Bene comune

Page 1

BERGAMO

FORMAZIONE 2008 - 2012

Bene Comune Percorsi di formazione delle ACLI di Bergamo 2008 - 2012



BERGAMO

FORMAZIONE 2008 - 2012

Bene Comune Percorsi di formazione delle ACLI di Bergamo 2008 - 2012



1. Introduzione Il nostro Movimento ha deciso di tenere come strada maestra del proprio cammino e del proprio impegno il tema e il valore del bene comune, considerato il cardine fondamentale su cui giocare la credibilità della politica, del lavoro e di molte altre questioni centrali nella nostra società. È sembrato alle ACLI, a partire dal livello nazionale, che lavorare in termini di riflessioni e progettualità sulle varie implicazioni cui il bene comune rimanda fosse il modo migliore per dare un contributo alla quarantaseiesima settimana sociale dei cattolici dal 14 ottobre al 17 ottobre 2010 che si è svolta a Reggio Calabria sul tema “Cattolici nell'Italia di oggi: un'agenda di speranza per il futuro del Paese”. Proprio nell'intento di rendere concretamente possibile un'agenda di speranza nell'Italia di oggi e di domani, le ACLI di Bergamo hanno ragionato sui significati, sugli stili, sulle risorse in cui si esprime il Bene Comune, si sono interrogate su come le tre fedeltà delle ACLI (al lavoro, alla democrazia, alla Chiesa) possano concorrere al maggior Bene Comune possibile nella società civile ed ecclesiale, si sono soffermate, infine, su due questioni cruciali in cui il valore del Bene Comune può diventare determinante per una convivenza sociale vissuta nel rispetto e nell'accoglienza delle differenze. Le ACLI di Bergamo hanno così toccato il grande tema della laicità, ricercando la possibilità di un'etica condivisa tra credenti, non credenti e diversamente credenti e il lungo cammino dell'integrazione europea, con una riflessione sui cambiamenti indotti dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. La Presidenza delle ACLI di Bergamo ha ritenuto opportuno continuare il lavoro intrapreso aprendo un cantiere di proposte nei Circoli, per dare modo ai territori di rendere ulteriormente fecondo quel messaggio che la ricerca del bene comune stimola, a cominciare dalla vita concreta che i nostri Circoli vivono ed incontrano. È stato predisposto un questionario che presentava alcune aree tematiche e proposte guida per stimolare i Presidenti di Circolo a suggerire alcuni progetti di intervento formativo e di azione che la Presidenza delle ACLI si è

3


dichiarata disposta ad accompagnare, per far sÏ che il bene comune diventi un valore e un criterio che contraddistingua in modo specifico la nostra presenza di Movimento educativo e sociale tra la gente dei paesi e delle città che abitiamo. Il questionario ha incontrato il favore di molti Circoli che hanno tradotto il valore del bene comune in alcune aree di interesse che, con il supporto della commissione formazione, hanno dato l'avvio a percorsi educativi in parte già conclusi, in parte programmati a breve o a medio termine. Vorremmo in questa pubblicazione dare conto all'intero Movimento dei lavori intrapresi nel cantiere aperto, nella consapevolezza che, com'è nello stile di lavoro aclista, nessun cantiere che si apra possa mai definitivamente chiudersi, ma dare vita a ulteriori iniziative che possano concorrere a rendere la cittadinanza attiva, consapevole, responsabile e solidale.

4


2. Bene Comune: le motivazioni di una scelta Siamo in una nuova fase di secolarizzazione, in cui si registra l'emergenza del soggetto, dell'individuo, che si percepisce come auto-referenziale, unicamente teso a realizzare il proprio desiderio e incentrato sul proprio interesse: i desideri di questo soggetto tendono ad essere sentiti come diritti dell'individuo. È una società senza un orizzonte comune, senza la preoccupazione della solidarietà e della percezione dell'altro in vista di un bene comune. E. Bianchi, Per un'etica condivisa

Gli Italiani sono famosi per la loro mancanza di senso dello Stato, per la loro incapacità di ricomprendersi in grandi dimensioni. Più vocazione per la famiglia, per il clan, per il piccolo gruppo; fuori da queste piccole dimensioni sono latitanti. E invece oggi la grande sfida è quella di pensare non solo in termini personali e familiari, ma soprattutto in termini comunitari. In un periodo come questo in cui si cercano risposte individuali ai bisogni, occorre incontrarsi su ciò che c'è di comune, un patrimonio di valori, ma prima di tutto di regole, che diventi uno scrigno cui attingere quando si voglia trovare risorse, appagamento e senso di comune appartenenza in ciò che insieme si è costruito. Diventa, allora, fondamentale rimettere le comunità al centro, perché solo in questo modo possono essere tutelati gli interessi dei singoli. La vera sicurezza sono i legami, le reti, i rapporti, che costituiscono il nostro vero capitale. Siamo consapevoli che non si tratti di una consapevolezza diffusa. Si sta facendo avanti sempre più una cultura convinta che la vita sia un'avventura solitaria e non un'avventura insieme agli altri. E, invece, oggi è tempo di scelte corali, non

5


di scelte piccole e individuali. È tempo di fare in modo di non essere solo delle solitudini con tanti progetti personali che non riescono a farsi comunità. Pierpaolo Pasolini affermava a ragione: «La verità non sta in un sogno, ma in tanti sogni». Non ripieghiamoci allora sulle riflessioni personali o di gruppo, ma uniamoci, facciamo sinergia. Ci aspetta la difficile arte di comporre le differenze superando la logica amico-nemico. Non disincantati, non rinunciatari, ma con il sano realismo di chi ritiene che sia ancora possibile costruire un sogno comune in nome dello spirito di fraternità. Come cristiani non possiamo affermare: «Faccio ciò che voglio, l'importante è non fare male agli altri». Così ci si distacca, si crea distanza dagli altri e si sfocia nell'indifferenza. La sfida è costruire fraternità, legami, solidarietà. Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, afferma che ogni comunità, a cominciare da quella più ristretta in cui c'è una condivisione totale di vita, fino a quella più grande che unisce l'intera umanità, è tenuta insieme non tanto da un possesso, da una proprietà, da un “di più”, ma da un “di meno”, da un debito che ciascuno vive verso l'altro. Questo debito, che è anche un dono, non è un debito di qualcosa, bensì un debito che comporta dare se stessi: è un dare la propria presenza fino a dare la propria vita. Per entrare nella comunità occorre quindi innanzitutto sentire la propria vita, la propria presenza tra gli altri come un debito e un dono allo stesso tempo. La domanda da porre sull'architrave della porta di ogni comunità dovrebbe essere: «Dov'è tuo fratello?» (Gen. 4,9), il che significa che sei custode dell'altro, ne sei responsabile e, dovendo sapere dov'è l'altro, devi dare all'altro il tuo volto, la tua presenza. È così che inizia il riconoscimento della fraternità, nella consapevolezza che il prossimo è colui che decido di incontrare, e più lo avvicino più lo rendo fratello.

6


3. Snodi essenziali per il ragionamento attorno al bene comune. All'inizio del nostro percorso di formazione, ognuna delle cinque commissioni (formazione, lavoro, politica, welfare e famiglia, coordinamento donne) ha redatto un elenco di punti sotto forma di impegni, riflessioni e domande da utilizzare come punto di partenza per i successivi approfondimenti in materia di bene comune. Presentiamo qui di seguito tutte le riflessioni che sono emerse grazie a questo lavoro, suddivise per commissioni. 3.1 Commissione formazione 1. Promuovere un'azione formativa per educare i cittadini di oggi a leggere i fatti contemporanei, affinché diventino pienamente attori sociali, parti di una comunità, anche attraverso un'educazione alle relazioni sociali e al lavoro, inteso come modalità attraverso la quale ciascuno si possa sentire componente della collettività a pieno titolo e con pari opportunità. 2. Analizzare i fenomeni sociali, politici, ecclesiali e riflettere sulle dinamiche contingenti, anche elaborando proposte culturali che orientino e guidino lo sviluppo integrale delle persone, perché nessuna generazione sia data per scontata, bensì coltivata e indagata costantemente al fine di essere pienamente consapevoli del tempo che viviamo. 3. Proporre itinerari formativi che consentano di provare e di esercitarsi. Riservare tempo al capire, al pensare, al ripensare e al rivedersi, per “uscire da sé” e costruire relazioni produttive con gli altri attori della comunità. Porre, così, le basi per creare la classe dirigente di domani e definire un contesto etico-normativo mutuamente accettato, dove ogni persona possa vivere la propria parte e viversi come parte. 4. Trasmettere l'importanza di un'ottica trasversale come modalità e stile importante nella formazione e in tutte le azioni umane, perché solo attraverso uno sguardo inclusivo è possibile raggiungere il Bene Comune in ogni

7


5.

6.

7.

8.

9.

azione umana (nella formazione, nel vivere insieme agli altri, nel lavoro, nella preghiera…). Crediamo sia importante mantenere la stessa ottica anche per sviluppare un'esperienza tesa a comprendere ed esser propositiva dentro i mutamenti che coinvolgono le prospettive e i destini delle persone, e, quindi, realizzare un lavoro trasversale e condiviso di formazione per attrezzare e attrezzarci a lavorare per progetti complessi e integrati, in cui imparare a pensare e decidere per il Bene Comune. Investire su un'operosità attraversata dall'etica, un fare che si preoccupi del senso, del fine e dei mezzi per raggiungerlo. Perché non tutti i mezzi vanno bene. Tentare, attraverso la formazione, di fornire occasioni di (ri)motivazione e riferimenti di identità in adulti maturi, affinché ciascuno possa essere e costruire luoghi di speranza. Attraverso la formazione divenire compagni di viaggio unici, catalizzatori di stupore, riconoscimento e riconoscenza, ma anche attrezzati a divenire competenti delle solitudini, delle sofferenze, degli smarrimenti delle persone, facendosi luoghi di ospitalità in formazione. Esser profondamente convinti che nell'atto formativo si dà forma all'azione, cioè riconoscere come radice del formare la possibilità di trasformare il mondo attraverso l'educazione e, in quanto orientata al Bene Comune, l'azione formativa sia già di per sé foriera di speranza. Alimentare educativamente riconoscenza nei confronti di ciò che abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduto ma anche da chi vive il nostro tempo. Ne deriva un saper essere ospitali nei confronti delle differenze e delle diverse generazioni. Aprire spazi di opportunità, di confronto e di dialogo tra soggetti diversi, per imparare a condividere in vera reciprocità parti di cammino con le persone che si incontrano, valorizzate come risorse prima ancora di essere vissute come vincoli. Fare in modo che le iniziative messe in atto possano veicolare partecipazione, dibattito, sperimentazione, affinché non rimangano eventi isolati, ma premesse di ulteriore arricchimento del capitale

8


sociale delle comunità. 10. Educare alla cultura delle regole, riconosciuta fondamento del bene comune. Il rispetto delle regole è responsabilità di ognuno, in quanto membro di una comunità, per assicurare una corretta e serena convivenza civile. Laddove i cambiamenti lo richiedano, avere il coraggio di esigere regole nuove perché i cambiamenti significativi implicano la formulazione di nuovi diritti e di nuovi doveri. 3.2 Commissione lavoro 1. Per parlare di Bene Comune ci pare prima di tutto necessario partire dall'idea della necessità di diffondere una Cultura dell'essere uomo nuovo, di un cambiamento culturale e di consapevolezza, che ci permetta di ripartire dalla crisi attuale per uscire più forti, e soprattutto indirizzati verso un futuro diverso. La crisi attuale ha infatti dimostrato - ammesso che ce ne fosse bisogno - che un modello economico e sociale, produttivo e alla fine anche politico, basato esclusivamente sulla crescita economica fine a se stessa, esclusivamente legata al profitto, non può reggere. Una società soprattutto quelle moderne - è più complessa della mera dimensione economica, soprattutto quando essa è vissuta come ottenimento del massimo profitto nel breve termine. Ci pare che solamente una cultura realmente aperta, sociale, capace di cogliere le continue connessioni tra economico, sociale, politico e le fondamentali categorie dell'uomo (la solidarietà, la giustizia, la reciprocità) potrà garantirci un futuro migliore. Questo ci pare l'insegnamento della crisi che stiamo attraversando, e ci chiediamo se la lezione sia servita, se sapremo ripartire in modo diverso, oppure se - superate le fatiche, speriamo presto - si ricomincerà mettendo il profitto al centro, lasciando da parte relazioni, condivisioni, dialogo e capacità di ragionare nell'interesse di tutti, non di pochi privilegiati. La crisi attuale rischia di indebolirci ulteriormente perché nelle nostre categorie di riflessione - a livello politico, personale, di mass media e di comunicazione - non sono entrati parametri quali la sostenibilità dello sviluppo, l'iniquità di un siste-

9


ma economico che è globale solo quando favorisce i ricchi e vergognosamente lascia ai margini miliardi di poveri, salvo poi rimandarli a casa loro se non hanno lavoro qui da noi, l'idea di un uomo realmente planetario nella consapevolezza, nella totalità del suo essere - dunque anche nella spiritualità, nelle relazioni, nei rapporti con gli altri - nella capacità di sviluppare una dimensione complessiva di essere persona, cittadino, lavoratore. Il Bene Comune passa attraverso questa consapevolezza, il resto pur importante - è strumento: uno strumento che possiamo utilizzare a favore di una reale crescita della società se condividiamo la necessità di partire da qui. 2. Andando su livelli più pratici e operativi, il Bene Comune passa dal tema della fiscalità. Ci pare che, soprattutto a livello di dibattito culturale e di reale interesse per il bene del paese, non ci si soffermi abbastanza sulle implicazioni legate alle scelte di un Governo che propone il taglio delle tasse. Come cambia la vita delle persone, al di là dell'averle sollecitate a reazioni emotive e “di pancia”, di fronte alle grandi questioni del vivere insieme? Più in generale, non serve un approccio più pragmatico, realistico, culturalmente capace di cogliere le forti interdipendenze e la complessità del sistema socio-economico, prima di assumere decisioni che modificano fortemente il sostegno alle persone e alle famiglie? Ragionare sul bene comune vuol dire sviscerare le motivazioni che stanno dietro alle dichiarazioni di un governo che non vuole utilizzare il fisco per ridistribuire le risorse, limitandosi a salvaguardare le marginalità, ma non a sostenere e far crescere le fasce più basse della popolazione. Vuole dire soprattutto porre la questione della comunità al centro del dibattito - oltre l'individualismo imperante che in realtà ci rende tutti meno sicuri e liberi - per trovare nella solidarietà tra le persone lo strumento e la via di uscita. Tutti condividono il bisogno di pagare le tasse, è doveroso in linea generale, anche se tutti rilevano la necessità di “pagare quelle giuste”. Dovremmo dunque fare proposte su quale politica fiscale adottare per una maggior giustizia.

10


Ad esempio, spostando la visione sulla famiglia e non sul singolo, curando la progressività dell'imposizione delle tasse - come sostiene la Costituzione - prestando maggior attenzione alla famiglia ed alla salvaguardia dei minori soli, dei disabili e delle famiglie monoparentali. Un governo liberista non vuole utilizzare il fisco per ridistribuire la qualità del fisco, ma non è qui importante fare un discorso di mero schieramento politico: anche amministrazioni di sinistra, nel recente passato, non hanno dato l'idea di saper cogliere la chiave come una leva di giustizia e di reale condivisione tra persone. Una visione a 360 gradi della questione fiscale è complessa. La commissione lavoro ritiene di potere e di dovere progettare momenti di formazione sulla questione fiscale affinché a tutti sia chiaro il meccanismo di equità che deve accompagnare un progetto fiscale coerente. Da quanto detto sopra, ci pare inevitabile il richiamo alla questione della lotta all'evasione fiscale. Ci pare necessario tornare ad educare le persone alla responsabilità etica della corretta dichiarazione delle tasse, anche se può apparire sconveniente e poco furbo, almeno nel breve termine. Ritrovare l'etica ed il coraggio di affermare che pagare le tasse è corretto, se non proprio “bello”: è un modo per costruire e rafforzare una comunità, e i cristiani dovrebbero avere a cuore tutto ciò che aiuta ad andare in questa direzione. 3. Il lavoro nero è la vera piaga e causa della mancata crescita economica. Se è vero che combattere l'evasione fiscale fa rotolare l'economia italiana, è altresì vero che il lavoro nero appare a volte necessario e indispensabile. Si impone, dunque, un ragionamento sulla possibilità di rendere il lavoro flessibile - in modo comunque sicuro e tutelato per tutti - e visibile, correttamente esercitato e remunerato. 4. Il miglioramento della burocrazia è parte fondamentale della costruzione del bene comune. Ci pare necessario operare per dare al cittadino - lavoratore, imprenditore, pensionato, bimbo, diversamente abile - la possibilità di non sprecare tempo ed energie in un sistema costoso e complicato come è da sempre la burocrazia italiana. Da qui, dunque, la necessità di

11


5.

6.

7.

8.

modernizzare, per risparmiare e rendere flessibile e trasparente la Pubblica Amministrazione. Il Bene Comune che chiediamo è un welfare di giustizia e non di elemosina, fatto di azioni sistematiche di lotta ai bisogni, non di bonus caritativi che spariscono quando le casse sono vuote: non vogliamo bonus bebè che si ricordano dei bebè per un solo compleanno! Il Bene Comune è la maggiore attenzione ai bisogni delle fasce di età deboli: infanzia, vecchiaia, reale integrazione dei cittadini stranieri con servizi facilmente fruibili, sostegno alla disabilità e alle famiglie in difficoltà. Coinvolgendole, ingaggiandole in impegni di restituzione - economica e sociale - per farli sentire parte centrale e realmente riconosciuta dalla società. La riforma degli ammortizzatori sociali, oggi, con la crisi economica che ha messo in ginocchio il nostro sistema produttivo-manifatturiero, diventa un must non più rimandabile. Si devono estendere gli ammortizzatori a tutti i lavoratori. Ammortizzatori sociali ordinari e ammortizzatori in deroga, nonostante la buona volontà, non coprono ancora i bisogni di tutti i lavoratori in difficoltà. Maggiore protezione per il lavoro precario e giovanile, maggiori incentivi al lavoro dei giovani e maggiori tutele (paracaduti) per permettere ai giovani di progettare il futuro con maggiore ottimismo. Maggiore equità nel sostegno del lavoro per i giovani. Negli ultimi dieci anni il reddito si è spostato dal lavoro al capitale. È una conferma della volontà di non redistribuzione del reddito, pagare meno il lavoro e dare maggiorare riconoscimento alle rendite. Le rendite economiche sono, infatti, più alte e meno tassate delle rendite economiche prodotte dal lavoro. L'imprenditore spregiudicato non investe in azienda ma sposta i capitali (soprattutto in periodi di crisi) investendoli in rendite da capitale. Assistiamo alla trasformazione delle attività in speculazioni. Oggi, con la scusa della crisi, c'è il concreto pericolo che si faccia un uso speculativo delle CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) per ristruttu-

12


rare l'azienda, anche se non ce n'è bisogno. 9. Cooperazione sociale: l'attenzione alle persone fragili. Obiettivo per il Bene Comune è trasformare un disabile in un lavoratore che genera ricchezza, un lavoratore attivo che acquisisce un posto dignitoso nella società. Il Bene Comune dovrebbe avere grande attenzione alla cooperazione sociale. Grande attenzione dovrebbero avere l'imprenditore sociale ed il lavoratore sociale per poter far crescere tale imprenditoria nel nostro territorio. Maturazione dell'imprenditore sociale e del lavoratore sociale anche attraverso la formazione ed il finanziamento della scuola per imprenditori sociali. Smascherare il lavoro delle cooperative che sfruttano i lavoratori e che non danno dignità al lavoratore della cooperazione. Sviluppare pertanto il concetto di partecipazione come concetto positivo, che raggruppa positivamente il lavoratore ed il datore di lavoro. 10. I migranti devono essere letti da noi come persone con pieni diritti, e grande opportunità per il Bene Comune, integrazione di culture diverse, manodopera anche qualificata a disposizione dei nostro sistema paese. Dobbiamo diffondere un clima di inclusione e coesione sociale, con particolare attenzione a questi lavoratori che sono più fragili e in situazioni di difficoltà, che per primi hanno sofferto la crisi economica. 3.3 Commissione welfare e famiglia 1. Politiche di welfare ripensate a favore della famiglia, non dell'individuo. Centrale è la questione educativa. La famiglia è il soggetto primario della società. Le politiche devono dare sostegno ai figli, la vera ricchezza del Paese e del futuro, e conciliare i tempi di vita della famiglia con quelli del lavoro, per permettere alle famiglia di svolgere il proprio ruolo educativo, che non può essere delegato in toto alla società. Va promosso il protagonismo sociale della famiglia. Famiglia che deve però essere considerata e tutelata in maniera globale, ossia in tutte le diverse condizioni e possibilità di essere famiglia (es: conviventi, separati, persone single con figli a

13


carico…), sempre nel rispetto della persona. 2. Perseguire politiche di coesione sociale e di integrazione. Non ci può essere coesione sociale senza integrazione, da intendersi in senso lato e non meramente legata solo all'inclusione delle fasce di immigrazione (con particolare attenzione alle seconde generazioni), ma come integrazione tra: fasce sociali, generazioni, categorie di lavoratori, centro e periferia, pubblico e privato, laico e credente, etc. 3. La sussidiarietà non può significare solo essere il “tappabuchi” che continua a rispondere in una logica di emergenza. Si avverte la necessità di ripensare la creazione della comunità sociale in cui promuovere il protagonismo sociale dei corpi intermedi (privato sociale, associazionismo e imprese del terzo settore), che vanno riconosciuti. Devono poter entrare nella società come protagonisti ed essere soggetti attivi delle politiche sociali e non solo utilizzatori/fruitori degli spazi di azione offerti dalle politiche sociali. 4. L'individualismo porta spesso alla solitudine. Pensiamo alle numerose storie di sofferenza (vedi la crisi economica e la perdita del lavoro) che ci mostrano persone sole di fronte alle fatiche di ogni giorno, che rimangono addirittura invisibili nella società (non fanno notizia, e per attirare l'attenzione spesso devono ricorrere a gesti estremi). Si avverte il bisogno di costruire socialità, di scoprire questi volti, di dare loro voce, per prevenire queste forme di tragica solitudine. L'indifferenza è il male di oggi: non c'è rete, non c'è comunità. 5. Passare dai diritti individuali ai diritti collettivi. 6. L'urgenza della laicità. Ciò significa essere capaci di dialogo e di confronto, trovare mediazioni, possedere pensiero della diversità. Significa superare il dogmatismo, per aprirci appunto al dialogo e al confronto, con l'obiettivo di promuovere l'uomo. Il punto in comune che nessuno può mettere in discussione è l'idea di uomo nella sua relazione con gli altri (per vivere bene ciascuno di noi ha bisogno degli altri). In questo momento storico il

14


bene della comunità viene sottomesso al bene individuale. È necessario quindi lavorare alla costruzione di legami sociali, di solidarietà, di cura, di presa in carico dell'altro… che sono tutte le categorie della politica, intesa come “la forma più alta della carità”. 7. C'è bisogno di cultura, di pensiero. Di formazione come presa di coscienza della realtà. Di un pensiero laico socialmente connotato. 8. Fare associazione sia una “palestra” per poi relazionarsi nella vita di tutti i giorni. Perché ciascuno impari a “fare un passo indietro per fare tutti un passo avanti”, per dare spazio alle posizioni altrui. La sfida di ogni relazione umana sta proprio nel superare la ricerca dell'uniformità e del personalismo, che portano all'individualismo e al fondamentalismo delle proprie posizioni, per arrivare invece ad una sintesi delle posizioni, nella complessità. 9. Responsabilità delle scelte che presuppone, innanzitutto, la coscienza del dovere della scelta: si deve scegliere, si deve assumere una decisione, non si può sempre rimandare o delegare responsabilità. 10. Le scelte devono poi avere come orizzonte il futuro: devono lasciare spazio al futuro. Devono quindi essere sostenibili. Avere a cuore il bene comune significa, quindi, pensare a delle proposte di sviluppo, pensare al domani, a chi verrà dopo di noi, salvaguardando il creato che qualcuno a sua volta ci ha consegnato. Etica di società del futuro. 3.4 Commissione coordinamento donne 1. Continuare a far crescere nelle donne la consapevolezza che possono e devono essere protagoniste e assumere responsabilità. 2. Cogliere le differenze di genere con una tensione alla sintesi e alla crescita nella reciprocità, anziché come limite oppositivo. 3. Di conseguenza, fare del valore della reciprocità il paradigma costante dei nostri programmi e delle nostre scelte, non solo nei rapporti tra i generi, ma anche nei rapporti con ogni altra identità e differenza.

15


4. Ricercare e progettare un'alleanza con le associazioni di donne e non solo, soprattutto con le nuove generazioni, in termini culturali e progettuali, sui temi della condizione femminile, in particolare sullo sfruttamento del corpo delle donne. 5. Vivere il corpo come possibilità di relazione arricchente, riscattandolo da tutte quelle insidie che ne fanno di volta in volta uno strumento di dominio e di asservimento, ma anche da quell'idolatria narcisistica della corporeità e della fisicità che esaspera il proprio ego a danno di un'autentica comunicazione. 6. Investire nella continuità generazionale per permettere la trasmissione di vite e la comunicazione di storie, e spezzare la spirale di individualismo e di autoreferenzialità che ci ingessa nel presente. 7. Vivere la questione dell'insufficiente rappresentanza femminile e delle pari opportunità - in parte disattese - più come un deficit di democrazia (che evoca il significato di un Bene Comune inattuato), piuttosto che come una rivendicazione da lobby, pur se legittima (che evoca soprattutto l'immagine di una contesa di spazi e di visibilità). 8. Far emergere e valorizzare le dimensioni educative dell'impegno familiare, lavorativo, sociale, e del lavoro di cura. 9. Sperimentare modalità di lavoro e di confronto con altri, per promuovere la capacità di fare rete. 10. Promuovere dialogo tra le differenze, siano quelle tra donne, o tra culture e provenienze diverse. Farsi promotrici di incontri tra donne native ed immigrate. 3.5 Commissione politica 1. È appena stata inaugurata la nuova “Casa dello studente” che ospiterà duecento studenti fuori sede. Il complesso, di proprietà comunale, senza barriere architettoniche, comprende anche una sala per gli incontri spirituali, una palestra, una biblioteca e accesso ad internet gratuito. Il Comune

16


ha fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 2. La Giunta Comunale ha respinto il registro delle unioni civili affermando che con questa scelta si tutela la famiglia vera. Gli amministratori comunali hanno fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 3. Nel quartiere periferico che costituisce il confine ovest della nostra città c'era un campetto d'erba dove gli immigrati si ritrovavano a tirare due calci al pallone nel tempo libero. Il Comune ha deciso di ricoprire d'asfalto l'area verde per tutelare la quiete pubblica. Il Comune ha fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 4. Il Comune di Villa d'Almè (giunta di centrosinistra) ha recentemente posto alcuni vincoli ad un bar affidato e gestito da una cooperativa di giovani (che, alla fine, ha rinunciato alla gestione). Motivo: gli orari di apertura fino a tarda notte e le continue lamentele di chi abita nelle case vicine. Gli amministratori comunali hanno fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 5. Il Comune di Bergamo ha recentemente negato il terreno per la costruzione di una nuova moschea. Qualcuno ha esultato in nome della necessaria difesa dell'identità cristiana. La maggioranza dei bergamaschi sono cristiani. I mussulmani sono una minoranza anche all'interno del variegato mondo dell'immigrazione. Il Comune ha fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 6. Recentemente molti Consigli Comunali, per la valorizzazione della nostra identità culturale, hanno approvato mozioni in cui si invitano gli uffici pubblici ad esibire il crocifisso, simbolo per i cristiani, segno importante per tutti coloro che vivono nell'Occidente. Gli amministratori comunali hanno fatto una scelta per il Bene Comune? Perché? 7. Moltissime Amministrazioni Comunali della nostra provincia hanno deciso di potenziare la sicurezza dei loro territori installando telecamere. A loro dire, questo è ciò che viene chiesto dai cittadini e quindi con tale scelta assecondano l'idea di Bene Comune della stragrande maggioranza della popolazione.

17


4. Approfondimenti Relazione degli incontri con Emanuela Plebani. Dopo che le singole commissioni delle ACLI di Bergamo hanno stilato i dieci punti ritenuti da ciascuna commissione prioritari in ordine al bene comune e da perseguire nel presente e nel futuro immediato, queste riflessioni sono state inviate a Emanuela Plebani, formatrice di professione, ma anche amica e compagna di viaggio delle ACLI, alle quali ha dato un contributo prezioso e convincente in buona parte della sua vita. Emanuela ha utilizzato questi punti per costruire delle provocazioni e per aprire varchi di ulteriore approfondimento e impegno, suddividendo il lavoro futuro in tre gruppi, che hanno ragionato separatamente su tre punti: a) la definizione di Bene Comune; b) le risorse di cui si dispone per realizzare il maggior Bene Comune possibile; c) gli stili attraverso cui possono inverarsi il concetto e il valore del Bene Comune. Questo lavoro ha richiesto un notevole impegno riflessivo all'interno del Movimento, che ha dato modo di riflettere e interrogarsi in merito a come le definizioni, gli stili, le risorse in termini di bene comune, interpellino in modo esigente ed attuale le tre fedeltà delle ACLI. La volontà è stata quella di dare una traccia articolata del concetto di Bene Comune, perché in mezzo a tanta semplificazione è la complessità che occorre indagare per giungere a delle definizioni che tengano conto delle varie facce del reale. Stanno anche qui la fatica e la bellezza del pensiero aclista. È stato, però, poi necessario chiedersi come le tre fedeltà acliste vengano costantemente interrogate dalla stella polare del Bene Comune? Occorre una riflessione più mirata, più puntuale, più aggiornata, perché nulla è dato per scontato, e anche le nostre tradizioni, pur se portanti e importanti, rischiano di cristallizzarsi e quindi di morire se non vengono continuamente vivificate. Fedeltà quindi in movimento, a metà tra

18


passato, presente e futuro, con l'obiettivo di riflettere sull'idea di Bene Comune che ogni fedeltà persegue: è un modo impegnativo e coraggioso di renderle vitali ed esigenti nell'oggi della storia. È importante, nel leggere la complessità, avere sguardi divergenti, creativi, così come avviene nelle espressioni artistiche, anziché fermarsi solo a sguardi ordinati, razionali, che non sempre rendono in modo fedele tutta l'articolazione della complessità. In questa direzione Emanuela Plebani ha consigliato un testo ricco di spunti di riflessione, di cui si potrebbe far tesoro: Organizzare l'altruismo, scritto a quattro mani da Mauro Ceruti e Tiziano Treu. Le individualità non devono mai essere ignorate se desideriamo comunità animate e vitali, ed è fondamentale tenere aperto un dialogo con le individualità presenti nelle comunità se crediamo che la questione della complessità non vada elusa, bensì districata con pazienza e coraggio. Ci può, ci deve essere quindi sempre un di più di apertura, sforzi, stimoli, stratagemmi, per valorizzare le individualità che esprimono bisogni e valenze, che vanno in parte accolti se vogliamo procedere in avanti attraverso sempre nuove sintesi. Diversamente, sacrificando, coartando, semplificando troppo le diversità, si rischierebbe di aprire il varco a soluzioni regressive, che rappresentano sempre uno scacco e un impoverimento nella vita delle comunità. Ricordiamo, inoltre, che un patto è qualcosa di più di una mediazione; in un patto vi è maggiore attenzione alla qualità e all'impegno a coltivare terre di mezzo, che vengono ritenute patrimonio di tutte le parti che stringono il patto. Il rispetto e l'accoglienza devono diventare le parole d'ordine per chi si accinge ad accompagnare e gestire le diversità e la complessità, ma il vigilare e il saper attendere dovrebbero comunque precedere la nostra volontà di rispetto e accoglienza. Quali problemi, oggi, le tre fedeltà alle ACLI comportano in ordine al valore e all'obiettivo del Bene Comune che intendiamo perseguire? Quali strategie, quali risorse e quali stili attivare perché il Bene Comune si espliciti in ogni campo affidato all'impegno delle tre fedeltà storiche delle ACLI?

19


4.1 Appunti dai lavori sugli spunti di Emanuela Plebani Seriate 10 Marzo 2010 Il Bene Comune deve contemplare sia l'esigenza del singolo individuo di veder soddisfatti i propri i bisogni materiali e riconosciuta la propria dignità personale, sia l'esigenza più generale di vivere in una comunità in cui le persone stiano bene insieme. Termini quali relazione, condivisione, servizio, cittadinanza, responsabilità, consapevolezza sono sembrati i più adatti a definire il suo significato. Rispetto agli stili, in tutti i gruppi si è convenuto che per costruire Bene Comune, e quindi comunità, sia fondamentale da un lato valorizzare ciò che unisce, ma dall'altro occorre evitare il pericolo di appiattire le diversità. Ne discende allora la necessità di imparare l'arte dell'ascolto, che apre lo spazio all'altro e rende significativo l'incontro. Mettere in comune se stessi è il primo passo per andare in libera uscita dalle proprie nicchie culturali, rompendo quelle identità cristallizzate che diventano vere e proprie prigioni. Infine, le risorse da attivare per agire il Bene Comune sono state individuate nella cultura, nelle grandi fonti della spiritualità - il Vangelo innanzitutto - e nella valorizzazione della memoria storica. Bergamo 14 Maggio 2010 L'obiettivo di questo secondo incontro è stato quello di approfondire il rapporto tra le tre Fedeltà storiche delle ACLI (Fedeltà alla chiesa, alla democrazia e al lavoro) e il Bene Comune. Si sono formati tre gruppi ed ognuno ha approfondito una delle tre Fedeltà. Fedeltà alla Chiesa I pastori faticano a leggere i segni dei tempi e ricorrono a prescrizioni desunte dai principi piuttosto che offrire strumenti di discernimento. Hanno difficoltà a riconoscere e valorizzare le competenze e il vissuto dei laici che, a loro volta,

20


mostrano di essere troppo sottomessi nel rapporto con la gerarchia. Per fare fronte a questa deriva, si deve investire in modo prioritario sull'educazione delle coscienze, offrendo strumenti di discernimento e dando vita a percorsi di valorizzazione delle competenze laicali. La Chiesa deve collaborare con le istituzioni, le associazioni e la comunità civile nel suo insieme. Rispetto agli ardui problemi che l'epoca moderna presenta, le soluzioni pratiche non possono esser desunte immediatamente dal Vangelo, ma occorre un cammino il più possibile partecipato con altri soggetti, per trovare risposte adeguate alla complessità dell'umanità e delle questioni. Alla Chiesa, ma in generale a tutti i credenti si chiede una maggiore capacità di ascolto, di misericordia e di silenzio di fronte alla fragilità umana e una maggiore umiltà nell'offrire risposte. Fedeltà alla democrazia Assenza di partecipazione, individualismo esasperato, fuga dalla responsabilità e mancanza di progetti di ampio respiro sono individuati come i mali che affliggono la vita politica delle nostre comunità. I partiti devono recuperare il ruolo di collante tra cittadini e istituzioni tornando ad essere luoghi di elaborazione delle idee. Per questa ragione va recuperato il legame tra i candidati e il territorio, condizione essenziale per un reale atteggiamento di ascolto dei bisogni delle persone e di condivisione delle scelte politiche. Fedeltà al lavoro La riforma Biagi sulla flessibilità nel lavoro, introducendo anche altre modalità di rapporto lavorativo (contratti a progetto, a tempo determinato, assunzione tramite cooperative, figure atipiche di lavoratori) oltre alla delocalizzazione delle aziende e quindi del personale, ha frantumato la comunità di fabbrica e diversificato obiettivi, aspettative ed esigenze dei differenti gruppi di lavoratori, ed ha prodotto di fatto un approccio più individualista alla contratta-

21


zione e ai problemi del lavoro dipendente in genere. Il contesto di crisi attuale non ha fatto altro che accentuare questo difetto di fondo ed ha paradossalmente accentuato la chiusura egoistica in un momento in cui la solidarietĂ avrebbe potuto dare sostegno e tutela.

22


5. Per un'etica condivisa in nome del bene comune Dopo aver posto lo sguardo sul Movimento, si è deciso di estendere lo sguardo al Paese nel suo complesso, prendendo spunto dal libro di Enzo Bianchi Per un'etica condivisa, che tanto dice e suggerisce a questo nostro tempo, attraversato da animi, spiriti, intelligenze, cuori armati anche su quei temi, definiti eticamente sensibili, che forse esigerebbero un supplemento d'anima, di volontà, di comprensione e anche di compassione, nel senso di “patire con”, piuttosto che di quel vociare schierato e scontato che tanto ci assorda. L'esito inevitabile è la crescente insofferenza e il crescente distacco, anziché quel tramestio di coscienze che si vorrebbe provocare. Abbiamo affrontato questi temi mettendo in dialogo Monsignor Lino Casati, nostro maestro e compagno di viaggio da tanti anni, e la professoressa Barbara Pezzini, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Bergamo. Di seguito la relazione dell'incontro. I cristiani devono riconoscere e valorizzare l'appartenenza ad un'unica umanità piuttosto che ricercare maggioranze e visibilità, altrimenti rischiano di arrivare tardi ai vari appuntamenti della storia e rischiano, inoltre, di perdere la compagnia degli uomini e delle donne del loro tempo, vero obiettivo e sostanza del loro impegno. Obiettivo e sostanza del loro impegno infatti è l'essere vicinanza significativa e propositiva di percorsi, con umiltà e speranza, nell'accoglienza dell'esperienza e dell'umanità che i compagni di viaggio propongono ai cristiani con altrettanta ricchezza, aggiungendo ulteriori elementi alle loro direzioni di marcia. Diventa allora centrale il peso delle parole e dello stile, tenendo presenti alcune puntualizzazioni, ovvero che l'arte del dialogo non coincide con la retorica raffinata, anzi, potremmo definire il dialogo quasi un cammino sacro, e che lo stile importa quanto il messaggio. Al cristianesimo servono testimoni, non testimonial. Non bisogna confondere la Buona Novella con lo scoop. Fatte queste doverose premesse, iniziamo il nostro dialogo con la

23


seguente domanda: È ancora possibile un confronto nella mitezza? Pezzini: Ci vuole l'ottimismo della volontà per credere possibile un confronto nella mitezza nel presente o nell'immediato futuro. Accettando il vostro invito (e mi è piaciuta molto l'espressione usata nella lettera di invito, rivolto a “soggetti pensanti che hanno percorsi culturali differenti”) ho implicitamente accettato di entrare in questo dialogo con l'identità di “non credente”, anche se, da questo punto di vista, non avendo mai fatto pubbliche professioni di ateismo, mi sento definita “per sottrazione”, vale a dire per il fatto che non agisco (da credente) nella sfera pubblica. Mi riconosco, comunque, in questa definizione, sia pure, per così dire “provvisoriamente”, per quanto è necessario ad accettare il dialogo oggi proposto. Vorrei aggiungere, tuttavia, che più che di precisare “identità”, avverto il bisogno di intraprendere percorsi di “identificazione”, che presuppongono identità non statiche, ma in movimento, continuamente ridefinite in un processo dinamico. In questo contesto, il peso delle parole e dello stile diventa fondamentale. Casati: È vero, occorre avere coscienza che ogni identità è sempre in divenire, prima di intraprendere percorsi di questo tipo. E il criterio dell'etica condivisa non trova oggi sicuramente immediato pubblico e plauso. Il fatto che ci si interroghi su una questione, tuttavia, sta a significare che in qualche forma tale questione è già presente nella sensibilità e negli interessi di alcune persone. Certamente in molte parti del mondo gli uomini non si rispettano, non si parlano, non si incontrano, addirittura si uccidono, ma ancora in altre parti del mondo continuano a parlarsi, ad ascoltarsi, a operare confronti e comunicazione di idee, cose, esperienze. “Beati i miti perché erediteranno la terra”, leggiamo nel Vangelo. Sta a significare che i miti non si procurano la terra solo con i loro meriti e con il loro sforzo. I miti hanno la pazienza e la sapienza di saper aspettare e rispettare, e vivono questa attesa nell'operosità. Il dialogo è la ricerca della verità attraverso la relazione, nella convinzione e nella tensione

24


che quello che si dice tocchi l'altro, anche la verità dell'altro. Pertanto il dialogo è anche ricerca di ciò che è comune a due o più interlocutori. Il cristianesimo propone uno stile, un particolare modo di essere in relazione, anzi, potremmo dire che il Vangelo sia la storia di una relazione. L'attenzione all'umano è costitutiva del Vangelo. Pertanto l'uomo che abbraccia il Vangelo non può che intendere il dialogo come cammino e confronto mite, un essere “con” per essere “per”. Infine c'è da porre attenzione all'importanza delle regole, fondamentali nella convivenza umana, e avere consapevolezza che nessun tema forte ci tocca solo singolarmente, ma investe nel contempo i rapporti tra le persone. Nella stagione del disincanto della politica, analogo al disincanto della religione, la religione risorge soprattutto come forza identitaria ed etica, che la rende più facile preda di forze politiche che vogliono sfruttarla a proprio vantaggio. Due allora le grandi tentazioni: una l'apoditticità della fede, cioè il desumere direttamente dal Vangelo le traduzioni pratiche sia nella vita personale che comunitaria, con l'esito inevitabile dell'integralismo e del clericalismo (a tale proposito va con forza sottolineato che l'altra faccia della religione dialogante è l'integralismo e il clericalismo, entrambi da combattere in quanto virus della religione), l'altra la fede declinata come religione civile, cioè come un tutt'uno con la cultura e con le leggi di un Paese, con l'esito inevitabile dello scambio e del compenso politico. A tale proposito, ci viene in soccorso un ammonimento del Vangelo: ”Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo agivano i loro padri con i falsi profeti”. Ma per un'etica condivisa, non è allora auspicabile il ritorno ad un ruolo profetico della Chiesa, quindi prepolitico, pre-giuridico, pre-economico, lasciando al confronto democratico tra credenti e non credenti le soluzioni tecniche ai vari problemi che si esprimono nelle leggi di uno Stato? Casati: La religione va pensata come preziosa opportunità in quanto strumen-

25


to efficace per dare ricomposizione e unità alla vita delle persone. Certamente diviene meno preziosa quando si circoscrive in una logica di mera privatizzazione dell'esistenza umana. La laicità è lo spazio della ricerca di ciò che è comune, non tanto prescindendo dalle proprie convinzioni e radici, astraendosi da ciò che si è, ma cercando di fare intrecciare le varie identità. Il compito della Chiesa è di annunciare Cristo morto e risorto, tenendo vivo il significato cristallino di una relazione originaria. Ci deve essere tensione continua tra il piano della profezia e il piano sapienziale, dove si colloca la ricerca del maggior bene comune possibile. Da qui discende la possibilità di compromesso, ma anche la volontà di rispetto, la capacità di pazienza, l'attenzione a leggere l'esperienza antropologica dell'uomo nelle sue molteplici espressioni. Ma nel contempo ci deve accompagnare la consapevolezza di essere sempre figli del tempo in cui si vive, quindi culturalmente collocati, e la consapevolezza che sia già Vangelo l'interpretazione di ciò che l'uomo sta vivendo in un preciso contesto e lo sforzo per compiere gesti personali e sociali, di autentica umanità e servizio all'uomo. Pezzini: Personalmente condivido la suggestione a preferire un ruolo profetico della Chiesa, rispetto ad un ruolo direttamente politico (giuridico o economico), ma già nella traccia proposta mi sembra una prospettiva ampiamente condivisa, su cui non è necessario insistere. Preferisco, allora, sottolineare che l'auspicio di incontrare una Chiesa che sia capace di provocazioni profetiche è ciò che rende per me interessante il dialogo tra credenti e non credenti. Avverto la necessità di una Chiesa che indichi un orizzonte ulteriore, capace di spingersi più in là in ogni tempo della storia, capace di radicalismo (la Chiesa e la dimensione religiosa, per fare un esempio, che emergono nella lettera di Don Milani a Pipetta). Siamo troppo immersi nel presente ed è una grande sfida la possibilità di incontro con chi ci provoca a guardare sempre oltre. Si avverte profondamente il bisogno di stimoli e provocazioni che ci conducano oltre i confini già delineati.

26


Contemporaneamente, sul piano del confronto, avverto anche il bisogno di risorse indirizzate all'esercizio di un “diritto mite” (nel senso in cui ne parla Zagrebelsky); spazi di confronto democratico, secondo la logica istituzionale che prevede la centralità del Parlamento, sede massima in cui si discute e ci si confronta, ci si divide, si argomentano le posizioni culturali e politiche espresse dai partiti, piuttosto che secondo la logica istituzionale del Governo decisionista maggioritario, che risolve le questioni controverse imponendo un “comando”. Il confronto democratico e la logica della centralità del Parlamento sono le dimensioni istituzionali in cui non si scontrano identità (per stabilire chi vince e comanda), ma si svolgono processi di identificazione, in cui pezzi di identità si ricompongono e si ridefiniscono. Se prendiamo a riferimento la questione del crocifisso (della esposizione nei luoghi pubblici, come le scuole o le aule di tribunale), di cui oggi si dibatte, l'imposizione per atto dell'autorità, che ha come prezzo di ridurli a mero simbolo culturale, è il contrario del diritto mite. Senza contare che l'imposizione di un simbolo così fortemente connotato ribadisce continuamente la minorità sociale di chi lo subisce, impedendo di prendere sul serio la pari dignità sociale (se sono minoranza, forse non conto oppure ho un minor valore). Ciò di cui avremmo davvero bisogno è la costruzione di un contesto in cui sia possibile un approdo condiviso, qualsiasi esso sia, maturato attraverso un vero confronto culturale, senza esiti prefigurati, senza identità predefinite. Al contrario, ci è ben presente il rischio della cristallizzazione della logica amico/nemico e della strumentalizzazione, della doppia morale degli “atei devoti”. Si assiste oggi ad un eccessivo dibattito sulle radici. Ma è soprattutto sui frutti che si verrà giudicati. Ci chiediamo allora se anche questa affermazione possa costituire una strada maestra o comunque una strada possibile per pacificare animi e cuori delle persone in ricerca. Certamente l'enfasi sulle radici allontana il dialogo. Sui frutti, al contrario, è più facile il confronto. Puntare quindi su una messa in comune dei frutti per un dialogo fecondo, a cominciare dai frutti della nostra Carta Costituzionale. La dignità sociale di cui parla la Costituzione

27


all'art. 3 è il “frutto” che ha già comparato gli esseri umani rifiutando ogni eccedenza e gerarchia di valori tra di loro, conducendoci all'uguaglianza come principio che agisce contro ogni stigmatizzazione, contro ogni subordinazione, contro ogni discriminazione. È quindi opportuno partire dalle persone, capaci con le loro idee e le loro esperienze, di tessere incontri creativi e proficui attorno ad una mensa comune. Casati: La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, pur essendo universale, è particolare. Ma può essere accolta anche da culture che hanno radici e forme diverse. Questo vuol dire che si può dialogare e riconoscere possibilità comuni sui frutti pur partendo da radici diverse. Saranno i frutti dunque a realizzare una possibile etica condivisa, anche se non bisogna ridurre le radici ad oggetti discriminanti. Le radici ci rimandano ad un orizzonte culturale di interpretazione del senso della vita e sono fondamentali; si sbaglia, però, quando vi si mette troppa enfasi. Le radici, su cui poggiano le varie culture, cercano di rispondere ai vari e profondi interrogativi dell'umano, ad esempio, come si cresce, come si ama, come si soffre. Il tema delle radici ci rimanda al tema dei legami, che sempre dobbiamo riconoscere presenti nella nostra vita. Innanzitutto siamo debitori di un legame in quanto persone, in assenza del quale saremmo solo individui costretti a continue pattuizioni, perché non allenati a riconoscere ciò che ci lega insieme da sempre e in ogni momento della nostra storia. Non è sufficiente, inoltre, relegare i grandi problemi al dibattito parlamentare; essi esigono anche un discernimento personale e comunitario per indagarne il senso e questo cammino di ricerca deve contribuire ad accompagnare e alimentare il dibattito parlamentare, cui spettano le decisioni che si esprimono nelle leggi. Oggi più di ieri siamo chiamati alla scelta di imparare ad incontrarci a partire dalla vita quotidiana. Ricominciare a conoscersi, ri-conoscersi, parlarsi, cercando il più possibile di condividere: è questa la precondizione per fondare su basi sufficientemente solide percorsi come quello su cui oggi stia-

28


mo dibattendo. Quali avvertimenti (consigli fraterni) vi sentite di offrire come cristiano a un non credente? E viceversa, quali avvertimenti (consigli fraterni) vi sentite di offrire come non credente a un cristiano? Casati: Occorre più che mai cogliere l'opportunità di lasciarci provocare dalle persone che vivono il nostro tempo, consapevoli che ci può essere anche il momento in cui sia preferibile il silenzio delle parole, ma non l'assenza della carità, la quale può operare anche nel silenzio come dice Benedetto XVI nella Deus Caritas est al n.31. La vita delle persone non può essere ridotta solo a una lotta incessante per il denaro e il potere; spesso la ricerca, il dibattito sulle questioni di senso sono centrali nella vita delle persone. Oggi presso molte persone prevale la tendenza a concepirsi come singole individualità che solo successivamente contraggono legami e creano rapporti. Invece va ribadito in ogni occasione possibile che il legame ci costituisce fin dall'inizio della nostra individualità e ciò che abbiamo ricevuto fin dall'inizio della vita entra a far parte importante della nostra identità. In questo all'origine di noi c'è il dono e la relazione che altri hanno avuto (e continuano ad avere con noi). Tale realtà non possiamo ignorare o eludere. Va coltivato il ruolo profetico dei cristiani, ma nel contempo anche il ruolo sapienziale, che li induce a perseguire in ogni tempo e in ogni situazione il maggior bene comune possibile. Nondimeno va riconosciuta e apprezzata la concretezza di quanto già c'è, che anche qualora avesse un grande valore non potrebbe mai avere la presunzione di un traguardo raggiunto, perché nella logica del Vangelo ogni realtà umana terrena è sempre fragile e bisognosa di continua conversione. Pezzini: Interpreto questo invito a dare consigli fraterni come sollecitazione ad individuare alcuni temi che più di altri potrebbero costruire condizioni favorevoli al dialogo; in questi termini, non mi sottraggo alla richiesta.

29


Il primo invito è a sfuggire la tentazione del comunitarismo: non etichettare e non etichettarsi, che non significa affatto dover rinunciare all'esperienza della propria comunità, tutt'altro, richiede di viverla pienamente ricordando però che è solo un sotto-insieme; il vero dialogo avviene non tra comunità, ma tra esseri umani. Il secondo invito è a centrare l'impegno sull'etica delle relazioni, che potrebbe essere un terreno fecondo comune per cristiani e non credenti. A patto di cogliere la sfida portata dal femminismo, la sfida della cultura di genere (un territorio mobile per definizione, in cui la risposta non può che essere il dialogo), con una rinnovata attenzione alle dinamiche della sessualità e della corporeità, che, dando alla dimensione relazionale una concretezza non disincarnata, potrebbe rivelarsi un'opportunità preziosa. Il terzo invito è alla rinuncia ai “privilegi” di una tradizione (penso alla messa in discussione dell'insegnamento confessionale nella scuola pubblica, al matrimonio concordatario e, come già detto, ai simboli religiosi nei luoghi pubblici). Considerazioni finali. Pezzini: La consapevolezza della fragilità dell'uomo ci deve costantemente accompagnare anche nelle riflessioni che proponiamo, se vogliamo che siano il più possibile aderenti alla realtà delle persone in ogni tempo. Ma anche il tema del lavoro deve essere assunto come prioritario, con l'attenzione a ridefinirne ad ogni cambio d'epoca gli aspetti antropologici e di scenario. È importante tenere alimentata in modo costante la critica alle logiche individualistiche, mercificanti e mercantilistiche che soffocano la nostra società. Collegato a questo tema vi è quello della domenica, che per nessuna ragione dobbiamo accettare diventi uno spazio mercificato o mercificabile alla stregua degli altri giorni della settimana. Questi sono alcuni degli argomenti di portata capitale, che possono favorire l'incontro tra persone con idee e sensibilità diverse nella comune impresa di un'etica condivisa. La direzione deve essere quella di non precostituire sintesi,

30


bensì quella di uno sforzo costante al dialogo, accompagnato dal sano realismo di prevedere anche solitudini come inevitabili passaggi intermedi. Casati: La fede spesso è tentata di ridursi a pratica religiosa o morale. Invece, deve esserci tensione continua fra la fede e le pratiche religiose e morali nelle quali la fede pure necessariamente si esprime. Se viene meno questa tensione si affaccia il rischio di una pratica religiosa senza fede, cioè di una paradossale “idolatria religiosa”. La tensione continua non appiattisce, ma alimenta l'ascolto e la comunicazione. I quattro Vangeli sono già testimonianza di una verità su Dio e sull'uomo resa in forme diverse, e questa consapevolezza dovrebbe anche esortarci a chiedere, stimolare, alimentare un'opinione pubblica nella Chiesa come primo passo di un confronto più ampio. Già Pio XII auspicava il ricrearsi di un'opinione pubblica all'interno della Chiesa, dove sarebbe salutare una dose maggiore di dialettica, di confronto a servizio di una crescita pienamente umana del popolo di Dio. Pure all'interno della grande fatica della comunicazione sarebbe un grande segno di speranza se tra credenti, non credenti e persone con credo diversi ci fosse la volontà di ricercare insieme, a partire dal quotidiano, ciò che è vero, buono, giusto, meritevole pertanto di rispetto e di promozione dell'uomo. Ma anche il saper valorizzare i luoghi in cui si discute o si può discutere darebbe l'idea immediata di una volontà di cammino comune che favorirebbe l'incontro. Già l'intenzione di interrogarsi insieme sul perché dare la vita, perché valga la pena di vivere e di accogliere la vita, potrebbe costituire uno dei primi passi di un percorso scelto nell'obiettivo di un'etica condivisa. Ricordiamoci che in un cammino di ricerca è importante avere coscienza che spesso da un frammento si coglie la totalità. Pertanto il frammento va indagato per percepire la totalità cui il frammento rimanda. Impariamo quindi ad osservare e ad ascoltare i segni, i gesti, le parole, le storie, gli eventi, che singolarmente e in relazione tra loro alludono già a una verità più piena.

31


6. Il bene comune in Europa: la scommessa del trattato di Lisbona. Nel corso del suo intervento al Congresso Provinciale delle ACLI di Bergamo nel 2008, Luca Jahier ci invitava a migrare dal Novecento non come nomadi senza meta, ma come pellegrini con una bisaccia leggera. E questa bisaccia avrebbe dovuto contenere alcuni strumenti essenziali per segnare la rotta: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, la Costituzione Italiana, il tema del lavoro e, infine, il tema dell'Europa, ovvero il più grande progetto di pace che si sia mai potuto realizzare. L'Europa, forse, non fa ancora parte in modo chiaro dell'identità che ci riconosciamo, eppure non dimentichiamolo, tutti noi siamo titolari di una doppia cittadinanza: siamo cittadini italiani e siamo cittadini europei. Anzi, sarebbe bello poterlo dire così: siamo cittadini europei e siamo cittadini italiani, anche se è comprensibile che prioritariamente venga percepita l'identità nazionale. Noi non siamo chiamati ad accompagnare le persone solo lungo la via dell'oggi, ma anche ad intravedere scenari, altrimenti mancheremmo al nobile compito di prenderci cura delle persone e soprattutto perderemmo la grande sfida educativa di trasportare il futuro nel presente. Tornando al tema dell'Europa, è bene sottolineare che da questa crisi si uscirà solo a condizione che si investa in più Europa, non in meno Europa. L'Europa è in crisi perché qualcuno lavora per farla percepire come un rischio, piuttosto che come un vantaggio. E il nostro impegno deve essere proteso a farla sentire come l'unico vantaggio oggi possibile per l'Italia e per i Paesi europei che hanno stretto quell'alleanza di pace che si chiama Unione Europea. Nel nostro lavoro in preparazione della settimana sociale dei cattolici di ottobre a Reggio Calabria, dal tema “Cattolici nell'Italia di oggi - Un'agenda di speranza per il futuro del Paese”, che per le ACLI comporta l'impegno ad approfondire le ragioni, le risorse, le prospettive del Bene Comune in Italia, abbiamo opportunamente pensato che oggi, pensare al destino dell'Italia sganciato dal

32


contesto europeo, se non proprio mondiale, rappresenti un anacronismo inconcepibile. «I veri illusi sono coloro che si illudono che lo Stato resti sovrano assoluto» immaginava nel secolo scorso Carl Schmidt. Eppure i fatti sono chiari: più della metà delle decisioni che determinano la nostra vita quotidiana non sono più assunte nello spazio nazionale, ma in quello europeo e l'Europa è imprescindibile non solo dove vi è stato trasferimento di sovranità (moneta, commercio, frontiere), ma anche in materie gelosamente custodite dagli Stati, come clima, energia, immigrazione, politica estera. Luca Jahier ci aiuta a capire quale importanza ha avuto l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, tappa fondamentale nel cammino di integrazione dell'Unione Europea. 6.1 Relazione di Luca Jahier Sono sempre onorato di ritornare a Bergamo, e soprattutto, sono riconoscente perché mi avete fatto un grande regalo. Siamo in un tempo in cui molte parole vengono sprecate, vengono urlate, non contano nulla e allora a volte uno si chiede se vale la spesa di prepararsi, non tanto per fare colpo con le parole che si dicono, ma per cercare di lasciare qualche traccia del proprio incontro alle altre persone. Quando uno si rende conto che, a distanza di qualche anno, qualcuno che aveva preso appunti ricorda le cose che sono state dette, credo che questo sia uno dei ringraziamenti sostanziali più grossi, è per questo che vi sono riconoscente. Mi avete chiesto di riflettere sull'Europa e di cercare di collegare questa parola con un'altra parola impegnativa - Bene Comune - collocando il tutto in due scenari. Il primo, quello concreto che tocca anche molte delle nostre famiglie ed è quello della crisi, e quindi, del passaggio che stiamo vivendo e che tutti siamo portati a leggere come “sacrificio, fatica, disoccupazione, caduta dei redditi, debito pubblico, finanziarie di lacrime e sangue, macelleria sociale” per usare alcuni termini. L'altro scenario é quello della preparazione, come cattolici, alle prossime settimane sociali di Reggio Calabria, tenendo conto che il comitato

33


scientifico preparatorio ha reso pubblico un documento che, a differenza del passato, é stato scritto dopo un lungo itinerario fatto di incontri sul territorio a livello nazionale, nelle diocesi, con i movimenti e le organizzazioni, tra cui anche le Acli. La prima domanda a cui vorrei provare a rispondere è se l'Europa é di per sé un Bene Comune. La seconda é se questa Europa é percepita dall'opinione pubblica e custodita dai politici come tale, e quali siano le sfide in questo tempo di crisi. Veniamo al primo quesito. L'Europa é un Bene Comune, é un bene da riconoscere come tale. Credo che la prima considerazione da fare sia che i maggiori benefici di questa costruzione - che noi chiamiamo Unione Europea - siano di fatto invisibili. Molti ricordano ancora come esperienza concreta quando alle frontiere si passava esibendo i documenti. Oggi non ci rendiamo nemmeno più conto di questa difficoltà, ma pensiamo a quanto siamo infastiditi dalle barriere che dobbiamo superare negli aeroporti, non per ragioni di frontiera ma di sicurezza. In generale si può dire che la pace, la prosperità, l'abbattimento delle frontiere, la scomparsa del nemico sono ormai beni scontati. Non lo erano sessant’anni fa e sessant’anni sono un periodo piuttosto breve nei cicli storici. Ci sono zone in Europa che hanno vissuto molti conflitti e i loro abitanti hanno cambiato più volte cittadinanza nel corso della loro esistenza: ancora oggi se si va in alcuni punti caldi d'Europa, per esempio a Strasburgo, o a Saarbruchen in Germania, nell'Alsazia, nella Lorena ci si rende conto ancora del peso dell'odio che le persone hanno ereditato dal passato. È morto, l'altro ieri, il leader del Süd Tiroler Volkspartei. Forse questa morte lascia alcuni di noi indifferenti ma per altri il suo partito ha rappresentato bombe e terrorismo in nome delle rivendicazioni autonomiste. Altri esempi sono la zona di frontiera della Bosnia con la Croazia e la Serbia, Belfast, Bilbao. L'Europa negli ultimi decenni ha costruito un cammino di pace, di prosperità,

34


di assenza di guerra, di abbattimento delle frontiere. Per non parlare della ricomposizione tra le due Europe divise da un muro e da una cortina di ferro, che ha visto l'Europa lavorare a favore della democrazia nei paesi dell'Est ma se riuscissimo a leggere i giornali ungheresi o slovacchi, sembra di ripiombare nel Quaranta, perché è chiaro che i vecchi conflitti non sono superati in questi due stati membri. Lungo è stato il cammino percorso ma i benefici di questa Europa in fondo sono invisibili: la pace, la prosperità, il benessere, la libertà di movimento, l'uniformazione degli standard dei diritti sociali, di protezione, di tutela dei lavoratori, della famiglia, delle persone, dei minori… Questo vale dalla Svezia a Malta, dal Portogallo a Danzica, e vale nei tre paesi che sono stati rasi al suolo sotto l'Unione Sovietica e cioè la Lettonia, l'Estonia, la Lituania. Tutto questo é frutto di una costruzione lenta e faticosa. È frutto di un processo che spesso ci fa discutere ed esprimere preoccupazione perché la democrazia é caotica, disordinata, ma sappiamo anche che a nessuno di noi piacerebbe tornare sotto l'ordine delle dittature che pure hanno caratterizzato e costituito per lunghissimo tempo la realtà di alcuni grandi paesi oggi parte dell'Unione Europea e, prima ancora di pensare a quelli di oltre cortina, pensiamo alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia dei colonnelli. Questa Europa senza imbracciare le armi é riuscita a costruire un percorso di pace, di integrazione e di progresso quasi unico nella storia del mondo basato su tre grandi direttrici: la libertà “di” (parola, riunione, stampa, professione religiosa, voto), la libertà “da” (dalla povertà, dalla paura) e la libertà “per”. Tutta la costruzione europea, dall'atto fondativo nella dichiarazione di Schumann al trattato di Lisbona, costituisce una libertà “per”: per un progetto, un progetto che immagina di estendere la libertà agli altri, alle generazioni future includendo anche chi sta fuori dai nostri confini. Ora una grande idea di libertà è rimasta come matrice nelle lotte di liberazione nei paesi dell'Est. Potremmo quasi definire l'Europa come un grande “progetto di libertà responsabile e sostenibile”. Libertà responsabile, nel senso che si é

35


fatta carico della responsabilità del futuro, per governarlo insieme, per renderlo compatibile, per garantire il processo; libertà sostenibile nella progressività delle politiche attuate. L'Europa non ha mai cercato la rivoluzione globale, costruendo delle solidarietà di fatto intorno a problemi molto concreti e applicando, ancor prima di teorizzarlo, il principio della sussidiarietà. Vorrei ricordare il primo atto istituzionale di questa grande costruzione europea che fu la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), istituzione che oggi, avendo concluso il suo compito, si é dissolta e gli impegni restanti sono entrati nei compiti ordinari dell'Unione Europea. La CECA fu istituita per costruire la pace intorno alle due grandi produzioni industriali per cui ci si era combattuti: il carbone e l'acciaio. Le grandi industrie del carbone dovevano essere ristrutturate e soprattutto tutto il grande sistema della siderurgia legata alla produzione dell'acciaio con finalità bellica presente nel bacino della Ruhr, sia di parte francese che tedesca, andava riconvertito. Tutto questo avrebbe avuto dei costi industriali e dei costi sociali enormi, in termini di disoccupazione. L'intuizione fu quella di far diventare la grande riconversione un'opera comune, da gestire insieme facendola diventare la prima pietra di una riconciliazione. Il processo politico accompagnò questa grande riconversione. Furono investiti soldi e fu istituito il Comitato consultivo della CECA, da cui trae origine, tra l'altro, il comitato economico sociale europeo che era costituito dai padroni delle acciaierie e delle industrie del carbone, e rappresentante dei lavoratori che partecipavano alle discussioni nei progetti di riconversione industriale sociale. Nel 1950 fu una straordinaria intuizione la progressività delle politiche e la sussidiarietà. Anche la politica agricola comune ha accompagnato la fondazione dell'Europa. L'atto fondativo della PAC fu una grande intuizione del Generale De Gaulle, il quale affermò che non era dato a nessuno di essere autonomo e indipendente se non controllava ciò che mangiava. L'Europa di allora mangiava ciò che gli stati Uniti ci fornivano secondo il piano Marshall. Occorreva ricostruire l'autosufficienza alimentare e la sicurezza alimentare nel conti-

36


nente. Su questo presupposto nacque la PAC, non per difendere interessi corrotti di qualche produttore ma per riaffermare un'indipendenza europea. Si potrebbe ricordare anche un'altra straordinaria operazione politica: il fondo sociale europeo é stato un importante strumento di solidarietà del continente che ha permesso di accompagnare i processi di trasformazione, di solidarietà di fatto, di integrazione che é stata tutta la negoziazione dell'integrazione dei paesi ex comunisti all'interno dell'Unione Europea. Di fronte a queste considerazioni non si può che rispondere in senso affermativo al quesito se l'Europa sia o no un Bene Comune. L'Europa è un bene che va riconosciuto, raccontato e difeso perché prezioso. Oggi molti capi di Stato europei imputano all'Europa tutte le colpe della crisi internazionale perché non ha controllato e vegliato, confermando la pessima abitudine di scaricare le responsabilità. Questo mi introduce nel problema più ampio del ragionare su quali siano oggi le sfide di fronte alla crisi e di rispondere al secondo quesito posto all'inizio della serata. Il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo dell'insieme dei Paesi della zona euro, oggi é superiore al doppio del parametro che era stato definito nel trattato di Maastricht: siamo al 6% e l'Italia non é tra i paesi meno virtuosi col suo 5,3%. La Finlandia, la Germania, l'Italia, l'Austria, Malta e Belgio hanno un parametro intorno al 5%, altri paesi hanno un parametro molto superiore. La Francia é all'8%, il Portogallo all'8,5%, la Spagna al 9,8%, l'Irlanda all'11,2%, la Grecia al 9,3%, la Gran Bretagna al 12% . A fianco di questo vi é un altro parametro che è la crescita smisurata del debito pubblico. Un caso che pensavamo solo italiano e belga, invece la media del debito pubblico in tutta Europa supera l' 80% del Pil: siamo 20-25 punti sopra il parametro del 60%. La Germania, la Francia, si avvicinano al 100%. In termini di crescita con la crisi abbiamo avuto in due anni una perdita di 6-7 punti di prodotto interno lordo. La stima, anche la più alta in sede OCSE e cioè in sede monetaria di crescita dell'Europa é inferiore all'1%. Questo vuol dire che solo per ritornare alla condizione di benessere, o più precisamente alla

37


crescita del PIL che avevamo 2 anni fa ci vorranno dieci anni. In un periodo in cui il debito pubblico e la spesa corrente annua crescono rispetto alle entrate è necessaria una crescita economica reale, non drogata dagli incentivi e dai sussidi, che faccia da contraltare. Il mercato è additato come il grande nemico, ma io non so se i mercati abbiano realmente l'obiettivo politico di abbattere l'Europa sociale. Chi opera sui mercati ha l'obiettivo di fare quanti più soldi possibile con il minor costo. Credo piuttosto che la responsabilità sia della politica nella sua incapacità di dare delle regole, ponendo dei vincoli che impediscano gli abusi. Oggi i mercati attaccano la Grecia perché è oggettivamente più debole a causa delle distorsioni strutturali del suo sistema e i mercati non fanno altro che metter in luce che il suo sistema non è in grado di sostenersi: non si può spendere più di quanto si guadagna, non si può vivere al di sopra delle proprie possibilità. In particolare, non si può vivere sul debito, nemmeno immaginando, come si è verificato nel caso dei prodotti finanziari di scommessa, che il prezzo degli immobili avrebbe continuato a crescere senza sosta, che le borse avrebbero continuato a crescere all'infinito. Un esempio da citare relativo a 10 anni fa: il valore di ogni azione della compagnia telefonica Tiscali passò da 46 a 900 euro nel giro di poche settimane portando il valore delle azioni di una compagnia telefonica che neppure possiede le infrastrutture a superare il valore complessivo delle azioni Fiat. Che la Grecia fosse un problema lo si sa da tre anni, i mercati hanno capito che nessuno sarebbe intervenuto e si sono lanciati nella speculazione facendo “saltare il banco”. Resta il fatto che siamo di fronte ad un'esplosione della spesa a fronte di una forte riduzione delle entrate che porta con sè una crescita smisurata del debito pubblico. Questo é un problema che riguarda non solo le future generazioni ma anche noi oggi. Siamo di fronte ad una crisi economica che ha comportato una caduta della crescita reale e prospettive di crescita bassissime per tutti paesi europei. La Cina in questo stesso periodo sta addirittura contenendo la crescita entro il

38


13% per evitare l'aumento dell'inflazione e tutti gli altri paesi emergenti quali l'India, il Brasile e la Russia hanno percentuali di crescita superiori al 5%. A tutto questo si aggiunge una disoccupazione che sta diventando drammatica e pesante in molti paesi. Si calcola, secondo le fonti dell'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di lavoro, che a due anni dall'esplosione della crisi a livello mondiale si siano generati 50 milioni di nuovi disoccupati. Questo significa meno produzione, meno ricchezza da tassare, meno ricchezza privata per il consumo, con il rischio di recessione, di deflazione e di una crisi strutturale. Tutta questa situazione comporta almeno due conseguenze di straordinaria pesantezza: la prima è l'esplosione del debito pubblico. Abbiamo fatto saltare tutti i parametri di Maastricht, tutti i parametri del buon governo finanziario e fiscale senza che nessuno abbia decretato l'allarme. Ci siamo illusi che questa esplosione del debito pubblico potesse essere gestita con piani di rientro ma il mondo dei mercati finanziari ci ha fatto capire che il tempo della dilazione era finito e ci ha costretto ad invertire drammaticamente la rotta. Il caso Grecia, dopo i casi Argentina o di altri Paesi cosiddetti del Sud, dimostra che anche gli Stati possono fallire: questa ipotesi deve essere presa in considerazione e, al di là delle misure anti-speculative che pure vanno prese, é necessario mettere mano alla radici strutturali che consentono la speculazione. L'aumento spaventoso del debito non può reggere a lungo. Immaginavamo tutti che si potesse contenere un po' di più e che si potesse ragionare a bocce ferme su un piano di rientro più ponderato. Lo shock della Grecia ha costretto tutti i Paesi europei a varare una serie di manovre di correzione della finanza pubblica imperniate sostanzialmente su tre cose: nuove tasse, taglio su educazione, investimento e ricerca, taglio sulla spesa sociale. La seconda conseguenza è appunto la messa in discussione del modello sociale europeo. I ministri dell'economia, delle finanze, i governatori delle banche centrali, hanno preso possesso della cabina di regia della politica europea

39


mettendo ai margini i Ministri del Lavoro e i Ministri del Welfare europei, ma l'Unione Europea rappresenta un'àncora di salvezza per un modello sociale che se non può essere incrementato, certo può essere difeso. Nell'Unione Europea, qualche anno fa, una straordinaria commissaria donna, oggi Ministro della Repubblica in Grecia, la signora Diamantopoulou, fece pubblicare un lavoro molto interessante che si intitolava: “Il costo dell'assenza di politiche sociali”. Se vogliamo possiamo parafrasare il titolo dicendo: il costo dell'assenza di Europa. Il libro documentava come l'assenza dell'applicazione di uno standard sociale nelle scelte politiche avrebbe generato dei costi. Ormai tutti sono convinti che prevenire costi meno del curare, ma era la prima volta che a livello di Unione Europea si faceva un'analisi dettagliata attingendo a numerose banche dati nazionali e comunitarie sull'argomento. Una delle grandi novità introdotte dal Trattato di Lisbona è che le politiche sociali non sono materia esclusiva degli Stati Membri ma anche l'Unione Europea può, a sua volta, emanare delle norme in materia. La normativa sociale dell'Unione Europea finora si occupava di garantire la libertà di spostamento dei lavoratori e combattere la discriminazione. Ora nell'agenda sociale dell'Unione Europea sono entrate due nuovi principi: mantenere una protezione sociale per tutti, e non solo per i più poveri e introdurre una logica di efficienza ed efficacia nella gestione della spesa sociale. Questi due nuovi criteri sono stati inseriti in una strategia di lungo termine che si è posta cinque obiettivi da raggiungere. Primo: definire un livello di qualità più elevata del lavoro e degli impieghi utilizzando la cosiddetta formazione permanente, per tutto il corso della vita, come una delle chiavi fondamentali. Secondo: procedere ad una universalità dell'accesso alle cure per i bambini. Dobbiamo tenere conto che oggi il 20% dei bambini dell'Unione Europea é in condizione di povertà: è un dato drammatico. Un modello che si definisce sociale e che non riesce a garantire coloro che sono il futuro é un modello che ha qualche problema. L'Unione Europea definisce oggi come uno degli obietti-

40


vi su cui lavorare a medio termine quello di procedere alla definizione di un accesso di qualità universale per la cura, per la tutela e per il sostegno dei minori. Terzo: combattere le ineguaglianze nell'accesso alle cure sanitarie tuttora esistenti per fasce di età, per regioni, per aree, per fasce di popolazione dell'Unione Europea, al fine di alzare le speranze di buona vita. Qui si tocca tutto l'enorme problema di una società che invecchia e che vede alzarsi il numero degli anziani non-autosufficienti con il conseguente aumento della spesa sanitaria. È necessario ripensare radicalmente la spesa, soprattutto sanitaria, per l'assistenza di questa parte di popolazione. Quarto: stabilire a livello di Unione Europea alcuni standard di qualità globali per l'accesso ai servizi sociali, sia in termini di servizi sociali di base del mondo del lavoro, sia in termini di servizi offerti sul territorio, sulla loro distribuzione, la loro accessibilità, definendo i modi di partecipazione alla gestione e alla produzione di questi servizi sociali da parte di tutti i soggetti, pubblici e privati che compongono la rete della governance locale. Quinto ed ultimo: arrivare a definire una soglia di reddito minimo a livello europeo. Volevo infine semplicemente toccare ancora un argomento. Per reagire alla crisi greca l'Europa ha impiegato due, forse tre mesi. Gli Stati Uniti per reagire alla crisi del 1929 ci misero tre anni, e il ritardo della loro reazione fu in parte una delle cause della recessione mondiale e delle tensioni che ne conseguirono con l'ascesa del nazismo e la seconda guerra mondiale. È vero che se l'Unione Europea avesse vinto prima la resistenza della Germania oggi avremmo pagato un prezzo meno alto rispetto ai 700 miliardi messi sul tavolo per fermare la speculazione, ma tre mesi non sono tre anni, vorrei ricordare. A fronte di tutto questo, molti dei commentatori e dei commenti ci disegnano un'Europa incapace di raccogliere le sfide, un'Europa che é in crisi profonda, un'Europa che manca di prospettiva. Vorrei ricordare che l'Europa é sempre stata sull'orlo dell'abisso, ma tutte le

41


volte che è stata scossa nelle sue fondamenta da una crisi ha anche trovato le risorse per rinascere e per fare passi straordinari. Tutti ricordiamo il grande statista europeo Jacques Delors, cattolico socialista che inventò gli strumenti per arrivare al mercato unico. Egli capì che per fare il mercato unico bisognava anche investire sulla politica sociale, quindi si inventò la Carta sociale dei lavoratori e, con le politiche di lotta contro la discriminazione e le politiche per la mobilità dei lavoratori, mise le basi per la politica sociale e avviò il cammino che portò all'unione monetaria. Tutto questo ha preso forma tra gli anni Settanta e Ottanta quando l'Europa era sull'orlo del tracollo per la profonda crisi del settore industriale che la stava percorrendo. In un momento “drammatico” fu elaborato un progetto che avrebbe generato ricchezza e integrazione nei successivi venti anni, portando con se anche un effetto imprevisto: la caduta del muro di Berlino. Oggi, malgrado le cassandre che ci disegnano un futuro a tinte fosche, noi stiamo vivendo un periodo di profonde trasformazioni. Questo é l'altro volto della crisi (krisis in greco vuol dire cambiamento): pensiamo alla dichiarazione di Schumann, alle grandi trasformazioni del dopoguerra, alle grandi attese di ricostruire, di riconciliare, di progredire in parte vissute a metà degli anni ottanta. I progetti oggi in gestazione non sono inferiori come portata al mercato unico di Delors. Ne cito sei. Primo. Riguarda il trasferimento di potere sulla governance economica e fiscale in sede di Unione Europea. Secondo. Sono venticinque anni che il progetto di integrazione delle autorità che presiedono al governo del traffico aereo europeo, é fermo. Attualmente ci sono ventisette autorità che governano i cieli europei e Euro-control - che dovrebbe assicurare il coordinamento, ma al massimo riesce a far circolare le informazioni su ciò che ha deciso ciascuno - non funziona. Credo che si arriverà in tempi rapidissimi ad istituire una forma completamente diversa, ad avere un unico governo del traffico aereo europeo.

42


Terzo. Il cosiddetto “piano di Stoccolma”, stilato sotto la presidenza svedese, che fa fare degli enormi passi avanti in materia di sicurezza, di giustizia e di affari interni. Quarto. L'Unione Europea sta mettendo a punto in questi ultimi mesi una nuova fase, in merito a politiche di integrazione degli immigrati in campo sociale, di cittadinanza, di mercato del lavoro . Quinto. Si sta lavorando ad una politica energetica comune più forte, che garantisca l'accesso all'energia ad un prezzo stabile e ragionevole e che mantenga la nostra competitività industriale promuovendo uno sviluppo durevole e il passaggio ad una società povera in carbone. Questa sfida ci offre oggi anche delle opportunità: lo sviluppo di fonti di energia durevoli e abbordabili è la chiave di una nuova rivoluzione industriale che contribuirà a fare uscire l'Europa dalla sua crisi economica. Sesto. Nel Trattato di Lisbona c'è l'istituzione della figura di una Vice-presidente della commissione e alto rappresentante della politica estera e Presidente del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell'Unione Europea, con l'obiettivo di creare le premesse per una politica estera comune. Aggiungo un settimo punto che al momento è allo stato di proposta ed è contenuto nel rapporto che l'ex commissario europeo Mario Monti ha presentato a Barroso sei mesi fa. Questo rapporto è un'analisi efficacissima dei vincoli che ancora si oppongono alla circolazione di merci e servizi nell'Unione e contiene un piano strategico su come risolverli. Questi sei capitoli, più un settimo ancora in fase di elaborazione, sono il segno di un'Europa che continua a lavorare per il bene comune e continua ad avere persone che si curano di svilupparlo. In un tempo in cui tutto sembra al tracollo, l'Europa sta vivendo fasi di accelerazione e di progettazione straordinaria pari almeno a tre volte quelle vissute in passato. Un'ultima considerazione: in verità, quello che manca in questo sforzo di costruzione è la partecipazione dei cittadini. Le organizzazioni dei cittadini, i sindacati, le organizzazioni d'impresa mi paiono molto ripiegate sui problemi

43


interni, incapaci di capire la portata delle sfide, di entrare negli spazi che oggi sono molto più ampi di quelli di ieri: la partecipazione alle politiche europee. Mi sembra che anche noi, come la gran parte delle organizzazioni sociali, civili, economiche in Europa siamo ripiegati su disegni di corto respiro. C'è un grande cantiere da aprire o altrimenti queste grandi trasformazioni avranno delle gambe di argilla. È necessario che le nostre popolazioni capiscano l'importanza di sostenere politiche di così grande portata, che forse nel breve periodo potranno comportare qualche sacrificio, ma che sono fatte per una costruzione più a lungo termine.

44


7. Tradurre il bene comune sul territorio e nella quotidianità: cosa è stato fatto. 7.1 Circolo ACLI di Bonate Sotto Il Bene Comune: ruolo e responsabilità dei laici. Incontro con Monsignor Lino Casati Il Bene Comune va pensato a partire dalla modernità e dai suoi cambiamenti: non è definito una volta per tutte, ma va rapportato alle diverse condizioni che si verificano lungo il cammino della storia. Soprattutto esso va riferito al valore della persona. Non c'è Bene Comune senza rispetto di ogni persona e dei diritti umani. Primo compito dei laici è quello di sollecitare la Chiesa e il proprio ambiente, a tutti i livelli, a porre attenzione alla storia ed ai cambiamenti in atto per cogliervi i segni dei tempi. I cambiamenti di oggi mettono in discussione il concetto di Bene Comune: esso viene considerato più come un interesse generale della società, un benessere collettivo, intendendo in tal modo un benessere fisico, psicologico, una capacità di realizzarsi personalmente. Ma si può davvero parlare oggi di Bene Comune? Ed è proprio vero che mi realizzo quando sto bene io? Il Bene, oggi, sembra sia solo un fatto privato. Tutti invochiamo la giustizia, ma poi ognuno la intende un po' a modo suo. C'è molto individualismo: l'importante è che stia bene io. Ognuno ha le sue idee, il suo carattere, ognuno vuole sentirsi libero di fare ciò che gli pare e piace, ma allora come si fa a realizzare il Bene Comune se ciò che è bene per me può non esserlo per altri? Occorre allora capire che cosa intendiamo per Bene Comune. Esso nasce dal confronto con gli altri sulle esperienze che si fanno nelle diverse situazioni di vita in cui ci si trova e nelle relazioni umane che man mano si intrecciano. Per fare ciò, è bene considerare innanzitutto i rapporti sociali, così come si verificano oggi tra le persone singole o tra le diverse categorie di persone a seconda delle prestazioni, ruoli professionali e istituzionali che esse ricoprono.

45


È proprio dentro tali realtà che dobbiamo domandarci che cos'è il Bene Comune. Esso ci appare spesso come un equilibrio di interessi e di poteri. Ma ciò ci può bastare? Non cerchiamo forse un riconoscimento della nostra persona più che delle prestazioni che esercitiamo? In fondo cerchiamo un'alleanza reciproca, un'intesa umana, un'uguaglianza di dignità pur nelle differenze che ci contraddistinguono. A maggior ragione in una società multiculturale e plurilingue com'è quella attuale dobbiamo cercare di comunicare, di capirci da persona a persona perché solo così si può anche capire che cos'è il Bene Comune. Dobbiamo considerare, poi, che la globalizzazione ci porta ad essere interdipendenti e a far sì che ogni evento che succede al di là dei nostri confini ci coinvolga. Il rapportarci con lo straniero, con differenti culture e religioni presenti sullo stesso territorio, non ci richiede qualcosa di più di un equilibrio tra poteri? Ci richiede un equilibrio che preluda ad una convivenza pacifica e che si raggiunge attraverso le relazioni interpersonali, nel contatto con chi è nel bisogno: i poveri, gli immigrati possono essere davvero uno strumento di riconciliazione e di ricerca di qualcosa che faccia incontrare le persone per conoscersi e volere il bene reciproco. Questo è il Bene Comune. Occorre allora tenere sveglia la coscienza e accesa la lampada della speranza, la speranza che ci fa dire che vale la pena impegnarsi, gettare un seme di umanità, come ha fatto Cristo che è venuto a portare e a condividere la sua umanità in mezzo agli uomini. Anche se i risultati sono limitati e precari o lenti a venire, occorre resistere alla tentazione della paura e dello scoraggiamento e credere che è possibile realizzare insieme segni, gesti, esperienze di vita finalizzate al bene di tutti anche delle minoranze. Un secondo compito dei laici è allora quello di coltivare un sogno, pur se difficile in questo mondo individualista e allo stesso tempo pluralista: occorre puntare a far emergere la dimensione relazionale tra le persone, di ogni età, cultura, etnia e religione. È la dimensione insita in ogni essere umano che ci fa dire: ogni cosa che abbiamo o che abbiamo realizzato in fondo l'abbiamo ricevuta perché tutto ci viene donato, dall'aria che respiriamo agli alberi che altri hanno

46


piantato. Il Bene Comune è quindi un insieme di valori da riscoprire con gli altri, più che da applicare così come ci sono stati tramandati. Come? Attraverso la mediazione, da non intendersi come una contrattazione di interessi, ma come ricerca faticosa di ciò che rende possibile l'incontro vero con l'altro, diverso da me, ma con i miei stessi diritti e doveri. È un mettersi coraggiosamente in gioco nella ricerca e nella condivisione dei valori in cui ciascuno crede, attraverso l'ascolto l'uno dell'altro. Il valore dell'alterità ci porta a scoprire il primato dell'Altro e la presenza dell'azione di Dio nella storia degli uomini, che si riconoscono fratelli in quanto figli dello stesso Padre. La difficoltà odierna di ricercare e di attuare il Bene Comune sta nella permanente contrapposizione tra le persone e tra i gruppi, che è causa di tanta incomunicabilità. Se noi abbiamo un'idea del cristianesimo e ci fermiamo a quella soltanto, essa ci impedisce di capire che cosa sia veramente il cristianesimo all'interno della condizione storica in cui ci troviamo. Il Bene Comune si basa perciò sulla qualità dei rapporti: esso è essenzialmente un modo di essere più che un modo di fare, un processo, una tensione continua e mai completamente raggiunta verso quel bene a cui ogni essere umano aspira. 7.2 Circolo ACLI di Scanzorosciate L'Italia unita compie 150 anni. Le attese degli italiani tra memorie e speranze. Il percorso formativo di ogni sessione del progetto prevedeva una serata con uno o più relatori e alcuni film che con altro linguaggio affrontassero la tematica di interesse. Con la prima serata del ciclo di appuntamenti dedicati all'Unità d'Italia si è aperto un dibattito su luci ed ombre del federalismo, chiamando a confrontarsi Daniele Belotti (Lega Nord), assessore alla Regione Lombardia, Gianluigi Della Valentina (Lista civica di centro sinistra), vicesindaco al Comune di Villa di Serio, Giangabriele Vertova (Centro-sinistra), ex consigliere comunale a Bergamo, e Claudio Sessa (Lega Nord), sindaco di Torre Boldone. La pre-

47


messa alla serata partiva dal presupposto che la struttura federale dello Stato non mina l'unità, se i pilastri su cui si fonda poggiano su principi chiari e largamente condivisi. Celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia può costituire quindi una preziosa occasione per ridirci i grandi valori dell'Unità attraverso le differenze, della cooperazione tra comunità territoriali pur nell'autonomia e nella fierezza delle proprie radici, delle interdipendenze che legano le diverse storie a destini comuni, anche laddove sembrano prevalere le separatezze. Di seguito diamo spazio ai principali concetti emersi nella serata, che si è caratterizzata per il confronto civile, a tratti persino cordiale tra i relatori. 1. Il federalismo dovrebbe essere espressione di rinnovato senso di responsabilità e di volontà autentica di eliminazione di tanti sprechi, oggi non più tollerabili. 2. Le Regioni a Statuto speciale sono da considerare un anacronismo perché creano Regioni di serie A e Regioni di serie B. 3. È serio il pericolo di un federalismo raffazzonato, non costruito su solide basi culturali ed istituzionali, ma anche il pericolo di un uso strumentale del federalismo, finalizzato a una delegittimazione vicendevole. Rischio quindi di un federalismo demagogico e di un'opposizione demagogica. 4. Il federalismo dovrebbe essere un patto tra soggetti che non si delegittimino reciprocamente, ma anzi si stimino cercando sempre maggiori intese e convergenze. Dovrebbe, nelle intenzioni, garantire una più larga democrazia in quanto avvicinerebbe le istituzioni ai cittadini. Ma se il modello di federalismo attuato non coinvolge i cittadini e non riequilibra i poteri in modo che le istituzioni si riconoscano vicendevolmente rischia il fallimento. È auspicabile quindi un federalismo che contribuisca ad aumentare i livelli di democrazia in pieno ossequio ai principi della nostra Costituzione repubblicana, che riconosce e promuove nel Paese un'articolazione di formazioni autonome e nello stesso tempo in preziosa interazione.

48


5. Il modello federale va considerato nei due aspetti di federalismo verso l'alto e di federalismo verso il basso. Il federalismo verso l'alto dovrebbe puntare su una cittadinanza europea che in merito alle questioni sociali abbia lo stesso sentire, avverta il vincolo del medesimo patto. Quando si fa una grande riforma in senso federale occorrerebbe rafforzare entrambi i livelli, sia il livello alto che il livello basso. 6. Va considerato, in ordine all'opportunità da molti sostenuta di una svolta federale, che, nei casi in cui permanga la spinta all'accentramento, si mortificherebbero ulteriormente le libertà della periferia, non si incrementerebbero le responsabilità, ma nei casi in cui si decentri in modo eccessivo il rischio sarebbe quello dello sgretolamento, del blocco istituzionale e sociale. Il dibattito quindi non deve consistere in “federalismo sì, federalismo no”, ma in “quale federalismo?” Con l'accortezza di non svuotare il centro, bensì di rafforzare il centro, altrimenti perderemmo tutti, federalisti convinti e non. Un altro problema da considerare è quello delle funzioni. In un modello federalista cosa fa lo Stato? Cosa fanno le Regioni, le Province, i Comuni? 7. La Lega Nord persegue un modello federale di tipo spagnolo-catalano, altri partiti, specialmente quelli che si rifanno al centro-sinistra, puntano su un modello di tipo tedesco. Occorre tuttavia considerare che il modello federale della Germania ha tenuto perché la nazione ha una forte identità. L'Italia, al contrario, è il Paese dei campanili. Partiamo da noi allora, dai nostri limiti e dalle nostre risorse per porre mano a un federalismo con basi solide. 8. Innanzitutto va recuperata la volontà di costruire insieme la casa comune, che presuppone la decisione di ri-conoscersi e di ri-legittimarsi reciprocamente da parte delle parti politiche, la sola chiave che può rimettere in marcia un Paese che da troppo tempo è bloccato.

49


7.3 Circolo ACLI di Bariano Le cinque giornate di Bariano: 150 anni dell'Unità d'Italia. «Viva l'Italia, l'Italia liberata, l'Italia del valzer, l'Italia del caffè. L'Italia derubata e colpita al cuore, viva l'Italia, l'Italia che non muore». Con questa canzone di De Gregori si sono aperte le cinque serate dedicate ai temi dell'unità d'Italia, a chi sono e da dove vengono gli italiani. Nato dalla stretta collaborazione tra le Associazioni di Bariano, questo ciclo di cinque serate ha coperto un arco temporale di tre mesi. È stata una scommessa impegnativa nei confronti della quale però tutte le Associazioni si sono sentite coinvolte e chiamate ad investire tempo ed energie, condividendo proposte e modalità organizzative. Le tematiche trattate e la partecipazione della cittadinanza agli incontri hanno confermato che è davvero necessario un "risorgimento", una riscoperta di valori comuni di partecipazione per rifondare la società in cui viviamo, all'interno della quale spesso si riveste un ruolo di spettatori e non di protagonisti. Chi sono gli italiani di oggi? Quali aspetti e problemi ha lasciato aperto il movimento di costruzione dell'Italia lungo questi 150 anni? Sono queste alcune delle provocazioni, delle domande che hanno rappresentato il filo conduttore delle cinque serate. Durante il primo incontro, attraverso l'intervista ad uno storico, è stato interessante scoprire le proprie radici. Ripercorrere le tappe principali che hanno condotto l'Italia al processo di unificazione, ha significato scoprire che l'Unità si colloca all'interno di un contesto geo-politico delicato, in trasformazione e di ampio respiro “europeo”. La situazione italiana era condivisa e sostenuta anche ad altre potenze europee, in un periodo dove l'Europa ancora non esisteva. Anche il riflettere su chi sono gli italiani di oggi nel secondo incontro ha riportato alla luce i problemi dell'integrazione con quelle persone che provengono da altre realtà e si trovano a vivere nel nostro territorio sentendosi piena-

50


mente italiani, ma non riconosciuti con tutti i diritti di cittadinanza, che tuttavia la nostra Costituzione afferma e riconosce. La riflessione, nata proprio prima che iniziassero gli sbarchi di profughi dall'Africa, ha permesso di riflettere “a freddo” sui modelli di integrazione presenti in Europa e nel nostro Paese e sulle problematiche che possono scaturire da questi modelli. Si è trattato di un'apertura a questioni che dopo poche settimane sono ritornate prepotentemente alla cronaca costringendoci ad interrogarci sulla nostra capacità di accogliere e riconoscere come a noi prossime le persone che vivono e lavorano nel nostro territorio, anche se provenienti da altre realtà. Il terzo incontro è stata un'appassionante riflessione su come la famiglia possa diventare luogo di cittadinanza attiva: il ruolo della famiglia diventa sempre più determinante nella costruzione della società e dei cittadini. Per questo motivo è importante creare nuovi modi di vivere il rapporto famiglia e Istituzioni proprio per creare "laboratori di cittadinanza attiva" con logiche diverse, di rete, di collaborazione che permettano di uscire dai recinti che ci costruiamo per sentirci al sicuro. Il tema del lavoro affrontato durante il quarto incontro ha evidenziato i difficili cambiamenti in atto e quelli previsti per il futuro, l'idea di bene comune presente nel lavoro e il tema del diritto al lavoro, garanzia per poter progettare il proprio futuro. Sembra che ci sia ancora molta strada da fare rispetto all'Italia sognata e voluta dai nostri padri che si sono battuti per tenere unita questa nazione nel nome della Costituzione. Il primo passo che ognuno è chiamato a compiere è quello di diventare protagonista attivo della realtà in cui vive, attento a ciò che sta avvenendo attorno a lui. Nella nostra patria, la Costituzione, così come tanti altri simboli che vanno dalla bandiera all'inno, è ben presente ed è un valore che accomuna tutti e che ci rende più uniti, e proprio per questo motivo andrebbe riscoperta e difesa. Spesso le forze centrifughe presenti nella società e nella politica tentano di

51


offuscare un messaggio importante: la nostra Costituzione ci ricorda che ognuno di noi è partecipe e costruttore dell'Italia in cui vive! 7.4 Circolo Acli di Casnigo Legalità: un bene comune? La legalità è stato il filo conduttore dei due incontri organizzati dal circolo ACLI di Casnigo in collaborazione con i Biblioboys, un gruppo di giovani del paese che sta cercando modi alternativi per vivere la politica, con il patrocinio del Comune di Casnigo. Il primo incontro, dal titolo “Educare alla legalità: problemi e opportunità”, è stato coordinato da Giorgio Lanzi, Vicepresidente provinciale delle ACLI. Due brevi filmati di Bruno Bozzetto sul tema del rispetto delle regole sono stati il punto di partenza della serata, che è poi proseguita con le testimonianze di un genitore, di un allenatore sportivo, di un'insegnante, del curato dell'oratorio e infine di una giovane impegnata come assessore nell'attuale Amministrazione. I loro racconti sono serviti a disegnare un panorama ampio e articolato di quelli che sono elementi di opportunità e di criticità nell'educazione alla legalità dei ragazzi e dei giovani. Il dibattito successivo è stato molto partecipato, e ha fatto emergere le fatiche e gli scontri che si debbono affrontate anche all'interno della comunità dei cosiddetti 'adulti' per riuscire promuovere atteggiamenti che favoriscano la scelta del bene comune. Tutti hanno sottolineato come l'intera comunità deve sentirsi coinvolta nel compito educativo e deve sostenere gruppi e associazioni che quotidianamente sono a contatto con ragazzi. Nella seconda serata è stato proiettato il film “Fortapàsc” del regista Marco Risi, con la presentazione e il commento di Gianmario Vitali, referente dell'associazione Libera a Bergamo. Il film racconta la vita e la tragica morte del gior-

52


nalista Giancarlo Siani, cronista del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, ucciso dalla Camorra a causa delle sue inchieste su corruzione e connivenze tra politica e criminalità organizzata. La proiezione è stata l'occasione per riflettere sull'importanza della legalità nella lotta contro le mafie. Nel corso della serata è stata anche inaugurata la mostra “AAA Senso civico cercasi”, organizzata e gestita dal gruppo Biblioboys. In questa mostra sono state presentate immagini relative ad alcuni ambienti del territorio comunale deturpati, oltre che articoli e frasi che mettevano in evidenza la necessità del rispetto delle regole. 7.5 Circolo ACLI di Seriate Vivere insieme nel tempo della prova. Quando fare porta frutti! Il circolo ACLI di Seriate, supportato dalla Commissione formazione della Sede provinciale, si sta adoperando per la promozione di un progetto che possa unire Chiesa locale e società civile di Seriate in un impegno condiviso per l'edificazione della polis. Provvidenziale è stato il programma pastorale diocesano dal titolo “Famiglia, lavoro e festa” che la Parrocchia in Seriate ha scelto di fare proprio. I contenuti e il metodo del progetto sono stati abbozzati in collaborazione con la Commissione formazione. Il punto di partenza è stato il desiderio di capire la crisi e le cause che l'hanno innescata con in mente la ricerca di azioni da intraprendere come comunità cristiana. Successivamente, il confronto interno al Circolo ha contribuito a modellare ed arricchire la bozza. Il risultato di questo lavoro preparatorio è stato presentato a Monsignor Luigi Rossoni, parroco in Seriate, che ha subito preso a cuore l'iniziativa e l'ha inserita nella pastorale sociale parrocchiale. I successivi incontri con il Consiglio parrocchiale Caritas e con il Consiglio Pastorale Parrocchiale hanno permesso di arrivare alla stesura definitiva del progetto e alla proposta di assumerlo come impegno per tutte le famiglie ed i gruppi della parrocchia. Il percorso si snoderà lungo tutto l'anno liturgico attraverso momenti di con-

53


fronto (sullo stile del Sinodo parrocchiale) sui temi del lavoro, della famiglia e della festa. Si comincerà con un confronto iniziale interno ad ogni famiglia e ad ogni gruppo sulla base di alcuni spunti di riflessione. I resoconti che risulteranno da questi confronti verranno raccolti ed elaborati all'interno di una tavola rotonda aperta. Sulla base dei contenuti dei confronti e della tavola rotonda verrà organizzato, per la chiusura dell'Anno Liturgico, un convegno parrocchiale a tema, che avrà il compito di fare la sintesi e “preparare il terreno” per l'anno a venire. Il Consiglio parrocchiale Caritas ha assunto la responsabilità del percorso e il Circolo ACLI di Seriate si è impegnato ad organizzare il convegno conclusivo.

54


8. Conclusioni Sarebbe molto interessante e proficuo per l'intero Movimento se la formazione, almeno una volta l'anno, così come si è scelto di fare con un altro tema cardine, quello dell'Europa, tenesse la barra anche sulle questioni così cruciali per la realizzazione del Bene Comune nella nostra società, favorendo un'operazione di discernimento tra i nostri associati e perché no, anche all'interno del mondo cattolico su un tema che laceri le coscienze. Tenere in una mano il Vangelo e nell'altra l'ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo: è questa la direzione che vogliamo additare. Potrebbe essere questo nello stesso tempo un tentativo di laboratorio che ci eserciterebbe a dialogare e dall'altro un piccolo ma importante esercizio di democrazia. E allora, per concludere, vorrei augurarmi e augurarci che ci siano sempre di più cristiani capaci di parole cordiali di speranza per gli uomini e le donne che incontrano, non credenti o diversamente credenti. Capaci di dire le ragioni antropologiche delle proprie scelte. Capaci di compassione e di silenzio nei confronti dell'altro che non comprendono immediatamente, ma che neppure immediatamente possono giudicare perché non ne possiedono il cuore. Non profeti di sventura, ma tessitori di grammatiche nuove, che dicano in modo creativo e sempre nuovo l'incontro tra la Buona Novella e la società contemporanea. Non angosciati, non apocalittici, ma visionari, che sappiano guadare con gli altri, insieme agli altri, il tempo presente verso un futuro possibile e sperabile.

55


56



BERGAMO

FEBBRAIO 2012


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.