UNO SGUARDO SULLE PENSIONI Il rapporto OCSE 2015
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a sesta edizione del rapporto OCSE “Pensions at a Glance 2015” (Uno sguardo sulle pensioni) consente di comparare il sistema pensionistico italiano con quelli di altri Paesi del mondo. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE (Organisation for Economic Co-operation and Development - OECD) è un’organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, prevalentemente occidentali (Stati Uniti, Canada, UE ecc). L’Organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un’occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di buone pratiche ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi associati. Riportiamo la sintesi che riguarda l’Italia. Una descrizione efficace dei problemi del nostro sistema previdenziale tra livelli elevati di contribuzione, buona copertura delle prestazioni di vecchiaia in un contesto di spesa elevata quanto a incidenza sul PIL, contenimento della spesa con problemi di tenuta del potere di acquisto per il raffreddamento dell’indicizzazione (quando vi erano indici di inflazione significativi e comunque con problemi di legittimità delle scelte del legislatore come abbiamo visto con la sentenza della Corte Costituzionale).
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Potremmo dire che si tratta di una fotografia che vede i risultati positivi del passato e che mette in luce fin da ora i problemi di prospettiva preoccupandosi di prefigurare un futuro di impoverimento della popolazione anziana sia per la scarsa incidenza delle prestazioni assistenziali (nei casi di carenza delle pensioni contributive) sia analizzando i problemi delle scoperture contributive per l’ingresso ritardato nel mondo del lavoro, per i periodi di interruzione o per lavoro di cura (specie per le donne) che per disoccupazione in seguito a lavoro precario. Una situazione nella quale fin da ora, prima ancora che per le prospettive future, si può riscontrare una crescita della povertà maggiore tra i giovani rispetto agli anziani. Una fotografia abbastanza recente che tuttavia ancora non può rendicontare le rapide trasformazioni in corso in termini di compressione dei requisiti pensionistici e di sostanziale invarianza della spesa pensionistica storica per effetto di un raccordo con un quadro inflattivo ridotto a zero. Restano dunque aperte le contraddizioni di questa fase del sistema previdenziale:
• una forte rilevanza della spesa pensionistica con drastici rimedi introdotti
dal 2012 ma difficilmente sostenibili per il loro impatto di rigidità. Una forte spesa ma con sacrifici pesanti sulle pensioni medie e medio alte per il blocco delle indicizzazioni, per altro dichiarate incostituzionali con ristoro parziale del legislatore; • una spesa rilevante con importi medi delle pensioni piuttosto bassi ma destinati a crescere per l’accesso al pensionamento di lavoratori con carriere contributive migliori, con requisiti che rallentano l’accesso al pensionamento e quindi con un numero di pensioni cessate maggiore di quelle nuove ma con una conseguente crescita delle prestazioni assistenziali; • ancora una scarsa incidenza dell’occupazione anziana, delle donne non solo anziane in particolare, con requisiti nominali di accesso al pensionamento destinati a prolungare l’attività lavorativa con problemi di sostenibilità, specie per il lavoro usurante, con scarso turn over della manodopera e compressione dell’occupazione giovanile;
• una carenza di coperture integrative che tuttavia dovrebbero essere sostenute da lavoratori mediamente più precari che in passato.
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La soluzione prospettata è tanto semplice quanto di difficile realizzazione a meno di una forte ripresa economica non solo produttiva ma anche rilevante per i livelli occupazionali. Se questo auspicio non avrà seguito il legislatore dovrà trovare strade brevi e meno brevi per conciliare produzione di ricchezza, distribuzione del lavoro, contribuzione e pensione in un’ottica di alcuni principi basilari di sostenibilità e di solidarietà. LA SITUAZIONE ITALIANA VISTA DALL’OCSE (QUADRO SINTETICO) In Italia, le pensioni pubbliche hanno assorbito 15.7% del PIL in media durante il periodo 2010-2015, il secondo valore più elevato tra i paesi OCSE. La rapida transizione verso il sistema contributivo nozionale (NDC) per tutti i lavoratori dal gennaio 2012, l’aumento dell’età del pensionamento e la sua equiparazione per uomini e donne permetteranno, secondo le proiezioni del gruppo di lavoro sull‘invecchiamento dell’Unione Europea di ridurre, all’orizzonte 2060, la spesa pubblica per pensioni di circa 2 punti di PIL rispetto ad una riduzione media di 0.1% nell’Unione Europea. Alcuni cambiamenti recenti potrebbero però rallentare la riduzione della spesa pensionistica con un effetto negativo sulla sua sostenibilità finanziaria. A seguito della decisione della Corte Costituzionale del Maggio 2015, sono cominciati i rimborsi ai pensionati con pensioni d’importo compreso tra 3 e 6 volte il minimo che hanno subito delle perdite di reddito pensionistico derivanti dal blocco dell’indicizzazione nel 2012 e 2013. L’invecchiamento rapido della popolazione, il contesto di bassa crescita economica e le persistenti difficoltà sul mercato del lavoro esercitano un’ulteriore pressione sulle finanze del sistema pensionistico. Ad oggi, il sistema di previdenza sociale ha svolto un ruolo importante nel proteggere gli anziani dal rischio di povertà assicurando loro delle buone condizioni di vita rispetto ad altri gruppi di età. Oggi in Italia, 9.3% degli ultrasessantacinquenni vivono in situazione di povertà relativa, rispetto al 12.6% nella popolazione totale. Le persone anziane hanno un reddito medio superiore al 95% di quello della media nazionale1. 1 Nel 95% dei casi gli anziani hanno un reddito medio più elevato della generalità della popolazione.
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Il passaggio ad un sistema di tipo contributivo nozionale é stato accompagnato dall’eliminazione della pensione integrata al minimo lasciando unicamente una prestazione assistenziale come rete di sicurezza per i pensionati futuri. Il valore della rete di sicurezza è relativamente basso: gli individui senza contributi previdenziali riceveranno il 19% del salario medio 2 rispetto al 22% in media nei paesi OCSE. Una proporzione crescente di lavoratori è confrontato a periodi disoccupazione o al lavoro part-time o precario. Data l’esistenza di uno stretto nesso tra contributi previdenziali e prestazioni pensionistiche, l’effetto di interruzioni contributive avrà un effetto più marcato sulle prestazioni pensionistiche del futuro, con un effetto negativo sull’adeguatezza dei redditi pensionistici e contribuendo possibilmente all’aumento della povertà degli anziani nel futuro. L’effetto di interruzioni di carriera e di ritardi nell’entrata sul mercato del lavoro potrebbe essere più elevato in Italia che nei paesi OCSE in media. Nonostante la presenza di alcuni meccanismi che permettono di ridurre in parte l’effetto di carriere interrotte (come l’aumento dei coefficienti di trasformazione per le donne con figli e i contributi versati durante i periodi di disoccupazione) in Italia mancano degli ammortizzatori efficaci che proteggano la pensione dall’effetto di interruzione di carriera. LE CARATTERISTICHE DELL’ITALIA In Italia la durata della vita lavorativa effettiva è generalmente più breve rispetto a una carriera completa teorica che inizi all’età di 20 anni e duri fino all’età di pensionamento ufficiale. Molti lavoratori accumulano interruzioni dal lavoro retribuito per vari motivi, come la cura dei figli, la disoccupazione e, nonostante sia in calo, il pensionamento anticipato. L’età media effettiva di uscita dal mercato del lavoro era, nel 2014, 61,4 e 61,1 anni per uomini e donne, rispettivamente, al di sotto dell’età ufficiale di pensionamento. Sebbene il tasso di occupazione dei lavoratori anziani sia aumentato negli ultimi anni, esso resta sotto la media OCSE soprattutto per le donne di età compresa tra i 55 e 64 anni, situandosi al 37% in Italia rispetto al 49% in media nell’OCSE. Il rischio di povertà si è trasferito nel tempo dagli anziani ai giovani: circa il 15% delle persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni sono povere (con la 2 Valore delle prestazioni assistenziali prevista in Italia, es. assegno sociale.
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povertà definita come la percentuale di persone con redditi al di sotto della metà del reddito mediano equivalente delle famiglie) rispetto al 9% per gli ultrasessantacinquenni. I periodi di assenza dal lavoro per motivi familiari sono fortemente concentrati sulle donne: il dodici per cento delle donne tra i 25 e i 49 anni rispetto a meno dell’1% degli uomini della stessa età. Tra i giovani, periodi di disoccupazione o d’inattività sono frequenti: circa un quarto dei giovani 16-29 sono né occupati né coinvolti nel sistema educativo o in formazione. Inoltre, le giovani donne cominciano il lavoro retribuito più di due anni più tardi rispetto agli uomini, i tassi di occupazione delle madri sono bassi e molte donne lavorano part-time. Queste caratteristiche possono danneggiare l’adeguatezza dei redditi pensionistici nel futuro. Poiché nel sistema pensionistico riformato, il nesso tra contributi previdenziali e le prestazioni ricevute durante il pensionamento è molto stretto, i “buchi” contributivi influenzano direttamente e in modo negativo i redditi da pensione. Il livello delle prestazioni assistenziali a partire dai 65 anni è basso (pari al 19% della retribuzione media). Allo stesso tempo, gli ammortizzatori esistenti per proteggere gli individui con carriere più corte potrebbero essere insufficienti ad evitare il rischio di povertà. L’Italia registra una delle maggiori riduzioni della pensione futura in seguito di un periodo di 5 anni di assenza dal lavoro retribuito per ragioni di cura dei figli o di disoccupazione (con la Germania, Israele, l’Islanda, il Messico e il Portogallo), mentre le pensioni non subiscono alcuna riduzione in queste circostanze in quasi un terzo dei paesi dell’OCSE. Nel caso dei lavoratori a basso reddito, la decurtazione della pensione sarà del 10%, nel caso di un ingresso sul mercato del lavoro ritardato di 5 anni, rispetto al 3% in media nell’OCSE. Perdite simili si riportano per le interruzioni legate alla cura dei figli e alla disoccupazione. Mentre l’aumento dell’età pensionabile e il più stretto legame tra contributi e reddito da pensione hanno senza dubbio rafforzato la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, l’obiettivo finale da un punto di vista sociale ed economico deve essere quello di promuovere carriere complete e di maggior durata. A tal fine, è importante promuovere opportunità per tutti di avere accesso al mercato del lavoro ma anche una maggiore flessibilità di
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scelta nella divisione del tempo tra il lavoro, la cura dei figli e dei familiari, il tempo libero e l’apprendimento. Le azioni per promuovere un migliore equilibrio tra lavoro e vita familiare e per ridurre le disuguaglianze nel mercato del lavoro vanno dunque ben oltre le politiche pensionistiche. Migliorare la conoscenza degli individui in merito alla loro pensione attesa e alle alternative fonti di reddito da pensione disponibili può essere anch’esso un elemento importante per aiutare a costruire delle pensioni più adeguate nel futuro. In Italia, il sistema pensionistico pubblico si sta conformando ad un sistema pienamente contributivo. Con la piena attuazione del sistema contributivo nozionale (NDC), il primo livello di protezione sociale per gli anziani consiste solo in una prestazione assistenziale (finanziata dalla fiscalità generale). La riforma del 2011 ha accelerato la transizione dal regime pubblico a prestazione definita verso il sistema NDC applicando quest’ultimo pro-rata a tutti i lavoratori a partire dal 2012, piuttosto che dalla metà degli anni 2030 – come previsto originariamente dalla riforma del 1995. Per una gran parte dei dipendenti del settore privato i contributi previdenziali sono i secondi più elevati dell’OCSE pari al 33% del salario (23,8% a carico dei datori di lavoro e 9,2% dei lavoratori). Ne risulta che l’Italia ha le entrate contributive più elevate (in percentuale del PIL) dell’OCSE dopo la Grecia e la Spagna, entrate che sono necessarie per pagare le pensioni correnti. Per le carriere stabili e lunghe tra i 20 e i 67 anni, il sistema permetterebbe ai pensionati futuri di ottenere alti tassi di sostituzione netti: 81,5% per i lavoratori a salario medio rispetto al 65,8% in media nell’OCSE. Le pensioni private sono ancora poco sviluppate, nonostante le riforme del passato. Dal 2007, i lavoratori possono spostare il fondo di trattamento di fine rapporto (TFR) ai fondi pensione (principalmente di tipo contributivo). Nonostante questo, le pensioni private coprivano solo circa il 16% della popolazione in età lavorativa nel 2013. Le recenti riforme hanno migliorato la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, ma la spesa rimane elevata. Nel periodo 2010-2015, l’Italia aveva il secondo più elevato livello di spesa
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pubblica per pensioni in percentuale del PIL tra i paesi dell’OCSE. Con la riforma del 2011, sono state adottate importanti misure per ridurre la generosità del sistema, in particolare attraverso l’aumento dell’età pensionabile e la sua perequazione tra uomini e donne, ma l’invecchiamento della popolazione continuerà a esercitare pressioni sul finanziamento del sistema. A seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale, i rimborsi parziali ai pensionati dovuti alle perdite dovute dal congelamento del meccanismo di indicizzazione delle pensioni nel 2012 e 2013 avranno un impatto sostanziale sulla spesa pubblica. Anche se la normale età pensionabile raggiungerà i 67 anni nel 2019 sia per gli uomini e le donne e aumenterà automaticamente in linea con la speranza di vita a 65 anni d’età dopo il 2018, la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico richiede ulteriori sforzi negli anni a venire. Nel breve periodo, ulteriori risorse sono necessarie per ridurre al minimo l’impatto della sentenza della recente Corte Costituzionale. Nel medio lungo periodo è necessario stimolare la partecipazione dei lavoratori anziani: ad oggi, l’età effettiva di uscita dal mercato del lavoro rimane la quarta più bassa dell’OCSE e il tasso di occupazione per i lavoratori di età tra i 60 e i 64 anni è pari a circa il 26%, contro il 45% in media nell’OCSE. Eppure, molti pensionati oggi ricevono prestazioni pensionistiche relativamente generose nonostante un basso livello di contributi passati. L’adeguatezza dei redditi pensionistici può essere un problema per i futuri pensionati, nonostante l’elevata spesa pensionistica pubblica. Il design del contributivo nozionale e l’aumento della speranza di vita, se affiancati a una modesta crescita del PIL e dell’occupazione, potrebbero avere un effetto negativo significativo sulle prospettive dei pensionati futuri. Le persone con storie contributive relativamente brevi e / o senza prodotti di risparmio alternativi potrebbero essere esposti al rischio di povertà durante il pensionamento. Le regole per l’accesso al pensionamento non anticipato sono severe (20 anni almeno di contributi previdenziali che risultino in una pensione attesa superiori a 1,5 volte l’assegno sociale). I lavoratori che non raggiungano tali condizioni minime avranno unicamente accesso alla prestazione assistenziale (l’assegno sociale), molto contenuta. I lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile o a bassa remunerazione e in lavori
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precari corrono il rischio di non riuscire a soddisfare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche a fronte di anni di contributi elevati. Le condizioni di accesso al trattamento pensionistico (anzianità contributiva e pensione attesa minima) dovrebbero dunque essere migliorate. Le politiche che migliorino le condizioni del mercato del lavoro e che permettano di creare posti di lavoro, e in particolare opportunità di lavoro più produttive e con migliori remunerazioni, sono essenziali per garantire l’adeguatezza delle pensioni per le generazioni future. La formazione professionale, il miglioramento e aggiornamento delle qualifiche e competenze dei lavoratori nel corso della vita lavorativa e politiche che permettano una maggiore flessibilità alla fine delle carriere sono particolarmente importanti. Migliorare l’accesso e qualità dei servizi di cura (bambini, anziani) e di buona qualità è ugualmente fondamentale per promuovere carriere più stabili, specialmente per le donne. La recente riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) affronta alcune delle criticità del mercato del lavoro italiano: dalla creazione di una nuova tipologia contrattuale a tutele crescenti che può contribuire a ridurre la profonda segmentazione tra contratti temporanei e spesso precari e quelli a durata indefinita; all’universalizzazione dei sussidi di disoccupazione allo sforzo di migliorare le politiche attive per il re-inserimento dei disoccupati sul lavoro. Da questo punto di vista, la riforma del lavoro potrà anche migliorare la stabilità delle carriere e al tempo così da migliorare le prospettive di pensione dei lavoratori più vulnerabili. Occorre anche riconsiderare le differenze nelle prestazioni pensionistiche dei lavoratori d’imprese di dimensioni diverse o con diversi contratti di lavoro (come ad esempio quelli precari o atipici) derivanti anche da differenze nei contributi previdenziali versati. Il provvedimento recente che permette di ottenere una parte del TFR maturato come stipendio può contribuire a sostenere i consumi nel breve termine, ma può contribuire sia all’impoverimento dei pensionati nel lungo termine che a un ulteriore indebolimento delle pensioni private. Lo stesso effetto può derivare dall’aumento delle tasse sui fondi pensione da 11,5 a 20%.
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Attualità
Le pensioni nel 2016
Gli importi delle pensioni nel 2016 Nel 2016 non vi è stato incremento delle pensioni. Con decreto ministeriale 19.11.2015 è stato infatti accertato che l’incremento dei prezzi per famiglie di operai ed impiegati, in via provvisoria, nel 2015 è stato pari a zero. Prestazioni più ricorrenti
Provvisori 2015 (effettivamente pagati)
Definitivi 2015
Provvisori 2016 (in pagamento)
Pensione integrata al minimo
€ 502,39
€ 501,89
€ 501,89
Assegno sociale
€ 448,52
€ 448,07
€ 448,07
Invalidità civile
€ 279,75
€ 279,47
€ 279,47
Assegno accompagnamento*
€ 508,55
€ 507,49
€ 512,34
* Le modalità di rivalutazione dell’indennità di accompagnamento sono diverse rispetto alle pensioni. Vedi tutte le tabelle INPS con importi e limiti di reddito 2016 allegate alla circolare n. 210 del 31.12.2015
Gli importi 2016 sono in realtà leggermente inferiori a quelli erogati nel 2015 poiché la rivalutazione del 2015 era stata sovrastimata dello 0,1% in più (0,3% anziché 0,2%) e gli importi pagati leggermente superiori. Si sarebbe dunque creato anche un piccolo conguaglio negativo che non è stato recuperato poiché la legge di stabilità 2016 lo ha sospeso fino all’anno prossimo.
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Attualità Rispetto all’anno precedente quest’anno potrebbe succedere il contrario; sembra infatti che l’inflazione definitiva del 2015, accertata dopo il decreto del 19 novembre, sia 0,1% e non zero. Le sole pensioni che avranno una quota di incremento nel 2016, pur contenuta, sono le pensioni superiori a tre volte il minimo, ma inferiore a 6 volte, non per l’inflazione del 2016 ma per la applicazione definitiva del decreto Legge 65/2015 che ha dato attuazione alla famosa sentenza della Corte Costituzionale (70/2015) la quale ha sancito l’illegittimità del blocco della perequazione automatica degli anni 2012/2013. Dopo gli arretrai, calcolati in modo parziale e molto contorto ed erogati l’anno scorso per il 2012 e 2013 ed anche per il 2014 e 2015, restava da completare il residuo adeguamento deciso dal 2016. Infatti il comma 2 del D.L. 65/2015 ha previsto per il 2014 e 2015 un incremento pari al 20% delle somme riconosciute come arretrati nel 2012 e 2013 ed a partire dal 2016 una somma pari al 50% con una differenza del 30% applicata dunque dal 2016.
La perequazione automatica nella legge di stabilità La legge di stabilità 2016 (Legge 28.12.2015 n. 208, in G.U. del 30.12.2015 n. 302 S.O. 70/L), all’articolo unico, comma 287 ha stabilito che la percentuale di adeguamento delle pensioni non può risultare inferiore a zero, scongiurando in tal modo possibili decurtazioni delle pensioni nelle ipotesi in cui ci si trovasse addirittura in presenza di un valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo negativo. La legge di stabilità ha esteso fino al 2018 (art. 1 comma 286) i criteri di rivalutazione delle pensioni di cui alla Legge 147/2013 (art. 1 comma 483) previsti allora fino al 2016 (100% fino tre volte il T.M. 95% tra tre e quattro volte il T.M., 75% tra quattro e cinque volte il T.M., 50% tra cinque e sei volte il T.M., 45% oltre sei volte il T.M.). Rispetto alla norma originaria de 1988 (art. 34 Legge 448/88), la norma del 2013 che ora il legislatore si è premurato anticipatamente di prorogare fino al 2018, indicando le motivazioni che giustificano tale decisione, comporta risparmi complessivi consistenti a carico dei pensionati con pensioni medio alte, anche se restano tutelate le pensioni di importo più modesto. Questo ovviamente in situazioni dove vi sia qualche indice di rivalutazione positivo poiché invece nel 2016 il provvedimento è irrilevante: con l’indice a zero non c’è incremento per nessuno.
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Attualità La tassazione delle pensioni Con la legge di stabilità 2016 (art. 1 comma 290) vengono migliorate le detrazioni d’imposta sulle pensioni, detrazioni che consentono di pagare meno tasse. Per chi ha meno di 75 anni l’area di esenzione passa da 7.500 a 7.750, per chi ha più di 75 anni l’esenzione passa da 7.750 euro a 8.000 euro. In altri termini per chi ha una pensione fino a 8.000 con più di 75 anni non vi sarà alcuna tassazione. Ed inoltre fino a 15.000 euro vi saranno benefici a scalare.
I requisiti per il diritto a pensione nel 2016 LA PENSIONE DI VECCHIAIA Col 2016 il diritto alla pensione di vecchiaia, così come ha stabilito la manovra Salva Italia del Governo Monti, si ha con 20 anni di contributi (fatte salve alcune deroghe con 15 anni) e con: • uomini, lavoratori dipendenti e autonomi, iscritti alla gestione separata e lavoratrici dipendenti nel settore pubblico: 66 anni e 7 mesi (+ 4 mesi rispetto all’anno scorso, in seguito all’incremento delle aspettative di vita); donne, lavoratrici dipendenti, del fondo Poste e FS: • 65 anni e 7 mesi (fino all’anno scorso erano 63 anni e 9 mesi); • donne, lavoratrici autonome e iscritte alla gestione separata: 66 anni e 1 mese (fino all’anno scorso erano 64 anni e 9 mesi). È evidente come per le donne l’attuazione della riforma Fornero stia arrivando alle sue conseguenze estreme che si raggiungeranno nel 2018 quando tutti, uomini e donne, lavoratori dipendenti e autonomi andranno in pensione con 66 anni e 7 mesi; col 2019 bisognerà invece fare i conti con eventuali ulteriori incrementi di qualche mese con le aspettative di vita. Per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 (sistema contributivo) i requisiti sono gli stessi ma è necessario anche aver maturato un importo di pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale, (nel 2016 = 673,05 euro). In alternativa, questi lavoratori e lavoratrici, hanno diritto alla pensione a 70 anni e 7 mesi con almeno cinque di contributi effettivi, a prescindere dall’importo della pensione. LA PENSIONE ANTICIPATA (ANZIANITÀ) La pensione anticipata (la vecchia pensione di anzianità che si ottiene a prescindere dall’età) si ottiene dal 2016 e fino al 2018:
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Attualità • con 42 anni e 10 mesi per gli uomini = 2227 contributi settimanali; • con 41 anni e 10 mesi per le donne = 2175 contributi settimanali.
(l’incremento del requisito rispetto all’anno precedente è di 4 mesi, per le aspettative di vita).
LA PENSIONE ANTICIPATA NEL SISTEMA CONTRIBUTIVO Ricordiamo anche il requisito della pensione anticipata nel sistema contributivo che si consegue con gli stessi requisiti del sistema retributivo ovvero con l’età di 63 anni e 7 mesi, almeno 20 anni di contributi ed un importo di pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Quest’ultimo requisito è forse prematuro considerando che si applica a quanti hanno contribuzione esclusivamente successiva al 31.12.1995. Ricordiamo tuttavia l’eccezione del computo nella gestione separata che consente anche l’utilizzo della contribuzione antecedente e che potrebbe essere una soluzione per quanti dopo anni di lavoro svolgono attività con assicurazione alla gestione separata potendo superare l’importo soglia. PENSIONE A 64 ANNI È anche prevista (art. 24, comma 15 bis del D.L. 201/2011) la pensione di vecchiaia a 64 anni e 7 mesi per le donne lavoratrici del settore privato a carico dell’a.g.o. e dei fondi sostitutivi che hanno maturato i 60 anni di età nel 2012 (si tratta delle donne del 52 che, per l’INPS, dovevano essere in attività lavorativa al 28.12.2011, data di entrata in vigore delle norme Fornero). Per loro nel 2016 giungerà a compimento l’età derogata richiesta, aggravata dei 7 mesi di aspettative di vita. Ricordiamo comunque che per le donne nate nei primi tre mesi del 52 il diritto è stato maturato l’anno scorso con 63 anni e 9 mesi in base ai requisiti transitori della Fornero. Con la stessa età possono accedere al pensionamento i lavoratori dipendenti che entro il 31.12.2012 avevano 35 anni di contributi con quota 96 (35 anni e 61 di età ovvero 36 anni e 60 di età) e con quota 97 i lavoratori autonomi (se però erano nel frattempo diventati lavoratori dipendenti in servizio al 28.12.2011). Si tratta di un dispositivo (comma 15 bis, art. 24 D.L. 201/2011) che ha cercato di attenuare il salto che in molti casi ha portato le donne dal diritto a 60 anni ad oltre 65, e con l’anzianità dai 35 anni a 42. OPZIONE DONNA Con la legge di stabilità 2016 (art. 1 comma 281) viene confermato il diritto all’accesso al pensionamento per le donne con 57 anni e 3 mesi (lavoratrici dipendenti) e 58 anni e 3 mesi (lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi,
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Attualità requisiti che devono essere maturati entro il 31 dicembre 2015 con accesso successivo quando si apre la finestra di 12 e 18 mesi rispettivamente per le lavoratrici dipendenti e autonome. Quindi la pensione potrà avere decorrenza anche successiva al 2015 quando si apriranno le finestre ed in presenza della cessazione dell’attività lavorativa. Non è più richiesto, come voleva l’INPS, che la decorrenza della pensione sia contenuta entro il 2015. Non è più previsto il diritto se invece i requisiti vengono maturati nel 2016, anche se la legge di stabilità 2016 lascia aperta una possibilità ma solo con verifiche successive circa l’effettivo costo di questa sperimentazione, che ora non sono in vigore. Come è noto questo sistema di pensionamento è possibile perché il calcolo di questo tipo di pensione si effettua integralmente col sistema contributivo che comporta in linea generale, salvo verifica da fare caso per caso, un importo di pensione significativamente inferiore. L’ASSEGNO SOCIALE Dal 2016 l’accesso all’assegno sociale spetta a 65 anni e 7 mesi (65 anni e 3 mesi l’anno scorso). Nel 2018 sarà elevato a 66 anni e 7 mesi.
RISORSE WEB
www.
www.normattiva.it
Legge n. 208 del 28.12.2015
www.inps.it
Circolare INPS n. 210 del 31.12.2015
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Attualità
La legge di stabilita 2016
misure previdenziali
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Nella Gazzetta Ufficiale del 30.12.2015, S.O. 70/L è stata pubblicata la legge di stabilità 2016, Legge n. 208 del 28.12.2015. Sul versante dei requisiti per il pensionamento non vi sono novità significative essendo in sostanza stato rinviato a disposizioni future ipotesi di accesso flessibile al pensionamento per rimediare alla rigidità ed alla pesantezza dei requisiti della manovra Monti-Fornero che stanno oramai arrivando o sono già arrivati a compimento. Di seguito trattiamo comunque gli aspetti più rilevanti di maggiore o minore interesse ma comunque interessanti per l’attività di patrocinio. Altri contenuti specifici di interesse previdenziale o assistenziale saranno ripresi in seguito. Vogliamo sottolineare in particolare l’importanza della settima salvaguardia che richiede anche tempestive attività di tutela dei lavoratori interessati, già note alle sedi.
SETTIMA SALVAGUARDIA Come è noto, le norme di salvaguardia consentono l’accesso alla pensione coi requisiti vigenti prima della riforma Fornero (D.L. 201/2011) per un ulteriore contingente di lavoratori (26.300 beneficiari) che per cessazione dell’attività lavorativa o per particolari condizioni non sarebbero stati nella condizione di raggiungere i nuovi requisiti. Ricordiamo che le norme anteriori alla riforma, tenendo conto delle disposizioni che erano state introdotte prima della riforma Fornero e che non sono entrate in vigore perché sorpassate dalla riforma, che tuttavia in questi casi sono valide, sarebbero state nel 2016 (e sono da rispettare come norme precedenti) le seguenti:
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Attualità • pensione di anzianità: quota 97,6 (61 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi)
+ finestra di 12 mesi; • pensione di anzianità lavoratori autonomi quota 98,6 (62 anni e 7 mesi + 35 anni di contributi) + finestra di 18 mesi; • pensione anzianità 40 anni contributi, lavoratori dipendenti, + 15 mesi finestra; • pensione anzianità 40 anni contributi lavoratori autonomi, + 21 mesi finestra; • pensione vecchiaia lavoratori dipendenti e autonomi 65 anni e 7 mesi + 12 o 18 mesi finestra a seconda che si tratti di lavoratore dipendente o autonomo; • pensione di vecchiaia lavoratrici dipendenti e autonome 61 anni e 1 mese + 12 o 18 mesi finestra a seconda che si tratti di lavoratore dipendente o autonomo; • pensione di vecchiaia lavoratrici dipendenti del settore pubblico 65 anni e 7 mesi + 12 mesi finestra. Ricordiamo brevemente i lavoratori interessati a questa normativa molto importante. a) Nel limite di 6.300 soggetti: • lavoratori collocati in mobilità o in trattamento speciale edile a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011; • lavoratori provenienti da aziende cessate o interessate dall’attivazione delle vigenti procedure con-corsuali quali il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o l’amministrazione straordinaria speciale, anche in mancanza dei predetti accordi; • aver cessato l’attività lavorativa entro il 31 dicembre 2014; che perfezionano il diritto (non la decorrenza) a pensione entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità o del trattamento speciale edile. Qualora entro il periodo di fruizione della mobilità non sia stato raggiunto il requisito è possibile, se cessati entro il 31.12.2012, maturare il requisito entro 12 mesi successivi mediante contributi volontari. In questa fattispecie l’autorizzazione ai versamenti volontari consentirà di versare i contributi volontari anche per periodi anteriori ai sei mesi precedenti la data di autorizzazione in deroga alle norme generali. Così come in presenza di autorizzazione già in essere antecedente, con domanda da presentare entro il 1 marzo 2016, sarà consentito chiedere la riapertura dei termini per i versamenti arretrati. Si ricorda comunque che l’au-
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Attualità torizzazione ai VV, pur potendo versare contributi arretrati, mantiene la sua efficacia giuridica dalla data di concessione, fatto che limita la decorrenza della pensione ad una data che non può essere anteriore. Per questa salvaguardia va presentata domanda all’INPS entro 1° il marzo 2016.
b)
Nel limite di 9.000 soggetti, ai lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria prima del 4.12.2011: • con almeno un contributo volontario pagato entro il 6.12.2011 anche se hanno svolto attività lavorativa ma non a tempo indeterminato; • ovvero lavoratori autorizzati entro il 4.12.2011 anche se non hanno mai versato i contributi volontari ma con almeno un contributo da lavoro effettivo tra il 1.1.2007 e il 30.11.2013 purchè si sia trattato di un lavoro non a tempo indeterminato.
Rientrano nella deroga quanti maturano la “decorrenza“ del trattamento pensionistico entro il 60° mese dal decreto Fornero (ovvero entro il 6.1.2017). In altri termini significa che entro il 6.1.2017 (la precedente salvaguardia si fermava al 6.1.2016) deve essere maturata la pensione comprendendo anche la finestra di 12 o 18 mesi per i lavoratori autonomi. Vogliamo sottolineare questa opportunità molto importante per tutti i lavoratori ma vi possono rientrare in particolare anche le donne che hanno avuto l’autorizzazione a versare le marche volontarie e che poi non hanno più ripreso un’attività lavorativa a tempo indeterminato. Vi rientrano sia coloro che hanno abbandonato il lavoro e che poi hanno versato le marche volontarie entro il 6.12.2011 ovvero che, pur autorizzati, non hanno mai fatto alcun versamento ma in questo caso a condizione che tra il 2007 e il 30.11.2013 abbiano svolto qualche attività lavorativa temporanea (anche un solo contributo). Se vogliamo fare l’esempio di una donna che nel 2016 andrebbe in pensione con 65 anni e 7 mesi, con la salvaguardia potrebbe maturare il diritto con 62 anni e 1 mese entro il 6.1.2017 (61 e 1 mese +12 mesi finestra). In questo caso valgono ancor anche le deroghe ai 20 anni di contributi ora richiesti (deroghe di cui al D.Lgs. 503/92, tra cui 15 anni maturati entro il 31.12.1992 o autorizzazione VV entro il 31.12.1992). Per questa salvaguardia va presentata domanda all’INPS entro il 1°marzo 2016.
c) Nel limite di 6.000 soggetti:
• ai lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno
2012 con accordi individuali ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni sindacali entro il
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Attualità 31.12.20111, anche se è stata svolta successivamente qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro a tempo indeterminato; • lavoratori con rapporto risolto dopo il 30 giugno ed entro il 31.12.2012 nelle stesse condizioni precedenti; • lavoratori con risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nel periodo tra il 1° gennaio 2007 ed il 31.12.2011; anche avendo svolto successivamente attività lavorativa purchè non a tempo indeterminato. Tutti questi lavoratori devono maturare il requisito ed anche la decorrenza (finestra) entro il 6.1.2017. Per questa salvaguardia va presentata domanda alla DTL entro il 1 marzo 2016.
d)
e)
Nel limite di 2.000 soggetti, limitatamente ai lavoratori in congedo, nel corso del 2011, per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, (permesso fino a due anni) i quali perfezionano i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico, secondo la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore della riforma Fornero entro il 6.1.2017; Si tratta di una salvaguardia più restrittiva delle precedenti dove rientravano tutti coloro che avevano fruito del congedo straordinario previsto dall’art. 42 del D.Lgs. 151/2001. Per questa salvaguardia la domanda va presentata alla DTL entro il 1° marzo 2016. Nel limite di 3.000 soggetti, con esclusione del settore agricolo e dei lavoratori con qualifica di stagionali, ai lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato e ai lavoratori in somministrazione con contratto a tempo determinato, cessati dal lavoro tra il 1º gennaio 2007 e il 31 dicembre 2011, non rioccupati a tempo indeterminato, i quali perfezionano i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico, secondo la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, entro il 6.1.2017. Per questa salvaguardia la domanda va presentata alla DTL entro il 1° marzo 2016.
La pensione che si può ottenere con queste nuove norme di salvaguardia non può avere decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della legge di stabilità che è il primo gennaio 2016. La domanda per ottenere la salvaguardia va presentata entro il 1° marzo 2016 (con modulistica e nel rispetto dei tempi noti alle sedi).
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Attualità Non bisogna poi dimenticare di presentare anche la domanda di pensione prima di aver maturato il diritto sia che l’INPS abbia nel frattempo comunicato il diritto alla pensione sia che non l’abbia ancora fatto. L’INPS come sempre ha il compito di effettuare il monitoraggio e di comunicare la maturazione del diritto a pensione. In ogni caso il pensionato non è esentato dall’inoltro della domanda di pensione in tempo, prima della maturazione del requisito, anche a prescindere dalle comunicazioni dell’INPS.
PART-TIME NEGLI ULTIMI ANNI DI LAVORO Con la legge di stabilità 2016 (art. 1 comma 284) è stata introdotta una norma che vuole favorire la riduzione dell’orario di lavoro negli anni precedenti la pensione senza che ne possa derivare un danno sul calcolo della pensione futura. La norma riguarda i lavoratori dipendenti privati e dei fondi sostitutivi che lavorano a tempo pieno ed a tempo indeterminato che: • che maturano il diritto a pensione di vecchiaia nel 2018 (66 anni e 7 mesi); • che abbiamo i requisiti contributivi (20 anni); • che riducano il proprio orario di lavoro tra il 40 ed il 60 per cento per un periodo fino alla maturazione della pensione. Ebbene a questi lavoratori oltre allo stipendio (ridotto) viene riconosciuta in aggiunta la quota di contributi che il datore di lavoro avrebbe dovuto pagare all’INPS (23,81%), una somma non gravata da contributi né da tasse. In cambio l’INPS provvede all’accredito figurativo dei contributi non versati sulla quota di stipendio ridotta in modo da non danneggiare il calcolo della pensione sul reddito ridotto del part-time. In altre parole lo stipendio sul quale sarà calcolata la pensione sarà in linea generale quello intero. Facciamo un esempio approssimativo: con uno stipendio di 2.000 euro mensili e con una riduzione del 50% dell’orario, al lavoratore spetta metà stipendio (1000 euro) + 23,81% (quota di contributi del datore di lavoro) sulla retribuzione persa, somma quest’ultima non assoggettata a contributi né a trattenute fiscali. A fronte di questo stipendio i contributi per la pensione, sommando quelli effettivi e figurativi, saranno considerati sullo stipendio intero. Questa possibilità è soggetta ad accordo col datore di lavoro e dovrà anche essere autorizzata dalla direzione del lavoro. Inoltre la possibilità è limitata alle risorse messe a disposizione complessivamente per l’intera operazione.
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Attualità Per altro il datore di lavoro non ha obblighi di alcun tipo, né tantomeno deve sostituire il lavoratore con nuove assunzioni. L’attuazione della norma richiede un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia per definire le modalità di attuazione. Una norma simile è presente in uno decreti del Jobs Act (D.Lgs. 148/2015, art. 41, c. 5) ma in presenza di contratti di solidarietà espansiva che prevedono benefici per nuove assunzioni con un pensionamento anticipato di vecchiaia di due anni in presenza di una prestazione lavorativa al 50% con possibilità di cumulo della pensione nei limiti della retribuzione persa al momento della trasformazione. In questo caso la somma di pensione e retribuzione garantisce la continuità del reddito fino al pensionamento pieno.
Fine delle penalizzazioni fino al 2017 Per le pensioni di anzianità (ora denominate pensioni anticipate) con la manovra del 2011 è stata introdotta dal 2012 una penalizzazione per i lavoratori precoci che conseguivano la pensione ad una età inferiore a 62 anni, sulla quota retributiva di pensione. La penalizzazione consisteva nell’1% sulla quota di pensione retributiva per ciascun anno di anticipo, del 2% per ciascuno anno di anticipo se anteriore al 60° anno, da proporzionare al numero dei mesi per le frazioni di anno. Ad esempio la pensione a 59 anni comportava una penalizzazione del 4% (2% + 1% + 1%). Ma la norma prevedeva una serie di deroghe di difficile applicazione che sono state oggetto di ulteriori disposizioni interpretative e normative. In sostanza sono stati esclusi dalla penalizzazioni quanti maturano i requisiti per il diritto a pensione entro il 31.12.2017 in presenza di anzianità assicurativa da effettivo lavoro inclusi in questo calcolo anche i periodi di maternità obbligatoria, servizio militare, infortunio, malattia e Cig ordinaria. Con la legge di stabilità dell’anno scorso è stato deciso di abolire del tutto la penalizzazione per quanti hanno avuto accesso alla pensione dal 2015, mentre continuava ad avere la penalizzazione chi era andato in pensione nel 2012/2014. Ora, ma solo dal 2016, con la legge di stabilità (art. 1 commi 299-300) anche per questi la penalizzazione viene tolta. Restano le penalizzazioni applicate fino al 2015 per i trattamenti decorrenti dal 2012 al 2014. In via definitiva la norma resta dunque in vigore solo per i pensionati che matureranno i requisiti e accederanno a pensione ad una età inferiore a 62 anni, dal 2018 in avanti.
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Attualità Abolizione del tetto contributivo Come è noto con la legge di riforma (335/95) è stato stabilito per coloro che sono iscritti a forme pensionistiche obbligatorie dal 1.1.1996 in poi, un massimale annuo della base contributiva pensionabile pari a 132 milioni di lire, rivalutati annualmente; nel 2016 tale tetto è di € 100.324,00. Tale tetto si applica anche in caso di opzione al sistema contributivo ma solo successivamente a tale opzione, norma che produce nessun esito rilevante atteso che in genere l’opzione si effettua al momento del pensionamento, mentre le retribuzione pregresse restano nella loro interezza. Ora con la legge di stabilità 2016 (art. 1 comma 280) si propone una interpretazione autentica di tale dispositivo nel senso che in caso di accredito a domanda di contributi riferiti a periodi antecedenti al 1.1.1996 la contribuzione non è più soggetta alla applicazione del massimale a decorrere dal mese successivo alla domanda. Si tratta di situazioni particolari di chi ha retribuzioni molto elevate, che richiedono tuttavia verifica e consapevolezza in caso di domande ad esempio di riscatto o di contribuzione figurativa che si accredita a domanda: la conseguenza che ne deriva (positiva o negativa in base alle valutazioni del lavoratore e del datore di lavoro) è che la base contributiva incrementa fino all’ammontare intero della retribuzione.
Riscatto di laurea e congedo parentale Una norma, poco comprensibile, del dlgs 503/92 (art. 14 c. 2) prevedeva il divieto di cumulo del riscatto di laurea con il riscatto del periodo di congedo parentale (maternità facoltativa) nei casi di maternità fuori dal rapporto di lavoro. Quest’ultimo riscatto è previsto in presenza di almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di attività lavorativa con i criteri generali che regolano i riscatti. È evidente che nell’ipotesi di riscatto di laurea questo riscatto era inutile. Ora il comma 298 articolo unico della legge di stabilità abroga questo divieto di cumulo anche per i periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge introducendo una facoltà di recupero di un periodo assicurativo che per le donne potrebbe, in qualche caso, fare la differenza ai fini della maturazione di un requisito.
DIS-COLL 2016 Abbiamo illustrato l’anno scorso (Bloc Notes 2/2015 - Dossier) la DIS-COLL ovvero la disoccupazione prevista in via sperimentale nel 2015 per i collabo-
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Attualità ratori coordinati e continuativi. Ora con il comma 310, articolo unico della legge di stabilità il legislatore si preoccupa di dare seguito alla sperimentazione prevedendo la continuità della prestazione anche per il 2016, per eventi di disoccupazione che si verificheranno dal 1° gennaio al 31 dicembre di quest’anno. Ai fini della durata non si contano i periodi che hanno già dato luogo a precedente DIS.COLL. Per gli episodi di disoccupazione non si considerano il requisito di cui all’art. 15 comma 2 del D.Lgs. 22/2015 ovvero far valere nell’anno in cui si verifica l’evento di cessazione del lavoro un mese di contribuzione oppure un rapporto di collaborazione che abbia dato luogo ad un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contributi. In sostanza per i rapporti di collaborazione cessati nel 2016 restano in vigore solo due requisiti: • essere in stato di disoccupazione al momento della richiesta della prestazione (con rilascio della Dichiarazione di immediata disponibilità all’impiego ed ora anche aderendo al patto di servizio previsto dalle nuove disposizioni per la ricerca di nuova occupazione); • far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo dal 1° gennaio dell’anno “civile” (non più solare) precedente l’evento di cessazione che dà luogo alla richiesta. Come è noto la durata della DIS-COLL è pari alla metà dei mesi di contribuzione accreditati, nella misura massima di sei mesi. Ricordiamo che questa prestazione non è prevista per gli iscritti alla gestione separata quali amministratori e sindaci di società, collaboratori già pensionati e titolali di partita IVA mentre sono inclusi i collaboratori con rapporto intercorso con le pubbliche amministrazioni. L’INPS riconosce il diritto alla prestazione in base all’ordine cronologico delle domande, ciò in quanto questa misura non è ancora una prestazione strutturale del sistema di ammortizzatori sociali ma una misura che mantiene caratteristiche di provvisorietà con risorse limitate oltre le quali la prestazione cessa.
Danno biologico Con il comma 313 articolo unico della legge di stabilità il legislatore rende automatico, col 1° luglio di ogni anno, la rivalutazione del danno biologico. Si rammenta che la rendita INAIL erogata a seguito di infortunio sul lavoro è costituita da due quote: una per il risarcimento patrimoniale ed una per il risarcimento del danno biologico.
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Attualità Ogni anno viene rivalutata la rendita corrispondente al danno patrimoniale ma la norma del 2000 (D.Lgs. 38/2000) nulla aveva previsto per il danno biologico. Con due diversi provvedimenti il danno biologico è stato rivalutato in via straordinaria (nel 2008 8,68% e nel 2014 7,57%) in attesa di provvedimento che introducesse la rivalutazione automatica annuale. La rivalutazione avverrà annualmente con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali su proposta del Presidente dell’INAIL, sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’ISTAT rispetto all’anno precedente. Questa nuova rivalutazione si aggiunge a quelle straordinarie già concesse. Per la prima fase triennale è previsto un finanziamento specifico transitorio ma dal 2019 anche per gli incrementi 2016-2018 si dovrà provvedere attraverso la revisione delle tariffe dei premi INAIL.
RISORSE WEB
www.
www.normattiva.it
Legge n. 208 del 28.12.2015
www.inps.it
Circolare INPS n. 1 del 8.1.2016 (allegata circolare ministeriale)
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News
NASpI: ULTERIORI CHIARIMENTI
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Con la circolare n. 194 del 27.11.2015 l’INPS propone nuovi chiarimenti in merito alla NASpI sia rispetto alle precedenti disposizioni sia per recepire gli ulteriori interventi normativi derivanti dai decreti delegati del Jobs Act (in particolare D.Lgs. 14.9.2015 n. 148 e D.Lgs. 14.9.2015 n.150).
Durata della NASpI L’art. 43 comma 3 del decreto legislativo n. 148 del 2015, abrogando l’ultimo periodo dell’art.5 del decreto legislativo n. 22 del 2015, comporta il prolungamento strutturale della durata della indennità NASpI fino ad un massimo di 24 mesi (104 settimane) anche per gli eventi di disoccupazione che si verificheranno dal 1° gennaio 2017. La norma abrogata prevedeva, dopo un periodo transitorio con un massimo di 104 settimane, dal 2017 una durata massima di 78. Il termine “strutturale” forse è eccessivo poiché è anche previsto il monitoraggio dei costi ed in caso di superamento o anche in procinto di superamento delle previsioni di spesa previste basterà un decreto del Ministro dell’Economia, sentito il Ministro del Lavoro a rideterminare il beneficio in questione.
Lavoro domestico Avevamo già anticipato che l’interpretazione restrittiva fornita in precedenza dall’Istituto ci pareva poco convincente ed avevamo ragione di ritenere che i requisiti sarebbero stati rivisti.
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News Si tratta in particolare del requisito di 30 giornate nell’anno precedente il licenziamento. Per i lavoratori domestici è difficile individuare il numero di giornate atteso che le loro modalità di versamento dei contributi sono basate sul numero di ore prestate settimanalmente, con la settimana piena quando sono lavorate 24 ore settimanali. In prima battuta l’INPS aveva adottato un criterio per il quale solo in presenza di 24 ore settimanali (con copertura equivalente di 6 giorni) e la durata di 5 settimane si sarebbe soddisfatto il requisito delle 30 giornate. Ora invece ritiene corretta la maturazione del requisito valorizzando qualunque orario di lavoro domestico rapportandolo al minimale contributivo per la settimana intera. Pertanto si opererà conteggiando il numero di ore del trimestre suddiviso per 24 e si otterrà il numero di settimane coperte arrotondando per eccesso; con la copertura di cinque settimane si sarà maturato il requisito.
ESEMPIO fornito dall INPS 80 ore lavorate nel trimestre/24 = 3,33 settimane arrotondate a 4 (da aggiungere alle settimane degli altri trimestri fino al numero minimo di 5)
È evidente che in questo modo la maturazione del diritto è alla portata di tutte le collaboratrici domestiche anche con orari molto limitati mentre con l’interpretazione precedente senza un periodo di 24 ore settimanali per almeno 5 settimane il diritto sarebbe rimasto precluso. Resta inteso che il calcolo della durata della indennità (metà delle settimane risultanti nel quadriennio, nel massimo di 104) è correlato al numero delle settimane coperte come sopra indicato per cui, secondo il criterio generale, un numero di settimane esiguo comporterà una durata altrettanto esigua della NASpI.
Stato di disoccupazione e misure di politiche attive del lavoro Il decreto legislativo n.150 del 2015 dispone in materia di politiche attive del lavoro che prevedono la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo. A tal fine definisce una Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro costituita da soggetti pubblici o privati.
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News Costituisce anche l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), a decorrere dal 1° gennaio 2016, con ruolo di coordinamento della rete. Ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 14.9.2015 n. 150 è stato ridefinito il concetto di stato di disoccupazione. A questo scopo si considerano disoccupati i lavoratori privi di impiego che dichiarano, in forma telematica al portale nazionale delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego. Il successivo art. 21 del decreto legislativo in esame prevede che la domanda di indennità NASpI nonché di indennità DIS-COLL presentata dall’interessato all’INPS equivale a dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro ed è trasmessa dall’INPS all’ANPAL ai fini dell’inserimento nel sistema informativo unitario delle politiche attive, realizzato dall’Agenzia in collaborazione con l’Istituto. Le richiamate disposizioni normative individuano, pertanto, due diverse modalità di presentazione della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, di cui una attraverso la registrazione al suddetto portale nazionale delle politiche del lavoro e l’altra attraverso la presentazione della domanda di indennità di disoccupazione NASpI e indennità DIS-COLL. Stante la previsione di cui al richiamato art. 21, l’Istituto provvederà a semplificare i moduli di domanda delle richiamate prestazioni di disoccupazione attraverso l’eliminazione del campo del rilascio della DID e la domanda stessa, per espressa previsione normativa, equivarrà a presentazione della dichiarazione di immediata disponibilità. L’Istituto – in attesa della realizzazione da parte dell’ANPAL in cooperazione con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, l’INPS e l’ISFOL del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro – provvede a mettere a disposizione dei Centri per l’Impiego territorialmente competenti in base al domicilio le domande dei richiedenti le suddette indennità di disoccupazione, attraverso il Sistema informativo della Banca dati percettori di cui al all’art. 19, comma 4 del D.L. n. 185 del 2008, convertito con Legge n. 2 del 2009 e all’art. 4, comma 35 della Legge n. 92 del 2012. In questo caso è preclusa la possibilità di iscrizione a qualsiasi centro per l’impiego del territorio nazionale.
Il patto di servizio personalizzato Il patto di servizio personalizzato consiste nella sottoscrizione di impegni di attivazione del lavoratore e di offerta di supporto da parte della struttura adibita per la definizione del profilo del lavoratore tesa ad individuarne le possibilità di rioccupazione.
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News Il patto di servizio indica: • l’operatore responsabile delle attività; • la definizione del profilo personale di occupabilità secondo le modalità tecniche predisposte dall’ANPAL; • la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere seguiti e la tempistica degli stessi; la • frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività; • le modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività. Il richiamato articolo 21 prevede altresì che il beneficiario delle suddette prestazioni di disoccupazione, ancora privo di occupazione, è tenuto a contattare il centro per l’impiego entro il termine di 15 giorni dalla data di presentazione della domanda di prestazione ai fini della stipula del patto di servizio personalizzato. Il termine è di 30 giorni in caso di DID non derivante da prestazioni a sostegno del reddito. In mancanza, l’assicurato è convocato dal centro per l’impiego entro il termine stabilito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ai sensi dell’art. 20, comma 3 del richiamato decreto legislativo n. 150 del 2015, nel patto di servizio personalizzato sottoscritto con il centro per l’impiego deve essere riportata la disponibilità dell’interessato alle seguenti attività:
a) partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle compe-
tenze nella ricerca attiva di lavoro; b) partecipazione ad iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o altra iniziativa di politica attiva o di attivazione; accettazione di congrue offerte di lavoro, come saranno definite – ai sensi c) dell’art. 25 del decreto in argomento – dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali su proposta dell’ANPAL. Fino alla data di adozione del suddetto provvedimento ministeriale trovano applicazione in materia le disposizioni di cui all’art. 4 commi 41 e 42 della Legge n.92 del 2012.
Le sanzioni In caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento di cui alla precedente lettera a) (partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro) si applicano le seguenti sanzioni:
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News 1) la decurtazione di un quarto di una mensilità, in caso di prima mancata presentazione; 2) la decurtazione di una mensilità, alla seconda mancata presentazione; 3) la decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione, in caso di ulteriore mancata presentazione. In caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento di cui alla precedente lettera b) (partecipazione ad iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o altra iniziativa di politica attiva o di attivazione) si applicano le seguenti sanzioni: 1) la decurtazione di una mensilità, alla prima mancata partecipazione; 2) la decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione, in caso di ulteriore mancata presentazione. In caso di mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua, di cui alla precedente lettera c), in assenza di giustificato motivo, si applica la decadenza dalla prestazione. Il richiamato comma 7 prevede anche sanzioni in caso di mancata presentazione, in assenza di giustificato motivo, alle convocazioni ovvero agli appuntamenti previsti per la conferma dello stato di disoccupazione e per la profilazione e la stipula del patto di servizio personalizzato, nonché per la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività. In particolare è prevista:
1) la decurtazione di un quarto di una mensilità, in caso di prima mancata presentazione; 2) la decurtazione di una mensilità, alla seconda mancata presentazione; 3) la decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione, in caso di ulteriore mancata presentazione. In tutti i casi in cui è comminata la decadenza dallo stato di disoccupazione, non è possibile una nuova registrazione al portale nazionale delle politiche del lavoro prima che siano decorsi due mesi. Le sanzioni sopra richiamate sono applicate dall’INPS, su comunicazione del relativo provvedimento adottato dal Centro per l’impiego per il tramite del sistema informativo unitario delle politiche attive di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 150 del 2015, a far data dal giorno successivo a quello in cui si verifica l’evento di mancata partecipazione alle iniziative di orientamento, di mancata presentazione e di mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua. Esse comportano la trattenuta dell’importo relativo a trenta giornate di prestazione nella misura in corso di erogazione al momento del verificarsi dell’evento.
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News La mancata adozione dei provvedimenti di decurtazione o decadenza della prestazione determina responsabilità disciplinare e contabile del funzionario responsabile, ai sensi dell’articolo 1 della Legge n. 20 del 1994. Avverso il provvedimento sanzionatorio adottato dal centro per l’impiego è ammesso ricorso all’ANPAL, che provvede ad istituire un apposito comitato, con la partecipazione delle parti sociali. L’Istituto, in attesa di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in ordine al procedimento attraverso cui l’INPS riceverà dai Centri per l’Impiego competenti le segnalazioni delle sanzioni comminate per l’applicazione delle stesse ai percettori di prestazioni di disoccupazione, si riserva di fornire ulteriori istruzioni. Nelle more della realizzazione del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 150 del 2015, i Centri per l’Impiego continueranno ad accedere alla richiamata Banca dati Percettori per conoscere, ai fini delle politiche attive, i percettori di ammortizzatori sociali e per comunicare all’Istituto, ai sensi della normativa vigente, le eventuali cause di decadenza connesse alle attività di competenza dei Centri medesimi. Assegno individuale di ricollocazione L’art. 23 del D.Lgs. 150/2015 istituisce una prestazione denominata “assegno individuale di ricollocazione“ in caso di durata della NASpI superiore a quattro mesi facendone richiesta al centro per l’impiego presso il quale è stato firmato il patto di servizio personalizzato. Si tratta di una somma graduata in funzione del profilo di occupabilità, spendibile presso i centri per l’impiego o presso i servizi accreditati. Infatti l’erogazione è spendibile per acquisire servizi di “assistenza intensiva” nella ricerca del lavoro presso i centri per l’impiego o presso i centri privati accreditati. Detto servizio, a pena di decadenza dello stato di disoccupazione, va richiesto entro due mesi dal rilascio dell’assegno ed ha una durata di sei mesi, prorogabile per altri sei mesi nel caso sia stato consumato l’intero ammontare. L’assistenza alla ricollocazione prevede tra l’altro: • l’affiancamento di un tutor; • un programma di ricerca intensiva della nuova occupazione con eventuale percorso di riqualificazione professionale mirata a sbocchi occupazionali esistenti nell’area; • l’onere in capo al soggetto interessato di svolgere le attività individuate dal tutor; l’onere in capo al soggetto interessato di accettare offerte di lavoro congrue. •
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News Queste prestazioni saranno erogate sulla base delle disponibilità finanziarie assegnate alle regioni. Le modalità operative e l’ammontare dell’assegno di ricollocazione saranno definite con delibera del consiglio di amministrazione dell’ANPAL previa approvazione del Ministro del lavoro ma fin da ora tra i criteri troviamo l’indicazione di una erogazione riconosciuta prevalentemente a risultato occupazionale conseguito.
La fase transitoria Le disposizioni illustrate, nella parte in cui la prestazione di sostegno al reddito si deve incrociare con le politiche attive del lavoro, pur essendo stato varato il decreto legislativo 150/2015 nel settembre scorso, lasciano facilmente capire quante siano ancora le incertezze dovute in prima battuta alle normative che devono essere completate ed arrivare a regime, e quanto siano destinate a rimanere incerte molte operatività che hanno a che vedere con la capacità di attivazione dei centri per l’impiego ed anche dei centri accreditati a livello regionale in un ruolo non semplice atteso che il successo o meno di ogni politica attiva alla fine incrocia la capacità di assorbimento di manodopera del sistema produttivo. Certo tra lo stato di disoccupazione e lo sbocco occupazionale, una politica efficace in grado di creare le connessioni utili a creare relazioni e competenze, è la sfida che i servizi per l’impiego dovranno affrontare con decisione affinché tutta l’operazione non si trasformi in un aggravio burocratico. Atteso che, nell’ambito della rete nazionale e delle funzioni che dovrà svolgere l’ANPAL, le regioni continuano ad avere la titolarità delle politiche attive del lavoro è molto importante porre attenzione alle disposizioni emanate a questo livello ed al rapporto posto in essere attraverso i centri per l’impiego ed alla funzione importante che possono svolgere gli enti privati accreditati. Tutto questo non solo per contribuire alla gestione efficace delle politiche di inserimento lavorativo ma anche per tutelare la nostra utenza rispetto alle condizionalità cui la prestazione è sottoposta onde evitare sanzioni o la perdita stessa del diritto alla prestazione.
RISORSE WEB www.inps.it
Circolare INPS n. 194 del 27.11.2015
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D.Lgs. n. 150 del 14.9.2015
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La nuova disciplina delle mansioni
col Jobs Act
La Legge 183/2014, accompagnata dai suoi numerosi decreti attuativi, ha apportato parecchie novità in ambito di normative sul lavoro. Una delle modifiche passate più sotto traccia, è sicuramente quella attuata con l’articolo 3 del decreto legislativo 81/2015. Con questo provvedimento il legislatore è intervenuto andando a riscrivere l’articolo 2103 del codice civile, ovvero l’articolo che disciplina le mansioni e soprattutto il mutamento delle mansioni all’interno di un contratto di lavoro. La nuova formulazione dell’articolo 2103 prevede molte meno rigidità sulle modifiche delle mansioni e addirittura dell’inquadramento del lavoratore rispetto a quanto previsto fino al giugno 2015. Il primo comma ribadisce il concetto che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito. A questo punto vengono inserite nell’articolo le due ipotesi relative all’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori, precisamente al comma 2 ed al comma 6. Il comma 2 del nuovo articolo 2103 recita testualmente “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”. Poi si ribadisce (al comma 5) che “….il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa …..”.
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News Vale la pena sottolineare che gli assetti organizzativi dell’impresa, e quindi anche le modifiche degli stessi, sono stabiliti unilateralmente dal datore di lavoro e pertanto non necessitano di alcun accordo con i singoli lavoratori o con i loro rappresentanti; non è dunque necessaria la soppressione del posto di lavoro per poter demansionare il lavoratore, ma è sufficiente una variazione dell’organizzazione del lavoro. Tale demansionamento ha un limite: può essere fatto nell’ambito della stessa categoria legale (non è possibile dunque il passaggio da impiegato ad operaio). Il comma 5 precisa che, nonostante lo svolgimento di mansioni inferiori (assegnate unilateralmente dal datore di lavoro ai sensi del comma 2) va preservato per il lavoratore il trattamento economico e non va modificato l’inquadramento; gli unici elementi economici che possono essere ridotti o eliminati sono quelli collegati a particolari funzioni svolte dal lavoratore, come per esempio l’indennità di cassa. La vera novità introdotta dal legislatore è quella prevista dal comma 6 del 2103: “…. possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita …” In questo caso ci troviamo in un situazione diversa rispetto a quella prevista dal comma 2, che come detto deriva da una decisione unilaterale del datore di lavoro; il comma 6 prefigura la possibilità per le parti di stipulare un accordo di modifica delle mansioni da cui derivi per il lavoratore sia un inquadramento inferiore sia una retribuzione inferiore. Tale accordo è possibile, specifica il codice, quando ci sia l’interesse del lavoratore “al mantenimento dell’occupazione”, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. La prima delle tre causali è stata quella più contestata: leggendo la norma infatti, si deduce che è sufficiente il rischio di perdita del posto di lavoro a giustificare l’accordo sul demansionamento e sulla contestuale riduzione dello stipendio; non è previsto alcun onere di provare l’effettività del rischio da parte del datore di lavoro. L’accordo stipulato deve essere sottoscritto in sede sindacale, o presso la Direzione Territoriale del Lavoro o presso una delle sedi previste dall’articolo 76 del decreto legislativo 276/03 (Università, ordini dei consulenti del lavoro, ecc,…). Al di là di quanto previsto dal nuovo articolo 2103, è importante ricordare gli altri casi nei quali un lavoratore può essere destinato a mansioni diverse da quelle assegnate all’atto dell’assunzione: si tratta precisamente di lavoratori divenuti inidonei alle mansioni nel corso del rapporto di lavoro per disabilità (articolo 4 Legge 68/99) o per giudizio del medico competente (articolo 42 del decreto legislativo 81/2008). In entrambi i casi il demansionamento è
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News possibile, ed è finalizzato alla salvaguardia del posto di lavoro; il dipendente ha diritto, nonostante lo svolgimento di mansioni inferiori, a mantenere il trattamento economico precedente, se più favorevole. L’articolo 2103 affronta poi al comma 7 la questione dell’assegnazione a mansioni superiori: il lavoratore che svolga mansioni superiori ha diritto al trattamento economico corrispondente alle nuove mansioni. Nel caso in cui le mansioni superiori vengano svolte per sei mesi continuativi, l’assegnazione diviene definitiva. Tale termine era di tre mesi nella precedente versione dell’articolo. Fanno eccezione le mansioni superiori svolte per sostituzione temporanea di altri lavoratori, che non danno diritto all’assegnazione definitiva. Il termine di 6 mesi può essere modificato dai contratti collettivi, nazionali o aziendali.
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D.Lgs. n. 81, art. 3 del 15.6.2015
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JOBS ACT quadro normativo
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Abbiamo a più riprese trattato alcune normative del Jobs Act a cominciare da quelle più strettamente pertinenti con l’attività di patrocinio ed anche quelle interessanti per la gestione del progetto lavoro. Per dare un quadro riassuntivo delle disposizioni emanate, alcune delle quale potranno essere oggetto di ulteriore trattazione ed approfondimento, si precisa che il Jobs Act trae origine dalla legge delega 10.12.2014 n. 183 e dai decreti legislativi che ne hanno dato attuazione. Rientrano in termini giornalistici nell’ambito del Jobs Act anche altre disposizioni normative che tuttavia sono contenute in disposizioni legislative diverse quali ad esempio la decontribuzione per gli assunti a tempo indeterminato contenute invece nella legge di stabilità del 2015 e del 2016. Ma per avere un quadro complessivo delle disposizioni emanate si rammentano gli obiettivi della legge delega e in estrema sintesi i contenuti dei decreti legislativi di attuazione. Legge 10.12.2014 n. 183 “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”. (GU n. 290 del 15-12-2014) Questi gli obiettivi declinati nell’articolo unico, mentre i criteri direttivi (fondamentale in ogni legge delega perché indicano le linee che il legislatore detta al governo per la loro realizzazione normativa) sono o saranno illustrati nelle norme delegate oggetto della trattazione su Bloc Notes:
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News Comma 1 e 2 Assicurare in caso di disoccupazione involontaria1,2,3 tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale, favorire il coinvolgimento attivo di quanti sono espulsi dal mercato del lavoro o sono beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificare le procedure amministrative e ridurre gli oneri non salariali del lavoro. I decreti delegati tengono conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi. (Vedi D.Lgs. 22/2015, D.Lgs. 148/2015) Comma 3 e 4 Garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative attraverso il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. Istituzione di una Agenzia nazionale per l’occupazione. (Vedi D.Lgs. 150/2015, D.Lgs. 151/2015, D.Lgs. 22/2015) Comma 5 e 6 Conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro ed in materia di igiene e sicurezza sul lavoro a carico di cittadini e imprese 4. (Vedi D.Lgs. 151/2015) Comma 7 Rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, riordinare i contratti di lavoro vigenti 5,6,7,8 per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, rendere più efficiente l’attività ispettiva. Testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro in coerenza con la regolazione dell’Unione Europea e delle convenzioni internazionali. (Vedi D.Lgs. 23/2015, D.Lgs. 81/2015, D.Lgs. 149 e D.Lgs. 151/2015) Comma 8 e 9 Garantire adeguato sostegno alle cure parentali 9 attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori rivedendole ed aggiornandole. (Vedi D.Lgs. 80/2015) 1 Vedi Bloc Notes n. 2/2015: Dossier, i nuovi ammortizzatori sociali 2 Vedi Bloc Notes n. 4/2015: NASpI, chiarimenti 3 Vedi Bloc Notes n. 6/2015: NASpI ulteriori chiarimenti 4 Vedi Bloc Notes n. 5/2015: Il collocamento mirato dei disabili 5 Vedi Bloc Notes n. 3/2015: Contratto a tutele crescenti 6 Vedi Bloc Notes n. 4/2015: Disciplina dei contratti di lavoro 7 Vedi Bloc Notes n. 5/2015: Le collaborazioni coordinate e continuative 8 Vedi Bloc Notes n. 6/2015: La nuova disciplina delle mansioni 9 Vedi Bloc Notes n. 4/2015: I nuovi congedi parentali 6 2015
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News Questi i decreti legislativi emanati DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2015, n. 22 Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183
(GU n. 54 del 6-3-2015) Attuazione art. 1 , comma 1 e 2 lett. b, comma 3, comma 4 lett. p DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2015, n. 23 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 54 del 6-3-2015) Attuazione art. 1 comma 7, in particolare lettera c): contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 80 Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 144 del 24-6-2015 - Suppl. Ordinario n. 34) Attuazione art. 1, comma 8 e 9. DECRETO LEGISLATIVO 15 giugno 2015, n. 81 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 144 del 24-6-2015 - Suppl. Ordinario n. 34) Attuazione art. 1, comma 7. DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 148 Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00160)
(GU n. 221 del 23-9-2015 - Suppl. Ordinario n. 53) Attuazione art. 1, comma 1 e comma 2 (in particolare cassa integrazione). DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 149 Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 221 del 23-9-2015 - Suppl. Ordinario n. 53) Attuazione art. 1, comma 7 lett. l.
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News DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 150 Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 221 del 23-9-2015 - Suppl. Ordinario n. 53) Attuazione art. 1, comma 3 e 4. DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 151 Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunitĂ , in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
(GU n. 221 del 23-9-2015 - Suppl. Ordinario n. 53) Attuazione art. 1, comma 3, comma 4 lett. g) e lett. z), comma 5, comma 6 e comma 7.
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Pensione ai superstiti: i soggetti tutelati
Pensione ai superstiti: i soggetti tutelati
Premessa
Nella recente circolare n.185/2015 l’INPS ha riepilogato la disciplina della pensione ai superstiti con l’intento di garantire all’interno delle diverse gestioni dell’Istituto una uniformità di comportamenti ed orientamenti interpretativi. Scopo di questo articolo è riprenderne i contenuti principali soffermandosi in particolar modo sui soggetti destinatari della tutela e su alcune situazioni meno frequenti durante l’attività di patrocinio.
La disciplina generale La pensione ai superstiti è una prestazione previdenziale finalizzata a contenere il disagio economico che si realizza in un nucleo familiare al momento della morte di un componente percettore di reddito che sia lavoratore o pensionato. Nel caso che a mancare sia un soggetto non ancora titolare di pensione, la reversibilità spetta ai superstiti individuati dalla legge a condizione che il dante causa, in vita, fosse in possesso dei seguenti requisiti contributivi: • almeno 15 anni di contribuzione versata in qualunque epoca; o, in alternativa • almeno 5 anni di contributi di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la morte del defunto.
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In questi casi (pensione da assicurato) la pensione ai superstiti assume la denominazione giuridica di pensione indiretta. La mancanza delle condizioni contributive sopra elencate esclude i familiari dalla possibilità di percepire la prestazione pensionistica.
Negli anni e con misure differenti, il legislatore ha previsto alcune misure per alleviare la rigidità della previsione normativa. Per i familiari di lavoratori defunti con contribuzione accreditata precedentemente al 1996 è riconosciuta una - anacronistica - indennità una tantum collegata all’ammontare della contribuzione del defunto e comunque di importo non superiore a 66,93 euro. Diversa è la tutela per i superstiti di assicurato con sola contribuzione a partire dal 1996: l’indennità una tantum è, infatti, pari all’ammontare mensile dell’assegno sociale (nel 2016 pari a 448,07 euro) moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione accreditate in favore dell’assicurato. L’indennità viene riconosciuta dall’INPS solo su domanda, nel limite della prescrizione decennale, e spetta agli stessi beneficiari previsti per la pensione ai superstiti che non abbiano diritto, a seguito del decesso, a rendite INAIL e purché si trovino nelle condizioni reddituali per il diritto all’assegno sociale. Nel caso di defunto già titolare di pensione, i superstiti hanno diritto alla prestazione ai superstiti senza necessità di perfezionare alcun requisito contributivo. In questi casi la pensione ai superstiti assume la denominazione giuridica di pensione di reversibilità.
I soggetti beneficiari La legge individua puntualmente i soggetti destinatari della pensione ai superstiti riconoscendo ad ognuno di essi una quota percentuale della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato non ancora pensionato. Le aliquote di reversibilità sono stabilite nelle seguenti misure: coniuge solo: 60% coniuge e un figlio: 80% coniuge e due o più figli: 100%
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Qualora abbiano diritto a pensione soltanto i figli, ovvero i genitori o i fratelli o sorelle, le aliquote di reversibilità sono le seguenti: un figlio: 70% due figli: 80% tre o più figli: 100% un genitore: 15% due genitori: 30% un fratello o sorella: 15% due fratelli o sorelle: 30% tre fratelli o sorelle: 45% quattro fratelli o sorelle: 60% cinque fratelli o sorelle: 75% sei fratelli o sorelle: 90% sette o più fratelli o sorelle: 100%
La legge esclude dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta i familiari superstiti condannati con sentenza passata in giudicato per omicidio del pensionato o dell’assicurato.
Il Coniuge Il diritto alla pensione ai superstiti da parte del coniuge dell’assicurato o del pensionato deceduto non è subordinato a nessuna condizione soggettiva. In altri termini, diversamente da altre categorie di beneficiari, non sono previsti in capo al vedovo o alla vedova particolari requisiti di dipendenza economica, stato di salute o di durata del matrimonio.
ATTENZIONE Quanto sopra non significa che la reversibilità spetta al coniuge sempre. In caso di decesso di assicurato non ancora pensionato devono, comunque, verificarsi in capo al dante causa le condizioni contributive riportate in premessa.
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Per contenere e scoraggiare il diffondersi di matrimoni di comodo tra soggetti anziani e persone molto più giovani interessate alla reversibilità, il legislatore nel 2011 ha introdotto una particolare penalizzazione sull’importo dell’assegno, nota anche come “misura anti badanti”. In caso di matrimonio contratto dopo il compimento del 70esimo anno di età del dante causa e con una differenza di età fra i coniugi superiore ai 20 anni, l’aliquota percentuale spettante al coniuge superstite deve essere ridotta del 10% per ogni anno di matrimonio mancante ai 10. Questa disposizione si applica solo alle pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2012, in assenza di figli minori, studenti o inabili.
ESEMPIO Ipotizzando un matrimonio della durata di soli tre anni contratto da un soggetto ultra settantenne con un coniuge di più di 20 anni più giovane, la quota del 60% normalmente riconosciuta alla vedova verrà ulteriormente decurtata del 70%, corrispondente al 10% per i 7 anni mancanti al decennio di matrimonio. Su una pensione del dante causa di 1500 euro mensili la quota reversibile è, quindi, pari a 270 euro contro le 900 normalmente spettanti.
L’avvenuta separazione legale tra i due coniugi, non facendo venir meno gli effetti giuridici del matrimonio, non ha implicazioni sul diritto alla pensione ai superstiti. Solo in caso di separazione con addebito, il coniuge superstite a cui sia stato attribuito un comportamento contrario ai doveri del matrimonio tale da causare il fallimento della convivenza subisce una limitazione dei diritti patrimoniali successori. Questo avrà diritto alla pensione di reversibilità solo se titolare di assegno alimentare, (diverso dall’assegno di mantenimento) previsto dall’art. 433 del Codice civile a prescindere dall’eventuale responsabilità della separazione e qualora sussista uno stato di effettivo bisogno, dovuto non solo alla mancanza di mezzi economici, ma anche all’impossibilità di svolgere un’attività lavorativa, tenuto conto delle condizioni fisiche, dell’età e della posizione sociale rivestita dal coniuge. Con le nuove nozze, il coniuge superstie decade dal trattamento di pensione. Il neo sposo o sposa avrà diritto ad un assegno finale pari a due annualità della pensione (26 mensilità) nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio. Se la pensione è integrata al trattamento minimo, la liquidazione della doppia annualità tiene conto dell’ integrazione e non solo dell’importo a calcolo.
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L’eventuale dichiarazione di nullità del secondo matrimonio, avendo come effetto giuridico quello di doversi ritenere il matrimonio come mai esistito, consente il ripristino della pensione ai superstiti. Pertanto, la pensione ai superstiti dovrà essere ripristinata dall’INPS dalla data della revoca, fermi restando gli effetti della prescrizione dei ratei ed il recupero della doppia annualità già corrisposta al coniuge in occasione del matrimonio poi dichiarato nullo.
I Coniugi divorziati La legge 1 prevede che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare dell’assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”. Pertanto, nel caso in cui l’assicurato o il pensionato, dopo il divorzio non sia passato a nuove nozze, l’ex coniuge ha diritto alla reversibilità se può far valere le seguenti condizioni: • la titolarità dell’ assegno periodico divorzile di cui all’articolo 5 della Legge n. 898 del 1970. In caso di liquidazione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, il coniuge che lo riceve perde il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti, venendo meno il legame patrimoniale con il de cuius; • non risulti passato a nuove nozze; • la data di inizio del rapporto assicurativo del dante causa deve essere anteriore alla data della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il perfezionarsi di queste condizioni realizza un’equiparazione del coniuge divorziato al coniuge superstite. Ne consegue che, in caso di concorso con figli superstiti, al coniuge divorziato debba essere corrisposta una quota pari al 60% della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato mentre i figli superstiti avranno diritto ad una pensione da determinarsi secondo le percentuali sopra riportate in tabella.
1 Articolo 9 della Legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito prima dall’articolo 2 della Legge del 1 agosto 1978, n. 436 e successivamente dall’articolo 13 della Legge del 9 marzo 1987, n. 74 e dalla Legge del 28 dicembre 2005, n. 263.
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In caso di concorso con genitori ovvero fratelli o sorelle del deceduto, il coniuge divorziato esclude sia gli uni che gli altri dal diritto a pensione essendo il suo titolo prevalente e incompatibile con quello degli altri superstiti. È possibile che alla data del decesso coesistano più vedovi o più vedove. Accade quando siano presenti il coniuge in seconde nozze ed il coniuge divorziato (in astratto anche più di uno) entrambe con diritto al trattamento ai superstiti. In questo caso, mancando nella legislazione una previsione che disciplini compiutamente la determinazione delle quote di pensione spettanti, la ripartizione sarà operata dal Tribunale a cui il coniuge divorziato dovrà rivolgersi per ottenere il riconoscimento del proprio diritto e la determinazione della relativa misura. L’importo del trattamento pensionistico complessivamente attribuibile al coniuge superstite e al coniuge divorziato è, comunque, pari al 60% della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato deceduto. Lo stesso principio si applica se alla data del decesso coesistano più coniugi divorziati in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione ai superstiti. Anche in questo caso gli ex coniugi superstiti dovranno rivolgersi al Tribunale per ottenere il riconoscimento dei propri diritti e la determinazione della relativa misura. La sentenza del giudice costituisce il titolo giuridico in base al quale l’INPS dovrà determinare le quote spettanti. In attesa della notifica della sentenza del Tribunale,l’Istituto è tenuto a:
• • •
verificare se sulla pensione diretta del dante causa era trattenuto un assegno divorzile e, in caso affermativo, accantonare cautelativamente una somma mensile di pari importo dalla quota di pensione spettante al coniuge superstite; non erogare al coniuge divorziato alcuna quota di pensione; effettuare i pagamenti nella misura stabilita al coniuge superstite, detraendo da detta quota, un importo pari all’assegno divorzile.
Una volta notificato all’INPS il provvedimento del Tribunale, l’Istituto ripartirà la prestazione tra gli aventi diritto sulla base di quanto stabilito dal Giudice e contestualmente al primo pagamento, liquiderà al coniuge divorziato la quota cautelativamente accantonata. Se il coniuge divorziato titolare della reversibilità o di una sua quota contrae nuove nozze, oltre a perdere la pensione non ha diritto alla doppia annualità.
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I Figli ed equiparati Il D.Lgs. n.154/2013 ha disposto l’eliminazione dei riferimenti presenti nel sistema normativo italiano a “figli legittimi” e “figli naturali”, sostituendoli con il termine “figlio” al fine di eliminare ogni discriminazione fra i figli nati nel e fuori dal matrimonio. Hanno, dunque, diritto alla pensione ai superstiti i figli e le persone ad essi equiparati che, alla data di decesso dell’assicurato o del pensionato: • non hanno superato il 18° anno di età. Come per il coniuge, il diritto in favore del figlio minorenne sussiste a prescindere da ogni altra condizione. Dunque spetta anche se il minore non era a carico del genitore al momento del decesso e anche se il minore risulta coniugato o presta attività lavorativa. Il diritto alla pensione ai superstiti del figlio minore non inabile cessa al compimento del 18° anno di età, a meno che non prosegua negli studi, nel qual caso si applica la disciplina prevista per i figli studenti; oppure • figli maggiorenni che siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo. L’inabilità richiesta per il diritto a pensione ai superstiti presuppone che il soggetto “a causa dell’infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”, ai sensi dell’articolo 2 legge 12 giugno 1984, n. 222. Per i figli inabili, il venir meno dello stato di inabilità costituisce causa di cessazione del diritto alla pensione ai superstiti. Il figlio disabile che svolge attività lavorativa con finalità terapeutiche (destinata quindi al recupero o alla socializzazione dell’invalido) non perde il diritto alla pensione a patto che: • sia svolta con orario non superiore alle 25 ore settimanali; • sia svolta presso cooperative sociali o datori di lavoro che assumono i soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa (previste dalla Legge 68/99). La verifica della finalità terapeutica e di inclusione sociale dell’attività è affidata alle valutazioni dei sanitari dell’INPS. In deroga al principio generale secondo cui le condizioni richieste dalla legge ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione indiretta o di reversi-
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bilità debbono sussistere alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato, il figlio riconosciuto inabile al lavoro nel periodo compreso tra la data di morte dell’assicurato o del pensionato e quella di compimento del 18° anno di età conserva il diritto alla pensione ai superstiti anche dopo il compimento di tale età. Per i figli superstiti studenti, che non prestino lavoro retribuito e a carico del genitore defunto al momento della morte, il limite di 18 anni è elevato:
• a 21 anni in caso di frequenza di scuola media o professionale; • a 26 anni in caso di frequenza dell’Università. La legge equipara ai figli:
• figli adottivi e affiliati del lavoratore deceduto; • figli del deceduto riconosciuti o giudizialmente dichiarati; • figli non riconoscibili dal deceduto per i quali questi era tenuto al mantenimento o agli alimenti in virtù di sentenza, nei casi previsti dall’art. 279 del codice civile;
• figli non riconoscibili dal deceduto che nella successione del genitore hanno ottenuto il riconoscimento del diritto all’assegno vitalizio, ai sensi degli articoli 580 e 594 del codice civile;
• figli nati dal precedente matrimonio del coniuge del deceduto; • figli riconosciuti, o giudizialmente dichiarati, dal coniuge del deceduto; • minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norme di legge; • nipoti minori, anche se non formalmente affidati, dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti;
• figli postumi, nati entro il trecentesimo giorno dalla data di decesso del padre.
Lo status di figlio studente Sono considerati studenti, ai fini della concessione della pensione ai superstiti, i figli superstiti che alla data di morte del dante causa, sono a carico del genitore, non prestano attività lavorativa e: • hanno un’età compresa tra i 18 e i 21 anni se studenti di scuola media o professionale; • hanno un’età compresa tra 18 e 26 anni e risultano iscritti all’università o a scuole di livello universitario in un anno accademico compreso nella durata legale del corso di laurea. La frequenza fuori corso non è utile al perfezionamento ed al mantenimento del requisito.
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Ai fini del riconoscimento o della proroga del diritto a pensione ai superstiti sono utili anche i titoli di studio esteri a condizione che siano equiparabili ai corrispondenti titoli italiani. In questo caso, dovrà essere prodotto all’INPS il certificato di iscrizione estero, con indicazione della tipologia e la durata del corso frequentato corredato di traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero. Coerentemente con il principio generale secondo cui le condizioni richieste dalla legge ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione debbono sussistere alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato, la pensione è riconosciuta al figlio studente maggiorenne quando il decesso del genitore è avvenuto nel periodo di durata del corso di studi. Questo significa che in caso di interruzione degli studi prima del termine dell’anno scolastico o accademico, il diritto a pensione è riconosciuto se il decesso è avvenuto nel periodo che va dall’inizio del corso stesso alla data di interruzione. Una eventuale ripresa degli studi non è purtroppo sufficiente a “sanare” il requisito.
ESEMPIO Studente maggiorenne di scuola professionale che decide di interrompere di studi a febbraio. Decesso del genitore il 15 aprile. Ripensamento e ripresa degli studi dal settembre successivo. Purtroppo il figlio non ha diritto alla reversibilità in quanto il decesso del genitore è avvenuto fuori dal corso di studi.
In caso di morte del genitore nel periodo compreso tra due differenti ordini di studio (ad esempio tra le medie e le superiori o tra queste e l’Università o tra due cicli di studi universitari), il figlio o equiparato conserva lo status di studente ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione a condizione che l’iscrizione, successiva alla data del decesso del genitore, avvenga senza soluzione di continuità entro la prima scadenza utile prevista per l’iscrizione al ciclo di studi immediatamente successivo.
ESEMPIO Decesso del genitore che avviene al termine del quinto anno di superiori. Se il figlio si iscrive subito all’Università, senza soluzione di continuità tra i due cicli di studi, mantiene lo status di studente. Viceversa, la decisione attendere e posticipare di uno o più anni gli studi universitari comporta la decadenza dalla prestazione.
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Fermo restando che il diritto non sorge ove alla data del decesso del dante causa non sussistano le condizioni richieste come negli esempi sopra riportati, nel caso in cui tali condizioni vengano meno nel corso del godimento della prestazione, la pensione viene sospesa, ma può essere ripristinata qualora venga a cessare la causa della sospensione. Perfeziona lo “status di studente” ai fini del riconoscimento/proroga del diritto a pensione ai superstiti per tutta la durata del corso, ma non oltre il 26° anno di età, l’iscrizione a: • università statali e non statali riconosciute; • periodi di studio in Erasmus presso università straniere; • altro tipo di scuola legalmente riconosciuta cui si accede mediante diploma rilasciato a seguito del completamento del secondo grado dell’istruzione superiore;
• corsi di livello universitario; • scuole di specializzazione o di perfezionamento, corsi di perfezionamento, corsi di integrazione e di cultura annessi a facoltà universitarie, previsti dal Testo Unico sulla istruzione superiore approvato con Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592;
• master universitari di primo e secondo livello organizzati da università statali e non statali riconosciute;
• dottorati di ricerca; • corsi di formazione artistica e musicale (conservatori) equiparati dall’anno accademico 2005/2006 ai corsi universitari;
• istituti tecnici superiori (ITS 2). La qualifica di studente universitario si perde comunque al compimento del 26° anno di età o al conseguimento della laurea non seguito dall’iscrizione a un corso di perfezionamento ovvero ad altro corso di laurea.
2 Gli Istituti Tecnici Superiori sono stati istituiti con il D.L. n. 7 del 2007 nell’ambito della riorganizzazione del sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore. Questi offrono una specifica offerta formativa non universitaria finalizzata a rispondere alla domanda delle imprese di nuove e elevate competenze tecniche e tecnologiche. I percorsi di studio hanno in genere la durata di quattro semestri e richiedono quale titolo di accesso il diploma di istruzione secondaria superiore. Al termine del percorso formativo vengono riconosciuti crediti formativi universitari e viene rilasciato il diploma di tecnico superiore, utile per l’accesso ai concorsi pubblici ed all’esame di stato per le varie figure professioni.
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I figli studenti che lavorano Per l’orfano studente il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti trova tutela nell’impossibilità o difficoltà di procurarsi un reddito in conseguenza degli impegni di studio. Pertanto, un’attività lavorativa duratura nel tempo ed adeguatamente retribuita, comporta in via presuntiva il venir meno dello status di studente e l’esclusione della quota di pensione. Diversamente, come ha affermato la Corte Costituzionale, la percezione di un piccolo reddito per attività lavorative precarie e saltuarie non fa perdere la prevalenza della qualifica di studente. In assenza di una espressa previsione legislativa, l’Istituto considera non ostativo del diritto alla pensione ai superstiti lo svolgimento di attività lavorativa dalla quale derivi un reddito annuo inferiore al trattamento minimo annuo di pensione maggiorato del 30%. Lo studente lavoratore ha l’onere di comunicare tempestivamente all’Istituto il reddito annuo presunto, nonché ogni variazione dello stesso. In caso di superamento del limite, l’INPS procede alla sospensione del trattamento pensionistico e al recupero delle somme indebitamente erogate nel corso dell’anno di riferimento. Ai fini dell’accertamento della condizione reddituale rilevano i soli redditi derivanti da qualsiasi attività di lavoro. L’Istituto ha chiarito che il figlio maggiorenne studente che presti servizio civile volontario mantiene il diritto alla pensione ai superstiti dal momento che lo svolgimento del servizio non si configura come una prestazione di lavoro retribuito. In modo analogo, l’impiego in lavori socialmente utili e lo svolgimento di borsa lavoro da parte del figlio studente titolare di pensione ai superstiti non comportano la sospensione della pensione in quanto dette attività non sono assimilabili alle prestazioni di lavoro retribuito.
I Nipoti La Corte Costituzionale con la sentenza n.180 del 2009 ha esteso la tutela, già riservata dalla legge ai figli ed ai soggetti equiparati, riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità nei confronti dei nipoti minori viventi a carico dei nonni al momento del loro decesso. La presenza di uno o di entrambi i genitori del nipote superstite non è ostativa al riconoscimento della pensione di reversibilità, purché sia accertata la loro l’impossibilità di provvedere al mantenimento del figlio, perché privi di attività lavorativa e di altre fonti di reddito.
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Il diritto acquisito del nipote alla pensione di reversibilità non viene meno se, successivamente alla data di decesso del nonno, il genitore riprenda a lavorare o diventi titolare di redditi che potrebbero consentirne il mantenimento.
I Genitori del dante causa In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, la reversibilità è riconosciuta ai genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo: • abbiano compiuto 65 anni di età; • non siano titolari di alcuna pensione; • siano a carico del lavoratore deceduto. Il genitore che successivamente diventa beneficiario di un’altra pensione, perde il diritto alla pensione ai superstiti con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di decorrenza della nuova pensione.
Fratelli celibi e sorelle nubili In assenza del coniuge, dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, la reversibilità è riconosciuta ai fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo: • siano inabili al lavoro;
• non siano titolari di alcuna pensione; • siano a carico del lavoratore deceduto.
Il fratello o la sorella che successivamente diventa beneficiario/a di altra pensione, perde il diritto alla pensione ai superstiti con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di decorrenza della nuova pensione. Anche la cessazione dello stato di inabilità o il sopravvenuto matrimonio determinano il venir meno del diritto alla prestazione dal primo giorno del mese successivo a quello di insorgenza delle cause predette.
Il requisito del carico La legge subordina il riconoscimento del diritto a pensione ai superstiti in favore dei figli ed equiparati di età superiore ai 18 anni, studenti o inabili,
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dei nipoti, dei genitori e dei fratelli/sorelle alla sussistenza in capo ad essi, alla data del decesso del genitore, del requisito della vivenza a carico del deceduto. Per questi soggetti, il requisito della vivenza a carico risulta verificato al ricorrere delle seguenti condizioni:
• lo stato di bisogno del superstite; • il suo mantenimento abituale da parte del dante causa. 1. Lo stato di bisogno del superstite Questa condizione si verifica quando il familiare superstite si trovi in una situazione di non autosufficienza economica. Come precisato dal’Istituto, la condizione della non autosufficienza economica sussiste quando il reddito individuale del superstite, dedotti i redditi non computabili per legge, non supera l’importo del trattamento minimo della pensione maggiorato del 30%. Ai fini dell’accertamento della situazione di non autosufficienza economica, devono essere presi in considerazione i soli redditi assoggettati all’IRPEF, con esclusione dei redditi esenti (pensioni di guerra, provvidenze economiche in favore di minorati civili) o comunque non computabili agli effetti dell’IRPEF (rendite INAIL). In caso di figli maggiorenni inabili superstiti, per i decessi intervenuti successivamente al 31 ottobre 2000, il limite per il carico è fissato nella stessa misura prevista per il diritto alla pensione di inabilità degli invalidi civili totali (nel 2016 16.532,10 euro). Per i figli inabili che si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognino di un’assistenza continua, il predetto limite deve essere aumentato dell’importo dell’indennità di accompagnamento (nel 2016 complessivi 22.680,18 euro). Nel caso di figlio inabile coniugato, il diritto alla pensione in favore del medesimo è subordinato alla circostanza che il figlio inabile, non disponendo il coniuge di mezzi sufficienti al suo mantenimento, risulti a carico del genitore alla data del decesso di quest’ultimo. Quindi, in tale ipotesi ai fini della verifica del requisito del carico devono essere anche valutati gli eventuali redditi del coniuge. Analogamente, per il nipote a carico del nonno, dovrà essere accertata l’impossibilità dei genitori di provvedere al mantenimento del figlio, perché privi di attività lavorativa e di altre fonti di reddito.
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2. Il mantenimento abituale del superstite da parte del dante causa Questa condizione si desume dal comportamento del familiare deceduto nei confronti dell’avente diritto ed assumono particolare rilevanza i seguenti elementi: • la convivenza, ossia la effettiva comunione di tetto e di mensa. Per i figli di età superiore a 18 (anche nipoti, genitori e fratelli) conviventi è necessario accertare lo stato di non autosufficienza economica, mentre può, di norma, prescindersi dalla verifica del mantenimento abituale. In altri termini quando c’è convivenza, si presume che vi sia anche il mantenimento abituale mentre resta da accertare la sola condizione di non autosufficienza economica; • la non convivenza. In tal caso devono essere verificate entrambe le condizioni di non autosufficienza economica e mantenimento abituale. Ai fini del mantenimento abituale occorrerà dunque accertare che il dante causa concorreva in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del superstite non convivente . Non è necessario che l’assicurato o pensionato vi provvedesse in via esclusiva: è sufficiente che questo avvenisse, anche in concorso con altri, in maniera abituale e rilevante. Non necessariamente si deve provare l’eventuale invio di somme di denaro: è sufficiente che il defunto fornisse, con carattere di continuità, i mezzi di sussistenza. Una ipotesi particolare di concorso al mantenimento si ha in caso di ricovero del superstite in un istituto di cura o di assistenza con retta di degenza a carico di ente o persona diversa dal lavoratore deceduto, il quale tuttavia forniva al medesimo, con carattere di continuità, i mezzi di sussistenza. In tal caso il requisito del carico sussiste purché il superstite non possa procurarsi altri mezzi di sussistenza.
RISORSE WEB
www.
www.inps.it
Circolare INPS n. 185 del 18.11.2015
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Bloc Notes è stampato su carta Fedrigoni “Symbol Freelife Satin” certificata con Marchio Europeo di Qualità Ecologica Ecolabel Rif. Nr. It/011/04