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Introduzione
from Fashion Issue 2 | Outermania
by DIDA
Elisabetta Cianfanelli
Contrariamente a quanto si possa pensare, parlare di moda non vuol dire parlare di soli abiti. Moda, maniera, modus: riassumono tutti una “scelta” o, meglio, un meccanismo di scelte compiuto in base a criteri di gusto: è una pratica inequivocabilmente culturale. Moda è l’affermazione di linguaggi sociali plurali interpretati e cristallizzati in oggetti indossabili, espressioni del sé prossime alla fisicità del corpo: gli abiti. Abito, habeo, habitus: è un comportamento, una dichiarazione, un modo di fare, vivere e abitare il mondo, indossandolo. Parlare di moda è complesso, lo dimostra un’ampia letteratura che con grande sforzo ha cercato di definire un fenomeno che non ha confini. Mutevole, effimera, energica, la moda si nutre di azioni contraddittorie, antagoniste e simultanee: l’imitazione e la distinzione, che, come già spiegava Simmel, sintetizzano il bisogno di coesione degli individui e la moderna tensione all’affermazione individuale. Con la moda si è diversi, senza dissociarsi. Il paradosso della moda è presto svelato: la costante produzione di novità ricerca costantemente l’equilibrio e il cambiamento continuo muta di per sé in una costante. La contraddizione è congenita per un fenomeno tanto volatile, che
si impone e dilaga nel macro-cosmo multidimensionale della società, esprimendone tutte le sfaccettature: la moda intercetta le grandi trasformazioni e le restituisce sotto forma di abiti, quali media facili, veloci, ma efficaci nell’esprimere l’esprit du temps. Parlare di moda non vuol dire parlare di soli abiti, ma gli abiti costituiscono sicuramente un primo punto di contatto con una matrice di significati, a cui tutti possono partecipare, ma che nessuno può affermare. Roland Barthes lo racconta chiaramente: “gli abiti sono oggetti relativamente significanti, che entrano a far parte della moda nel momento in cui sono raccontati, se materializzati attraverso le immagini e le parole.” Ne consegue che l’abito stesso racchiuda valori molteplici in sé: è protezione, è intimità, è l’ornamento per farsi notare. Barthes però aggiunge:
L’uomo si è vestito per esercitare la propria attività significante. Indossare un abito è un atto di significazione, dunque un atto profondamente sociale, istallato nel cuore stesso della dialettica della società.
La storia lo conferma: quanti simboli indossiamo? Dalla Giubba di Garibaldi, simbolo della rivoluzione, alla minigonna di Mary Quant, simbolo di ribellione: la moda partecipa da sempre all’e-
spressione artistica, sociale e soprattutto politica, producendo veri e propri simboli che si consegnano alla storia di popoli e individui. Per questo l’assenza di moda corrisponde a un immobilismo sociale senza eguali. Per questo la presenza dinamica e sperimentale della moda corrisponde ad una società sana e resiliente. Dietro al fenomeno infatti, si schiude l’industria: uno spazio di lavoro complesso, che fa della moda una delle industrie più evolute, coniugando sapientemente la potenza di una macchina globale con la maestria di artigiani e couturier. L’innovazione sfida l’ortodossia, l’avanguardia rafforza la tradizione: la moda si racconta anche nel paradosso dei suoi pezzi, unici e seriali. Se parlare di moda vuol dire tutto questo, cosa vuol dire parlare di moda oggi? Oggi la frivolezza lascia il posto ad un pragmatismo ispirato, dove l’idea di sostenibilità risuona con il prendersi cura delle persone, della natura, degli oggetti. Tempi e relazioni si trasformano, aprendo per la moda scenari nuovi e stimolanti: il concetto di tempo si lega a quello della durata, che, come diceva Coco Chanel, si schiude infine in “qualità preziosa”. Valori e saperi artigianali si alleano con la dimensione digitale offerta dalla tecnologia, producendo nuovi linguaggi per interpretare la nuova società che verrà. Saremo presto i testimoni di una grande rinascita di innovazione, di una moda che non distrugge ciò che crea, ma germoglia da un mon-
do più consapevole e attento. Questa collana intende partecipare a questo cambiamento, interpretando la moda come l’espressione la più genuina di una società dinamica, libera, viva: una società che esprima le proprie certezze e fragilità, assensi e dissensi, culture e contro-culture. La moda è espressione, la moda è libertà. “Alla moda non ci si può sottrarre”, scrive Elena Esposito, poiché farlo vorrebbe dire vivere in una società che non conosca libertà. Regina della società, la moda è una forza inafferrabile, che si sovrappone alla morale e alla tradizione, alla virtù e alla devozione. La moda è provocazione e dissoluzione, status e statement. Parlare di moda non vuol dire parare di soli abiti, Vuol dire parlare di società, storia, cultura, di scienze e tecnologia, di ambiente ed economia. Vuol dire parlare di diritti e libertà dei popoli. Vuol dire vivere i tempi, e sfidare il cambiamento.