
7 minute read
Il bomber come identità
from Fashion Issue 2 | Outermania
by DIDA
Renato Stasi
Fango, tortora, celeste, bianco calce, erano i colori degli anni 90’, i materiali erano grezzi e i tessuti si giuntavano a taglio vivo, con punti di cucito che rifinivano un prodotto incompleto. Questo periodo è stato uno degli ultimi momenti in cui la moda, e gli stilisti che l’hanno calcata, ha avuto un solido significato identitario, periodo in cui si raccontava ancora la ribellione delle sub culture giovanili, forse l’ultima ribellione non vestita dal marketing. La moda aveva ancora un significato. Forse, in questo periodo si è assistito ad una sorta di nouvelle vague del prodotto moda, legata ad un’iconicità di contrasto. Nel cinema francese degli anni 50’ gli attori diventavano “di strada”, con tutti i loro difetti, a contrasto delle patinate narrazioni di vite perfette. Contestualizzando il periodo degli anni 90’, in un segmento fatto di top model, nate negli anni 80’, come star, con vite a bordo piscina, adulatrici della bellezza e della ricchezza, nel mood di questo periodo affiora la narrazione caleidoscopica di una realtà non ancora “vera”. Negli anni 80’ il lusso imperversava come modello di vita, la moda creava nuove professioni, l’alta finanza dava nuove opportunità di lavoro, la rappresentazione sociale di quel periodo era data dal griffa-
to, dal un modello di lusso ostentato, da una vita fatta di elementi distintivi.
La contrapposizione proposta dalla moda concettuale narra in quel decennio un’identità diversa, fatta di persone, nelle loro decise vite, fatte di realtà non etichettate, alternative ad una vita patinata e costruita dalle esigenze dell’avere e non dell’essere. Tra le altre si incomincia ad affermare un’identità intellettuale, con un nuovo valore semiotico dove scompare il logo e appare la persona che veste il prodotto, tutto fa capire e pensare a chi c’è dentro al vestito, non è più il vestito che indossi che descrive chi sei. Il tutto è riconducibile all’identità abbigliamentaria giapponese che, non conformata, creata da volumi vuoti e pieni, forme necessarie a raccontare chi indossa l’abito. La moda occidentale si cuce addosso alla persona scolpendola in una realtà conformata, la moda di concetto, lascia spazio alla persona, che può interpretare il vestire in base alle proprie forme anatomiche. Diventa anonima, diventa meno importante di chi la veste. La moda concettuale si rifà quindi alla cultura giapponese in un’avanguardia di pregio che oggi è più che mai contemporanea. Tale realtà rispetta la materia e crea il proprio valore, il
proprio prodotto basandosi sulla proprietà della materia prima: ogni abito, vive con chi lo indossa invecchia con chi lo indossa. Tali abiti sono creati dal piatto ottimizzando il taglio nei consumi, rispettando la materia prima. La realtà interiore, quindi concettuale viene narrata nell’imperfezione, in piena sintonia con chi perfetto non è. Gli abiti diventano imperfetti, la fodera esce dall’interno, l’interiorità si manifesta come pregio, a contrasto di un’esteriorità plastica. Le cuciture di costruzione vengono decontestualizzate, emergono dal capo come a manifestare che l’artigianalità ha una storia e che il gesto, sempre diverso che la compone, ha un grande valore. In questo iconico periodo non è solo il capo che indossato a narrare la persona, ma anche molte azioni dei designer, dalla comunicazione, alla grafica del momento, fino all’anonimato, quindi all’annullamento dell’icona rappresentativa del brand, lo stilista non appare più a fine sfilata, non rilascia interviste, è schivo nei confronti dei media, non rappresenta più il brand, ma lascia che l’identità del di ciò che crea, sia data da chi lo veste. Viene così narrata la perfezione di quanto non era evidente, le collezioni iniziano a sfilare vedendo uomo e donna negli stessi sottopassi, garage, spazi industriali e teatri. Le icone imperfette sono nuove identità, che non rispecchiano il canone classico della bellezza. Vengono fotografate con il trucco colato, sono emaciate, sudate, cerulee, non vivono in una villa miliardaria, ma nella notte trasgressiva, vestono uno chic fatto di nastri, trasparenze, plastica; Narrano l’imperfezione del corpo attraverso asim-
metrie costruttive, materiali cedevoli ed ipersartorialità, in una sorta di concettualizzazione del sapere artigiano. La moda degli anni 90’ rappresenta quello che fino a quel momento non era moda, questo tipo di moda, rappresenta la persona e non la veste. Da qualche tempo, riscontriamo un appiattimento del processo creativo dato da esigenze di mercato sempre più veloci, e da dinamiche incentrate sulla comunicazione delle esigenze. Il tutto viene gestito da proiezioni commerciali e da strategie sempre più performanti: la creatività, legata alla narrazione di valori è svanita. Si lavora a tale velocità in funzione di una novità sempre più effimera, basandosi sull’apporto dell’fashion Heritage, di archivi, di immagini e icone, ricostruite senza analizzare quali siano stati gli elementi originari che a loro volta vennero usati nei processi creativi del passato. Non si risale quindi a quella che fu la tendenza del momento, quindi all’analisi fatta sui creativi del tempo, quali furono gli elementi, i valori semiotico estetici, interpretati dalla società del tempo. Cosa venne carpito e trasformato attraverso il processo creativo passa in secondo piano: il processo creativo è una rielaborazione del risultato di una precedente azione senza approfondirne i contenuti, quasi un processo grafico. Il tema di sviluppo della ricerca effettuata dagli studenti del corso di progettazione moda, è stata incentrata sull’analisi degli elementi d’ispirazione della moda anni 90, sulla ciclicità e le possibili sfumature re-interpretative.
Sono stati individuati brand del periodo e contemporanei, che avessero la stessa connotazione ispirativa e potessero essere intesi come street weare ed urban. Si è quindi partiti da una prima domanda, da una analisi, relativa al periodo di riferimento, ambientando così la ricerca attraverso la valutazione della costruzione dei capi, dei volumi, dei pesi dei materiali con cui, al tempo, venivano costruiti i capi. L’indagine è stata poi volta agli ambiti d’ispirazione degli stilisti, al periodo storico sociale, artistico, come in una sorta di reverse mood-board. Le risposte sono state immediate, si è quindi analizzata la realtà stilemica di alcuni brand che in quel periodo scolpirono la storia della moda. Analizzate le poetiche e interpretate le sfumature applicate ai capi, si è proseguito nello sviluppo di una progettazione che rispettasse l’identità del periodo sotto molteplici aspetti e attingesse ad elementi ispiratori legati a riferimenti utilizzati dai creativi nel del periodo. Si è quindi passati alla fase creativa del progetto, dove si è definito il target, diciamo il nuovo user del prodotto, dedicando quindi lo sviluppo delle collezioni ad un pubblico di giovani, coetaneo degli studenti. La loro visione del contemporaneo è stata di assoluto e prezioso apporto. Lo studente che disegnava il prodotto, come la contestualizzazione e la funzione d’uso, erano filtrati dalle esperienze più attuali. Abbiamo pretestuosamente utilizzato i riferimenti ispiratori del periodo, ma non reintepretato l’archivio dei brand. Si sono quindi intersecate metodologie e processi, dal design thinking al rebranding. Il risulta-
to è stato incredibilmente centrato sia sulla contemporaneità che sugli elementi relativi ai brand selezionati, si è lavorato in una piena simulazione di committenza con proiezione del prodotto in una realtà pienamente contemporanea, con un’analisi di mercato tra valutazione di competitors e di prodotto. Si è poi interpretata l’esigenza dell’oggi in materiali sostenibili e innovativi quali leva di contenuto strategico. Nell’esecuzione dello sviluppo di tali ricerche, è sto utilizzato un capo iconico, senza tempo, di nascita militare, il bomber. È stato scelto per la sua versatilità: il bomber è stato rivisitato molteplici volte in forme e materiali più disparati. Lo studente si è quindi trovato a dover contestualizzare un’oggetto, inconfondibile, in un ben preciso periodo storico, vestendolo dei più elementi derivati dall’analisi del brand, dello scenario e dell’user. Il percorso è stato interamente vissuto e condiviso in formato digitale, i progetti sono stati sviluppati da gruppi di studenti che hanno lavorato come con diversi ruoli in una realtà analoga ad un vero e proprio ufficio creativo. La presentazione di progetti è stata arricchita da un’estetica grafica che a sua volta riportava riferimenti relativi ai brand scelti, ovviamente riferiti al periodo. Il percorso è stato interessante dal punto di vista creativo e interpersonale.


ADER ERROR
COLLECTlON






