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Osservatori INPS

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li osservatori dell’INPS sono strumenti di analisi molto utili per la conoscenza del sistema previdenziale e delle sue articolazioni, non solo per la evidenza di molte gestioni previdenziali ed i loro equilibri (o squilibri) economici frutto di scelte per lo piÚ passate del legislatore. Sono anche strumenti di analisi di alcune tendenze pienamente in atto. Sotto questo aspetto ci paiono molto interessanti per avere coscienza, non solo tecnica, di fenomeni che sono nelle nostre mani quotidianamente per gli aspetti previdenziali e degli sviluppi delle normative messe in campo per la gestione del mercato del lavoro. In questa occasione vengono analizzate due particolari fattispecie di tipologie lavorative: il lavoro parasubordinato della gestione separata ed il lavoro occasionale accessorio.

La gestione separata Nel momento in cui i cambiamenti introdotti col Jobs Act (vedi articolo seguente) rivedono la figura dei collaboratori coordinati e continuativi, destinati ad un ridimensionamento dagli esiti incerti sulla loro futura collocazione di lavoratori dipendenti o autonomi, mentre per altro l’iscrizione alla Gestione separata continua a rimanere un dato certo per tutte le altre figure per le

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quali ricorre l’obbligo (professionisti senza cassa, partite iva, ecc.) riteniamo opportuno, anche per la rilevanza che questa gestione previdenziale ha assunto in questi anni, quantomeno in termini di polmone contributivo che ha finanziato il sistema previdenziale senza erogare ancora prestazioni significative, presentare una visione retrospettiva, utilizzando i dati messi a disposizione dall’osservatorio dell’INPS. Si tratta di una gestione assicurativa nella quale sono passati molti giovani che hanno problemi di utilizzo di questa contribuzione insieme a quella di altro tipo, ma è anche interessante comprendere come la composizione degli iscritti, al di fuori dei luoghi comuni, sia molto articolata a prescindere dall’età dei contribuenti. Questa retrospettiva, fino al 2014 (anno al quale arriva l’osservatorio), potrà essere infatti un termine di confronto utile tra ciò che questa nuova gestione ha rappresentato e gli sviluppi cui sarà sottoposta. Una visione che consente di conoscere le dinamiche di questa forma assicurativa, non limitatamente alle posizione assicurative, ma nei presupposti che determinano l’obbligo contributivo. Note illustrative dei dati Nell’Osservatorio INPS sono riportate informazioni sui lavoratori contribuenti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della Legge n. 335/1995 (c.d. lavoratori parasubordinati). L’unità statistica è rappresentata dal lavoratore che ha avuto almeno un versamento contributivo per lavoro parasubordinato accreditato nell’anno. Si considerano quindi i soli iscritti contribuenti nell’anno. Se il versamento è effettuato dal committente (persona fisica o soggetto giuridico), entro il mese successivo a quello di corresponsione del compenso, il lavoratore viene classificato come “collaboratore”. Se invece il versamento dei contributi è effettuato dal lavoratore stesso, con il meccanismo degli acconti e saldi negli stessi termini previsti per i versamenti IRPEF, questi viene classificato come “professionista”. Nei pochi casi in cui per lo stesso lavoratore sono risultate presenti entrambe le tipologie di versamento si è adottata la classificazione con contribuzione maggiore. La principale fonte informativa per i professionisti sono i versamenti F24, mentre per i collaboratori è il flusso delle denunce retributive mensili.

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Nell’ Osservatorio non sono inclusi i prestatori di lavoro accessorio pagati con buoni lavoro (c.d.voucher) che pure hanno un accredito della contribuzione, inclusa nel voucher, alla Gestione separata. L’anno di competenza, che è anche quello nel quale viene accreditata la contribuzione, non è detto che sia l’anno nel quale è stata esercitata l’attività, ma quello in cui sono stati pagati i compensi, pagamenti che in effetti non è detto che coincidano appunto con l’esplicazione del lavoro. L’età in anni compiuti ed il sesso sono dati anagrafici del lavoratore. Ogni anno di contribuzione è riconosciuto utile a pensione per intero a condizione che siano stati versati i contributi su un reddito non inferiore al reddito minimale previsto per i commercianti (nel 2014 = € 15.516). Se il contributo è versato su redditi inferiori, i mesi accreditati a favore dell’interessato sono ridotti in proporzione alla somma versata. L’aliquota contributiva è quella prevalente: se il soggetto nel corso dell’anno ha collaborazioni con diversa aliquota, viene indicata quella della singola collaborazione che ha avuto la contribuzione maggiore. Il criterio della informazione prevalente è adottato per tutte le variabili di classificazione. Sono considerati esclusivi i lavoratori che non hanno altra forma di previdenza, concorrenti i titolari di pensioni o iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria. Gli esclusivi versano anche contribuzione per le prestazioni aggiuntive (maternità, assegno al nucleo familiare, ecc.), i concorrenti versano la sola quota ivs.

Le tabelle Numero di contribuenti per tipologia e sesso Collaboratori

Anno

Professionisti

Donne

Uomini

Totale

Donne

Uomini

Totale

2010

604.399

839.640

1.444.039

100.213

163.359

263.572

2011

616.259

848.481

1.464.740

108.331

172.928

281.259

2012

596.451

829.914

1.426.365

116.314

178.799

295.113

2013

509.443

751.859

1.261.302

121.069

180.261

301.330

2014

483.469

726.004

1.209.473

124.963

178.594

303.557

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Come si vede, per i collaboratori l’ultimo anno di crescita è stato il 2011, da lì in poi è cominciata la decrescita. Diverso è invece il trend per i professionisti. Il numero di contribuenti se viene rapportato alla contribuzione versata per tutti i mesi dell’anno, proprio per le variazioni infra anno o anche per compensi che non necessariamente sono distribuiti mensilmente, si ottiene una media di contribuenti molto inferiore al numero complessivo. La fase di decrescita del numero dei collaboratori è senz’altro da riconnettere alle previsioni della Legge 92/2012, art. 1, che ha introdotto restrizioni significative sulla natura delle collaborazioni coordinate e continuative e la loro riconduzione a progetti specifici.

Numero di contribuenti per tipologia e modalità di svolgimento dell’attività Anno

Professionisti

Collaboratori Concorrenti

Esclusivi

Totale

Concorrenti

Esclusivi

Totale

2010

493.511

950.528

1.444.039

78.683

184.889

263.572

2011

502.312

962.428

1.464.740

86.037

195.222

281.259

2012

503.992

922.373

1.426.365

87.863

207.250

295.113

2013

484.057

777.245

1.261.302

86.931

214.399

301.330

2014

468.510

740.963

1.209.473

83.080

220.477

303.557

L’ampia fascia di lavoratori concorrenti evidenzia come molte attività di lavoro parasubordinato siano in capo a pensionati, ovvero a lavoratori che contestualmente esercitano un’altra attività lavorativa. Questo aspetto evidenzia forse con maggior forza l’emersione di questo lavoro divenuto regolare anche se sovrapposto alla pensione o ad altra attività che, essendo contestuale, non dà diritto ovviamente a prolungamenti della copertura ma a benefici del tipo pensione supplementare.

Numero di contribuenti per tipologia e fasce di età Anno

Professionisti

Collaboratori Fino a 29

30-59 anni 60 o più

Fino a 29

30-59 anni

60 o più

2010

329.919

905.150

208.970

31.115

197.331

35.126

2011

334.860

916.220

213.660

31.714

209.495

39.050

2012

305.680

903.876

216.809

37.635

217.376

40.102

2013

233.933

820.778

206.591

40.268

220.835

40.227

2014

213.879

794.825

200.769

43.684

229.387

39.486

Questa tabella dimostra anch’essa un dato non scontato nell’immaginario: il lavoro parasubordinato non è detto che sia un lavoro prevalentemente giovanile, anzi esso si distribuisce (anche perchè in molti casi si tratta di una attività concorrente) su tutte le fasce di età, anche oltre i 60 per la contestuale attività che coesiste con la pensione.

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Numero e contributo medio dell’anno dei contribuenti per tipologia Anno

Professionisti

Collaboratori Numero

Contribuzione Contributo medio complessiva

Numero

Contribuzione Contributo medio complessiva

2010

1.444.039

5.693.976.694

3.943

263.572

1.188.825.249

4.510

2011

1.464.740

5.771.609.739

3.940

281.259

1.260.338.349

4.481

2012

1.426.365

6.037.816.037

4.233

295.113

1.337.564.938

4.532

2013

1.261.302

5.824.547.467

4.618

301.330

1.366.658.711

4.535

2014

1.209.473

6.005.815.394

4.966

303.557

1.213.605.795

3.998

È abbastanza agevole evidenziare come la contribuzione media riesca appena a coprire per ciascun anno, l’importo minimo per la copertura dell’anno intero. Infatti se prendiamo a riferimento il 2014 per la copertura di un anno intero è necessaria una contribuzione alla gestione separata di € 4.345 (riferimento al collaboratore a progetto in attività esclusiva: 28% su 15.516 €). Ma se dalla media prendessimo a riferimento collaboratori a progetto rispetto agli altri iscritti alla gestione separata ne verrebbe una contribuzione in media non sufficiente a coprire l’anno intero. Da una tabella riportata nell’osservatorio risulta anche come i collaboratori abbiano in linea generale un solo committente (indice di come le collaborazioni, almeno quelle a progetto, siano strettamente affini al lavoro dipendente): si tratta di un totale di 1.094.827 soggetti su 1.209.473. Mentre i professionisti hanno committenze plurime: 18.157 una sola committenza, 28.814 due committenze, 46.103 tre o più committenze.

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Numero e reddito medio dell’anno dei collaboratori contribuenti per tipo di rapporto di lavoro e sesso Tipo rapporto lavoro

Numero collaboratori Donne

Amministratore, sindaco di società, ecc. Collaboratore di giornali, riviste, ecc. Partecipante a collegi e commissioni Enti locali (D.M. 25.05.2001)* Dottorato di ricerca, assegno, ecc.

Uomini

117.518 385.106

Totale

Reddito medio annuo (da collaborazione) Donne Uomini

Totale

502.624

25.688

33.799

31.903

621

969

1.590

10.030

11.527

10.942

2.813

8.921

11.734

7.607

9.006

8.670

215

742

957

8.265

10.773

10.210

27.609

25.821

53.430

12.863

13.673

13.255

465.354

7.114

13.758 10.224

Collaboratore a progetto 247.538 217.816 Venditore porta a porta

8.073

6.870

14.943

8.164

12.747

10.271

Collaboratore occasionale

14.304

10.900

25.204

2.002

3.649

2.714

Autonomo occasionale

3.255

4.966

8.221

4.975

7.813

6.689

Collaboratore presso la P.A.

20.661

17.663

38.324

9.771

10.764

10.228

Altre collaborazioni

5.499

16.554

22.053

13.713

18.728

17.478

Associato in partecipazione

17.648

19.518

37.166

7.171

9.076

8.171

Medici in formazione specialistica

17.715

10.158

27.873

20.518

20.284

20.433

483.469 726.004 1.209.473 12.498 24.125 19.477

Totale * amministratori locali

Questa tabella è molto indicativa della varietà di occupazioni dei soggetti iscritti alla gestione separata. La tipologia di queste attività aiuta a comprendere la distribuzione su tutte le fasce di età ed anche la numerosa sovrapposizione con altre tipologie di lavoro. Il reddito medio evidenzia altresì una distinzione fondamentale tra attività “precarie” o meglio “poco remunerative” ed attività di maggior rilievo economico.

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Numero e reddito medio dell’anno dei collaboratori contribuenti concorrenti per tipo di altra assicurazione e sesso Altra assicurazione

Numero collaboratori

Reddito medio annuo (da collaborazione)

Donne

Uomini

Totale

Donne Uomini Totale

Titolare pensione indiretta

9.200

31.951

41.151

18.816

24.739

23.415

Titolare pensione diretta

15.445

57.157

72.602

21.457

29.649

27.906

Lavoratore dipendente (FPLD)

24.890

55.299

80.189

12.581

20.267

17.882

Artigiano

12.336

62.662

74.998

23.661

27.456

26.832

Commerciante

29.772

91.505

121.277

23.428

31.446

29.478

Con altra contribuzione INPS

1.349

8.343

9.692

13.396

12.190

12.358

Dipendente enti locali e amm. dello Stato

7.567

12.059

19.626

5.440

9.621

8.009

Casse professionali

23.914

23.920

47.834

18.929

19.571

19.250

358

783

1.141

7.286

10.425

9.440

Con altra contribuzione non INPS Totale

124.831 343.679

468.510

18.598 25.890 23.947

Il dato interessante della tabella è quello di mettere in evidenza come l’attività di collaborazione che si accompagna alla titolarità di pensione ovvero ad altra attività non sia semplicemente una attività “accessoria” ma una vera e propria ulteriore attività lavorativa.

Il lavoro accessorio Il lavoro occasionale di tipo accessorio, col sistema dei voucher, ha fatto la comparsa nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo 10.9.2003 n. 276, attuativo della Legge n. 30 del 14.2.2003 (Legge Biagi). Gli articoli del D.Lgs. 276 che regolamentavano il lavoro accessorio sono stati più volte modificati, a partire dal 2005 e i numerosi provvedimenti che si sono succeduti in questi 12 anni hanno di fatto trasformato un istituto “residuale e riservato a particolari tipologie di lavoratori e di lavori” ad istitu-

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to “universale” (ad eccezione dei lavoratori agricoli). Infatti con la normativa della Legge 92/2012 in tutti i settori produttivi, ogni tipologia di lavoratore può essere attivata per questo tipo di attività pur entro delimitazioni ben definite, tenendo conto anche della irrilevanza fiscale di questi proventi (limite dei compensi per anno civile 7.000 euro, limite di 3000 euro compatibili con prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (cassa integrazione, disoccupazione, ecc.), limite di 2000 euro di committenza per ciascun imprenditore o professionista). Ora il Decreto Legislativo n. 81 del 15.6.2015, attuativo del Jobs Act, (vedi bloc notes 4/2015) abroga completamente gli articoli 70-73 del D.Lgs. 276/2003 e disciplina l’istituto con tre articoli, il 48, il 49 ed il 50 che ricalcano la normativa del 2012 con alcune correzioni ivi compresa la possibilità di ridefinire il valore orario del voucher e la suddivisione degli oneri. L’importo nominale del voucher è di 10 euro orarie e comprende la contribuzione che viene accreditata nella Gestione Separata (1,30 euro), quella in favore dell’INAIL (0,70 euro) e una quota per i costi di gestione del servizio (0,50 euro). L’importo netto spettante al lavoratore è di 7,50 euro. I dati dell’osservatorio INPS, che è l’organismo gestore del rilascio dei voucher e della riscossione dei contributi, vanno dall’istituzione (2008, data di prima sperimentazione per il lavoro agricolo della vendemmia) a metà 2015 ed evidenziano l’utilizzo di questo strumento in vigenza delle disposizioni normative precedenti. L’acquisto dei voucher La progressiva estensione degli ambiti oggettivi e soggettivi di utilizzo del lavoro accessorio è andata di pari passo con l’aumento della vendita dei voucher, che ha registrato un tasso medio di crescita del 70% dal 2012 al 2014, e del 75% nel I semestre 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. In termini numerici i voucher venduti sono passati dai 535.985 del 2008, ai 15.357.163 del 2011, ai 40.787.817 del 2013, ai 69.186.250 del 2014, ai 49.952.229 del 1° semestre 2015. Le modalità di acquisto, possibili in varie forme, vedono in testa le rivendite dei tabaccai, poi le poste ed infine l’INPS sia direttamente che in forma telematica.

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La tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il commercio (18,0%), seguono i servizi (13,7%), il turismo (13%), le manifestazioni sportive (7,9%), il giardinaggio e pulizie (6,8%). La consistenza della voce “altre attività” (31,5%; include “altri settori produttivi”, “attività specifiche d’impresa”, “maneggi e scuderie”, “consegna porta a porta”, altre attività residuali o non codificate) è il riflesso della storia del lavoro accessorio, all’origine destinato ad ambiti oggettivi di impiego circoscritti (quindi codificabili), negli anni progressivamente ampliati, fino alla riforma contenuta nella Legge n. 92 del 2012 che permette di fatto l’utilizzo di lavoro accessorio per qualsiasi tipologia di attività. La distribuzione territoriale vede in testa il nord-est (38,7%), poi il nord ovest (29%), il centro (17,5%), il sud (10%) e le isole (4,9%) In Lombardia è stato di gran lunga acquistato il numero maggiore di voucher (35,7 milioni dal 2008 al 2015). La riscossione dei voucher La riscossione dei voucher, strettamente connessa con l’acquisto, costituisce il risvolto dell’effettivo utilizzo dei voucher (possono anche essere restituiti in caso di mancato utilizzo). La riscossione effettuata dai lavoratori che hanno prestato l’attività lavorativa, è pari al 90,6% dei voucher venduti. La percentuale di riscossioni da parte delle donne è andata aumentando superando leggermente la componente maschile che è stata prevalente negli anni precedenti. L’età media dei lavoratori interessati si è andata abbassando sia per gli uomini che per le donne passando da 55-60 anni del 2008 a 34-37 anni del 2014. La quota di lavoratori di cittadinanza extracomunitaria si attesta intorno all’8% circa. Il turn over di lavoratori che utilizzano i voucher è elevato: nel 2014 il 66% non aveva utilizzato voucher negli anni precedenti; questo è all’incirca il turn over anche negli anni precedenti. Il numero medio di voucher riscossi da ciascun lavoratore per anno civile dal 2010 si attesta intorno alle 60 unità che tradotte in valore economico sono 500 euro (al netto dei contributi e dei costi trattenuti) annue circa.

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I numeri riflettono la gestione formale dei voucher ed evidenziano un fenomeno in grande espansione. Evidentemente i numeri da soli non possono evidenziare l’uso appropriato o meno di questo strumento perché se è di indubbio valore la regolarità di prestazioni occasionale ed accessorie, sarebbe di gran lunga problematica l’attrazione verso questa tipologia di coperture di lavori continuativi ancorché delimitati nel tempo o stagionali che danno benefici contributivi e di welfare ben più rilevanti.

RISORSE WEB www.inps.it Osservatori statistici: Lavoratori parasubordinati Lavoro accessorio

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www.


RIDURRE LE DISEGUAGLIANZE Il convegno di studio delle ACLI

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i è tenuto il 17/19 settembre 2015, ad Arezzo l’annuale convegno di studi delle ACLI che ha affrontato il tema delle disuguaglianze, ovvero l’esigenza di “ridurre le disuguaglianze per animare la democrazia”. Il titolo del convegno trova ispirazione nel salmo 85-11 che ancor prima che venisse indetto l’Anno Santo della misericordia lega indissolubilmente misericordia e verità, giustizia e pace”. Pubblichiamo il manifesto che indica i contenuti che sono stati al centro di relazione e dibattiti di grande spessore culturale e di stimolo per l’azione sociale e politica. Salmo 85-11 Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno Alle porte della vostra Associazione oggi bussano nuove domande, che richiedono nuove e qualificate risposte. Quello che è cambiato nel mondo globale non sono tanto i problemi, quanto la loro dimensione e la loro urgenza. Inedite sono l’ampiezza e la velocità di riproduzione delle disuguaglianze. Ma questo non possiamo permetterlo! Dobbiamo proporre alternative eque e solidali che siano realmente praticabili. (Papa Francesco, discorso alle Acli, 23 maggio 2015). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (art. 3 comma 2, Costituzione italiana). Solo la nostra azione collettiva in quanto cittadine e cittadini, assieme alla società civile, alle imprese e alle istituzioni locali, nazionali e internazionali potrà consentire di vincere le grandi sfide connesse al cibo: combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi (Carta di Milano, Expo).

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La diseguaglianza soffoca La diseguaglianza che cresce tra gli uomini e le donne del nostro tempo è insopportabile. Se per pochi la qualità della vita offre opportunità di benessere inimmaginabili, molti altri combattono - anche tra loro - per raggiungere una condizione umana appena dignitosa. Nel mondo questo squilibrio, originato da sistemi economici ingiusti e processi politici insensibili, è aggravato da derive neoliberiste, terrorismo internazionale, finanza priva di etica, disastri ambientali, conflitti disumani. C’è una continua dispersione sociale che impoverisce la nostra coscienza di popolo e mina le basi per una reale partecipazione democratica dei cittadini. I più deboli sono i primi a pagarne le conseguenze. L’ingiustizia sociale toglie il respiro alla pace e soffoca la comunità. La diseguaglianza è un fatto Ridurre le disuguaglianze è un compito arduo, alto, possibile e che ci riguarda, se desideriamo un mondo più giusto e se immaginiamo uno sviluppo umano sostenibile, rispettoso del creato e pacificato nelle sue relazioni. La crescita della diseguaglianza ha dimensioni mondiali e nazionali: nell’area Ocse il 10% più ricco della popolazione guadagna circa 10 volte di più del 10% più povero, quando solo pochi decenni fa - negli anni Ottanta - il rapporto era di poco superiore a 7. Oxfam sostiene che il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110mila miliardi di dollari, ovvero 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera. Ma la diseguaglianza non cresce solo tra i Paesi. Anche nei Paesi il divario è in crescita. Ad esempio in Italia l’Istat rileva che il 28,4% delle persone è a rischio di povertà o di esclusione sociale, in una situazione in cui il 20% più ricco delle famiglie residenti percepisce poco meno del 40% del reddito totale, quando al 20% più povero spetta poco meno dell’8%. Questi sono alcuni numeri della diseguaglianza: sono dei fatti concreti. Noi li vediamo. “L’inequità è la radice dei mali sociali” afferma Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (202) e subito dopo aggiunge che la dignità di ogni persona umana e il bene comune sono le questioni su cui la politica economica dovrebbe fondarsi. Sistema economico e sistema politico hanno bisogno di criteri etici che fondino le scelte: la solidarietà per considerare la funzione della proprietà a servizio della destinazione universale dei beni; la carità per ispirare non

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solo i semplici rapporti personali ma anche i macro rapporti socio-economici e politici. È del tutto evidente come il mercato, da solo, non sia sufficiente a regolare la vita comune; nella pratica esso produce inefficienza, instabilità, ineguaglianze quando manca un intervento politico equilibrato. Occorre la politica: eppure dobbiamo anche prendere amaramente atto che il popolo sembra avere sempre meno peso nelle decisioni che riguardano il modello economico e sociale e le relazioni internazionali su cui si fonda. Anche questo è un problema. Sono diversi i nomi con cui chiamiamo la diseguaglianza: disoccupazione e working poor; rinuncia allo studio e blocco della mobilità sociale; le carenze infrastrutturali del Mezzogiorno; assenza di ricambio generazionale; povertà delle famiglie e vulnerabilità del ceto popolare; crisi finanziaria e riorganizzazioni aziendali; erosione dei diritti di cittadinanza e degli spazi di democrazia. Molti sono i suoi generatori. Ne abbiamo una prova costante nel nostro Paese: • illegalità, che nelle sue tante maschere - dalla corruzione generalizzata alle mafie, dalla micro criminalità all’abusivismo - frena la libera iniziativa di singoli e di organizzazioni; • individualismo valoriale, che ci porta a uno sterile narcisismo e a preferire la competizione alla cooperazione; abitudine ai compromessi, che alimenta omertà e assuefazione alle ingiu• stizie e a favoritismi; • debolezza del rapporto democratico tra cittadini e loro rappresentanti, che conduce a derive populiste o, ai nostri tempi, a scorciatoie digitali; speculazione finanziaria selvaggia, che nella sua avidità desertifica l’eco• nomia; • progressiva riduzione della spesa per le politiche sociali, che porta all’isolamento delle persone in difficoltà. Sentirsi popolo: la prima rivoluzione è stare insieme Questi generatori di ingiustizia sono come forze centrifughe che emarginano ed escludono socialmente soprattutto i giovani, gli immigrati, le donne, le famiglie, i lavoratori meno tutelati. D’altra parte quando rincorriamo i nostri interessi per garantirci la sopravvivenza o per conservare posizioni di privile-

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gio, quando escludiamo a priori il diverso, quando adoriamo il denaro, quando non ci sentiamo più responsabili dell’altro, allora viene meno il nostro patto civico e avvertiamo la paura di essere non-popolo. Eppure sentiamo il vento della speranza di essere un popolo in molte altre esperienze: nell’ospitalità dei lampedusani; nelle piccole e medie imprese dei distretti industriali che non mollano e continuano a promuovere creatività, ispirate a un modello di comunità che lavora; nei giovani che, soprattutto nel Mezzogiorno, non si arrendono alla precarietà, lottano per un lavoro dignitoso e ne ricercano uno anche oltre i confini nazionali; in quei cittadini che fanno dell’Italia il primo Paese in Europa per impegno volontario; in quelle famiglie che sopperiscono alla mancanza delle istituzioni e generano le prime ed essenziali pratiche di solidarietà e fiducia… Sono tutte esperienze che generano sia speranza sia relazioni umane: dall’Io attuale al Noi futuro. Passare dal “non mi riguarda” al “mi preoccupo dell’altro” è la prima rivoluzione necessaria. È una conversione interiore che chiede un cambiamento nella nostra filosofia di vita per aprirci alla condivisione e sostenere le opportunità di realizzazione creativa e originale di ognuno. Serve l’impegno per una rivoluzione relazionale che ci permetta di riscoprire l’appartenenza a un comune destino. Per questo è essenziale il ruolo politico e non solo esecutivo, dei corpi intermedi, che sono in grado di essere collante tra le persone e che diventano filtro e ammortizzatore tra i singoli cittadini e le istituzioni. “Una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia è la radice dello stare insieme” - afferma ancora Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. “La pace non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. La pace si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini. In definitiva, una pace che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza”. Animare la democrazia: la seconda rivoluzione è educativa Lo sviluppo integrale della persona si realizza attraverso il perseguimento del bene di tutti e di ciascuno e nel rispetto pieno della dignità umana, dal

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concepimento alla morte naturale. Tale sviluppo passa anche attraverso le dimensioni sociali e politiche. Sono dimensioni che non possono trascurare il protagonismo di ognuno, che anima la democrazia e che si nutre del dovere di partecipare alla vita sociale. La partecipazione è un atteggiamento da trasmettere alle generazioni future attraverso l’esempio e la testimonianza, aprendo spazi di solidarietà ai giovani in cui essi possano esprimersi e verificarsi come cittadini liberi e responsabili. Come afferma papa Francesco “In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che ‘‘l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale. Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta” (EG 218-220). Insomma possiamo vivere la democrazia aprendo occhi, orecchie e bocca. Non possiamo rinunciare ad animare la democrazia dal basso. Se vogliamo diventare popolo dobbiamo lasciarci catturare dal gusto del civile, è necessario essere presenti sul territorio, conoscere i problemi dell’uomo della strada e partecipare alla vita delle piazze avanzando istanze centrali per il benessere. Non possiamo essere complici di un appiattimento collettivo che tende a generare continue insicurezze mentre descrive la chiusura a riccio nei piccoli egoismi, le tragedie di famiglie distrutte, le accuse verso l’altro generalizzato che siano istituzioni italiane o il vicino di quartiere, che sia l’Unione europea o il cittadino migrante. Così si alimentano linguaggi e atteggiamenti violenti che sfociano nel razzismo e nella xenofobia. Proprio per questo la seconda rivoluzione è educativa: per promuovere dignità umana e bene comune servono una coscienza civica, una condivisione della responsabilità tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, una partecipazione vivace per animare una democrazia che contrasti le disuguaglianze nel dialogo rispettoso delle differenze: allora Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno (Sal. 85,11). La forza di un processo educativo è nella valorizzazione delle potenzialità esistenti.

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L’educazione parte dall’individuazione delle proprie ricchezze e dei propri bisogni, dalla circolazione delle idee e dalla capacità comunicativa: serve creare legami tra i tanti luoghi di vera innovazione sociale per favorire la maturazione di una coscienza collettiva che racconta prospettive di futuro. Occorre connettere buone pratiche solidali perché emergano i frutti delle tante esperienze che dimostrano un mondo possibile. Lavoro e formazione professionale, istruzione ed educazione, assistenza, ambiente, democrazia politica ed economica, comunità locale sono ambiti di intervento fondamentali che promuovono opportunità per i cittadini e li rendono protagonisti della costruzione del bene comune. Dare a ciascuno il giusto: la terza rivoluzione è economica Quando si riducono alla logica di mercato i legami sociali, gli stili di vita e ogni pensiero, allora si soffocano gli spazi di vita delle persone: uomini e donne diventano oggetto per aumentare i profitti. Sappiamo che quando si perde l’orientamento è facile superare il limite e non vedere più la regola o la norma fino a cadere negli eccessi: da soggetti si diventa semplicemente oggetti. È allora necessario un nuovo pensiero sull’economia. Dobbiamo riscoprire la sua naturale vocazione e riscoprire il suo nome, ovvero la dimensione dell’abitare la casa dell’uomo secondo la “giusta misura”. Vogliamo un’economia che serva e non essere servi di un’economia tirannica. L’economia è uno strumento per le persone, nasce per creare “le regole della casa”, per prestare attenzione a tutti gli abitanti della “casa”, in considerazione delle differenze peculiari di ognuno. Per ridurre le disuguaglianze riteniamo essenziale un modello che riduca le iniquità e non le riproduca: un sistema in grado di redistribuire le risorse. Vogliamo un’economia in continua dialettica con la democrazia e le sue scelte, che tiene conto degli effetti sulla società per monitorare l’efficacia della propria azione, che considera il benessere di tutta la comunità un elemento necessario allo sviluppo e alla sua stabilità. Per questo scegliamo un modello di economia civile: perché mette al centro la persona, perché si fonda sul territorio, sulla comunità come luogo concreto dove realizzare una sintonia tra cittadini, famiglie, lavoratori, imprese, istituzioni locali, organizzazioni del Terzo settore. Vogliamo costruire una de-

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mocrazia economica che punti alla chiarezza e alla trasparenza delle regole, a sistemi di partecipazione e di governance per il controllo del sistema economico, al coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte dell’impresa che conferisce stabilità e senso di appartenenza; alla creazione di condizioni per favorire la libera iniziativa. L’economia civile considera insieme allo scambio di equivalenti la reciprocità di una relazione; la gratuità che indica il fine di un lavoro e aiuta a trattare con rispetto e dignità l’altro invece di prosciugarlo delle sue forze; la fraternità che mitiga il conflitto competitivo e lo trasforma in concorrenza leale. Ci sono iniziative da sostenere dal voto con il portafoglio alla regolamentazione delle transazioni finanziarie internazionali, dai distretti di economia solidale ai gruppi di acquisto solidale. Conclusione: nessuno sia escluso Non basta un sms - come in alcune pur benefiche iniziative - per “fare solidarietà”. Offrire un contributo è un primo passo, ma non è sufficiente. La solidarietà che conviene crea legami, sviluppa interdipendenza tra le persone e tra i popoli. Non possiamo permetterci di disperdere le tante risorse esistenti dobbiamo comporle in un unico quadro d’insieme. La nostra azione nasce dalla preoccupazione e dalla cura verso il nostro prossimo, parte dall’inclusione dell’altro attraverso gesti di condivisione concreti, prossimi e quotidiani che “mettono insieme”, perché possano essere attrattivi e perché si generi speranza. Non basta un gesto. Costruire una società in cui si possa dire - come afferma la nostra campagna - Nessuno escluso è, in realtà, un cammino di speranza.

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Attualità

Il computo nella gestione separata

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Come è noto il diritto alla pensione nella gestione separata trova la sua fonte normativa nel D.M. 282 del 2 maggio 1996. Pur essendo detto dispositivo in vigore da tanto tempo gli ultimi chiarimenti dell’INPS rendono opportuna la messa a punto delle informazioni anche particolari ma rilevanti per la gestione dell’attività di patrocinio, con particolare riferimento al “computo” nella gestione. Il D.M 282/96 all’articolo 1 prevede

NORMATIVA Ai sensi della Legge 8 agosto 1995, n. 335, gli iscritti alla gestione pensionistica dei lavoratori autonomi di cui all’art. 2, comma 26, della predetta legge hanno diritto alla pensione di vecchiaia, alla pensione di inabilità, all’assegno di invalidità e alla pensione ai superstiti, secondo le disposizioni previste per la gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali di cui alla Legge 2 agosto 1990, n. 233. I trattamenti sono liquidati con il sistema contributivo e l’aliquota di computo, di cui all’art. 1, comma 8, della predetta Legge n. 335 del 1995, è stabilita nella misura del 10 per cento. (aliquota variata e differenziata nel tempo come è noto)

Mentre i requisiti pensionistici sono quelli tipici del sistema contributivo puro, la formazione del montante contributivo per il calcolo si effettua utilizzando l’aliquota di computo che è variata nel tempo ed è anche stata differenziata.

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Attualità Ricordiamo che nel 2015 l’aliquota di computo ai fini pensionistici è pari al 30% per i collaboratori, al 27% per le partite IVA, al 23,50% per i titolari di altre coperture o pensioni, con la previsione di raggiungere il 33% come per i lavoratori dipendenti. La copertura per l’intero anno (12 mesi di contribuzione) si ha su un reddito pari a 15.548,00 euro che è il minimale contributivo per la gestione commercianti, al di sotto del quale si avrà un accredito parziale di mensilità. Per i neoassunti dal 1.1.1996 esiste anche un tetto retributivo oltre il quale non è dovuta alcuna contribuzione: 2015 = 100.324,00 euro.

NOTA BENE Si rammenta che la contribuzione nella gestione separata è accreditata in relazione all’anno di versamento dei contributi che seguono il criterio di cassa delle retribuzioni e non la data che potrebbe essere anche antecedente (ad esempio dell’anno o a cavallo dell’anno precedente) dell’esercizio dell’attività. L’accredito avviene a mesi ed è possibile coprire l’anno intero in presenza di un compenso pari o superiore al reddito minimo predetto. Si intende per iscritto alla gestione separata il lavoratore che ha almeno un contributo mensile nella gestione, essendo il contributo mensile l’unità di misura dei contributi alla gestione. Non dunque la sola iscrizione che non abbia dato luogo ad alcun accredito, iscrizione che per altro non viene mai meno atteso che non è prevista la cancellazione. In sostanza si è iscritti alla gestione se vi è un versamento contributivo.

Il computo dei periodi assicurativi Il computo dei periodi assicurativi nella gestione separata è normato dall’articolo 3 nei seguenti termini.

NORMATIVA Gli iscritti alla gestione separata che possono far valere periodi contributivi presso l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, le forme esclusive e sostitutive della medesima, le gestioni pensionistiche dei lavoratori autonomi di cui alla Legge n. 233 del 1990 hanno facoltà di chiedere nell’ambito della gestione separata il computo dei predetti contributi, ai fini del diritto e della misura della pensione a carico della gestione stessa, alle condizioni previste per la facoltà di opzione di cui all’art. 1, comma 23, della Legge n. 335 del 1995.

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Attualità I trattamenti pensionistici, anche erogati col computo nella gestione separata, soggiaciono al sistema contributivo integrale previsto per i lavoratori iscritti per la prima volta dopo il 31.12.1995. La pensione maturata col computo è liquidata interamente col sistema contributivo anche per i periodi anteriori al 1996. La decorrenza della pensione è fissata dal 1° giorno del mese successivo alla data di esercizio della facoltà di computo (contestuale alla presentazione della domanda di pensione). La facoltà di computo è esercitatile in presenza di contribuzione nelle altre gestioni indicate nel Decreto Ministeriale sia che esse si collochino solo antecedentemente al 1.1.1996, sia che si collochino prima e dopo. Nel caso in cui si collochino solo successivamente al 1.1.1996 non è possibile il computo perchè non vi sono le condizione per l’opzione al sistema contributivo in quanto già integralmente nel sistema contributivo. L’esercizio del computo è una facoltà che si esercita a domanda al momento della presentazione della domanda di pensione; pertanto non si avrà alcun computo senza esplicita richiesta che richiede, inutile dirlo, una valutazione concernente l’utilità e la convenienza. Il computo è possibile per espressa disposizione della normativa citata “alle condizioni previste per la facoltà di opzione” di cui al comma 23 art. 1 della Legge 335/95. Essere nelle condizioni di esercizio del computo non vuol dire inoltrare anche una specifica domanda di opzione al contributivo, richiede solo la verifica di essere in tale condizione che si realizza: • con un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31.12.1995; • con un’anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni di cui almeno 5 collocati dopo il 1.1.1996. Ai fini di valutare l’anzianità contributiva dei requisiti indicati si valuta la contribuzione posseduta, ivi compresa quella figurativa, volontaria e da riscatto non già utilizzata per la liquidazione di un trattamento pensionistico, non coincidenti temporalmente. La contribuzione rilevante è quella delle gestioni indicate dall’art. 3 del Decreto Ministeriale citato, dunque con esclusione delle Casse dei liberi professionisti, del fondo clero, dei fondi integrativi (es. Enasarco). Qualora la contribuzione fosse stata oggetto di una ricongiunzione in una delle Casse escluse dal Computo (ad esempio in una Cassa dei liberi professionisti) non potrà più essere utile per il computo. Ai fini del computo il requisito può essere perfezionato anche sulla base dei periodi assicurativi risultanti negli stati membri dell’Unione Europea o in Paesi coi quali sono in vigore accordi bilaterali di sicurezza sociale.

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Attualità Non è ostativo alla facoltà di computo il fatto di aver già maturato in una gestione da utilizzare nel computo il diritto a pensione, semprechè tale contribuzione non abbia dato luogo ad una liquidazione del trattamento pensionistico. Non è ostativa la titolarità di una pensione in un fondo che non rientra tra quelli utili per il computo. La facoltà di computo deve riguardare tutti e per intero i periodi assicurativi ed i periodi coincidenti mentre possono essere conteggiati una sola volta, sono utili singolarmente per la determinazione della misura della pensione.

Pensione di vecchiaia e anticipata Per la pensione di vecchiaia e anticipata si osservano i requisiti vigenti per coloro che hanno il primo versamento contributivo successivamente al 31.12.1995 che dal 1.1.2012 sono quelli introdotti dalla riforma Monti Fornero (li rammentiamo per aver una quadro immediato del diritto anche in questa fattispecie): Requisiti per accesso alla pensione di vecchiaia prima del compimento del 70° anno d’età Anno

Requisito anagrafico Lavoratori iscritti alla Gestione Separata

Lavoratrici iscritte alla Gestione Separata

2012

66 anni

63 + 6 mesi

2013

66 + 3 mesi

63 + 9 mesi

2014

66 + 3 mesi

64 + 9 mesi

2015

66 + 3 mesi

64 + 9 mesi

2016

66 + 7 mesi

66 + 1 mese

2017

66 + 7 mesi

66 + 1 mese

2018

66 + 7 mesi

66 + 7 mesi

Requisito contributivo

Importo minimo di pensione

20 anni di contribuzione (qualsiasi contribuzione)

1,5 volte l’importo dell’Assegno sociale

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Attualità Requisiti per accesso alla pensione di vecchiaia dopo il compimento del 70° anno d’età Requisito anagrafico

Anno

Incrementi aspettativa di vita

Requisito anagrafico con aumento

2012

-

70 anni

2013

3 mesi

70 + 3 mesi

3 mesi

70 + 3 mesi

3 mesi

70 + 3 mesi

2016

7 mesi

70 + 7 mesi

2017

7 mesi

70 + 7 mesi

2018

7 mesi

70 + 7 mesi

2014 2015

70 anni

Requisito contributivo

Importo minimo di pensione

5 anni di contribuzione effettiva

Nessuno

Requisito contributivo per l’accesso alla Pensione Anticipata

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Anno

Uomini

Req. in sett.

Donne

Req. in sett.

2012

42 + 1 mese

2188

41 + 1 mese

2136

2013

42 + 5 mesi

2205

41 + 5 mesi

2153

2014

42 + 6 mesi

2210

41 + 6 mesi

2158

2015

42 + 6 mesi

2210

41 + 6 mesi

2158

2016

42 + 10 mesi

2227

41 + 10 mesi

2175

2017

42 + 10 mesi

2227

41 + 10 mesi

2175

2018

42 + 10 mesi

2227

41 + 10 mesi

2175

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Attualità Requisiti per la pensione anticipata con 20 anni di contribuzione Anno

Requisito contributivo

Requisito Incrementi anagrafico speranza di vita minimo

Requisito anagrafico con aumento

2012

-

63 anni

2013

3 mesi

63 + 3 mesi

3 mesi

63 + 3 mesi

3 mesi

63 + 3 mesi

7 mesi

63 + 7 mesi

2017

7 mesi

63 + 7 mesi

2018

7 mesi

63 + 7 mesi

2014 2015 2016

20 anni di contribuzione effettiva

63 anni

Importo minimo di pensione

2,8 volte l’Assegno sociale

Al riguardo di quest’ultima facoltà di pensionamento anticipato giova rammentare come essa possa costituire una alternativa, considerata l’utilità di acquisire la pensione nel sistema contributivo, alla pensione anticipata con 41/42 anni di contributi ovvero alla pensione di vecchiaia con più elevati limiti di età, in presenza di almeno 20 anni di contribuzione “effettiva” ed alle condizioni di età e di importo indicate.

Salvaguardia dei requisiti previgenti Dopo aver esplicitato i requisiti vigenti dal 1.1.2012, rammentiamo che la facoltà di computo è possibile anche per conseguire la pensione con i requisiti vigenti anteriormente indipendentemente dalla data di esercizio della facoltà di computo, ancorché la decorrenza della pensione non possa che essere successiva alla data della domanda. Pertanto in presenza delle medesime condizioni per il computo sopra specificate è necessario avere presenti i requisiti vigenti prima del 2012 ed anche considerare che oltre al requisito in tal caso è necessario rispettare le condizioni di accesso (finestre). Rammentiamo che i requisiti per la pensione di vecchiaia del sistema contributivo erano: 65 anni di età, gli uomini; 60 anni; le donne; con un requisito minimo di 5 anni di contribuzione effettiva. Per le donne che accedono alla pensione con un’età inferiore ai 65 anni è richiesta l’ulteriore condizione che l’importo della pensione maturata al 31/12/2011 non sia inferiore a 501,74 euro mensili (1,2 l’Assegno Sociale).

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Attualità Con riferimento alla salvaguardia dei requisiti previgenti rammentiamo anche quella dei requisiti pensionistici di vecchiaia in vigore fino 31 dicembre 2007, all’epoca senza l’obbligo della “finestra”: • un’età anagrafica minima di 57 anni, valida sia per gli uomini che per le donne; • un requisito contributivo di almeno 5 anni di contribuzione effettiva; • un importo minimo di pensione pari a 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale per tutti coloro che richiedessero la pensione prima dei 65 anni (per il 2007 l’importo soglia era di 467, 23 euro mensili). Per ottenere la pensione con i previgenti requisiti di età, contribuzione e importo soglia rispettivamente al 31.12.2011 o al 31.12.2007 i lavoratori che esercitano la facoltà di computo devono far valere, alle medesime date, anche le condizioni per l’esercizio dell’opzione al sistema contributivo (15 anni di contribuzione, di cui 5 dopo il 1996 e un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni al 31.12.1995). Resta sempre il limite della decorrenza successiva alla domanda di computo.

Pensione di inabilità ed assegno ordinario di invalidità Anche per queste prestazioni è possibile utilizzare il computo nella gestione separata utilizzando la contribuzione maturata nelle gestioni assicurative computabili e nelle medesime condizioni di facoltà di opzione. I trattamenti in questione sono gli stessi previsti dalla Legge 222/84. Medesimi sono i requisiti sanitari. In caso di diritto a pensione di inabilità, la maggiorazione convenzionale è riconosciuta secondo le modalità del sistema contributivo. Essa è determinata in relazione al periodo mancante al compimento del 60° anno d’età, indipendentemente dal sesso e dalla gestione, comunque entro l’anzianità contributiva massima di 40 anni, tenendo conto dei periodi maturati nelle diverse gestioni coinvolte dal cumulo. Secondo l’INPS per il calcolo della maggiorazione convenzionale si tiene conto dei redditi (ultime 260 settimane di contribuzione) relativi ai soli periodi accreditati nella GS e dell’aliquota di computo vigente nella medesima gestione, anche se l’ultima gestione antecedente il pensionamento di inabilità non è la gestione separata. Occorre tuttavia avere presente, che in alternativa alla facoltà di computo oppure in assenza delle condizioni per il suo esercizio, la pensione di inabilità viene liquidata con l’istituto del “cumulo forzoso”, previsto dall’articolo 1, comma 240, della Legge n. 228 del 2012 (vedi circolare INPS n. 140 del 2013).

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Attualità Anche l’assegno ordinario di invalidità può essere conseguito col computo nella gestione separata. Con la trasformazione in pensione di vecchiaia dell’AOI conseguito con il computo, in caso di eventuale accredito di contribuzione successiva alla decorrenza dell’assegno in una gestione già ricompressa nel computo l’AOI si trasforma in pensione di vecchiaia secondo le regole generali. Nel caso invece nel quale la contribuzione successiva fosse in una gestione non già ricompressa nel computo è data possibilità di riesercitare la facoltà di computo al fine di valorizzare anche la contribuzione di quest’ultima gestione. Nel caso di revoca o mancata conferma dell’AOI il computo eventualmente esercitato in precedenza per ottenere tale prestazione non è vincolante ai fini di maturare una pensione nuova anche con il regime misto.

Pensione indiretta ai superstiti La facoltà di computo è possibile anche per i superstiti aventi diritto in presenza di un dante causa che avesse i requisiti per la concessione di tale prestazione come per la generalità delle pensioni ai superstiti. Ma è anche necessario che il de cuius avesse le condizioni per l’opzione al sistema contributivo. La pensione ai superstiti decorre dal mese successivo al decesso dell’assicurato.

Pensione supplementare e supplementi di pensione I commi 2 e 3 dell’articolo 1, D.M. 282/96 disciplinano il diritto alla pensione supplementare ed al supplemento di pensione.

NORMATIVA 2. Qualora gli iscritti alla gestione non raggiungono i requisiti per il diritto ad una pensione autonoma, ma conseguono la titolarità di un trattamento pensionistico a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle forme esclusive e sostitutive della medesima, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, di cui alla Legge n. 233 del 1990, nonché delle gestioni previdenziali obbligatorie dei liberi professionisti hanno diritto alla liquidazione della pensione supplementare ai sensi dell’art. 5 della Legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni, sempreché in possesso del requisito di età di cui all’art. 1, comma 20, della Legge n. 335 del 1995. 3. I contributi versati nella gestione separata per periodi successivi alla data di decorrenza della pensione a carico della gestione stessa danno titolo a un supplemento di pensione. La liquidazione del supplemento può essere richiesta per la prima volta quando sono decorsi due anni dalla data di decorrenza della pensione e, successivamente, dopo cinque anni dalla data di decorrenza del precedente supplemento.

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Attualità Fermo restando che nella gestione separata è possibile maturare anche la pensione supplementare per ottenere la quale è necessario avere conseguito una pensione principale a carico dell’a.g.o. dei lavoratori dipendenti, delle forme esclusive e sostitutive, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi ed anche a carico di una cassa dei liberi professionisti, in presenza di analoghe pensioni principali è possibile maturare una pensione supplementare anche con il computo nella gestione delle forme previdenziali computabili. Per verificare il diritto a questa pensione è dunque necessario: • non aver conseguito una pensione autonoma nella gestione separata, • essere in possesso delle condizioni per l’opzione al sistema contributivo (non rilevano i contributi di precedenti gestioni se hanno dato luogo alla pensione di cui il soggetto richiedente è titolare). • l’età pensionabile prevista nella gestione separata alla data di presentazione della domanda in caso di pensione supplementare di vecchiaia. I periodi contributivi versati nella gestione separata, successivamente alla decorrenza del trattamento conseguito con la facoltà di computo, danno luogo, a domanda, ad un supplemento di pensione. Secondo l’INPS nell’ipotesi che successivamente alla liquidazione della pensione col computo, sia stata versata contribuzione in una gestione diversa, “in mancanza di specifiche disposizioni normative” non è possibile riconoscere né il supplemento, né una pensione supplementare. Dopo questa affermazione contenuta nella circolare n. 184/2015 l’INPS si preoccupa di indicare che la contribuzione successiva può dar luogo ad una pensione autonoma qualora ricorrano i requisiti del sistema contributivo puro (ad esempio a 70 anni, 5 anni di contribuzione effettiva) senza bisogno di dimostrare un’altra volta di essere nelle condizioni per l’esercizio dell’opzione (- 18 anni al 95, almeno 15 anni di cui 5 successivi al 1996). Inutile dire che ci sembra un passaggio critico, poco condivisibile perché nel momento in cui è previsto il computo di diverse gestioni anche quando l’ultima gestione non è la gestione separata, ci pare difficile sostenere che non sia possibile considerare a supplemento una tipologia che ha le caratteristiche per essere computata prima della liquidazione della pensione.

RISORSE WEB www. normattiva.it D.M. 282 del 2.5.1996 www.inps.it Circolare INPS n. 184 del 18.11.2015

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www.


m Attualità

Rivalutazione del montante contributivo

Con il Decreto Legge 21.5.2015 n. 65, convertito in Legge 17.7.2015 n. 109 è stata affrontato non solo il rimedio alle previsioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015; è stato anche definito con l’art. 5 il modo di affrontare il tema della rivalutazione del montante contributivo che la legge di riforma delle pensioni (la Legge 335 del 1985) con l’introduzione del sistema contributivo aveva così definito: la contribuzione derivante dalla aliquota di imposizione si rivaluta su base composta al 31 dicembre di ciascun anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione. Quest’ultimo è dato dalla ‘‘variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, (PIL), nominale appositamente calcolata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare“. Non si era posto, almeno in modo evidente, il tema di una possibile situazione di recessione nella quale pur in presenza di una media quinquennale del PIL che attutisce le variazioni annuali, ci si poteva trovare una situazione negativa prolungata con conseguente riduzione anziché rivalutazione del montante. Si veda infatti nella tabella seguente la dinamica delle rivalutazioni degli anni precedenti e quella che sarebbe stata la situazione con le pensioni aventi decorrenza 2015, in presenza dei dati dell’ultimo anno.

5 2015

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Attualità Anno rivalutazione

Dinamica quinquennale PIL

1997

1,055871

1998

1,053597

1999

1,056503

2000

1,051781

2001

1,047781

2002

1,043698

2003

1,041614

2004

1,039272

2005

1,040506

2006

1,035386

2007

1.033937

2008

1,034625

2009

1.033201

Anno rivalutazione

Dinamica ultimo quinquennio

2010

1,017935

2011

1,016165

2012

1,011344

2013

1,001643

2014

0,998073

È evidente come in questa fattispecie, sia pure di poco, il montante contributivo avrebbe subito una diminuzione. Il dibattito che si è aperto tra i difensori della logica attuariale del sistema contributivo ( in caso di PIL negativo è da prevedere che l’ammontare dei contributi possa subire una decurtazione, considerando che in linea di massima la tendenza sui tempi lunghi darebbe comunque un esito positivo) e i sostenitori delle logiche pubbliche del sistema pensionistico (non vi può essere “rivalutazione negativa”, perché sarebbe una contraddizione in termini ed il capitale accumulato va comunque protetto) ha dato origini alle scelte attuate dal Decreto Legge. Per altro con una formulazione controversa che alla fine ha trovato una soluzione di compromesso. Il Decreto Legge infatti afferma, introducendo al comma 9, art. 1 il seguente periodo: “in ogni caso il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione di cui al

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Attualità primo periodo del presente comma non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”. Con questa formulazione le pensioni da liquidare nel 2015 non avrebbero avuto alcuno svantaggio poiché l’indice 0,998073 sarebbe stato sostituito dall’indice 1, senza possibilità di recupero in assenza di ulteriori accumuli contributivi. Ma per i lavoratori pensionabili successivamente vi sarebbe stato il “recupero” sulle rivalutazioni successive nella fattispecie un recupero di 0,0019271 (differenza tra 1 e 0,998073). È evidente che si tratta di scostamenti piccoli, ma solo le prospettive di miglioramento dell’economia possono fugare scenari peggiori; scenari già molto negativi se, anche volendo prescindere da ipotesi più funeste, si guarda al ridimensionamento delle rivalutazioni fin dal 97 in poi: solo nel 1999 si è avuto un miglioramento mentre la decrescita dell’ultimo quinquennio è di tutta evidenza. In sede di conversione in legge si è posto un rimedio a questa primo “baco” negativo del sistema indicando anche le risorse che la deroga al sistema ha richiesto. Il rimedio consiste in questo: “in sede di prima applicazione delle disposizioni del terzo periodo del comma 9 dell’art. 1 della Legge 8 agosto 1995 n. 335, introdotto dal comma 1 del presente articolo, (il periodo sopra trascritto in corsivo) non si fa luogo al recupero sulle rivalutazioni successive di cui al medesimo periodo”. In altri termini il legislatore ha deciso una deroga al principio generale che per il 2015 non produce effetti negativi e nemmeno, con l’ultimo aggiustamento, li trascina in futuro. Resta aperto il tema nelle ipotesi di recessioni future che tuttavia nel dibattito quotidiano sull’andamento della nostra economia sembrano scongiurate. Con il messaggio 6462 del 20 ottobre 2015 l’Istituto ha dato indicazione alle sedi per liquidare in via definitiva le pensioni che per le ragioni sopra indicate, definite con la conversione nel luglio scorso del Decreto Legge e illustrate con la circolare n. 167/2015, erano state concesse in modalità provvisoria. Con il medesimo messaggio sono stati trasmessi anche i coefficienti di rivalutazione delle retribuzioni per le quote di pensione del sistema retributivo.

RISORSE WEB

www.

www.normattiva.it

Art. 5, D.L. n. 65. del 21.5.2015

www.inps.it

Circolare INPS n. 167 del 7.10. 2015 le ultime circolari

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r

Attualità

Rivalutazione rendite INAIL

Premessa Quando i postumi permanenti da infortunio lavorativo o malattia professionale sono valutabili in misura pari o superiore al 16 % di danno, l’INAIL costituisce una rendita che ha cadenza di pagamento mensile. Trattasi di un indennizzo che è composto dalla somma di due quote aventi diverse finalità: 1) la quota per il danno biologico, inteso come danno alla salute, che è unicamente collegata al tipo e alla gravità della menomazione; 2) la quota per il danno patrimoniale che è collegata alla gravità del pregiudizio apportato dalla menomazione all’attività svolta e a quelle della categoria di appartenenza, quindi alla residua capacità di produrre reddito. Mentre la quota per il danno biologico è fissa e uguale per tutti, quella per il danno patrimoniale è soggetta alla variabile della retribuzione percepita nell’anno precedente l’evento (intesa come data dell’infortunio o della malattia professionale).

LA RIVALUTAZIONE Ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, con effetto dall’anno 2000 e a decorrere dal 1° luglio di ciascun anno la retribuzione da assumere per la liquidazione delle rendite corrisposte dall’INAIL è annualmente rivalutata 5 2015

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Attualità con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta nell’anno precedente. Il D.M. 30.6.2015 ha fissato nella misura dello 0,19% la rivalutazione calcolata come indicato, stabilendo il minimale ed il massimale della retribuzione su cui calcolare la rendita in € 16.195,20 ed € 30.076,80, con decorrenza 1° luglio 2015. Per i lavoratori agricoli a tempo determinato la rendita è calcolata sulla retribuzione convenzionale di € 24.440,95, mentre per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato valgono i minimali e massimali dell’industria. Per i lavoratori autonomi la retribuzione convenzionale di riferimento è di € 16.195,20 (pari al minimale dell’industria). Con la rivalutazione di luglio vengono incrementati anche assegno una tantum i caso di morte (assegno funerario) a € 2.136,50 ed anche l’assegno per assistenza personale continuativa (l’”assegno di accompagnamento” erogato dall’INAIL) a € 533,22. Si rammenta che, ad eccezione dell’utilizzo di retribuzioni convenzionali che sono fisse, se il reddito annuo accertato è inferiore al minimale, la base per il conteggio viene ricondotta a quest’ultimo, se il reddito è superiore, l’importo per il calcolo è rapportato al massimale di legge; per le retribuzioni comprese fra il minimale e il massimale, il calcolo è determinato sulla retribuzione effettiva. Una volta che il Decreto Ministeriale abbia stabilito i nuovi minimali e massimali, tutte le rendite in corso di godimento sono ricalcolate su di essi, al fine di porle su di un identico metro salariale, indipendentemente dalla data nella quale si è verificato l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale. L’INAIL, in ottemperanza a tale disposizione, ha provveduto alla riliquidazione delle rendite con il rateo del mese di novembre 2015. Con l’occasione ha inviato ai titolari un prospetto di calcolo (mod 170/I e mod 171/I) attestante: • la nuova retribuzione a base della rendita; • il nuovo importo di rateo mensile; • gli arretrati a conguaglio spettanti dall’01/07/2015; • la situazione relativa alle quote integrative per familiari a carico in pagamento. Si tratta di prospetti che costituiscono occasione di verifica ad esempio delle quote integrative ma anche per interventi più complessi quali revisioni passive del grado percentuale di invalidità riconosciuta.

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Attualità ESEMPIO CASO 1. Retribuzione sul minimale Retribuzione effettiva: 13.250,00 € - Menomazione 17% - Coefficiente 0,4 Importo danno biologico = 1.320,84 € Importo danno patrimoniale = €uro 16.195,20 € (minimale dal 01/07/15) x 17 : 100 x 0,4 = 1.101,27 € Totale: 1.320,84 € (danno biologico) + 1.101,27 € (danno patrimoniale) = 2.422,11 € Rendita annua 2.422,11 € : 12 = Rendita mensile 201,84 €

CASO 2. Retribuzione sul massimale Retribuzione effettiva: 32.350,00 € - Menomazione 17% - Coefficiente 0,4 Importo danno biologico = 1.320,84 € Importo danno patrimoniale = 30.076,80 € (massimale dal 01/07/15) x 17 : 100 x 0,4 = 2.045,22 € Totale 1.320,84 € (danno biologico) + 2.045,22 € (danno patrimoniale) = 3.366,06 € Rendita annua 3.366,06 € : 12 = Rendita mensile 280,50 €

CASO 3. Retribuzione effettiva Retribuzione effettiva: 22.694,00 € Retribuzione effettiva rivalutata (0,19 % dal 01/07/15): 22.737,11 € Menomazione 17 % - Coefficiente 0,4 Importo danno biologico = 1.320,84 € Importo danno patrimoniale = 22.737,11 € x 17 : 100 x 0,4 = 1.546,12 € Totale 1.320,84 € (danno biologico) + 1.546,12 € (danno patrimoniale) = 2.866,96 € Rendita annua = 2.866,96 : 12 € = Rendita mensile 238,91 €

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Attualità Confronto luglio 2014/luglio 2015 Importi retributivi

Luglio 2014

Luglio 2015

Industria

Min. € 16.163,70 Max € 30.018.30

Min. € 16.195,20 Max € 30.076,80

Sportivi professionisti

Min. 16.163,70 Max 30.018.30

Min. € 16.195,20 Max € 30.076,80

€ 24.394,60

€ 24.440,95

Assegno di assistenza personale continuativa

€ 532,21

€ 533,22

Assegno una tantum (funerario)

€ 2.132,45

€ 2.136,50

Assegno incollocabilità

€ 255,90

€ 256,39

Importi convenzionali Agricoltura Prestazioni Inail

RISORSE WEB www.normattiva.it

D.Lgs. n. 38 del 23.02.2000

www.inail.it

Circolare INAIL n. 72 del 03.9.2015 Circolare INAIL n. 73 del 23.9.2015 Atti Inail, note e provvedimenti, circolari

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www.


c News

Le collaborazioni coordinate e continuative dopo il Jobs Act

La Legge 183/2014, definita come Jobs Act, ha delegato il Governo ad analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, al fine di valutare l’effettiva coerenza delle stesse con l’attuale contesto occupazionale e produttivo, con l’obiettivo esplicito di razionalizzare le tipologie contrattuali e promuovere il lavoro a tempo indeterminato. In questo contesto il Governo ha emanato il Decreto Legislativo 81/2015, che di fatto ha ridisegnato il quadro normativo relativo alle diverse tipologie di contratti di lavoro, apportando non poche modifiche al sistema previgente. Nello scorso numero di Bloc Notes sono state presentate le varie tipologie contrattuali e illustrate le principali novità previste dal decreto 81. Abbiamo però solo accennato alle modifiche in ambito di collaborazioni coordinate e continuative ed a progetto, rimandando a questo numero una trattazione più dettagliata dell’argomento. Il Decreto 81/2015 dedica alle collaborazioni coordinate e continuative due articoli, il 2 ed il 52, che seppur brevi e stringati, modificano in maniera sostanziale la normativa vigente fino a marzo 2015. I due articoli prevedono l’abolizione del contratto a progetto (articolo 52) e l’applicazione della normativa del lavoro subordinato a tutte le collaborazioni per le quali le modalità di svolgimento del lavoro sono organizzate dal committente (articolo 2).

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News Prima di fare delle considerazioni su questi due punti è necessario riprendere brevemente la storia e soprattutto la ratio delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità del lavoro a progetto. Questo era stato introdotto dalla Legge 30/2003 (conosciuta come Legge Biagi) e dal successivo Decreto Legislativo 276, al fine di limitare l’uso improprio da parte delle imprese delle collaborazioni coordinate e continuative previste dall’articolo 409 del Codice di procedura civile. Appariva evidente, infatti, come nella maggior parte dei casi i contratti di collaborazione mascherassero di fatto il lavoro dipendente e fossero utilizzati al solo scopo di ridurre il costo del lavoro. Pertanto nel 2003 si stabilì che dette collaborazioni dovevano essere vincolate ad un progetto, al raggiungimento cioè di un obiettivo finale, scritto ed esplicitato all’atto della stipula del contratto; in assenza di tale previsione il rapporto di lavoro doveva essere considerato come subordinato. Nel corso degli ultimi 12 anni si sono susseguite modifiche a questa normativa, interpretazioni, sentenze, sempre mirate a smascherare le false collaborazioni che continuavano di fatto a dominare il mercato del lavoro italiano, nonostante l’introduzione del progetto. Ora, a 12 anni di distanza dalla riforma Biagi, il Jobs Act cancella completamente tutta la normativa sul lavoro a progetto, abrogando gli articoli dal 61 al 69 bis del Decreto Legislativo 276. Il lavoro a progetto dunque non esiste più nel nostro paese e gli ultimi contratti in essere, vengono trasformati in contratti di lavoro subordinato a far data dal 1 gennaio 2016, salvo rare eccezioni. La soppressione del lavoro a progetto non significa però che nel nostro ordinamento cessano di esistere i contratti di collaborazione coordinata e continuativa: essi trovano giustificazione da un lato nell’articolo 409 del Codice di procedura civile e dall’altro vengono previsti, ma allo stesso tempo delimitati, proprio dall’articolo 2 del Decreto Legislativo 81/2015. L’articolo 2 infatti chiarisce che “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Il legislatore dunque ha inteso porre un nuovo limite alle collaborazioni coordinate continuative, non più determinato dal raggiungimento di un obiettivo finale, quanto piuttosto dalle modalità di esecuzione della prestazione e dal rapporto con il datore di lavoro: sono considerati leciti solamente i rapporti di collaborazione nei quali il collaboratore è realmente autonomo nell’organizzazione del lavoro e devono invece essere considerate lavoro dipendente tutte le collaborazioni nelle quali è il datore di lavoro a determinare tempi e luoghi di svolgimento della prestazione.

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News Risultano dunque determinanti le modalità di organizzazione del lavoro, indipendentemente dall’esistenza o meno di un progetto. Rimangono estranee all’applicazione dei predetti limiti le seguenti collaborazioni: a) quelle per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo; b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; d) le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate e agli enti di promozione sportiva. Ulteriore previsione dell’articolo 2 è la possibilità per le parti di richiedere alle commissioni istituite ai sensi dell’articolo 76 del Decreto Legislativo 276/03, la certificazione del contratto e della reale autonomia del collaboratore nell’organizzazione del lavoro. Il Decreto 81/2015 non si limita, come già accennato sopra, a porre dei nuovi confini alle collaborazioni coordinate e continuative, ma prevede con l’articolo 52, la soppressione di tutti gli articoli del Decreto 276/03 che regolavano il lavoro a progetto. Vale la pena sottolineare che vengono quindi eliminate anche quelle forme di collaborazione che per la natura limitata della prestazione (le mini co.co.co) erano esentate dalla scrittura di un progetto; vengono inoltre meno anche i principi previsti dall’articolo 69 bis del 276, che erano stati introdotti dalla Legge Fornero al fine di smascherare le cosiddette “finte Partite iva” (opera prestata per lo stesso committente per 8 mesi per 2 anni consecutivi, corrispettivo derivante dalle collaborazioni superiore all’80% nell’arco di due anni da parte dello stesso committente, postazione fissa presso una delle sedi del committente). Alla luce di queste considerazioni vediamo quali tipi di prestazioni lavorative possono essere correttamente configurabili come collaborazioni coordinate e continuative, oltre ai casi qui sopra esposti ed espressamente previsti dall’articolo 2 del decreto: l’articolo 409 del Codice di procedura civile precisa che rientrano nella giurisdizione del giudice del lavoro anche ”….i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

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News Il concetto di collaborazione va ricercato in alcune sentenze della Corte di cassazione e precisamente la 1897 del 1998 e la 92 del 1999: per collaborazione si intende lo svolgimento di ogni attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati da altri. Il collaboratore gode di totale autonomia nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità organizzative dell’imprenditore. È invece la circolare INAIL 11 aprile 2000 n. 32 che chiarisce i limiti della coordinazione per il committente: egli infatti può fornire delle direttive al collaboratore nei limiti dell’autonomia professionale di quest’ultimo; in merito all’utilizzo dei locali del committente, ciò che è necessario è il collegamento funzionale con la struttura, ma non è assolutamente previsto l’inserimento all’interno della struttura stessa. La continuatività della prestazione, ovvero la non occasionalità è stata più volte oggetto di sentenze della Corte di Cassazione: in particolare una prestazione continuativa è una prestazione non meramente occasionale, ma che perdura nel tempo e comporta un impegno costante del collaboratore a favore del committente (Cass. 19 aprile 2002 n. 5698). Inoltre non è necessario che la continuità sia convenzionalmente stabilita, ben potendo tale requisito essere accertato a posteriori, in base alla reiterazione di fatto delle prestazioni (Cass. 23 dicembre 2004 n. 23897). Per quanto riguarda la personalità della prestazione infine, questa significa che ci deve essere la prevalenza del carattere personale dell’apporto lavorativo del collaboratore. Dal punto di vista contributivo i collaboratori coordinati e continuativi sono iscritti alla gestione separata dell’INPS. Per i collaboratori iscritti in via esclusiva alla gestione separata, l’aliquota contributiva è attualmente fissata nella misura 27,72%, per due terzi a carico del committente e per un terzo a carico del collaboratore. La materia dunque, nonostante l’ennesima riforma, continua ad essere piuttosto complessa e demandata, in caso di controversie sulla natura del rapporto, alle interpretazioni del giudice. Vedremo solamente nei prossimi anni se il Decreto 81 sarà riuscito nell’intento di conferire pieno valore alle collaborazioni autentiche ed eliminare i numerosissimi abusi ed usi impropri di questo istituto avvenuti nel corso degli ultimi vent’anni.

RISORSE WEB www.normattiva.it D.Lgs. n. 81 del 15.6.2015

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News

d

Il collocamento mirato dei disabili

Il Decreto Legislativo 14.9.2015 n. 151, attuativo delle disposizioni del Jobs Act (Legge 10.12.2014 n. 183) ed avente per oggetto “disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità…” si occupa al titoli I, Capo I, di razionalizzare e semplificare la materia dell’inserimento mirato delle persone con disabilità. All’art. 1 viene introdotta una disposizione programmatica che ha per obiettivo la definizione di linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità che dovranno essere attuate entro 180 giorni con uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni in base ai seguenti principi:

a)

b)

promozione di una rete integrata con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, nonché con l’INAIL, in relazione alle competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, per l’accompagnamento e il supporto della persona con disabilità presa in carico al fine di favorirne l’inserimento lavorativo; promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti, al fine di favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità;

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News c)

individuazione, nelle more della revisione delle procedure di accertamento della disabilità, di modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità, definizione dei criteri di predisposizione dei progetti di inserimento lavorativo che tengano conto delle barriere e dei facilitatori ambientali rilevati, definizione di indirizzi per gli uffici competenti funzionali alla valutazione e progettazione dell’inserimento lavorativo in ottica biopsico-sociale; d) analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare alle persone con disabilità, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro è tenuto ad adottare; e) promozione dell’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati per le persone con disabilità e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità, in raccordo con l’INAIL per le persone con disabilità da lavoro; f) individuazione di buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Non sono previste per la loro attuazione risorse aggiuntive né maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Con il nuovo Decreto Legislativo (art. 2) rientrano tra i soggetti inclusi nel diritto al collocamento mirato anche i titolari di assegno ordinario di invalidità INPS, riconosciuti ai sensi dell’art. 1 della legge 222/94. Come è noto sono i lavoratori la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini, sono ridotte in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo. L’art. 3 della legge 68/99 viene modificato nel senso che per i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti con obbligo di avere alle dipendenza 1 soggetto disabile non è più previsto dal 2017 l’obbligo di assunzione solo nelle ipotesi di nuove assunzioni. Se ne deduce che dal 2017 questi datori di lavoro dovranno adeguarsi in ogni caso agli obblighi di legge al raggiungimento del 15° dipendente. Lo stesso dicasi quando datori di lavoro sono partiti politici, organizzazioni sindacali ed organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione tenendo conto comunque che per queste categoria di datori di lavoro la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento a personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative. I lavoratori, già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se non assunti tramite il collocamento obbligatorio, sono computati nella quota di riserva nel caso in cui abbiano una riduzione della capacità

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News lavorativa superiore al 60 per cento o minorazioni ascritte dalla prima alla sesta categoria di cui alle tabelle del TU pensioni di guerra, o con disabilità intellettiva e psichica, con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dagli organi competenti. Il 60% è la percentuale che consente di computare nelle quote obbligatorie anche i lavoratori divenuti inabili a seguito di infortunio, malattia professionale (senza colpa del datore di lavoro) durante il rapporto di lavoro. Le imprese private e gli enti pubblici economici che occupano addetti impegnati in lavorazioni che comportano il pagamento di un tasso di premio INAIL pari o superiore al 60 per mille (quindi in lavorazioni particolarmente rischiose) possono autocertificare l’esonero dall’obbligo di computo degli addetti medesimi: ma in questa fattispecie i datori di lavoro sono tenuti a versare al fondo per il diritto al lavoro dei disabili un contributo esonerativo pari a 30,64 euro per ogni giorno lavorativo per ciascun lavoratore con disabilità non occupato. In altri termini con questo contributo viene monetizzato il numero di disabili per cui vi è l’esonero dall’assunzione. Le modalità di versamento del contributo sono definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. È inoltre previsto che i datori di lavoro pubblici e privati possono compensare il maggior e minor numero di aventi diritto al collocamento obbligatorio tra diverse unità produttive. Con l’art. 6 viene introdotto il criterio della chiamata nominativa (sostituendo in via definitiva il collocamento numerico sulla base delle graduatorie). Una chiamata che può essere diretta ovvero in base a convenzione di cui all’art. 11 della Legge 68/99. Le convenzioni hanno ad oggetto la determinazione di programmi miranti al conseguimento degli obiettivi occupazioni di disabili in base alla legge stessa. La richiesta nominativa può essere preceduta da una richiesta agli uffici competenti di effettuare una preselezione delle persone con disabilità iscritte negli elenchi che aderiscono alla specifica occasione di lavoro sulla base delle qualifiche e secondo modalità concordate con gli uffici del datore di lavoro. Il collocamento sulla base delle graduatorie resta in via del tutto residuale nel caso di mancata assunzione per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata col datore di lavoro. Gli uffici possono procedere anche con graduatorie limitate ai casi di adesione a bandi per specifiche occasioni di lavoro. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali effettua uno specifico monitoraggio degli effetti delle novità introdotte in termini di occupazione delle persone con disabilità e di miglioramento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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News Con l’art. 7 viene definito il criterio di iscrizione della persona con disabilità negli elenchi tenuti dai servizi competenti da individuare in base alla residenza del disabile. È possibile iscriversi anche ad altro ufficio nel territorio dello Stato previa cancellazione dall’ufficio precedente. Presso i servizi per il collocamento mirato opera un comitato tecnico composto da funzionari dei servizi e da esperti del settore sociale e medicolegale con particolare riferimento alla materia della disabilità, con compiti di valutazione delle capacità lavorative, di definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all’inserimento e di predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di disabilità” Agli oneri per il funzionamento del comitato tecnico si provvede con le risorse finanziarie, umane e strumentali già previste; ai componenti del comitato non spettano compensi, indennità o gettoni di presenza o altro emolumento comunque denominato. Se il collocamento deve essere effettivamente “mirato” risulta evidente l’importanza delle funzioni di questo comitato che, oltre alla qualifica ed ai titoli del disabile, può fornire elementi determinanti per il successo dell’avvio lavorativo. L’art. 8 si preoccupa di definire il sistema informativo di questo settore con la istituzione della “Banca dati del collocamento mirato“ nell’ambito della “Banca dati per le politiche attive e passive” del Ministero del lavoro. In questa banca confluiscono le informazioni relative ai datori di lavoro pubblici e privati e le informazioni relative ai disabili corredate dei dati indicativi dei datori di lavoro (prospetti, esoneri, convenzioni, ecc.) dei disabili stessi collocati e degli iscritti negli elenchi. Le informazioni della banca dati possono essere integrate con quelle del casellario dell’assistenza mediante il codice fiscale del disabile. È evidente la complessità di un simile sistema informativo, le articolazioni che deve assumere ed i livelli di privacy che devono essere garantite in base al D.Lgs. 196/2003 ed il risvolto importante a fini statistici, di ricerca e di studio dei dati resi anonimi. Tutto questo dovrà essere contenuto in un decreto da emanare entro 180 giorni dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione d’intesa con al Conferenza Stato regioni, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Con l’art. 10 viene riscritto sostanzialmente l’13 della Legge 68/99 relativo agli incentivi alle imprese per l’inserimento dei disabili, dal 2016, entro i criteri di compatibilità degli aiuti alle imprese definiti dal regolamento UE 651/2014. La norma prevede a domanda la concessione di un incentivo per un periodo di 36 mesi:

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News • nella misura del 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini pre•

videnziale per ogni lavoratore disabile assunto a tempo indeterminato che abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni ascritte dalla 1a alla 3a categoria della tabelle TU pensioni di guerra; nella misura del 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per ogni lavoratore disabile assunto a tempo indeterminato che abbia una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni ascritte dalla 4a alla 6a categoria di cui alla tabella precedente.

L’incentivo del 70% è riconosciuto anche ai lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporta una riduzione della capacità lavorativa del 45% per un periodo di 60 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi per tutta la durata del contratto. La domanda è trasmessa all’INPS attraverso apposita procedura telematica ed il beneficio si consegue mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili. La norma nel prevedere le modalità operative attribuisce all’Istituto la verifica continua delle risorse a disposizione ed a monitorare le minori entrate inviando relazioni trimestrali al ministero. Sono previste anche risorse del 5% del Fondo a disposizione per finanziare sperimentazioni di inclusione lavorativa, le risorse sono attribuite per il tramite delle regioni sulla base di linee guida del Ministero. È soppresso l’albo professionale nazionale dei centralinisti telefonici privi della vista. Quest’ultimi rientrano negli elenchi tenuti dai servizi per l’impiego.

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News Categorie protette a) Invalidi civili oltre il 45% b) Invalidi del lavoro oltre il 33% c) Non vedenti e sordomuti d) Invalidi di guerra, civili di guerra e per servizio e) Vittime del terrorismo e della criminalità organizzata o del dovere f) Familiari delle vittime del lavoro, del servizio o di guerra Obbligo di assunzione dei datori di lavoro privati Organico da 15 a 35 = 1 persona (dal 15° dipendente) Organico da 35 a 50 = 2 persone Organico da 51 = 7% Nuovi incentivi Per un periodo di 36 mesi: • 70% della retribuzione mensile lorda = invalidità superiore al 79% o dal 1a alla 3a categoria tabella TU pensioni guerra; • 35% retribuzione mensile lorda = invalidità superire dal 67% al 79% o dalla 4a alla 6a categoria tabella TU pensioni guerra; • 70% della retribuzione mensile lorda = lavoratori con disabilità intellettiva e psichica del 45% (per un periodo di 60 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi per la durata del contratto).

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