Avvento2014 libro

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AVVENTO 2014

Verso il Natale. La veglia e l’attesa.

BERGAMO


ACLI Bergamo Via S. Bernardino 59 Bergamo Tel. 035 210284 info@aclibergamo.it www.aclibergamo.it

Grafica Ivano Castelli Stampa Tipolitografia Gamba, Verdello

In copertina NativitĂ di Margherita Pavesi Mazzoni

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Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni, figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e dunque vieni sempre, Signore. Vieni tu che ci ami: nessuno è in comunione col fratello se prima non è con te, Signore. Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo. Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore. Padre David Maria Turoldo

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Questo testo è nato dalla volontà di accompagnare i cristiani durante il periodo dell'Avvento. Non vuole sostituire percorsi personali o comunitari di ascolto e di confronto con la Parola: vuole solo essere l'occasione e l'invito - in modo particolare rivolto ai lavoratori - a ritagliare, nel cammino verso il Natale, un tempo di riflessione e di preghiera. L'articolazione del volume è semplice. Ogni giorno, oltre ad una breve biografia del santo, sono presentati due passi biblici tratti dalla liturgia eucaristica. Inoltre, è suggerita la lettura di un brano che può aiutare la meditazione ed è proposta una preghiera per la tavola da fare, prima del pasto, con tutta la famiglia. Nei giorni di venerdì (e nell'ultima domenica), per la riflessione personale, è presentata una meditazione di Winfrid Pfannkuche, pastore della Comunità cristiana evangelica di Bergamo, mentre nei giorni di Domenica vengono offerti dei brevi testi per un itinerario spirituale curati da don Omar Valsecchi, prete presso la Comunità di San Fermo in Bergamo. Rosella Ferrari ha curato il commento artistico di quattro opere. A tutti loro, vanno i nostri più sinceri ringraziamenti. Hanno lavorato attorno a questo libro Adriano Marconi, Federica Fenili, Donata Leone Ornago e Maria Teresa Cavalli. Ha coordinato Daniele Rocchetti.

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Rosa Gelsomino Presidente Acli Provinciale

Il tempo è superiore allo spazio. Vi capita mai di ripetere mentalmente una frase nota, che cercate di ricondurre alle faccende del quotidiano? A me capita, spesso. Una di queste frasi è “il tempo è superiore allo spazio”. Ecco, questa del tempo superiore allo spazio non è propriamente una semplice frase bensì un principio ben esplicitato da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium ed è l’invito che ci fa ad assumere la tensione tra pienezza e limite assegnando al tempo la priorità. Tempo e pienezza; spazio e limite. “Il tempo… fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto”. Ora, non sono tanto sciocca da non sapere che va evitata l’operazione di astrarre frasi dal contesto in cui sono riportate; tuttavia vi sono situazioni della vita in cui faccio memoria di tali espressioni perché ciò mi aiuta a pensare, a “stare” nelle cose per cercare di capire ciò che accade. Cosa significa allora vivere il “tempo” di Avvento, nell’attesa che nasca Colui che è orizzonte più grande? Scorgere questo orizzonte e vivere “stando” in questa tensione tra pienezza e limite. Credo vada espressa profonda gratitudine verso le persone che, per varie ragioni (per profondi legami di amicizia o per semplice bisogno di parlare o per desiderio di esorcizzare 5


la paura o altro ancora), incrociano i loro destini con i nostri e ci aiutano a tenere gli occhi aperti sulle faccende dell’umano, nell’attesa che nasca Colui che è orizzonte più grande di tutti i nostri limiti. Frasi che si legano a nomi e persone. Ognuno di noi ne avrà mille di nomi e storie cui pensare. Molti avranno cercato di scorgere quell’orizzonte di luce e di vita condividendo il dolore vissuto nella carne (così lo ha definito il mio amico Edo pensando al fratello) da chi si è sentito dire che di tempo terreno ne restava ben poco. Altri lo possono fare guardando gli occhi di chi, come Paolo, per una banale caduta, non ha più la capacità di stare consapevolmente in questa tensione tra pienezza e limite, eppure la sua vita è fonte di consapevolezza per tutti coloro che, medici, infermieri, parenti e non (come la sua tutrice, che ora scrive), nel costante esercizio teso a scorgere quell’orizzonte di luce e di senso, si portano dentro lo sguardo di Paolo. Altri ancora lo fanno pensando a coloro che, lontani dai nostri occhi eppure a noi noti perché mostrati dagli strumenti della comunicazione, perseguitati per la loro fede ci costringono a fare i conti con la nostra capacità o meno di testimoniare Dio incarnato nella nostra vita. Il tempo è superiore allo spazio. Principio da ricordare ma, soprattutto, da vivere. Buon Avvento dunque a tutti voi e, in particolare, buon Avvento e buon Natale a tutti coloro che vivono questo tempo col cuore appesantito da un dolore e, pur nella fatica, affrontano le sfide del quotidiano ricercando consapevolmente il senso ultimo del loro “stare” nelle fatiche: testimoniare l’amore di Cristo che attendiamo e che già è nelle nostre vite. 6


Andiamo fino a Betlemme Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi. E se invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, non ci venga il dubbio di aver sbagliato il percorso. Il volto spaurito degli oppressi, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli uomini della Terra, sono il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità . A noi il compito di cercarlo. Mettiamoci in cammino senza paura. Don Tonino Bello

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Mons. Pierangelo Sequeri

Esser pronti e basta. Essere pronti, dice il vangelo. Ma come? Una cosa la potremmo fare subito, e cioè tagliar fuori la chiacchiera infinita - concitata o depressa che sia - sulle previsioni del tempo che fa (e che farà). La chiacchiera su quello che dovremmo fare ci inchioda da anni ai blocchi di partenza. Ci spiegano, e ci rispiegano, che siamo in una fase di trasformazione e di transizione, di fronte a chissà quali sfide della storia: e come mai ci sentiamo come acciughine nel barile? Mi viene da dire: guardate che il mondo che doveva succedere è successo, ha messo su casa, e noi forse non l’abbiamo neppure visto passare. Non sarebbe meglio uscire dal barile e fare le mosse giuste nel mondo che c’è? I ricami infiniti sulle previsioni del compito che ci attende tracimano dall’utile al futile con rapidità impressionante. Diventano spettacolo, che occupa gran parte della scena della vita: e ci trasformano inesorabilmente in spettatori a vita. (Non senza l’implacabile cadenza dello stacco pubblicitario, che ci tiene saldamente ancorati al vero principio di realtà, che decide tutto). Più che alta, l’acqua, ormai ce l’abbiamo alla gola. E ancora prevediamo, preveniamo, progettiamo e programmiamo. 8


Siamo 'attori sociali razionali', come dice la Teoria che scopre i nostri bisogni e ottimizza i nostri desideri. Ma la felicità di un animo grande, la soddisfazione del lavoro ben fatto, l’onore della parola data, la passione di generare persone buone, quando ci fu tolta? I giovani non fanno che prepararsi a un avvenire che poi non potranno abitare se non a patto di vendere l’anima (e non sarà sicuro neanche così). Ma per quello che devono essere - uomini e donne che portano valore aggiunto alle affezioni più care e più sacre dell’umano che è di tutti - chi li impegna? Noi adulti ormai siamo sempre in ricerca, non disturbateci, quando avremo trovato vi faremo sapere (o forse no, perché dirlo non è più tanto fine).Tutto è in movimento, la vita è in pausa. Nelle nostre macchinette basta premere play per farle ripartire. Nella realtà, non riparte un bel niente. Essere pronti, secondo la parola evangelica, significa non lasciarsi ossessionare né travolgere dalle previsioni: non farsi schiacciare dall’affanno dei segni, non coltivare la dissipazione del tempo, non anestetizzare la malinconia del futuro con l’eccitazione del presente. Troppi maniaci, troppi depressi, ogni giorno che passa. Non è un buon segno, vuol dire che il tempo collettivo è drogato nell’aria, ormai. Il cielo delle nostre aspirazioni è troppo basso e l’assuefazione alle nostre illusioni troppo alta. Lo

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spazio del bene ricevuto attraverso le generazioni è quasi consumato. Non sappiamo più neppure che cos’altro dissipare. Un bel giorno - adesso, magari? - dovremo smettere di girarci intorno: sono i corposi passaggi di Dio nella realtà che cambiano l’aria e il tempo. Il cielo di Dio è vuoto solo per Narciso a pancia in su, che si guarda nel soffitto a specchio del suo resort, dove vede solo se stesso. La madre di tutte le dipendenze è l’illusione di una vita che dipende solo da Sé. Il Narciso moderno si pensa come l’Unico: non vuole grazia da nessuno, non ha pietà per nessuno. È il parassita perfetto, il futuro compiuto dell’illusione (non se ne rende conto perché gli hanno insegnato che è un eroe della guerra per l’indipendenza da tutto). Dio soltanto ci riporterà alla realtà, ormai, e nessun altro. Gesù dice che quando si concentrano angoscia di popoli e paura di ciò che sta per succedere, dobbiamo risollevarci e alzare la testa: perché la nostra liberazione è vicina. Questo sì che è un atto di forza, che rompe l’incantamento. Il segnale dei passaggi di Dio si leva di nuovo, in tutte le chiese della terra che celebrano il suo avvento. Non fate troppi calcoli e previsioni. Siate pronti, e basta.

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Domenica 30 Novembre 2014 I DOMENICA DI AVVENTO Is 63,16-17.19; 64,2-7; Salmo 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37 SANTO DEL GIORNO Sant’Andrea Apostolo All’apostolo Andrea spetta il titolo di “Primo chiamato”.Ed è commovente che, nel Vangelo, sia perfino annotata l’ora (“le quattro del pomeriggio”) del suo primo incontro con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui. La sua presenza è poi sottolineata in modo particolare nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Su di lui non si hanno più notizie certe, anche se, nei secoli successivi, vennero divulgati degli Atti che lo riguardano ma che hanno scarsa attendibilità. Secondo antichi scrittori, l’apostolo Andrea avrebbe evangelizzato l’Asia Minore e le regioni lungo il mar Nero, giungendo fino al Volga. È perciò onorato come patrono in Romania,Ucraina e Russia.

Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Isaia 64,7

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il 11


padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!". Marco 13, 33-37

Celebrare l'Avvento, significa saper attendere, e l'attendere è un'arte che, il nostro tempo impaziente, ha dimenticato. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse. Chi non conosce l'aspra beatitudine dell'attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell'adempimento. Dietrich Bonhoeffer PREGHIERA PER LA TAVOLA O Signore, fa che sedendoci a mensa insieme possiamo vedere in modo diverso le fatiche del quotidiano. Con il cibo che nutre la nostra vita, donaci la forza di crescere, superando gli inevitabili conflitti. Lo chiediamo a te che sei Dio di pace. Amen.

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Tempo di imprevisti C'è qualcosa in più di un sapiente appello nell'invito alla vigilanza e all'attenzione rivolto a ciascun credente all'inizio di ogni nuovo anno liturgico. Non si tratta semplicemente di rimanere svegli, vincere le distrazioni e superare l'indifferenza - azioni peraltro sempre più urgenti, proprio perché assenti, nell'agire comune di questo nostro tempo -; ci è in realtà chiesto di andare alla radice di noi stessi, riappropriarci della nostra umanità, riscoprirci esseri gettati nel tempo e segnati dal 'frattempo', collocati tra la consegna della casa da parte dell'«uomo partito per un viaggio» e il suo ritorno. Un ritorno che ha come unica certezza l'indefinitezza, l'impossibilità di conoscere «quando è il tempo». Un solo indizio: l'oscurità della notte. Questo ritorno sarà avvolto dall'assenza di luce, simbolo di tempi bui, tenebre personali e collettive, sogni che si tramutano e involvono facilmente in incubi alienanti. Questi tempi bui non sono forse il contesto in cui spesso ci ritroviamo a vivere e che - proprio perché “bui” fatichiamo a riconoscere e ammettere? Tempi bui quelli in cui facile è la tentazione alla resa, l'insidia dello scoraggiamento e l'appiattimento su modelli di vita omologanti e auto-rassicuranti. Tempi bui quelli in cui non riconosciamo più il volto dell'altro, 13


lo riduciamo a merce di scambio, a pacco da respingere o - al più - da tollerare con stanca indifferenza. Tempi bui quelli che feriscono e negano dignità a donne, bambini, ultimi ed indifesi, quelli in cui non ci si stupisce più per l'unicità delle fattezze di ogni singola storia. Tempi bui che attendono occhi di luce, sguardi capaci di futuro, spiragli di cielo, feritoie di bellezza, cuori con la nostalgia dell'oltre, orizzonti di umanità nuova. Attendere e vegliare nella notte significa pertanto esporsi, giocare allo scoperto, assumersi la sfida dell'imprevisto, inventare traiettorie nuove, osare la speranza verso un avvenire che si riappropri dei tratti della promessa e abbandoni quelli della minaccia. Saper guardare dentro la notte: questa la sola cosa necessaria. Infatti quell'iniziale «Fate attenzione» in realtà così risuona: «Guardate» (blepete nella lingua originale greca). Potremmo anche parafrasarlo: guardate oltre le apparenze, scorgete germogli di vita dentro presagi di morte, acuite il senso della vista per non lasciarvi sfuggire la possibilità di partecipare con pensiero cosciente e vigile ad ogni istante di vita, aguzzate il vostro occhio interiore per scrutare e avvertire i segni che vengono dall'alto e dal profondo: essi ci segnalano che le dottrine stabilite sono ormai legate ad un passato che più non è per l'uomo. Stare svegli, porre attenzione, guardare il proprio 14


tempo è il segreto di ogni umana rinascita. Nella ferma consapevolezza che il viaggio, in cui si è avventurato l'Uomo-Dio della piccola parabola del Vangelo di Marco, è quello della umanizzazione del mondo, della liberazione della terra, del riscatto di ogni vita! E tale viaggio prevede assunzioni di responsabilità da parte di ciascuno. Ad ognuno, infatti, è affidato un compito, un'opera, un impegno. Nessuno è disoccupato. Questo uomo nuovo o lo si ri-costruisce tutti insieme ciascuno mettendoci il suo insostituibile pezzo - o non è! E tutti con la medesima dignità e libertà (questo indica il termine ecsousia tradotto dalla Cei con «potere lasciato ai servi») dei figli. Dignità e libertà che invocano gratitudine, responsabilità e impegno! Accogliamo infine la provocazione di Isaia profeta, riconoscendoci «avvizziti come foglie» e pertanto desiderosi del ritorno di questo Signore che «è nostro padre» affinché possa nuovamente darci forma, plasmarci a immagine del suo desiderio … ad una sola condizione: abbandonare i nostri granitici miti di forza e illusori deliri di onnipotenza per riscoprire la preziosità dell'essere fragile «argilla» posta nelle sue tenere mani.

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Adamo e Eva cacciati dal Paradiso

Marc Chagall 16


Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita” (Gn 3, 22-24) Lo splendore dell'albero della vita - e dell'immortalità - è l'elemento più prezioso di questo dipinto, eppure non è centrale alla composizione. L'armonia tra Dio e le sue creature preferite è stata rotta dalla disobbedienza. Ora gli uomini possiedono la conoscenza del bene e del male, occorre quindi impedire loro di impossessarsi dell'albero della vita, perché potrebbero stravolgere l'intero creato. Così un angelo dal volto triste, con gli occhi chiusi per non vedere, scaccia l'uomo e la donna, non con la spada fiammeggiante descritta nella Genesi, ma con un bastone spento: una spada di fuoco è troppo violenta, troppo definitiva, e l'angelo vuole pensare che invece possa esserci una speranza per l'umanità. Comunque li scaccia dal giardino dove vivevano con Dio, li costringe a luoghi sconosciuti, a una natura non più amica ma ostile, che chiederà molto lavoro per dare frutti; alla necessità per la donna di soffrire molto, per dare alla luce nuovi uomini coi quali popolare la terra. L'armonia, la serenità, la felicità sono ormai alle loro spalle, davanti a loro il buio di qualcosa di sconosciuto, che incute un terrore che si unisce al rammarico per una colpa che non può essere cancellata, per la felicità perduta. Ma anche la natura, dietro di loro, soffre per il distacco dalle creature migliori, quelle che Dio aveva voluto a sua immagine e somiglianza. E mostra il suo dolore con alberi che si capovol-

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gono, uccelli che paiono schiantarsi in volo, creature trascinate dalle acque vorticose del fiume, una creaturina (un agnellino?) rovesciato e immobile, quasi invisibile, fatto com'è dello stesso blu nel quale è immerso. Pare che il creato sappia che l'uomo, non più in sintonia, possa stravolgere le regole del Signore e ferire la natura e le sue creature. Le pennellate di rosso violente sul capo di Eva e sulle ali del gallo del tradimento sembrano ferite aperte e trasmettono disagio e dolore. Il gallo, il grande uccello viola, i pesci, forse anche il cavallo giallo ci dicono che anche gli animali dovettero subire la sorte degli uomini e vivere l'allontanamento dal creatore. Ma nel quadro, dove i colori violenti spezzano, come la colpa, l'armonia e la serenità dei verdi e dei celesti che disegnano il paradiso sulla terra, ci sono anche elementi fortissimi di speranza. Anche se l'uomo non ha più posto nell'Eden, dall'albero della vita sbuca, quasi stesse nascendo, una donna, con fiori colorati tra le mani, piccola figura serena in tanta angoscia. Dietro di lei una colomba bianca, la segue: entrambe vanno nella direzione opposta, rispetto ad Adamo e Eva. Spicca forte il contrasto tra la serenità della fanciulla con i fiori e la disperazione dell'altra donna, capovolta nel fiume. Chagall, straordinario pittore, ci regala opere complesse, piene di immagini che solo un occhio attento e partecipe può scorgere. Soprattutto - io ne sono convinta - ci dona immagini che ciascuno di noi deve leggere con la sua sensibilità, colla sua mente ma soprattutto col cuore. Così io vedo quella colomba, accompagnata dall'angelo, stavolta col volto sereno e gli occhi aperti, portare un giorno alla fanciulla un dono immenso: il figlio di Dio, capace di cancellare

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col suo sangue l'antica colpa, di riportare l'umanità in armonia col suo Creatore.

Marc Chagall (1887-1985) è nato in Russia in una famiglia ebrea. Inizia a dipingere già adulto, ma per tutta la vita mantiene intatti, nelle sue opere, gli elementi fantastici della tradizione popolare russa e colori smaglianti capaci di trasmettere gioia e serenità. Il grande ciclo della Bibbia, che ha formato il Museo biblico di Nizza, è un insieme straordinario di opere attraverso le quali egli ci parla ancora oggi, attraverso le storie della sua fede, mediate dalla sua sensibilità e dalle sue speranze.

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Lunedì 1 Dicembre 2014 Is 2,1-5; Salmo 121; Mt 8,5-11

SANTO DEL GIORNO Sant’Eligio Gli si presenta il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguanta per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi (Angers e Le Mans); e nel Duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento. L’Eligio storico, nato attorno al 590, figlio di gente modesta, deve aver ricevuto tuttavia un’istruzione, perché viene assunto come apprendista dall’orefice lionese Abbone, che dirige pure la zecca reale: un grande maestro nella sua arte. Col nuovo re Dagoberto I (623639) viene chiamato a corte e cambia mestiere: il sovrano ne fa un suo ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prende da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, sceglie la vita religiosa, e il 13 maggio 641 viene consacrato vescovo di Noyon-Tournai.

Verranno molti popoli e diranno: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri". Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Isaia 2,3-5

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Entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: "Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente". Gli disse: "Verrò e lo guarirò". Ma il centurione rispose: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Matteo 8,5-6

Sono i profeti a insegnarci che cosa significa ripartire da Dio. Profeta è “colui che tiene lo sguardo fisso verso il Dio che viene” (Martin Buber), ma ha allo stesso tempo i piedi ben piantati sulla terra. Mi sembra che oggi ci sia penuria di profeti: c'è chi guarda in alto mentre i suoi piedi sembrano aver perduto il contatto con la terra degli uomini; c'è chi è talmente incollato al proprio frammento di terra da perdere di vista l'insieme e l'orizzonte più grande. Ripartire da Dio richiede il coraggio di riproporsi le domande ultime, di ritrovare la passione per le cose che si vedono perché sono lette nella prospettiva del Mistero e delle cose che non si vedono. Cardinal Carlo Maria Martini PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore Dio, riponiamo in te la nostra fiducia perché ci chiami a godere di quanto hai creato. I doni del tuo amore ci aiutino a benedirti e a dirti grazie per la fraternità che ci fai vivere nella letizia di questa mensa. Benedici il nostro pasto di oggi e donaci di lodarti ora e sempre. Per Cristo Nostro Signore. Amen.

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Martedì 2 Dicembre 2014 Is 11,1-10; Salmo 71; Lc 10,21-24

SANTO DEL GIORNO Santa Bibiana (Viviana), martire (IV sec.) Sul martirio di santa Bibiana non si hanno notizie sicure. Secondo una seguitissima tradizione, la donna fu vittima della persecuzione dell’imperatore Giuliano l’Apostata, che condannò a morte la famiglia cristiana di Bibiana per destinarne i beni al governatore Apronio. Bibiana restò salda nella fede nonostante le promesse di libertà e venne infine flagellata a morte. Nel V secolo Papa Simplicio le dedicò la chiesa sull’Esquilino che sorgerebbe sulla sua tomba.

O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia; egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto. Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai poveri del popolo renda giustizia, salvi i figli del misero e abbatta l'oppressore. Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione. Dal Salmo 71

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il 22


Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo". Luca 10,21-22

Per ogni alba che schiarisce il cielo, per ogni uccello che si sveglia, io ti ringrazio, Signore. Per ogni mucca che si lascia mungere per regalarci il latte del mattino, io ti ringrazio (e la ringrazio), Signore. Per ogni netturbino che ci pulisce le strade, per ogni vigile che ci facilita il traffico, io ti ringrazio ( e lo ringrazio), Signore. Per tutti quelli che vorrebbero pregarti e non sanno; e per quelli che saprebbero pregarti e non vogliono, in loro favore e al loro posto, io ti prego, Signore. Adriana Zarri PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, Dio di misericordia, noi ti ringraziamo per questo pasto che ci riunisce. Conserva sempre in noi lo spirito di gratitudine. Rendici assidui a lodarti ogni giorno nella fraternità e nella carità vera. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Mercoledì 3 Dicembre 2014 Is 25,6-10; Salmo 22; Mt 15,29-37

SANTO DEL GIORNO San Francesco Saverio, sacerdote (1506-1552) Francesco Saverio nacque nel 1506 da una famiglia basca di nobili origini. Studiò a Parigi e insegnò per breve tempo Filosofia, ma ben presto emerse in lui il desiderio di una vita missionaria accanto a Ignazio di Loyola e ad altri. L’intensissima attività di missionario e apostolo del Vangelo lo logorò portandolo alla morte all’età di soli quarantasei anni.

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l'ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. Isaia 25,6-8

Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: "Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino". E i discepoli gli dissero: "Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". Gesù domandò loro: "Quanti pani avete?". Dissero: "Sette, e pochi pesciolini". Dopo aver ordinato 24


alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. Matteo 15,32-37

Io non amo attendere. Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere perché non ho tempo E non vivo che nell’istante. Ma tu, Dio, hai scelto di farti attendere per tutto il tempo di un Avvento. Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione, il faccia a faccia con ciò che è nascosto. Solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare Jean Debruynne

PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, ti benediciamo per tutte le creature e per il cibo che stiamo per prendere; e ti preghiamo di non permettere che ad alcuno manchi il necessario alimento. Per Cristo nostro Signore. Amen. 25


Giovedì 4 Dicembre 2014 Is 26,1-6; Salmo 117; Mt 7,21.24-27

SANTO DEL GIORNO Santa Barbara, martire (III sec.) Il culto diffuso per questa santa romana ha generato numerose leggende. Secondo la più diffusa, Barbara nacque a Nicomedia nel 273. Si distinse per l'impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di “barbara”, cioè straniera, non romana. Tra il 286 e il 287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Barbara provocò l'ira di Dioscoro. La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290 Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre, infine, fu decapitata con la spada dallo stesso Dioscoro, che fu colpito però da un fulmine. La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella Cattedrale di Rieti.

In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: "Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele. La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace perché in te confida. Confi-

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date nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna. Isaia 26,1-4

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande". Matteo 7,21.24-27

La disperazione non è non avere niente. È non aspettare niente. Lanza Del Vasto PREGHIERA PER LA TAVOLA Grazie, Signore, per questo cibo che stiamo per prendere. Dacci la forza necessaria per testimoniare con responsabilità la gioia del Vangelo. Amen. 27


Venerdì 5 Dicembre 2014 Is 29,17-24; Salmo 26; Mt 9,27-31

SANTO DEL GIORNO Beato Narciso Putz, sacerdote e martire (1877-1942) Narciso Putz nacque in Polonia a Sierakow il 28 ottobre 1877. Durante l’occupazione della Polonia cadde vittima dei nazisti. Per la sua perseveranza nella fede fu messo in carcere nel campo di concentramento tedesco di Dachau dove morì tra atroci supplizi il 5 dicembre 1942. Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 ne decretò la beatificazione insieme ad altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi! Il mio cuore ripete il tuo invito: "Cercate il mio volto!". Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Dal Salmo 26

Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi!". Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: "Credete che io possa fare questo?". Gli risposero: "Sì, o Signore!". Allora toccò loro gli occhi e disse: "Avvenga per voi secondo la vostra fede". E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: "Badate che nessuno lo sappia!". Ma essi, appena 28


usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione. Matteo 9,27-31

"Ecco sto alla porta e busso..." Egli non viene né per onorare il suo nome né per salvare la sua dignità: viene per chi sta dietro la porta chiusa. E chi ci sta dietro la porta chiusa? Io ci sto: in tanti ci stanno; ci sta il mondo. Il quale mi sembra ancor più sprangato in questo Natale... Da secoli, non da decenni, Egli attende... Ma anche se tardasse un po'..., aspettatelo: Egli verrà e lo vedrete tutti e ne godrà il vostro cuore poiché Egli viene a portare la pace al suo popolo e a restituirgli la vita. Don Primo Mazzolari PREGHIERA PER LA TAVOLA Sii con noi, Signore Dio, durante questo che pasto che consumiamo rendendoti grazie. Mantienici vigilanti sulla povertà, sobri nell'uso delle tue creature, gioiosi in questo incontrarci a tavola. Tu sei il Cristo, l'unico nostro Signore. Amen.

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Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dei oltre a me. I 10 comandamenti, il decalogo: è il grande sopravvissuto della storia ebraico-cristiana. È uno dei testi biblici più conosciuti, da credenti come da non-credenti, che incide anche all'infuori delle chiese. È sopravvissuto alla lettura cristiana dell'Antico Testamento: dell'originale costituzione d'Israele e delle 614 prescrizioni da mettere in pratica sono rimaste appena queste “dieci parole”. La prima chiesa ebraico-cristiana ha lottato per mantenere qualche comandamento di ordine cultuale (per esempio, astenersi dal sangue) ma, alla

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fine, è rimasto solo il decalogo. Quel che si faceva ascoltare anche nel mondo della cultura e filosofia greco-romana. Con testi della qualità del decalogo, ebrei e cristiani si facevano ascoltare nell'Impero Romano, dimostrando di disporre di una robusta morale educativa. Dimostrando ai Romani di avere un'etica. Oggi ci montiamo qualche volta la testa pensando di essere gli unici ad averne una. All'epoca bisognava dimostrare agli altri popoli di averne. In fondo, l'etica, è la sopravvivenza di una minoranza: devi essere un po' più corretto degli altri, un po' più onesto degli altri, un po' più integro… altrimenti se la prendono di nuovo con te. Le minoranze sono sempre in lotta per la normalità. Deve lottare per avere la normalità, cioè le norme che ti garantiscono libertà. E così il decalogo è sopravvissuto a tutti gli attacchi antigiudaici. Hitler ha definito la sua missione una “lotta contro i cosiddetti dieci comandamenti”, perché sono “la perversione dei nostri istinti più sani”, “la maledizione del monte Sinai”, il “veleno” che deve uscire dalle nostre vene e “un giorno… contro questi comandamenti” erigerà “le tavole di una nuova legge”. Il decalogo è persino sopravvissuto all'Olocausto, alla Shoah. Anche al “decalogo della morale socialista” come veniva proclamato in qualche paese del Patto di Varsavia. Ora stiamo a vedere se il decalogo originale sarà capace di sopravvivere anche ai “decaloghi” di cui ci circondiamo oggi: il “decalogo” di una dieta salutare, di una buona abbronzatura, i dieci comandamenti della vita coniugale, della spesa, della cucina, della pesca, del ciclismo o

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quant'altro ancora. Comunque sia, il decalogo è il grande sopravvissuto anche della nostra memoria. È sopravvissuto alla nostra dimenticanza, alla nostra distrazione e alla nostra trascuratezza. Sopravvissuto nella memoria non vuol dire sopravvissuto nella coscienza. Sono pochi che non sanno che Dio ha detto: non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non mentire. Ma sono altrettanto pochi quelli che sanno che Dio ce lo dice ancora oggi… come parola di un sopravvissuto. I dieci comandamenti. Ma sono dieci? Le cose che bisogna fare o non fare sono undici. Ma perché allora dieci? Perché abbiamo dieci dita: per ricordarli. Per averli davanti ai nostri occhi. Per averli presenti in tutto quel che facciamo. Sono loro che guidano le nostre mani. Sono loro che comandano. E nessun altro oltre a loro. Non segui i comandi di un padrone, ma le parole incise nella tua memoria, nella tua coscienza. Nelle tue mani. Tu sei libero. Ce le hai con te, ovunque tu vada. Non si sa mai dove la vita ti porta. Spesso la nostra etica, il nostro comportamento è legato al luogo delle nostre origini. Quando lo lasciamo rischiamo di abbandonare anche la nostra etica, e perfino la nostra fede rimane là. Là dove andavamo in chiesa con la famiglia, festeggiavamo le feste della nostra fede. Ma qui, oggi, dove la vita mi ha portato, dove tutto ciò non mi dice più niente… tu, le dieci parole, le porti con te ovunque tu vada, ovunque tu vai, con te è Colui che dice: “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi

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oltre a me”. Due volte troviamo il decalogo nella Bibbia ebraica: in Esodo 20 e Deuteronomio 5. Esodo 20 mette l'accento sul piacere della libertà. Deuteronomio 5 sul dovere della libertà. Ma sempre: perché tu sia libero e perché tu resti libero, e non schiavo delle circostanze e condizioni attuali della tua esistenza… parola di un sopravvissuto alla prigione, al campo profughi in Babilonia. Ma sono libero se devo seguire “comandamenti”? In effetti qualcuno li ha chiamati piuttosto “aiutamenti”. Aiutano a vivere in libertà. Guidati dalla parola del Dio liberatore. I comandamenti sono “aiutamenti". “Aiutamenti” che comandano però. Credo sia importante, perché i padroni di questa terra sono forti e ci vogliono forza, memoria e disciplina per non soccombere nella lotta della vita e non farsi completamente sottomettere da loro. I padroni non sono solo i violenti - il “padre padrone” non è il bruto che picchia la moglie, ma chi esercita violenza psicologica e soprattutto economica ma anche e soprattutto subdoli spirituali: il mio desiderio, la mia preoccupazione, la mia paura, il mio giudice interiore che non approva mai niente, tutti signori dittatori che vogliono riscrivere le tavole della legge, dettando il mio pensare, parlare e agire. Sì, gli altri déi ci sono. Si presentano anche in modo dolce, umile, simpatico, necessario, convincente. Ecco allora che i comandamenti del decalogo ci aiutano attivando il nostro senso critico: chi è che ci comanda? Qual è la priorità, qual è il primo comandamento della mia

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vita? In chi pongo la mia fiducia? Chi è il Signore della mia vita e della mia morte? Chi è il mio Dio? Ci aiutano a discernere. A distinguere. Abbiamo senz'altro buone qualità di discernimento e di distinzione: sappiamo distinguere la luce dalle tenebre, ciò che è utile da ciò che lo è di meno. Ma di un discernimento, di una distinzione l'essere umano non è capace. Di distinguere l'uomo e Dio. Di distinguere se stesso e Dio. La teologia sta tutta qui: distinguere se stessi e Dio. Non siamo degli déi infelici. Ma siamo umani. E felici. L'essere umano non vuole che ci sia Dio. Perché l'essere umano vuole essere dio. E scriversi il proprio decalogo. Questo discernimento, questa distinzione fondamentale della nostra vita e della nostra felicità non nasce da un nostro ragionamento (quello vuole essere dio), ma dall'ascolto di Colui che dice: Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. Chi è l'Io sono della mia vita? Gesù. Gesù è il primo comandamento. Questa è la risposta che diede 80 anni fa la chiesa confessante al crudele dittatore tedesco con la dichiarazione di Barmen 1934. Questa confessione di fede è la responsabilità della chiesa e del cristiano in ogni luogo e in ogni tempo. Di persone liberate dalla schiavitù della paura. Perciò la vera obbedienza al decalogo accade solo nella dimensione della gioia. Perché ci rende umani. Siamo solo essere umani. Non siamo dio. E non dobbiamo più fingere di esserlo. Neanche un po'. Non dobbiamo spacciarci per

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quello che non siamo. Siamo liberi. E gioiosi. Perché Dio ci parla. Si rivolge a noi. È interessato a noi. Si prende cura di noi. Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me … Non ci parla dall'alto dei cieli, ma dal basso dell'uomo ferito per strada. Con l'assoluta autorità dell'uomo mezzo morto che chiede compassione. L'assoluta autorità alla quale si deve obbedire è una sola: la compassione. L'assoluta priorità della vita. Ecco quel che ci chiede il primo comandamento, quel che ci chiede Gesù: la compassione. Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. Oltre alla mia compassione. Non andare oltre. Sul lato opposto della strada. Come il levita e il sacerdote (cfr. Luca 10,25-37)… parole di un sopravvissuto, anzi, parole del Morto e Risorto. Le parole dei sopravvissuti tra le migliaia e migliaia di profughi in cerca di libertà, morti davanti alle nostre coste, faremmo bene ascoltarle attentamente …

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Sabato 6 Dicembre 2014 Is 30,19-21.23-26; Salmo 146; Mt 9,35 / 10,1.6-8

SANTO DEL GIORNO San Nicola da Bari, vescovo di Mira (250 ca.-326 ca.) Nicola nacque e visse in Asia Minore e fu Vescovo di Mira, succedendo allo zio Nicola che lo aveva ordinato sacerdote. Per le sue doti spiccate di pietà e di carità fu considerato santo anche da vivo. Secondo la tradizione, patì una dura persecuzione sotto Galerio e morì intorno al 350, all’età di sessantacinque anni. Durante le invasioni turche le sue reliquie furono poste in salvo da un gruppo di armati baresi e trasportate, nel 1087, nella città pugliese. Il culto di questo santo si diffuse da Costantinopoli verso la Chiesa slava e quella russa, e la sua venerazione è molto estesa sia in Occidente che in Oriente. San Nicola è il Santa Claus dei paesi anglosassoni che a Natale porta doni ai bambini.

Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: "Questa è la strada, percorretela", caso mai andiate a destra o a sinistra. Isaia 30,19-21

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malat36


tia e ogni infermità. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Matteo 10,1.7-8

Vivere nell'attesa del ritorno del Signore non è fuga dalla storia; è vivere ancora più pienamente la storia nell'orizzonte del suo destino ultimo. L'atteggiamento evangelico della vigilanza fonda così un'etica del discernimento: chi attende il Signore si sa chiamato a vivere responsabilmente ogni atto alla presenza del suo Dio, e comprende che il valore supremo di ogni scelta morale sta nello sforzo di piacere a Dio e di santificare il suo Nome compiendo la sua volontà. Cardinal Carlo Maria Martini PREGHIERA PER LA TAVOLA Ti rendiamo grazie, Padre che sei nei cieli, perché hai cura di ogni creatura che è sulla terra. Benedici la nostra famiglia qui riunita per mangiare. Fa' che nulla vada sprecato di tutto ciò che ci doni con infinita generosità. Amen.

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Domenica 7 Dicembre 2014 II DOMENICA DI AVVENTO Is 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8 SANTO DEL GIORNO Sant’Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa (340 ca.-397) Ambrogio è una delle maggiori figure dell’antichità cristiana. Nacque a Treviri, in Gallia, intorno al 339 da famiglia romana cristiana. Istruito nelle antiche discipline forensi, fu inviato a Milano in qualità di funzionario imperiale. Governatore delle province del Nord Italia, fu acclamato Vescovo di Milano il 7 dicembre 374 dalla popolazione cristiana. Fu un protagonista fondamentale nella Chiesa del suo tempo: teologo, liturgo influente consigliere di imperatori, seppe sempre affermare con forza l’autonomia della sfera spirituale della Chiesa rispetto alla sfera politica. Ebbe parte determinante nella conversione di Sant’Agostino. Morì nel 397.

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Pietro 3,8-9

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di 38


uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo". Marco 1,1-8

PREGHIERA PER LA TAVOLA Padre della gioia, ti ringraziamo per questo tempo di serenità e distensione. Fa' che ogni giorno cresciamo in amicizia per poter vedere nei fratelli il tuo volto. Amen.

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Deserti creativi Siamo ricondotti all'inizio, all'origine, al principio di quella parola bella, di quell'annuncio di liberazione e vita piena che è l'Evangelo di Gesù, o meglio: agli albori della storia vivente di Gesù, Parola Buona per ogni creatura. Questo è l'orizzonte verso cui tende il cammino di conversione già proclamato da Isaia profeta al popolo d'Israele rientrato dall'esilio; rinnovato con forza - quella ascetica che si mostra in scelte radicali e profetiche - da Giovanni Battista e richiamato da Pietro nella sua lettera: «Dio vuole che tutti facciano posto alla conversione». Con-vertirsi è orientarsi, dirigersi insieme verso un cambiamento profondo di mentalità. Muteremo modalità di pensiero se ritroveremo volontà e coraggio per risalire alla nostra stessa origine che è la presenza della Parola nel fondo dell'anima (anche l'evangelista Giovanni come Marco all'esordio del 'suo' vangelo - introduce il proprio racconto con il termine arché, annunciandoci che quell'inizio è abitato dal Verbo creatore). Si tratta di divenire artefici di nuovi inizi nel segno del Vangelo; gravidi di futuro dentro un tempo - il nostro - che o si ripiega nostalgicamente e sterilmente sul passato o si rassegna ad accettare il presente, privo di soddisfazioni ed entusiasmi.

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Porre germi nuovi di Vangelo è saper equilibrare sapientemente attesa e sollecitudine, come richiama Pietro nella seconda lettura: «mentre aspettate e affrettate la venuta del Signore […] aspettando queste cose, datevi premura di…». Sicuramente ben lontano dal nostro concetto di attesa quello immaginato e sollecitato da Pietro. Chi attende non rimane immobile e passivo, stando semplicemente lì ad aspettare che gli eventi accadano senza il proprio coinvolgimento personale. At-tendere è, invece, tendere realmente la nostra vita verso quell'orizzonte che desideriamo; è decidersi nella direzione di quel futuro che speriamo, adoperandoci e spendendoci sino in fondo affinché l'oggi possa già ospitare presagi di cieli nuovi e terre nuove. L'abbiamo sempre sentita predicare come “attesa operosa”, ovvero la piena immersione nella vita di ogni giorno, il darsi da fare perché le valli della disperazione e dello sconforto siano colmate da gesti concreti di follia creativa; i monti dell'arroganza e del sopruso siano abbassati dalla beatitudine di chi persegue tracce di giustizia e pace; i terreni accidentati della paura, della mediocrità e dell'ammorbamento siano appianati e sanati da pratiche di responsabilità e impegno! Certo, nessuno si illude, è un cammino tutto da inventare, una via da creare nel deserto. Altrimenti che “inizio” sarebbe? Come potremmo parlare di presenze inedite, di segni nuovi? Già… nel deserto: quello delle nostre

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contraddizioni e dei nostri sforzi svaniti, quello della nostra umanità incompiuta che Dio sceglie di attraversare per intraprendere la sua ricerca. Lui è il mendicante per amore, l'amante appassionato (e spesso tradito), sempre desideroso di nuovi incontri, di ripartenze sognate e avviate. Ci raggiunge dentro i nostri deserti per parlarci al cuore e donarci segni di consolazione e coraggio. Cosicché non smarriamo la speranza e troviamo forza per salire anche noi sulle alture elevate delle coscienze rideste ed alzare le nostre voci, annunciando ad ogni creatura che Lui è il Dio vicino. Sì, c'è un Dio che si approssima all'umanità e se ne prende cura come pastore, attento soprattutto alle tracce di vita nuova che ancora ci abitano: «porta agnellini al petto e conduce con calma le pecore madri». Il pastore-Dio stringe al proprio petto ogni vita fragile, l'avvenire tutto dell'umanità, e la fa riposare sulla tenerezza del suo cuore mite, assumendo pazienza e lentezza nell'offrirsi come guida di chi accoglie il Suo desiderio, generativo di promesse. Questo il Suo stile, la Sua maniera di dare vita a nuovi inizi!

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Annunciazione

Arcabas 43


“Come è possibile? Non conosco uomo”. L'angelo le rispose: “lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo (…) nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc 1, 34-38) L'angelo è arrivato, ha appena trasmesso alla fanciulla di Nazareth il messaggio del Signore. È inginocchiato davanti a lei, immobile, lo sguardo fisso e sbarrato. È abituato, ha portato messaggi agli uomini in ogni tempo, è apparso loro in sogno. Ma oggi, qui, ha paura. E la fissa negli occhi, con lo sguardo intenso, l'espressione quasi supplichevole, con le mani sovrapposte sembra dirle “È così, credimi… puoi credermi, davvero… devi credermi!”. C'è troppo in gioco. La fanciulla può, pronunciando un sì o un no, decidere le sorti dell'umanità intera. E non lo sa. L'angelo lo sa, e freme; a fatica riesce a non toccarla, ma vorrebbe tanto scuoterla, farla reagire, farle capire, aiutarla a decidere per un sì generoso e immenso, per un sì salvifico, capace di cambiare la storia. Ma nonostante lo spavento, il timore, l'incredulità, l'indecisione - tutte sensazioni che spiccano sul volto di Maria - la fanciulla sa cosa scegliere. Lascia cadere il libro che si scompagina, cadendo, mostrando fogli che paiono illuminati. Maria porta le mani al cuore e pensa il suo sì, prima ancora di pronunciarlo. Il libro pare fermarsi a mezz'aria,forse tutto si fermò davvero, per un istante, quel giorno, a Nazareth. “Eccomi …” E così a fianco dell'angelo lo Spirito del Signore porta, sorregge, sospinge la piccola croce d'oro che è Gesù ed entrambi disegnano bagliori dorati sul cuore e sul corpo di

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Maria. Un istante irripetibile e straordinariamente importante: quello che ha depositato nel grembo della fanciulla Maria, della vergine Maria, il Figlio di Dio, Dio stesso. Mentre il libro disegna sul vestito di Maria un'ombra scura, mentre accanto all'orlo dell'abito di lei si intravede un'ombra, mentre perfino le dita della Vergine disegnano ombre, l'Angelo non lo fa, e non lo fa la colomba, entrambi incorporei. Ma la piccola croce non è solo Dio, essere immateriale: è anche Gesù, figlio di Dio e dell'umanità, che ha appena preso corpo. E mentre raggiunge la sua mamma già disegna un'ombra che ha la sua stessa forma, ma che già fa pensare a due legni incrociati.

Jean-Marie Pirot (1926) universalmente conosciuto come Arcabas, è un pittore contemporaneo francese che nel corso della sua lunga carriera artistica ci ha regalato molte opere stupende, soprattutto di stampo religioso, spesso contenenti molti simboli raffigurati in modo originale. Le sue opere, apparentemente immediate, richiedono in realtà attenzione e osservazione profonda, per poterne cogliere i diversi aspetti e significati.

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Lunedì 8 Dicembre 2014 Gen 3,9-15.20; Salmo 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38

SANTO DEL GIORNO Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria La solennità dell’Immacolata Concezione ha una lunga storia. Una festa della Concezione di Maria nel grembo di Sant’Anna sembra essere giunta in Europa dall’Oriente nell’XI secolo, ad opera di crociati inglesi. Alla sua diffusione contribuirono i francescani, grazie all’apporto teologico di Duns Scoto. L’8 dicembre 1854 Pio IX definì formalmente il dogma della Concezione Immacolata della Vergine.

Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. Dal Salmo 97

Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te". A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un fi46


glio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Luca 1,26-31

Vergine dell'Annunciazione, rendici , ti preghiamo, beati nella speranza insegnaci la vigilanza del cuore donaci l'amore premuroso della sposa la perseveranza dell'attesa la fortezza della croce. Dilata il nostro spirito perché nella trepidazione dell'incontro definitivo troviamo il coraggio di rinunciare ai nostri piccoli orizzonti per anticipare, in noi e negli altri, la tenera e intima familiarità di Dio. Ottienici, Madre, la gioia di gridare con tutta la nostra vita: "Vieni, Signore Gesù, vieni, Signore che sei risorto, Vieni nel tuo giorno senza tramonto per mostrarci finalmente e per sempre il tuo volto’’. Card. Carlo Maria Martini

PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore Ti ringraziamo e Ti benediciamo per i doni del Tuo amore, per il frutto della terra e del nostro lavoro. Amen. 47


Martedì 9 Dicembre 2014 Is 40,1-11; Salmo 95; Mt 18,12-14

SANTO DEL GIORNO San Siro, vescovo (IV sec.) San Siro, vescovo di Pavia, venne identificato in passato con quel giovinetto che porse a Gesù i pani e i pesci per il miracolo della moltiplicazione. Studi recenti collocano però san Siro nel IV secolo, vescovo itinerante che convertì Pavia e poi Verona, Brescia, Lodi e Milano. Qui diede disposizione di sepoltura ai martiri Gervasio e Protasio, ponendo sulla loro tomba una pietra sepolcrale e dettandone l’epitaffio. I suoi resti sono conservati nella cattedrale di Pavia.

«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati". Una voce grida: "Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato". Isaia 40,1-5

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si 48


smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda”. Matteo 18,12-14

La vita di ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno. In un primo momento, pare che ci manchi qualcosa. Più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno. E lo attendiamo. Don Primo Mazzolari PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, fa' che non manchi mai ad ogni uomo il pane, nella libertà e nella pace. Fa' di noi uno strumento del Tuo amore. Amen.

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Mercoledì 10 Dicembre 2014 Is 40,25-31; Salmo 102; Mt 11,28-30

SANTO DEL GIORNO Beata Vergine Maria di Loreto Il Santuario di Loreto è sorto nel luogo in cui, secondo la leggenda, la dimora di Maria Vergine sarebbe stata trasportata prodigiosamente dagli Angeli. Questo santuario risale al IV secolo, ed è uno dei più antichi. Anche oggi questa basilica è meta di continui pellegrinaggi. La convinzione della miracolosa traslazione ha spinto papa Benedetto XV a costituire la Beata Vergine di Loreto “Patrona principale presso Dio di tutti gli aeronautici”.

Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia, sazia di beni la tua vecchiaia, si rinnova come aquila la tua giovinezza. Dal Salmo 102

In quel tempo, rispondendo Gesù disse: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero". Matteo 11,28-30 50


Nei periodi oscuri molto spesso un piccolo gruppo di donne e di uomini sparsi nel mondo sono stati capaci di rovesciare il corso delle evoluzioni storiche perché speravano contro ogni speranza. Ciò che sembrava destinato alla disgregazione è entrato allora nella corrente di un dinamismo nuovo. Frere Roger di Taizè PREGHIERA PER LA TAVOLA Ti ringraziamo, Signore, per il nutrimento, che ci hai concesso. Dona a noi qui raccolti di scoprirti come colui che cammina sempre con noi. Amen.

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Giovedì 11 Dicembre 2014 Is 41,13-20; Salmo 144; Mt 11,11-15

SANTO DEL GIORNO San Damaso I, papa (305 ca.-384) Questo importante personaggio della Chiesa antica nacque all’inizio del IV secolo e succedette a papa Liberio sulla cattedra di Pietro in un momento di forti contrasti nella Chiesa di Roma. Dovette fronteggiare diverse eresie e divenne un fermo sostenitore della fede ortodossa nicena. Fu protagonista anche nel gestire i difficili rapporti ecclesiastici tra Oriente e Occidente. Al suo nome sono collegate particolarmente la riscoperta delle catacombe e lo sviluppo del culto dei martiri caduti nelle grandi persecuzioni.

I miseri e i poveri cercano acqua, ma non c'è; la loro lingua è riarsa per la sete. Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d'Israele, non li abbandonerò. Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d'acqua, la terra arida in zona di sorgenti. Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti; perché vedano e sappiano, considerino e comprendano a un tempo che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d'Israele. Isaia 41,17-20

Gesù disse alla folla: “In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il 52


Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell'Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!’’ Matteo 11,11-15

Felice è colui che comprende che è necessario rinnovarsi molto, per essere sempre lo stesso. Dom Helder Camara PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, fa' che non manchi mai ad ogni uomo il pane, nella libertà e nella pace. Fa' di noi uno strumento del Tuo amore. Amen.

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Venerdì 12 Dicembre 2014 Is 48,17-19; Salmo 1; Mt 11,16-19

SANTO DEL GIORNO Beata Maria Vergine di Guadalupe Il santuario della Vergine di Gaudalupe, in Messico, è il più frequentato e il più amato di tutto il Sud America. In questo giorno si ricorda l’apparizione della “Morenita” avvenuta il 9 dicembre 1531 all’indio Juan Diego, uno dei primi nativi americani a ricevere il battesimo nel 1524, all’età di cinquant’anni. La basilica ove attualmente si conserva l'immagine miracolosa della Madonna è stata inaugurata nel 1976. In questo stesso luogo, nel 1990, papa Giovanni Paolo II ha proclamato beato il veggente Juan Diego, che è stato infine dichiarato santo nel 2002.

Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Dal Salmo 1

In quel tempo, Gesù disse: “A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!". 54


È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: È indemoniato. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori". Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie". Matteo 11,16-19

Per trovarsi nel punto d’incontro fra il cristianesimo e la città, bisogna anzitutto sentirsi concittadini, nella città dell’uomo. Si tratta di sentire lo spazio e il tempo del mondo come spazio e tempo nostro, a pieno titolo. Un cristiano non è un sopravvissuto, nel mondo che cambia (sempre cambia il mondo), in transito da un mondo che era il suo e ora non lo è più. Al quale vorrebbe ritornare, ma non può. Mons.Pierangelo Sequeri PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, siamo seduti a questa mensa insieme, ma non per tutti noi è un momento facile. Guarda a chi, tra di noi, ha il cuore nella sofferenza, dona a lui, insieme al cibo per la vita, la serenità per affrontare un momento difficile. Consegna a noi, che condividiamo il pane e la gioia della vita, la capacità di stare vicino a chi soffre con l’affetto, la stima e il sostegno che vengono da te.

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Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano. Questo comandamento fa paura: “Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano…”. È l’unico comandamento con minaccia: “…perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano” … Ti verrebbe da dire: “Oh, Dio!” Ma è proprio quello che non va: “Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano…” Ci fa entrare in un mondo oscuro, arcaico, magico. Gli antichi orientali ne erano convinti: ritenevano che conoscere il nome di una persona equivalesse ad avere potere su quella persona. Nelle fiabe si dice: “Apriti Sesamo!”: basta conoscere il nome per avere accesso a porte segrete. Antiche magie

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sono basate su questa associazione nome e paura: il rito Woodoo continua a rendere schiave le persone, donne ricattate e costrette a prostituirsi, per paura… Questo comandamento era interpretato come una legge profondamente sentita. Basta pensare ai roghi dei cosiddetti “eretici” condannati dai tribunali delle varie inquisizioni (non illudiamoci: era il sentire comune) perché negavano la Trinità, cioè il nome di Dio. Era considerato un delitto più grave dell’omicidio. Questo ci fa capire cosa può significare interpretare la parola di Dio come legge. E le conseguenze di un’interpretazione normativa della parola di Dio. Usare la parola di Dio invano. Si usa il nome di Dio per emarginare, criminalizzare persone di orientamenti diversi. Ma non condividere orientamenti non autorizza ad usare il nome di Dio contro le persone. Si usa il nome di Dio per legittimare situazioni, ideologie, persino dittatori e tiranni come “uomini della Provvidenza”. Pensate alla fibula delle SS sulla quale era scritto “Dio con noi”. Si usa il nome di Dio invano restando nel silenzio complice di “tali orribili peccati”. Le nostre chiese chiamate a pronunciare il nome di Dio. Il comandamento ci avverte che la nostra predicazione potrebbe risultare vana e interroga la nostra fede: tutto un uso vano del nome di Dio? È la parola “invano” che fa paura. Il minaccioso invano. Minaccioso ed appiccicoso: si appiccica a tutto. Tutto potrebbe infine essere vano. Inutile. Senza senso. “Invano” esprime la paura esistenziale. Il vuoto. Il nulla. La soli-

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tudine. Martin Buber, ebreo, filosofo della religione, nel suo libro “L’eclissi di Dio” fa dire ad “un nobile pensatore anziano”: “Come fa lei a pronunciare tante volte la parola Dio? […] Quale altra parola del linguaggio umano fu così maltrattata, macchiata e deturpata? Tutto il sangue innocente che venne versato in suo nome le ha tolto il suo splendore. Tutte le ingiustizie che fu costretta a sopportare per coprirle hanno offuscato la sua chiarezza. Quando sento nominare Dio, l’Altissimo, qualche volta mi sembra quasi una bestemmia”. Che fare allora? Evitare. Non pronunciarlo. Una nobile ragione dell’ateismo? Tacere Dio. Non dev’essere per forza ateismo. Non deve essere per forza un Dio defunto o un Dio morto un Dio che si tace. Si può tacere un Dio vivo. Ho visto un dibattito televisivo nel quale rappresentanti di diverse religioni erano invitati a dire, nel modo più breve possibile, cosa sia veramente essenziale - cioè Dio - della propria fede o religione. Risposte profonde e commoventi. Ma le parole sembrano sbiadire quando il rappresentante buddista, senza proferire parola porta il dito sulle labbra, e non dice nulla. Un gesto altamente significativo della spiritualità buddista, e non solo buddista. Di fronte all’abuso della parola “Dio”, quale altro atteggiamento è mai più appropriato di questo? Direi così: ogni volta che parlo di Dio, mi ricorderò con timore e tremore di questo dito sulle labbra. Ma il comandamento non dice di non usarlo. Dice di non usarlo invano.

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Non usarlo proprio è una fuga dal mondo. La purezza. La perfezione. Finché sono fuori dal mondo, posso credere di rimanere puro. Ma dal momento che sono dentro il mondo, me ne sporco. Nella solitudine non commetto errori. Nella relazione con altri sono inevitabili. È tua scelta, se vuoi usare il nome di Dio nella formula del giuramento. Attenzione comunque all’uso legale del comandamento… potrebbe già essere un abuso del comandamento. Se lo metti in pratica così com’è, devi mettere in pratica anche la minacciosa punizione congiunta che ne fa parte. Sentiamo Martin Buber che risposta dà al suo nobile pensatore anziano: “Sì… Dio è la parola più sovraccaricata di tutto il linguaggio umano. Nessun’altra è stata tanto insudiciata e lacerata. Proprio per questo non devo rinunciare ad essa. È vero: generazioni di esseri umani hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; ora giace nella polvere e porta tutti i loro fardelli. Generazioni di esseri umani hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per quest’idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e tutto il loro sangue … Certamente essi disegnano caricature e vi scrivono sotto Dio; si uccidono a vicenda e lo fanno in nome di Dio. Ma quando scompare ogni illusione e ogni inganno, quando stanno di fronte a lui… e non dicono più Egli, Egli, ma sospirano Tu, Tu e implorano Tu, intendono tutti lo stesso essere; e quando vi aggiungono Dio, non invocano forse il vero Dio, l’unico vivente, il Dio delle creature umane? Non è forse lui che li ode? Che li esaudisce? La parola Dio

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non è forse proprio per questo la parola dell’invocazione, la parola divenuta nome, consacrata in tutte le lingue umane e per tutti i tempi?” Ecco Dio ha un nome. Avendo un nome può essere chiamato. Essendo chiamato può entrare in dialogo, in comunicazione, in relazione. Dio è il Tu della vita. Dio non è nella solitudine. Dio non è nella perfezione. Dio non è nella purezza. Dio non è nell’idea. Dio non è nell’immagine. Ma nel suo nome. Cioè nella relazione. Non nell’idea della relazione. Né nella purezza o perfezione della relazione. Ma nella relazione con l’uomo bestemmiatore che giace nella propria polvere e grida: Dio salva! Qual è il nome di Dio? YHWH. Che non è un nome. Ma un verbo d’azione. Dio è nel suo agire. Nel suo venire. Dio è nella solidarietà, nell’essere con Israele, nel liberare il suo popolo dalla schiavitù. Un nome che si è fatto carne. Assumendo il nome Gesù. Anch’esso un verbo d’azione: YHWH salva. Vedete Gesù non si sostituisce al nome di Dio. Lo porta dentro di sé. Lo nasconde dentro di sé. Dentro la sua umanità, dentro la sua carne, dentro il suo nome Gesù = YHWH salva. Con la sua Risurrezione il comandamento si ribalta in positivo: Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano significa ora “invocarlo in ogni avversità, pregarlo, lodarlo e ringraziarlo” (Lutero, Piccolo Catechismo). E non è soltanto il comandamento che si ribalta in positivo: la paura si trasforma in fiducia. Anzi, l’amore caccia via la paura. Con la sua Risurrezione dai morti. Senza la quale la nostra predicazione sarebbe vana.

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Donne ricattate dal rito Woodoo sono state liberate dal laccio della prostituzione con l’invocazione del nome di Gesù. Con la preghiera. La lode. Con quel coraggio che ha la sua profonda ragione, la sua profonda gioia nel Tu della vita. Il nome di Dio restituisce la vita: è chiamata, è vocazione. Dà senso e sapore al vita. Salva da ogni minaccioso invano. Libera da pratiche che rendono dipendenti e schiavi. Questo è il nostro Dio: “Padre, sia santificato il suo nome!” Eppure, nella mia debole carne umana, ancora c’è la paura. Ancora pronuncio il nome di Dio con timore e tremore. Ancora sono da richiamare dal comandamento e dal dito sulle labbra. Forse va bene così. Perché non c’è relazione umana senza timore, senza rispetto, senza dubbi, senza incertezze. Che Dio ci conservi in questa paura. Perché siamo umani. E umani vogliamo e dobbiamo essere. Se credo di non sbagliare, se non ho più paura di niente e di nessuno, allora sì che sono il più grande bestemmiatore del nome di Dio. Quando credo di non esserlo.

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Sabato 13 Dicembre 2014 Sir 48,1-4.9-11; Salmo 79; Mt 17,10-13

SANTO DEL GIORNO Santa Lucia, vergine e martire (III-IV sec.) Una devozione fervida e largamente diffusa in tutto il mondo cristiano accompagna Lucia, santa siciliana vissuta nel IV secolo. Il racconto del suo martirio narra che, dopo un pellegrinaggio sulla tomba di Sant’Agata e in seguito alla visione della Santa, Lucia decise di votare la sua vita e i suoi beni al servizio del Signore e dei poveri. Consegnata ai giudici dal fidanzato inferocito, fu sottoposta alle torture più crudeli e morì predicando la Buona Novella al popolo e ai suoi persecutori.

Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte. È stata data alle fiamme, è stata recisa: essi periranno alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull'uomo della tua destra, sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Dal Salmo 79

Nel discendere dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?" Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e 62


ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro". Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista. Matteo 17,10-13

Occorre imparare ad assumere il passato per poter vivere oggi un tempo fecondo: certamente se si sa leggere in modo libero il passato, si sa anche che si è stati accolti, si è ricevuto amore. È giunto il tempo di imparare a donare, a non restare sempre figli che dipendono da... ma di arrivare ad amare in modo adulto, di essere capaci di donare, di rinunciare a qualcosa di sé per dare vita ad altri, per servire altri. Luciano Manicardi PREGHIERA PER LA TAVOLA Il pane è caldo e profumato, l'acqua fresca e pura. Dio della vita, siediti a mensa con noi. Amen.

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Domenica 14 Dicembre 2014 III DOMENICA DI AVVENTO Is 61,1-2.10-11; Cant. Lc 1,46-50.53-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

SANTO DEL GIORNO San Giovanni della Croce, sacerdote e dottore della Chiesa (1540 ca.-1591) L’avventura spirituale di Giovanni della Croce è strettamente legata a quella di Teresa d’Àvila, la grande riformatrice della vita carmelitana. Nato nel 1542 da nobile casata approdò, dopo una tormentata ricerca spirituale, alla famiglia dei carmelitani scalzi. La sua ansia riformatrice fu causa di durissime pene fisiche e morali, e di vere e proprie persecuzioni. Fu grande autore spirituale: è suo il tema della “notte oscura” dei sensi e dello spirito. Morì a Ubeda (Andalusia) nel 1591.

Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti. Isaia 61,10-11

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza 64


alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?" egli confessò e non negò. Confessò: "Io non sono il Cristo". Allora gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elia?" "Non lo sono", disse. "Sei tu il profeta?" "No", rispose. Gli dissero allora: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?" Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia". Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?" Giovanni rispose loro: "Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo". Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. Giovanni 1,6-8.19-28

PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore del mondo, che hai dato vita ad ogni realtà e vuoi il nostro bene, grazie per il cibo e per la gioia in questo giorno di festa. Benedici questo nostro pasto che è stato attentamente preparato, e fa' che in questo nostro mangiare e bere sentiamo che tu sei il Padre. Per Cristo Nostro Signore. Amen. 65


L’abbiamo disinnescato! Secoli e secoli di cristianità, riti ripetuti seppur con doviziosa fedeltà alle rubriche, precetti eseguiti con ossequiosa - e spesso solo formale - osservanza, principi e 'valori' difesi con tecniche da crociata ideologica, chilometri di processioni, assemblee interminabili di progettazione pastorale e raduni oceanici di masse festanti con gruppi più o meno giovanili(stici) non ci pongono certamente al riparo dal monito forte che Giovanni Battista fa risuonare in questa terza settimana di Avvento: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Quel Messia atteso che gli inviati dai sacerdoti e dai leviti credevano di aver riconosciuto in Giovanni Battista, in realtà abita (ancora oggi!) la storia degli uomini con la cifra del non-conosciuto, dello straniero potremmo anche dire. C'è, infatti, tutt'ora un Gesù sconosciuto; Egli ci rimane tanto più estraneo quanto più noi ci ostiniamo a predicare il nostro Gesù già noto, edulcorato, adattato, accomodante e spesso giustificante le logiche del sistema vigente e dominante. Il Gesù che noi conosciamo - o meglio, crediamo di conoscere risulta spesso distante dal rabbì itinerante di Nazareth. Il Gesù che misconosciamo è quello delle Beatitudini (diciamocelo sinceramente… siamo poi così convinti o anche solo avvinti dal fatto che i poveri, i miti, gli afflitti, i perseguitati e gli affamati di giustizia sono i veri beati in questa terra?!), è quello della luce che squarcia le tenebre, è quello che compie la profezia di Isaia 61, consegnataci nella prima lettura. Infatti, ancora oggi, Lui si manifesta nascondendosi dentro le pratiche di liberazio-

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ne da sistemi di schiavitù, in gesti di tenerezza verso cuori spezzati, in lieti annunci ai poveri, in promulgazione di 'editti' di misericordia e non di condanna. Ritenere ormai ineluttabile la deriva diabolica di un meccanismo socio-economico che alimenta sperequazioni sempre più accentuate tra Nord e Sud del mondo; definire 'cristiana' una civiltà che non avverte il bisogno di indignarsi per le spese assurde nella fabbricazione di armi da guerra (1.500 miliardi di dollari nel 2013, di cui 600 negli Stati Uniti e più di 200 in Europa… a volte le cifre servono per farci capire dove ci siamo cacciati) mentre quasi dieci milioni di persone ogni anno nel mondo (25.000 al giorno) muoiono di fame; rivendicare le radici cristiane per un continente che non riesce a vedere nel volto dello straniero un fratello e una sorella da accogliere e ospitare per un futuro più umano… tutto questo significa marginalizzare nuovamente Gesù nella zona dell'ignoto. Rimanere continuamente assuefatti e inetti di fronte ad una cultura che perpetua logiche di schiacciamento degli ultimi, sfruttamento del pianeta, esaltazione spasmodica dei miti del progresso e del profitto coincide con l'assorbimento e l'annientamento della figura dirompente di Cristo. L'abbiamo disinnescato, reso innocuo! «In realtà Egli non è dove noi diciamo che sia, perché il suo vero luogo è in quel punto in cui abitiamo nel deserto e ci apriamo alla storia. […] Ma noi dove siamo? C'è un punto desertico in noi? C'è in noi quel deserto dove si trova il Battista?» (E. Balducci). Salveremo le nostre città, riscatteremo l'umanità di noi stessi se, con coraggio, torneremo ad abitare quel deserto che è la spogliazione di tutte le maschere e la demolizione di sovrastrutture costruite per difendere, in maniera meschina, i

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nostri interessi privati. Deserto come abolizione di tutte le forme e via verso l'assoluto silenzio esteriore e interiore. È una spogliazione anche di identità! Infatti, alla commissione inquisitoria mandata dai “capi” di Gerusalemme, il Battezzatore del Giordano risponde per tre volte: «Io NON sono». Crea così deserto anzitutto dentro di sé e afferma la sua irriducibilità a figure, categorie preordinate che danno sempre sicurezza al potere. E quando lo costringono a darsi una definizione, letteralmente dice: «Io voce gridante nel deserto»; non compare la declinazione del verbo “essere” alla prima persona singolare, e non si tratta di distrazione o dimenticanza letteraria. Quell' “Io Sono” di matrice biblica - nome del Dio dell'alleanza, dell'eso-do e della liberazione - Giovanni non se lo può, e non se lo vuole, attribuire. La sua essenza si gioca nella relazione, nel riferimento testimoniale alla Luce: eco di una parola-presenza altra proprio perché diversa, straniera, sconosciuta e pertanto inafferrabile ma reale, necessaria e rivoluzionaria, quanto mai urgente giacché dirottatrice. Presenza che inaugura il compimento delle promesse di liberazione verso un mondo nuovo, in cui poter gioire finalmente per il risveglio profetico delle nostre coscienze stanche e rassegnate. Allora sarà possibile davvero sperare che le anime dell'umanità intera potranno «rivestirsi di vesti di salvezza e avvolgersi con il mantello della giustizia». «Non spegnete lo Spirito e non disprezzate le profezie»: attualissimo questo rischio denunciato già duemila anni fa dall'apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica. Di che rischio si tratta? Quello di neutralizzare le forze eversive del bene, le energie propulsive della giustizia, le linfe vitali di un regno che non è di questo mondo e quindi non può accettare indifferenze, respin-

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gimenti e accomodamenti borghesi. Non ci resta altra strada - davvero liberatoria e salvifica per noi stessi e non solo - che quella di porci in ascolto di quelle voci che risuonano nei nostri deserti contemporanei e ci annunciano la necessità di un ritorno (non più procrastinabile) alla verità dell'Uomo, alla misura evangelica di giudicare le nostre culture, le nostre dinamiche di potere, le nostre relazioni interpersonali. Riconosceremo allora quei «germogli di giustizia» che Dio desidera far apparire davanti a tutti i popoli; nella consapevolezza che per quanto siano segno di una gratuità inaspettata, libera e pressoché spontanea, tuttavia essi non potranno in realtà sbocciare senza il nostro assenso, senza il nostro metterci in gioco. Quelle vesti e quel mantello ci chiedono assunzione quotidiana di responsabilità personali che possono rivelarsi a volte anche scomode, fastidiose e dissonanti.

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Adorazione dei magi

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Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. (Mt 2, 10-11) Questo splendido mosaico ci porta direttamene davanti alla grotta di Betlemme, da dove Maria è uscita, col Bambino, per incontrare i tre personaggi giunti ad incontrarlo e ad adorarlo. L'imbocco della grotta si apre in una parete di roccia calda come quella che sta dietro - come un sipario teatrale - alle figure dei Magi. Al centro, la stella, che espande la sua luce attorno, pare chinarsi per assistere all'evento che si è realizzato anche grazie ad essa, che per molti mesi ha guidato i tre sapienti, quasi prendendoli per mano, fino a portali proprio qui. Essi hanno avuto un atteggiamento di apertura: i loro studi di scienziati li hanno guidati fino a Gerusalemme, dove hanno accettato di unire le loro ricerche ai sacri testi; e cosÏ sono arrivati qui. Mentre non l'hanno fatto i sapienti delle Scritture, che non si sono mossi. Maria ha un atteggiamento dolcissimo, regge il Bambino in modo che possa vedere i tre ospiti, e soprattutto in modo che essi possano vedere Lui. La posizione di Maria pare farsi culla, abbraccio amoroso e quasi protettivo per il bambino, ma senza chiusura, senza esclusione: quel bambino è nato per tutti gli uomini.

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L'umanità intera è rappresentata dai tre Magi che, seguendo la tradizione medievale, l'autore ha raffigurato come appartenenti a tutte le terre allora conosciute: Europa, Asia e Africa. I volti mostrano le caratteristiche delle varie popolazioni, in modo che ciascuno possa riconoscersi in loro, che ci dicono con chiarezza, a grandi lettere, perché sono qui. “Andiamo ad adorarlo”, perché essi sono arrivati, dopo un lungo viaggio di ricerca, ad adorare quel bambino. “Andiamo ad adorarlo”: e possiamo leggerlo come un invito per noi, che giorno dopo giorno siamo chiamati a un percorso di ricerca, a un cammino di conoscenza che possa condurci all'incontro col bambino che è Dio. Soprattutto in questo preziosissimo tempo di Avvento che ci è dato come dono per liberarci da tutto quanto ci impedisce di farci vaso vuoto per accogliere nel nostro cuore il bambino Gesù. Questi re magi sono persone importanti, e lo comprendiamo dall'abbigliamento, dall'espressione dei volti. Ma appena arrivati hanno tolto i simboli del loro potere (quello più indietro ha in mano una corona che si intravvede appena, e che egli sposta indietro) e a capo nudo si sono inginocchiati in adorazione. Hanno portato dei doni, tipici delle loro terre. I doni dei Magi, i nostri doni, son stati deposti ai piedi di Maria, che li guarda sorpresa e intenta. Capisce che si tratta del riconoscimento della straordinarietà di quel bambino che è suo ma non è per lei… Ma sa anche che quei doni sono un'ulteriore conferma di quanto gli accadrà, tra tanti anni

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che correranno via veloci, troppo veloci, fino ad una croce. La scena è racchiusa tra due strisce, una chiara, luminosissima e brillante, l'altra del colore caldo della terra, che però riflette l'oro della stella. Il cielo dal quale è venuto il Bambino, la terra nella quale vivrà, uomo tra gli uomini, e nella quale verrà piantata la croce che lo innalzerà di nuovo verso il cielo. Ma noi, in questo periodo, vogliamo dimenticare cosa accadrà, e goderci con Maria la dolcezza di quel Bambino che ci è stato dato, l'immenso amore di cui è fatto e di cui ci farà dono.

Marko Ivan Rupnik (Salloga d'Idria, 28 novembre 1954) è un sacerdote, gesuita e teologo sloveno. Artista e mosaicista cattolico, è direttore del Centro Aletti e con l'Atelier dell’arte spirituale, ha realizzato opere famose in tutt'Europa: tra tutte i mosaici della Cappella "Redemptoris Mater" in Vaticano, quelli delle basiliche di Fatima e di San Giovanni Rotondo, quelli sulla facciata del Santuario di Lourdes. L'opera di questa pagina si trova a Madrid, nella Cattedrale dell'Almudena.

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Lunedì 15 Dicembre 2014 Nm 24,2-7.15-17; Salmo 24; Mt 21,23-27

SANTO DEL GIORNO San Valeriano di Avensano, vescovo (V sec.) Valeriano fu vescovo di Abbenza, città dell’Africa proconsolare, oggi Tunisia. Morì a ottant’anni durante la persecuzione dell’ariano Genserico, nel 460 circa, dopo essersi rifiutato di consegnare gli oggetti sacri della sua chiesa.

C'è un uomo che teme il Signore? Gli indicherà la via da scegliere. Egli riposerà nel benessere, la sua discendenza possederà la terra. Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza. Dal Salmo 24

Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: "Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?". Gesù rispose loro: "Anch'io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". Essi discutevano fra loro dicendo: "Se diciamo: "Dal cielo", ci risponderà: "Perché allora non gli avete creduto?" se diciamo: "Dagli uomini", abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta". Rispondendo a Gesù dissero: 74


"Non lo sappiamo". Allora anch'egli disse loro: "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose". Matteo 21,23-27

A volte siamo avvinghiati nella paura del nuovo che viene quando c’è una nascita. Questo può destabilizzare la nostra normalità, scuotere le nostre difese perché la nascita è un evento sempre atteso ma nel contempo anche inaspettato e sorprendente. Tutto si può fare, ma non razionalizzare la speranza e l’attesa del futuro. Questo avvento consegna a tutti noi il dono di uno sguardo e di un cuore pieno di futuro. Don Virginio Colmegna PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, Dio di misericordia, noi ti ringraziamo per questo nostro pasto che ci riunisce. Conserva sempre in noi lo spirito di gratitudine. Benedici il cibo che abbiamo sulla nostra tavola e le persone che l'hanno preparato, e noi che insieme lo consumiamo. A te Signore ogni onore e gloria. Amen.

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Martedì 16 Dicembre 2014 Sof 3,1-2.9-13; Salmo 33; Matteo 21,28-32 SANTO DEL GIORNO Sant’Adelaide, imperatrice (931-999) Nata nel 931, figlia di Rodolfo, re di Borgogna, Adelaide all'età di sei anni rimane orfana di padre e nel 947 sposa Lotario, re d'Italia. Rimasta vedova dopo soli tre anni di matrimonio, viene perseguitata e messa in prigione da Berengario II del Friuli, che si era impadronito del regno d'Italia, essendosi lei rifiutata di sposarne il figlio. Liberata da Ottone I, lo sposerà e avrà tre figli, tra cui il futuro Ottone II. Attenta agli ultimi e agli indigenti, Adelaide è in stretti rapporti con il movimento di riforma di Cluny, specialmente con gli abati Maiolo e Odilone. Costruisce chiese e monasteri, beneficando particolarmente i cenobi di Peterlingen, San Salvatore di Pavia e Selz. In quest'ultimo monastero benedettino, da lei fondato presso Strasburgo, Adelaide si ritira fino alla morte nel 999. Presto venerata come santa in Alsazia, viene canonizzata da Urbano II nel 1097.

Così dice il Signore: Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio. Sofonia 3,1-2

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". Ed egli rispose: "Non ne 76


ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.’’ Matteo 21,28-32

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano. Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia. Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore. Erri De Luca PREGHIERA PER LA TAVOLA Dio nostro Padre, ti benediciamo per i beni di questo mondo. Aiutaci a condividerli con coloro che ne sono privi, fa che tutti insieme ti rendiamo grazie e proclamiamo la tua giustizia. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Mercoledì 17 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE Gen 49,2.8-10; Salmo 71; Mt 1,1-17 SANTO DEL GIORNO San Giovanni de Matha, sacerdote (1154-1213) Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a quarant’anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, per diventare sacerdote. Secondo la tradizione agiografica, durante la celebrazione della prima messa gli sarebbe apparso un angelo che gli avrebbe ispirato la fondazione di un ordine religioso destinato al riscatto degli schiavi cristiani in mano ai mori. Giovanni di Matha fondò un nuovo e originale progetto di vita religiosa, con aspetti profondamente evangelici, unendo il culto della Trinità all'opera di liberazione dalla schiavitù. L’Ordine della Santissima Trinità e redenzione degli schiavi venne approvato da Papa Innocenzo III nel 1198. In seguito al Concilio Vaticano II, l'Ordine Trinitario ha iniziato un forte processo di rinnovamento aggiornandosi al mutare dei tempi nei confronti delle nuove forme di schiavitù quali prostituzione, alcolismo, tossicodipendenza e definendo la Santissima Trinità fonte inesauribile della carità che si traduce nel servizio della redenzione e misericordia.

Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre! Giuda, ti loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo 78


scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli. Genesi 49,2.8-10

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Iesse generò il re Davide. Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. Matteo 1,1-2.6.16-17

Io voglio sapere il mistero delle cose e di me: e dove vanno i miei passi, e dove finisce la mia morte. Vieni, Signore, io voglio vedere! Adriana Zarri PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore che sei nel creato, ti ringrazio di essere nel fiore che guardo, nel cielo stellato, nel pane che mi ciba; nelle parole buone che ascolto; nel sole che mi scalda, nelle fontane a cui mi disseto, nell'allegro cantar degli uccelli. Grazie per questo cibo e per tutte le cose belle che Tu ci dai. Amen. 79


Giovedì 18 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE Ger 23,5-8; Salmo 71; Mt 1,18-24 SANTO DEL GIORNO San Graziano di Tours, vescovo (III-IV sec.) Tutto ciò che sappiamo su Graziano risale all'Historia Francorum scritta da San Gregorio nel VI secolo. Questi riferisce che attorno alla metà del III secolo San Dionigi di Parigi partì da Roma, assieme ad altri sei missionari per portare il Vangelo nelle Gallie. Graziano era uno di questi. Graziano si fermò nella Gallia lugdunense e predicò la fede cristiana a Tours per circa cinquant'anni, fondando la Diocesi di Tours. Quando morì fu sepolto in un cimitero cristiano nelle vicinanze di Tours. Un secolo dopo, Martino di Tours, che fu il terzo Vescovo di Tours, traslò le sue spoglie nella chiesa, costruita dal secondo Vescovo San Lidorico, sulla quale venne poi costruita la Cattedrale di Tours.

Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti. Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri. Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue. Dal Salmo 71

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo 80


giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Matteo 1,18-21

Ci sono delle persone molto turbate dal fatto di trovare in sé stesse molte esitazioni e anche dei dubbi. Allora apriamo il Vangelo e vi troveremo il racconto di un credente che dice a Cristo: "Io credo, ho fiducia in te". Ma questo uomo subito aggiunge: "Sì, credo, ma vieni in soccorso alla mia incredulità, cioè al mio dubbio profondo". Cristo capisce i dubbi e la richiesta d’aiuto di questo credente. Sa che in noi possono esserci allo stesso tempo e la fede e i dubbi. Ma quel che più stupisce è che sempre, nonostante i nostri dubbi, Dio ci cerca incessantemente. E che cosa trova in noi? Dio trova in ognuno di noi la bellezza profonda dell’animo umano. Frere Roger di Taizè PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, ti ringraziamo perché ci chiami a godere di quanto hai creato. Benedici il nostro pasto e donaci di sentirti insieme a noi, ora e sempre. Amen. 81


Venerdì 19 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE Gdc 13,2-7.24-25; Salmo 70; Lc 1,5-25 SANTO DEL GIORNO Sant’Anastasio, papa (V secolo) Il «Liber Pontificalis» lo dice romano di origine. Edificò a Roma la basilica Crescenziana, individuata, oggi, in San Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell'Africa, ratificando le decisioni del Concilio di Toledo del 400. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere. Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401.

Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno: a te la mia lode senza fine. Per molti ero un prodigio, ma eri tu il mio rifugio sicuro. Della tua lode è piena la mia bocca: tutto il giorno canto il tuo splendore. Dal Salmo 70

In quel tempo l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato 82


di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Zaccaria disse all'angelo: "Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni". L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo". Luca 1,13-16.18-20

La spiritualità dell'attesa esige quindi povertà di cuore per essere aperti alle sorprese di Dio, ascolto perseverante della sua Parola e del suo Silenzio per lasciarsi guidare da lui, docilità e solidarietà con i compagni di viaggio e i testimoni della fede, che Dio ci affianca nel cammino verso la mèta. Cardinal Carlo Maria Martini PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, nostro vero fratello che sempre ti ricordi di noi, sazia la fame di chi è nel bisogno. Ai tuoi figli in difficoltà dona uno spirito di fiducia e rendi nuovamente presenti i segni efficaci della tua grazia. Tu che vivi e vivi nei secoli dei secoli. Amen.

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Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato. Dopo due “no”: non avere altri dei, non pronunciare il nome del Signore invano, finalmente un “sì”! Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Un comandamento positivo. Un “sì”. Per te. Più per te che per Dio. Dio dice “sì” a te. Non sei tu che devi dire “sì” a Dio. Ma: Dio dice “sì” a te. Ricordatelo quando senti solo dire “no” a te. Dio dice “sì” a te.

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E non devi subito immaginarti un dio che dice “Sì, ma” … “sì, ma devi fare questo e devi fare quello”… “sì, se fai questo, sì, se fai quello” … Se io dico “sì” a Dio, certamente Dio dirà “sì” a me, deve dirlo… ma che Sì sarebbe? Un “sì” che dipende da me. E che Dio sarebbe? Un Dio che dipende da me. Ma se tutto dipende da me, allora Dio non c'è. Invece è Dio che dice, per primo, “sì” a te. Questo è forse il profondo senso del comandamento: “Ricordati del giorno del riposo per santificarlo”: sentire che Dio dice Sì a te. Sentire il grande Sì della vita. Ecco perché è il comandamento più grande in senso più ampio e più citato nella Bibbia. Perché dietro sta il grande Sì di Dio. La sua ragione è il grande Sì di Dio. E qual è il grande Sì di Dio? Il grande Sì di Dio è shabàt = smettila? Non è piuttosto un no? E qui dobbiamo fare attenzione, perché ci possiamo confondere. Verso l'esterno lo shabàt ebraico pare un grande no, una legge imposta. Ma hai mai sentito un ebreo come lo vive veramente, quanto ama il suo shabàt? Essere insieme con i propri cari, i ricordi, i profumi, i cibi, i bei vestiti… Dietro il grande no si nasconde la gioia, la festa del Sì della vita. Nella parola smettila si può nascondere il grande Sì di Dio. Viceversa, il grande Sì di Dio lo possiamo sentire oggi a cominciare da questa piccola parola appuntita: smettila. Se la smettessimo, anche solo per un giorno, di produrre

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beni di ogni tipo. La creazione riprenderebbe a respirare. E ci direbbe grazie. Se la smettessimo, anche solo per un giorno alla settimana, di consumare sfrenatamente, di sfruttare tutto e tutti fino agli estremi. La terra e i suoi abitanti riprenderebbero a respirare. E ci direbbero grazie. Se la smettessimo, anche solo per un giorno, di ridurre tutto e tutti ad una merce da consumare. Le persone riprenderebbero ad essere persone. Libere. Persone che vivono non per forza, capacità o utilità, ma grazie al grande e inesauribile Sì di Dio. Chiamiamo “estremisti” i religiosi. Ma non siamo piuttosto noi gli estremisti di questo mondo, della produzione, del consumo e del potere sui beni di questa terra? È solo un'altra religione. Un altro dio che si chiama avidità al quale siamo senz'altro disposti a consacrare più di un giorno alla settimana. Ancora una volta ci siamo fatti un altro decalogo, questa volta dettato dall'utilità. Tutto deve essere utile: devo essere utile, devo fare delle cose utili, se non sono utile, non valgo niente. Tutto e tutti vengono sottoposti all'utilità, al dio utilità: “Io sono la Signora Utilità, il tuo dio…tu devi fare questo e quello …”. Smettila. Shabàt. Come insegnano i rabbini: un giorno durante il quale non sono stato, per una mezz'ora almeno, inutile è stato un giorno che non ho vissuto, perché un giorno in cui non sono stato inutile è stato un giorno in cui non sono stato umano. L'avidità e l'utilità consumano l'umanità.

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Lo stesso giorno libero l'abbiamo sottoposto allo stress del dio utilità: un giorno utile alla chiesa, un giorno utile alla fede, un giorno utile allo studio della Bibbia, un giorno utile a Dio … sentite, quant'è forte quell'idolo? Tutta la religione gli può essere sottoposta. E non l'abbiamo forse sottoposta alla Signora Utilità? Non è forse l'unica ragion d'essere del cristianesimo di essere in qualche modo utile? Non è forse l'unica ragion d'essere del cristiano di fare delle opere buone e di rendersi in tal modo utile? Smettila. Shabàt. Così i profeti sentirono la voce di Dio: smettila con le tue feste, con i tuoi sacrifici. Smettila. Shabàt. Così Gesù disse che l'uomo non è fatto per il sabato, bensì il sabato per l'uomo. Per te. Un puro dono. Per riprendere a respirare. Per riprendere ad essere una persona umana. Per riacquisire dignità e libertà. Il giorno del Signore è anche il giorno dei signori: ecco il senso dei buoni cibi e dei bei vestiti. E dello stare insieme: il giorno del Signore è il giorno della comunione. Infatti, il quarto comandamento segna il passaggio dalla prima alla seconda tavola del decalogo, dalla relazione con Dio alla relazione con il prossimo. L'uno non può stare senza l'altro. Invece giochiamo abilmente l'uno contro l'altro. I religiosi dicono: devi andare in chiesa! E i laici dicono: devo riposare e stare con la famiglia. Dio, cosa direbbe? Shabàt. Smettetela. Di santificare le proprie scelte. Smettetela di santificare le proprie opere. Smettetela di santifi-

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care voi stessi. Semplicemente ascoltate. Contro i tanti forti, convincenti e tanto coinvolgenti “No” della distruzione, della schiavitù e della morte. Ascoltate il mio “Sì. La creazione. La liberazione. La risurrezione. E fatene la vostra ragion di vivere. E sarete delle persone creative, liberanti, edificanti. Persone che respirano questo grande caloroso Sì di Dio. Persone che non ti “rubano” tempo, ma che ti regalano nuovo tempo. Persone che ti verrebbe da dire: grazie. Grazie che ci sei. Certo questo richiede tempo. L'ascolto della parola di Dio non occupa tempo. L'ascolto della parola di Dio sprigiona, libera del tempo. Perché spesso mi dice semplicemente: Shabàt, smettila. Nel libro dell'Esodo (cap.20) è la creazione. Il primo grande Sì di Dio. Nel libro del Deuteronomio (cap.5) è la liberazione dalla schiavitù, l'uscita dall'Egitto, quando Israele con le truppe del Faraone alle spalle e il mare chiuso davanti a sé non sentiva che dirsi No. E, infine, per noi cristiani il giorno del riposo è diventato il ricordo dell'ultimo grande Sì di Dio, la risurrezione. Mi ricordo, più di dieci anni fa a Palermo, che centinaia di fratelli e sorelle appena sopravvissuti alla fuga attraverso il deserto africano e la traversata del mare, sbarcati in Sicilia, si riunirono per la preghiera nella nostra chiesa del quartiere Noce. Non potevano tornare indietro e non sapevano come andare avanti. Una situazione difficile, disperata, come quella d'Israele davanti al Mar Rosso. Pianti,

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lamenti. All'improvviso un gran silenzio. Un fratello si era alzato con la Bibbia in mano e legge ad alta voce quel che Mosè disse al suo popolo in quella situazione (Es 14,13): “Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi”. Nel momento del minaccioso No gli ha fatto sentire il Sì di Dio. In qualche modo sono andati avanti. Trovarono qualche lavoro per sopravvivere. Dopo alcuni mesi, un altro incontro. Molto meno frequentato. Un fratello lamenta che tanti altri la domenica non vengono più al culto. Rumori, ribellione. Qualcuno prende la parola e spiega che devono lavorare per mangiare. Lavorare dunque per sopravvivere. Con stupore sentii la testimonianza di una donna che si alzò e disse: “Rinunciate al lavoro. Ho perso quattro lavori perché santificavo il giorno del Signore. Adesso il Signore mi ha fatto trovare un lavoro secondo la sua volontà”, intendeva un lavoro dignitoso, senza schiavitù. Ubbidienza estrema verso Dio, ma anche fiducia estrema in Dio. Ci dà la misura estrema di questo comandamento. Nell'antica Israele non si lavorava per produrre lusso. Si lavorava per sopravvivere. Cosa vuol dire interrompere un lavoro di sopravvivenza? Una misura estrema. Ancora oggi, ogni venerdì sera in Israele: tutto fermo, tutto interrotto. Shabàt. Sabato. Ci si muove solo per aiutare qualcuno in pericolo di vita. Altrimenti: tutti fermi. Shabàt. Un'imposizione. Lo shabàt non è naturale. Il giorno è posto dalla natura. L'anno è altrettanto posto dalla natura.

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Ma la settimana non esiste. Infatti, lo shabàt è una cosa tutta particolare del popolo d'Israele. Shabàt non è natura. Shabàt è parola. Parola di Dio. È paradossalmente una parola d'azione che significa semplicemente: smettere. Il significato del comandamento in una sola parola è questo: smettila. Ricordati del “giornosmettila”. Ricordati di questa parola: smettila. Ecco la Parola di Dio che incide ancora oggi nella mia vita come una spada a doppio taglio: shabàt = smettila.

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Sabato 20 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE Is 7,10-14; Salmo 23; Lc 1,26-38 SANTO DEL GIORNO San Domenico di Silos, abate (VII sec.) San Domenico detto di Silos nacque nella Navarra. Di umili origini, esercitò dapprima il mestiere di pastore; in seguito entrò in un monastero benedettino, di cui, più tardi, venne eletto Abate, grazie alle sue virtù morali e pastorali. Quando il re di Navarra pretese denaro dal monastero, il monaco benedettino gli rispose, con umiltà ma anche con risolutezza, che le ricchezze dell'abbazia erano per i poveri e non per i re. La risposta suscitò l'ira del sovrano, il quale minacciò di strappare la lingua all'Abate ribelle, ma poi si limitò a cacciarlo dal proprio regno. Domenico si trasferì nel Regno di Castiglia, dove Ferdinando il Grande gli assegnò l'antico monastero di Silos, quasi in rovina, che Domenico restaurò facendone un centro di vita spirituale e sociale. San Domenico si occupò anche del riscatto dei cristiani, caduti in mano ai Saraceni e fatti schiavi. È protettore delle partorienti.

Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli, chi non giura con inganno. Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. Dal Salmo 23

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Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te". A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Luca 1,26-35

L'uomo è anche attesa: se questa dimensione antropologica essenziale, che afferma che l'uomo è anche incompiutezza, viene misconosciuta, allora il pericolo dell'idolatria è alle porte, e l'idolatria è sempre auto sufficienza del presente. La venuta del Signore impone invece al cristiano attesa di ciò che sta per venire e pazienza verso ciò che non sa quando verrà. E la pazienza è l'arte di vivere l'incompiuto, di vivere la parzialità e la frammentazione del presente senza disperare. Enzo Bianchi

PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore del mondo e di tutto quello che hai creato, ti ringraziamo per il pane di questo giorno e per i fratelli che ci metti accanto. Insegnaci a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca, e aiutaci a crescere nella stima reciproca e nella lode a te, Dio, che regni nei secoli eterni. Amen.

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Domenica 21 Dicembre 2014 IV DOMENICA DI AVVENTO 2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38 SANTO DEL GIORNO San Pietro Canisio, sacerdote e dottore della Chiesa (15211597) Nato in Olanda, a Nimega, nel 1521, studente di letteratura a Colonia, Pietro entrò nella Compagnia di Gesù dopo aver letto l’opuscolo degli Esercizi spirituali che sant’Ignazio aveva appena terminato di scrivere. Svolse un’intensa attività dottrinale negli anni in cui si andava affermando la Riforma Protestante. Partecipò al Concilio di Trento come teologo e consigliere del Papa e fu autore di due catechismi, uno per adulti e l’altro per i giovani, che ebbero enorme diffusione. Per trent’anni fu superiore provinciale in Germania. Quando Pio V gli offrì il cardinalato, Pietro pregò il papa di lasciarlo al suo umile servizio della comunità. Morì nel 1597.

Canterò in eterno l'amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: "È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà". Dal Salmo 88

Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te". A queste parole ella fu molto turbata 93


e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola". E l'angelo si allontanò da lei. Luca 1,26-38

PREGHIERA PER LA TAVOLA Guarda con bontà, o Padre, noi che attendiamo con fede il Natale del Signore. La venuta di Gesù rischiari il nostro cuore, ci sostenga nelle fatiche di ogni giorno, doni vera fraternità a tutti noi. Amen

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Non-addomesticabile Costruire una casa a Dio, accomodarlo, sistemarlo e chiuderlo nelle nostre sicurezze; definirlo entro i confini di dottrine teologicamente inconfutabili è la tentazione tipica dell'animo religioso. Ed è tentazione che si presenta coi tratti della generosità e dello slancio devozionale. Quel desiderio di Davide di costruire una casa-tempio a Dio, infatti, non contiene di per sé alcuna connotazione negativa. Anzi, suona come premura giustificata e attenzione - diremmo - 'dovuta': “Ma, come? Io abito sotto una casa di cedro e tu sotto una tenda… non è possibile!”. Il profeta Natan stesso pare, inizialmente, avallare l'intenzione del Re. Ma la voce del reale desiderio di Dio si fa udire nella notte, ovvero quando tutto tace e si spegne. Quando si placano i nostri progetti che mirano ad inglobare e determinare tutto, tentativi maldestri - seppur verniciati di buone intenzioni - per sequestrare l'inafferrabile… ecco che lì, nella luminosa notte dell'abbandono, inattesa arriva la Parola. Irrompe il vero sogno di Dio: rimanere libero da ogni struttura, non essere ingabbiato in rigidità formali o istituzionali, così da poter abitare per sempre la precarietà della tenda. Il Dio dell'alleanza è il Dio della tenda e non del tempio. È il Dio nomade, viandante, instancabile viaggiatore e ricercatore mai sazio di orizzonti inediti, di nuove partenze e inesplorati traguardi. È il Dio della storia sempre mutabile e in divenire, non il Dio eterno, immutabile e atemporale. È il Dio dei volti, delle lacrime e dei sorrisi. È il Dio della strada, dell'umanità migrante e continuamente in marcia,

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Dio dell'esodo; non Dio delle chiese chiuse e delle religionifeticcio. Arrestare questa Sua dinamicità creativa in form(ul)e statuarie o dentro sterili affermazioni significa negarne l'identità, annientarLo alla radice, svuotarne l'essenza. Ci è richiesta una conversione continua: liberarci dalle forme per lasciare spazio al vuoto, unica condizione per accorgerci e stupirci della fantasiosa Parola creatrice. E la tenda ultimamente scelta dal Dio del “casato”di Davide è la carne umana. Una tenda di carne! Con le stesse fragilità, le medesime pulsioni, gli inevitabili fremiti e le necessarie passioni d'amore proprie della nostra appartenenza carnale. Ci torna sicuramente alla mente e al cuore il vertice del prologo di Giovanni evangelista: «E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi»; parole sintetiche che riassumono quanto raccontatoci da Luca nell'evento dell'annunciazione a Maria. Tenda di carne è la residenza instabile ma fedele del Dio della Vita. Egli dimora in mezzo alla vita, non fuori, non in luoghi appartati o sacri! Dio desidera la carne umana, in Gesù assume il nostro limite, abita la nostra temporalità senza fingimenti ma col desiderio di trasfigurarla e orientarla verso la pienezza attraverso il dono di se stesso. «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… Egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,19.21). Ecco come l'evento del Dio incarnato già ci parla della Sua Pasqua, del suo passaggio di morte e resurrezione! Non possiamo dunque costruire una casa a Dio perché Egli ha definitivamente preso dimora in noi, suo tempio. E se l'umanità tutta è tempio di Dio, allora davvero il processo dell'incarnazione è inarrestabile, incontenibile e costante. L'episodio con cui la comunità dell'evangelista Luca ci racconta l'inizio di

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questo dinamismo funge da riferimento per ogni credente. La fanciulla di Nazareth, infatti, non è la cristallizzazione di una figura mitica o l'idealizzazione di una personalità da santino, bensì tratteggia la possibilità inscritta in ogni carne umana, realizza l'evento attuabile nel corpo intero dell'umanità. Maria è stata donna capace di farsi trovare (questo il senso del suo Eccomi: “guarda, sono qui, non sono scappata!”), nella piccolezza del suo essere terra abitata dalla Grazia, proprio perché libera da appartenenze sacrali (a differenza del sacerdote Zaccaria che officiava al tempio e rimase incredulo e muto) e disponibile a lasciarsi interrogare e cambiare da un annuncio di vita nuova. Ella ha saputo aprirsi all'impensato, a ciò che l'orizzonte mondano ritiene impossibile. Non ha cercato difese o giustificazioni, non ha sollevato riserve o ante-posto progetti suoi. Si è aperta al sogno intimo di Dio non attraverso una accettazione passiva - o obbedienza cieca - ma con una lettura intelligente di quanto accadeva («Come è possibile? Non conosco uomo») per poi affidarsi nello stile del servizio («Sono la serva del Signore»). E così è per noi: attraversati fedelmente dalla nostalgia di Dio, potremo darGli carne se non rimaniamo fermi alla superficie di quanto la Parola ci annuncia, ma la comprendiamo e accogliamo con la sapiente profondità delle anime innamorate, con l'assunzione piena della dignità offerta ad ogni libero pensiero. Abiteremo, allora, questo tempo con la leggerezza di una tenda (il nostro corpo di carne…) che custodisce e annuncia il segreto di Dio nel generoso e silenzioso servizio all'uomo.

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Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà. Un comandamento che pesa. Dare peso al proprio padre, dare peso alla propria madre. Dare peso a chi già pesa? Non bisognerebbe piuttosto dare peso, dare onore a chi non ce l'ha? Onora tuo figlio e tua figlia? Se leggiamo i nostri antichi catechismi il comandamento si fa ancora più pesante: onora anche i tuoi padroni, coloro che ti sono preposti, maestri, insegnanti, professori, pastori, datori di lavoro, la polizia, il governo. Onorare, cioè dare peso a tutti coloro che già pesano? Non bisognerebbe piuttosto dare peso, dare onore a chi non ce l'ha? Onorare il

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servo, la serva, il dipendente, il suddito, lo sfruttato, il non istruito? Invece no: Onora tuo padre e tua madre… il tuo padrone e la tua governante! E certo, facendo così, i tuoi giorni saranno prolungati e vivrai bene sulla terra del Signore. Viceversa, se dai veramente peso, se dai veramente onore ai servi sudditi sfruttati, i tuoi giorni, facilmente, saranno contati su questa terra … De André cantava nel“Il Testamento di Tito” la croce del quarto comandamento: “Onora il padre, onora la madre e onora anche il loro bastone, bacia la mano che ruppe il tuo naso perché le chiedevi un boccone: quando a mio padre si fermò il cuore non ho provato dolore”. Un comandamento non solo pesante, ma cruciale. Nel decalogo si trova a un punto cruciale: o è l'ultimo della prima tavola (ebrei) o è il primo della seconda tavola (cristiani), cioè: o è l'ultimo della verticale che riguarda la relazione con Dio oppure è il primo dell'orizzontale che riguarda la relazione con il prossimo. Certo, quando un bambino nasce, ha soltanto i suoi genitori, coloro che gli sono preposti come Dio. Man mano che cresce scopre che i genitori non sono Dio. Se i genitori si rivolgono in preghiera a Dio Padre, lo scopri prima, lo senti fin dall'inizio che Dio è un Altro. In ogni caso il rapporto genitori-figli è il punto cruciale, sia per la relazione con Dio, sia per la relazione col prossimo. Per molti figli i genitori sono una bella croce, come per molti genitori i

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figli sono altrettanto una bella croce. Dal rapporto genitori-figli dipende in buona misura la nostra felicità. Gli psicologi ci confermano che la relazione genitori-figli incide fortemente su tutte le nostre relazioni. Portiamo dentro di noi l'immagine genitoriale. Per maturare bisogna liberarsene, per acquisire la capacità di camminare sulle proprie gambe, di decidere autonomamente, individualità, personalità, carattere. Liberarsene non vuol dire buttare via, essere freddi e ingrati, senza cuore. Ma rendersene indipendenti. Sempre portiamo un'immagine dentro di noi. Senza immaginazione non possiamo vivere. Ma l'immagine al quale siamo stati creati è l'immagine di Dio. E l'immagine di Dio è Gesù Cristo. Gesù che vuole incidere su tutte le nostre relazioni. Quando dice: “seguimi!” i chiamati lasciano padre e madre. Diventare credenti è un processo di maturazione. Di liberazione. Di buona, profonda e fedele relazione. Cerchiamo di capire il comandamento biblico: chi lo dice? E cosa dice? Lo dice Dio a me. Lo dice Dio e non io. Quando lo dico io suona diversamente, perché io stesso sono padre. Dicendo alle mie figlie: Onora tuo padre e tua madre… beh, in difesa della madre potrebbe ancora andare, ma riguardo al padre, è una strumentalizzazione di Dio. Diversa è la situazione dell'insegnamento al di fuori dalla situazione con-

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creta. Per l'insegnamento abbiamo un mandato da Dio. Dobbiamo insegnare ai nostri figli ad onorare padre e madre, anzi, che Dio ha detto - Dio e non io! - che dobbiamo onorare padre e madre. E nella situazione concreta? Nella situazione concreta non mi resta che… onorare mio padre e mia madre … Gesù stesso, dodicenne, dopo il capriccio di essere scappato dai suoi nel tempio di Gerusalemme, ritornò con loro a Nazaret e - come dice Luca (4,51) stava loro sottomesso. Se io onoro mio padre e mia madre do ai miei figli un modello di vita che un giorno mi sarà di onore, cioè prolungherà i miei giorni sulla terra. I nostri figli lo faranno se crescono in una società che onora padre e madre.. Mi chiedo però: perché penso subito, quando ascolto il quarto comandamento, alle mie figlie o genericamente ai nostri figli, ai giovani, alla nuova generazione? Il comandamento è rivolto a me. Io invece lo voglio immediatamente delegare ad altri. Altri ubbidiscano. Come oggi con gli immigrati: devono avere un lavoro in piena regola, sapere bene l'italiano, rispettare tutte le leggi e le altre religioni, praticare il dialogo ecumenico…. In pratica gli chiediamo tutto quello che noi stessi facciamo solo a fatica. Così chiediamo ai nostri figli di fare tutto ciò che noi non siamo riusciti a fare… ecco, siamo sempre rimasti maledetti padri padroni che non si sono mai liberati dalle immagini genitoriali e, in questo modo, conti-

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nuano a maledire le future generazioni. I comandamenti sono rivolti a noi. La parola di Dio è rivolta a noi o non è Parola di Dio! Certo la predichiamo agli altri. Ma come? Come parola rivolta a noi! Dio dice a noi: Onora tuo padre e tua madre… così anche la promessa rimane rivolta a noi: affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà. E cosa dice questo comandamento? Non dice: “ubbidire”, ma onorare. Questo “ubbidire” è la lettura che dà il Nuovo Testamento del quarto comandamento (Ef 6,1-4): Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto. «Onora tuo padre e tua madre» (questo è il primo comandamento con promessa) «affinché tu sia felice e abbia lunga vita sulla terra». E voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell'istruzione del Signore. Non è detto da un padre o una madre arrabbiati perché il figlio non ubbidisce, ma da un'insegnante che già sa quant'è delicato il rapporto genitori-figli e che è basata su una reciprocità: padri, non irritate i vostri figli! Non opprimete i vostri figli! Ma, comunque, il comandamento non parla di ubbidire, bensì di onorare. Mentre la storia della chiesa occidentale ne ha fatto il comandamento dell'ubbidienza. Ma non c'è un comandamento dell'ubbidienza in sé. A Dio bisogna ubbidire, a quel che Dio dice. Non agli uomini e a quello

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che dicono gli uomini. Salvo che dicano quel che dice Dio. Ma solo Dio ti può dare lo Spirito del discernimento, il senso critico. E Dio non ti faccia mancare genitori, insegnanti e governanti che ti insegnano, che vivono con il proprio esempio, questo senso critico che è sempre anzitutto autocritico. Ubbidire è una cosa. Onorare è un'altra cosa. Dare onore, dare peso, conferire importanza, restituire dignità. A chi? A chi peso non ha. A chi importanza non ha. A chi si rischia di togliere l'onore. A chi viene privato della sua dignità. E chi sono? I nostri vecchi. No, non sono i vecchi, sono anziani. No, non sono gli anziani, sono i nostri genitori, sono sempre i nostri genitori. E noi speravamo di poter “scaricare” questo comandamento sui nostri figli. Già formalmente il decalogo non è rivolto ai bambini, ma a persone che hanno moglie, asini e buoi, a persone che hanno bambini. E forse ancora dei genitori. C'erano delle antiche tribù che, per sopravvivere, uccidevano le persone che non lavoravano più, che non producevano più, le persone che “pesavano” sulla tribù. Il nostro comandamento, in origine, combatte questa prassi. Le dittature, le ideologie hanno sempre esaltato la “giovinezza”. La forza. La bellezza. L'immagine. L'immagine della giovinezza. E tutti quelli che hanno esaltato la giovinezza (Hitler, Stalin, Mussolini), l'hanno letteralmente

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bruciata sull'altare della loro idolatria. Ma il Signore, il tuo Dio, ha scelto le cose deboli del mondo, le cose disprezzate… (cf. I Cor 1,26ss.) Quale e quanto onore diamo a chi è debole, a chi è disprezzato, anziani, malati, portatori di handicap? La bellezza, il valore di un paese o di una nazione non si misurano in base alla risposta alla domanda: “cosa offre per il mio divertimento e godimento?” Ma nella risposta alla domanda: “come stanno i tuoi anziani, dimenticati, malati, portatori di handicap?“ Perché vivere a lungo e bene non è tanto una promessa ma un'esperienza concreta del rispetto della dignità umana. Il quarto comandamento non è il comandamento dell'ubbidienza. Infatti, non abbiamo potuto “ubbidire” ai padri dei nostri catechismi. Il quarto comandamento è il comandamento della dignità dell'uomo. E questa è il principio della seconda tavola, di ogni relazione umana e anche della nostra costituzione. Il comandamento Onora tuo padre e tua madre parla al cuore di chi oggi se ne vuole sbarazzare.

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Lunedì 22 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE 1Sam 1,24-28; Cant. 1Sam 2,1.4-8; Lc 1,46-55 SANTO DEL GIORNO Santa Francesca Saverio Cabrini Francesca nacque nel 1850 da una famiglia numerosa e poverissima a Sant’Angelo Lodigiano in Lombardia. Rimasta presto orfana, avrebbe voluto prendere i voti ma non venne ammessa in convento a causa della sua salute malferma. Grazie all’interessamento del parroco di Codogno poté assumersi l’incarico di occuparsi di un orfanotrofio, giungendo a fondare il primo nucleo delle Suore Missionarie del Sacro Cuore. La fondazione venne posta sotto il Patronato di San Francesco Saverio, santo di cui la donna assunse il nome quando infine pronunciò i voti. In seguito divenne missionaria nelle Americhe, dedicandosi all’assistenza degli italiani che a migliaia partivano, privi di ogni sostegno materiale, in cerca di fortuna, e per questo divenne la patrona dei migranti. Morì a Chicago nel 1917.

Anna disse:"Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch'io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore". E si prostrarono là davanti al Signore. Samuele 1,26-28

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In quel tempo, Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre". Luca 1,46-55

Io voglio ciò che tu vuoi/senza chiedermi se lo posso/senza chiedermi se lo desidero/senza chiedermi se lo voglio. Madaleine Delbrel PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore nostro Dio, fonte di ogni gioia, tu operi per noi grandi cose, ci rendi partecipi delle tue meraviglie. Ti ringraziamo con cuore sincero per la gioia di questo giorno. La gratitudine per questo pasto ci aiuti a riconoscerti come nostro solo Signore. Amen.

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Martedì 23 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE Ml 3,1-4.23-24; Salmo 24; Lc 1,57-66 SANTO DEL GIORNO San Giovanni da Kety, sacerdote (1390-1473) Giovanni Canzio nacque a Malec, sobborgo della cittadina di Kety (Polonia) nel 1390. Studente brillante, divenne docente di filosofia a 27 anni e in seguito fu ordinato sacerdote. Inviato come parroco a Olkusz, si distinse per la carità verso i poveri, ai quali consacrava tutte le risorse che riusciva a raccogliere. Nel 1440 riprese la docenza a Cracovia e contribuì all'educazione del principe Casimiro. Morì durante la messa della vigilia di Natale del 1473.

Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio. Malachia 3,23-24

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni". Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome". Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una 107


tavoletta e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Luca 1,57.59-64

Mostrati, Signore; a tutti i pellegrini dell'assoluto, vieni incontro, Signore; con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus; e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori; non sanno che ti portano dentro: con loro fermati poiché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore. Padre David Maria Turoldo PREGHIERA PER LA TAVOLA Ti benediciamo, Signore nostro, perché con la venuta del tuo Figlio ci hai donato ogni bene e ci hai riunito intorno a questa mensa di festa. Conservaci la gioia di questo giorno per trovare in te pace piena e lodarti sempre con cuore grato. Amen. 108


Mercoledì 24 Dicembre 2014 NOVENA DI NATALE 2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Lc 1,67-79 SANTO DEL GIORNO Sant’Irmina di Treviri, badessa (VII-VIII sec.) Secondo un documento del 646 sarebbe stata figlia di Dagoberto re merovingio, figlio di Clotario II. È comunque accertato che nacque e visse a cavallo tra il VII e l’VIII secolo a Treviri, dove, rimasta vedova, fondò un monastero di cui fu badessa. In questa veste si preoccupò di distribuire le sue ricchezze in favore dell’opera missionaria.

Beato il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto; esulta tutto il giorno nel tuo nome, si esalta nella tua giustizia. Dal Salmo 88

Zaccaria fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: “Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Luca 1,67-71

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«Cristo nella mangiatoia [...]. Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro [...]. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì Egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì Egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì Egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima, lì Egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il Suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del Suo amore, della Sua vicinanza e della Sua grazia». Dietrich Bonhoeffer PREGHIERA PER LA TAVOLA Signore, fonte di luce, che hai mandato il tuo Figlio ad illuminare ogni uomo, benedici noi e questi tuoi doni e concedici di camminare con gioia nella luce della sua presenza. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Buon Natale, amico mio: non avere paura. La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido di attese. E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. E una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste, e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte. Non avere paura, amico mio. Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi. Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te. Don Tonino Bello

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Giovedì 25 Dicembre 2014 NATALE DEL SIGNORE Is 52,7-10; Salmo 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio". Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Isaia 52,7-9

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo 112


hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama:"Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me". Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Giovanni 1,1-18

PREGHIERA PER LA TAVOLA Ti ringraziamo o Signore per averci riuniti intorno a questa tavola in questo giorno di festa per il tuo Natale. Tu che ti sei fatto uomo come noi vieni a sederti alla nostra mensa e conservaci la gioia di questo giorno. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

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Dio è nudo Troppo scontato, comodo e riduttivo rinchiudere nell'arco stretto di una festività la dirompente energia del Cielo che ha scelto di abitare, costantemente, la Terra delle donne e degli uomini. L'abbiamo sacralizzato e rivestito di luccichii e sentimentalismi di facile accesso e immediata comprensibilità: in realtà l'evento dell'Incarnazione del Verbo, il Suo venire e dirSi nella carne è realtà tragica. È storia vissuta non collocabile in una casella precisa del nostro calendario e indefinibile da alcuna - seppur perfetta - formula di fede. L'inattesa volontà divina di abitare una mangiatoia è dissonante rispetto ai nostri arrangiamenti e rivestimenti posticci, artificiosi e incapaci di lasciar trasparire la nudità dell'umano che lì ci viene donata. Quello che la Natività di Gesù ci offre è l'ennesima possibilità di lasciar rifiorire quelle attese di umanità nuova che ci ostiniamo a non ascoltare ogni volta che siamo attratti dai miti del potere, della forza e della ricerca esclusiva della nostra sicurezza; idoli vuoti che ci rendono sempre più cinici, indifferenti e assuefatti. Miti e idoli che, se ben ci pensiamo (impersonati dal decreto censorio di Cesare Augusto e dal mandato pluriomicida di Erode), sono i medesimi che hanno costretto Maria e Giuseppe a far nascere Gesù nella condizione di migrante ed emarginato prima, fuori dal centro abitato di una periferica località «così piccola per essere tra i villaggi di Giuda»; respinto e profugo, poi, nel territorio d'Egitto: già luogo di passate vessazioni e memorabili schiavitù. Il Dio Bambino è, dunque, agli antipodi di tutto ciò che è forte, potente e sicuro. È inerme, fragile, impotente! Un Dio difficile - ammettiamolo! -, 114


un Dio non usufruibile, refrattario ad ogni forma di strumentalizzazione e visione assolutistica della realtà. Davanti ad un bambino, infatti, cadono tutte le nostre certezze e arroganze, si sgretolano sicurezze e onnipotenze, affonda nel non-senso ogni moralismo e per-benismo. Un bambino invoca e suscita sincerità, spontaneità, visione nuova delle cose. «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio», questo l'annuncio inaspettato che ancora ci raggiunge per voce di Isaia profeta. È nelle nostre mani, dipende da noi… da me, da te! A partire da Gesù, Dio esiste solo nella misura in cui lo accolgo, lo cerco e nello stesso tempo mi lascio trovare, meravigliandomi per come Egli già misteriosamente dimora in me, in ciascuna/o di noi. Si nasconde dentro le storie più improbabili e inedite, privilegia quelle degli ultimi e degli offesi. È il Dio capace di risvegliare in noi potenzialità sepolte, capacità inespresse, gesti rimasti muti per molto - troppo! - tempo. Dio tenero e fragile, desideroso di farci guardare con occhi nuovi la nostra stessa vita, accorgendoci che una grotta e una mangiatoia sono presenti in ogni cuore. E questo è ciò che a Lui serve per ri-nascere e per farci rinascere. Ogni storia umana custodisce in sé possibilità uniche e irripetibili di dare volto all'Amore, di assumere nella carne la Parola. Ogni carne umana è capace di carezze, abbracci, fremiti, lacrime, sospiri, sorrisi; sa regalare ascolto, condivisione, annunci buoni; siamo tutte e tutti abilitati a creare, liberare e umanizzare sempre più noi stessi e il mondo. Vivere la Natività è immergersi nel Dio del corpo. Il Dio che supera ogni tentativo - vecchio e nuovo - di porre una divisione tra carne e anima, tra materia e spirito, tra terra e cielo … Il DioCorpo è esaltazione piena, indiscussa, senza sconti né cen-

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sure della nostra dimensione carnale. Con il suo incarnarsi, Egli ci ricorda che noi non abbiamo un corpo: siamo corpo. La nostra verità passa nel corpo: nell'esserlo sempre più, avendolo e possedendolo sempre meno. Possiamo vivere solo grazie al nostro essere corpo; pensiamo, sogniamo e crediamo a partire dal corpo; ci è dato di conoscere, relazionarci, amare, soffrire, godere, gioire, perderci e salvarci proprio in virtù dell'essere corpo. E non solo noi! Lui stesso, Gesù di Nazareth è Dio corporeo: altro non farà per tutta la sua esistenza che dirsi nella forma del corpo e del sangue. C'è un insolubile legame, un connubio inscindibile tra nascita, vita e morte, tra la Sua Natività e la Sua Pasqua. È il suo stesso corpo, infatti, ciò che il Figlio dell'uomo lascerà ad amici e amiche come memoria vivente della fedeltà del Suo Amore per ogni esistenza umana. Quel corpo che, all'apice della sua epifania, verrà sospeso sulla croce - saldatura perfetta tra cielo e terra, punto di attrazione universale - ha avuto bisogno, non solo nei suoi passi iniziali, delle premure e delle tenerezze di una giovane donna. Non ha potuto, né voluto, farne a meno. Già! Un Dio così: bisognoso di noi, non può fare a meno della donna e dell'uomo, sollecita le nostre attenzioni, Lui stesso mendicante di cura e tenerezza. Se lo sapremo accogliere ci scopriremo ancora capaci di stupore, ci sentiremo eterni bambini… anzi, decideremo di diventarlo sempre più («Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli» ce lo ricordiamo, vero?!). Divenire sempre più piccoli, fragili, impotenti per recuperare il segreto della vita e la sua bellezza. Bellezza di cui la nostra quotidianità si ritrova spesso orfana, ci sia donato il miracolo di sentirne la nostalgia. Sia il richiamo più vero in questo giorno. Nostalgia di

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una vita più bella, più semplice e più umana proprio perché più fragile, più piccola, meno appariscente e spoglia di feticistici orpelli, affascinata esclusivamente dalla disarmante nudità del Vangelo!

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La nativitĂ

Emil Nolde 118


“Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta.Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito…” (Lc 2, 4-6) L'immagine di questa pagina è quanto di più lontano da quelle tradizionali natalizie cui siamo abituati. Ma è di una forza quasi brutale e di una bellezza davvero unica e inconsueta. L'autore, come tutti gli espressionisti, sentiva fortemente la sofferenza, la passione, la violenza, tanto da rifiutare l'idea stessa di armonia, creando opere davvero sconvolgenti. I colori sono forti e violenti, con accostamenti azzardati, stesi con pennellate decise e veloci. Il disegno appare a prima vista semplice, addirittura primitivo. Siamo in una capanna e non in una grotta, visto che l'apertura verso l'esterno ha uno stipite e non un'imboccatura. La giovane madre, seduta a terra, ha appena partorito. Il suo volto dai lineamenti marcati, tipicamente semiti, è incorniciato dai lunghi capelli neri, madidi di sudore. Il suo volto stanco si distende in un sorriso radioso e fiero, mentre guarda il suo bambino, tenendolo sollevato in alto, quasi a volerlo mostrare al mondo intero. Il bambino ha ancora la posizione raccolta che aveva poco fa, ancora nel ventre della sua mamma, sembra addirittura ancora avvolto dalla placenta e sporco di sangue, come le mani e le braccia che lo sorreggono, come la coperta a terra. È un bimbo fatto di carne e sangue, ma il colore con cui è dipinto è quello dell'argilla con cui il Creatore, all'inizio del tempo, formò una statuetta per poi soffiarvi l'alito della vita. La sua

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figura si staglia contro il cielo, nella notte che sta per lasciare il posto al giorno nuovo di una nuova era, che ha inizio proprio ora, proprio qui, dal gesto della fanciulla vergine e madre. A fianco di Maria, dal buio spicca come una maschera grottesca il volto di Giuseppe, che guarda intensamente il bambino che gli è stato affidato ma sta in disparte, per non disturbare il primo sguardo che madre e figlio si stanno scambiando. A prima vista il suo volto ci mette a disagio, ma più lo guardiamo e più ci trasmette serenità, emozione, grandezza. Quest'uomo si occuperà del bambino non suo, e lo farà con un amore e una dedizione immensi. Anche l'asino abbassa il muso verso la mangiatoia, quasi per non disturbare il momento magico che durerà poco. Perchè fuori, all'orizzonte, si intravedono già le figure dei pastori che seguendo l'invito dell'angelo sono scesi a cercare il bambino nato anche per loro.Fuori, cielo e terra si uniscono, alla luce della stella che da mesi guidava i magi, nell'adorazione di un bimbo fragile e indifeso: l'Onnipotente ha scelto per incarnarsi la creatura più fragile, un neonato che non potrebbe sopravvivere da solo, senza l'amore della sua mamma. Quel bambino, questo bambino, ancora oggi si fa piccolo e fragile, e ci chiede di donargli attenzione, amore, tenerezza. Ricordandoci, anche in questo Natale, che qualsiasi cosa facciamo a chi è nel bisogno, l'avremo fatta a lui. Emil Nolde (Nolde 1867 - Seebüll 1956), è un pittore espressionista che con uno stile dalla potenza dirompente tale da apparire a prima vista quasi sgradevole, riesce a trasmetterci emozioni e sensazioni forti. Ci ha lasciato una serie di opere a soggetto religioso di grande impatto emotivo, tra le quali ricordiamo il polittico “La vita di Cristo” di cui la Natività di questa pagina è parte. L'opera si trova nel Museo Nolde di Seebüll,in Germania. 120


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LAVORARE INSIEME COOPERATIVA SOCIALE

Le Origini della Lavorare Insieme Cooperativa Sociale sono da collocarsi a metà degli anni '80, un periodo contraddistinto da significativi cambiamenti nell'ambito delle politiche e dei servizi sociali. Su questa spinta generatrice nel 1985, su iniziativa delle ACLI, dall'ANFFAS, di un gruppo di genitori, supportati dalla Caritas, dall'Enaip, dall'ASL di Villa d'Almè e da un gruppo di volontari si è dato origine al primo servizio diurno per persone disabili a Villa d'Almè. Da allora è stata fatta molta strada, rimanendo fedeli alle nostre radici… Vision Vogliamo Lavorare Insieme, per costruire una comunità che consideri la disabilità e la fragilità non un mondo a parte, ma una parte del mondo.

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Passaggio della Costituzione, 1 24011, Almè (BG) 035.543626 Fax 035.544041 segreteria@cooplavorareinsieme.it www.cooplavorareinsieme.it

Mission La cooperativa Lavorare Insieme vuole essere una presenza viva e aperta all'interno delle Comunità locali nelle quali opera e abita, con l'intento di costruire legami sociali e relazionali grazie ai quali le persone disabili e le loro famiglie possano crescere, esprimersi e trovare la propria “Realizzazione”. Operiamo non solo per dare risposta a bisogni individualizzati delle persone, ma anche per diffondere un Modello Culturale e Sociale di Inclusione delle persone disabili nella società. Lavorare Insieme sempre attenta all'innovazione progetta, realizza e gestisce servizi socio sanitari, assistenziali ed educativi per persone disabili all'interno dei seguenti ambiti territoriali: Valle Imagna e Villa d'Almè, Bergamo, Dalmine, Isola Bergamasca Bassa Val San Martino.

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