Papa Francesco alle ACLI
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i è svolta il 23 maggio 2015 nella sala Nervi del Vaticano l’udienza del Santo Padre alle ACLI nel 70° anniversario della loro fondazione. Il presidente Gianni Bottalico ha rivolto un saluto iniziale nel quale ha ricordato l’impegno svolto dall’associazione in 70 anni di storia per il lavoro dignitoso, garanzia di futuro per la famiglia e per i figli, mentre viene spesso offerto ai giovani un “lavoro povero”, precario, mal remunerato se non illegale. Ha ricordato la natura dell’associazione di cristiani e lavoratori ed ha sottolineato l’impegno più recente nelle politiche di contrasto alla povertà. Papa Francesco ha risposto con un discorso denso di significato sociale che riportiamo. Cari fratelli e sorelle, vi saluto con affetto in occasione del 70° anniversario della fondazione delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, e ringrazio il Presidente per le sue parole tanto cortesi. Questo anniversario è un’occasione importante per riflettere sulla vostra “anima” associativa e sulle ragioni fondamentali che vi hanno spinto e vi spingono tuttora a viverla con impegno e passione.
Alle porte della vostra Associazione oggi bussano nuove domande, che richiedono nuove e qualificate risposte. Quello che è cambiato nel mondo globale non sono tanto i problemi, quanto la loro dimensione e la loro urgenza. Inedite sono l’ampiezza e la velocità di riproduzione delle disuguaglianze. Ma questo non possiamo permetterlo! Dobbiamo proporre alternative eque e solidali che siano realmente praticabili.
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L’estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza del lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa. Risposta sollecita e vigorosa contro questo sistema economico mondiale dove al centro non ci sono l’uomo e la donna: c’è un idolo, il dio-denaro. È questo che comanda! E questo dio-denaro distrugge, e provoca la cultura dello scarto: si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili… E adesso, si scartano i giovani. Pensate, in questa terra tanto generosa, pensate a quel 40%, o un po’ di più, di giovani dai 25 anni in giù che non hanno lavoro: sono materiale di scarto, ma sono anche il sacrificio che questa società, mondana e egoista, offre al dio-denaro, che è al centro del nostro sistema economico mondiale. Davanti a questa cultura dello scarto, vi invito a realizzare un sogno che vola più in alto. Dobbiamo far sì che, attraverso il lavoro - il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 192) - l’essere umano esprima ed accresca la dignità della propria vita. Vorrei dire qualcosa su queste quattro caratteristiche del lavoro. Il lavoro libero. La vera libertà del lavoro significa che l’uomo, proseguendo l’opera del Creatore, fa sì che il mondo ritrovi il suo fine: essere opera di Dio che, nel lavoro compiuto, incarna e prolunga l’immagine della sua presenza nella creazione e nella storia dell’uomo. Troppo spesso, invece, il lavoro è succube di oppressioni a diversi livelli: dell’uomo sull’altro uomo; di nuove organizzazioni schiavistiche che opprimono i più poveri; in particolare, molti bambini e molte donne subiscono un’economia che obbliga a un lavoro indegno che contraddice la creazione nella sua bellezza e nella sua armonia. Dobbiamo far sì che il lavoro non sia strumento di alienazione, ma di speranza e di vita nuova. Cioè, che il lavoro sia libero. Secondo: il lavoro creativo. Ogni uomo porta in sé una originale e unica capacità di trarre da sé e dalle persone che lavorano con lui il bene che Dio gli ha posto nel cuore. Ogni uomo e donna è “poeta”, capace di fare creatività. Poeta vuol dire questo. Ma questo può avvenire quando si permette all’uomo di esprimere in libertà e creatività alcune forme di impresa, di lavoro collaborativo svolto in comunità che consentano a lui e ad altre persone un pieno sviluppo economico e sociale. Non possiamo tarpare le ali a quanti, in particolare giovani, hanno tanto da dare con la loro intelligenza e capacità; essi vanno liberati dai pesi che li opprimono e impediscono loro di entrare a pieno diritto e quanto prima nel mondo del lavoro. Terzo: il lavoro partecipativo. Per poter incidere nella realtà, l’uomo è chia-
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mato ad esprimere il lavoro secondo la logica che più gli è propria, quella relazionale. La logica relazionale, cioè vedere sempre nel fine del lavoro il volto dell’altro e la collaborazione responsabile con altre persone. Lì dove, a causa di una visione economicistica, come quella che ho detto prima, si pensa all’uomo in chiave egoistica e agli altri come mezzi e non come fini, il lavoro perde il suo senso primario di continuazione dell’opera di Dio, e per questo è opera di un idolo; l’opera di Dio, invece, è destinata a tutta l’umanità, perché tutti possano beneficiarne. E quarto, il lavoro solidale. Ogni giorno voi incontrate persone che hanno perso il lavoro – questo fa piangere –, o in cerca di occupazione. E prendono quello che capita. Alcuni mesi fa, una signora mi diceva che aveva preso un lavoro, 10/11 ore, in nero, a 600 euro al mese. E quando ha detto: “Ma, niente di più?” – “Ah, se non le piace se ne vada! Guardi la coda che c’è dietro di lei”. Quante persone in cerca di occupazione, persone che vogliono portare a casa il pane: non solo mangiare, ma portare da mangiare, questa è la dignità. Il pane per la loro famiglia. A queste persone bisogna dare una risposta. In primo luogo, è doveroso offrire la propria vicinanza, la propria solidarietà. I tanti “circoli” delle Acli, che oggi sono da voi rappresentati qui, possono essere luoghi di accoglienza e di incontro. Ma poi bisogna anche dare strumenti ed opportunità adeguate. È necessario l’impegno della vostra Associazione e dei vostri Servizi per contribuire ad offrire queste opportunità di lavoro e di nuovi percorsi di impiego e di professionalità. Dunque: libertà, creatività, partecipazione e solidarietà. Queste caratteristiche fanno parte della storia delle Acli. Oggi più che mai siete chiamati a metterle in campo, senza risparmiarvi, a servizio di una vita dignitosa per tutti. E per motivare questo atteggiamento, pensate ai bambini sfruttati, scartati; pensate agli anziani scartati, che hanno una pensione minima e non sono curati; e pensate ai giovani scartati dal lavoro: e cosa fanno? Non sanno cosa fare, e sono in pericolo di cadere nelle dipendenze, cadere nella malavita, o andarsene a cercare orizzonti di guerra, come mercenari. Questo fa la mancanza di lavoro! Vorrei toccare brevemente ancora tre aspetti - è un po’ lungo questo discorso, scusatemi. Il primo: la vostra presenza fuori d’Italia. Iniziata al seguito dell’emigrazione italiana, anche oltreoceano, essa è un valore molto attuale. Oggi molti giovani si spostano per cercare un lavoro adeguato ai propri studi o per vivere un’esperienza diversa di professionalità: vi incoraggio ad accoglierli, a sostenerli nel loro percorso, ad offrire il vostro supporto per il loro inserimento. Nei loro occhi potete trovare un riflesso dello sguardo dei vostri padri o dei vostri nonni che andarono lontano per lavorare. Possiate essere per loro un buon punto di riferimento.
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Inoltre, la vostra Associazione sta affrontando il tema della lotta alla povertà e quello dell’impoverimento dei ceti medi. La proposta di un sostegno non solo economico alle persone al di sotto della soglia di povertà assoluta, che anche in Italia sono aumentate negli ultimi anni, può portare benefici a tutta la società. Allo stesso tempo va evitato che nella povertà scivolino coloro che fino a ieri vivevano una vita dignitosa. Noi, nelle parrocchie, nelle Caritas parrocchiali, vediamo questo tutti i giorni: uomini o donne che si avvicinano un po’ di nascosto per prendere il cibo da mangiare… Un po’ di nascosto perché sono diventati poveri da un mese all’altro. E hanno vergogna. E questo succede, succede, succede… Fino a ieri vivevano una vita dignitosa… Basta un niente oggi per diventare poveri: la perdita del lavoro, un anziano non più autosufficiente, una malattia in famiglia, persino – pensate il terribile paradosso – la nascita di un figlio: ti può portare tanti problemi, se sei senza lavoro. È una importante battaglia culturale, quella di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo. Voi potete fare da coordinamento e da motore dell’“Alleanza nuova contro la povertà”, che si propone di sviluppare un piano nazionale per il lavoro decente e dignitoso. E infine, ma non per importanza, il vostro impegno abbia sempre il suo principio e il suo collante in quella che voi chiamate ispirazione cristiana, e che rimanda alla costante fedeltà a Gesù Cristo e alla Parola di Dio, a studiare e applicare la Dottrina sociale della Chiesa nel confronto con le nuove sfide del mondo contemporaneo. L’ispirazione cristiana e la dimensione popolare determinano il modo di intendere e di riattualizzare la storica triplice fedeltà delle Acli ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa. Al punto che nel contesto attuale, in qualche modo si potrebbe dire che le vostre tre storiche fedeltà – ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa – si riassumono in una nuova e sempre attuale: la fedeltà ai poveri. Vi ringrazio di questo incontro, e benedico voi e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me, ne ho bisogno. Adesso, prima di dare la benedizione, vi invito a pregare la Madonna: la Madonna che è tanto fedele ai poveri, perché lei era povera.
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BILANCIO DEMOGRAFICO ISTAT 2014
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l bilancio demografico presentato dall’Istat ogni anno è un osservatorio fondamentale anche ai fini delle politiche sociali e previdenziali. È semplice rilevare come l’invecchiamento della popolazione connesso sia alla longevità che al rapporto tra persone anziane e ricambio generazionale, il calo della natalità, la presenza degli stranieri ed il loro apporto al sistema di welfare nonostante le problematiche connesse alla loro integrazione, sono tutte questione strettamente connesse alla sostenibilità e soprattutto alle prospettive di un sistema sociale integrato. Si tratta dunque di una analisi fondamentale che dovrebbe costituire la premessa stringente di ogni valutazione di revisione e di riforma del sistema di welfare, specie nell’ipotesi in cui si volessero assumere, a fronte di cambiamenti epocali, politiche di lungo respiro piuttosto che insistere in continue microsperimentazioni e modifiche normative derivanti da incertezza di valutazione o, peggio, da interessi di corto respiro. Riteniamo dunque interessante riferire alcuni dati di sintesi del Bilancio demografico nazionale che l’ISTAT ripropone annualmente con riferimento a quello del 15.6.2015 che riporta i dati del 2014. Al 31 dicembre 2014 risiedono in Italia 60.795.612 persone, di cui più di 5.014.437 (8,2%) di cittadinanza straniera. Nel corso del 2014 il numero dei residenti nel nostro Paese è rimasto stabile. Il saldo complessivo apporta un incremento minimo (+12.944 unità, saldo positivo di 17.062 maschi a fronte di un calo di femmine di 4.082 unità). La variazione reale, dovuta cioè alla dinamica naturale e migratoria, registra, al di là delle regolarizzazioni amministrative, un aumento di appena 2.075 unità. La distribuzione della popolazione residente per ripartizione geografica è pressoché stabile e assegna ai comuni delle regioni del Nord-ovest 16.138.643 abitanti (il 26,5% del totale), a quelli del Nord-est 11.661.160 abitanti (19,2%), al Centro 12.090.637 (19,9%), al Sud 14.149.806 (23,3%) e 3 2015
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alle Isole 6.755.366 abitanti (11,1%). In valori assoluti, l’unica ripartizione che presenta un calo di popolazione è quella del Sud (-22.434) che però presenta anche il maggior incremento di popolazione straniera (+29.671) pur in un contesto dove l’incidenza straniera è molto contenuta rispetto alla popolazione italiana. Infatti la popolazione straniera risiede prevalentemente nel Nord e nel Centro. Il primato delle presenze, sia in termini assoluti che percentuali, va alle regioni del Nord-ovest che registrano 1.725.540 residenti (10,7% degli abitanti). Stessa percentuale di incidenza rispetto agli abitanti nel Nord est (10,7%) e nel Centro (10,6%) rispettivamente con numeri complessivi di 1.252.013 e 1.273.000 mentre al Sud l’incidenza è del 3,8% e nelle Isole del 3,2% per numeri complessivi rispettivamente di 541.844 e 219.195 unità. Il movimento naturale della popolazione (nati meno morti) ha fatto registrare un saldo negativo di quasi 100 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale). Continua la diminuzione delle nascite. Sono stati registrati quasi 12 mila nati in meno rispetto all’anno precedente. Anche i nati stranieri, con una inversione di tendenza, diminuiscono (-2.638 rispetto al 2013), pur rappresentando il 14,9% del totale dei nati. La mortalità resta stabile, con una lieve diminuzione dei decessi in valore assoluto (-2.380). Il movimento migratorio con l’estero ha fatto registrare, nel 2014, un saldo positivo pari a circa 141 mila unità, in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Le iscrizioni dall’estero, pari a 277.631, sono costituite per il 90% da stranieri e risultano in calo rispetto agli anni precedenti. Le cancellazioni per l’estero sono in aumento, sia per gli italiani sia per gli stranieri. Gli stranieri appartengono a circa 200 diverse nazionalità, ma il 50% (oltre 2,6 milioni) sono cittadini di paesi europei, per lo più neocomunitari, rumeni prima di tutti (22,6%). La rappresentanza extracomunitaria più cospicua è quella albanese (9,8%). In aumento le acquisizioni di cittadinanza: sono circa 130 mila i nuovi cittadini italiani (+29%). Continua l’invecchiamento della popolazione italiana: l’età media è 44,4 anni.
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Attualità
SOMMA AGGIUNTIVA 2015
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Con la rata del 1° di luglio è stata erogata ai pensionati aventi diritto la cosiddetta 14a, ovvero la “somma aggiuntiva” introdotta dal 2007 per i pensionati con oltre 64 anni di età in presenza dei requisiti previsti dalla legge. Poiché risulta che la somma in questione non sia stata erogata in molte situazioni nelle quali invece il diritto è maturato conviene avere presenti le norme che regolano questo beneficio, ferma restando l’esigenza di verfica in ogni situazione dubbia e la possibilità di richiedere in ogni caso quanto dovuto.
Requisito di età Il beneficio spetta ai pensionati con almeno 64 anni di età. Pertanto nel 2015 sono interessati tutti i soggetti nati prima del 1° gennaio 1951. Ma anche coloro che sono nati nel 1951 e che compiono i 64 anni nel corso del 2015 hanno diritto con riferimento ai mesi di possesso dell’età.
esempiO Chi ha compiuto i 64 anni nel marzo 2015 avrà diritto a 10/12 dell’importo della somma aggiuntiva, includendo anche il mese di raggiungimento dell’età.
Analogamente, il beneficio viene attribuito in maniera proporzionale sulle pensioni spettanti per un numero limitato di mesi, come ad esempio in caso di pensioni di nuova liquidazione con decorrenza diversa dal 1° gennaio.
esempiO Su una pensione con decorrenza marzo 2015, in presenza di tutti i requisiti, compreso il 64° anno di età la somma aggiuntiva spetterà per 10/12.
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Attualità Requisiti di contribuzione L’importo della somma aggiuntiva è collegato alla anzianità contributiva maturata e considerata nel calcolo della pensione secondo la seguente tabella (tabella A allegata alla legge 127/2007). Lavoratori dipendenti
Lavoratori autonomi
Somma aggiuntiva
Anni di contribuzione Fino a 15
Fino a 18
€ 336,00
Oltre 15 e fino a 25
Oltre 18 e fino a 28
€ 420,00
Oltre 25
Oltre 28
€ 504,00
Per la corresponsione dell’aumento viene considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto), nonché quella utilizzata per la liquidazione di supplementi. Nel caso di pensioni liquidate in regime internazionale deve essere considerata utile solo la contribuzione italiana. Per quanto riguarda le pensioni in regime di totalizzazione e di cumulo, di categoria 070 (VOTOT) , 071 (IOTOT), 072 (SOTOT), 170 (VOCUM), 171 (IOCUM) e 172 (SOCUM), la contribuzione utile per l’attribuzione del beneficio è quella accreditata nelle gestioni degli enti pubblici (INPS-ENPALS-INPDAPIPOST), mentre sono escluse le anzianità relative agli enti e casse privati. Nel caso in cui il pensionato è titolare di più trattamenti previdenziali, il beneficio sarà erogato unicamente sul trattamento previdenziale principale. Per trattamento principale deve intendersi quello con maggiore anzianità contributiva. In caso di titolarità di sola pensione ai superstiti, la contribuzione complessiva utile del dante causa viene commisurata all’aliquota di reversibilità. Ove ad esempio il dante causa avesse una pensione con 1000 contributi da lavoro dipendente, per il diritto alla somma aggiuntiva sulla reversibilità della vedova se ne considerano 600 (aliquota del 60%) e dunque con importo spettante per lo scaglione dei lavoratori dipendenti fino a 15 anni di contributi.
Requisiti reddituali La somma aggiuntiva viene erogata sulla base del solo reddito personale entro il limite di 1.5 del trattamento minimo, secondo la seguente tabella:
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Attualità Anni di contribuzione Lavoratori dipendenti
Lavoratori autonomi
< 15 anni (< 780 ctr.)
< 18 anni (< 936 ctr.)
> 15 < 25 anni > 18 < 28 anni (> 781 < 1.300 (> 937 <1.456 ctr) ctr.) > 25 anni (> 1.301 ctr.)
> 28 anni (> 1.457 ctr.)
Anno 2015 Limite 1,5 volte Limite massimo TM Mensile € 501,89 Annuo € 6.524,57 Annuo x 1,5 = 9.786,86
Somma aggiuntiva
€ 10.122,86
€ 336,00
€ 10.206,86
€ 420,00
€ 10.290,86
€ 504,00
Con redditi inferiori all’importo annuo di 1,5 volte il minimo (2015 = 9.786,86) la somma aggiuntiva spetta sempre in misura intera. Entro il limite massima spetta in misura parziale.
esempiO Fino a 15 anni di contributi lavoro dipendente, reddito 9.850,00: importo spettante = 10.122,86 - 9.850,00 = 272,86 Importi determinati con il coefficiente di perequazione definitivo per l’anno 2015 pari a 0.2%
Sono da considerare nel computo i redditi assoggettabili all’IRPEF, nonché i redditi esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva, compresi i redditi conseguiti all’estero o in Italia presso Enti ed organismi internazionali. Sono invece, per espressa previsione normativa, e comunque da non considerare: • i trattamenti di famiglia comunque denominati; • le indennità di accompagnamento; • il reddito della casa di abitazione; • i trattamenti di fine rapporto comunque denominati; • le competenze arretrate sottoposte a tassazione separata. • le pensioni di guerra; • le indennità per i ciechi parziali e dell’indennità di comunicazione per i sordi prelinguali • l’indennizzo previsto dalla L. 210 del 25 febbraio 1992 in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati;
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Attualità • la somma di 154,94 euro di importo aggiuntivo previsto dalla L. 388 del 23 •
dicembre 2000 per espressa previsione normativa (cosiddetta tredicesima); i sussidi economici che i Comuni ed altri Enti erogano agli anziani per bisogni strettamente connessi a situazioni contingenti e che non abbiano caratteristica di continuità.
Anno di riferimento del reddito da considerare Anche per la corresponsione della somma aggiuntiva si applicano le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 35 della Legge 27 febbraio 2009, n. 14, e successive modifiche. La verifica reddituale viene pertanto effettuata in maniera differenziata, a seconda si tratti di prima concessione del beneficio, o di corresponsione successiva alla prima. Nel caso di prima erogazione (rientrano in tale ipotesi tutti coloro che negli anni precedenti non abbiano percepito la somma aggiuntiva), il reddito complessivo da prendere a riferimento è quello dell’anno in corso. Qualora si tratti di erogazione successiva alla prima, il reddito da prendere a riferimento è così costituito: • redditi per prestazioni (in sostanza redditi da pensioni o di prestazioni assistenziali) per le quali sussiste l’obbligo di comunicazione al Casellario centrale dei pensionati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388 e successive modificazioni e integrazioni, conseguiti nello stesso anno (per la 14a 2015 redditi del 2015); • redditi diversi da quellia di cui al punto precedente conseguiti nell’anno precedente (per la 14 2015 redditi 2014). In altri termini ai fini del pagamento della 14a l’INPS considera i redditi del casellario dell’anno in corso dei quali dispone direttamente, per i redditi diversi considera i red trasmessi per il 2014, ma se non dispone di tali modelli reddituali utilizza quelli memorizzati degli anni precedenti con la possibilità di utilizzare il dato esatto che può comportare conguagli se i redditi si rilevano diversi quando avrà acquisito il red 2014. Per tale ragione, la somma aggiuntiva viene corrisposta in via provvisoria, e il diritto sarà verificato sulla base della dichiarazione dei redditi definitiva. Non spetta il diritto alla 14a mensilità sulle prestazioni assistenziali, sulle pensioni facoltative, sulle pensioni degli enti creditizi, sugli assegni straordinari di banche ed altri enti, sulle pensioni degli spedizionieri, sulle pensioni della mutualità casalinghe, sugli indennizzi per la cessazione dell’attività commerciale.
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Attualità Corresponsione d’ufficio ai soggetti individuati La somma aggiuntiva è stata attribuita a livello generalizzato sulla mensilità di pensione di luglio 2015 ai soggetti che sono risultati in possesso dei requisiti reddituali previsti e che alla data del 31 luglio 2015 hanno un’età maggiore o uguale a 64 anni. Si precisa che per coloro che perfezionano il requisito anagrafico richiesto dal 1° agosto 2015 in poi, la corresponsione sarà effettuata con una successiva elaborazione sulla rata di dicembre 2015. Ai pensionati ai quali il beneficio non è stato corrisposto a livello centrale per assenza delle informazioni reddituali è stata inviata apposita lettera con invito a presentare la relativa richiesta corredata dalla dichiarazione reddituale relativa all’anno 2014. In ogni caso l’INPS ha precisato che a seguito di ulteriori elaborazioni reddituali in suo possesso, non considerate per la scadenza di luglio provvederà ad una elaborazione con pagamento in settembre 2015.
Comunicazione ai pensionati Ai pensionati delle gestioni private e dello spettacolo e sport ai quali è stata corrisposta la prestazione è stata inviata apposita comunicazione. I pensionati saranno inoltre informati del pagamento della somma aggiuntiva nell’apposita voce sul cedolino del mese di luglio 2015. Per i pensionati delle gestioni ex ENPALS, la comunicazione della disposizione di pagamento della somma aggiuntiva è inserita all’interno delle annotazioni del certificato di pensione. In assenza di comunicazioni, ma in presenza dei requisiti, è comunque opportuno procedere all’inoltro della domanda di ricostituzione con allegato il modello reddituale 2014.
RISORSE WEB www.inps.it
Circolare INPS 2.7.2015, n. 130 circolari e messaggi
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a Attualità
Arretrati. sentenza Corte Costituzionale n. 70/2015 Decreto legge 21.6.2015 n. 65
Nel numero precedente di Bloc Notes abbiamo commentato la sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 relativa alla mancata rivalutazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo negli anni 2012/2013, che ha dichiarato incostituzionale la norma relativa ovvero il comma 25, art. 24 del D.L. 201 del 6/12/2011 a tutti noto come legge “Monti-Fornero”. Sulla Gazzetta ufficiale n. 116 del 21 maggio 2015 è stato pubblicato il decreto legge n. 65 del 21 maggio 2015, recante “Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR” (in vigore dal 21.6.2015, e convertito in Legge n. 109 del 17/7/2015 ) che tra diverse misure adottate, in primis, interviene sulla rivalutazione automatica delle pensioni al fine di dare attuazione ai principi enunciati dalla predetta sentenza. In particolare le disposizioni dell’art. 1 prevedono, con effetto retroattivo, una nuova disciplina della perequazione delle pensioni da applicare con riferimento agli indici di rivalutazione fissati per gli anni 2012 e 2013. Si rammenta che la sentenza della Corte Costituzionale ha natura ablativa e di fatto ha espunto dall’ordinamento, con efficacia retroattiva (ex tunc), la norma dichiarata incostituzionale (primo periodo del comma 25, dell’art. 24 del DL 201/2011) facendo cessare dall’origine ogni effetto del regime derivante da quella norma. In assenza di un nuovo intervento normativo diretto a disciplinare la materia, avrebbe ripreso vigore, per gli anni 2012 e 2013, la norma sulla rivalutazione automatica delle pensioni previgente alla riforma Monti-Fornero (art. 68 della Legge n. 388/2000). I giudici della Corte, tuttavia, nel ribadire la legittimità di interventi legislativi incidenti sui meccanismi di adeguamento delle pensioni, hanno posto in evidenza che la discrezionalità di cui gode il legislatore deve rispettare i principi
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Attualità di “adeguatezza” e “proporzionalità” dei trattamenti posti come “garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona”. In tale prospettiva si colloca il decreto Legge 65/2015, il quale si pone l’obiettivo di colmare il vuoto normativo causato dalla sentenza prevedendo, con efficacia retroattiva, un nuovo regime di rivalutazione per il biennio 2012/2013, rispondente, nelle intenzioni del Governo, sia alle esigenze di equilibrio della spesa pubblica, sia ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale, riferiti all’adeguatezza e alla proporzionalità dei trattamenti pensionistici. L’INPS ha illustrato le disposizioni del decreto legge 65/2015 con la circolare n. 125 del 25.6.2015.
Interventi normativi in materia di rivalutazione delle pensioni Sulla base di quanto stabilito dall’art. 24, comma 25 del DL 201/2011, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione automatica è stata riconosciuta ma solo sui trattamenti pensionistici d’importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo, nella misura del 100% dell’aliquota stabilita. L’indice di rivalutazione applicato a tali trattamenti pensionistici, nel 2012 e 2013, è stato rispettivamente del 2,7% e del 3%. Pertanto, in relazione all’anno 2012, l’aumento del 2,7% è stato riconosciuto solo sugli assegni di importo fino a 1.405,05 euro mensili lordi, mentre nell’anno 2013 la rivalutazione stabilita nella misura del 3% ha trovato applicazione sugli assegni di importo fino a 1.443,00 euro mensili lordi. Come si ricorderà, la norma aveva previsto una clausola di salvaguardia a favore dei pensionati la cui rendita, pur superando il limite pari a 3 volte il trattamento minimo, risultasse inferiore a tale limite incrementato dall’aumento della rivalutazione spettante. In questi casi è stato comunque assicurato un incremento fino a concorrenza del limite maggiorato. Nel 2012, quindi, alle pensioni d’importo compreso tra 1.405,05 e 1.443,00 euro è stato riconosciuto un aumento di rivalutazione fino a concorrenza del limite di 1.443,00 euro, mentre i trattamenti superiori all’importo di 1.443,00 euro sono stati esclusi dalla rivalutazione. Per l’anno 2013, invece, alle pensioni d’importo compreso tra 1.443,00 e 1.486,29 euro è stato riconosciuto l’aumento di rivalutazione fino a concorrenza del limite di 1.486,29 euro, mentre i trattamenti superiori all’importo di 1.486,29 euro non sono stati rivalutati. Dopo il blocco introdotto dal DL 201/2011 sugli importi superiori, che ha avuto effetto per il 2012 e per il 2013, la legge di stabilità 2014 (Legge 147
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Attualità del 27 dicembre 2013, art.1 comma 483) è intervenuta nuovamente sulla materia ripristinando l’aumento di perequazione sulle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps. In particolare, la norma ha stabilito che, per il triennio 2014/2016, la rivalutazione automatica delle pensioni spettasse nella misura intera solo sulle pensioni d’importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo (1.486,29 euro), mentre sulle pensioni superiori a tale limite l’aumento fosse riconosciuto sulla base di aliquote decrescenti. È utile sottolineare che a partire dal 2012 la rivalutazione non trova più applicazione, come per i regimi precedenti, secondo il meccanismo degli scaglioni pensionistici (aliquote decrescenti su singole fasce d’importo pensionistico), bensì utilizzando un’aliquota unica specificatamente prevista in relazione all’importo complessivo della pensione.
L’intervento del Decreto legge 65/2015 Il decreto legge 65/2015 definisce una diversa modalità di attribuzione della rivalutazione prendendo a riferimento due momenti temporali ben distinti: da un lato prevede una specifica disciplina a copertura degli anni 2012/2013 e dall’altro regola il “trascinamento” della perequazione in tal modo sbloccata per gli anni successivi. È noto, infatti, che per le pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps, l’effetto prodotto dal blocco dell’indicizzazione stabilito dalla riforma Monti-Fornero non si è esaurito nell’arco dei due anni interessati (2012 e 2013); la decurtazione prodotta dalla mancata rivalutazione non è stata più recuperata e ha avuto un effetto permanente sui trattamenti di pensione interessati anche negli anni successivi. L’art. 1 del DL 65/2015 opera nel seguente modo: • riformula il comma 25 dell’art. 24 del DL 201/2011 abrogato dalla Sentenza 70/2015, prevedendo con efficacia retroattiva una nuova disciplina della rivalutazione per gli anni 2012 e 2013; • introduce un nuovo comma da inserire all’interno del medesimo art. 24 (comma 25bis) con il quale viene stabilito l’importo degli arretrati da riconoscere per gli anni 2014/2015 e l’incremento mensile da aggiungere al trattamento pensionistico attualmente in pagamento.
La perequazione riconosciuta per gli anni 2012 e 2013 (comma 25) La nuova formulazione del comma 25 si occupa di definire nello specifico la nuova disciplina dell’aumento delle pensioni da applicare con riferimento 3 2015
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Attualità agli indici di rivalutazione già stabiliti per gli anni 2012 e 2013. Il meccanismo adottato è simile, sia pure in modo parziale, a quello previsto dalla legge di stabilità 2014. La nuova disposizione si applica sull’importo complessivo costituito dalla somma di tutte le pensioni possedute dal pensionato e prevede, per i trattamenti superiori a tre volte il trattamento minimo Inps, il riconoscimento della rivalutazione automatica secondo aliquote decrescenti applicate in rapporto al valore dell’importo pensionistico. Nella tabella sottostante è possibile visualizzare i quattro scaglioni di importo e le relative percentuali da applicare all’indice di rivalutazione previste per gli anni 2012/2013.
Fasce di importo pensionistico
% indice di rivalutazione anni 2012/2013
Fino a 3 volte il TM
100%
Fascia di garanzia tra 3 volte il TM e 3 volte il TM perequato Oltre 3 volte il TM e fino a 4 volte il TM
40%
Fascia di garanzia tra 4 volte il TM e 4 volte il TM perequato Oltre 4 volte il TM e fino a 5 volte il TM
20%
Fascia di garanzia tra 5 volte il TM e 5 volte il TM perequato Oltre 5 volte il TM e fino a 6 volte il TM
10%
Fascia di garanzia tra 6 volte il TM e 6 volte il TM perequato Oltre 6 volte il TM perequato
Nessun aumento
Destinatari del nuovo intervento sulla rivalutazione sono quindi i soggetti che a dicembre 2011 avevano in godimento una pensione mensile lorda superiore a tre volte il trattamento minimo Inps e coloro che, alla stessa data erano titolari di una pensione non superiore a 6 volte il trattamento minimo Inps. Per ciascuna classe di importo la norma prevede inoltre una clausola di salvaguardia a favore delle pensioni che si collocano immediatamente oltre il limite di ciascuna fascia. Si tratta della c.d. “fascia di garanzia”, adottata anche nel regime di rivalutazione valido per il 2014/2016, la quale è applicata quando, calcolando la perequazione con la percentuale della fascia di appartenenza, il risultato ottenuto è inferiore al limite della fascia precedente rivalutato. Tenuto conto che l’indice di rivalutazione per gli anni 2012 e 2013 è stato stabilito nella misura rispettivamente del 2,7% e 3%, con l’aiuto della tabelle sotto riportate si è provato a sviluppare i valori dei 4 scaglioni di importo pensionistico e le relative fasce di garanzia.
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Attualità Anno 2012 (TM – anno 2011 € 468,35) Fino a 3 volte il TM
2,7% [100%]
Oltre € 1.405,05 e fino a € 1.427,58 sono garantiti € 1.443,00
Fascia di garanzia
Oltre 3 e fino a 4 volte il TM
1,08% [40%]
0,54% [20%]
0,27% [10%]
Anno 2013 (TM anno 2012 - € 481,00) Fino a 3 volte il TM
–
3,0% [100%]
Fascia di garanzia
–
Fino a € 1.443,00 Oltre € 1.443,00 e fino a € 1.486,29 sono garantiti € 1.468,67
Fascia di garanzia
Oltre 3 e fino a 4 volte il TM
Oltre € 2.341,75 e fino a € 2.810,1 Oltre € 2.810,01 e fino a € 2.817,69 sono garantiti € 2.817,69
Fascia di garanzia
Oltre € 2.817,69
Oltre € 1.873,4 e fino a € 2.341,75 Oltre € 2.341,75 e fino a € 2.348,06 sono garantiti € 2.354,40
Fascia di garanzia
Oltre 5 e fino a 6 volte il TM
Oltre € 1.405,05 e fino a € 1.873,4 Oltre € 1.873,4 e fino a € 1.883,46 sono garantiti € 1.893,63
Fascia di garanzia
Oltre 4 e fino a 5 volte il TM
Fino a € 1.405,05
1,2% [40%]
Oltre € 1.443,00 e fino a € 1.924,00 Oltre € 1.924,00 e fino a € 1.935,48 sono garantiti € 1.947,09
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Attualità Oltre 4 e fino a 5 volte il TM
0,6% [20%]
Oltre € 2.405,00 e fino a € 2.412,2 sono garantiti € 2.419,43
Fascia di garanzia
Oltre 5 e fino a 6 volte il TM
0,3% [10%]
Oltre € 2.405,00 e fino a € 2.886,00 Oltre € 2.886,00 e fino a € 2.894,65 sono garantiti € 2.894,65
Fascia di garanzia
Oltre € 2.894,65
Oltre € 1.924,00 e fino a € 2.405,00
–
–
Il riconoscimento della perequazione nei termini sopra indicati opera esclusivamente ai fini della determinazione degli importi arretrati relativi agli anni 2012-2013.
La perequazione riconosciuta per il biennio 2014/2015 e dal 2016 (comma 25bis) Secondo l’interpretazione della norma che l’Istituto illustra nella circolare 125, l’incremento di rivalutazione riconosciuto negli anni 2012 e 2013 non verrà pienamente “trascinato” negli anni successivi, ma verrà riconosciuto in una determinata misura percentuale pari al 20% per gli anni 2014/2015, e pari al 50% a decorrere dal 2016, secondo quanto prevede il comma 25 bis del decreto legge. Per il biennio 2014/2015 i trattamenti di pensione superiori a tre volte il trattamento minimo hanno già usufruito della rivalutazione così come prevista dalla legge di stabilità 2014 (art. 1 comma 438 delle legge 147/2013), calcolata prendendo come base di riferimento l’importo pensionistico cristallizzato del dicembre 2011. La norma prevede un ricalcolo della perequazione per gli anni 2014 e 2015 sulla base del suddetto importo cristallizzato aumentato dell’incremento di rivalutazione spettante per gli anni 2012 e 2013. Tale incremento, come più
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Attualità sopra indicato, è riconosciuto nella misura del 20% solo come quota che si va ad aggiungere all’importo della pensione già rivalutato. A partire, poi, dal 1° gennaio 2016 è prevista l’aggiunta di un’ulteriore quota pari al 30% dell’incremento di rivalutazione spettante per gli anni 2012 e 2013, tale da consentire il raggiungimento della misura del 50% indicata dal comma stesso.
Esempio di calcolo fornito dall’INPS con la circolare 125/2015 su una pensione di 1.500,00 euro, quindi sullo scaglione che dà i maggiori benefici (tra 3 e 4 volte il minimo). Anni 2012/2013 Applicazione d.l. 65
Anni
Imp. pensione ante sentenza
2012
€ 1.500
€ 1.500x0,41x2,7% = € 16,20
16,20x13 = € 210,6
2013
€ 1.500
€ 1.516,20x0,4x3% = € 18,20
(16,20+18,20)x13 = € 447,2
Arretrati
Anni 2014/2015 Anni
Imp. pensione ante sentenza
Applicazione d.l. 65
2012
€ 1.500
€ 1.500x(1+0,22x0,4x2,7%) = € 1503,24
2013
€ 1.500
€ 1503,24 x (1+0,2x0,4x3%) = 1.506,85
2014
€ 1.515,683
€ 1506,85x(1+0,95 x 1,1%) = € 1.522,604
(1.522,60-1515,68)x13 = € 89,96
2015
€ 1.518,56
€ 1522,60x(1+0,95x0,2%) = € 1.525,495
(1.525,49-1518,56)x7 = 48,51
Arretrati
Arretrati ad agosto 2015 (210,6+447,2+89,96+48,51) = € 796,27
Anno 2016 Anni
Imp. pensione ante sentenza
2012
€ 1.500
Nuovo mensile in pagamento € 1.500x(1+0,56x0,4x2,7%) = € 1.508,1
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News Anno 2016 Anni
Imp. pensione ante sentenza
2013
€ 1.500
€ 1.508,1 x (1 + 0,5 x 0,4 x 3%) = € 1.517,15
2014
€ 1.515,68
€ 1.517,15 x (1 + 0,95 x 1,1%) = € 1.533
2015
€ 1.518,56
€ 1.533 x (1 + 0,95 x 0,2%) = € 1.535,91
2016
€ 1.524,33
€ 1.535,91 x (1 + 0.95 x 0,4%) = € 1.541,75
Nuovo mensile in pagamento
€ 1.541,757
Pagamento arretrati Alla ricostituzione dei trattamenti pensionistici l’INPS ha provveduto d’ufficio. Con riferimento alla decorrenza degli effetti economici degli importi dovuti a titolo di arretrati, il comma 3, dell’articolo 1, del decreto n. 65 in argomento dispone che le somme arretrate – quali dovute ai sensi della novella ora introdotta – siano corrisposte a decorrere dal 1° agosto 2015. Successivamente decorre il nuovo importo a regime. Le somme arretrate per effetto della sentenza in esame, devono essere assoggettate ad I.R.P.E.F. con il regime della tassazione separata, ex art. 17 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, con esclusione delle somme maturate successivamente al 31.12.2014, assoggettate, invece, a tassazione ordinaria.
Pensioni cessate: rate maturate e non riscosse Il calcolo delle differenze spettanti verrà effettuato anche per le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate. Il pagamento delle spet1. Importo di pensione che consente un rimborso del 40% (tra 3 e 4 volte il minimo). 2. Importo del 20% sul 40% da trascinare per gli incrementi successivi al 2013. 3. Importo della pensione già perequato nel 2014, dopo la fine del blocco 2012/2013 (nella fattispecie in questa fascia era previsto lo 0,95% della perequazione 2014 del 1,1%). 4. Importo della pensione perequato sulla base dell’incremento del 20% del 40%. 5. Idem come al punto 4 sulla base di una inflazione 2015 riconosciuta in via definitiva allo 0,2% (sui rinnovi 2015 era stato riconosciuto in via provvisoria lo 0,3%). Importo spettante da agosto 2015. 6. Importo ricalcolato ex novo per l’erogazione dal 2016 sulla base del 50% della quota riconosciuta (in questo scaglione 40%). 7. Nuovo importo di pensione che sarà posto in pagamento dal 2016 con la previsione di una inflazione dello 0,4% (ipotesi tutta da verificare all’inizio del prossimo anno).
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Attualità tanze agli aventi titolo sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione. È dunque necessario procedere ad una richiesta di rate maturate e non riscosse sulle pensioni cessate affinché venga erogata la differenza, ivi comprese le pensioni cessate nel 2012/2013 che hanno dato luogo a pensione di reversibilità, atteso che, secondo i criteri del decreto legge in questione, si ha solo corresponsione di somme arretrate.
Prime valutazioni ed indicazioni sull’intervento del Governo Ad un primo giudizio l’intervento che il Governo ha adottato con il Decreto legge 65/2015 non può ritenersi pienamente rispettoso dei principi di adeguatezza e proporzionalità richiamati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2015, e posti a fondamento della pronuncia di incostituzionalità della disciplina sospensiva della perequazione di cui al comma 25 dell’art. 24 del DL 201/2011. Appare evidente, infatti, che la disciplina sostitutiva introdotta dal DL 65/2015 per gli anni 2012/2013, parimenti a quella dichiarata incostituzionale, si discosta notevolmente dalla regolamentazione in vigore precedentemente al 2012 ma anche da quella introdotta a partire dal 2014. Tale scostamento viene tra l’altro individuato dalla Corte come motivo di irrazionalità della normativa e quindi di possibile censura di illegittimità costituzionale della medesima. Da un semplice raffronto tra gli importi riconosciuti in base al DL 65/2015 e quelli che sarebbero derivati da un’ultrattiva applicazione della disciplina in vigore al 2011, si evidenzia una differenza di perequazione mensile perdute per sempre. Appare altresì censurabile il meccanismo di parziale mantenimento della perequazione per gli anni successivi al 2013 individuato dal comma 25bis del più volte citato DL 65/2015. Tale norma infatti decurta l’incremento acquisito nel biennio 2012/2013, e tra l’altro lo esclude dalla base di calcolo della perequazione dovuta a partire dal 2014. Per questi motivi riteniamo sostenibili le pretese dei pensionati volte ad ottenere una maggiore quantificazione della perequazione spettante a partire dal 2012, con riferimento quantomeno ai trattamenti pensionistici d’importo complessivamente inferiore a sei volte il trattamento minimo. Tale pretesa potrà, a nostro giudizio, essere azionata dopo il ricevimento da parte del pensionato delle somme arretrate che, unitamente alla rideterminazione del rateo mensile correntemente in pagamento, saranno liquidate d’ufficio dall’Inps con effetto dal 1° agosto prossimo. Nei confronti di coloro i quali si rivolgeranno ai nostri uffici si potrà quindi procedere all’inoltro di una domanda di ricostituzione/ricorso. È in ogni caso
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Attualità da scontare l’esito incerto di un contenzioso che - riteniamo - potrà avere successo definitivo solo con un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale. Resta anche da valutare fino a che punto, nei parametri della sentenza della Corte Costituzionale, può considerarsi accettabile per due anni di seguito, e con conseguenze illimitate nel tempo, il blocco delle pensioni superiori a sei volte il minimo pur nella consapevolezza di un minore impatto sul potere d’acquisto di queste pensioni.
RISORSE WEB www.normattiva.it
Decreto legge 21.5.2015, n. 65
www.inps.it
Circolare INPS 25.6.2015, n. 125 inps comunica, circolari e messaggi
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www.
c News
Collocamento a riposo per i pubblici dipendenti Circolare n. 2 del 19.02.2015
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con circolare n. 2 del 19.02.2015 (nota anche come “Circolare Madia”), ha precisato la portata delle modifiche normative alla disciplina di alcuni istituti peculiari dell’ordinamento del pubblico impiego: il “trattenimento in servizio”, previsto in generale dal D.Lgs. 503/1992 e oramai abrogato (art. 1 DL n. 90/2014 conv. In L. n. 114/2014) e il “collocamento a riposo per limiti di servizio”. Tracciamo quindi un quadro sintetico dei suddetti istituti, sottolineando gli aspetti su cui è intervenuta la circolare della Funzione Pubblica.
Soppressione del trattenimento in servizio Il concetto di “trattenimento in servizio” è strettamente collegato al “collocamento a riposo d’ufficio per limiti d’età”. L’ordinamento del pubblico impiego prevede, infatti, per ogni settore di attività, un limite di età al raggiungimento del quale il dipendente non può più continuare a prestare il proprio servizio e deve quindi obbligatoriamente cessare l’attività lavorativa: in tali casi, pertanto, l’Amministrazione è tenuta a collocare a riposo d’ufficio il lavoratore. I limiti anagrafici per il collocamento a riposo d’ufficio dei pubblici dipendenti sono rimasti fissati in via generale alla data di compimento del 65° anno di età, sia per uomini che per donne (art. 4 DPR 1092/73, art.12 L.70/75), salvo eccezioni previste per speciali categorie (es.70 anni per magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, professori universitari ordinari): la riforma previdenziale del 2011 (Monti-Fornero: legge 214/2011), infatti, pur
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News innalzando i requisiti di accesso a pensione di vecchiaia, non ha modificato la disciplina del collocamento a riposo per limiti di età e di conseguenza non ha incrementato i limiti anagrafici già vigenti. In generale quindi, e salvo che non si tratti di appartenenti a categorie speciali per le quali è previsto un limite anagrafico diverso, il personale in servizio presso Pubbliche Amministrazioni al compimento del 65° anno di età deve essere obbligatoriamente collocato a riposo, al verificarsi però di una condizione: che abbia raggiunto a quella data un qualunque diritto a pensione (indistintamente anzianità, vecchiaia o anticipata). Quindi al compimento del 65° anno di età saranno collocati a riposo: • i dipendenti che abbiano già maturato entro il 2011 diritto a pensione di vecchiaia o anzianità secondo i previgenti requisiti; • i dipendenti che maturino diritto a nuova pensione anticipata. Se invece, al compimento del 65° anno di età, il dipendente non ha maturato alcun diritto a pensione, il limite anagrafico per il collocamento a riposo d’ufficio viene elevato fino al nuovo limite di età previsto per il pensionamento di vecchiaia, ovvero 66 anni e 3 mesi nel 2015, 66 anni e 7 mesi nel triennio 2016/2018. L’obbligo assoluto di cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento del limite di età di collocamento a riposo consegue quindi alla definitiva soppressione, dopo un progressivo affievolirsi della sua operatività, del “trattenimento in servizio”, che l’Amministrazione poteva concedere, al massimo per un biennio, oltre tale limite anagrafico. L’unica categoria di dipendenti pubblici per i quali manterranno efficacia i trattenimenti in servizio, ma solo fino al 31 dicembre 2015, sono i magistrati, e ciò per non compromettere la funzionalità degli uffici giudiziari. Per gli altri settori, i trattenimenti già autorizzati ed efficaci sono rimasti in vigore fino al 31.10.2014, quelli accordati ma non ancora avviati alla data del 25 giugno 2014, sono stati tutti revocati. Anche per il comparto scuola statale gli ultimi trattenimenti in servizio hanno esaurito la propria efficacia alla data del 31 agosto 2014. Esiste ancora però soltanto un’unica possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro da parte dell’Amministrazione oltre il limite ordinamentale per il collocamento a riposo. Ciò si verifica quando il dipendente a quella data non raggiunge diritto a pensione.
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News Quindi, se al compimento dei 65 anni non si matura diritto a pensione, il limite di età per il collocamento a riposo d’ufficio viene elevato al requisito anagrafico richiesto per conseguire diritto a pensione di vecchiaia, che diventa pertanto il “nuovo” limite ordinamentale per lo scioglimento d’ufficio del rapporto di lavoro. Se tuttavia al raggiungimento del nuovo limite di età previsto per il pensionamento di vecchiaia, l’interessato non ha ancora maturato i requisiti contributivi minimi per il diritto a pensione (quindi non ha raggiunto i 20 di contributi o , laddove neo iscritto al 1996, non ha raggiunto l’importo soglia minimo di 1,5 volte l’assegno sociale) dovrà essere mantenuto in servizio dall’Amministrazione, fino al massimo dei 70 anni di età (limite a cui si applicano le aspettative di vita, come chiarisce la circolare) e sempre che entro questo limite anagrafico perfezioni diritto a pensione. In caso contrario l’amministrazione deve disporre fin da subito la risoluzione del rapporto di lavoro. Tale principio era già stato affermato da due importanti sentenze della Corte Costituzionale (sent. n. 282/91 e n. 33/2013). La circolare della Funzione Pubblica, nel ribadire tali concetti, sembra voler modificare le modalità di concessione del trattenimento in servizio. Infatti, mentre i giudici avevano esplicitamente stabilito che il trattenimento potesse essere disposto su domanda del lavoratore, la circolare lascia intendere che per l’Amministrazione sia obbligatorio disporre, quando ne ricorrano i presupposti, il trattenimento in servizio con prosecuzione del rapporto di lavoro, anche in assenza di istanza del dipendente. Non è certamente questa la sede per ragionare sui rapporti tra diverse fonti giuridiche, ma preso atto anche delle perplessità manifestate da diverse Amministrazioni sulla necessità di acquisire comunque un’istanza dal dipendente, sarebbe opportuno quanto meno suggerire ai lavoratori prossimi al compimento dell’età di collocamento a riposo di richiedere all’Amministrazione la verifica della situazione contributiva al fine di poter disporre nei suoi confronti l’eventuale trattenimento in servizio. Altro aspetto fondamentale riguarda la contribuzione da considerare per verificare il raggiungimento del diritto a pensione per disporre o meno il collocamento a riposo o proseguire il rapporto di lavoro. Il Dipartimento della Funzione Pubblica nella circolare del 2015 ha ribadito quanto già espresso con proprio parere n.15888 del 4.4.2013: in sostanza l’Amministrazione deve prendere a riferimento non la sola contribuzione maturata presso l’ex-Inpdap, ma anche quella accreditata in altri gestioni previdenziali. La circolare pone in capo alle Amministrazioni l’onere di verificare per tempo i requisiti contributivi, anche prendendo contatti con l’ente previdenziale, al fine di valutare la posizione contributiva del dipendente e adottare i conseguenti provvedimenti.
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News Ciò sta a significare che se, mediante istituti come totalizzazione ex D.Lgs.42/2006 o cumulo dei contributi ex L.228/2012, la totalità della posizione assicurativa dell’interessato fa maturare comunque un diritto a pensione di vecchiaia, l’amministrazione non è tenuta a proseguire il servizio, se non fino all’apertura della “finestra” pensionistica. Su tale ultimo punto, la circolare è finalmente inequivocabile. A nostro avviso l’orientamento della Funzione Pubblica non è tuttavia condivisibile soprattutto nella parte in cui obbliga, in caso di totalizzazione ex D.lgs.42/2006, ad accettare un calcolo pensionistico (contributivo) eventualmente meno favorevole di quello che si raggiungerebbe maturando autonomamente il diritto a pensione.
Collocamento a riposo per massima anzianità contributiva La circolare della Funzione Pubblica offre importanti precisazioni sull’istituto del collocamento a riposo per compimento della “massima anzianità contributiva o “risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro” previsto dall’art.72, commi 11 e 11 bis, del DL 112/2008 conv. in L.133/2008 e da ultimo riformulato dalla legge di conversione del Decreto n. 90/2014. Si tratta di un istituto oramai operativo a pieno regime nel pubblico impiego. Dapprima introdotto solo con vigenza temporanea fino al 2009 e poi prorogato fino al 2014, non è più soggetto a scadenze temporali. Fin da subito è importante sottolineare che, a differenza del collocamento a riposo per limiti d’età, obbligatorio per le Amministrazioni, laddove ne ricorrano i presupposti, la risoluzione per limiti di servizio resta una facoltà per gli Enti datori di lavoro e non un obbligo. Restano esclusi da tale disposizione normativa: • il personale della Magistratura; • i professori universitari; • i responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale; • il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. Si applicano, invece, ma non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario. Il collocamento a riposo d’ufficio per limiti di servizio opera quindi: • non obbligatoriamente ma sulla base di “decisione motivata da esigenze organizzative …”;
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News • con preavviso di almeno 6 mesi; • al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione per i soggetti che hanno • •
maturato i requisiti per il diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità con la “quota” entro il 31 dicembre 2011; al raggiungimento di 41 anni e 6 mesi per le donne, e 42 anni e 6 mesi per gli uomini (valore valido per il 2015) per i restanti soggetti; anche prima del 62° anno di età per cessazioni decorrenti dall’1.1.2015 e requisiti per la pensione anticipata maturati entro il 2017 (sospensione penalizzazione ex art. 1, c. 113, L.190/2014), come precisato dalla Funzione Pubblica nella nota di chiarimento n. 0024210 del 16.04.2015.
RISORSE WEB
www.
www.gazzettaufficiale.it
Circolare 19.2.2015, n. 2 (G.U. 4.5.2015, n. 101) accedi all’archivio - 2015 - maggio
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News
CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI
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Il Jobs Act – una visione d’insieme Fin dal suo insediamento, alla fine di febbraio 2014, il Governo Renzi, ha posto come uno degli obiettivi principali del suo mandato la riforma del mercato del lavoro. Per i vari governi che in Italia hanno provato a riformare la legislazione sul lavoro, il nodo cruciale è sempre stato l’articolo 18 della legge 300/70, ritenuto un baluardo dei diritti dei lavoratori da parte del sindacato e, al contrario un ostacolo allo sviluppo dell’impresa dalla gran parte dei datori di lavoro. Il Jobs Act (così è stato definito l’insieme delle riforme del mercato del lavoro italiano del biennio 2014-20105) si è posto come obiettivo di creare un sistema del lavoro molto diverso da quello in vigore nel nostro paese fino al 2014: il percorso dell’intera riforma è costituito da un aumento della flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, un aumento della flessibilità in uscita, una revisione dell’impianto degli ammortizzatori sociali e delle tutele per i lavoratori licenziati, oltre ad una ristrutturazione del sistema di politiche attive del lavoro. I provvedimenti adottati per raggiungere gli obiettivi proposti sono stati i seguenti:
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il Decreto Legge 34/2014, che ha modificato (si potrebbe dire stravolto) la natura del contratto a tempo determinato, svincolandolo da tutte le causali prima previste ed in sostanza liberalizzandone l’utilizzo nel limite di 2 anni; la Legge 190/2014, ovvero la Legge di Stabilità, che ha previsto per l’anno 2015 un corposo sistema di incentivi per la stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato, rendendo di fatto decisamente meno costoso per un datore di lavoro assumere una persona a tempo indeterminato, piuttosto che a termine; la Legge 183/2014, che ha delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati a: 3 2015
News • introdurre il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (Decreto Legislativo 23/2015);
• riordinare e rivedere le tipologie contrattuali (Decreto Legislativo 81/2015);
• ristrutturare il sistema di ammortizzatori sociali (Decreto Legislativo 22/2015);
• aggiornare le misure volte a tutelare la maternità ed i tempi di conciliazione vita – lavoro (Decreto Legislativo 80/2015); • potenziare l’impianto delle politiche attive del lavoro.
Rispetto a questo insieme di norme, la gran parte delle quali è già operativa, soffermiamo l’attenzione sul “contratto di lavoro a tutele crescenti”, introdotto dal Decreto Legislativo 23/2015.
CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI Nel nostro paese, non vige un sistema di libera recedibilità dal rapporto di lavoro: un lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato infatti può essere licenziato unicamente per motivazioni di carattere disciplinare, come colpe o gravi mancanze (si parla in questo senso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo), oppure per motivazioni economiche non derivanti dalla sua condotta (licenziamento per giustificato motivo oggettivo), ma che in ogni caso non consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro. In caso di licenziamenti “illegittimi”, non sorretti cioè da una giusta causa o da un giustificato motivo, la legge prevede due tipologie di tutele per il lavoratore:
1) la tutela reale, che consiste nel reintegro sul posto di lavoro; 2) la tutela obbligatoria, che consiste nel pagamento da parte del datore di un’indennità risarcitoria.
Per ottenere queste tutele da parte del giudice, un lavoratore deve opporsi al licenziamento (entro il termine di 60 giorni) e successivamente intentare una causa nei confronti del suo ex datore di lavoro. La legge, fino al 7 marzo 2015, prevedeva che il discrimine fra i due regimi di tutela fosse costituito dalle dimensioni dell’azienda: in sostanza, un lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti ingiustamente licenziato aveva diritto ad essere reintegrato sul posto di lavoro (secondo il famoso articolo 18 della Legge 300/1970), mentre un lavoratore di un’azienda con meno di 15 dipendenti aveva diritto esclusivamente ad un indennizzo, la cui entità (fra le 2,5 e le 6 mensilità), era stabilita dal giudice in rapporto alla gravità della violazione della norma da parte del datore di lavoro. 3 2015
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News L’articolo 18 è da sempre stato considerato dalle organizzazioni sindacali una giusta garanzia per i diritti dei lavoratori, oltre che un deterrente per i licenziamenti ingiustificati; le imprese al contrario hanno da sempre sostenuto che lo stesso articolo 18 fosse una delle principali cause delle mancate assunzioni, in quanto poneva troppi vincoli per il datore di lavoro, che una volta assunto un lavoratore, non aveva possibilità di licenziarlo. Ecco l’annosa questione della cosiddetta “flessibilità in uscita”. La grande novità introdotta dal Jobs Act attraverso il Decreto Legislativo 23/2015 è l’introduzione del “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”; in sostanza la tutela reale (reintegrazione sul posto di lavoro in seguito a licenziamenti illegittimi) rimane in vigore unicamente per quei licenziamenti disciplinari operati da aziende con più di 15 dipendenti, per i quali il giudice accerti l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore. Si tratta dunque di ipotesi molto marginali, in quanto la norma precisa che “rimane estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”, ma va valutata unicamente la totale insussistenza del fatto. In tutti gli altri casi eccetto quello appena esposto, il lavoratore ingiustamente licenziato ha diritto unicamente alla tutela obbligatoria, cioè ad un risarcimento. L’entità del risarcimento inoltre non è stabilita dal giudice in relazione alla violazione della norma da parte del datore di lavoro, ma dipende unicamente dall’anzianità aziendale: il lavoratore ingiustamente licenziato ha diritto ad un’indennità pari a 2 mesi di retribuzione per ogni anno di anzianità aziendale, fra un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità. Ecco perché si parla di tutele crescenti.
L’offerta di conciliazione Per evitare i tempi e i costi di un controversia giudiziale, il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato (entro 60 giorni dal licenziamento), un importo pari ad un mensilità per ogni anno di servizio, per una cifra compresa fra 2 e 18 mensilità. L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento. Le novità introdotte sono molteplici, come numerosi sono gli effetti conseguenti. Ecco i principali: • un datore di lavoro che intende licenziare un lavoratore assunto (anche in un’impresa di grandi dimensioni) a partire dal 7 marzo 2015, può in sostanza farlo liberamente, essendo vincolato al massimo a pagare un indennizzo proporzionale all’anzianità lavorativa del lavoratore; • viene tolto il potere alla magistratura di stabilire l’entità dell’indennizzo per un lavoratore ingiustamente licenziato che faccia causa al datore; • la certezza della misura del risarcimento di sicuro ridurrà le cause di lavoro e abbrevierà le tempistiche delle cause intentate.
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News I licenziamenti nelle piccole imprese Nelle imprese con meno di 15 dipendenti, poco sembra cambiare rispetto alla normativa precedente, ma ad uno sguardo più attento, si può notare che anche qua viene introdotto un principio nuovo: viene mantenuta la tutela di tipo obbligatorio per i lavoratori ingiustamente licenziati, ma l’entità del risarcimento non è più stabilita dal giudice in relazione alla gravità della mancanza del datore di lavoro, bensì diviene proporzionale all’anzianità aziendale del lavoratore, nella misura di una mensilità per ogni anno di servizio, fra un minimo di 1 ed un massimo di 6. La cifra che il datore di lavoro può offrire come proposta di conciliazione, è pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, fra un minimo di una ed un massimo di 6.
Licenziamenti discriminatori, nulli ed intimati in forma orale A prescindere dalle dimensioni aziendali, rimane ferma l’applicazione della tutela reale per i licenziamenti definiti “discriminatori”. Il licenziamento discriminatorio è quello intimato per ragioni di credo politico o fede religiosa, per appartenenza ad un sindacato o partecipazione all’attività sindacale, quello per ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente (art. 3 Legge 108/1990). In tutti questi casi il licenziamento è nullo e non produce effetti, come avviene anche per il licenziamento comminato verbalmente oppure in una delle ipotesi di nullità (in concomitanza con il matrimonio o nel periodo di tutela della maternità). Il lavoratore viene in questi casi reintegrato sul posto di lavoro e matura altresì il diritto al risarcimento del danno subito.
Licenziamenti affetti da vizi formali Nel caso in cui un licenziamento presenti dei vizi formali, ma ne sussistono i presupposti di sostanza, il lavoratore ha diritto ad essere indennizzato nella misura di una mensilità per ogni anno di servizio (in misura compresa fra 2 e 12). Nel caso in cui il giudice accerti che oltre al vizio di forma, sussista anche un vizio di sostanza, le tutele applicabili sono quelle previste per i licenziamenti illegittimi.
I licenziamenti collettivi e la relativa tutela Il tema dei licenziamenti collettivi è stato uno dei principali terreni di scontro e polemica fra sindacato e governo nel corso del’iter di approvazione della legge. 3 2015
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News Il licenziamento collettivo è un licenziamento che coinvolge almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni nella stessa unità produttiva o in più unità della stessa provincia a causa di cessazione dell’attività o di una sua riduzione o radicale trasformazione. La procedura per poter effettuare licenziamenti collettivi prevede le seguenti fasi: • fase Sindacale: si provvede in questa fase all’esame congiunto tra datore di lavoro e Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) della situazione contingente; • fase Amministrativa: il datore di lavoro comunica l’esito della fase sindacale agli uffici della Regione preposti, per tentare di trovare una soluzione alternativa ai licenziamenti convocando le parti; collocamento in mobilità e licenziamento: i lavoratori, individuati in base • a rigidi criteri di scelta vengono iscritti nelle liste di mobilità e licenziati. Fino all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 23/2015, la tutela prevista per i lavoratori licenziati secondo questa procedura in modo illegittimo (per esempio senza il rispetto dei criteri di scelta imposti dalla legge), era la reintegrazione sul posto di lavoro, secondo il principio della tutela reale. Il Jobs Act prevede ora una diversa tutela a seconda della causa di illiceità del licenziamento: • se il licenziamento è stato intimato senza forma scritta, viene applicata la tutela prevista per i licenziamenti discriminatori (reintegrazione sul posto di lavoro e risarcimento del danno); • se invece il licenziamento è avvenuto senza rispetto della procedura sindacale o è stato intimato violando i criteri di scelta della mobilità (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico produttive dell’azienda ed altri criteri elencanti all’art 5 co. 1 L 223/91), al lavoratore spetta un’indennità pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 4 ed un massimo di 24.
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D.lgs. 4.3.2015, n.23
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Acquisizione della cittadinanza italiana
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PREMESSA La concessione, il riconoscimento o il riacquisto della cittadinanza italiana sono normati dalla Legge 91 del 5 febbraio 1992, il cui regolamento di esecuzione è contenuto nel D.P.R. 572 del 12 ottobre 1993.
Acquisizione automatica della cittadinanza La cittadinanza italiana si basa sul principio dello ius sanguinis (diritto di sangue): il figlio nato da padre o madre italiani è a sua volta italiano. In questo caso la cittadinanza è riconosciuta automaticamente. Precisando: • è cittadino italiano chi abbia almeno uno dei genitori (anche naturali) cittadino italiano; • si è cittadini italiani anche a seguito di riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione o adozione da parte di genitori italiani, avvenute durante la minore età; • è garantita la cittadinanza italiana anche a chi nasce in Italia da genitori ignoti, o apolidi, o stranieri appartenenti a Stati la cui legislazione non preveda la trasmissione della cittadinanza dei genitori al figlio nato all’estero. La cittadinanza può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica anche nel caso in cui lo straniero abbia reso eminenti servizi all’Italia, o nel caso in cui intercorra un eccezionale interesse dello Stato.
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News Acquisizione a domanda della cittadinanza È inoltre possibile, a particolari condizioni e a domanda, ottenere la cittadinanza italiana: • se si è discendenti da cittadino italiano per nascita (padre, madre o ascendeti in linea retta di secondo grado), che abbia perso la cittadinanza in presenza di determinati requisiti, quali lo svolgimento del servizio militare nelle forze armate e a seguito di dichiarazione rilasciata preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana, oppure lo svolgimento di pubblico impiego alle dipendenze dello stato italiano, anche all’estero, assunto dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana, oppure ancora la residenza legale in Italia di almeno due anni al raggiungimento della maggiore età con dichiarazione, presentata entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana; • per matrimonio, dopo due anni di convivenza e residenza legale in Italia (oppure tre anni di convivenza per i residenti all’estero) successivi al matrimonio. Tali periodi sono ridotti alla metà in presenza di figli; per naturalizzazione in caso di residenza legale in Italia da 10 anni; • al compimento del 18° anno per i nati in Italia che risiedano legalmente • ed ininterrottamente dalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età.
Cittadinanza per matrimonio Il cittadino straniero o comunitario che ha contratto matrimonio con persona di cittadinanza italiana può, a sua volta, chiedere di divenire cittadino italiano a condizione che siano trascorsi, dalla data di matrimonio (o dalla data di naturalizzazione di uno dei due coniugi, se successiva), almeno due anni di convivenza se residenti in Italia o tre anni se residenti all’estero. Tali periodi sono ridotti della metà in caso di presenza di figli. Se il matrimonio è stato celebrato all’estero deve essere avvenuta la trascrizione dell’atto negli appositi registri di stato civile del competente comune italiano. Tra le condizioni necessarie vi è quella che il vincolo matrimoniale sia valido durante tutto l’iter di riconoscimento. In caso di separazione o di morte del coniuge italiano, intervenute prima della conclusione del procedimento, la cittadinanza non può essere concessa. Può essere ostativa alla concessione della cittadinanza per matrimonio la presenza di condanne penali indicate dalla legge, quali: quelle per uno dei delitti contro la personalità dello Stato; per un delitto non colposo per il quale sia prevista una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione; la condanna per un reato non politico a una pena detentiva superiore a un
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News anno da parte di una autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza sia stata riconosciuta in Italia. Deve essere inoltre acclarata l’assenza di impedimenti connessi alla sicurezza nazionale. La competenza di queste istanze è passata, dal 01 giugno 2012, in capo alle Prefetture. Dal 18 giugno 2015 inoltre la presentazione dell’istanza, per la quale va versato un contributo di 200 €, è da presentarsi esclusivamente attraverso il canale telematico Il termine fissato dalla norma per la conclusione dell’iter di acquisto della cittadinanza è pari a 730 giorni (2 anni). Se l’istruttoria si conclude con esito favorevole, il decreto di conferimento della cittadinanza italiana viene notificato all’interessato dal Comune di residenza; entro 6 mesi dalla notifica, deve essere prestato il giuramento presso il suddetto Comune e gli effetti giuridici decorrono dal giorno successivo al giuramento.
Cittadinanza per naturalizzazione La cittadinanza italiana può essere richiesta dallo straniero che risiede legalmente e ininterrottamente da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica italiana. Per il cittadino membro di uno Stato dell’Unione Europea il periodo di residenza è ridotto a 4 anni, per i rifugiati politici e per i figli maggiorenni di cittadini stranieri già naturalizzati italiani tale requisito è pari a 5 anni. La residenza deve essere ininterrotta ed attuale al momento dell’inoltro della domanda di cittadinanza. Tra le altre condizioni vi è quella del possesso di un reddito almeno non inferiore a quello fissato per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria: 8.263,31 euro per il richiedente che non abbia familiari a carico, 11.362,05 euro se invece vi è il coniuge a carico; per ogni figlio o altro familiare a carico si dovranno aumentare tali soglie di 516,46 euro. I redditi dichiarati saranno oggetto di verifica (“attualizzazione”) al momento di perfezionamento dell’iter. Se, infatti, il reddito considerato non fosse sufficiente al momento della richiesta, ma lo fosse una volta intercorsi gli anni di durata della procedura, si terrà conto del miglioramento economico. Qualora il richiedente non riuscisse autonomamente a raggiungere l’importo previsto nella valutazione dei requisiti reddituali ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione occorre considerare il reddito prodotto dall’intero nucleo familiare e non solo quello dell’istante. La domanda può essere rigettata: allo straniero considerato pericoloso per motivi di sicurezza nazionale e anche in presenza di condanne penali, benché lievi, ma indicative di mancanza d’integrazione o ripetute.
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News La cittadinanza per residenza viene concessa dal Presidente della Repubblica, su proposta del Dipartimento DLCI-Libertà Civili e Immigrazione, Direzione Centrale Cittadinanza del Ministero dell’Interno, sentito il Consiglio di Stato. Dal 18 giugno 2015 inoltre la presentazione dell’istanza, per la quale va versato un contributo di 200 €, è da presentarsi esclusivamente attraverso il canale telematico Il termine fissato dalla norma per la conclusione dell’iter di acquisto della cittadinanza è pari a 730 giorni (2 anni). Se l’istruttoria si conclude con esito favorevole, il decreto di conferimento della cittadinanza italiana viene notificato all’interessato dal Comune di residenza; entro 6 mesi dalla notifica, deve essere prestato il giuramento presso il suddetto Comune e gli effetti giuridici decorrono dal giorno successivo al giuramento. I figli minorenni che al momento del giuramento siano conviventi in modo effettivo e stabile, con il genitore che ha ottenuto la cittadinanza per naturalizzazione, divengono a loro volta italiani.
Cittadinanza per chi è nato in Italia Lo straniero nato in Italia e che vi risieda legalmente e senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino italiano se, entro un anno dalla data del compimento del 18° anno, dichiara di voler acquisire la cittadinanza del nostro Paese. Tale dichiarazione va resa all’Ufficio di Stato Civile del comune di residenza. Con la Legge del 09/08/2013, n. 98 che ha convertito il D.L. del 21/06/2013, n. 69, sono state introdotte norme di semplificazione del procedimento di acquisto della cittadinanza per i cittadini stranieri nati in Italia. A seguito di tali nuove disposizioni non è più imputabile al richiedente la mancanza dell’effettiva sussistenza del requisito di presenza legale e iscrizione anagrafica senza interruzione dalla nascita al compimento della maggiore età, qualora questa sia riconducibile a eventuali inadempimenti dei genitori o degli uffici della Pubblica Amministrazione. In tali casi l’effettiva presenza in Italia nel periodo di minore età potrà essere dimostrata attraverso documentazione sostituiva (a esempio la frequenza di corsi scolastici). Altra novità di rilievo è l’introduzione dell’obbligo, a carico degli Ufficiali dello Stato Civile, di comunicare, al minore straniero nato in Italia, nei 6 mesi precedenti il raggiungimento della maggiore età, la facoltà di esercitare il diritto all’acquisto della cittadinanza entro il compimento del 19° anno di età. In mancanza di detta comunicazione la scelta in favore della cittadinanza italiana può essere esercitata anche oltre la scadenza fissata dalla legge.
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News Predisposto l’atto, cioè la dichiarazione di elezione della cittadinanza, l’Ufficiale dello Stato Civile ne invierà al Sindaco copia. Una volta verificato il diritto il richiedente dovrà versare il contributo di 200 €. Accertate tutte le condizioni stabilite dalla legge affinché si producano gli effetti della dichiarazione resa, il Sindaco invierà l’esito dell’accertamento e la dichiarazione dell’acquisto della cittadinanza del cittadino straniero all’Ufficiale dello Stato Civile il quale provvederà alla sua trascrizione nei registri degli atti di cittadinanza e alle varie comunicazioni per gli aggiornamenti.
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Legge 5 febbraio 1992, n. 91 D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362 Legge 15/07/2009, n. 94 Legge 9 agosto 2013, n. 98
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La protezione internazionale dei rifugiati
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L’arrivo di persone che scappano da Paesi in guerra o poveri ha determinato negli ultimi decenni un crescente e irreversibile movimento migratorio verso l’Europa e l’Italia in particolare perché protesa nel Mediterraneo. Tutto ciò ci ha costretti, non sempre con competenza e tempestività, ad approntare delle azioni e delle normative per regolamentare o ”contrastare” il fenomeno migratorio. Le cronache recenti degli sbarchi e delle stragi nel Mediterraneo ora che in Libia non esiste più un governo di riferimento hanno riacceso il dibattito già difficile sull’accoglienza/respingimento dei migranti e rifugiati e sulla ripartizione in quote degli stessi tra Paesi UE. Questo perché soprattutto l’Italia per la sua posizione geografica, insieme alla Grecia e a Malta, è il paese di approdo principale. Approdo che sembra ora dilagare anche attraverso i Balcani.
La protezione internazionale, asilo e lo status di rifugiato nell’UE e in Italia. Cenni. Il quadro normativo in materia di diritto di asilo e di rifugiati è complesso perché composto dalla legislazione internazionale, europea e nazionale1.
1 Come premessa è necessario chiarire le seguenti figure: migrante economico è lo straniero che decide di cambiare Paese per motivi meramente economici, alla ricerca di migliori condizioni di vita e lavorative richiedente protezione internazionale è la persona che, fuori dal proprio Paese d’origine, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale. Il richiedente rimane tale finché le autorità competenti non decidono in merito alla stessa domanda di protezione titolare di protezione internazionale: è chi ha ottenuto la protezione dallo stato italiano.
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News NORMATIVA INTERNAZIONALE L’art. 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo dell’ONU del 1948 stabilisce, per tutte le persone il “diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. La prima normativa internazionale che ha affrontato il tema dei rifugiati è la Convenzione delle Nazioni Unite relative allo status di rifugiato del 1951 adottata a Ginevra e che definisce il rifugiato come lo straniero che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”2. Lo straniero, sia esso cittadino o apolide, deve avere un timore soggettivo di essere perseguitato per i motivi su indicati associato però dall’elemento oggettivo “a ragione” per evitare una lettura falsata di tale timore. Dunque il richiedente deve temere una persecuzione a carattere individuale, ma questo timore deve fondarsi su un qualche elemento oggettivo di realtà che
2 Si riportano un frammento del discorso introduttivo al Convegno Ministeriale degli Stati Parti della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 pronunciato dal presidente Vaira Viki-Freiberga della Lituania, che fuggì dal suo Paese quand’era bambino dopo la seconda guerra mondiale: “Nessuno lascia la propria dimora volontariamente o lietamente. Quando le persone lasciano la loro terra, il luogo di nascita, il luogo in cui risiedono, ciò significa che vi è qualcosa di profondamente sbagliato nelle circostanze in cui il loro paese si trova. E non dovremmo mai sottovalutare tale situazione difficile dei rifugiati che fuggono attraverso i confini. Essi sono segni, sono sintomi, sono la prova di qualcosa di molto errato da qualche parte della scena internazionale. Quando giunge il momento di lasciare la nostra casa, la scelta è penosa…Può essere una scelta che costa. Tre settimane e tre giorni dopo che la mia famiglia aveva lasciato le coste della Lituania la mia piccola sorella morì. La seppellirono al margine della strada e non potemmo mai ritornare a mettere fiori sulla sua tomba. E mi è grato pensare che io sto qui come sopravvissuto che parla per tutti coloro che sono morti al margine della strada, alcuni seppelliti dalle loro famiglie, altri no. E per tutti quei milioni che oggi attraverso il mondo non hanno voce, non possono essere ascoltati. Anch’essi sono esseri umani, anch’essi soffrono, anch’essi hanno le loro speranze, i loro sogni e le loro aspirazioni. La maggior parte sogna una vita normale…. Vi prego, quando pensate al problema dei rifugiati, di pensare ad essi in modo non astratto. Non pensate ad essi nel linguaggio burocratico di “decisioni”e “dichiarazioni”e “priorità”. Vi prego pensate agli esseri umani che sono investiti dalle vostre decisioni. Pensate alle vite in attesa di aiuto”.
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News va provato. Situazione spesso difficile da provare davanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale3 quando si è dovuti scappare dal proprio Paese spesso senza documenti o altra documentazione che serva a provare la persecuzione subita. Non può accedere alla domanda di rifugiato chi ha commesso crimini contro l’umanità. La Convenzione di Ginevra afferma il principio di non refoulement, secondo il quale nessuno Stato contraente può espellere in nessun modo un rifugiato verso un territorio dove possa essere perseguitato, dove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate (art. 33). Ancora oggi la Convenzione ed il Protocollo addizionale del 1967 sono ritenuti i due pilastri normativi, a livello internazionale, in materia di tutela dei diritti dei rifugiati, e rappresentano, la base legislativa dell’attività dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR/UNHCR), agenzia specializzata delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, istituita nel 1951 e finalizzata alla protezione dei rifugiati sul piano internazionale. NORMATIVA EUROPEA Il sistema europeo comune di asilo attualmente è regolato da4: • la direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (c. d. “direttiva procedure”) in fase di recepimento. Modifica la direttiva 2005/85/CE, del
3 La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale è l’autorità competente a decidere in merito alle domande di protezione, presentate agli uffici della polizia di frontiera o alle questure. Attualmente sono in numero 20, con decreto istitutivo del 10.11.2014. Sono composte da 4 membri, “un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato - città ed autonomie locali e un rappresentante dell’ACNUR. 4 Il sistema europeo comune di asilo (CEAS) stabilisce le procedure comuni per la gestione delle domande di asilo e i diritti di base per i richiedenti asilo, secondo i principi fondamentali in materia di asilo contenuti nella Convezione ONU di Ginevra del 1951 - quale integrata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 - che definisce, fra l’altro, i requisiti per accedere allo status di rifugiato. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) mira ad una maggiore cooperazione pratica fra i paesi dell’Unione europea in materia di asilo, sostenere i paesi dell’UE i cui sistemi d’asilo e accoglienza sono sottoposti a forte pressione, e migliorare l’implementazione del Sistema comune europeo di asilo. L’Ufficio fornisce inoltre assistenza tecnica e operativa agli Stati membri che devono affrontare particolari pressioni.
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News 1°dicembre 2005, sulle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato recepita in Italia con decreto legislativo 28 gennaio 2008 n. 25. La direttiva in particolare mira a ottenere decisioni più efficienti ed eque e l’esame delle domande in base a norme comuni di elevata qualità da parte degli Stati membri. Stabilisce le regole per la presentazione delle domande di asilo o e fissa in sei mesi il termine generale di durata di una procedura di asilo. Prevede disposizioni particolari per le persone che necessitano di un’assistenza specifica (ad es. per motivi di età, malattia, disabilità, orientamento sessuale o esperienze traumatiche). I casi ritenuti presumibilmente infondati confluiranno in procedure speciali (“procedura accelerata” e “procedura di frontiera”).
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la direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (c.d. “direttiva accoglienza”) in fase di recepimento. Modifica la direttiva 2003/9/CE del 27 gennaio 2003, sulle norme minime di accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri recepita in Italia con il decreto legislativo 30 maggio 2005 n. 140.
La direttiva tende a garantire l’accesso all’alloggio, al vitto, all’assistenza sanitaria e all’occupazione, a cure mediche e psicologiche. Elenca i presupposti per il trattenimento, riducendolo per le persone vulnerabili (in particolare i minori), garantisce l’assistenza legale gratuita e informazioni scritte all’atto della presentazione di un ricorso contro un provvedimento di trattenimento. Tutela in modo specifico le persone vulnerabili.
• il regolamento (UE) n. 603/2013 istitutivo dell’”Eurodac” per un confronto più efficiente delle impronte digitali tra le polizie europee5;
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il regolamento n. 604/2013 sulla determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale pre-
5 Il sistema Eurodac permette ai paesi dell’Unione europea (UE) di aiutare a identificare i richiedenti asilo e le persone fermate in relazione all’attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell’Unione. Confrontando le impronte, i paesi dell’UE possono verificare se un richiedente asilo o un cittadino straniero, che si trova illegalmente sul suo territorio, ha già presentato una domanda in un altro paese dell’UE o se un richiedente asilo è entrato irregolarmente nel territorio dell’Unione. Le impronte sono rilevate per le persone di età non inferiore a 14 anni e vengono inviate all’unità centrale tramite punti nazionali di accesso. A causa del forte afflusso di migranti l’Italia e la Grecia non sempre hanno applicato il regolamento e quindi rilevato le impronte suscitando forti critiche da parte degli altri Paesi UE.
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News sentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (c.d. “regolamento Dublino III”)6; entrato in vigore il 1° gennaio 2014. Il Regolamento ha l’obiettivo di contrastare un doppio fenomeno. Da un lato impedire che nessuno Stato UE si dichiari competente all’esame della domanda di protezione internazionale, privando così il rifugiato del diritto di accedere alla procedura amministrativa prevista per il riconoscimento dello status, dall’altro contrastare i movimenti interni all’UE dei richiedenti protezione, dando agli Stati e non alle persone la facoltà di decidere in quale Stato la persona debba veder esaminata la domanda. Competente all’esame di una domanda è principalmente lo Stato membro che ha svolto il ruolo maggiore circa l’ingresso o il soggiorno del richiedente. I criteri per stabilire tale responsabilità sono, in ordine gerarchico, considerazioni di natura familiare (tutelare l’unità familiare), il possesso recente di un visto o permesso di soggiorno in uno Stato membro, l’ingresso regolare o irregolare del richiedente nell’UE, che è poi la casistica più comune e che ha già creato tensioni e messo in discussione tra gli Stati UE la modifica del Regolamento Dublino III . Alcune delle principali novità: • sono state modificate le definizioni di familiari: oltre al padre, alla madre o ad altro adulto responsabile e stata introdotta la definizione di parenti. è • sancita l’impossibilità di trasferire un richiedente verso uno Stato membro nel quale il richiedente rischi di subire un trattamento inumano o degradante, facendo proprio il principio del divieto di trattamento inumano e degradante previsto dalla CEDU; • è stato introdotto l’effetto sospensivo del ricorso sull’esecuzione del trasferimento per il periodo di durata del giudizio con la garanzia del diritto del richiedente a rimanere nel territorio in attesa della decisione di un giudice in merito alla sospensione del trasferimento in pendenza del ricorso; • è previsto l’obbligo di garantire assistenza legale gratuita su richiesta; • sono stati inseriti i termini anche per la procedura di ripresa in carico da parte di uno Stato membro risultate competente ad esaminare la domanda; • l’intera procedura Dublino non può durare più di 11 mesi per la presa in
6 Siglata per la prima volta nel 1990, la convenzione di Dublino regola la valutazione delle domande di asilo politico nel territorio europeo. Modificata nel 2003(Dublino II) e poi nel 2013, la sua versione in vigore dal 2014 prevede che la richiesta sia esaminata nel Paese di arrivo. Obiettivo iniziale era far prendere in carico ad almeno uno degli Stati membri le richieste per l’ottenimento dello status di rifugiato politico, al fine di regolare in modo ordinato e cooperativo i flussi. Nella Convenzione l’”ingresso illegale” in Ue è trattato come se fosse un’eccezione, ma in realtà, questa è diventata la regola ed è la causa primaria dei molti problemi diplomatici sul tema migranti fra gli Stati Europei. Vedi la polemica sulla ripartizione delle quote di richiedenti tra Stati membri.
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carico dell’interessato, o non più di 9 mesi per il suo trasferimento (salvo in caso di fuga o di detenzione); è possibile il trattenimento del richiedente solo per pericolo di fuga; è introdotto lo scambio di informazioni sanitarie a tutela del richiedente.
Viene introdotto il colloquio personale per la corretta applicazione del regolamento, di cui è redatto verbale, al quale il richiedente o il suo legale rappresentate hanno diritto di accesso. Sono introdotte misure di garanzia per il minore, che deve essere assistito da un rappresentante, che ha accesso a tutte le informazioni pertinenti al caso. Lo Stato nel quale ha presentato domanda deve procedere in tempi brevi alla ricerca dei familiari. Tutta la procedura deve essere attuata nel rispetto del superiore interesse del minore. È prevista la c.d. clausola umanitaria: qualsiasi Stato può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri definiti dal regolamento, procedere al ricongiungimento dei membri di una stessa famiglia nonché di altri parenti a carico, per ragioni umanitarie, fondate in particolare su motivi familiari o culturali. Il Regolamento Dublino III specifica chi può essere considerata persona a carico (o che si fa carico) del richiedente: figlio, fratello (o sorella) o genitore, sempre a condizione (questa invece già contenuta in Dublino II) che i legami familiari esistessero nel Paese di origine.
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la direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (“direttiva qualifiche”). In Italia la direttiva è stata attuata con il decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 18.
La direttiva “qualifiche” stabilisce le condizioni per la concessione della protezione internazionale, tende ad armonizzare i diritti concessi a tutti i beneficiari della protezione internazionale (rifugiati riconosciuti e beneficiari della cd. “protezione sussidiaria”) in materia di accesso all’occupazione e all’assistenza sanitaria. Comprende inoltre garanzie a tutela dell’interesse superiore del minore.
• la direttiva 2001/55/CE, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la con-
cessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che
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News ricevono gli sfollati7 e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi. È prevista eccezionalmente la concessione di una protezione temporanea nel caso di arrivo massiccio nell’Unione europea di sfollati provenienti da Paesi terzi e che non possono ritornare nel paese di origine. La tutela immediata e transitoria prevista viene accordata in tutti gli Stati membri in seguito a decisione del Consiglio, adottata su proposta della Commissione, che accerti l’esistenza di un “afflusso massiccio di sfollati”. In Italia, la direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85. LA NORMATIVA ITALIANA La nostra Costituzione, precedente alla Dichiarazione Universale dell’ONU, all’articolo 10, terzo comma, quindi nella parte dei principi fondamentali dello Stato italiano, afferma che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Nonostante tale previsione costituzionale ad oggi una legge ad hoc non c’è mai stata per cui, per parte della dottrina, in Italia il diritto di asilo costituzionale non è mai stato pienamente attuato. Si fa notare che per il diritto d’asilo costituzionale, uno straniero avrebbe appunto diritto di asilo in Italia per il solo fatto che nel suo Paese sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione (es. la libertà di stampa o di professione religiosa o di associarsi ad un partito politico) senza dover dimostrare che da ciò ne consegua il ragionevole timore di una sua persecuzione personale, elemento essenziale invece per il riconoscimento dello status di rifugiato. Secondo la giurisprudenza e altra dottrina, invece il diritto di asilo è interamente attuato e regolamentato dalle norme sulla protezione internazionale emanate dall’Unione Europea. È comunque in previsione entro il 2019 la predisposizione di un testo unico sul diritto di asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea. Nella pratica, il diritto di asilo è oggi disciplinato, come già indicato sopra nella normativa europea, dal decreto legislativo n. 251 del 19/11/2007, adottato in attuazione della direttiva europea n. 2004/83/CE, dal decreto legisla-
7 Per “sfollati” si intendono in particolare le persone fuggite da zone di conflitto armato o di violenza endemica, e le persone che siano soggette a rischio grave di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti umani o siano state vittime di tali violenze.
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Il DL n. 251/2007 regola, essenzialmente, le condizioni e il contenuto del diritto, mentre il secondo decreto legislativo n. 25/2008 si occupa degli aspetti procedurali per il suo riconoscimento. Il diritto di asilo, come risultante da tale normativa, è oggi previsto, pur con diverso contenuto e diversa intensità , sia per i rifugiati veri e propri, come già definiti dalla Convenzione di Ginevra, sia per le persone che pur non essendo riconosciute come beneficiari di protezione sussidiaria corrispondono a quelle persone che, pur non essendo rifugiati propriamente intesi, hanno ugualmente esigenza di protezione internazionale, in quanto in caso di rimpatrio, correrebbero un rischio oggettivo di danno grave, quale la sottoposizione a pena di morte, a tortura o altri trattamenti inumani o degradanti, ovvero una minaccia grave e individuale alla loro vita o alla loro persona a causa di una situazione di violenza generalizzata derivante o dovuta a un conflitto armato interno o internazionale.
RISORSE WEB
www.
www.unhcr.it/cosa-facciamo/protezione/convenzioni-internazionali Convenzione di Ginevra sullo Statuto dei Rifugiati
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ww.normattiva.it
Decreti Legislativi n. 251/2007, n. 25/2008, n. 140/2005
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