Restare umani e crescere nei luoghi della rovina e della rinascita

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Esperienza ad Aquila 1-7 gennaio 2012 Restare umani e crescere nei luoghi della rovina e della rinascita

Noi possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito se dovessimo farlo griderebbero le pietre


Un sogno nella vigilia La scala di Giacobbe

Se tu o Dio squarciassi i cieli e scendessi la giustizia si affaccerebbe dal cielo e la verità germoglierebbe sulla terra. La scala, il sogno e la lotta è ciò che costituisce il sogno di questo viaggio, come nella visione notturna di Giacobbe (Gen 28,10-22). Nel segno di una scala si apre il sogno del nostro viaggio; come la scala dei pompieri nei primi soccorsi, come quelle impalcature appoggiate come scale di legno a case inagibili e diroccate. Una scala posta tra cielo e terra: è un discendere e un salire; è un’esperienza di incarnazione: scendiamo all’Aquila e un’esperienza di intercessione, di risurrezione: saliamo all’Aquila. Da entrambi i versanti si percorra tale esperienza essa è resa possibile da «un’attenzione» (Simone Weil). E Vedrete il Figlio dell’uomo salire e scendere dalle nubi del cielo.

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Pietre Macerie lasciate lungo le vie che pesano alla vista come macigni; pietre scartate per essere poi riprese e poste di nuovo a fondamento… La pietra della rovina diviene, nel sogno, pietra-giuanciale; la pietra dove ci si ferma desolati, brancolando al buio, diviene la pietra della dolcezza e del riposo. Le pietre della distruzione avvenuta, sono lì ad invocare per la città la sua ricostruzione. Testata d’angolo, colonna di fondamento.

Una scala e una pietra perché dai luoghi della rovina si possa estrarre quegli elementi della propria memoria che possono costituire una rinascita della coscienza e della città. Una ricostruzione materiale e spirituale del popolo aquilano e italiano. Tornano alla memoria i testi profetici dell’esilio, quando si ritorna a Gerusalemme e nella città ancora in rovina, tra le macerie si ritrova la Legge, la legge della vita. Proprio questo ritorno alla Legge della vita costituisce la soglia e determina il passaggio dalla rovina alla rinascita, dall’abbandono di Dio all’abbandono a Dio, in Dio. Quei testi non cancellano nulla, richiamano la memoria e sono un ammonimento rivolto a tutti: la città arroccata e la politica arrogante andrà in rovina. Ricostruzione è rinascita e risurrezione. Rimozione è rassegnazione.

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Aquila come Pompei Distrutto il centro il cuore degli aquiliani ha smesso di battere «In quello stesso momento ci fu un grande terremoto, che fece crollare un decimo della città» (Ap 11,13)

Tutta la vita dell’Aquilano si concentrava in città. Distrutto il centro sono crollati tutti i punti di riferimento: lavorativo, commerciale, turistico, culturale, aggregativo, religioso, civile. Una città collocata in mezzo alle montagne e un po’ chiusa in se stessa; poco disposta ad accogliere altri. L’Aquila era considerata la settima città come patrimonio artistico. Non è la stessa cosa se il terremoto fosse avvenuto da noi e avesse fatto crollare tutta Bergamo alta e bassa. Nell’hinterland e nelle valli permangono, da noi, diversi altri centri di riferimento. Qui invece tutto convergeva al centro dall’università al mercato che ogni giorno si teneva nella piazza del Duomo. Tutti i borghi infatti dell’aquilano lungo la storia hanno concorso nella costruzione della città facendo convergere la propria presenza nel centro della città con novantanove chiese, novantanove piazze, come novantanove sono le bocche della famosa fontana.

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Una città fantasma Ora l’ Aquila è una città fantasma, una landa di ululati solitari… nel nostro percorso a piedi solo il girovagare e l’avvicinarsi di cani randagi che ululavano.

Poche sono le persone che si incontrano, nessuno scambio di parola. Anche il sindaco alla fine del giro si è poi sottratto ad ogni possibilità di confronto.

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Crollati i punti di riferimento c’è un grande smarrimento e a monte il trauma del terremoto. Quella notte ha lasciato in tutti una grande paura addosso. Basta lo sbattere di una porta a far sobbalzare il cuore.

La gente, da fuori, viene a farci visita come si va a Pompei; sono aumentati i turisti della macerie; ma l’Aquila non vuole essere un sito archeologico. Non ci è permesso assumere questo sguardo. Lo ricorda anche una scritta posta sulla recinzione alla Casa dello studente. Per non essere turisti della macerie occorre creare relazioni, gettare ponti tra le comunità. Incontriamo Settimio che ha coordinato e fatto da collegamento, a livello locale, per la Protezione civile. Ci accompagna per la città; lui cerca di resistere, lavora per volere una ricostruzione. Senza mezzi termini ci ricorda un detto aquilano: “Quando gli asini litigano, i barili si rompono”. 6


La città distrutta è ora abbandonata nella sua rovina. E i politici? Preferiscono commemorare i morti che lavorare sulla prevenzione.

Si è sottovalutato lo sciame sismico e non si è dato l’allarme; la terza scossa di quella notte 6 aprile 2009 è stata fatale.

«Immota manet» restare immobili Stabilità non è immobilità: un invito alla fermezza superare l’insipienza e l’impotenza «Una travatura di legno ben connessa in una casa non viene scompaginata per un terremoto, così un cuore consolidato da matura riflessione non si scoraggia nel momento critico» (Sir 22,16). Non respiriamo soltanto un senso diffuso di impotenza; c’è 7


un immobilismo irresponsabile e colpevole di malgoverno che affligge ora gli aquilani; e, via via, si sta perdendo ogni volontà di reazione. Restare immobili quando c’è stato un terremoto che ci ha scosso dalle fondamenta è un paradosso. E si rimane fermi! Un conto è la stabilità, altro è l’immobilità.

Chi parla di un recupero in breve tempo della città dice menzogne. C’è sfiducia politica nel ricostruire la città insieme. Ci vorranno almeno 30-40 anni, così si esprime anche Mons Giovanni D’Ercole Vescovo ausiliare giunto ad Aquila per far fronte, anche come Chiesa, all’emergenza terremoto. Non c’è un accordo tra chi dovrebbe gestire la ricostruzione; non c’è ancora un progetto sulla città.

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A quasi tre anni di distanza ciò che inizialmente si era avviato è stato congelato. Tra governo e amministrazione locale c’è un reciproco scarico di responsabilità che concorre a congelare ogni energia e a paralizzare burocraticamente ogni intervento. Vige un po’ questa legge tra coloro che amministrano la città: “Se non posso fare io, non puoi fare neppure tu”.

Chi afferma che si sta procedendo alla ‘messa in sicurezza’ delle case tutte ingabbiate e puntellate parla già al passato poiché ormai anche la messa in sicurezza non è più tale.

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Dopo la scossa ecco la “Zona rossa”. Subito dopo l’Aquila sarebbe stata sottratta agli sguardi. La maggior parte delle vie e zone del centro storico sono invalicabili e presiediate dai militari.

Alcune vie sono state rese percorribili ma è pur vero che appare più un’operazione di facciata se pensiamo che a qualche esercente si è concessa l’autorizzazione a riaprire, in parte la propria attività al pian terreno di edifici tutti cintati o crollati nei piani superiori!

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Cosa sarebbe diventata l’Aquila con il G8 se non un teatrino della politica italiana? La città è stata scelta perché non sarebbe andato nessuno a protestare? Un’operazione di vetrina internazionale. Le case puntellate senza un progetto di ricostruzione sono parse un po’ come un ‘presepe’ da mostrare ai grandi della terra.

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L’assegnazione della case lo smembramento dei legami La costruzione di case era necessaria, ma non c’è stato un piano adeguato di ricostruzione così un territorio bellissimo è stato preda di edilizia selvaggia. Per come sono avvenute le cose ci sono sorte delle perplessità. È apparsa a molti una campagna pubblicitaria del Presidente del Consiglio che poi viene nelle vesti dell’immobiliare a consegnare le chiavi di casa. Anche nell’assegnazione delle case non si è sempre tenuto conto l’entità del nucleo familiare, ma si è cercato di far accomodare al meglio parenti, amici e conoscenti da cui si erano presi o sono promessi i voti. Ognuno si sta ricollocando altrove; si sono sciupate e rifiutate anche opportunità internazionali poiché coloro che dovrebbero presiedere al bene comune della città, se non si immedesimano nel dramma della propria gente, scelgono l’immobilismo piuttosto di perdere la possibilità di trarre per sé dalla ricostruzione, una fonte di guadagno.

Le persone sono state smembrate dai propri nuclei familiari parentali e di vicinato e sono state dislocate in direzioni diverse nella periferia. Pesa la sorte di sfollati, alloggiati in case senza storia, senza anima, senza luoghi di incontro per potersi incontrare, per poter ascoltare parlare e elaborare quanto il sisma ha provocato nelle proprie coscienze… 12


Che tipo di relazioni si costruiscono con l’architettura? È crollata la speranza… si assiste alle rovine interiori delle rassegnazione, della depressione, della disoccupazione cresciuta al 40%. Le persone sono state sradicate dal proprio contesto di vita. Quando potranno tornare, -ammessa che ci sia una ricostruzione, ma attualmente non si vedono segni di ripresa- saranno oramai anziani. Le giovani generazioni invece cresceranno per decenni in questi nuovi insediamenti e nel futuro non si sentiranno così radicati e affezionati al recupero della città. Si sta formando una Aquila 2. Una città sorta sul nulla senza servizi, né autotrasporti, con un congestionamento del traffico. Molti anziani non sono morti solo nel terremoto; ma anche dopo; sono morti, soli dispersi, lontani dal loro luogo di origine, dislocati in alberghi fino al mare…

Una città ferita e lasciata sola nel suo lutto Già da tempo è calato il silenzio su Aquila. I media non ne parlano più e, all’interno della città, il silenzio è sceso anche per sfinimento. Gli iniziali segni di partecipazione sociale a poco a poco si sono spenti. Ultimo atto, dopo la manifestazione delle carriole, è stato il 7 aprile 2010, con la protesta giunta a Roma per la mancanza di una legge speciale per l’Aquila, con sgravo fiscale.

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Se non se ne parla più, l’uomo comune è indotto a pensare che il problema sia stato risolto, o che in qualche modo le cose siano andate avanti. Non è così. Cosa è successo? Non si sono rimosse le macerie, ma la ricostruzione e la situazione è sempre più incancrenita.

70.000 abitanti all’Aquila e 28000 studenti universitari ora ridotti a 22.000 e tutti ora fanno spola da fuori a fronte di mancanza di alloggi e di speculazione degli afflitti disponibili.

Nel centro della città tutto è immobile: nessuna persona più vive nelle case, nessuno abbiamo visto lavorare, nessuno si incontra. Manca il desiderio di una progettualità, e quando manca il desiderio si smette di combattere e quando viene meno la speranza tutto viene a mancare. 14


L’Aquila torni a volare in alto Specchio dell’anima e della condizione sociale e civile L’Aquila con il terremoto è parabola di quanto accade a ciascuno di noi in diverse circostanze della vita. Nel momento dell’emergenza sono arrivati molti aiuti, ma poi si è fatto deserto. La città ha ricevuto una grossa botta come quando ad una persona viene un ictus bilaterale; all’inizio c’è una cura intensiva, ma la fase più incerta e difficile è la riabilitazione. Ebbene questa dopo l’ictus non è ancora avvenuta. Dobbiamo ripensare e riabilitare la città dal punto di vista politico e amministrativo.

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Quando veniamo colpiti da un lutto tutti si muovono, gli amici si fanno sentire con il calore umano e l’aiuto materiale; poi dopo un po’ di tempo tutti se ne vanno. È allora che emerge un disagio interiore e, in questo vuoto che si crea, affiora la depressione. Ma anche in altri momenti della vita quando attraversiamo periodi di crisi messi alle strette nell’immediato riusciamo a tirar fuori tutta la nostra forza di reazione, magari anche di rabbia; poi subentra una sorta di rilassamento, di rassegnazione, di rimozione, ogni passione e speranza di vita si spegne. Occorre invece sostenere che non ultima è la morte, nulla andrà perduto. Da questo annuncio e programma può nascere la speranza dell’Aquila.

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Vuoto culturale e perdita dell’anima Ciò che vediamo fuori è immagine di ciò che è accaduto dentro. Il terremoto non ha distrutto solo le case, ha creato un vuoto nella coscienza delle persone. Il terremoto ha portato in luce tra le macerie anche una condizione strutturale, storica, ambientale, culturale dell’Aquilano. L’Aquila era già crollata prima del terremoto. E la politica come una casa imballata, impacchettata. Aquila è lo specchio di tutta l’Italia, così si esprime don Ramon. Il terremoto ha frantumato la coscienza di tutti e messo a dura prova il cuore.

Tra la gente è forte il bisogno di ascolto, il desiderio di parlare, la preoccupazione del futuro che ci è comune; c’è bisogno di speranza. Il crollo della speranza questo è il dramma nel dramma che ha fatto crollare tutte le nostre consuetudini e certezze di vita.

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Che cosa e chi cerchiamo? L’Aquila è immagine di quello che spesso accade in noi. Nei momenti di ripresa e condivisione di gruppo ci domandiamo: Chi cerchiamo quando ci troviamo a pezzi, quando le situazioni della vita ci piombano addosso e ci fanno crollare? Quali relazioni ci possono essere di riferimento? Quali alleanze stringere per poterci rialzare dalle nostre macerie? Nelle nostre relazioni cerchiamo delle persone che ci possono dare una scossa, che hanno la forza di smuoverci dal nostro abbattimento e dal nostro risentimento, dall’apatia e dalla rassegnazione? Siamo disposti a lasciarci smuovere dalla parola dell’altro anche, se di nuovo, può far cadere quelle cose che ancora rimangono in bilico e stanno per crollare? Oppure cerchiamo dei legami che soltanto ci puntellano e ci ingabbiano nelle nostre rovine, per poi abbandonarci nello stato di prostrazione in cui ci troviamo?

Lo scenario dell’Aquila non ci rimanda alla costruzione della nostra stessa casa? La nostra vita non appare forse una vita vuota, una vita troppo impacchettata mancante di un progetto? L’Aquila non è specchio dell’anima e della condizione civile di tutto il Paese? 18


Anche la Chiesa è terremotata Crollano le chiese, si alzano le tende amiche Una nuova presenza?

Il centro della città costituiva anche il centro della Chiesa. Il centro storico dell’Aquila aveva 30.000 abitanti (110.000 tutta la diocesi), improvvisamente crolla tutto. Ci domandiamo come Chiesa quale coscienza storica stiamo esprimendo e dovremmo profeticamente incarnare? Anche la Chiesa è terremotata; sono terremotati i suoi preti, il futuro della ricostruzione passa attraverso le relazioni, nel ricreare le comunità che si sono disperse. Il terremoto ha sconquassato anche il tessuto familiare di diverse persone a seguito di un aumento di separazioni. Come Chiesa locale ci siamo impegnati nell’erigere delle tende, battezzate con il nome di ‘tende amiche’: sono l’unico luogo di ritrovo e di incontro per le celebrazioni, per l’aggregazione e ogni altra attività della vita parrocchiale. La mancanza di luoghi di incontro non fa che accentuare e acutizzare le fatiche e le sofferenze del post-terremoto. Ora se ci fermiamo a quello che vediamo, l’immobilismo rischia di accentuare l’angoscia. Come Chiesa desideriamo 19


trovare una terza via rispetto alla sola denuncia o a lasciarsi schiacciare dall’angoscia: la via della presenza, di una nuova presenza suscitata dallo Spirito. Una Chiesa che non chiudendosi nella paura torna a stare in mezzo alla gente, nella condivisione piena della loro sofferenza, una Chiesa che fa rinascere qualcosa nelle persone prima che nelle pietre, nei cuori, prima che nella città.

«D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti» (At 16,26).

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Il centro è Dio. Dov’era Dio?

Sotto le macerie… Paganica Le Clarisse del monastero di Santa Chiara a Paganica nel terremoto hanno perso la propria Abbadessa Maria Gemma. Tutto il tetto del monastero si è rovesciato a imbuto sulla sua cella. È inspiegabile, dicono i tecnici, come il tetto non abbia ceduto in altre parti. Per le altre sorelle, alcune ferite, è stato un miracolo uscire vive dalle macerie. Negli ultimi tempi la Madre soleva ripetere alle sorelle: «Io vi guarderò dal cielo», come se presentisse che, nell’incombere della possibile tragedia lei avrebbe offerto la sua vita per risparmiare la loro. Era arrivata a una sintesi e sapienza di vita: «Il centro è Dio e tutto converge in Lui che è l’essenziale e ciò che è essenziale e rimane è l’Amore». Presenti nella città storica dell’Aquila dal 1400 ci siamo trasferite qui a Paganica il 16 luglio 1997. Non abbiamo avuto il tempo. Con la scossa c’è stato anche il crollo. È stato come un bombardamento. Ecco perché dopo un primo periodo di spostamento ‘forzato’, dove abbiamo trovato accoglienza presso altri monasteri abbiamo deciso di ritornare qui. In questa terra così ferita ci sentiamo ancor più appartenenti a questa terra perché la nostra presenza attesti che 21


“non ultima è la morte”. Non siamo state risparmiate in nulla nel dolore: abbiamo perso tutto: la nostra casa, la chiesa, la nostra madre. Siamo state ferite nel corpo, negli affetti e nell’anima. Il dolore ci ha scavato profondamente, ma non abbiamo permesso che ci ripiegasse su noi stesse, perché la vita è più forte della morte, e dopo il pianto è di nuovo arrivato il sorriso e la gioia. Ci è stato fatto dono di partecipare al dramma di questa città, ma con la speranza che viene da Dio. Molte volte ci siamo domandate dov’era Dio? Molte persone che conoscevamo a seguito del trauma del terremoto si sono allontanate dalla chiesa; altre si avvicinano, hanno bisogno di parlare, di trovare qualcuno che le ascolti. Abbiamo in quella notte ascoltato e raccolto il grido di dolore che si elevava attorno a noi; questo ha dato forma alla nostra decisione di rimanere. Dov’era Dio in questo dramma? In quei giorni un sacerdote ha varcato la zona rossa per tornare alla sua chiesa e smuovendo le macerie ha ritrovato una pisside con il pane consacrato. Abbiamo interpretato questo fatto come una risposta alle nostre domande. Dio era sotto anche lui le macerie. Se Dio è rimasto, perché noi avremmo dovuto andarcene? Il crollo e la crisi possono convertirsi in un’opportunità per divenire più uomini, più umani. E se volgiamo lo sguardo all’Europa non c’è forse bisogno di una nuova economia, di un nuovo umanesimo civile? L’onnipotenza di Dio nel dramma si è rivelata nella sua impotenza, si è manifestata nella debolezza. Abbiamo sentito in questo una seconda chiamata alla vita e nella sua sequela: metterci come Gesù sotto, dentro questa terra, come il chicco di grano che morendo porta molto frutto; come la nostra madre abbadessa. Metterci dentro questa terra come delle radici che tengono il terreno, che tengono unite tra loro queste esistenze spezzate che rischiano di sradicarsi e di inaridirsi. Condividendo la situazione di comune smarrimento si percepisce la fragilità umana di cui ci facciamo sorelle. Occorre rialzarsi umanamente dalle proprie macerie. 22


Terremoto evento di morte e di resurrezione «Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!"» (Mt 27,51-54). «Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa» (Mt 28,1-2). Abbiamo riletto i testi della morte di Gesù per dare un senso a questo dramma che ci ha colpito. Quando Gesù muore e risorge il vangelo di Matteo parla di un terremoto; ma non solo la morte, anche la resurrezione è accompagnata da un tale evento. Questo terremoto non è solo per la rovina e non mette in luce solo i segni delle contraddizioni umane; questo terremoto può costituire un’esperienza di risurrezione per molti, di rinascita per tutti; può rendere noi stessi più umani e trasfigurare il dramma in un esperienza di condivisione e consolazione. Mentre ora la gente dell’Aquila ha smesso di gridare e di gridare a Dio noi continuiamo a farlo trasformando il grido di dolore in un atto di invocazione a Dio. E Dio ascolta chi a Lui si rivolge e si affida. «"Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore". Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto Dopo il ter23


remoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna» (1Re 19,11-13). Il terremoto ha fatto crollare le nostre certezze umane, ha fatto crollare soprattutto le nostre falsate rappresentazioni di Dio: un Dio onnipotente, un Dio causa di tutte le cose, un Dio che può tutto, un Dio che punisce per chissà quale colpa nascosta. È solo allora che Dio si fa trovare, che a noi può rivelarsi in tutta la sua verità il Dio di Gesù Cristo. Crollano le nostre rappresentazioni distorte di Dio; emerge dalle macerie un Dio diverso, un Dio umano e vicino, in tutto solidale a noi. Dio non è nel fuoco, non è nel terremoto o nella tempesta, è in quel mormorio di vento sottile che nella pianura della morte ci richiama alla vita, ci ridona il suo soffio di vita.

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Lo svuotamento del Figlio fondamento della fede e della comunità

«Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre» (Fil 2,1-11). 26


Nel giorno della memoria del Nome di Gesù, nella Messa, rileggiamo l’inno cristologico di Paolo ai Filippesi. 1.Nei nostri occhi rimangono impresse le immagini di case sventrate, lacerate; percepiamo sulla pelle, grazie ai racconti l’esperienza di svuotamento di sé, di smarrimento, di destabilizzazione di questa popolazione.

2.Anche per Dio è questa esperienza. Paolo ci fa contemplare, nella forma di una preghiera, lo svuotamento del Figlio, il destabilizzarsi di Dio. Dio in Gesù, svuotò se stesso, si spogliò della sua natura divina per condividere la nostra stessa condizione umana. Dio lascia la sua dimora e si accasa tra noi. Dio spesso tra noi vive da sfollato, da profugo, straniero, e senza casa rimane in questo mondo. Dio si svuota, si abbassa, si fa umile nel punto più basso dell’umanità. 3. Lo svuotamento del Figlio, l’abbassamento del Figlio, ci ridesta dal sonno, dal sonno della paura, dell’apatia, della rassegnazione, della chiusura, della rivalità, del clientelismo, della corruzione dei rapporti e ridesta la nostra speranza. L’abbassamento del Figlio ci invita a trasformare lo svuotamento di noi stessi, provocato dalla disgrazia e dalla tragedia, in disposizione interiore di noi stessi, che ci può ricostruire come umani, che ci può rendere unanimi e concordi, con lo stesso sentire e la medesima carità del Figlio. Occorre che ci svuotiamo di noi stessi per far spazio all’altro, perché l’altro trovi in noi la sua dimora; perché insieme possiamo rialzarci, riabilitarci e riemergere alla vita. 27


4.Paolo usa il termine ‘tapino’, farsi piccolo e, poco sopra nella sua lettera, lo riferisce come esigenza evangelica alla comunità cristiana. La comunità cristiana è chiamata a comprendersi oggi in questo mondo, nell’umiltà e nell’abbassamento del Figlio a fronte di ogni superbia e rivalità interna e a fronte di ogni stile mondano di autoaffermazione in questo mondo. Una comunità costruisce umanità nel nome di Gesù, forgia in ogni uomo l’umanità di Gesù quando antepone ai propri interessi il bene dell’altro. La ‘lezione’ del Figlio ci deve rendere tutti più umani, e dentro questo dramma del popolo aquilano può costituire una parola di speranza un vangelo di salvezza sia per la nostra chiesa che per la nostra comunità civile.

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Onna

Qualcuno non rimuove, resiste per ricostruire. L’incontro di Giustino Qualcuno ha il coraggio di gridare il suo dolore, la sua disperazione, non si trattiene dal dare parola al suo pensiero: avrebbe voluto lui stesso, quella notte, rimanere sotto quelle macerie insieme ai suoi due figli Maria Paola e Domenico e al padre. 30


Giustino in questa sua reazione trova la sua linea di azione: cerca di reagire; sogna, resiste nel dramma. Non lo rimuove con facili astrazioni e comode spiritualizzazioni; egli risale ogni mattina la china e lo restituisce con tutta la sua forza schiacciante. Non è pessimista è realista. Soltanto abitandolo fino in fondo, soltanto facendone personalmente i conti ogni mattina, quando si alza per iniziare un nuovo giorno è possibile risvegliare negli altri il desiderio di ricostruire il proprio paese Onna e di farlo insieme. È consapevole che lui stesso non potrà godere del nuovo, ma le generazioni future potranno riceverlo nel suo carico di memoria, di dramma e di speranza. Giustino resiste insieme alla moglie per ricostruire se stesso e il proprio paese. Il paese è parte di se stesso, della casa, degli affetti, della cultura, della memoria, delle tradizioni ricevute, di quella fede, di quel suo ‘essere figlio’ perduto e ritrovato. Nel suo libro: GIUSTINO PARRISE, “La vita è una sola. Sogni infranti” raccoglie i temi della figlia e insieme c’è tutto il suo dramma di amore e dolore nelle lettere che indirizza ai figli. don Enrico

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Preghiere Signore Gesù, ti sei fatto figlio dell’uomo, nella tua umanità ci hai mostrato l’amore del Padre, fa che ogni uomo possa sentirsi figlio di Dio e fratello dell’intera umanità. Signore Gesù Tu sei la grazia che ci aiuta a vivere in questo mondo. La tua fiducia nell’uomo purifichi noi stessi, ci riscatti da quel peccato del mondo che corrompe l’opera dell’uomo e ne getta l’animo nella rassegnazione e nell’immobilismo. Signore Gesù, questa città ferita e in rovina attende di rinascere per tornare a volare in alto; la tua speranza non rimanga soltanto nei nostri cuori, smuova la coscienza di tutti, trovi nella nostra cultura e comunicazione pubblica parola di cambiamento, susciti nuova passione civile, sia principio di risurrezione per la città dell’uomo. Signore Gesù, tu ci riveli il volto umano di Dio, e in ogni uomo è all’opera il tuo Spirito divino. Aiutaci ogni giorno con te a “fare l’uomo”, a restare umani anche dentro le situazioni di male e di fatica che mettono a dura prova la nostra fiducia nella vita, negli altri, in Te e in noi stessi. Signore Gesù, la tua Chiesa sia come Giovanni; non sia un vetro opaco, dia trasparente testimonianza dando voce al vangelo nel suo servizio all’uomo. Confessi nella fede che tu Signore sei la luce che illumina ogni uomo; luce che attraversa ogni forma di tenebra e vince ogni menzogna. 32


Natale: tutto è umano, tutto è divino «Non si vergogna di chiamarci fratelli» La vita e la morte, la luce e la notte, una donna, un uomo, un bambino, i pastori e le stelle, tutto normale e tutto divino. L’uomo che rischia di disumanizzare la sua esistenza è richiamato alla sua dignità, alla sua dimensione umana. Natale è il farsi umano di Dio; è la festa tesa a umanizzare la vita umana con l’Incarnazione del Verbo che si fa uomo, figlio tra i suoi fratelli. Là dove noi, in ogni circostanza della vita, proviamo vergogna di noi stessi, Gesù «non si vergogna di chiamarci fratelli» (Eb 2,11). Gesù è il nuovo Giuseppe: Egli cerca i suoi fratelli, scende tra i suoi fratelli. Chi sono le sue sorelle e i suoi fratelli? Sono io il vostro fratello… E miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola e la incarnano nella pratica della propria vita. Una festa degli umani, non degli eroi è il Natale. Egli viene per regalarci un nuovo inizio, una vita nuova, egli viene a tirarci fuori dai nostri dirupi, a farci rialzare dalle nostre rovine, egli viene come figlio per rilanciare la fraternità tra gli uomini e per mostrare agli uomini il volto della paternità di Dio. 33


Siete tutti figli della luce Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: "C'è pace e sicurezza!", allora d'improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri (1 Ts 5, 1-6). 34


Non si è lanciato il grido d’allarme Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Figlio dell'uomo, parla ai figli del tuo popolo e di' loro: Se mando la spada contro un paese e il popolo di quel paese prende uno di loro e lo pone quale sentinella e questi, vedendo sopraggiungere la spada sul paese, suona il corno e dà l'allarme al popolo, 4se colui che sente chiaramente il suono del corno non ci bada e la spada giunge e lo sorprende, egli dovrà a se stesso la propria rovina. 5Aveva udito il suono del corno, ma non vi ha prestato attenzione: sarà responsabile della sua rovina; se vi avesse prestato attenzione, si sarebbe salvato. 6Se invece la sentinella vede giungere la spada e non suona il corno e il popolo non è avvertito e la spada giunge e porta via qualcuno, questi sarà portato via per la sua iniquità, ma della sua morte domanderò conto alla sentinella. Figlio dell'uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia (Ez 33, 1-7). Voi ministri praticate la giustizia Così dice il Signore: "Scendi nella casa del re di Giuda e là proclama questo messaggio. Tu dirai: Ascolta la parola del Signore, o re di Giuda che siedi sul trono di Davide, tu, i tuoi ministri e il tuo popolo, che entrano per queste porte. Dice il Signore: Praticate il diritto e la giustizia, liberate il derubato dalle mani dell'oppressore, non frodate e non opprimete il forestiero, l'orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in questo luogo. Se osserverete lealmente quest'ordine, entreranno ancora per le porte di questa casa i re che siedono sul trono di Davide, montati su carri e cavalli, insieme ai loro ministri e al loro popolo. Ma se non ascolterete queste parole, io lo giuro per me stesso - oracolo del Signore -, questa casa diventerà una rovina (Ger 22,15). 35


Cambierà la sorte Così dice il Signore: Ecco, cambierò la sorte delle tende di Giacobbe e avrò compassione delle sue dimore. Sulle sue rovine sarà ricostruita la città e il palazzo sorgerà al suo giusto posto. Vi risuoneranno inni di lode, voci di gente in festa. Li farò crescere e non diminuiranno, li onorerò e non saranno disprezzati; i loro figli saranno come un tempo, la loro assemblea sarà stabile dinanzi a me, mentre punirò tutti i loro oppressori. Avranno come capo uno di loro, un sovrano uscito dal loro popolo; io lo farò avvicinare a me ed egli si accosterà. Altrimenti chi rischierebbe la vita per avvicinarsi a me? Oracolo del Signore. Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio (Ger 30, 18-22).

"Su, costruiamo!"

... Allora risalii di notte lungo il torrente, sempre osservando le mura; poi, rientrato per la porta della Valle, me ne ritornai. I magistrati non sapevano né dove io fossi andato né che cosa facessi. Fino a quel momento non avevo detto nulla, né ai Giudei né ai sacerdoti né ai notabili né ai magistrati né agli altri che si dovevano occupare del lavoro. Allora io dissi loro: "Voi vedete la miseria nella quale ci troviamo, poiché Gerusalemme è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco. Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme e non saremo più insultati!". Narrai loro della mano del mio Dio, che era benefica su di me, e riferii anche le parole che il re mi aveva riferite. Quelli dissero: "Su, costruiamo!". E misero mano vigorosamente alla buona impresa (Ne 2,1518).

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Comunità parrocchiale di San Martino in Cenate Sotto - Bg


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