E' già domani

Page 1

è già L’autoregolamentazione per uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle BCC

ATTI IV Convegno annuale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio Umbria Sardegna Roma, 2 dicembre 2010 Palazzo della Cooperazione



è già domani

SOMMARIO

5

INTRODUZIONE APERTURA DEI LAVORI

13

Maria Angela Scullica Direttore Banca Finanza

17

Mons. Francesco Rosso Assistente Ecclesiastico per la cooperazione

19

Francesco Liberati Presidente della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

I “7 +” DELLE BCC FEDERLUS 27

Paolo Grignaschi Direttore Generale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

CRISI E RIFORME: CONSEGUENZE SULLE BANCHE 43

Giacomo Vaciago Ordinario di Politica Economica e Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano

CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE 61

Salvatore Maccarone Presidente di Banca Fideuram e di Sef Consulting

AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA 73

Antonio Catricalà Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

CONCLUSIONI 83

Maurizio Trifilidis Direttore superiore. Titolare dell’unità di Coordinamento d’area e collegamenti filiali della Banca d’Italia

95

Alessandro Azzi Presidente Federazione Italiana delle BCC

109

ELENCO DEI PARTECIPANTI

111

LE IMMAGINI DELLA GIORNATA



è già domani

INTRODUZIONE

5

Quello di quest’anno è il quarto convegno annuale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna. Il filo conduttore che lega concettualmente questi eventi è sempre stata la riflessione sul presente e l’immaginazione del futuro, sia con riferimento allo scenario generale che alle nostre caratteristiche distintive. Così è stato nel 2007, quando intitolammo quell’appuntamento “Il territorio oltre il confine”. Era la fase conclusiva degli intensi processi aggregativi che portarono ad un forte incremento del grado di concentrazione del Sistema Bancario, del “gigantismo”. Erano gli anni di grande innovazione finanziaria e del dominio della finanza rispetto all’intermediazione creditizia tradizionale. Contestualmente, si cominciavano a manifestare i primi segnali di disagio, derivanti da frizioni tra tensioni globali e forze locali, tra Globalizzazione e Localismo. Da qui, la scelta del tema di quell’incontro, volto a far emergere i bisogni e le aspettative di una dimensione locale, estremamente viva, che tuttavia rischiava di rimanere disattesa nei suoi interessi. Una dimensione locale, in movimento, “oltre i confini”, che necessitava di risposte differenti, di prossimità sia di natura culturale che territoriale. Nel convegno del 2008, “L’alba dentro l’imbrunire” non potevamo fare a meno di partire dalle riflessioni in merito alla crisi innescata dal fallimento


INTRODUZIONE ATTI

6

di Lehman Brothers, il 15 settembre, e sulle conseguenze negative di un modello di sviluppo basato sull’indebitamento delle famiglie e degli Stati, su spericolate politiche di gestione del rischio, sulla finanza fine a se stessa. Già in quell’occasione individuammo nella coerenza, la strada da percorrere per il nostro Sistema, per affrontare le prime difficoltà che si profilavano all’orizzonte, evidenziando gli elementi positivi celati al pluralismo del Sistema Bancario. “Il credito oltre la crisi”, nel 2009, è caduto nel momento della trasmissione degli effetti della crisi al tessuto produttivo e la fase più critica – sia tecnicamente che politicamente – per le Banche nel loro insieme. Banche che sono state viste come coinvolte, in quella che oramai veniva definitiva la peggiore crisi economica del dopoguerra, sia nella genesi che nella ripresa, come protagoniste negative. Nella genesi, per lo scoppio del caso subprime, nell’uscita per via delle tensioni restrittive nell’offerta creditizia. Per il Credito Cooperativo è stato un anno di grande visibilità, nei numeri – per noi la stretta sul credito non è mai esistita – presso il pubblico: hanno parlato di noi la Banca d’Italia, gli economisti, la classe politica di governo. Concludemmo sottolineando che in realtà i “rubinetti” non furono chiusi, che il problema della globalizzazione e delle sue interdipendenze con i contesti locali era la questione da affrontare. Lanciammo il dubbio – ancora valido – sulla natura delle banche: servizio pubblico o facoltà imprenditoriale? Nell’evento di quest’anno, a ben vedere, si spezza quel filo conduttore. Si sovrappongono i cardini citati. La contrapposizione metodologica tra attualità e domani viene meno. Non ha più senso parlare di crisi o di momento di difficoltà. Non ha senso par-


lare del domani come evoluzione con soluzione di continuità. Una cosa è ormai certa: il domani non sarà un ritorno. Il domani è già tra noi. Come è sempre stato nella storia economica, nei momenti di forte discontinuità, nuove regole – a volte orientate in senso opposto rispetto alla ratio che animava quelle sino a poco prima in vigore – verranno prodotte per trasformare un sistema o rivederne gli attori. Partecipare, o restare spettatori di tale produzione “creativa”, prevedibilmente, equivarrà a continuare a vivere un futuro da protagonisti o a subirne le conseguenze. Paolo Grignaschi Direttore Generale Federlus

7







è già domani

APERTURA DEI LAVORI

Mariangela Scullica Direttore Banca Finanza

13

È con immenso piacere che mi accingo a dare il via al IV Convegno Nazionale della Federlus, la Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna. Sono Angela Maria Scullica, Direttore di Banca Finanza e del Giornale delle Assicurazioni. Seguirò come moderatore l’incontro odierno. Un saluto a tutti i presenti. In particolare: ai rappresentanti della Banca d’Italia: il Dottor Maurizio Trifilidis, Direttore superiore - Titolare dell’Unità di Coordinamento d’Area e Collegamento Filiali, il Dottor Fabio Bernasconi, Direttore dell’Unità di Coordinamento d’Area e Collegamento Filiali, il Dottor Paolo Galiani, Direttore della Sede di Roma, il Dottor Roberto Caramanica dell’Ufficio Supervisione Intermediari Finanziari della Sede di Roma, il Dottor Paolo Pasca, Direttore della Sede di Perugia, il Dottor Luca Santi della Segreteria Tecnica Arbitro Bancario e Finanziario, il Dottor Cristian Ricciuti del Servizio Rapporti Esterni e Affari Generali. Ci manda i suoi saluti il Dottor Fabio Panetta, Capo Servizio Studi Congiuntura e Politica monetaria, all’estero per impegni istituzionali. Un saluto ai rappresentanti di Confcooperative: il Dottor Luigi Marino, Presidente di Confcooperative e il Dottor Paolo Galante, Direttore Generale di Fondo Sviluppo. Ai rappresentanti delle Società ed Enti centrali del Credito Cooperativo; in particolare:


APERTURA DEI LAVORI

14

l’Avvocato Alessandro Azzi, Presidente della Federazione Italiana delle BCC, l’Ingegner Giulio Magagni, Presidente di Iccrea Holding, il Professor Avvocato Salvatore Maccarone, Presidente di Banca Fideuram e di Sef Consulting, con noi tra i relatori, il Dottor Serafino Bassanetti, Presidente di Banca Agrileasing, il Dottor Francesco Carri, Presidente di Iccrea Banca, il Dottor Sergio Gatti, Direttore Generale di Federcasse, il Dottor Federico Cornelli, Direttore Generale del Fondo di Garanzia Istituzionale, il Dottor Roberto di Salvo, Direttore Generale del Fondo di Garanzia dei Depositanti, il Dottor Roberto Mazzotti, Direttore Generale di Iccrea Holding, il Dottor Carlo Napoleoni e il Dottor Leonardo Rubattu, Vice Direttori Generali di Iccrea Holding, il Dottor Paolo De Angelis, Direttore Generale di Sef Consulting, il Dottor Claudio Brazzolotto, Direttore Generale Iside. Un saluto anche: al Dottor Enrico Falcone, Presidente di Banca Sviluppo, al Dottor Antonio Maffioli, Direttore Generale di Banca Sviluppo, al Dottor Enrico Pedretti, Direttore Generale di Banca Impresa Lazio. Poi a tutti i numerosi Presidenti e Direttori delle Federazioni Locali ed agli altri Dirigenti e rappresentanti delle Società del Credito Cooperativo. Un saluto particolare va agli altri relatori, al Dottor Antonio Catricalà, Presidente dell’Antitrust, a Monsignor Rosso, ed al Professor Giacomo Vaciago, Ordinario di Politica Economica e Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano, e poi ovviamente a tutti i presenti, ai Presidenti, ai Direttori ed ai rappresentanti delle BCC Federlus, che oggi sono tutte qui ovviamente. Il contesto nel quale stiamo vivendo è un contesto di profonda trasformazione, in continua accelerazione. La crisi sta producendo ancora i suoi effetti, con l’aggiunta delle ultime evoluzioni relative ai debiti sovrani.


è già domani

Fenomeni che evidenziano ancor di più l’esigenza di un coordinamento e di una vera integrazione politica europea. Per quanto riguarda le Banche e gli intermediari finanziari, si va presumibilmente verso una regolamentazione più accentuata. Con il rischio concreto che nuove regole – quasi sempre pensate per istituzioni più grandi – vadano ad impattare oltremodo sulle Banche di Credito Cooperativo. È per tale ragione che oggi approfondiamo la possibilità di una nuova autoregolamentazione del Sistema del Credito Cooperativo, sul tema delle regole di governance, così come degli assetti e dei profili patrimoniali. Lascio subito la parola a Monsignor Rosso per un saluto e poi al Presidente Liberati. Prego.

15



è già domani

Mons. Francesco Rosso Rappresentante Ecclesiastico per la cooperazione

17

Non entro, certo, nel merito delle dinamiche del convegno, ma mi preme fare una brevissima riflessione, che parte dalle motivazioni che hanno interessato la storia della nostra cooperazione in Italia. Le mie riflessioni nascono proprio dal titolo del convegno, che, credo, debba portare il nostro movimento a vivere una esperienza di servizio continua e dinamica. Il domani impegna ciascuno a vivere e, per noi che siamo radicati nella dottrina sociale della chiesa, a vivere da Cristiano. Vivere da Cristiano, questo è il tema “è già domani”. Viviamo la profezia evangelica di un movimento che si proietta nelle necessità di una società che vive di disagi e di povertà, ma soprattutto di disattenzione. Vive anche di una mancanza di forte equilibrio, ma, allo stesso tempo, deve dare delle risposte ai bisogni della gente. Affrontare il domani, questo è il tema per i Cristiani in questo tempo di avvento. La salvezza è vicina. Vedete, questo nostro mondo è caratterizzato dalla necessità di mettersi al servizio di una comunità in crescita per andare incontro ai bisogni quotidiani. Noi come cooperazione – ho prestato servizio per molto tempo all’interno di Confcooperative e di questa nostra realtà, ma ora mi accingo a lasciare, a diventare assistente emerito – viviamo già l’esperienza di pensare al domani. Tuttavia è necessario riuscire ad immedesimarsi nel domani del mondo, per mantenere operativo il domani stesso, per farlo essere la risposta attuale alla crescita della persona, alla nostra attenzione primordiale e all’uomo in tutta la sua interezza. È questo il punto cardine del discorso, secondo il quale la dottrina sociale della chiesa diventa il riferimento della nostra realtà, della cooperazione, della vita vissuta in comunione e in coesione. La cooperazione è l’attualità di questa profezia.



è già domani

Francesco Liberati Presidente della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

19

Signori Soci, illustri ospiti rivolgo a tutti voi ed alle Autorità che ci onorano della loro presenza, il più cordiale benvenuto e il ringraziamento per la partecipazione al nostro convegno annuale. Grazie ai Presidenti delle BCC associate, agli amministratori e ai componenti dei Collegi Sindacali per la loro nutrita presenza. Saluto tutti i rappresentanti del nostro sistema associativo e imprenditoriale delle diverse società del Gruppo bancario. Un ringraziamento speciale va ai relatori che hanno accettato di contribuire alla nostra analisi odierna. Grazie al dott. Maurizio Trifilidis della Banca d’Italia, che segue con attenzione l’attività della nostra Federazione e delle nostre Banche. Grazie al Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Antonio Catricalà, per la sua presenza e per il contributo che vorrà dare ai nostri lavori sulle tematiche della concorrenza e della tutela dei diritti degli utenti finanziari rispetto alle nostre banche. Ringrazio poi il prof. Giacomo Vaciago, che ha accettato di tornare al nostro convegno dopo l’apprezzatissimo intervento dello scorso anno. Aspettiamo da lui lumi sui tempi, i significati reconditi e le ripercussioni di una crisi economica, finanziaria e anche monetaria ormai, di cui ancora non si intravede un’evoluzione certa. All’interno dell’Europa i diversi Paesi non hanno


APERTURA DEI LAVORI

20

comportamenti coerenti e allineati. In Italia la crisi politica complica la situazione. Come affermato di recente da Giuseppe De Rita, il modello politico, economico e sociale del nostro paese sembra bloccato a quello degli anni ’70, modello che lui ha chiamato del “capitalismo molecolare”. Un modello che ci ha fatto superare importanti crisi passate, ma che oggi non sembra più adeguato per competere in un mondo globale e tecnologico. Qualcuno in Europa inizia a pensare di uscire dall’euro, con l’obiettivo di svalutare il debito pubblico e dare fiato all’economia attraverso le famose svalutazioni competitive. Professor Vaciago, le chiediamo quali sono le priorità, cosa dobbiamo aspettarci e cosa potremmo fare come piccole banche al servizio delle comunità locali, nel contesto di questi scenari. Grazie poi al prof. Salvatore Maccarone per il contributo che vorrà darci sul tema delle regole per le nostre banche, in una fase in cui sono sempre più forti le sollecitazioni normative nei confronti delle BCC. Grazie, infine, al Presidente Azzi per la sua presenza e per quanto vorrà dire a conclusione dei nostri lavori, appena dopo l’assemblea di Federcasse che si è tenuta venerdì scorso a Roma, sul tema “Cantiere futuro: costruire insieme la rinascita della comunità Italia”. Proprio all’assemblea della Federcasse, il Presidente Azzi ha lanciato la sfida dell’autoregolamentazione, sfida che noi raccogliamo e per la quale abbiamo promosso questo convegno come momento di analisi e verifica. Il Presidente Azzi ha anche annunciato ufficialmente il prossimo convegno nazionale che sarà incentrato sul “Credito Cooperativo del 2020”. Convegno che fa seguito a quelli di Parma, Riva del Garda e Sanremo, tappe fondamentali di un per-


21

corso di sistema dialettico, laborioso e fruttuoso. Un percorso lungo il quale abbiamo toccato risultati importanti – ricordo in particolare il varo della holding a Sanremo e l’avvio della politica basata sul concetto del “sistema a rete” a Riva del Garda. Ricordo poi l’idea del Fondo di Garanzia Istituzionale che prese impulso al convegno di Parma. Il convegno di oggi vuole essere quindi per la nostra Federazione la prima tappa di avvicinamento a questo importante appuntamento nazionale del Credito Cooperativo, che si terrà esattamente tra un anno qui a Roma. Una prima tappa che inizia guardando al domani nella convinzione che oggi è già domani, come recita il tema dell’incontro odierno. Un domani che per le banche, nel giro di meno di 20 anni, dopo l’introduzione del nuovo Testo Unico Bancario nel nostro Paese, è divenuto lontano anni luce dalla famosa foresta pietrificata che per decenni ha caratterizzato il sistema creditizio italiano. Ricordo che all’inizio degli anni novanta la quota delle attività bancarie facente capo a istituti controllati dal Tesoro e dalle fondazioni era prossima al 70%. Il sistema bancario si presentava frammentato in 1.064 istituti, di dimensione ridotta nel confronto internazionale, con complessivamente 17.721 sportelli. Le BCC erano in tutto 715 con 1.792 sportelli. Ogni BCC aveva mediamente 2,5 sportelli. Alla fine dello scorso anno le banche erano scese a 788, con 34.036 sportelli. In vent’anni il numero di sportelli è quasi raddoppiato. Le BCC a fine 2009 erano 421 con 4.192 sportelli, pari ad una media di 10 sportelli per BCC. Dopo vent’anni il numero di sportelli delle BCC è più che raddoppiato. L’aumento del grado di concentrazione del sistema


APERTURA DEI LAVORI

22

bancario su base nazionale si è accompagnato ad una costante diminuzione del grado di concentrazione su base locale, grazie anche alla crescita dell’operatività delle banche di più ridotta dimensione ed in particolare delle BCC. E questo non può non essere considerato come un elemento di pluralità, sana concorrenza sul territorio e garanzia per gli utenti finanziari. Come osservato da autorevoli fonti, le BCC hanno dimostrato, anche durante questa crisi, un’importante funzione nell’assicurare stabilità e radicamento sul territorio. Le BCC hanno continuato a erogare credito anche nei momenti di maggiori difficoltà. Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (nella Indagine conoscitiva sulla governance delle banche), le BCC “mostrano effettivamente una realtà radicata territorialmente e strettamente connessa con l’attività di erogazione dei finanziamenti ai soci e all’area locale”. Tutto questo è dimostrato dai numeri delle nostre banche nelle tre regioni di riferimento. Numeri di un sistema che cresce, malgrado la crisi. E che cresce a partire dai soci, con sempre nuovi cittadini che si avvicinano al modo di fare banca del Credito Cooperativo. Nel 2007 i soci erano 48.000 circa mente a metà 2010 sono arrivati a quasi 57.000 (+22% in poco meno di tre anni). Gi sportelli nello stesso periodo sono passati da 256 a oltre 300, con un aumento di oltre il 17%. La raccolta diretta da 7,7 miliardi è salita 10,3 miliardi con un aumento del 33,7%. Gli impieghi netti, e anche questo è un dato veramente significativo, sono saliti da 5,3 miliardi a 7,2 miliardi con una crescita del 35,8%. E tutto questo senza attenuare la crescita patrimoniale, a garanzia di prudenza e stabilità: il patrimonio aggregato delle associate è passato da 923 mi-


23

lioni 1,07 miliardi mostrando un incremento del 15,9%. Anche i ratios patrimoniali continuano a permanere su livelli più che adeguati. Cari amici Presidenti e Amministratori, possiamo essere più che soddisfati per quello che abbiamo fatto e che potremo ancora fare, al servizio del paese e dei cittadini in questi anni difficili. Ma per continuare in questo compito, come dicevo in apertura, dobbiamo guardare al domani come se fosse già oggi, operando sempre più in ottica di sistema e utilizzando al meglio le risorse di sistema. E dobbiamo farlo, migliorando l’efficienza e adeguandoci, anzi anticipando, le nuove regole in arrivo. Pensiamo in primo luogo alle indicazioni del Comitato di Basilea. La crisi economica e le tensioni finanziarie ad essa legate hanno portato con forza alla nostra attenzione – tra l’altro – il tema della natura e del ruolo delle banche nei sistemi economici e sociali. Imprese volte alla massimizzazione della redditività del capitale? Servizio pubblico a sostegno dei territori? Cinghie di trasmissione delle politiche economiche? In sintesi, come ci siamo chiesti in un precedente incontro: servizio pubblico o facoltà imprenditoriale? Gran parte di questi dilemmi verranno risolti attraverso nuova regolamentazione che, questa volta, non solo inciderà sull’operatività degli intermediari, ma cambierà prevedibilmente la morfologia dei sistemi finanziari. Per quanto ci riguarda, invece, sappiamo bene qual’è la nostra natura, il nostro ruolo, la nostra missione. Dobbiamo costruire insieme gli strumenti, le strutture, le garanzie: l’autoregolamentazione può es-


APERTURA DEI LAVORI

24

sere il mezzo per farlo in autonomia, protagonisti di un domani che è già tra noi. La risposta a questa sfida – che non possiamo disattendere – è ancora una volta di carattere organizzativo e nel Gruppo. Dobbiamo organizzarci meglio e non dobbiamo aspettare di subire le nuove regole, ma proporci con un’autoregolamentazione organica e previdente. Dobbiamo attivarci per adeguare i nostri assetti patrimoniali alle sempre più impegnative esigenze di copertura dei rischi, ampliando gli strumenti per qualificare patrimonio e capitale sociale. Cari amici, la domanda che vi pongo è: vogliamo essere dal lato del problema o della soluzione? La risposta – ovvia – è che vogliamo essere soluzione e, per questo, ancora una volta non possiamo prescindere dalla forza del sistema e del gruppo bancario. E questo ve lo dice il sottoscritto che, oltre a essere Presidente della Federazione BCC Lazio Umbria Sardegna, presiede la maggiore BCC italiana, una banca ormai di medie dimensioni: anche BCC Roma, senza la forza del Gruppo, da sola non potrebbe andare da nessuna parte. In particolare, dobbiamo difendere l’autonomia delle nostre banche, rimanendo fedeli alla nostra dimensione di soggetti espressione della società civile locale. Come singole BCC, dobbiamo rimanere lontani dalla politica, ancorandoci alla nostra autonomia come valore sociale e affinando i meccanismi di governance a garanzia di un corretto, trasparente e partecipato funzionamento interno. A tale proposito, sono state approvate dalla nostra Federazione nazionale le modifiche statutarie che dovranno essere sottoposte all’Organo di Vigilanza e, subito dopo, alle assemblee delle BCC. Sono molte e rilevanti le novità proposte, volte a


promuovere la partecipazione dei soci alla vita cooperativa e che riguardano il funzionamento dei consigli di amministrazione, nonché il tema del conflitto di interesse degli amministratori. Cari amici Presidenti, amministratori, illustri ospiti, concludo questa mia panoramica iniziale, ribadendo ancora una volta la particolare delicatezza e complessità dell’epoca che stiamo vivendo. A questo proposito, mi piace concludere questo mio intervento introduttivo con una frase del Governatore Mario Draghi: “Le banche italiane non hanno eredità pesanti nei loro bilanci. Utilizzino questi vantaggi nei confronti dei loro concorrenti per affrontare un presente e un futuro non facili. Prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita negli anni cinquanta e sessanta”. Questa, come allora, cari amici, è un’epoca in cui siamo chiamati a scelte rapide ed efficaci al servizio del Paese. Un’epoca in cui dobbiamo fare sempre più sistema e, per questo, dobbiamo rinsaldare sempre più i rapporti di gruppo facendo leva sulla forza storica della nostra unione, nel segno della cooperazione. Grazie.

25



è già domani

I “7 +” DELLE BCC FEDERLUS

Paolo Grignaschi Direttore Generale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

Un saluto a tutti e un ringraziamento per essere qui, anche da parte mia, ai rappresentanti della Banca d’Italia – oltre al Dott. Maurizio Trifilidis, che ci ha fatto l’onore di intervenire in qualità di relatore, al Dottor Fabio Bernasconi, ai Direttori delle Sedi d Roma – Dott. Paolo Galiani – e di Perugia – Dott. Paolo Pasca. Agli altri relatori – il Dott. Antonio Catricalà, il Prof. Giacomo Vaciago e il Prof. Salvatore Maccarone – a tutti i rappresentanti del vasto mondo del Credito Cooperativo a tutti i livelli – a partire dal Presidente di Federcasse Alessandro Azzi e dal Direttore Saluti e ringraziamenti Generale Sergio Gatti – ed anche dal mondo della cooperazione in senso più ampio – per tutti saluto e ringrazio il Presidente di Confcooperative Dott. Luigi Marino; ai colleghi Direttori di Federazione, con i quali oggi pomeriggio ci incontreremo per lavorare insieme proprio su queste tematiche. Aggiungo poi un saluto particolare a cui tengo molto: vorrei che tutti quanti insieme dessimo il benvenuto a chi, da ieri, è il nuovo Direttore Generale della BCC di Roma, il dottor Mauro Pastore: il dott. Pastore, come credo tutti sappiamo, mi ha preceduto in questo “mestieraccio” di direttore di Federazione, gettando le basi per lo sviluppo futuro della stessa. Non posso che salutare con un arrivederci chi lo ha preceduto in BCC di Roma, il dottor Enrico Falcone, tranquillizzando tutti sul fatto che, per nostra fortuna, continuerà a rimanere tra noi, a lavorare nell’ambito del mondo del Credito Cooperativo.

27


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

Il domani

28

Il domani dunque: come sarà, come ci arriviamo. È una bella domanda. Io direi intanto, visto che siamo qui, che ci arriviamo con la voglia e la capacità di stare insieme e di guardare avanti; in fondo come abbiamo sempre fatto, anche in consessi come questo, dal primo nostro convegno del 2007 per arrivare fino ad oggi, quando affermiamo – come abbiamo sentito dalle parole del Presidente Liberati – che, appunto, “è già domani”. In questo ci colleghiamo idealmente a quanto diceva in apertura dello scorso nostro Convegno il professor Giacomo Vaciago. Lui si chiedeva e ci chiedeva: “il peggio è passato?”. Allora non si poteva dare una risposta, forse non la si può dare nemmeno oggi. Su questo vorrei fare semplicemente due brevi considerazioni. La prima è che se noi ragioniamo con i paradigmi del passato, potremmo forse anche dire che il peggio è passato, che tecnicamente siamo usciti dalla recessione, soprattutto se prendiamo a riferimento il grande indicatore – cui tutti ci siamo abituati a rivolgerci per misurare lo stato dell’economia – cioè il PIL. Ma quello che sta accadendo, ci fa capire che effettivamente non si può dare una risposta certa e forse l’unica cosa condivisa – ed è questa la seconda considerazione – è che il futuro, in ogni caso, non sarà un ritorno. Non si riaprirà un ciclo come quelli del passato: forse è definitivamente cessato l’andamento ciclico dell’economia. Ho sentito fare queste affermazioni l’altro ieri sera, in una popolare trasmissione televisiva, dal Presidente dell’ABI, Dott. Mussari. Il momento è particolare, sentiremo su questo il professor Vaciago. Viene messo in discussione addirittura l’euro, la nostra moneta comune, la materia prima con la quale noi lavoriamo. Si corre il rischio di passare dal “too big to fail” al “too big to save”: cioè, ci sono crisi talmente grandi, su soggetti – i debiti sovrani – talmente voluminosi che


è già domani

I “7+”

+ numerosi

29

forse salvarli creerebbe maggiori problemi, anche ad altri paesi. In un siffatto scenario, è opportuno che ci guardiamo dentro, per cercare di capire come arriviamo a questo momento, in che condizioni siamo rispetto alla capacità di continuare a perseguire la nostra missione. Per far questo, abbiamo enucleato quelli che abbiamo chiamato “i 7+” delle BCC Federlus. Questa espressione evoca un modo di dire di quando da ragazzini si andava a scuola e si diceva “bravo, 7+!”, intendendo che tutto sommato te l’eri cavata abbastanza bene. Questo “7+” può anche sintetizzare il sentiment come BCC della Federazione, rispetto a come abbiamo affrontato e attraversato questo periodo di crisi: per ora ce la siamo cavata. Sicuramente si può fare meglio, ma è un dato di fatto che rispetto agli altri non abbiamo certo – diciamo così – “sfigurato”. Per ognuno dei 7 punti, non si é voluto dare nessuna definizione certa ma, anzi, per ciascuno si sono posti alcuni punti interrogativi; perché se guardare il bicchiere mezzo pieno serve ad avere le giuste motivazioni per poter andare avanti, guardare il bicchiere mezzo vuoto aiuta alla necessaria prudenza nell’attività che svolgiamo e soprattutto a tenere in considerazione il fatto che dietro ogni punto di forza si può nascondere qualche debolezza e che ogni opportunità potrebbe anche sottendere delle minacce. Per ciascuno di questi punti, evidentemente, coerentemente con il tema del convegno, c’è poi anche una conseguenza possibile in termini di autoregolamentazione. Come ci arriviamo a questo domani? Intanto, più numerosi. Più numerosi è semplicemente un dato: siamo di più. L’ultima Banca di Credito Cooperativo, la 28° della Federazione, ha aperto i battenti lo scorso mese di settembre, è la Banca di Credito Cooperativo di Frascati e approfitto per salutare e


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

+ presenti

30

dare il benvenuto a questa loro prima presenza ai nostri incontri annuali. Inoltre, ci sono in cantiere anche altre possibili aperture: un comitato promotore ci ha chiesto di avviare l’iter per la presentazione della domanda di autorizzazione all’apertura dell’attività alla Banca d’Italia e lo faremo nei prossimi giorni, attraverso Federcasse. Un altro ha già iniziato la raccolta fondi, un altro ancora ha presentato il prospetto informativo alla Consob. Da questo non si vuole trarre nessuna conclusione, probabilmente la crescita del numero di BCC si esaurirà, o si invertirà, come già avviene a livello nazionale. Però diciamo che possiamo almeno convenire che, evidentemente, c’è voglia, c’è bisogno di “banca locale” nella società, c’è voglia e bisogno, probabilmente, di Credito Cooperativo. Ed è una voglia che è lecito pensare nasca anche, derivi anche, sia anche alimentata, dalla sempre maggiore presenza del Credito Cooperativo nella società. Possiamo quindi dire che arriviamo a questo domani anche più presenti. Siamo più presenti sul territorio – abbiamo sentito dal Presidente Liberati dell’aumento degli sportelli, continuo e costante – siamo più presenti sul mercato, siamo più presenti nelle comunità. È doveroso, però, riflettere anche criticamente su questi dati. Se ci pensiamo un attimo, nell’arco degli ultimi cinque anni noi siamo cresciuti di oltre il 50% come sportelli e di oltre il 30% come soci. La quota di mercato è relativamente più bassa della media, ma perché operiamo in territori che sono particolarmente competitivi (abbiamo il Comune più popoloso d’Italia e la Regione d’Italia, l’ Umbria, nella quale c’è la più alta concentrazione di sportelli, il più alto rapporto di sportelli bancari per abitante); comunque siamo cresciuti anche come quota di mercato, ma in misura ancor meno proporzionale, circa un 20%. Questo che cosa vuol dire? Che rispetto alla quota


è già domani

+ apprezzati

31

teorica di mercato che sarebbe equivalente alla quota sportelli, che è il 6,6%, adesso il gap si è incrementato e la produttività per sportello, misurata in termini di masse amministrate per singolo sportello, è cresciuta sì, ma non è cresciuta in maniera così significativa. Negli ultimi cinque anni abbiamo misurato un 2,3%. Questo ci chiede di fare delle riflessioni: probabilmente è necessario che noi cominciamo a pensare ad uno sviluppo più verticale rispetto ad uno sviluppo prevalentemente orizzontale: verticalizzare lo sviluppo, massimizzare i benefici e i ritorni per le Banche di Credito Cooperativo dell’accresciuta presenza territoriale, anche attraverso azioni di continua fidelizzazione della clientela, accrescendone l’apprezzamento da parte di quest’ultima e rafforzando un trend che sicuramente c’è stato negli ultimi anni. Questo rappresenta un altro punto, il terzo punto. Arriviamo al domani più apprezzati. Siamo più apprezzati come visibilità pubblica – ma su questo sicuramente potrà dirci molto di più e molto di meglio il Presidente Azzi – quindi non aggiungo altro. Ma siamo anche più apprezzati come valore del marchio, la cosiddetta brand equity, che è stata misurata di recente dall’Eurisko: è passata dal 7,9 nel 2005 al 13,7 del 2009, in una scala da zero a cento. Sembrerebbero numeri bassissimi, però se andiamo a vedere che, per esempio, Unicredit ha il 5,4 e Intesa il 17,3, sono invece numeri assolutamente apprezzabili. Questo avrebbe poco valore, se non fosse trasferito nelle singole relazioni con la clientela. Allora è importante capire per che cosa siamo veramente apprezzati. In questo senso, proprio lunedì scorso, sul mio tavolo sono arrivati i risultati di un’analisi di customer satisfaction realizzata da una nostra associata e li vorrei condividere con voi. È ovvio che non sono dati assoluti, però credo che siano indicativi, perché coerenti con altre rilevazioni. Noi abbiamo, in generale, un ot-


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

32

timo livello di soddisfazione generale degli utenti, un 7,9 su 10. Però questo forte apprezzamento – che poi si traduce anche in una forte capacità di retention perché l’85% dei clienti ci risceglierebbe – è sostenuto soprattutto dalla cortesia e dalla professionalità del personale. Se andiamo a vedere poi altri dati, l’analisi ci offre anche in questo caso spunti di possibile riflessione critica, perché non siamo proprio apprezzati su tutto nello stesso modo. Per esempio, il 71% degli intervistati non ci risceglierebbe sulla base delle condizioni economiche. E per quanto riguarda il peso del marchio nella scelta, vediamo che, pur essendo buono, è inferiore a molti altri fattori, anzi forse è il più basso ed è a livello del 41%. Non siamo quindi apprezzati allo stesso modo su tutto e nemmeno da tutti, direi, nello stesso modo. Diciamo che si riscontra una discesa dei livelli di apprezzamento, al crescere di quelli che sono i livelli di istruzione. Si nota anche che su determinati aspetti della relazione bancaria, in particolare quella che è la multicanalità – in primis l’home banking – l’utilizzo dei nostri servizi è effettivamente ridotto, addirittura il 78% non utilizza l’home banking. Però da questo punto di vista è interessante notare come il grado di utilizzo aumenti con il grado di istruzione e soprattutto il grado di utilizzo aumenti in relazione a quella che è la clientela di più recente acquisizione. Questo evidentemente ci dà dei suggerimenti importanti su quelle che possono essere le caratteristiche della BCC del domani, per continuare ad essere apprezzati. Dobbiamo sforzarci, dunque, di elaborare un modello di business che tenga anche conto della multicanalità. In generale però, su questi aspetti, proporrei un’ulteriore riflessione: noi siamo – abbiamo detto – apprezzati fondamentalmente per la qualità del nostro personale, per il modo con cui il nostro personale si relaziona con la clientela, per quella


è già domani

+ solidi

33

che è la sua professionalità. Noi sappiamo che la professionalità è un dato percepito: tendenzialmente io ritengo professionale chi ne sa più di me. Da questo punto di vista è in atto su istanza, in primis, della Banca d’Italia, un percorso di educazione finanziaria della clientela. A questo percorso noi vogliamo partecipare, vogliamo essere protagonisti anche su questo fronte. Come Federazione, abbiamo avviato su questo un tavolo di lavoro, in collaborazione con l’Assessorato al Lavoro e alla Formazione della Regione Lazio, il cui rappresentante, dott. Durigon, è qui oggi presente tra noi e che saluto. Faremo lo stesso in Umbria e poi in Sardegna. Vogliamo sicuramente contribuire alla crescita dell’educazione finanziaria nell’ambito della clientela, ma vogliamo anche continuare ad essere percepiti come professionali. Dobbiamo quindi necessariamente investire moltissimo su questo nostro punto di forza, sulla formazione del nostro personale. E su questo la Federazione non lesinerà alcuno sforzo nel dare supporto alle Banche associate. È necessario, ovviamente, avere su questi aspetti delle misurazioni scientifiche, come quelle che vi ho presentato, fare delle riflessioni su quella che è la valorizzazione del marchio, tema sul quale probabilmente è benvenuta una maggiore autoregolamentazione, in maniera tale che gli investimenti fatti a livello centrale poi non si disperdano a livello locale. È necessario colmare il gap tecnologico, come abbiamo visto, su certi strumenti di multicanalità. L’apprezzamento da parte della clientela, quindi, costa e richiede investimenti; gli investimenti evidentemente richiedono solidità. Arriviamo allora ad un altro punto: siamo più solidi? Noi possiamo intanto dire come BCC Federlus che siamo più solidi della media. Il Tier 1 – sulla base degli ultimi dati disponibili di giugno 2010 – è pari al 16,45%, contro il 14,2% del resto del si-


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

34

stema Italia, per non parlare poi delle banche non di Credito Cooperativo che sono a livelli molto più bassi. Il Total capital ratio è al 17,87%. Il rapporto sofferenze/impieghi è circa al 3,7%, mentre in generale intorno a noi tende a crescere. Abbiamo, credo, un buon equilibrio patrimoniale: c’è un rapporto impieghi/raccolta che è stabile intorno al 70% e consente di dare sfogo all’eccedenza di capitale disponibile che noi abbiamo, pari al 47% del patrimonio di vigilanza. Questi dati positivi sulla stabilità, rinvengono anche da decisioni che negli ultimi tempi sono state assunte nei nostri confronti, nel merito, da parte della Banca d’Italia, perché negli ultimi tempi tutte le nostre banche che avevano un coefficiente di solvibilità anomalo, lo hanno visto ridotto, se non anche normalizzato e questo è sicuramente un segnale positivo. Ma il tema è talmente delicato che noi non possiamo non tenere conto anche di quelli che sono invece dati di segno opposto. In primo luogo, all’interno del nostro sistema c’è un’altissima differenziazione, i dati che abbiamo visto rischiano veramente di essere il “pollo di Trilussa”: il Tier 1 va dal 5,6% al 28,9% e il Total capital ratio oscilla dal 7,51% al 29,23%. L’incidenza del totale degli assorbimenti di secondo pilastro è crescente, ed è passata dal 15,6% del 2008 al 18,2% del 2009 e il tasso medio di crescita delle sofferenze è sostenuto a settembre, anno su anno siamo sul 15,7%. Queste sono tematiche sulle quali la Federazione è fortemente impegnata ed alle quali dedica la massima attenzione. Abbiamo avviato un programma che possiamo chiamare “13-13” con l’obiettivo di portare nel 2013 tutte le BCC associate alla Federazione ad un Total capital ratio almeno del 13%, che “fa scopa” con quell’8%, +2,5%, +2,5% che viene stabilito dalle normative di Basilea 3 a partire dal 2013 con un processo di adeguamento che terminerà nel 2019. È un lavoro


è già domani

35

che abbiamo già cominciato a fare e che stiamo proseguendo, con il fondamentale supporto del Fondo di Garanzia dei Depositanti. Sempre con riferimento alla solidità: siamo stati, storicamente, portati a valutare la solidità da un punto di vista statico, come una misurazione statica. In realtà oggi – l’ICAAP docet – viene sempre di più valutata anche in chiave prospettica. Dunque, analizzando la situazione guardando al futuro, noi non possiamo che partire dalla considerazione che il nostro patrimonio, l’elemento fondamentale della nostra solidità, è costituito in prevalenza dalle riserve di utili e che quindi il buon funzionamento del ciclo della redditività è un fattore ineludibile per lo sviluppo e il mantenimento della solidità delle Banche di Credito Cooperativo. Da questo punto di vista sappiamo che negli ultimi due anni abbiamo sofferto; non abbiamo sofferto da soli, forse abbiamo anche sofferto un po’ meno degli altri, siamo riusciti a chiudere il 2009 con nessuna banca con un risultato di segno negativo. Ma le difficoltà sono perdurate nel primo semestre 2010, in alcuni casi si sono anche accentuate: al 30 giugno 2010 qualche banca che ha un risultato netto negativo c’è. E’ vero che c’è una tendenza al miglioramento nella redditività già nel terzo trimestre e probabilmente le aspettative in questo senso sono anche per i trimestri a venire, tuttavia è un fatto che continuiamo ad essere estremamente dipendenti dal margine di interesse. Non voglio neanche leggere i dati di tendenza sotto i nostri occhi: il calo della redditività, l’aumento del Cost to income, etcetera … Voglio solo trasmettervi il mio disagio: sappiamo quanta fatica costano i risultati in termini di redditività e in questo periodo magari vediamo che vengono completamente mangiati, in alcuni casi, o comunque fortemente impattati dai risultati della gestione finanziaria, dall’andamento dei titoli di Stato, che


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

+ competitivi

36

in questo periodo sono veramente “sull’ottovolante”, come a volte si dice. Ciò dipende innanzitutto da alcuni aspetti normativi: dal fatto che il detenere titoli di Stato equivale sostanzialmente all’operatività con soci. Dobbiamo sforzarci di uscire da queste dinamiche, dobbiamo sterilizzare quelli che sono i risultati della gestione finanziaria sull’andamento complessivo della banca. Quindi è importante che si incrementi ancora di più l’operatività con soci, l’operatività sul territorio. Ancora una volta “verticalizzare lo sviluppo”. Ma per essere scelti – è ovvio che non possiamo pensare di essere scelti perché siamo più buoni – dobbiamo imparare ad essere scelti perché siamo anche più competitivi. Quindi un ulteriore +: siamo più competitivi? Noi abbiamo un grandissimo punto di forza in questo momento, un vantaggio competitivo di base, che è la nostra mission: il nostro modello di business è stato apprezzato ed è stato rilanciato nella crisi. Siamo però troppo vulnerabili, perché siamo troppo dipendenti come ricavi dal margine di interesse e i costi sono troppo rigidi. Lo scenario a venire – lo sappiamo – prevede l’aumento dei livelli di competitività: i grandi gruppi bancari torneranno sul territorio, lo hanno ampiamente annunciato. C’è da dire che lo hanno annunciato da tempo, li aspettiamo ma si fanno vedere poco; però ci aspettiamo da loro ulteriori sforzi nel dare seguito a tutti i programmi e le strategie enunciate sul ritorno al territorio, sulla creazione di banche territoriali, etcetera, etcetera. Sarà probabilmente una concorrenza mirata, sarà probabilmente una concorrenza – visto com’è andato il mercato negli ultimi anni – che colpirà proprio la nostra clientela elettiva, la clientela retail, sarà anche una concorrenza mirata sulla raccolta, perché hanno bisogno di liquidità magari da convertire a patrimonio. Ci dobbiamo allora difendere, innanzitutto di-


è già domani

37

versificando le fonti di ricavo. Abbiamo visto che, tutto sommato, il margine commissionale ha ampie possibilità di essere incrementato rispetto al margine di interesse: pensiamo per esempio al discorso delle carte di debito e di credito, con nuovi prodotti – quelle che si chiamano contactless, cash back, i programmi di fidelizzazione -tutte cose che molti stanno facendo, le stanno facendo anche le Poste, che in molti casi sono competitors importanti. E qui mi rivolgo ai colleghi presenti del Gruppo Bancario, il cui supporto è ineludibile e deve farsi sentire maggiormente. C’è poi il discorso dell’estero: sappiamo che quel poco di aumento del PIL che avremo nel 2011, sarà comunque trainato dall’esportazione, perché la domanda interna è stagnante. Da questo punto di vista noi siamo in una situazione direi abbastanza positiva: da una rilevazione a luglio 2010 sulla variazione percentuale nell’ultimo anno dell’export delle nostre regioni, la Sardegna è al primo posto italiano con il 66,41%, il Lazio con il +39,39% è al terzo posto, l’Umbria con il +22,61% è al quinto posto. Quindi c’è possibilità per poterci dare da fare anche da questo punto di vista. Poi ci sono tutti quei prodotti che, tutto sommato, sono prodotti di missione, che connotano anche il nostro ruolo sul territorio: penso ai prodotti previdenziali e assicurativi, penso ai prodotti per i giovani. Altro tema fondamentale è quello della raccolta, sul quale stiamo già sentendo una forte pressione competitiva: dobbiamo necessariamente contenerne i costi. Come possiamo sostenere questo? Con la fiducia, perché se ci mettiamo a rincorrere la migliore offerta, credo che poi ne usciamo con le ossa rotte. Dobbiamo valorizzare il patrimonio di fiducia che abbiamo e il rapporto con il territorio e la base sociale. Da ultimo – si direbbe last but not least – è evidente che in primis i ricavi devono essere effettivi,


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

+ organizzati

38

e quindi l’attenzione alla qualità del credito è evidentemente alla base di ogni possibile crescita futura. Sulla qualità del credito vorrei dire una cosa: il primo fattore di qualità è la bassa concentrazione. Noi abbiamo una particolarità: siccome abbiamo un operatività vincolata su territori limitati, abbiamo un alto grado endemico di concentrazione territoriale. Dobbiamo quindi necessariamente sforzarci di tenere bassi tutti gli altri aspetti di concentrazione, quindi la concentrazione sui singoli imprenditori, la concentrazione sui settori produttivi. Questo, dal punto di vista dei ricavi. Dal punto di vista delle componenti negative di reddito, è necessario evidentemente un maggiore governo dei costi. Ciò deve avvenire su due piani: c’è un piano strategico e un piano gestionale. Il piano strategico è quello che alimenta i costi sulla base degli investimenti, primi fra tutti, per esempio, l’apertura di sportelli, ma anche le politiche di presenza sul territorio. È un versante che può consentire anche rapide correzioni, però non è quantitativamente il più significativo. Quello che assolutamente è più significativo è il versante gestionale, sono i costi dell’organizzazione. È una priorità assoluta, io credo, che noi dovremo riuscire a migliorare il funzionamento della nostra organizzazione. Quella funzione, che potremmo chiamare di “governo operativo”, se dovessi dire è proprio la funzione core all’interno delle BCC nei prossimi anni. Bisogna organizzarsi meglio. Quindi adesso arriviamo al penultimo punto: siamo più organizzati? Dal punto di vista della valutazione organizzativa, quello delle BCC, è un mondo tutto particolare. Io non ho ancora visto due BCC organizzate allo stesso modo. Non esiste in realtà un modello organizzativo per le Banche di Credito Cooperativo e forse non può esistere. Però quello che deve esistere è una filosofia organizzativa. Il principio base di questa filosofia organizzativa è:


è già domani

39

una BCC è tanto più organizzata, quanto più è focalizzata sul core business; come corollario, di converso, vuol dire che una BCC è tanto più organizzata, quanto più riesce ad esternalizzare tutte le attività no core, non direttamente ascrivibili alla gestione del credito, alle attività di intermediazione creditizia retail sul territorio. Da questo punto di vista possiamo dire come Federazione, senza timore di smentite, che abbiamo dato una mano in questi ultimi anni. Sono state messe a disposizione delle BCC delle società che possono esternalizzare interi processi produttivi: c’è la CeSeCoop per il back office, c’è la Federlus Factoring per tutta la gestione del credito anomalo. Si sono messi a punto progetti di gestione delle risorse umane, non solo sulla formazione, ma anche sullo sviluppo delle competenze del personale e si sono implementate quelle attività che io chiamerei di back office del governo, che è si un processo che attiene assolutamente alla singola BCC, nel proprio spazio di autonomia, ma che prevede alcune attività (come quelle sottese alla redazione del piano strategico, dei piani di sviluppo territoriale, le analisi territoriali e di mercato, la pianificazione quantitativa) che – con lo sviluppo che c’è oggi nella raffinatezza di queste analisi – possono ben essere svolte a livello centrale. È un qualche cosa che stiamo facendo in maniera crescente. Ma soprattutto abbiamo dato una mano nel sistema dei controlli interni, con l’esternalizzazione dell’internal auditing e della compliance, da parte di tutte le Banche di Credito Cooperativo sottoposte a vigilanza decentrata. Non solo: la compliance è stata esternalizzata totalmente. Questo è stato possibile, vorrei dire, grazie al sistema. Il miglioramento dell’organizzazione delle BCC non può prescindere dal sistema al quale appartengono, a tutti i livelli: dal ruolo della Federazione nazionale, dal ruolo del gruppo bancario, dal ruolo delle alte


I “7+” DELLE BCC FEDERLUS

40

strutture del movimento. Da questo punto di vista, non mi vergogno di dire che noi siamo stati una Federazione ortodossa: abbiamo valorizzato al meglio, credo, quelli che sono stati i progetti di categoria, prima sull‘internal auditing, poi anche sulla compliance, cercando di portarli il più possibile dentro le Banche di Credito Cooperativo, cercando di sgravare il più possibile le Banche di Credito Cooperativo da tutti quei compiti, ripeto, che non sono strettamente attinenti al core business. Siamo stati forse ‘più realisti del re’, ma ne abbiamo tratto un grandissimo beneficio, sia come Federazione, sia come singole Banche di Credito Cooperativo. È una autoregolamentazione spontanea che ha dato frutti importanti. Su questo direi che abbiamo costruito quel ruolo che c’è stato indicato dal Presidente Azzi nella relazione all’ultima assemblea di Federcasse, il ruolo delle Federazioni locali orientato all’autonomia responsabile, e per il quale sono state declinate le quattro qualità che devono avere le Federazioni autonomamente responsabili: autorevolezza, indipendenza, capacità di intervento, competenza tecnica. Sono qualità sulle quali noi abbiamo lavorato costantemente in questi anni con risultati concreti e tangibili. Però mi permetterei di aggiungere una quinta qualità, che per me è la qualità delle qualità, che è l’efficienza. Dell’efficienza si parla sempre molto, ma poi in realtà non la si pratica sempre con lo stesso zelo con cui la si enuncia. Noi ci dobbiamo convincere che l’efficienza oggi è ancora più importante, perché viviamo in un contesto di mercato che è fondamentalmente deflattivo. Non è escluso ovviamente che ci possano ancora essere crisi delle materie prime, crisi valutarie, bolle speculative; però tendenzialmente – è così ormai da molti anni – il costo dei beni e dei servizi tende a diminuire. In un sistema come il nostro, un sistema a rete, se si rilevano aumenti di costi che non sono


è già domani

+ uniti e coesi

41

giustificati da un aumento di produttività o da un aumento di qualità, da qualche parte della rete stessa, questi aumenti, si ribalta su tutte le altre componenti, con la differenza che mentre in un sistema tradizionale di tipo verticale è abbastanza chiaro il meccanismo di ribaltamento dei costi, nel sistema a rete è più oscuro. In sintesi, credo che questo debba aumentare l’attenzione che tutti noi dobbiamo avere, perché non avvengano da nessuna parte aumenti di costi che non siano strettamente necessari o giustificati. Da questo punto di vista – mi fa sempre piacere dirlo e penso che nel prossimo Consiglio di Amministrazione sarà ulteriormente sancito – la Federazione quest’anno restituirà ancora più contributi dell’anno scorso: ormai sono cinque anni che i contributi totali pagati dalle BCC Federlus, al netto di quelli rigirati alle altre entità del sistema, diminuiscono. Diminuiscono costantemente. Io credo che questo sia il segno dell’efficienza e il risultato di una autoregolamentazione che c’è stata, come abbiamo detto prima, e che è stata valorizzata come fattore di efficienza del sistema. Per chiudere, quindi, come arriviamo a questo domani? Io direi, in ultimo, che ci arriviamo più uniti e più coesi. Ci arriviamo più convinti che il domani delle BCC, lo abbiamo sentito dal Presidente Liberati, non può che essere un domani di sistema: perché il sistema possa esprimere in toto le proprie potenzialità, che sono enormi, è necessario che si abbia il coraggio e la lungimiranza della autoregolamentazione, per alimentare quel circolo virtuoso che va dalla coesione alle regole, all’unione. L’unione è la forza sulla quale si può poggiare lo sviluppo delle BCC. “La forza dell’unione” è stato lo slogan che noi abbiamo creato insieme sei anni fa, al quale credo che in questi sei anni abbiamo dato concretezza. Grazie a tutti.



è già domani

CRISI E RIFORME: CONSEGUENZE SULLE BANCHE

Giacomo Vaciago Ordinario di Politica Economica e Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano

43

C’è una grande incertezza sulle conseguenze della crisi (non ancora finita!) sull’economia e sulle banche in Italia. Anche perché non sappiamo quando e come la crisi finirà (molti non hanno neppure capito la natura di una crisi che non ha precedenti). Nei suoi primi quattro anni (dal 9 agosto 2007), la crisi ha avuto quattro successive dimensioni: la fine della bolla subprime; la bolla dei prezzi food and energy; la contrazione dell’industria mondiale; la crisi dell’Euro. Di ciascuno di questi shocks noi non abbiamo avuto molta colpa; ma ne abbiamo comunque subìto le conseguenze. Le due conseguenze più gravi le abbiamo avute dalla contrazione dell’industria (post fallimento Lehman, IV2008 / I-2009) e dalla crisi dell’Euro. Nel primo caso, abbiamo una perdita del 20% di produzione industriale; nel secondo caso, abbiamo un aumento di due punti del costo del debito pubblico (se diventa “rischio-Paese”, riguarderà anche il costo del capitale privato). Per ambedue quei motivi, aumenta la rischiosità dell’attività anche delle nostre banche. Il dibattito internazionale (G-20) sulle riforme da realizzare riguarda temi che ci interessano solo in parte e indirettamente (too-big-to-fail; Volcker rule) nella misura in cui vogliono evitare il ripetersi di una crisi che è stata molto dovuta ad “azzardo morale” (conviene assumere troppo rischio, quando c’è l’implicita promessa di un salvataggio) ed a “rischio sistemico” (l’interdipendenza tra intermediari rende più fragile l’insieme). Le ri-


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

44

forme tardano ad essere realizzate; quindi nel frattempo l’economia resta in convalescenza e la struttura finanziaria resta molto fragile. La stessa politica di emergenza: grandissima liquidità e tassi molto bassi – rischia di alimentare nuovi problemi (e comunque evita il peggio, ma non promuove il meglio). Ci si era illusi che il G-20 di Seoul desse l’indice preciso delle riforme ancora da realizzare, e quindi anche il loro calendario e quello della exit strategy (ritorno alla normalità). La delusione riguarda proprio questa permanente incertezza. Per ora, l’emergenza continua. Sappiamo però che alla fine il ritorno alla normalità richiederà un’attività creditizia più attenta alla qualità degli impieghi; con una maggiore dotazione di capitale; una minore leva finanziaria e trasformazione delle scadenze: il ritorno ad un sistema creditizio più vicino alla nostra tradizione che a quella della finanza anglosassone, dominante fino al 2007. Non è facile capire cosa stia succedendo, anche perché viviamo in un mondo completamente nuovo, che non ha precedenti. Se guardate un PC made in China, in realtà è fatto in 12 paesi, di cinese c’è solo il 6%, l’altro 94% la Cina lo importa da altri 11 paesi. È incredibile: se prendete una Aston Martin, supponendo che ve la possiate permettere, è una mitica auto inglese, ma non è mica vero: è fatta in 6 paesi, il motore è tedesco, e così via. Cioè, l’economia globale significa: “nulla è più fatto in un solo paese”. Non si può pensare quindi che se c’è una crisi globale la cosa non ci riguardi perché non è colpa nostra: questa è la prima grave crisi di cui noi non abbiamo colpa, nel dopoguerra, ma la cosa non ci consola e non ci illude. Anche se non è colpa nostra o del nostro governo, la crisi ci riguarda tutti lo stesso, perché non si riesce ad essere esenti da questa crisi. D’altra parte, crisi, se andate a vedere il vocabolario, è una parola neutra, non vuol dire “guai”: in


è già domani

45

greco e in latino vuol dire semplicemente “svolta”, in latino è discrimen. È una svolta, cioè è la rottura di un vecchio mondo. Prima uno lo capisce e prima ha le opportunità, e non solo i costi, del cambiamento. Le crisi sono rotture di un vecchio mondo con uno nuovo che si apre. Per quello che abbiamo vissuto tutti noi la rottura è il 9 agosto 2007. Da lì è iniziata questa traversata verso un nuovo mondo, con nuove regole e nuove politiche, visto che le precedenti non hanno funzionato. Ero a Londra l’altro giorno: tutti corti sull’Europa. Dico: “cos’è successo? Fino ad un anno fa andava tutto bene…” “Sì, ma ci siamo accorti che c’erano problemi che tenevate sotto il tappeto”. Per 10 anni Grecia, Spagna, Irlanda, Italia, si sono indebitati a tassi tedeschi: lo spread che pagavamo sul bond decennale tedesco era pochi decimi di punto. I mercati non si erano accorti: i mercati sono perfetti sempre dopo, mai prima. I mercati non si erano accorti che ci indebitavamo a tassi tedeschi per tirare a campare (noi italiani) o per speculare in edilizia e in prestiti balordi (quelli che facevano finta di essere americani – cioè gli irlandesi, i greci, gli spagnoli e i portoghesi). Si sono indebitati a tassi tedeschi, non per fare cose che contribuiscono alla crescita del paese, ma per inseguire bolle speculative e quant’altro. Un bel giorno i mercati si sono accorti che era una finta, questa che eravamo tutti tedeschi, e naturalmente hanno sbandato dalla parte opposta. Perché gli spread che oggi applicano a paesi come Grecia e Irlanda, sono da paesi che stanno per fallire. Attenzione: chi vede quei tassi dice “questo è il tasso che fai pagare a chi con molta probabilità non ti rimborsa”. Bene, allora li abbiamo salvati o li abbiamo condannati? È chiaro che in questo momento Grecia e Irlanda – Spagna e Italia ovviamente non ancora – stanno pagando i tassi del pre-default. Questo ci fa domandare: ma l’euro che fine fa? A


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

46

sentire la Merkel, come in America, non è vietato che il Texas e la California abbiano debiti a tassi diversi, anzi è bene che sia così, perché così ogni Stato si modera. Però in America alla fine Washington interviene, e i trasferimenti tra Stati ci sono, perché è un paese unito. Invece l’euro, come sappiamo, è un miracolo della natura: quando nacque 15 anni fa, ad un seminario intelligente in Banca d’Italia, un accademico americano dimostrò che tutte le unioni monetarie incomplete sono fallite nella storia. Tutti i tentativi di mettere insieme solo la moneta e conservare autonomia e sovranità su bilancio pubblico e altre politiche, sono tutti falliti. In altre parole, sappiamo da sempre che l’euro è una costruzione dinamica, instabile, che o procede o arretra, non può stare ferma in eterno: se ti indebiti a tassi tedeschi per sprecare quei soldi, prima o poi fallisci e il fallimento può richiedere anche una svalutazione che l’euro non consente; e quindi per definizione il dubbio è se l’euro proceda oppure no. Oggi la crisi non è di alcuni paesi, la view a Londra è: uno dopo l’altro numerosi paesi falliscono e/o escono dall’euro, cioè l’euro non ha futuro se i governi non sono capaci di fare giochi cooperativi. I giochi cooperativi sono quei bellissimi giochi in cui 2 + 2 fa 5 e chi vince si divide solo il quinto punto, cioè il risultato del gioco. Sono diversi dai giochi normali in cui 2 + 2 fa 4 e chi vince si prende quattro, cioè porta a casa tutto. I giochi cooperativi sono più belli perché creano valore aggiunto (non ho bisogno di dirlo ad una sala di cooperatori). Quello è un gioco in cui conviene sempre giocare, ma presuppone che i due massimizzano la propria funzione di utilità tenendo conto dell’utilità dell’altro: questo è il bello del gioco cooperativo. Nei giochi normali 2 + 2 fa 4 e chi vince porta a casa quattro; dopo che giochi per un po’ con uno che vince sempre, saluti e te ne vai. Nel gioco cooperativo non ti conviene mai andare


è già domani

via, perché hai sempre la speranza di vincere e comunque non puoi perdere; però presuppone una capacità di cooperare che al momento in Europa non vedo da parte di nessuno. Anche perché per cooperare ci vogliono tanti, uno da solo non riesce a cooperare. Questo è il messaggio finale. È chiaro che siamo ben lontani dall’uscita da questa crisi, che ha avuto, nei quattro anni in cui l’abbiamo vista, quattro shock che adesso ripassiamo. L’ultimo, l’attuale, è questo dell’euro, che potete chiamare “shock del debito pubblico”; ma non è neanche solo del debito pubblico, perché in alcuni paesi il debito era più privato che pubblico, ma quando è troppo diventa pubblico per definizione ed è comunque del paese, che sia privato o che sia pubblico (vedi Fig. 1). Fig. 1

47

È uno shock non solo di debito, quello attuale, ed è uno shock grave, perché mette in evidenza che si è rinunciato a poter svalutare – che serve in situazioni tragiche, come quella in cui si trovano Grecia e Irlanda – e in cambio non si ha nessun aiuto dai compagni; quindi chiaramente ci si domanda “cosa ci sto a fare in questo gioco?”. Quando noi diciamo che il rischio è che qualcuno esca, il rischio è vero, fa parte delle alternative che ogni paese ha di fronte a sé.


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

Vediamo rapidamente le altre slides. Questa (vedi Fig. 2) è la più bella bolla speculativa della storia: è avvenuta in un paese dove le aree edificabili procapite essendo infinite, i prezzi delle case non dovrebbero mai crescere più del costo del lavoro; infatti, se guardate i prezzi delle case americane oggi e 10 anni fa, trovate un aumento in linea con l’aumento del costo del lavoro. Fig. 2

48

Però nel frattempo i prezzi delle case americane in termini reali, cioè tolta l’inflazione al consumo, erano più che raddoppiati e poi sono scesi in proporzione. Mentre i prezzi delle case salivano, tutti dicevano: “è una cosa fisiologica, è normale, conviene comprare case”. Una bolla speculativa è razionale a certe condizioni. Anzitutto, perché nel sistema americano il creditore non può inseguire il debitore che abbandona il mutuo, che non lo paga: quello restituisce le chiavi e se ne va. Non c’è ricorso ad altri beni del debitore. Quindi se pensi che i prezzi delle case saliranno molto, che ti serva o no quella casa, ti conviene comprarla: male che vada – se poi non sei in grado di rimborsare il mutuo – restituisci le chiavi della casa e saluti. Allora è un mondo in cui il rischio è tutto dalla parte del creditore, della banca? No neanche questo. Perché quella cartolarizza e colloca chissà dove, se non è


è già domani

49

stupida. Quindi al debitore conviene, al creditore anche, perché i rischi li ha passati a chissà chi, e vi stupisce che ci sia stata una bolla così? Con il senno di poi, ovviamente no. Ma dov’erano le banche centrali e i governi in quel periodo? Purtroppo quando i prezzi delle case aumentano, tutti fanno festa: c’era euforia e quindi nessuno aveva il coraggio politico di sgonfiare la bolla prima che fosse troppo tardi. Prezzi delle case crescenti hanno significato per gli Stati Uniti 2 milioni di posti di lavoro creati nell’edilizia: erano quelli che stavano uscendo dall’industria che se ne stava andando in Cina e quindi hanno avuto full employment, inflazione modesta, prezzi delle case alle stelle... evviva, tutti che fanno festa, anche politicamente, non solo alla Banca Centrale, che non ha avuto mai il coraggio di dire la verità e bucare la bolla prima dei massacri. Adesso abbiamo 2 milioni di americani disoccupati, non rioccupabili per anni - ex muratori, eccetera, ed abbiamo 2 milioni di famiglie ancora da buttare fuori da quelle case da cui non sono uscite. Non stupisce che i postumi di una sbornia di questo tipo poi frenino l’economia per anni. In questo momento il problema dell’America è come il mal di testa che hai dopo che hai bevuto troppo a Capodanno: non sei allegro. Rioccupare questi disoccupati di lungo termine non è una cosa banale, non basta aumentare un po’ la spesa pubblica perché 2 milioni di ex muratori trovino lavoro; e buttare fuori 2 milioni di famiglie non le rende propense a fare grandi spese alle prossime feste di Natale. Quindi l’economia americana si riprende, sì, ma è la ripresa più debole del dopoguerra dopo una crisi che è la più grave del dopoguerra. Abbiamo avuto un secondo shock l’anno dopo (vedi Fig. 3): il petrolio arriva a $ 143 al barile. Chi “usciva” dall’edilizia, reinvestiva in materie prime, alimentari e petrolio. Vedete che bella bolla? Anch’essa si è sgonfiata. Attenzione, perché oggi i


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

Fig. 3

50

prezzi di petrolio e alimentari segnalano però che, in media, il futuro è un mondo di scarsità di energia e di cibo. Se 6 miliardi di persone vogliono scaldarsi e alimentarsi come noi che stiamo nei paesi ricchi, il futuro è fatto di prezzi dell’energia e degli alimentari crescenti. Questo lo dobbiamo sapere, non torneremo a fare i contadini, o comunque i contadini devono fare molte innovazioni perché bisogna aumentare le rese dei terreni e così via. Per un anno di recessione – o di ripresa molto modesta in Europa e negli Stati Uniti – il petrolio a $ 85 e gli alimentari alle stelle, sono chiaramente un altro fattore che deprime un po’ la propensione alla spesa delle famiglie. Poi (vedi Fig. 4) questa è la cosa più bella della storia: non era mai successo, neanche negli anni ‘30, che all’improvviso la produzione industriale del mondo cadesse del 25% nel giro di pochi mesi. Fallisce la Lehman il 15 settembre 2008 e nelle settimane successive il mondo si ferma. Il mondo industriale: cosa c’entra Lehman con l’industria? Niente, Lehman è una grande banca di investimento. Ma il concetto è che se fallisce Lehman chiunque può fallire, e quindi l’industriale accetta ordini da un cliente lontano per il quale lavora e al quale consegnerà e che lo pagherà, se va tutto


è già domani

Fig. 4

51

bene, tra sei mesi o un anno? Ovviamente no. Quindi non accetta quegli ordini. Se non accetta quegli ordini, lui cancellerà ordini che fa ad un altro. Attenzione, perché il mondo è una rete di ordini ricevuti e fatti, perché nessuno più produce il prodotto da solo, quindi nel giro di tre mesi la produzione industriale dell’intero mondo si chiude come una fisarmonica: si svuotano i magazzini, cassa integrazione e così via. Si dice “sono i consumatori”: ma i consumatori non hanno ridotto i consumi del 25%!! D’altra parte, se andate a vedere dove cade di più la produzione industriale, vedete che cade tanto più è lontana dal consumo. In altre parole, cade l’acciaio e la chimica del 50%, e acciaio chimica producono cose che mia moglie comprerà fra due anni: quanto acciaio prodotto in quel giorno voi comprate nei negozi? Voi state ancora comprando acciaio prodotto due anni fa. Se crolla la domanda dei consumatori del 3%, la produzione si adegua per il 3% e lì finisce; ma un crollo di questa dimensione è un crollo interindustriale, cioè è l’industria che si chiude come una fisarmonica fermando gli investimenti, svuotando i magazzini e riducendo un po’ i consumi. Ma nell’alimentare chiaramente i consumi calano del 2%. Il farmaceutico è contro-ciclico: quando le cose


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

vanno male i consumi di pillole crescono e quindi il farmaceutico guadagna nei momenti di crisi. Certamente questa contrazione è più grave di quella degli anni ‘30: allora l’industria non si chiuse così in tre mesi!! Per i paesi industriali come l’Italia è una botta incredibile, spariscono le nostre esportazioni. Ma attenzione: essendo crollate le esportazioni di tutti i paesi del mondo, è come dire che sono cadute le importazioni. È il commercio internazionale che si chiude, si sono fermate le navi in mezzo ai mari. Andando a vedere da vicino (vedi Fig. 5) i due gruppi di paesi, emergenti e avanzati, scopriamo che per loro è stata una pausa, ne sono già fuori da un pezzo. Fig. 5

52

La ripresa è stata rapida: la crisi non nasceva in Asia, in Cina, in Brasile; hanno anche loro avuto un calo temporaneo di produzione industriale, ma sono già ripartiti ed hanno da mesi superato il massimo precedente. In Europa e Stati Uniti invece, l’industria fatica a ripartire. Noi siamo paesi industriali da uno o due secoli, quelli sono paesi che stanno diventando paesi industriali e sono un treno lanciato, come eravamo noi uno o due secoli fa; stanno ripercorrendo la nostra storia, stanno correndo per raggiungerci, si stanno industrializ-


è già domani

53

zando adesso. Sono milioni di contadini che vanno a fare gli operai; noi abbiamo finito di svuotare le campagne. Il grande punto interrogativo che dovremo discutere – ma non stiamo discutendo di problemi seri nel paese; stiamo discutendo dell’ombelico della politica e non dei problemi seri – è: noi vogliamo restare un paese industriale o no? Io spero di sì, perché l’industria è modernità. L’Inghilterra e l’America hanno risolto il problema, decidendo che basta la finanza, il cervello, le Università, l’innovazione, eccetera, per continuare a contare nel mondo. Io vorrei sapere se, visto che la Germania ha deciso che vuole restare un grande paese industriale e che ha fatto tutte le cose giuste in questi anni per rimanere un grande paese industriale, a me piacerebbe che in questo paese, semmai ci distraiamo occupandoci per una volta di cose serie, che discutessimo se vogliamo restare – come siamo tuttora, in sofferenza, ma siamo tuttora – un grande paese industriale. Perché dico che è importante? Perché da due secoli abbiamo capito che la modernità in cui viviamo è l’industria, perché l’industria, dei tre settori è l’unico che quando c’è un problema fa ricerca indotta dalla concorrenza e dai prezzi che riflettono le scarsità relative, per superare i nodi che sono emersi. La tecnologia è endogena e risolve di volta in volta i problemi che lo sviluppo pone. Questo succede solo nell’industria ed è per questo che solo i paesi industriali sono paesi moderni, dove quando hai un problema hai anche la capacità tecnologica per risolverlo. Certo, devi fare ricerca e sviluppo, devi avere cervelli che lavorano sui problemi dell’industria e dovresti anche avere un governo – di destra o di sinistra, non lo so – che fa politiche che tengono conto di ciò di cui l’industria ha bisogno. Il caso tedesco è emblematico: le riforme le inizia Schroeder – centrosinistra – e le prosegue la Merkel di centrodestra, senza neanche una differenza: cioè


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

non ci siamo mai accorti di chi c’era al governo a Berlino, se era il centrosinistra o la destra. Le riforme dei due sono di tipo meritocratico. La Merkel arriva al governo e aumenta di tre punti l’Iva, dal 16 al 19%, anche per finanziare la ristrutturazione dell’industria. Se andate a vedere la struttura della ricerca e sviluppo, trovate che la Germania ha da sempre, ma le ha potenziate molto, 80 MaxPlanck-Institut che sono fondazioni che fanno ricerche, i cui risultati sono gratuitamente trasferiti all’industria. Hanno adottato l’inglese e danno ricche borse di studio per avere i migliori del mondo, a studiare per l’industria tedesca in Germania. Noi avevamo una grande struttura, che era il Consiglio Nazionale delle Ricerche, peccato che non abbiamo fatto cose analoghe. Qui c’è un problema, come è ovvio: il futuro del paese. La nostra ripresa (vedi Fig. 6) si è già fermata a settembre: dicono in Confindustria che a ottobre-novembre probabilmente recuperiamo; è comunque la più debole del dopoguerra. Fig. 6

54

È una ripresina fragile, debole. Potete calcolare che, se anche tutto andasse bene, nel 2015 torniamo dove già eravamo; la Germania ci sta andando nel 2011, l’Asia ha già superato il precedente massimo. Se estrapolate questo grafico della pro-


è già domani

55

duzione industriale italiana (l’ultimo dato a settembre è stato però cattivo; ma ignoriamo settembre, assumendo che ottobre e novembre compensino ciò, come sembra dalle attuali stime) e tirate una riga dritta – cosa che non dovreste fare, perché di solito nel primo anno la ripresa è più rapida degli anni successivi – ma anche se siete incredibilmente ottimisti, ritornate solo nel 2015 dove già siamo stati. Il che vuol dire che molti dei cassaintegrati speciali che sono in giro, non ritornano al lavoro, nel 2015. La cassa integrazione è il miglior sistema quando hai un ciclo economico: l’acqua del mare, come scende sempre risale. Il ciclo economico è come le onde del mare, scende e risale: aspetti e la ripresa ti tocca. Ma le crisi non sono così: nelle crisi se fai investimenti e ricerca, ti rimbocchi le maniche e costruisci il tuo futuro, il futuro ce l’hai; se aspetti la ripresa dopo una svolta di questo tipo, la ripresa non ce l’avrai, semplicemente altri riprendono e tu no. Questi altri possono essere l’Italia e ce n’è già molti che vanno bene, ovviamente. Qual è la regola? Hanno capito il nuovo mondo, hanno fatto investimenti, hanno cambiato i prodotti e trafficano con il mondo. L’identikit della buona azienda è che cresce ovunque, a volte anche in Italia. Ma anche qui non vi dico nulla che non sappiate già. Il problema è quello italiano tipico della filiera delle piccole aziende. In proposito la covarianza ciclica è impressionante, il decoupling dagli Stati Uniti non ha funzionato, gli Stati Uniti sono ancora il nostro motore. Così non ha funzionato, che è la nostra speranza vera per il 2011, non c’è alcun decoupling tra l’Italia e la zona euro, cioè la Germania. La Germania è partita con esportazioni molto forti, ma in questi mesi stanno cominciando a ripartire i consumi, cioè la domanda interna. Perché anche i tedeschi hanno tirato la cinghia per anni, ma non è che hanno una propensione masochistica a farsi del male. Anche la Mer-


CRISI E RIFORME: LE CONSEGUENZE SULLE BANCHE

56

kel ogni tanto ha delle elezioni cui presentarsi. Quindi l’unica nota di ottimismo sul 2011 è che finalmente la macchina tedesca torna ad aumentare le sue importazioni e a fare la nostra locomotiva, perché noi avevamo fatto l’euro contando che la locomotiva stava lì e l’integrazione procedeva. Quindi questa è la buona notizia: la Germania sta ripartendo, anche come domanda interna. Torniamo allora a ragionare sui problemi importanti. Vi suggerisco di leggere alcune pagine del Bollettino Economico della Banca d’Italia, il numero 62 che è uscito a fine ottobre 2010, dove da pagina 16 a pagina 21 vi prospetta come verrà riorganizzata la regolamentazione delle banche con l’accordo preso a Seoul. Primo problema: quanto è già stato deciso e quanto deve essere ancora deciso sul piano della riforma della regolamentazione. Se guardate queste pagine della Banca d’Italia, è chiaro che il disegno generale è già deciso ed anche i tempi della sua applicazione. Uno dei motivi per i quali nel frattempo la situazione rimane fuori controllo, come vedete da come si muovono i mercati, è proprio dovuto al fatto che ci sono tempi lunghi di adozione di queste nuove regole, chiamiamole “Basilea 3” per intenderci. Diciamo che correggere i difetti del sistema di avere esagerato con leve finanziarie assurde, avere trasformato troppo le scadenze ed aver fatto tutto ciò con poco capitale – che sono poi i problemi alla base del fallimento di molte banche – questi interventi che vengono preordinati e già decisi, entreranno gradualmente in attuazione nel periodo 2013-2017. Questo da un lato. Sul piano della revisione delle autorità, da gennaio nascono nuove autorità europee, che sono rispettivamente un organo dedicato alla stabilità finanziaria che sta a Francoforte, vicino alla BCE, integrato ed in parte funzionalmente con essa, e poi tre organi sparpagliati in Europa – uno sta a Londra, uno sta a Parigi e uno sta da un’altra parte – che sono i 27 regolatori nazio-


è già domani

57

nali per i tre campi della vigilanza bancaria, della vigilanza assicurativa e della vigilanza sui mercati. Le 27 Consob, le 27 Banche Centrali e le 27 Isvap, per intenderci. Questi organi europei dovranno coordinarsi con un processo faticosissimo, però idealmente dovremmo nel tempo avere una capacità di armonizzazione delle legislazioni nazionali, in modo che dal basso dovremmo riuscire a centralizzare. All’inizio è coordinamento tra 27 organi sovrani – le 27 Consob – e gradualmente, a forza di armonizzare le legislazioni, in “n” anni – che non so definire quanti saranno – avremo forse la Consob europea, l’Isvap europeo e così via. Nel frattempo, i due nodi teorico-politici più rilevanti che vi sottopongo per memoria, sono i seguenti: il governatore della Bank of England, un accademico prestato alla Banca Centrale da molti anni, che ha vissuto tutta questa esperienza e che ne è un po‘ la coscienza critica, non manca occasione per ribadire che le banche too big too fail vanno fatte a pezzi prima e non dopo il fallimento, cioè non devono esistere. È un po’ dogmatico su questa cosa, però lo continua a dire ed a scrivere: se è too big too fail l’azzardo morale che c’è dentro è del tipo: “posso correre qualunque rischio, tanto mi salveranno”. Pensate alle banche irlandesi: sono cresciute con una dimensione incomparabile rispetto alla base territoriale, cioè facevano tutto meno che occuparsi delle imprese irlandesi; per crescere così tanto è chiaro che stavano prestando soldi al mondo e non alle aziende locali. Queste banche sono talmente cresciute, con un attivo che era la metà del PIL irlandese, che poi il governo irlandese due anni fa ha dovuto dargli un salvacondotto: “vi salveremo sicuramente”. Quindi è diventato rischio-paese ciò che era rischio-bancario e alla fine qualcuno ha fatto saltare il governo irlandese, che ovviamente si è dimesso ed è andato a casa. Questo errore di dare salvacondotti a banche troppo grosse, non è il vostro problema, ma voi su-


CRISI E RIFORME: CONSEGUENZE SULLE BANCHE

58

bite comunque indirettamente le conseguenze di una situazione in cui alla fine, se è rischio-paese, il rischio è di tutti. Anche la banca piccola e sana in Irlanda, se per sbaglio fosse rimasta, soffre di immagine e di sostanza moltissimo, dopo un episodio come questo. Allora il too big too fail rimane un enorme punto interrogativo. Al momento le too big too fail sono state salvate, cioè sono banche quasi pubbliche, c’è dentro il governo come azionista, a Londra come a New York. Come ne usciamo? Facendole a pezzi e rimettendole sul mercato, o no? L’altro grande quesito, che rimane irrisolto, è se torniamo a ciò che avevamo imparato negli anni ’30, cioè che la cosa pericolosa non è il banchiere quando fa fidi, ma è quando la mattina fa fidi e il pomeriggio prende posizioni sui mercati. Quindi gioca sui due tavoli del credito all’impresa che conosco e del mercato su cui uso altre informazioni, per prendere posizioni speculative. Nella letteratura questa è il Glass-Steagall, la legge che negli anni ’30 separò la Banca di Credito Commerciale, la normale banca come voi, da chi prende posizioni sui mercati, si chiami Lehman, Goldman Sachs o altri bei nomi che prendono posizioni speculative. L’idea del Glass-Steagall è stata però abolita in tutto il mondo, cioè noi siamo tornati negli anni ‘90 a rimettere sotto lo stesso tetto – con muraglie cinesi sottilissime e perforabili – il direttore di filiale che dà credito all’impresa, di cui ben conosce pregi e difetti ed è in grado di valutare quel credito per la probabilità che ha di portarlo a casa, e i ragazzotti di trent’anni che hanno voglia di avere la Porsche a Natale. Per inciso, mi dicevano che le vendite di Porsche negli ultimi mesi a Londra sono tornate a crescere alla grande, perché i bonus arrivano quando si fanno speculazioni e si fanno soldi. Tutti questi giovanotti stanno speculando, sparando sui polli che passano e portandoli a casa per le loro banche, facendo profitti enormi, giocando sulle


è già domani

59

debolezze reciproche dei vari paesi e così via, ed è il gioco di questa speculazione. L’ideale di questi tempi è che voi andate lunghi su materie prime – oro petrolio, eccetera – e corti sui debiti sovrani avendo così una posizione complessiva equilibrata: potete solo vincere da ambedue le parti. Il mondo va bene e quindi fate i soldi sulle speculazioni, lunghi su materie prime, energia ecc., e dall’altra parte i governi europei non fanno squadra e quindi si specula a ribasso sull’euro. Allora il problema, di nuovo, è che nessuna banca è fallita in questi anni perché non sapeva fare il suo mestiere. Avrà avuto più o meno sofferenze, avrà avuto più o meno ricavi, ma il banchiere che sia banchiere vero non ha perso, in questo caos degli ultimi anni. Quello che è stato pericoloso e che rimane il problema teorico, pratico e politico da risolvere, è fare finanza e contemporaneamente nello stesso edificio valutare l’affidabilità di un’impresa cui far credito, tenendo sui tuoi libri quel credito e quindi facendolo col buon senso e non solo per far soldi da tutte le parti. Questo mestiere è bene che rimanga come dopo il ’99? Formalmente il Glass-Steagall fu abolito in America nel ‘99, ma già negli anni precedenti si davano eccezioni. Quindi diciamo che tutta la bolla anni ‘90 e successivi, è da post Glass-Steagall, da grandi intermediari che fanno tutto: quello che sanno fare bene lo continuano a fare, ma poi falliscono se dall’altra parte hanno preso posizioni speculative. Se falliscono vengono salvati e quindi conviene sempre osare molto. È chiaro che questo problema va ridiscusso. Purtroppo, come dicevo, da noi la politica non si occupa dei problemi del paese, ma di se stessa ed è quindi difficile discutere di queste cose perché non hai interlocutori. È chiaro che dovremo tornare a decidere quale sia il desiderabile futuro: restiamo un paese industriale; la nostra forza sono le nostre aziende; e il credito è a quella crescita che deve servire? Spero che la risposta sia positiva.



è già domani

CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

Salvatore Maccarone Presidente di Banca Fideuram e di Sef Consulting

61

Buongiorno a tutti, questo nostro Convegno, del tutto opportunamente in questo momento storico, ci prospetta il tema dell’autoregolamentazione. L’autoregolamentazione si contrappone all’eteroregolamentazione, vale a dire alla predisposizione di regole e norme da parte di soggetti diversi da quelli destinati ad applicarle. I soggetti e le fonti della normazione sono tanto numerosi da dar luogo ad una vera e propria “alluvione normativa”: abbiamo la fonte comunitaria, che è alla base di circa l’80% delle nostre leggi, molto spesso portatrici di principi difficili da inserire nei vari ordinamenti. Il nostro, in particolare, ha sofferto dalla importazione di norme, scritte con criteri, anche dal punto di vista tecnico, diversi da quelli propri delle grandi legislazioni continentali come la nostra, quella francese o quella tedesca. Si tratta quasi sempre di norme sostanzialmente di disciplina, con uno scarso impianto di tipo sistematico, difficili da collocare e dunque da interpretare nel quadro del resto dell’ordinamento. Abbiamo poi la normativa primaria, quella elaborata dal Parlamento, dalle strutture deputate del nostro sistema ad emanare norme di legge in senso sostanziale. Abbiamo la disciplina di tipo regolamentare, di secondo grado, che integra la disciplina primaria e che è estremamente importante, alla base della


CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

62

quale, peraltro, vi è un disegno che non è sempre coerente e che genera, anch’esso, difficoltà di applicazione, non solo in chi è destinatario delle regole, ma anche in chi cerca anche solo di capirle ed interpretarle. Si verificano anche spesso, e questo è accaduto recentemente, sovrapposizioni di competenze tra le varie Autorità, con creazione anche di conflitti o di concorrenza tra di esse. Un esempio tipico delle difficoltà di gestione dell’apparato normativo è rappresentato proprio dal Testo Unico Bancario, che è il complesso di norme al quale più spesso facciamo riferimento nel nostro lavoro: la Banca d’Italia ha compiuto uno sforzo encomiabile nel pubblicare nel suo sito – è cosa di un paio di settimane fa – un Testo Unico Bancario aggiornato ad agosto 2010, ma anche questo testo, pur così recente, non è più buono, perché dopo quella data ad esso sono state apportate nuove modifiche, anche molto importanti. Credo non esista oggi una fonte ufficiale in grado di fornire a chi deve applicarlo un Testo Unico Bancario coordinato e quindi completo in tutte le sue modifiche, al quale affidarsi, con la fiducia che sia quello attualmente in vigore . Siamo dunque di fronte al rischio reale e concreto dell’eccesso di regole, anche se paradossalmente, in occasione della crisi che ha investito il sistema finanziario mondale, da parte di molti si è affermato il bisogno di nuove regole; sono un giurista e non un economista, ma ho la certezza che le regole vi fossero e che fossero anzi anche troppe, ma che esse non sono state applicate correttamente. Gli ordinamenti sovraccarichi di regole sono socialmente costosi, sono inefficienti e credo che questo sentimento sia condiviso da molti ed anche dalle Autorità che vigilano sul nostro sistema. Anche il Presidente f.f. della Consob, qualche giorno


è già domani

63

fa a Milano, nel corso di un convegno sulla finanza comportamentale, ha sottolineato la gravità dei difetti della disciplina del mercato mobiliare, pur così innovativa. Le Autorità stanno cercando – ed effettivamente fanno questo con impegno e con grande consapevolezza istituzionale del loro ruolo – di promuovere sempre più il sistema della consultazione, in maniera da raccogliere le indicazioni che provengono dai destinatari delle regole e più in generale dai portatori di interesse. Il punto, tuttavia, è che il costo della regolazione per il sistema bancario è comunque elevatissimo e lo e’ ancor più per le banche più piccole, destinatarie delle stesse regole delle banche più grandi, ma che non hanno strutture comparabili, con la conseguenza che per esse il peso delle norme e della loro inosservanza spesso è insopportabile. Occorrerebbe una maggiore attenzione al criterio della proporzionalità, che dovrebbe animare sia l’applicazione delle norme, sia la loro stessa graduazione precettiva. Vi è poi in altro tema, legato al fatto che la maggior parte delle regole riguarda il mercato retail, quello che è più prossimo all’attività delle banche di credito cooperativo: in questo mercato, l’azione di tutela dei consumatori è molto forte, generando forti costi di compliance da parte degli intermediari, che non sono assorbiti per effetto della polverizzazione delle operazioni e quindi da costi di distribuzione tendenzialmente elevati. Tra l’altro, i costi che questo sistema genera non sono sempre proporzionali alle reali esigenze di tutela che quelle norme dovrebbero soddisfare; vi sono spesso anche ragioni di vantaggio politico, political gains, che sono alla base di alcune norme e che producono un impatto molto favorevole per chi le propone, ma che sono fonte di costi no-


CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

tevoli e talvolta del tutto inutili per le banche, soprattutto per quelle piccole. Vi sono ancora i vari strumenti a presidio della fase di contraddittorio, di litigation, che sono stati costituiti presso la Banca d’Italia, l’Autorità Garante e la Consob. Sul piano generale, comunque, a me pare che la consapevolezza che sembra emergere, e che credo sia anche favorita dalle Autorità, sia quella della opportunità di promuovere processi di autoregolamentazione, una regolamentazione promossa dagli stessi utenti delle regole. Per il credito cooperativo questo approccio mi pare assolutamente consigliabile, o comunque dovrebbe essere favorito, proprio perché il credito cooperativo ha una posizione all’interno dell’ordinamento giuridico generale, ma in quello del credito in particolare, diversa dalle altre banche, per effetti del legame con il territorio, di cui tante volte parliamo e sentiamo parlare, che non è semplicemente un’attitudine funzionale, ma un elemento strutturale e quindi giuridico delle banche di credito cooperativo. Esse sono disciplinate in un certo modo, perché sono legate al territorio ove operano. Allora, se, come sono convinto, il ricorso all’autoregolamentazione sia opportuno, essa può applicare a tre livelli diversi della vita del sistema del credito cooperativo: a livello di sistema nel suo complesso, a livello societario – cioè delle singole Banche di Credito Cooperativo come società – e a livello dell’attività d’impresa delle banche. Le banche di credito cooperativo a livello di sistema

64

Come ho appena detto, hanno un ruolo e un posto particolare nel nostro ordinamento, perché il


è già domani

65

loro legame con il territorio, e quindi anche la potenziale limitatezza della loro capacità di espansione, necessariamente richiede la presenza di strutture di sistema. Sono strutture che integrano la capacità delle banche e creano la rete, di cui tante volte avete sentito parlare, e che è indispensabile perché le banche di credito cooperativo possano svolgere la funzione che è a loro assegnata. Questa rete si manifesta a vari livelli, attraverso le Federazioni regionali, in primo luogo, e le strutture centrali, sia imprenditoriali che istituzionali. I fondi di garanzia sono la manifestazione normativa di questa diversità, di assetto, di queste esigenze particolari della categoria, perché, come sapete, essi sono fondi diversi da quelli del resto del sistema. Il resto del sistema ne ha uno soltanto, per legge obbligatorio, mentre il credito cooperativo ne ha già due e ne sta studiando un terzo, fondamentale, che probabilmente assorbirà uno dei due e che avrà una rilevanza straordinaria: il Fondo di Garanzia Istituzionale, di cui credo parlerà il Presidente Azzi. Il FGI è uno strumento di garanzia della solidità del sistema e fa applicazione proprio dei principi della mutualità: la capacità dell’insieme di sostenere le singole parti del sistema. Se le caratteristiche del credito cooperativo sono quelle che ho sommariamente indicato, esse devono anche indurre a valutazioni e i giudizi diversi rispetto a quelli che si riferiscono alle altre banche. Credo, in particolare, che le iniziative di autoregolamentazione del credito cooperativo debbano essere valutate in modo diverso da quello in cui si valuterebbero le analoghe iniziative di altre categorie di intermediari e questo non perché si richiede un trattamento di favore, ma perché esiste una scelta ordinamentale a monte.


CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

Le banche di credito cooperativo sono disciplinate dal nostro sistema in un modo diverso da quello delle altre banche e se non si creasse una corrispondente distinzione sul piano dell’interpretazione e dell’applicazione delle regole, si creerebbe allora una situazione di contrasto con l’ordinamento primario. Le Federazioni regionali, in particolare, hanno un ruolo essenziale nell’assistenza e nella integrazione della capacità di impresa delle singole banche di credito cooperativo; ricordava Paolo Grignaschi quanto viene fatto in sede di Federazione con l’esternalizzazione di funzioni essenziali, come quelle dei controlli interni, audit e compliance. Il contributo delle Federazioni è un contributo che deve essere salvaguardato, perché altrimenti le banche di credito cooperativo che vi appartengono non riuscirebbero a svolgere la loro funzione. Lo ricordava l’amico Francesco Liberati, che pure è al timone della più grande banca di credito cooperativo, e diceva lui stesso “senza l’accompagnamento del sistema noi faremmo meno”. Un settore, in particolare, nel quale a mio parere le Federazioni dovrebbero poter esercitare la loro capacità di assistenza e di consiglio delle banche di credito cooperativo, è anche quello dell’aiuto delle singole banche appartenenti nelle loro scelte di insediamento territoriale. Le Federazioni hanno una visione complessiva e approfondita del territorio e potrebbero essere di grande ausilio per evitare scelte di espansione non sufficientemente meditate e talvolta fonte di danno. L’autoregolamentazione a livello di organizzazione di governo

66

Anche a questo le banche di credito cooperativo stanno lavorando. Gli organi di categoria hanno re-


è già domani

67

datto, ed hanno poi approvato per proporre alle singole BCC, lo Statuto tipo. Si tratta di un esercizio importante che è anch’esso è manifestazione della diversità del sistema del credito cooperativo; il procedimento autorizzativo previsto dal Testo Unico Bancario è, come sapete, facilitato se gli statuti delle singole banche sono conformi al modello elaborato dalle strutture di categoria ed approvato dalla Banca d’Italia. La elaborazione di un nuovo statuto si è resa necessario per soddisfare esigenze normative nuove, ma anche per ammodernare il sistema di governo e rendere i processi decisionali più efficienti. Occorre tuttavia un avvertimento: le banche di credito cooperativo impegnate in questo lavoro non possono e non devono essere destinatarie di obblighi più severi o di limitazioni ulteriori rispetto a quelli delle altre banche. Se questo accadesse, si verrebbe a creare un handicap concorrenziale del tutto inaccettabile e completamente ingiustificato. Le banche di credito cooperativo, sul piano della loro organizzazione, sono banche come le altre: sono società cooperative allo stesso modo delle banche popolari e non possono essere ridotte nella disciplina a soggetti di secondo grado, attraverso limitazioni che altri invece non sopportano. Si squilibrerebbe oggettivamente il sistema. Pertanto, nel momento in cui l’esame di merito di queste proposte sarà fatto, è auspicabile che chi avrà il compito di verificarle tenga anche conto del fatto che eventuali discriminazioni non sarebbero in alcun modo giustificate. Quali sono i temi del rinnovamento statutario? Mi limito semplicemente a ricordarne alcuni: la disciplina del recesso e dell’esclusione, in funzione anche della computabilità delle azioni emesse dalla banche di credito cooperativo nel patrimonio; il ricambio nella composizione del consiglio


CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

di amministrazione; la riduzione del rischio di conflitto di interessi; il fido massimo concedibile e così via. Anche sulla base dell’esperienza applicativa dell’attuale statuto tipo. L’autoregolamentazione nell’attività di impresa

68

In questo campo le esigenze del credito cooperativo sono più simili a quelle del resto del sistema. L’autoregolamentazione dell’attività è un’esigenza che tutto il sistema bancario avverte, nell’interesse del quale l’ABI ha assunto varie iniziative in questo settore. Per le banche di credito cooperativo esiste anche qui una qualificazione propria in termini di opportunità ulteriore, perché essendo mediamente banche piccole, esse soffrono il peso di alcune norme che riguardano la loro attività in maniera superiore a quella delle altre banche. In questo campo, stiamo tra l’altro assistendo ad un fenomeno particolare, non del tutto positivo, vale a dire l’intervento normativo sui contratti. Fino ad un certo momento della nostra storia, le norme, primarie e secondarie, hanno disciplinato la trasparenza e le modalità di redazione e conclusione dei contratti, ma non erano mai arrivate al punto di interessare il contenuto dei contratti. Questo è invece accaduto con le ultime norme, ed è accaduto anche in modo pesante: un decreto legislativo di quest’anno, che ha dato attuazione ad una direttiva in materia di contratti di credito al consumo, ha introdotto un principio assolutamente nuovo nell’assetto dei poteri e della vigilanza, attribuendo alla Banca d’Italia – nell’ambito delle le finalità generali della vigilanza, indicate dall’art. 5 del Testo Unico Bancario – anche la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela.


è già domani

69

Questa novità genera immediatamente la necessità della verifica dei confini tra le nuove competenze della Banca d’Italia e l’attività e il ruolo dell’Autorità Garante. Una disposizione, in particolare, mi ha molto colpito, sembrandomi difficilmente giustificabile; mi riferisco al potere attribuito alla Banca d’Italia il potere di ordinare agli intermediari la restituzione di somme indebitamente percepite, sostituendosi così all’esercizio di un diritto spettante all’altro contraente. Si tratta probabilmente – come già è accaduto in altri settori dell’attività bancaria – di una reazione dell’ordinamento, a fronte di eccessi che la storia oggettivamente ha mostrato. In effetti, il momento negoziale, quello vero di trattativa, nella conclusione dei contratti bancari (ma per vero anche in altri settori della contrattazione di massa), non è probabilmente mai esistito. Nei tempi oscuri in cui le banche redigevano con grande libertà i contratti da far accettare e concludere ai loro clienti, il potere negoziale era oggettivamente nelle mani dell’industria bancaria. Successivamente, quando la giurisprudenza ha cominciato ad affermare l’illegittimità di alcune previsioni contrattuali, si sono poste le basi per un altro e opposto fenomeno: vale a dire il passaggio del potere negoziale è passato allo Stato, che lo ha tolto ad entrambi, sia alle banche che ai loro clienti. Oggi è la stessa la legge che in molte occasioni indica quale debba essere il contenuto dei contratti. In tutto ciò si inserisce un altro elemento che è fonte di preoccupazione e che va anch’esso attentamente valutato, quello cioè del rischio di un eccesso di informazioni nei confronti del mercato. L’informazione in eccesso non ha nessuna capacità informativa, perché l’informazione utile si disperde


CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

70

in una grande quantità di informazioni inutili o addirittura fuorvianti. Ricordo, ad esempio, la disciplina della MiFID che ha creato una non piccola dose di sconcerto; come sapete che la MiFID ha disciplinato ex novo il mercato mobiliare ed i servizi di investimento, disponendo spesso l’obbligo di adempimenti che i soggetti che ne sono destinatari non capiscono e che gli intermediari che li realizzano interpretano fondamentalmente come una formalità, come un adempimento di tipo liberatorio. A me pare, ma per la verità anche a molti altri, che sia necessaria una semplificazione drastica del sistema. La Banca d’Italia, dal canto proprio, nelle norme e disposizioni in materia di trasparenza ha dato indicazioni concrete ed autorevoli su questo punto. L’informazione perché sia utile deve essere compresa, non può essere un messaggio, magari tecnicamente perfetto, ma incomprensibile per la capacità che ha il suo destinatario di valutarlo dal punto di vista del suo contenuto. Vi sono state iniziative diverse di concertazione tra il settore bancario e le Autorità, con grande apertura da parte di tutti e con fortune alterne, come bel caso del Consorzio Patti Chiari, che tuttavia, anche di concerto con l’Autorità Garante ha prodotto alcune misure che si muovono efficacemente in questa direzione. Se questo processo si semplificazione si riuscisse a portarlo avanti in maniera appropriata, credo che realizzerebbe veramente un risultato apprezzabile, secondo la tecnica di un processo di regolazione proveniente dal basso. Le categorie ed i portatori di interessi, come debitori di informazioni o di disciplina, e i destinatari della disciplina, si confrontano e “fanno i conti tra di loro”: oggi i consumatori si sono dotati di un sistema rappresen-


è già domani

tativo assolutamente efficiente e quindi se si confrontassero, come stanno facendo, nella fase del processo normativo con le altre parti e poi proponessero congiuntamente alle Autorità i principi che sono dal loro comune punto di vista soddisfano le esigenze dell’uno e dell’altro, io credo che potrebbe arrivarsi ad un sistema di autoregolamentazione effettivamente efficiente, con vantaggio per tutti i soggetti dell’ordinamento, quale che sia la loro posizione. Vi ringrazio.

71



è già domani

AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

Antonio Catricalà Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

73

Vorrei ringraziare il Presidente Liberati per avermi dato l’opportunità di esprimere il punto di vista dell’Antitrust sull’autoregolamentazione. Però, prima di rispondere alla domanda della direttrice Angela Maria Scullica, vorrei fare alcune considerazioni in merito ad alcune idee che mi sono state suggerite dalla bella lezione del prof. Vaciago e dalla relazione del prof. Maccarone. In realtà molte delle cose che dice il prof. Vaciago dipendono dal contesto in cui le nostre aziende manifatturiere si troveranno ad operare. È chiaro che la scelta industriale italiana deve avere una serie di conseguenze, non solo sullo stretto terreno industriale: se noi siamo la seconda potenza industriale d’Europa, per mantenere questa posizione al seguito della Germania dobbiamo predisporre un habitat nel quale sia consentito alle nostre fabbriche di prodotti manifatturieri di avere competitività rispetto alle concorrenti dei paesi vicini. Questo significa un sistema concorrenziale adeguato all’interno per quanto riguarda l’energia e per quanto riguarda i servizi di cui l’industria manifatturiera ha bisogno. Devo anche dire che io vedo di buon occhio le nuove Autorità che si stanno preparando ad agire in Europa; però voglio precisare che questa opportunità può avere – come nel gioco del Monopoli – anche delle penalità: potrebbe essere una penalizzazione per i nostri regolati – e questo è un discorso che vi interessa molto da vicino – qualora le nostre Autorità presenti a


AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

74

Francoforte, presenti a Parigi o a Londra, non abbiano la capacità tecnica, ma direi anche caratteriale e personale di imporsi. Noi italiani molto spesso abbiamo la tendenza ad abbassare la testa di fronte alle esigenze dei paesi forti e che – guarda caso – sono riusciti ad avere anche la sede di queste Autorità. I rapporti tra l’Antitrust e il mondo del Credito Cooperativo, sono stati finora caratterizzati da una vivace dialettica; non ruvida, ma vivace, perché alcune caratteristiche di questo mondo sono border-line rispetto alle regole tipiche dell’Antitrust. Alcune le ha dette il prof. Maccarone, altre sono ben note: il fatto che ci sia il voto capitario, i limiti di numero minimo dei soci a non meno di duecento, il fatto che nessun socio possa avere azioni superiori a 50.000 euro, la clausola di gradimento per il voto in assemblea, alcuni vincoli di operatività, sono stati ritenuti dall’Autorità Antitrust limiti alla contendibilità e all’efficienza effettiva di questo sistema. Però i numeri, li ha detti bene il Presidente Liberati, li abbiamo sentiti nella relazione di qualche tempo fa del Presidente Azzi, francamente danno ragione a questo mondo, non sulle regole, ma quantomeno sull’efficienza, perché non si può negare che il credito cooperativo sia cresciuto, sia cresciuto bene e in maniera sana. Quindi molte delle idee pregiudiziali dell’Antitrust non devono impedire ma stimolare il colloquio – come poi è nel mio costume, che è quello di essere sempre pronto al dialogo con le imprese e mai in una posizione di contestazione. Basta dire che i finanziamenti sono saliti nel periodo della crisi sia a favore delle famiglie consumatrici sia a favore delle imprese, in maniera superiore rispetto al resto del mondo bancario. Parliamo di una media dell’8% tra 14%, 8% e 6% per le tre categorie, laddove il sistema bancario nel suo complesso in quel periodo di crisi cresceva solamente dello 0,3%: vuol dire che il localismo, questo attaccamento al terri-


è già domani

75

torio, non è poi una scelta così sbagliata e che appartiene alla nostra cultura e ha dato frutti. Di questo bisogna rendersi conto, i dati parlano da soli, non hanno bisogno di tanti commenti. Mi hanno chiesto di parlare del tema dell’autoregolamentazione. Questa parola di per sé mette in allarme l’Antitrust. Voi mi capirete, quindi non voglio fare il guastafeste. Però devo mettere alcuni puntini sulle i: autoregolamentazione corrisponde un po’ ad autonomia e questo è il lato positivo. L’autonomia significa libertà e quindi va benissimo quando significa libertà. Però autonomia viene etimologicamente dal greco autos nomos, cioè capacità, potere di autovincolarsi, di imporsi una norma di condotta, non dal di fuori, ma come scelta endogena. Qui francamente una certa preoccupazione l’Autorità Antitrust la deve avere. Avere delle regole che una categoria si fa da sola, può dar luogo ad un sospetto non dico fondato, ma credibile, ragionevole, di comportamenti magari non collusivi, però anticoncorrenziali o restrittivi, questo sì. Ma quando accade questo? È importante capire che non si tratta di contrastare una parola o di contrastare un metodo, perché il metodo potrebbe essere buono ed anche la parola potrebbe essere giusta. Anche il giudizio potrebbe essere positivo, ma quali sono i limiti? Che cos’è che preoccupa effettivamente l’Antitrust? Una autoregolamentazione che non vincoli le scelte strategiche delle aziende e non vincoli le scelte commerciali non è anticoncorrenziale, va benissimo, riceve il benvenuto non solo dall’Antitrust italiana, ma anche dall’Antitrust europea. Noi facciamo sempre un’analisi costi-benefici per valutare la restrittività di un’intesa e – per dirla tutta – esistono regolamenti comunitari che prevedono per certi settori un’esenzione dalle strette regole antitrust, a favore del progresso o per la tutela dei consumatori, per la tutela di salute, per la tutela di pluralismo, per la tutela addirittura


AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

76

della qualità di prodotti alimentari. Però mai i regolamenti comunitari consentono limitazioni al diritto antitrust quando si tratta di prezzi e di quantità offerte, e su questo dobbiamo essere d’accordo. Vedete, perfino lo scambio di informazioni su questo punto può essere restrittivo, perché sono le variabili di mercato che devono restare libere. Invece sono ammessi alcuni coordinamenti, per esempio, sulle condizioni generali di contratto, sulla trasparenza delle offerte, sulle comunicazioni commerciali, su come devono essere effettuate al pubblico. Tutte le regole di facilitazione del recesso e tutto ciò che consente mobilità del consumatore tra i concorrenti incontrano il favore dell’Antitrust. Quindi l’autoregolazione può andar bene: si tratta di capire su cosa vogliamo vincolarci. Le facilitazioni, vedete, rispetto alle esigenze della clientela sono consentite, questo l’ABI l’ha capito. L’ABI era la sede storica dell’autoregolamentazione e forse ancora lo è. Però dal 2006 l’ABI ha dovuto cominciare a confrontarsi – in virtù della legge sul risparmio – con l’Antitrust, prima non lo faceva perché la materia bancaria era sottratta a questo confronto; solo con la legge del risparmio 2006 mi sono visto piombare addosso questa competenza: mi ero insediato da poco, però ho ritenuto che ciò fosse opportuno per il nostro sistema, perché è così in tutto il resto d’Europa ed è così in quasi tutto il mondo. Non è così in America e abbiamo visto che non va bene che non sia così. Perché un’Autorità Antitrust forse non avrebbe potuto contrastare quel sistema di mutui che abbiamo sentito ben raccontare e descrivere didascalicamente dal prof. Vaciago, però avrebbe potuto inserire un elemento critico nella valutazione. Del resto noi abbiamo sempre avuto con l’ABI un buon rapporto e un proficuo colloquio, perché vedete, c’è un regolamento comunitario che non consente alle Auto-


è già domani

77

rità nazionali e nemmeno all’Autorità europea – la Commissione – di valutare le intese in via preventiva. È una cosa pazzesca, la reputo un’assurdità. L’ho sempre combattuta, ma è pur sempre un regolamento comunitario, c’era già quando sono arrivato. Per cui se un‘azienda, o un gruppo di aziende, viene a chiedere all’Autorità: “posso fare questa intesa?”, noi diciamo “è improcedibile la tua domanda, perché il regolamento non ci consente di esprimerci”. In altre parole è come dire: tu cammina, io mi nascondo dietro il cespuglio e poi ti sparo una fucilata alla schiena. Non mi sembra una cosa fatta bene. Però il regolamento c’è, credo che lo abbiano fatto perché erano tante le intese che arrivavano per l’autorizzazione e, per questo motivo gli uffici non si potevano dedicare a più importanti indagini. Del resto, una volta che si dà l’autorizzazione è come rilasciare una patente di guida; questo non significa che se poi guidi male non vai a sbattere... Non poter dire prima “va bene quello che stai facendo” oppure “non lo fare, perché c’è proprio un divieto di transito per quella strada”, come tutore di un settore pubblico, mi sembra un’assurdità. E allora ho sempre interpretato la funzione in questo modo: è improcedibile la tua domanda, però siccome ho notizia che stai facendo questa operazione ti dico: “attento a destra, attento a sinistra e guarda il semaforo”. Lo abbiamo sempre fatto. Laddove invece non abbiamo rilevato nessuna criticità, abbiamo detto: “ci sembra che l’intesa non vada contro i principi, ma resta ferma la nostra vigilanza” senza indicare nessuna specifica criticità. Questo naturalmente mi ha consentito un rapporto di preventivo colloquio con il mondo delle imprese che un’Autorità Antitrust deve avere. Se si devono fare solo contravvenzioni si possono assumere 15 vigili urbani e si dice loro di fare le multe. Bisogna avere una sensibilità diversa, non il desiderio di aggredire e multare.


AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

78

Patti Chiari ha avuto un riconoscimento di valore da parte dell’Antitrust. Per la verità all’inizio non erano così chiari: se si andava sul sito e si cercava quale poteva essere la banca nella quale conveniva aprire il conto corrente, trovava difficoltà anche un esperto. Però poi piano piano il meccanismo è migliorato. Quindi nella sostanza l’esperienza Patti Chiari è una buona esperienza. Certo, c’è il caso Lehman Brothers, e questo è uno di quei nei che restano: anche dopo il fallimento la Lehman rimaneva tra i titoli sicuri, con le tre A: è una disattenzione, non possiamo immaginare che sia un fatto voluto, ce lo auguriamo. Ho visto che per Patti Chiari è migliorata la governance: adesso non dipende direttamente dalle banche; anche lo strumento di ricerca può essere apprezzato di più dall’Antitrust, che però resta attenta, perché i possibili rischi collusivi ci sono. Abbiamo anche approvato l’iniziativa “Investire informati” che ci è sembrata buona e abbiamo promosso la moratoria dei mutui con due avvertenze: la prima che ci potesse essere la possibilità per le banche di offrire nella moratoria condizioni migliori, perché si può fare anche nella moratoria una certa concorrenza. La seconda è che ci fosse chiarezza e precisione nella comunicazione dell’onere economico sugli ammortamenti, perché è chiaro che questo fa parte del gioco della moratoria, è giusto che sia così, è un meccanismo che non può essere in perdita per nessuno. L’iniziativa ha avuto molto successo, perché sono state presentate ben 225.000 richieste di sospensione ad agosto, pari a 66 miliardi di euro, tanto che poi questa moratoria è stata prorogata fino a gennaio, mi sembra. 31 mila famiglie ne hanno goduto sino a settembre di quest’anno: tutto ciò è molto importante anche dal punto di vista sociale, perché ciascuna di queste famiglie ha avuto la possibilità di godere in media di 6.300 euro in più all’anno nel periodo di crisi. Le Banche


è già domani

79

di Credito Cooperativo – non so se questo dato era stato enunciato – hanno ricevuto 21 mila domande per un totale di 6 miliardi: ne hanno accolte oltre l’80%, e di questo ovviamente non possiamo non dare atto. Il Presidente Azzi nell’assemblea di Federcasse del 26 novembre ha richiamato il valore dell’autoregolamentazione e l’ha fatto specificamente su due ambiti: il primo è sul Fondo di garanzia istituzionale, il secondo è sulla riforma della governance. In realtà sulla riforma della governance l’Antitrust non ha molte informazioni ed io per questo mi riprometto di conoscere più a fondo quali sono i suoi orientamenti. Invece sul Fondo di garanzia mi pare che tre siano gli strumenti che vengono immaginati: un sistema di informazione orientato alla prevenzione delle crisi aziendali di credito, un rafforzamento della liquidità presente nel sistema e un monitoraggio dei sistemi del governo societario. Questo era il progetto lungimirante che già nel 2006 il Credito Cooperativo aveva pensato, cioè prima ancora che si manifestasse una crisi così grave. Questa idea era stata presentata a livello embrionale all’Autorità. Informalmente l’Autorità aveva rilevato alcune criticità: soprattutto il ruolo di Federcasse era un po’ troppo forte, perché nel primo esame di quel progetto ci sembrava che avrebbe potuto incidere addirittura sul livello dei rating con i quali le banche si presentano sul mercato. Questo naturalmente viene a creare una forza particolare di mercato. C’era anche l’idea dell’adozione di politiche commerciali comuni per una centrale di acquisto rispetto alle fabbriche di prodotto, e questo poteva anche creare qualche dubbio per un’Autorità Antitrust. Poi le politiche di regolamentazione o di programmazione dello sviluppo territoriale potevano dar luogo ad una limitazione della concorrenza interna tra le BCC consorelle, perché per noi le BCC sono imprese in concorrenza tra di loro: anche se pensiamo che co-


AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

80

stituiscono un sistema non sono un unico gruppo industriale, e siccome ognuno va per sé, come è giusto che sia, si devono fare concorrenza. Il progetto non andò avanti e dal 2008 non ne abbiamo più sentito parlare. Abbiamo invece avuto da Federcasse una bozza dello Statuto e del regolamento solo attinenti al fondo di garanzia. Francamente il giudizio era abbastanza positivo all’epoca, perché in realtà la finalità era quella di dare maggiore stabilità e liquidità ala sistema delle BCC. Questo è condivisibile: chi può andare contro la stabilità e la maggiore liquidità di istituti bancari? Però c’è un punto, Presidente, sul quale voglio attirare la sua attenzione: c’è un pericolo di coordinamento concreto se c’è un organo tecnico che riceve ed elabora tutti i dati, ed è diretta espressione dei partecipanti. Cioè, se ciascuna delle BCC ha un suo rappresentante all’interno di quest’organo tecnico, abbiamo un sistema troppo integrato per l’Antitrust: il pericolo di coordinamento delle azioni, anche nello scambio informativo, per noi è eccessivo. Allora, una possibile idea per venire incontro al grillo parlante che è l’Antitrust potrebbe essere quella di vietare l’accesso all’organo tecnico, ai rappresentanti degli istituti. Io credo che non sia una richiesta da non valutare e da scartare immediatamente. Del resto, vedete, il mondo delle Banche di Credito Cooperativo – che voi conoscete indubbiamente meglio di me – è un mondo particolarmente affascinante, perché ha dimostrato di essere fortemente aziendalista, imprenditoriale, ma nello stesso tempo con una forte ispirazione sociale, molto legato al territorio. Cioè ha dimostrato, direi, un’etica della propria strutturazione e della propria cultura che è apprezzabile ed anzi potrebbe essere anche un esempio, a dire la verità. Allora noi pensiamo che, pur non essendo le BCC grandi imprese bancarie, pur non essendo i principali attori del


è già domani

mercato, possano svolgere quel ruolo di “mosca cocchiera”, quell’esempio da seguire nell’individuazione di una serie di regole di trasparenza, di buoni rapporti con la clientela di cui prima sentivamo parlare molto sagacemente: cioè di una visione della banca imprenditrice – ci mancherebbe che la banca si metta a fare solo beneficenza – ma che abbia a cuore gli interessi anche del cliente, anche del cliente piccolo, del cliente che qualche volta va in rosso, ma che alla fine risponde, è fedele e fa di tutto per pagare. Perché la verità è che gli italiani sono persone che pagano i loro debiti, e questo dobbiamo riconoscerlo in quanto Autorità e in quanto imprenditori.

81



è già domani

CONCLUSIONI

Maurizio Trifilidis Direttore superiore. Titolare dell’unità di Coordinamento d’area e collegamenti filiali della Banca d’Italia

83

Grazie a tutti. Innanzitutto, prima ancora di entrare nel tema della conferenza odierna, mi corre l’obbligo di precisare che l’ABI ha iniziato a confrontarsi sui problemi antitrust dal 1990, quando è stata istituita l’AGCM e i profili della concorrenza nel settore bancario sono stati affidati alla Banca d’Italia. Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2005 la Banca d’Italia ha assunto 57 provvedimenti – tutti disponibili sul sito internet dell’Istituto – riguardanti il settore creditizio (23 hanno riguardato le concentrazioni, 29 le intese e 5 gli abusi di posizione dominante), un numero elevato nel confronto sia con altri paesi per il medesimo settore sia con gli altri settori economici a livello nazionale. In 15 dei 57 provvedimenti assunti – la prima decisione nei confronti dell’ABI risale al 1994 – l’ABI era una delle parti del procedimento e tra essi vi è la prima istruttoria, in assoluto, a livello sia italiano sia internazionale, sugli aspetti delle norme contrattuali uniformi che ha prodotto un significativo cambiamento delle precedenti prassi bancarie. A seguito delle decisioni assunte dalla Banca d’Italia in veste di autorità antitrust, prodotti largamente utilizzati, quali le carte di credito e di debito, sono stati offerti a costi decrescenti; limitandomi alla carta più diffusa, il Bancomat nella funzione di strumento di pagamento, ricordo che le verifiche periodiche compiute dalla Banca dal 1998 (anno di lancio del prodotto) al 2005 hanno portato a una significativa


CONCLUSIONI

84

riduzione del valore della commissione interbancaria, nell’ordine del 30 per cento, che si è trasferita sulle condizioni praticate alla clientela. Da ultimo, giova ricordare che, fino al 2005, tutte le decisioni della Banca d’Italia quale Autorità antitrust sono state assunte anche in base ad un parere esplicito dell’AGCM e, in seguito, le prime decisioni dell’Autorità Garante in merito al sistema creditizio sono state il prosieguo di indagini avviate dalla Banca d’Italia stessa. Fatta questa affermazione, doverosa per riconoscere il lavoro svolto non solo dall’Istituto al quale mi onoro di appartenere ma anche quello realizzato, in efficace collaborazione, dall’AGCM dei presidenti Saia, Amato e Tesauro, voglio dire che sono particolarmente contento di essere qui tra voi e non è una frase di circostanza. La mia prima attività rilevante in Banca d’Italia è stata l’ispezione alla BCC di Riano. Dopo un percorso molto tortuoso, trent’anni dopo sono tornato ad occuparmi di BCC, circostanza che mi fa particolarmente piacere perché il ritorno alle origini è sempre utile, specie quando si può utilizzare l’esperienza nel frattempo accumulata. Devo quindi ringraziare il Presidente Liberati per avermi dato questa opportunità. Preciso anche che nel mio intervento – tenuto conto della mia attuale esperienza professionale di interazione con tutto il sistema del credito cooperativo– svolgerò alcune considerazioni riferibili all’intero contesto di tale sistema e non specificamente al sistema delle BCC del Lazio, Umbria e Sardegna, che oggi mi ospitano. Questa mattina sono stato colpito dalla frase di Mons. Rosso “camminare per precedere i problemi”: è una bella frase e Mons. Rosso probabilmente ha inteso dare a quelle parole un senso e un respiro molto più ampio di quello che io adesso cercherò di interpretare. Da parte mia, vorrei par-


è già domani

85

lare proprio dei problemi che il credito cooperativo deve precedere, affrontandoli nel modo migliore. Pur essendo consapevole del fatto che il mondo delle BCC esprime numerose punte di eccellenza, come rappresentante dell’Autorità di vigilanza ritengo utile soffermarmi maggiormente sugli aspetti problematici, da migliorare. Dato il tempo a disposizione, lo farò in maniera molto rapida e – mi consentirete – anche alquanto diretta e franca. Due premesse mi sembrano necessarie. La prima è nota, ne hanno parlato tutti: la grande incertezza che caratterizza l’attuale situazione congiunturale rende le banche più vulnerabili. Nel 2009, il numero di BCC in difficoltà che hanno richiesto azioni incisive di intervento della Banca Italia è risultato nettamente superiore rispetto al 2008; nel 2010, i casi di aziende in difficoltà sono stati più numerosi di quelli complessivamente rilevati nel biennio 2008-2009. L’attività di controllo e intervento della Vigilanza sulle banche problematiche – attenta anche a distinguere i fattori di fragilità strutturali da quelli più direttamente legati al momento congiunturale – si è rafforzata e, in alcuni casi, è sfociata in provvedimenti di rigore. La seconda premessa è che, nell’attuale fase di difficoltà, si sono intensificati i momenti di confronto tra la Banca d’Italia e gli organismi del sistema cooperativo. Inoltre, da tale interlocuzione emerge a mio avviso una significativa convergenza degli obiettivi da perseguire da parte sia della Vigilanza sia del sistema cooperativo: assicurare che il “sistema BCC” sia sano e prudente, forte ed efficiente. Sul fatto che questo sia l’obiettivo a cui tendere c’è perfetta identità di vedute. Devo dare anche atto agli organismi del sistema cooperativo di una crescente consapevolezza dei problemi che dovranno essere affrontati per conseguire pienamente questo obiettivo. Rilevo quindi una crescente convergenza anche nell’identificazione de-


CONCLUSIONI

86

gli aspetti problematici e, quindi, delle iniziative da assumere per affrontarli. In tale ottica, assumono rilievo due progetti fondamentali, già richiamati più volte: il nuovo Statuto-tipo e il Fondo di Garanzia Istituzionale. Su entrambi i progetti vi è un’intensa interlocuzione con la Vigilanza e una significativa convergenza sui miglioramenti da apportare. Auspichiamo che entrambe le iniziative possano essere condotte in porto in maniera efficace. Questa mattina sono stato colpito anche dalla domanda posta dal dott. Grignaschi: il peggio è passato? Ora, per quanto riguarda le BCC, poter affermare che il peggio è passato dipende anche un po’ da come il sistema cooperativo reagirà all’attuale situazione congiunturale. Potremo dire che il peggio è passato se il sistema reagirà bene; in caso contrario, gli aspetti problematici potrebbero anche accentuarsi. Le principali debolezze sulle quali mi soffermerò riguardano la capacità di creare reddito, l’attività di credito e i profili di governance. Primo punto: capacità di creare reddito. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito all’abbassamento dei tassi di interesse e alla riduzione dello spread , circostanze che hanno determinato una forte pressione sui margini reddituali delle aziende bancarie. Le banche hanno reagito cercando di aumentare il volume degli impieghi; l’impulso a sviluppare l’attività di prestito è stato particolarmente marcato nelle piccole banche, caratterizzate da una minore diversificazione degli attivi e delle fonti di ricavo. Tuttavia, con l’esplodere della crisi finanziaria – che si è poi ripercossa sul sistema reale – si sono anche manifestati l’indebolimento della domanda di credito e l’aumento dei prestiti con difficoltà di rimborso, in un contesto in cui lo spread fra i tassi ha continuato a mantenersi molto basso. Per quanto riguarda il mondo del credito cooperativo, a ciò si aggiunge l’ulteriore fattore di debolezza rap-


è già domani

87

presentato dalla rigidità dei costi operativi, più marcata rispetto al resto del sistema. In questa situazione il “sistema BCC” ha visto ridursi significativamente la propria capacità di reddito: nel 2009 il ROE complessivo si è più che dimezzato rispetto al 2007. Le forti pressioni sulla redditività e le difficoltà a ritornare sui livelli del passato condizionano la capacità di autofinanziamento del sistema, che rappresenta la leva essenziale per mantenere e rafforzare la solidità patrimoniale delle BCC. È quindi essenziale intervenire sul fronte della redditività. Condivido con il dott. Grignaschi l’idea che gli ambiti di intervento possano essere molteplici. Mi limito qui a ricordarne due, a mio parere molto importanti e ai quali il sistema dovrebbe riservare massima attenzione: incidenza dei costi e dimensioni minime delle BCC. Occorre da un lato agire al fine di ridurre i costi, dall’altro condurre una riflessione sulle dimensioni delle aziende, avendo riguardo a quelle realtà la cui taglia operativa molto contenuta non consente di perseguire sufficienti economie di scala. Vi sono due vie per affrontare le tematiche che ho richiamato e spetta al sistema dare la risposta: in alcuni casi, una possibile modalità di azione è quella volta a promuovere processi di aggregazione; l’altro modo è rafforzare la capacità della rete di fornire quei servizi che permettano alle aziende più piccole di superare i problemi di economia di scala. Entrambe le linee di azione che ho ricordato sono anche quelle che il sistema può gestire in piena autonomia, a differenza di tutti gli altri strumenti di rafforzamento della redditività, più strettamente dipendenti da fattori di contesto e dall’agire di altri soggetti. Altro aspetto rilevante è l’attività di credito. Nel mercato del credito la quota delle BCC è quasi raddoppiata negli ultimi anni, raggiungendo il 9% del sistema. È stato realizzato un notevole progresso, molte BCC sono riuscite ad acquisire fasce di clien-


CONCLUSIONI

88

tela di dimensioni inusitate rispetto al passato e sono state rafforzate le strategie volte a incrementare i volumi di impieghi. Su quest’ultimo aspetto la Banca d’Italia sta conducendo degli approfondimenti. L’aumento dei volumi di prestiti può dipendere da fattori sia di domanda sia di offerta. Riguardo alla domanda, molte imprese si rivolgono alle BCC perché hanno risposte più rapide, più efficaci, perché si ritengono un po’ trascurate dalle banche più grandi e si rivolgono alle BCC anche perché queste operano sul territorio. D’altra parte, negli ultimi anni si è registrata la diminuzione del credito erogato alle imprese dalle grandi banche. Dal lato dell’offerta, le BCC hanno intravisto margini di sviluppo e possibilità di conseguire maggiori profitti e quindi hanno colto questa opportunità di mercato sviluppando azioni commerciali talvolta piuttosto aggressive, anche puntando sull’offerta di prezzi migliori di quelli offerti dai competitors sulla piazza. Questo processo nel suo insieme è positivo, anche perché è stato accompagnato dalla considerazione – a livello di organismi di sistema – delle conseguenti implicazioni di rafforzamento degli assetti organizzativi, della governance, dei processi di selezione e valutazione dei crediti delle BCC. Tuttavia non tutte le BCC hanno saputo ben coniugare evoluzione delle politiche creditizie e rafforzamento degli assetti interni. Inoltre, non va dimenticato che la forza della BCC risiede nella sua conoscenza dell’economia locale, nella sua conoscenza diretta delle persone che vengono finanziate. La forte espansione anche territoriale delle BCC e la propensione a finanziare target di clientela di più elevato standing, se non ben governate, possono attenuare o far venir meno questo fondamentale vantaggio competitivo: si tratta di un aspetto che richiede molta attenzione. Molto è stato fatto a livello di sistema, però io credo che in questi ambiti sussistano margini di miglioramento


è già domani

89

per talune BCC, in particolare per quelle della fascia più debole. È necessario intensificare gli sforzi, a livello di singole banche e di categoria, per perseguire questi margini di miglioramento. Soltanto a tali condizioni è possibile che il sistema cresca ancora in modo virtuoso. In assenza di tali condizioni, una larga fascia del sistema deve rivedere le proprie strategie di sviluppo e condurre un’approfondita riflessione sulle difficoltà e i rischi che andrà ad incontrare nell’attuale contesto di crisi economica. È quindi necessario riservare massima attenzione a tutto ciò che governa la concessione e gestione del credito nelle BCC. Si tratta di un punto fondamentale. Alcune BCC hanno gestito bene lo sviluppo dell’attività di prestito, altre stanno cercando di farlo, altre sono ancora un po’ in ritardo. Le strutture di categoria devono aiutarle a camminare tutte con la stessa velocità, che deve essere ovviamente anche la velocità più adeguata. Il terzo argomento che vorrei sollevare è quello della governance. La Banca d’Italia riserva crescente attenzione, anche dal punto di vista normativo, al tema della governance, dell’organizzazione e dei controlli interni. In tali ambiti, l’attività regolametnare e di controllo della Banca d’Italia tiene conto dell’esperienza sul campo e questo è particolarmente vero riguardo al sistema cooperativo. L’esperienza di vigilanza dimostra che, quando in una BCC ci sono un Presidente e un CdA che interpretano correttamente il proprio ruolo, un Collegio Sindacale che lavora bene, un Direttore Generale in possesso delle qualità necessarie per lo svolgimento dei compiti dell’Esecutivo, e quando queste tre funzioni interagiscono positivamente, non si verificano situazioni di crisi. Tutti i casi di crisi di BCC presentano situazioni ricorrenti: Presidenti che erano in carica da troppo tempo, Presidenti che occupavano il ruolo del Direttore Generale, o Direttori Generali che occupavano il ruolo del Presi-


CONCLUSIONI

90

dente, inefficacia dell’organo e delle funzioni interne di controllo. Su queste anomalie c’è la massima attenzione da parte della Banca d’Italia. Allora, ben venga la revisione dello Statuto-tipo, se essa, cogliendo le aspettative della Banca d’Italia, sarà finalizzata a rimuovere queste ricorrenti debolezze della governance delle BCC. Un punto delicato è quello del limite ai mandati dei Presidenti e dei componenti del CdA: occorre individuare regole in grado di evitare l’eccessiva permanenza in carica degli stessi soggetti e tuttavia anche tali da consentire di correlare il numero massimo di mandati alla qualità della governance e ai risultati dell’azienda. Quando un’azienda è ben gestita, è bene mantenere gli organi che ci sono; in caso contrario, non dovrebbe essere necessario aspettare la scadenza del terzo o del quarto mandato per poter intervenire, occorre individuare uno strumento in grado di assicurare, quando occorra, il necessario ricambio. Nell’ambito del sistema peraltro c’è un’elevata diversificazione della qualità della governance delle singole aziende: occorre intervenire per omogeneizzare il livello qualitativo verso i migliori standards. Il nuovo Statuto, da questo punto di vista, rappresenta un banco di prova della capacità che ha il sistema di autoregolamentarsi, di indirizzarsi verso i modelli più sicuri, di rafforzare il ruolo dei componenti del CdA e del CdA nel suo complesso e quello del Collegio Sindacale, di innalzare gli standards di indipendenza del CdA. L’esperienza di vigilanza evidenzia come talvolta i problemi gestionali delle BCC siano legati allo svolgimento di incarichi esterni, talvolta anche politici, da parte dei componenti del CdA. Non è facile conciliare il ruolo di presidente o amministratore di una BCC e quello di esponente politico, specialmente nelle piccole realtà dove maggiore è il rischio che si concretizzino condizionamenti e conflitti di interesse: in questi casi, è bene prevenire i problemi


è già domani

91

che potrebbero derivarne piuttosto che risolverli dopo che si sono manifestati. Un altro punto importante che vorrei accennare sempre in tema di goveranance è quello della selezione/qualità del management. Le BCC tendono a preferire le soluzioni interne, che è un orientamento assolutamente condivisibile. A mio avviso, la scelta del management dovrebbe favorire soluzioni che siano “interne” non soltanto nell’ambito della singola azienda, ma anche, in qualche modo, rispetto al sistema del credito cooperativo, assicurando anche una certa mobilità all’interno della categoria. In diversi casi, le BCC hanno fatto ricorso a managerialità esterne al mondo del credito cooperativo: sicuramente queste managerialità hanno apportato elementi positivi nel mondo delle BCC, ma molto spesso si sono rivelate prioritariamente votate ad aspetti commerciali, dando luogo ad azioni che alla fine non hanno sempre giovato alla reputazione e al sano sviluppo delle BCC. La qualità della dirigenza è un punto fondamentale e deve essere un patrimonio del sistema. Faccio un esempio calcistico: pensate alla squadra del Barcellona. Il 90% dei giocatori del Barcellona è rappresentato da elementi provenienti dal vivaio: ecco, questo potrebbe essere un modello. Gli ambiti sono diversi ma anche nel sistema BCC sarebbe utile disporre di una struttura preposta allo sviluppo, per le diverse posizioni, delle figure manageriali delle banche della categoria. Ho così esaurito i tre principali punti che intendevo toccare. La presenza del dott. Catricalà, oltre a stimolare la discussione di alcuni aspetti di tutela della concorrenza negli anni trascorsi, ha stimolato anche alcuni problemi attuali delle BCC. Un punto importante da sottolineare è che gran parte della clientela di BCC ne anche è socia. In questo c’è una differenza forte che va valorizzata, rispetto agli


CONCLUSIONI

92

altri istituti di credito. L’altro aspetto importante, per i profili di concorrenza, è che le BCC possono essere viste da due punti di vista diversi: innanzitutto sono il competitore locale delle Poste e delle piccole banche. Però c’è l’altro punto di vista, in cui sono il competitore locale non solo dei soggetti citati, ma anche del sistema bancario nel suo complesso. Le BCC, come abbiamo già visto prima dai dati, allo stato attuale hanno raddoppiato il numero di sportelli, hanno aumentato il numero di addetti, sono diventate ancor di più un’istituzione radicata sul territorio: se noi lo ritenessimo un soggetto unitario, sarebbe un gruppo che si colloca a un livello significativo nel sistema. Nel suo insieme è una struttura che può fare concorrenza ai grandi gruppi bancari e al sistema creditizio nel suo complesso; per questo sono indispensabili gli strumenti di rete. Sicuramente, come diceva giustamente il dott. Catricalà, non si possono fare accordi sui prezzi, non si possono fare accordi sulla ripartizione dei mercati, vietati dalla normativa antitrust. Ma tutto ciò che rafforza la capacità concorrenziale del sistema nel suo insieme, è qualcosa che deve essere anche visto in maniera procompetitiva. Riguardo al Fondo di Garanzia Istituzionale, che rappresenta un passaggio molto importante per il sistema BCC, ritengo che sia necessario svolgere approfondimenti nell’ambito di un confronto di taglio sia politico sia tecnico con tutte le Autorità potenzialmente coinvolte. Sicuramente il Fondo di Garanzia Istituzionale è un’iniziativa che rafforza la rete, rafforza l’unità del sistema BCC e, quindi, rafforza le connotazioni di “gruppo”. È comprensibile che essa susciti attenzione sotto i profili antitrust. È altrettanto vero, tuttavia, che il FGI è un’iniziativa utile per il sistema BCC, ne rafforza la stabilità e da questo punto di vista ne rafforza anche l’efficienza. È opportuno che Vigilanza banca-


è già domani

ria e Autorità Antitrust si confrontino sugli aspetti tecnici del progetto. Detto questo, mi avvio alle conclusioni del mio intervento. Il sistema delle BCC è un sistema in crescita. L’esperienza di vigilanza di questi ultimi anni mette in evidenza che, se il sistema riuscirà a trovare delle risposte pronte e tempestive sui temi della capacità di produrre reddito, dell’attività di credito e della governance, questa crescita potrà continuare e continuare in un ambiente di sana e prudente gestione, che è un obiettivo che accomuna tutti noi.

93



è già domani

Alessandro Azzi Presidente Federazione Italiana delle BCC

95

Vorrei partire dal titolo del convegno: “È già domani. L’autoregolamentazione per uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle BCC”, titolo che contiene un’affermazione ed una sollecitazione. L’affermazione è quella che l’autoregolamentazione è uno strumento prezioso per governare la crescita del nostro sistema. La sollecitazione è quella a guardare avanti, ad un futuro che è già qui. E già “domani”, in due sensi: il domani è più vicino di quanto pensiamo, il domani si produce oggi. Qualche considerazione, quindi, su questi due aspetti: sull’affermazione e sulla sollecitazione. Innanzi tutto un apprezzamento sincero alla Federazione Lazio, Umbria e Sardegna per il coraggio e la lungimiranza nel definire un titolo ed una trattazione come questa. Un ringraziamento per l’apporto di tutti i relatori, in particolare al dott. Trifilidis ed alla Banca d’Italia, per quanto ci siamo sentiti dire questa mattina. È confortante sentire che l’espressione delle nostre posizioni ed il percorso che abbiamo tracciato è visto in perfetta identità di vedute. E che ci è riconosciuta consapevolezza della responsabilità, della delicatezza e degli impegni che sono davanti a noi. Partirei, essendo passata meno di una settimana dall’Assemblea della Federazione nazionale, dalla rappresentazione dello scenario che abbiamo dato in quella occasione e che in parte è stato riproposto questa mattina. Noi sappiamo di essere posizionati in uno scenario difficile, caratterizzato da in-


CONCLUSIONI

96

certezze marcate e particolari per il Credito Cooperativo, in relazione alla coerenza da assumere di fronte alle sfide del momento, e particolari anche in relazione alle specificità del nostro mondo. Ci è stato riconosciuto, e tutti hanno apprezzato, l’impegno che abbiamo sviluppato in questi duetre anni di crisi, continuando ad erogare credito alle imprese e dando prova di flessibilità: penso alle diverse forme di moratoria ancor prima di quelle dell’ABI e, rispetto a queste, spesso diversificate. Ma penso, anche, alle centinaia di iniziative di concreta attenzione alle persone, ai tanti accordi di microcredito che abbiamo sviluppato sul territorio. Oggi ci è riconosciuto un ruolo che può posizionarci da protagonista nel sistema bancario: cito solo il dato dei 4300 sportelli, ma mi verrebbe voglia di pensare al numero dei soci che ha superato il milione, ai clienti, alle masse di raccolta e di impieghi. Ricordo anche il dato patrimoniale: un dato di assoluta rilevanza, oltre 19 miliardi di euro, che si è incrementato anche nel periodo della crisi e che fa nel complesso – del Credito Cooperativo – una componente solida, anche se, essendo quattrocento i soggetti che danno complessivamente il dato, non é scevra da momenti e situazioni di particolare problematicità. Sappiamo anche che la scelta di esserci, di dare risposte, non è stata indolore. La coerenza ha avuto un prezzo: abbiamo gestito – direi anche consapevolmente – una maggior pressione del credito in sofferenza. A giugno 2010 il rapporto sofferenza/impieghi era pari al 3,9%, in crescita di sette decimi di punto rispetto allo stesso periodo del 2009; nello stesso periodo nel resto del sistema bancario il rapporto sofferenze/impieghi è pari al 3,6%, in crescita di un punto percentuale su base d’anno. Abbiamo detto in Assemblea, meno di una settimana fa, che il futuro non si riproduce, non si produce per replica. Il futuro che cerchiamo di imma-


è già domani

97

ginare e che cerchiamo di costruire, richiede di accrescere la prudenza e di accentuare la lungimiranza ed il coraggio. Allora, in tutto questo, io credo che si inserisca bene il tema dell’autoregolamentazione per la costruzione di uno sviluppo equilibrato e sostenibile. Sono state precisate, questa mattina, varie accezioni di autoregolamentazione: i relatori, a seconda dei diversi punti di vista e delle diverse esperienze, si sono espressi al riguardo. Vorrei dare a mia volta, dal punto di vista del Credito Cooperativo, almeno due interpretazioni. Una è quella della regolamentazione che ogni banca sa darsi nel progettare e realizzare la propria crescita; la seconda è il processo di autonormazione, come caratteristica distintiva del Credito Cooperativo, che non poco ne ha favorito lo sviluppo nel tempo. In primo luogo, allora, autoregolamentazione come regolamentazione che ogni BCC sa darsi: nel corso dell’Assemblea abbiamo sottolineato che la crescita degli ultimi anni va ora rafforzata attraverso azioni mirate, perché possa essere sostenibile nel lungo termine. Questa mattina c’è stato confermato che, in un periodo in cui la generazione dei flussi di reddito appare e sarà ancora problematica – i conti economici li conosciamo e le previsioni le facciamo – ed in cui i costi della pulizia del credito deteriorato sono e saranno ancora in crescita, deve andare estesa una riflessione sulla nostra capacità di incrementare i ricavi. Paolo Grignaschi parlava di diversificazione delle fonti di ricavo in termini di accompagnamento e di assistenza su vari fronti, anche sull’internazionalizzazione. Allora non mi stanco di richiamare l’esigenza di impegnarci a tutti i livelli: quello delle Banche di Credito Cooperativo sul territorio e quello del gruppo bancario, per incrementare ad esempio le risposte sul risparmio gestito e sulla previdenza assicurativa e pensionistica. Penso in particolare ai


CONCLUSIONI

98

giovani lavoratori, posto che oggi quasi l’80% della popolazione occupata non aderisce ad alcun piano pensionistico complementare e che i parasubordinati, non a caso, sono stati battezzati “pariasubordinati”. Questi sono servizi che – dobbiamo dircelo – i nostri soci e i clienti richiedono e di cui comunque hanno necessità. Anche nel servizio alle imprese va ricercata una più ampia soddisfazione delle necessità degli imprenditori e degli artigiani, ad esempio investendo su prodotti finanziari più avanzati, su un maggior accompagnamento nell’interscambio con l’estero, settori che tradizionalmente sono poco sviluppati dalla nostra rete di banche, ma che vengono sviluppati da altre banche su clientela comune e che inevitabilmente fanno allontanare la nostra. Poi, il dottor Trifilidis lo ha detto con chiarezza, c’è il tema dei costi, che è in buona parte connesso al modello di sviluppo che abbiamo avviato in questi anni e che – lo ricordava ancora Paolo Grignaschi – è stato quello della crescita orizzontale. In sostanza, in questi anni siamo riusciti ad espanderci: ad esempio, il dato più rilevante che poniamo a modello è quello della crescita degli sportelli, dove davvero abbiamo una quota di mercato superiore a quella che abbiamo per gli altri, ma è stato uno sviluppo quantomeno molto costoso. Io penso che l’era dell’espansione in senso meramente orizzontale si è chiusa e che occorra ragionare di come realizzare ora una crescita in verticale, in profondità, curando e coltivando ulteriormente il radicamento e la conoscenza sempre più approfondita di chi vive, opera, produce ed amministra quei territori di nuova espansione. Siamo andati ad aprire filiali in piazze dove non eravamo presenti e molto spesso su quelle piazze facciamo banca come tutti gli altri. Non riusciamo a radicarci, non riusciamo a fare Banca di Credito Cooperativo, sviluppando in profondità in verti-


è già domani

99

cale la nostra presenza, rinunciando così, omologandoci, a fare quello che meglio sappiamo fare. Allora, adesso che abbiamo allargato la rete operativa – tutti, attraverso gli sportelli – fermiamoci un momento nell’espansione orizzontale e cominciamo a lavorare e a consolidare il terreno che siamo andati conquistando. Anche questo in fondo è autoregolamentazione, che si sviluppa attraverso misura, coerenza, rigore, ma anche – e non dobbiamo rinunciarvi – intraprendenza. Rimanendo sulla questione dei costi, non basta realizzare, come penso tutti stiano facendo, controlli puntuali e strettissimi sulle diverse voci, ognuno nell’ambito della propria BCC, ma occorre anche immaginare modalità nuove e più strutturali per consentire il contenimento. Questo è un tema che deve essere affrontato e risolto – e per primo non mi sottraggo alle mie responsabilità – da parte delle strutture del movimento, quelle associative e quelle imprenditoriali. Ma va anche affrontata con nuova consapevolezza la questione delle sinergie, la questione dell’operatività in comune, che passa anzitutto attraverso un maggior impegno – in tal senso – da parte della componente industriale ed imprenditoriale del gruppo; ma che non lascia esente la struttura associativa. Le Federazioni regionali devono collaborare meglio tra di loro, in alcuni casi devono rinunciare a svolgere tutte le stesse funzioni, se ci sono esempi di buona gestione ed eccellenza che può essere estesa da una Federazione anche ad altre Federazioni, senza che questo tocchi il ruolo o la dignità della presenza territoriale del movimento al suo secondo livello. Il dott. Trifilidis ci ha richiamato anche al delicatissimo tema della dimensione minima, che pure non dobbiamo eludere, sapendo che la nostra risposta dovrà essere una risposta flessibile. La di-


CONCLUSIONI

100

mensione minima in assoluto probabilmente non c’è, ma certamente c’è un problema di dimensioni che deve tener conto del contesto, dell’organizzazione, della patrimonializzazione, dell’efficienza e dello spirito della gente che opera nell’una piuttosto che nell’altra Banca di Credito Cooperativo. La seconda possibile accezione di autoregolamentazione è connessa alla capacità preveggente che il Credito Cooperativo ha sempre avuto nella sua storia, nel senso di darsi una disciplina, delle regole, che spesso hanno anticipato processi e percorsi, poi intervenuti per tutta l’industria bancaria. Nel 1997 è diventata obbligatoria la protezione dei depositanti; abbiamo avuto dalla Banca d’Italia l’autorizzazione a creare un nostro fondo, che è il Fondo di Garanzia dei Depositanti – preziosissimo – che ci ha consentito di risolvere le crisi secondo le nostre logiche e le nostre finalità, che spesso sono state quelle di consentire alla BCC commissariata di ritornare in bonis e quindi restituirla sul territorio. Non sarebbe stato così se avessimo fatto gestire le nostre crisi dal fondo di tutte le banche, ma è bello pensare, anche perché va attribuito merito a chi ce l’ha – e non siamo noi, sono le generazioni precedenti – che 10 o 20 anni prima era stato costituito il Fondo Centrale di Garanzia, che consentì al movimento di salvare decine o forse centinaia di Casse Rurali nel tempo. Siamo stati anche precursori con un’altra iniziativa recente, quella del Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti del Credito Cooperativo: una tutela, quella sulle nostre obbligazioni – e parliamo di qualcosa come 50 miliardi di euro – che nessun altro intermediario offre alla propria clientela. Su questa strada va anche il Fondo di Garanzia Istituzionale che ci è stato riconosciuto essere – anche questa mattina – uno strumento essenziale per mettere in sicurezza il nostro sistema ed evitare, o


è già domani

101

contenere, i costi delle crisi delle BCC. Crisi che, essendo così numerosa la platea e la famiglia, inevitabilmente ci sono, ci saranno – soprattutto nei momenti di crisi – come abbiamo sentito. Questo cantiere è indubbiamente in corso da parecchi anni. Quelle anticipazioni che il dott. Catricalà si era sentito proporre nel 2006, sostanzialmente sono dello stesso obiettivo che stiamo portando avanti ancora adesso. Un cantiere che deve certamente chiudersi, un cantiere che è stato reso più complesso e accidentato da ciò che in questi anni è avvenuto, quindi le nuove normative conseguenti alle difficoltà ed alle crisi dei mercati finanziari. Un cantiere che presuppone la volontà e la determinazione di tutte le componenti del nostro movimento, sia quelle associative – e qui tutto sommato è facile – che quelle imprenditoriali, le banche di secondo livello del credito cooperativo, che mettere d’accordo è un’impresa particolarmente complessa. Ma, ugualmente, io credo che siamo vicini al risultato. Certamente dobbiamo avere la consapevolezza che ci stiamo confrontando con una innovazione epocale, che interessa il contesto normativo, lo scenario economico-finanziario, che deve essere continuamente rappresentata e gestita in collaborazione con le Autorità di vigilanza. Sappiamo che il Fondo si svilupperà che crescerà su tre pilastri: quello dei dati, ovvero la creazione di un sistema di informazione e indicatori semplice, condiviso, capace di segnalare in anticipo l’emergere di momenti di crisi aziendale. Il secondo pilastro, che mira al rafforzamento della liquidità presente nel sistema e quindi ad accrescere la capacità di immunizzarci da crisi che hanno duramente colpito banche di altri paesi. Il tema della liquidità e delicato anche per il Credito Cooperativo: eravamo la componente più liquida del sistema, non è detto che sia ancora così. Il tema della liquidità impatta for-


CONCLUSIONI

102

temente sulle banche di secondo livello, che devono riuscire a raggiungere intese fra di loro, finalizzate a dare maggiore sostegno e forza – anche perché la utilizzino in termini concorrenziali – alle Banche di Credito Cooperativo. Il terzo pilastro riguarda la governance, che è un aspetto sempre più determinante per la stabilità e lo sviluppo delle nostre banche. Il tema della governance, non solo è pilastro del Fondo di Garanzia Istituzionale, ma nello stesso tempo è un momento di ulteriore autoregolamentazione del sistema. Allora su questo, come è già stato riferito anche dal Presidente Liberati, abbiamo lavorato attivamente, proattivamente: il mese scorso il Comitato Esecutivo di Federcasse ha definito una proposta di modifica statutaria che verrà presentata alle BCC, dopo che Banca d’Italia l’avrà valutata e condivisa, perché per tempo le BCC la valutino e la adottino in forme che passeranno attraverso assemblee straordinarie, insieme a quelle dell’approvazione del bilancio 2010, nella primavera dell’anno prossimo. I temi sono fortemente delicati e le attualità dell’estate scorsa, talvolta negative in termini di reputazione per qualcuno di noi – il che significa reputazione negativa per tutti – ci hanno indotto ad una accelerazione e ad un particolare rigore in questo senso: ricordo certamente i conflitti di agenzia, le parti correlate, il moral hazard. Sono problemi di tutte le banche ma, nello specifico del Credito Cooperativo proporremo nello Statuto l’inserimento di modalità e strumenti per favorire la continuità ed il ricambio nel governo della Banca di Credito Cooperativo. Nei termini però che sono stati rappresentati dal dott. Trifilidis: ovvero che la cosa importante è la qualità e l’impegno delle persone che gestiscono le Banche di Credito Cooperativo, e solo dopo viene il tema della durata del mandato. Nel senso che il rinnovo


è già domani

103

obbligatorio di mandati per una scadenza ipoteticamente inserita nello Statuto, non è detto che sia di per sé un bene, tantomeno in contesti travagliati come questi, nei quali le continuità delle buone gestioni sono valori da considerare e preservare. Inoltre, favorire ulteriormente la partecipazione dei soci alla vita della cooperativa bancaria, ridurre il rischio di conflitti di interesse, anche attraverso l’incompatibilità del ruolo di amministratore con incarichi politici ed amministrativi, prevenendo limiti – più bassi di quelli previsti per legge – alla misura dei fidi concedibili, ponendo vincoli precisi alla possibilità di affidare appalti a parti correlate di amministratori e direttori, prevedendo l’ineleggibilità per coloro che in precedenza hanno contribuito a causare problemi o crisi aziendali, rafforzando il monitoraggio sull’autonomia e l’indipendenza dei componenti dell’organo di controllo, ed altro ancora. Su questi temi, anche se magari singolarmente riteniamo che la nostra BCC stia ben operando, dobbiamo essere rigorosi nel chiedere ed imporre regole che valgano per tutti; perché il discredito derivante a tutti dalla cattiva gestione di uno, è un problema per tutti che noi dobbiamo risolvere, anticipando. Dobbiamo essere consapevoli di essere gestori di un patrimonio reputazionale che si è accresciuto nel tempo e che sarebbe davvero colpevole per noi disperdere. Vorrei dilungarmi, ma il tempo non c’è, sui problemi di regolamentazione piuttosto che di autoregolamentazione. Perché, certamente, alcune cose – molte – possiamo farle noi e dobbiamo farle a livello di BCC ed a livello di sistema del Credito Cooperativo; ma altro è quello che ci troviamo a dover gestire perché ci è proposto normativamente. Tutti sappiamo che questi sono stati anni particolarmente intensi: il Presidente dell’Associazione


CONCLUSIONI

104

Bancaria all’Assemblea di Federcasse lo ha ricordato, e lo ha ricordato anche all’assemblea dell’ABI: 330 provvedimenti in quattro anni, molti in senso assoluto, molti insieme, con ricadute particolarmente problematiche e penalizzanti per le piccole banche. Poi, ascoltate queste parole: “la crudele ironia è che il modello bancario che favorisce la stabilità finanziaria e la crescita economica, potrebbe essere la vittima principale del nuovo quadro normativo, mentre il modello che ha causato la crisi verrebbe lasciato in pace, almeno in parte”… Non sono parole mie, non le ha dette un rappresentante del Credito Cooperativo o di piccole banche: lo ha sostenuto un mese fa Jacques de Larosière, già Presidente della Banca di Francia e del Fondo Monetario e attuale presidente di EUROFI , un Centro di Studi Europeo. Allora qualche dubbio è legittimo, quando sappiamo di doverci confrontare con Basilea 3, quando Basilea 3 interverrà sui coefficienti di capitale e non su altre misure come quelle che avrebbero agito sul grado di leva e sul controllo di liquidità e che avrebbero penalizzato – guarda caso – soprattutto le banche di investimento anglosassoni. Banche che sono state certamente tra le cause più dirette della crisi, di cui tutti oggi patiamo le conseguenze. Poi ci sarebbe da dire sulla regolamentazione finanziaria, ci sarebbe da dire sull’impianto della nuova direttiva presentata il 12 luglio dalla Direzione Mercato Interno della Commissione Europea, che prevede riforme sui Fondi di Garanzia dei Depositanti; questo pericolo ci deve indurre ad accelerare sul percorso del nostro Fondo di Garanzia Istituzionale. Forse c’è il tempo per alcune considerazioni conclusive, perché, tornando ai temi, non è irrilevante il terreno nel quale le imprese competono.


è già domani

105

Certamente questo terreno è delimitato proprio dalle norme che lo perimetrano, che definiscono profilo dei giocatori e regole del gioco. Noi ci rendiamo conto – e ne abbiamo avuto dimostrazione diretta anche questa mattina – che il mestiere dei regolatori non è semplice, ma sappiamo che il loro ruolo è nevralgico e che nevralgico è l’equilibrio che essi riescono a garantire tra tutela e libertà, parità ed equità – che non sono la stessa cosa – regolazione ed autoregolazione. Noi pensiamo, lo abbiamo detto e continuiamo a ripeterlo, che è fondamentale che il processo di regolamentazione sia governato da alcuni principi, e ne proponiamo tre in particolare: che le regole per non essere inique ed essere realmente efficaci siano opportune in termini di costi/benefici; che le regole siano graduali nella loro introduzione e siano proporzionali nella loro concezione e declinazione. Questo ovviamente non vuole dire costituire alibi al fatto che l’adeguamento normativo sia comunque occasione di un percorso evolutivo e di crescita, ed in questa logica ci siamo indirizzati. Non posso che concludere con alcune parole sul futuro, non per fare esercizi di preveggenza – sarebbe imprudente ed anzi impossibile – ma per ribadire alcune affermazioni che già oggi ci consentono di definire come vogliamo costruire il nostro futuro, proprio perché abbiamo detto “è già domani”. Allora, uno degli impegni dei prossimi anni per il Credito Cooperativo, sarà quello di coniugare in modo nuovo binomi attorno ai quali – da sempre – ruota la vita delle nostre banche. Per esempio territorio-mondo, autonomia-coesione, redditività-sviluppo. La rete delle BCC di qui a 10 anni – perché ci siamo posti come limite, nella definizione del percorso avanti a noi, il 2020 – dovrà continuare a valorizzare la relazione speciale con le comunità di riferimento – abbiamo visto che cosa soprattutto i


CONCLUSIONI

nostri clienti apprezzano da noi – ed al tempo stesso sapersi muovere sul terreno della globalizzazione, anche finanziaria. Dovrà continuare ad essere agile e radicata e, per questo, sistema di autonomie, ma al tempo stesso più coesa; dovrà perseguire l’efficienza e l’economicità come requisiti essenziali della competitività, ma al tempo stesso essere capace di promuovere lo sviluppo dei territori e la vicinanza sempre più moderna all’impresa. Sappiamo che nelle linee strategiche 20102012 del Credito Cooperativo ricorre spesso l’aggettivo “responsabile”: abbiamo detto crescita responsabile, autonomia responsabile, sviluppo responsabile. Allora noi decliniamo questo aggettivo, per quanto riguarda il sostantivo crescita, nel senso di lungimirante, preveggente e saggiamente prudente. Il sostantivo autonomia responsabile perché coordinata, perché autonomia non è autarchia, né autosufficienza. A questo riguardo voglio ricordare che nelle linee strategiche del triennio è stato sottolineato il ruolo cardine delle Federazioni locali, per garantire un corretto rapporto tra equilibrio patrimoniale ed economico proprio dell’impresa bancaria e corretto funzionamento dei meccanismi di governo della cooperativa bancaria, per i quali saranno indispensabili autorevolezza, indipendenza, capacità di intervento, competenza tecnica. Infine sviluppo responsabile, ovvero partecipe della crescita del territorio. Io sono convinto – e sono certo che lo siate anche voi – che il Credito Cooperativo del 2020 dobbiamo costruirlo oggi partendo dalle nostre identità di banche del territorio, di banche capaci anche di autoregolarsi, prima che altri ci regolino.

106

Sarà necessario basarsi su quattro elementi determinanti: cultura, controllo, consenso, coesione. La cultura dovrà essere quella del servizio, delle com-


è già domani

petenze ed una forte e convinta cultura identitaria. Non siamo differenti dagli altri perché siamo più piccoli: siamo differenti dagli altri perché abbiamo dei valori e abbiamo una missione da compiere, ma dobbiamo farlo rafforzando la cultura del controllo, perché sappiamo bene quanto sia difficile e quanti rischi si corrono. Allora controllo del credito, cominciando a riflettere se certi clienti siano realmente alla nostra portata e lasciandoli agli altri; controllo dei costi, controllo dell’adeguatezza organizzativa. Consenso, intendendo quello che si è capaci di suscitare tra i propri soci, coinvolgendoli nel proprio territorio; consenso come consentire capacità di muoversi, in sintonia con la propria comunità di riferimento. Infine, non possiamo scappare: coesione. Coesione nei valori, nel disegno organizzativo, nell’operatività, coesione che produce concrete sinergie. Se sapremo valorizzare davvero questi fattori, se guarderemo al futuro con ottimismo ragionato e capacità progettuale, io sono certo che scriveremo nuove pagine di sviluppo equilibrato e sostenibile per il Credito Cooperativo, per continuare ad essere parte – e parte protagonista – del cantiere della rinascita della “comunità Italia”.

107



è già domani

ELENCO DEI PARTECIPANTI

109

Giuseppe Abbate Mariano Alesi Ermanno Alfonsi Gustavo Alimontani Alvaro Altarocca Sandro Altissimi Aldo Anellucci Antonio Antiseri Antonio Antonini Silvio Appodia Giovanni Aversa Luigi Bardelli Serafino Bassanetti Mattia Battisti Fabio Belardi Mario Belli Giuseppe Brernardi Gianrodolfo Bertoli Romina Boldrini Maria Amalia Bonifazi Claudio Brazzolotto Giuseppe Buccella Mauro Buglia Lucio Campagnacci Maurizio Camusi Aldo Cantoni Giulio Capitani Maurizio Capogrossi Domenico Caporicci Roberto Caramanica Mario Cardella Franco Cardinali Antonio Carpentieri Francesco Carri Maria Carrozza Sergio Castellazzi Pietro Castelli Palmiro Catena Giampiero Catervi Claudio Ceccarelli Giuseppe Celebrin

Luigi Ciampanella Antonio Ciani Corrado Cicco Elisabetta Cicerchia Paolo Ciorra Natale Coccia Giovanni Battista Coculo Marcello Cola Massimo Colandrea Adriano Coletta Alessandro Coloricchio Sergio Conti Federico Cornelli Agostino Millo Crocenzi Edda Dalessio Corrado De Angelis Luigi De Angelis Paolo De Angelis Germano De Marchis Mariano De Santis Fabio Massimo De Santis Stefano Della Bella Guido Di Capua Franco Di Colli Mauro Di Gregorio Sabrina Di Marco Francesco Di Prospero Domenico Didoni Ortensia Ebner Paolo Ercolani Aprilio Ernetti Luciano Eufemi Enrico Falcone Rocco Familiari Amedeo Fastoso Claudio Ferri Antonio Ficorella Francesca Ficorella Luigi Fiore Gianluca Franchini Lorenzo Francucci


ELENCO PARTECIPANTI

110

Paolo Galiani Antonio Gargano Giorgio Gatti Sergio Gatti Mauro Ginepri Giuseppe Ginasi Carlo Giordani Orlando Giuliani Francesco Enrico Gori Paolo Gralante Bernardino Guadagnini Antonio Guzzi Luca Iacovelli Amedeo Ianniccari Daniela Ingretolli Dino Lenci Roberto Lepone Stefano Liverani Italo Lolli Walter Lombardi Maria Cristina Lorenzetti Francesco Lucci Luca Macarra Antonio Maffioli Giulio Magagni Tito Magliozzi Massimo Manara Alberto Mancinelli Pietro Mancini Mario Marigliani Luigi Marino Roberto Mazzotti Andrea Mecheri Giacomo Moianetti Fabio Molinari Piergiorgio Montani Carlo Moretti Angelo Mosetti Graziella Musetti Marco Napoleoni Carlo Napoleoni Flavio Napoleoni Gianluca Nera Giorgio Neroni Giulia Ambrogina Nicolini Antonio Oroni Gaetano Orticelli Flavio Pagnozzi Marco Palma Alessandro Palmieri Adriano Palminteri Fabio Panetta Paolo Pasca Mauro Pastore

Enrico A. Pedretti Marco Pelliccioni Giuseppe Maria Perrotta Fabrizio Petrini Bruno Petrole Felice Petrucci Riccardo Pezzali Franco Piermarini Antonio Pitolli Paride Pizzi Gino Polidori Alfonso Polmpili Fabiola Pragliola Giorgio Prili Amalia Proverbio Mauro Pucci Umberto Quaresima Ulderico Querini Franco Quinzi Gianluca Raggi Umberto Raiola Cristian Ricciuti Giancarlo Romagnoli Antonio Angelo Romani Amerigo Romolo Maria Cristina Rovazzani Pier Romano Ruggeri Luca Santi Gianfranco Santini Fausto Sargeni Antonio Scarpinella Innocenzo Segarelli Stefano Sestili Antonia Severoni Cristiano Sforzini Luciano Sgarbossa Nicola Sgobba Mario Spagnoli Giuseppe Spera Giuseppe Spoletini Matteo Stefanelli Antonio Taborri Francesco Tanci Antonio Taurelli Giovanni Tni Brunozzi Mauro Toppi Umberto Tosto Gianluca Tribolati Pietro Troiani Mario Tucci Francesco Vildacci Claudio Vinci Danilo Vischietti


è già domani

LE IMMAGINI DELLA GIORNATA

111









Finito di stampare aprile 2011



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.