nella seguente relazione:
1 mV 2 h w 2
(34)
la quale è formalmente identica alla (32) da noi trovata, con la sola differenza che la nostra relazione contempla forze, mentre quella di Einstein contempla energie. Che la relazione fi Einstein (34) sia errata è provato dal fatto che l’energia è irrealizzabile, e che la luce e l’elettricità non sono equivalenti ad energia, ma bensì a forze. Alla relazione di Einstein (34), va quindi sostituita la relazione (32) di Todeschini.
I COLORI Qualsiasi oggetto è costituito da atomi, i quali a loro volta sono costituiti da un nucleo attorno al quale orbitano degli elettroni. La forza centrifuga di questi elettroni si può rappresentare come un vettore rotante diretto secondo il raggio che congiunge il mobile al centro nucleare, e rivolto verso la periferia. Per il teorema di Galileo Ferraris, i vettori rotanti rappresentanti le forze centrifughe dei vari elettroni orbitanti, si possono comporre in un vettore risultante che rappresenta la forza alternata cui è sottoposto l’atomo,il quale perciò oscillerà con una frequenza propria. Ogni sostanza quindi è caratterizzata dall’avere una propria frequenza p di oscillazione. L’atomo quindi anche se non è eccitato emette ugualmente radiazioni che per lo più sono invisibili ma che possono anche diventare visibili in alcuni atomi speciali se ulteriormente eccitati come il fosforo. Il fatto che le varie sostanze abbiano una temperatura diversa, ci dice già che esse debbono vibrare diversamente l’una dall’altra. Ogni sostanza quindi si comporta come una sorgente di vibrazioni particolari, in quanto tali vibrazioni vengono da essa trasmesse allo spazio fluido ambiente. La forza equivalente a tale vibrazione sarà:
Fp h p
(16)
Tale frequenza è relativa allo spazio considerato come immobile. Se invece lo spazio dovesse vibrare con frequenza i perché già sollecitato da un’altra sorgente di vibrazioni, allora la frequenza relativa tra la sostanza illuminata e lo spazio, diventa:
r i p
(17)
L’equivalente forza F sarà:
F h r h( i p )
(18)
La forza F è equivalente, nel nostro caso, alla sensazione di luce L, epperò possiamo scrivere:
L h r h( i p )
(19)
La quale ci dice che: “La frequenza delle onde riflesse da una superficie, è proporzionale alla differenza tra la frequenza dell’onda incidente sulla superficie e la frequenza di vibrazione propria degli atomi che costituiscono la superficie stessa”. Stante che gli atomi dei vari elementi sono diversi, ogni sostanza avrà particolare frequenza di vibrazione propria. Da ciò consegue che se illuminiamo diverse sostanze con la stessa qualità di luce, la luce da esse riflessa avrà frequenze
diverse, cioè sarà diversamente colorata e gli oggetti ci sembreranno tinti di colore differente. In verità, nel nostro linguaggio, non bisogna parlare di luce incidente e di luce riflessa, ma solamente di onde di spazio incidenti e di onde di spazio riflesse. Queste poi tradotte al cervello suscitano nella psiche la sensazione di colore. Gli oggetti non hanno quindi alcun colore, ma solamente vibrano, o meglio hanno degli atomi vibranti. Noi abbiamo l’illusione che i colori siano localizzati in essi, perché in essi è localizzata la vibrazione propria a ciascuno. Questa scoperta è confermata da quanto ora diremo. Dall’epoca di Cartesio ad oggi si è ritenuto che la luce bianca fosse composta di 7 colori e che colpendo determinate sostanze, queste avessero la proprietà di assorbire 6 colori e riflettere invece solo la luce del settimo colore, che così appariva come quello della sostanza illuminata. Con tale modo di concepire, ne dovrebbe risultare che se viene illuminato un ambiente con una luce monocromatica, cioè di un solo colore, tutti gli oggetti che non riflettono tale luce, dovrebbero apparire neri, mentre noi invece sappiamo bene che ciò non è. Infatti negli spettacoli di varietà tutti hanno visto che illuminando il palcoscenico con una luce di un determinato colore i vestiti degli attori appaiono tutti colorati diversamente, e che si trae partito di ciò per ottenere mirabili effetti colori cangianti al variare della luce monocromatica usata. Se era possibile spiegare il vario colore degli oggetti illuminati dalla luce bianca pensando questa composta di 7 colori, non è più possibile spiegare i vari colori degli oggetti illuminati da una luce composta di un solo colore! Solamente col nostro concetto la spiegazione è possibile, ma allora bisogna rinunciare a pensare la luce bianca composta di 7 colori, oppure di 7 vibrazioni di frequenza diversa, ed ammettere che, o bianca, o colorata, la luce è una sensazione che sorge nella psiche, e che ha per corrispondente nel mondo fisico una vibrazione di determinata frequenza per ciascun colore, bianco compreso. Dalla Fp h p possiamo poi dedurre ancora che: “Se la frequenza p propria della sostanza riflettente è tale che la differenza tra essa e la frequenza incidente, diano una frequenza compresa in una gamma diversa da quella incidente, la psiche rivela la vibrazione riflessa con la sensazione di un colore diverso da quello della luce usata”. Possiamo quindi tranquillamente enunciare che: “Le sostanze coloranti non sono altro che elementi chimici aventi frequenze di vibrazione propria una diversa dall’altra”. Dalla relazione (19) si vede subito che se la frequenza dell’onda di spazio incidente è uguale a quella propria della sostanza colpita, la frequenza dell’onda riflessa è nulla, cioè non vi è vibrazione, ed il corpo ci appare nero. E’ poi da osservare che a sua volta la luce riflessa incide sulla retina dell’occhio. Questa retina composta di sostanze materiali avrà anche atomi aventi vibrazioni proprie. Se chiamiamo quindi con o la frequenza propria di vibrazione della retina, la equivalente forza Fo sarà data da: Fo h
(20)
Allora la frequenza di vibrazione dell’onda riflessa rispetto agli atomi della retina, sarà data dalla relazione:
i p o
(21)
E l’equivalente sensazione di luce L diventa:
L h h( i p o )
(22)
la quale ci svela che: “La sensazione di luce o colore suscitata nella psiche da un oggetto sul quale si incidono vibrazioni di spazio a frequenza luminosa, dipende dalla frequenza della vibrazione incidente sull’oggetto, dalla frequenza di vibrazione propria della sostanza di cui esso è composto e dalla frequenza di vibrazione propria della retina degli occhi”. Variando quindi la frequenza dell’onda incidente (ossia, come si dice erroneamente, variando il colore della luce incidente), variano anche le colorazioni apparenti degli oggetti. Variano invece le qualità degli oggetti sottoposti alla stessa onda (alla stessa luce), variano i loro colori apparenti. Variando infine la sostanza di cui è composta la retina, e lasciando invariata la sostanza degli oggetti, questi appaiono colorati diversamente. In generale la retina degli occhi dell’uomo è caratterizzata da una ben determinata frequenza propria uguale per tutti gli individui, però vi sono rare eccezioni di individui dotati di retina avente frequenza di vibrazione propria diversa da quella delle retine della maggioranza degli altri uomini; epperò questi individui eccezionali dovrebbero vedere gli oggetti colorati diversamente dal come li vedono gli individui normali. Infatti i daltonici hanno questa visione eccezionale. Questa anomalia, com’è noto, si chiama daltonismo perché fui scoperta da Dalton su se stesso. Il dire che il daltonismo è un difetto della vista è errato, poiché fuori dal corpo umano, o meglio fuori dalla nostra psiche non vi sono colori, ma solamente vibrazioni. Non si può quindi sostenere che un daltonico che vede rosso là dove gli altri vedono il verde, o viceversa, veda male, perché in realtà vedono male tutti, nel senso che il colore che vedono non esiste nel mondo fisico. Ne segue che il colore è una sensazione relativa all’individuo, ed infatti la (21) ci dice chiaramente che esso dipende dalla frequenza o propria della retina di ciascun uomo. La (16) ci dice d’altra parte che la sensazione luminosa dipende anche dalla frequenza incidente sull’oggetto e dalla sua frequenza propria di vibrazione, epperò la sensazione dipende anche da fenomeni oggettivi esterni al corpo umano. La (16) esprime quindi la relatività oggettiva-soggettiva delle sensazioni, ossia la relatività psico-fisica di esse. A completamento di quanto sopra descritto riproduciamo in allegato quanto scrive l’ing. Marco Todeschini a riguardo dell’organo della vista: l’occhio.