Verso la Pasqua. Da credenti nella storia degli uomini

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Q BERGAMO

QUARESIMA 2013


In copertina Pieter Bruegel, La salita al calvario, 1564


NEL CUORE DEL MONDO RACCOGLIERSI PER LA LODE. NELLA NOTTE CIRCONDANDOSI DI SILENZIO. ESSERE NELLA CITTÀ SENTINELLE CHE APRONO IL LIBRO PER ESSERE DISCEPOLI IN AGGUATO DI UNA PAROLA, DI UN SEGNO. SEGUIRE CRISTO E ABITARE TRA GLI UOMINI. TUTTO LASCIARE PER ACCOGLIERE IL POVERO. TENERE LA PORTA APERTA A COLUI CHE TI CERCA. POTER INTENDERE TUTTI I PECCATI E VIVERE DA FRATELLI. NELLO STRANIERO SENTIRE I TUOI PASSI CHE SI AVVICINANO. CONDIVIDERE IL SAPERE E IL PANE. NELLA DIFFERENZA TENDERE LA TUA MANO VERSO L'ALTRO. INSEGNARE AI BAMBINI CHE IN CIELO DIO SOLAMENTE È GIUDICE. VIVERE SENZA PAURA NELLA CITTÀ ATTRAVERSATA DA VIOLENZA. ABITARE UNA CASA DI PACE. TRADURRE IN PAZIENZA IL DESIDERIO DEL REGNO. COSÌ NELLA DOLCEZZA DELLO SPIRITO IL TUO GIORNO SI LEVA.


Capaci di una fraternità coraggiosa Carissimi, con il tempo di Quaresima che ci apprestiamo ad iniziare, ancora una volta l'antica e sempre attuale sapienza della chiesa ci fa raggiungere da un grande appello alla conversione. Questo significa tornare al Signore e al suo Vangelo, la perla preziosa che ci è consegnata dalla memoria credente. Pur nei loro risvolti anche drammatici, in questo tempo quaresimale si potrebbero evocare le parole che in questi mesi sentiamo spesso ripetere: recessione e ripresa. Recessione significa andare indietro nella vita cristiana, cioè non camminare con il Signore. Pretendere di guardare il mondo e gli altri partendo da sé e non da Dio. La Quaresima invece è tempo di ripresa, di riscoperta che la radice della nostra vicenda personale e comunitaria affonda nella passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazareth. Come ho scritto nella mia lettera pastorale: “La fraternità cristiana si qualifica come una fraternità nella fede, ma ancor più come una fraternità in Cristo Signore. Infatti, la parola fratello e sorella oltre ad indicare i legami familiari, esprime appartenenze religiose e sociali. Tra battezzati invece, non indica solo una comune appartenenza, ma un legame fraterno di Cristo con ognuno di loro e dunque un legame fraterno tra loro. Per altro, proprio dalla fraternità di Cristo con i suoi discepoli e dei suoi discepoli tra loro, si sviluppa la fraternità con ogni essere umano non solo come appartenente al genere umano, ma ancor più come raggiunto dall'amore di Dio in Cristo Gesù. In questo senso la fraternità cristiana non si pone in termini esclusivi, ma piuttosto al servizio di quella tra tutti gli uomini. La fraternità cristiana quindi, non appartiene solo al mondo dei sentimenti e neppure solo alla necessaria scala dei valori fondamentali, ma è il dono e il frutto della Pasqua di Cristo” Non possiamo non avvertire che molto di quella ripresa economicosociale di cui il nostro Paese ha bisogno a che fare con una ripresa spirituale. Questo è il tempo propizio per rimetterci in cammino. 2


Possiamo farlo con quanto la chiesa, nel periodo quaresimale, ci propone: la preghiera, l'elemosina, il digiuno. Gesù Cristo ci dice di vivere tutto questo nell'autenticità, cioè di essere veri davanti a Dio. Perciò anche i gesti evangelici del tempo quaresimale non devono essere una specie di esibizione della nostra fede o una gratificazione che rende vana la grazia di Dio. Bisogna, soprattutto, ritrovare il gusto di vivere secondo il Vangelo, sperimentandolo ogni giorno, anche mettendo in conto la sconfitta. Vorrei richiamarvi, infine, la strada della carità. L'ho ripetuto spesso: dobbiamo cioè essere testimoni di una fraternità coraggiosa. Proprio in tempi come questi, bisogna avere uno sguardo attento al fratello, alle sue necessità e bisogni. Anche se abbiamo i nostri problemi, il nostro cuore non resti mai sordo alla voce di chi fa più fatica. Fraternità coraggiosa vuol dire anche la correzione fraterna, cioè non tacere di fronte al male. Uno sguardo lucido e competente, capace di indicare i limiti e, insieme, le vie di uscite umane e praticabili per costruire luoghi umani dove la dignità di ciascuno, soprattutto dei più deboli, sia riconosciuta. Fraternità coraggiosa vuol dire l'impegno ad assumere nella nostra vita lo stile di Gesù di Nazareth: una condivisione piena e totale della vicenda umana. Attraverso la passione, la croce e la morte di Gesù noi possiamo vedere la passione, la croce e la morte di tutti gli uomini. Ma attraverso la risurrezione di Gesù noi possiamo vedere la potenza trasformante e feconda dell'amore che brilla sulla croce. Dio ci avrebbe potuto salvare con la sua forza, con la sua potenza. Ha voluto salvarci con il suo amore, per rivelarci il segreto della sua vita e della nostra stessa vita. Che è piena, vera e autentica, quando è restituita e vissuta nell'amore, nel servizio e nella condivisione. Questo è il segreto di cui la croce diventa il segno più forte, il segno più provocante. Possiamo dire che veramente soltanto un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore è un Dio degno di fede. A noi prenderlo sul serio nella nostra vita. Mons. Francesco Beschi, +Vescovo 3


Questo testo Questo testo nasce dalla volontà di accompagnare i cristiani durante il periodo di Quaresima. Non vuole sostituire percorsi personali o comunitari di ascolto e di confronto con la Parola: vuole solo essere l’occasione e l’invito - in modo particolare rivolto ai lavoratori - a ritagliare, nel cammino verso la Pasqua, un tempo di riflessione e di preghiera. L’articolazione del volume è semplice. All’inizio di tutte le settimane è proposto il testo di un “maestro” nella fede che accompagna la riflessione lungo la settimana. Ogni giorno sono presentati due brevi passi biblici presi dalla liturgia eucaristica. Di venerdì, la traccia, simile a quella degli altri giorni, è solo un po’ più abbondante. Dove è condivisa da più persone, questo potrebbe essere lo schema dell’incontro: segno di Croce, recita dell’Inno, lettura dei testi e della meditazione, una preghiera della tradizione religiosa universale, Padre Nostro e preghiera finale. I testi per la meditazione del venerdì sono stati preparati appositamente per questo libretto da Andrea Bergamini, monaco delle Famiglie della Visitazione che vive a Gerusalemme insieme al diacono Lorenzo Ravasini. In fondo al testo si offre una presentazione più dettagliata delle Famiglie dellaVisitazione. Il mercoledì delle ceneri e i venerdì di quaresima, per quanti lavorano a Bergamo, vi è la possibilità di partecipare alla preghiera comune che si terrà, presso la Chiesa delle Grazie, dalle 13.30 alle 14.00. Mercoledì 11 febbraio alle ore 13.30 la preghiera sarà guidata da Monsignor Davide Pelucchi, vicario generale della diocesi; mentre venerdì 29 marzo,Venerdì Santo, sempre alle 13.30, a guidare la preghiera sarà Monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo. Di Domenica, sono offerte alcuni brevi meditazioni, per un itinerario spirituale, scritte da don Paolo Riva, parroco di Locatello e Corna Imagna, mentre il testo di inizio Quaresima è di don Angelo Casati, presbitero della diocesi di Milano. A loro, e a Andrea, va il nostro più sentito ringraziamento. La meditazione del Mercoledì delle Ceneri è di Maurizio Patricelli, quella del Venerdì Santo è di Don Angelo Casati. Per il Sabato Santo è proposta una riflessione di Roberto Mancini, per il giorno di Pasqua un testo di don Tonino Bello, l’indimenticato vescovo di Molfetta di cui quest’anno ricordiamo i vent’anni della morte (20 aprile 1993). Grazie a Federica Fenili, Martina Mismara, Enrico Facoetti. Un grazie particolare ad Antonia Semperboni. Ha coordinato Daniele Rocchetti.

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E ascoltare il silenzio delle stelle Don Angelo Casati

Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Se ti invitassi - penso di non sbagliarmi - tu usciresti. Con me. Ad ascoltare il silenzio delle stelle.Veniamo, so che esagero, dal paese del disgusto. Dal rumore delle parole. Assordante, impenitente. Un inferno in terra. E più si è vuoti, più si consumano parole. Più si è maschere, più ci si esibisce. E spengo il televisore. Spengo i volti truccati. Ho bisogno di altro. Spengo la menzogna. Le parole hanno smarrito il loro suono. Usate per dire il contrario del loro suono, non hanno più la pesantezza del reale, hanno la leggerezza del nulla. Ascolto, chiudo. E dico: è il nulla. E poi parlano di nichilismo! Loro che sono giullari del nulla, giganti del nulla.Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Non le vedo, e non è solo miopia, ne ascolto il brusio, un brusio di sincerità. Nella notte il brusio della sincerità. Su me stesso, innanzitutto. Ho voglia di quaresima, come ho voglia di notti e di stelle. Ho voglia di Quaresima e non so se ce la farò, comincio a dubitare di me stesso, dei miei buoni propositi. Di buoni propositi, dicono, è lastricato l'inferno. Non conosco le strade dell'inferno. Conosco le mie e so che ne sono lastricate. Ho voglia di ascoltarmi e di vedermi. Ma non da solo, con qualcuno. Da solo potrebbe essere disperante. Ho bisogno di ascoltarmi e di vedermi come mi ascolta e mi 5


vede Dio. Un Dio che scruta il mio cuore, ma non a condanna. Non è, anche se purtroppo l'hanno messo, nell'immagine del Dio giustiziere. È nell'immagine di un Dio che mi raggiunge dove sono per restituirmi libertà, la libertà di essere me stesso e non nella schiavitù dell'apparire, non nell'ossessione della maschera. Ho voglia di sincerità come ho voglia di notti e di stelle. Leggo il salmo, il salmo 138 (139). Non a condanna. Ma a salvezza. Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Terrò caro il salmo nei quaranta giorni. Se vuoi, potrai pregarlo anche tu in silenzio. Ho voglia di deserto e di seduzione. Così è scritto nel rotolo del profeta Osea: Ecco la sedurrò portandola nel deserto e parlandole al cuore. Parlandole "sul cuore": ha tradotto qualcuno. Che Dio mi parli sul cuore! Già è grazia che uno parli al cuore, in stagioni di parole urlate declamate. In assenza di cuore. Già è grazia che uno parli al tuo cuore. Ma grazia delle grazie sarebbe che qualcuno ti parlasse sul cuore, in una intimità segreta, quasi riposando sul tuo cuore. Il libro del profeta Osea prosegue con alcuni versetti: Lì darò a lei le sue vigne, e la Valle della Disgrazia sarà Passo della Speranza. Lì mi risponderà come nella giovinezza, come quando uscì dall'Egitto. Quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerà "mio sposo", non più "idolo". Le distorrò dalla bocca i nomi dei baal, nomi che non saranno invocati. Quel giorno stringerò per loro un'alleanza con le fiere selvagge, con gli uccelli del cielo e i rettili della terra. Nel paese spezzerò arco, spada e armi e li farò dormire tranquilli.

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Sono immagini intriganti che ci allontanano una volta per tutte da una religione nel segno dell'evasione. Se scendi alla punta segreta del cuore, non è per nostalgia di vuoto intimismo, al contrario è per recuperare il vento della libertà, vento di trascinamento nella vita e nella storia. Il deserto chiama il vento, il vento della libertà. Il vento non può essere trattenuto, sequestrato in una casa. Dal vento, sulle sabbie accecate di sole, ricordo di essere stato a lungo abbagliato nei deserti della Giordania: E sognerò folate di vento di libertà e sabbia nei capelli, spazi senza recinti. La Quaresima come noviziato di libertà, come noviziato a piste segrete d'indipendenza. Il nostro è un Dio che non sopporta di essere chiamato baal, ovvero padrone, ama un nome di tenerezza: "marito mio". Né sopporta che ad altri venga riservato il nome di baal. Che nessuno la faccia da padrone nella vita, nessun uomo, nessuna donna, nessuna istituzione né laica né religiosa, nessun raggruppamento, nessuna corporazione: "le distorrò dalla bocca i nomi dei baal, nomi che non saranno invocati". Dio rivendica per sé l'immagine di innamorato, uno che perde la testa - poi perderà la vita! - così lontana dall'immagine di un Dio misurato, equilibrato, dell'equilibrio di chi non si lascia toccare. Questa è l'immagine di Dio che Gesù rivendica per sé, non l'immagine di un Dio padrone da placare con i digiuni, ma l'immagine di un Dio sposo da testimoniare con la gioia, con la festa, con il vino nuovo: "Perché" dicevano "il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori?". E non capivano! Ancora oggi qualcuno non capisce o fa finta di non capire. È questa l'immagine di Dio, l'immagine di Gesù che va

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salvata. È questa che fa la differenza. Oggi si sta sollevando un grande polverone sulla difesa dei valori cristiani. Si usa la parola "cristiani" ed è solo una parola. Senza contenuti. Il contenuto è questo, la differenza è questa: un Dio innamorato, un Rabbì che mangia con i peccatori, non con i puri, un Dio malato d'amore che ci chiede di testimoniarlo ammalandoci d'amore, squilibrandoci come lui si è squilibrato. Il Cristianesimo è questo. E benediciamo il Signore per questa grazia che ci concede: di riaprire, ogni sette giorni, le antiche Scritture, il Vangelo e di essere così istruiti sulla vera immagine di Dio, di Gesù, del discepolo. Se no, si inseguono fantasmi, i nomi diventano fantasmi. È quello che purtroppo in questi giorni sta succedendo sotto i nostri occhi e ci colma d'indignazione. Ci si erge a difensori del cristianesimo. Li guardi sbiancando in volto, le proposte sono esattamente l'opposto di ciò che sta scritto nei Vangeli. Un Cristo, un nome senza storia. Che ne avete fatto del suo Vangelo? Che ne avete fatto di Gesù? Lui che è un Dio che mangia e beve con pubblicani e peccatori, un Dio che passa il confine, che scopre segni di fede nel territorio della non credenza, un Dio che chiama "pagani" quelli che fanno del bene a patto di reciprocità: "che fate di straordinario?" diceva "lo fanno anche i pagani". Difendiamo un cristianesimo senza Cristo? Difendiamo un paganesimo con il nome di cristiano? Su questo dovremmo interrogarci. Qualcuno giustamente ci direbbe: non nominare il nome di Dio, di Cristo, invano. A vuoto, a sproposito, per vile interesse. Sarebbe come mettere, dice Gesù, un panno grezzo su vestiti logori, vecchi. Con la conseguenza che lo strappo è ancora peggiore. Non è questo il rimedio. 8


Le radici sono nel silenzio della terra. Dio solo le vede. Se sono radici cristiane o no, lo riconoscerai dai frutti. Criterio infallibile segnalato da Gesù: "dai loro frutti" diceva "li riconoscerete" (Mt 7,16). Ho voglia di uscire nella notte e di ascoltare il silenzio delle stelle. Dopo l'insostenibile leggerezza delle parole, ho bisogno che qualcuno nel silenzio sotto le stelle mi racconti quali sono i frutti dello Spirito. "Il frutto dello Spirito" dice Paolo "è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Ne ho abbastanza, ce n'è d'avanzo, per passare quaranta giorni a interrogarmi. Non sulle radici. Sul frutto dello Spirito. Ho scritto del desiderio, il mio. Desiderio di notti e di silenzio di stelle. Desiderio di deserti attraversati da folate di vento d'indipendenza.Vorrei aggiungere, desiderio di montagne. Mi porto in cuore i passi di salita di Mosè, di Elia, di Gesù al monte. Stette Mosè sul monte Sinai. Quando scese "non sapeva che la pelle del suo viso era raggiante perché aveva conversato con Dio" (Es 34,29). Un desiderio ci conduce: che illimpiditi sul monte siano i volti. Gridiamo cristianesimo e abbiamo occhi duri, e faziosi, senza fascino.Voci come pietre, senza sussulti. Giudizi come clave, senza remissione. Mascheriamo i volti in assenza di luce. Forse non abbiamo conversato con Dio, ma con noi stessi o con i baal di turno. Stette Elia sull'Oreb e fu monte di conversione, monte di rivoluzione di pensieri e di intenti per uno come lui che veniva dall'aver scannato quattrocentocinquanta falsi profeti al torrente Kison. E da fessura sul monte, da fessura di caverna odorò il mistero di Dio, di un Dio che non è nella

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potenza del tuono, del turbine, del fuoco. Dimora la voce di un sottile silenzio. Dopo millenni ascolto, osservo. L'Oreb è lontano. Siamo ancora al torrente, il torrente Kison. Che grazia per tutti salire alla caverna di spiamento dell'Oreb! Dimorò Gesù sul monte. E fu monte di notte. Non c'è traccia del nome del monte nei Vangeli, ma fu monte di un desiderio, desiderio di solitudine, desiderio di fuga dal delirio delle folle, dopo che i cinque pani di un ragazzo, per miracolo di condivisione, divennero pane dei cinquemila: "ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo". Montagna della fuga da ogni fraintendimento di via: era venuto per servire e non per essere servito. Nella notte sul monte a confermare la via. Vorrei salire il monte di Mosè, il monte di Elia, il monte di Gesù.Troppo è il desiderio di limpidezza.Vorrei uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle.

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Una settimana con…

Carlo Maria Martini Vigilare significa anzitutto vegliare, stare desti, rimanere all'erta. Vigilare significa badare con amore a qualcuno, custodire con ogni cura qualche cosa di molto prezioso. Vigilare impegna comunque a fare attenzione, a diventare perspicaci, a essere svegli nel capire ciò che accade, acuti nell'intuire la direzione degli eventi. Rimanere svegli, avere cura, vegliare dunque: veglia la sposa che attende lo sposo, la madre che attende il figlio lontano, la sentinella che scruta nel cuore della notte, veglia l'infermiere accanto al malato, il monaco nella preghiera notturna; vegliano gli uomini e le donne che sono pronti a raccogliere i segnali di aiuto dei loro amici nel pericolo, dei loro fratelli nel dolore, del loro prossimo nella difficoltà; veglia la comunità dei credenti che è rapida nel reagire alla tiepidezza e alla stanchezza che li allontana dall'amore degli inizi. Veglia una società civile che coglie prontamente i segni del proprio degrado, che si erge contro la corruzione dilagante, che contrasta la disaffezione nei confronti del bene comune. Perché il tempo sia santificato è necessario che alla vigilanza e alla custodia di Dio sul tempo corrisponda l'attenta vigilanza dell'uomo.

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Mercoledì 13 febbraio 2013 Mercoledì delle Ceneri Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1

«Or dunque - oracolo del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». Gioele 2,12-13 State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Matteo 6,1 A Pasqua risplende la Bellezza che salva, la carità divina si effonde nel mondo. La reazione dei discepoli al dono della trasfigurazione è quella di fermare la bellezza di cui hanno fatto esperienza: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Lc 9,33). La bellezza però non è possesso, è dono e come tale va donata, non trattenuta: ai discepoli prostrati in adorazione e presi da grande timore Gesù, avvicinandosi e toccandoli, dice: "Alzatevi e non temete" (Mt 17,7). È l'invito a riprendere il cammino senza paura, a scendere dal monte verso la vita ordinaria e a intraprendere il grande viaggio che porterà il Figlio dell'uomo a Gerusalemme per compiere il proprio destino. È l'invito rivolto anche a noi a proseguire il nostro pellegrinaggio verso la Gerusalemme del cielo senza paura, sapendo che egli è con noi. Carlo Maria Martini 14


Ceneri Della morte non si dirà mai abbastanza, ogni generazione è chiamata a misurarsi con il suo mistero; c'è chi la teme, chi la invoca e chi semplicemente finge di ignorarla. La Chiesa, con gesto audace, sparge oggi sul capo dei suoi figli un pizzico di cenere per risvegliare in essi il ricordo delle origini; non vuole spaventarli, ma allontanarli dallo spavento. Non aver paura, dice, perché la morte è stata vinta e tu non morirai, gusta la gioia di essere un uomo vivo. Prezioso è il tempo, questo è il tuo tempo: vivilo appieno, vivilo bene. Allarga i polmoni e inspira a piene sorsate l'aria della vita, chiunque tu sia, qualunque sia la tua condizione, il tuo passato, il tuo peccato. Riprendi il largo, esci dalle secche, confessa con umiltà le tue angosce, i tuoi limiti, le tue paure. Non temere il giudizio degli amici, gli uomini si somigliano tutti appena lasciano cadere le difese; innamorati della vita, timorosi della morte, desiderosi di amare ed essere amati, tormentati al pensiero di essere traditi. Gli uomini sono tanto cari, e tanto strani; si scandalizzano di Dio perché ai poveri manca il pane, poi a tonnellate lo riversano nell'immondezzaio. Capaci di farsi solidali con chi vive al di là del mare, e di diventare lupi con chi nacque nella stessa casa.Tu ascolta il cuore innanzitutto, non trattarlo male, non chiudergli la porta ogniqualvolta lo senti sussurrare.Vieni, abbassa lievemente il capo e lascia che la polvere ti racconti la tua storia; porgi il capo e ascolta l'invocazione che ti rivolge il Divino Pezzente: «Figlio, dammi il tuo cuore», donarlo a Lui è il migliore investimento che possa fare sulla terra. Come il profeta antico, come Maria, pronuncia il tuo «Eccomi, Signore»; è Lui che ci rimette in piedi, ci risolleva dalla nostra umiliazione, ci rende liberi, ci fa finalmente uomini. Da sempre attende 15


alla finestra il figliolo che scappò via sbattendo la porta. Sa che lontano dalla vera casa finiamo con l'andare a pascolare i porci e ci attende per gettargli le braccia al collo e mettergli l'anello al dito, per ridonargli gioia, per rimproverargli niente. Io torno, sono stanco di starmene lontano. Senza di Lui l'esistenza pesa, la vita mi è tormento. Accolgo il suo invito e metto nelle Sue mani il cuore. Digiuno, per meglio assaporare il pane, per spezzarlo con il fratello, chiunque egli sia. Mi guardo attorno, vedo l'immigrato, mi metto nei suoi panni, gli faccio compagnia sotto i ponti, nella casa di cartone. In molti luoghi c'è la neve, è bella la neve, ma non sempre, non per tutti. A volte è spietata e uccide chi non ha il cappotto e ha mangiato poco. Allora corro dal mio fratello, porto la mia fede, la speranza, la carità. Vado da lui per incontrare Gesù: quello è l'indirizzo giusto, in quella casa lo trovi sempre. Vado dove i bimbi appena nati giungono per rinnovare l'umanità, dove la vita trionfa, ma tanto spesso arranca. Incontro chi non vuole che nasca il piccolo che già vive nel suo grembo, le tendo la mia mano, offro sostegno ricordando che tutti siamo figli della misericordia di qualcuno che ci accolse un giorno. Gesti semplici e piccini, come piccino è il bimbo che implora di vedere il sole. Cenere siamo, ma cenere preziosa; cenere di uomo, polvere di stelle, creta per la quale Gesù Cristo è morto. La Chiesa ci chiama a meditare sulla morte perché impariamo ad apprezzare la bellezza della vita, vuole aiutarci a imboccare la strada che porta alla felicità senza fine, ci conduce per mano a salire il Golgota per contemplare l'Uomo della Croce. «In questi giorni - scriveva don Giuseppe De Luca - quel che possono far di meglio i nostri poveri occhi è leggere la Passione di nostro Signore Gesù Cristo... Avventura suprema, la più innamorata e tragica avventura».

Maurizio Patricelli

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Giovedì 14 febbraio 2013 At 13,46-49 opp. Is 52,7-10; Sal 116; Lc 10,1-9

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Isaia 52,7-8

Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! » Luca 10,1-2 L'uomo è mosso da desideri. Senza desideri uno non affronta una famiglia, non si sposa, non si impegna in un lavoro difficile. Questo è ciò che distingue l'uomo da tutto il resto: l'uomo non è mai stanco di desiderare. Sono formidabili i desideri dell'uomo, perché hanno un'ampiezza, una instancabilità e una capacità di ricrearsi senza fine. La preghiera ci aiuta a non spegnerli. Carlo Maria Martini 17


Venerdì 15 febbraio 2013 Is 58,1-9a; Sal 50; Mt 9,14-15

INNO Signore Gesù, possa essere io la terra in cui scrivi il tuo silenzio. Possa essere io l'adultera che incontra l'abbraccio della tua misericordia. Le pietre della condanna che ogni giorno prendo tra le mani per i miei fratelli, tu le fai cadere quando mi chiedi: Sei tu più giusto di me? Abbi pietà, mio Dio, del mio peccato! Scrivi nella terra del mio cuore l'amore vero, disinteressato, attento come il tuo!

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La Parola del Signore

È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Isaia 58,5-7.9 Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno». Matteo 9,14-15

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Per la riflessione personale

Interrogati da Gesù Chi era Gesù? Questa è una delle domande più affascinanti che sorge nel cuore di ogni persona che sente parlare, anche superficialmente, del figlio di Maria di Nazareth, che viene in contatto con lui leggendo il Nuovo Testamento, o che cammina per le strade della Terra Santa. In questo tempo di Quaresima la domanda si fa ancora più urgente. Ci prepariamo al grande avvenimento della Pasqua, dove Gesù si consegna ai suoi uccisori, muore in croce e risorge dai morti. Questo mistero, ogni anno, è vissuto con maggiore intensità e siamo costretti a confrontarci con la sua persona con più verità e consapevolezza. Percorrere la Terra Santa e scoprire i segni concreti del breve passaggio di Gesù tra gli uomini, ci aiuta a conoscere la sua esistenza e la sua storicità. Ma la domanda “Chi era Gesù?” resta, anzi diventa, chi è “Gesù per me? Cosa rappresenta Gesù per me oggi?” Nel Vangelo la gente che incontra Gesù, ascolta i suoi discorsi e le parabole, che vede i miracoli da lui compiuti continuamente si chiede “Chi è costui?”. Forse ne conoscono le origini familiari, e ne ammirano la forza, l'autorità, l'efficacia. Alcuni, paradossalmente gli indemoniati, lo riconoscono addirittura come il Messia. Quando Gesù parla di sé e rivela la sua identità di Messia e di Figlio di Dio molti, specialmente i capi religiosi, si scandalizzano, non lo accettano, cercano addirittura di eliminarlo. È proprio sulla sua identità che si gioca il processo finale e la sua condanna a morte. In Luca 9,18 leggiamo che Gesù pone direttamente questa 20


domanda ai suoi discepoli, i dodici. Gesù li ha scelti per stare con lui; sono quelli che, insieme alla madre, lo conoscono meglio. Li interroga: “La gente chi dice che io sia?” Loro riferiscono quello che hanno sentito dire: Giovanni Battista o Elia, o un antico profeta risuscitato… L'interrogazione però continua “E voi chi dite che io sia?” La domanda va diretta al cuore degli ascoltatori, e quindi anche al nostro, ci lascia scoperti, attoniti, quasi in imbarazzo! Chi è per noi Gesù? È lui stesso che ce lo chiede. E notiamo che è una domanda posta al gruppo, dice “voi”; è una domanda collettiva. Raramente le interrogazioni sono collettive! Infatti è uno per tutti, Pietro che risponde: “Tu sei il Cristo di Dio”. Secondo il Vangelo di Matteo (16,17) è il Padre che gli rivela la risposta. Vorremmo fare nostra questa risposta, non come una formula da ripetere a Catechismo. Gesù pone a noi la domanda e vuole da noi una nostra risposta, sincera, che viene dal cuore, che viene dall'amore che proviamo per lui. È come quando l'innamorata chiede all'amato chi sono io per te? Mi vuoi bene? Mi vuoi bene più che a tutti gli altri? È impressionante notare la severità di Gesù nell'esigere il segreto da parte dei discepoli “ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno” (Lc 9,21). Infatti “Tu sei il Cristo di Dio” è una verità, una rivelazione intima da tenere nascosta, da custodire. Non ci sono facili scorciatoie. Noi stessi non possiamo domandargli chi sei? Lo vediamo proprio nel processo finale quando i membri del sinedrio gli rivolgono esattamente questa domanda: “Se tu sei il Cristo, dillo a noi!” E Gesù risponde: “Anche se ve lo dico, non mi crederete, se vi interrogo non mi risponderete” (Lc 22,67). Ma in che modo possiamo trovare questa risposta-rivelazione in noi stessi? In che modo possiamo dirgli, confessargli con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la nostra vita tu sei il Cristo di Dio? Ci può aiutare il contesto nel quale Gesù interroga i suoi. 21


Dice letteralmente il Vangelo di Luca 9,18 “E avvenne, nel suo essere in preghiera da solo, che i discepoli erano con lui e li interrogò dicendo: la gente chi dice che io sia?”. L'avvenimento centrale è che i discepoli sono con lui, mentre lui sta pregando, da solo! Ma come può pregare da solo e contemporaneamente essere con i discepoli? È qui il miracolo. Noi siamo con lui quando lui prega. La nostra preghiera non può che essere la sua preghiera. Quando lui, il Figlio prediletto, è in comunione con il Padre, allora anche noi siamo con lui. Le sue parole diventano le nostre parole. La nostra preghiera non può essere uno sforzo individuale, un'ascesi, un'astrazione, puro devozionismo. Stiamo con lui quando ascoltiamo la Parola, quando cantiamo le sue parole, quando intoniamo i salmi, quando accordiamo il nostro cuore alle parole della Sacra Scrittura che proclamiamo con le labbra. In quel momento è Gesù che prega, solo, e noi siamo con lui! Immersi in questo dialogo d'amore tra figlio e padre, improvvisamente siamo interrogati: chi dite che io sia? E lì troviamo subito le parole e la convinzione per rispondergli: tu sei il Cristo di Dio! Prendiamoci allora questo tempo di Quaresima per ritrovare questa intimità con lui nella preghiera. Ogni occasione è buona: l'eucarestia, la liturgia delle ore, la lectio divina, l'ascolto delle letture domenicali, la lettura del Vangelo, il rosario, la confessione dei peccati, ore o giornate di silenzio e di ritiro. Vogliamo, tutti insieme, rispondere con slancio alla sua interrogazione!

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Dalla tradizione religiosa universale Tu, o Signore, che hai inclinato i cieli; tu che sei disceso e ti sei fatto uomo per la salvezza del genere. Possiedici, Dio nostro Salvatore, poiché non conosciamo altri all'infuori di te, e pronunciamo il tuo santo Nome. Volgici, o Dio, al tuo timore ed al desiderio di te; compiaciti perchè noi abitiamo nel godimento dei tuoi beni. Coloro che hanno chinato i loro capi sotto le tue mani, esaltali nella condotta ed adornali di virtù, e fai che noi tutti siamo degni del tuo regno che è nei cieli, per il beneplacito di Dio, il tuo buon Padre, con il quale tu sei benedetto assieme allo Spirito. Preghiera copta Padre Nostro Orazione. O Cristo nostro Signore, Immagine del Padre, fa che sappiamo riconoscerti nel volto dei nostri fratelli, nel loro volto spesso trasfigurato dalla sofferenza, dal dolore, dalla delusione, dalla paura, e aiutaci ad asciugare con pietà e delicatezza le loro lacrime e i loro sudori. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

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Sabato 16 febbraio 2013 Is 58,9b-14; Sal 85; Lc 5,27-32

Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera e sii attento alla voce delle mie suppliche. Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido perché tu mi rispondi. Dal Salmo 85

Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». Luca 5,27-32 Gesù ci fa compiere un passo avanti. Non ci dice solo di pregare come figli, chiedendo umilmente ciò di cui abbiamo bisogno, ma ci chiede di insistere. Credo sia l'insegnamento di cui abbiamo più urgenza. Gesù dice a noi: anche se siete affaticati, insistete nel chiedere, continuate a chiedere perché già il chiedere è una grazia, già il chiedere ti fa figlio. Se non trascuri questa preghiera materiale, povera, ripetitiva, diverrai 24


misteriosamente figlio e riceverai pure il pane per nutrire gli altri, anche se sei stanco, arido, povero. Carlo Maria Martini

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Domenica 17 febbraio 2013 I Domenica di Quaresima Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

Chi abita al riparo dell'Altissimo passerà la notte all'ombra dell'Onnipotente. Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido». Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. «Sì, mio rifugio sei tu, o Signore!». Dal Salmo 90

Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: non di solo pane vivrà l'uomo». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto 26


più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: ‘‘Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano’’; e anche: ‘‘Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra’’». Gesù gli rispose: «È stato detto: ‘‘Non metterai alla prova il Signore Dio tuo’’». Luca 4,1-12 Per tentazione non si intende la spinta a fare il male. È qualcosa di molto più sottile: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura ad affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società. È la tentazione di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti, la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi. L'esortazione di Gesù a pregare per non indurci in tentazione ci fa capire che la preghiera non è una fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è audacia, è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. Carlo Maria Martini

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Mangiare la parola di Dio Tempo di Quaresima, tempo della conversione. Dio è venuto con il Natale ad offrirci la sua fraternità, a noi la responsabilità, la risposta a questa offerta. Ecco il tempo della Quaresima, tempo in cui lasciare che il volto di Dio in Gesù Cristo incontri il nostro. La Quaresima inizia con un'esperienza fondamentale di ogni uomo e quindi anche di Gesù: il deserto. Il deserto è l'esperienza prima di ogni uomo, quella della propria coscienza, il sentire, il sentirsi. Solo il silenzio di rumori esteriori (traffici…) ed interiori (paure e sensi del dovere…) “imposto” alla coscienza riesce a dare senso ad ogni uomo. Prendiamoci del tempo di deserto possibile nella nostra vita, non fuggiamolo: tempi “morti” della nostra giornata, dallo stare su un mezzo pubblico, al fare la coda. Nel silenzio della nostra coscienza scopriamo un misterioso movimento quotidiano: la battaglia tra il bene e il male. Il male viene a tentare i desideri originari della vita: sfamarsi, sentirsi amati, sentirsi liberi, cercando di farci raggiungere tutto da soli, senza gli altri, senza Dio. Forte è la tentazione che cerca di farci vedere male il bene, e cerca di metter Dio in concorrenza con noi e la nostra libertà. Gesù interamente uomo non viene sottratto dalle fatiche della tentazione 28


umana, ma in pienezza viene tentato, e nella sua pienezza risponde. Gesù apre la via e insegna la vittoria dal male non come fuga, e nemmeno come dialogo con essa, ma come un “no deciso” corrisposto usando la parola ispirata che proviene da Dio. Impariamo a mangiare la parola di Dio nel nostro quotidiano vivere, essa è alimento dello Spirito, capace di parlare al nostro cuore per scegliere non il libero arbitrio, ma la libertà. Solo così si riesce a sfuggire alla presa del male nella nostra vita. Fare esperienza di tentazione non è un giudizio morale sulla bontà o meno della persona, ma un dato di fatto, a cui tutti sono soggetti. Proprio chi è incamminato per un cammino di conversione riesce a vederne i morsi e i risvolti. In quanto si impara a vivere con le tentazioni senza abbassare la vigilanza, superando il fascino del male per godere della debolezza del bene. Dio facendosi carne si è introdotto nella nostra debolezza, non stravolgendola ma rafforzando la volontà di bene, la volontà di cercare Lui. In questo tempo di grazia che è la Quaresima, la nostra fedeltà alla preghiera ci aiuti a riconoscere gli attacchi della tentazione e l'attrazione del bene, il digiuno rafforzi la rinuncia all'eccesso e la volontà verso il bene, la carità ci conceda di uscir dall'egocentrismo per un'esperienza di bene concreto che custodisce e salva.

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Una settimana con…

piccola sorella Magdeleine Ciò che immagino, o vorrei vedere, per la chiesa, è soprattutto – e questo è il desiderio di molti – che, pur restando la Chiesa di tutti, diventi sempre più la Chiesa dei poveri; che i pastori della Chiesa, senza paura, prendano le parti di coloro che sono oppressi e disprezzati. E, per essere davvero la Chiesa dei poveri, spero che non costruiscano più palazzi vescovili, né si circondino di articoli di lusso, che eliminino tutti quei titoli tipo Reverendo e Reverendissimo, per esprimere sempre meglio le loro funzioni di servizio... Io spero che la Chiesa spalanchi le porte alle altre Chiese, che sia sempre più misericordiosa con i peccatori, e accogliente, come lo era Cristo, con gli increduli e persino con quanti la perseguitano.

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Lunedì 18 febbraio 2013 Lv 19,1-2.11-18; Sal 18; Mt 25,31-46

La legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; Dal Salmo 18

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Essi allora 32


risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna. Matteo 25,31-32.34.41-46 Vorrei che crediate che ci può essere un'amicizia vera, un'affezione profonda tra esseri che non sono né della stessa religione, né della stessa razza, né dello stesso mezzo...occorre che il vostro amore cresca e si sfumi di squisitezza. L'amore generoso si trova facilmente, ma l'amore delicato e rispettoso di ogni essere è raro. Piccola Sorella Magdeleine

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Martedì 19 febbraio 2013 Is 55,10-11; Sal 33; Mt 6,7-15

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata. Isaia 55,10-11

Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. Matteo 6,14-15 Con quanto amore, rispetto, gioia.. con quanta tenera cura dovremmo ricevere chiunque si presenti a noi, ogni essere umano, chiunque sia, tutti, tutti, tutti... Nel riceverli è Gesù che riceviamo. Dobbiamo costruire qualcosa di nuovo! Qualcosa di nuovo che è antico, che è il cristianesimo autentico dei primi discepoli di Cristo. Dobbiamo, parola per parola, riprendere il Vangelo. Piccola Sorella Magdeleine

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Mercoledì 20 febbraio 2013 Gn 3,1-10; Sal 50; Lc 11,29-32

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Giona 3,1-5.10

Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione». Luca 11,29-30 Dio mi ha preso per mano ed io l'ho seguito ciecamente.... Sempre, fin dal primo istante, il Signore mi ha dato una fede pazza, quella fede che Lui aveva promesso di ricompensare spostando montagne. Piccola Sorella Magdeleine 35


Giovedì 21 febbraio 2013 Est 4,17; Sal 137; Mt 7,7-12

Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita; contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano e la tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l'opera delle tue mani. Dal Salmo 137

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Matteo 7,7-11 State attente a non cadere nella grettezza e nell'ottusità, non scandalizzatevi troppo facilmente per cose di poca importanza. Soprattutto, evitate di essere rigide o formali e di agire come i farisei. Siate sempre di vedute larghe, poiché la ristrettezza può distruggere il vero amore. Piccola Sorella Magdeleine 36


VenerdĂŹ 22 febbraio 2013 Cattedra di S. Pietro 1Pt 5,1-4; Sal 22; Mt 16,13-19

INNO Signore, Dio della vita, rimuovi le pietre dei nostri egoismi, la pietra che soffoca la speranza, la pietra che schiaccia gli entusiasmi, la pietra che chiude il cuore al perdono. Risuscita in noi la gioia, la voglia di vivere, il desiderio di sognare. Facci persone di resurrezione che non si lasciano fiaccare dalla morte, ma riservano sempre un germe di vita in cui credere.

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La Parola del Signore

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. Pietro 5,1-4

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Matteo 16, 13-17

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Per la riflessione personale

Chi vuole seguirlo? È possibile seguire Gesù nel suo cammino verso la Pasqua? È possibile accompagnarlo, gustare della sua compagnia fino a Gerusalemme? Non è un cammino troppo difficile, troppo arduo? Mi sembra una domanda importante, urgente, da tradurre nell'oggi di questa Quaresima. Se davvero gli vogliamo bene, se davvero crediamo che lui è il Signore, se per noi i suoi insegnamenti sono parole di vita eterna, non è possibile lasciarlo camminare da solo! Pietro sembra sprofondare in un mare di angoscia quando domanda a Gesù: “Signore dove vai?”. Siamo nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni. Gesù gli ha lavato i piedi, gli ha mostrato quanto e come voler bene, ha annunciato il tradimento di Giuda, ma ha detto anche “dove vado io, voi non potete venire”. E Pietro prova un ultimo disperato appello: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Sappiamo bene che Pietro non ne sarà capace e rinnegherà il suo amato maestro ben tre volte in quella notte. Quella notte però era una notte speciale, unica. Effettivamente Gesù, dal Getsemani al Calvario è abbandonato da tutti… anche da Dio. Leggendo bene tra le righe del Vangelo però si scopre che Gesù desidera fortemente che i suoi, e quindi anche noi, lo seguano a Gerusalemme. Anzi ci dice che seguirlo è l'unico modo per salvarci. Prendiamo Lc 9,23-24. Dopo aver rivelato ai dodici che a Gerusalemme sarebbe stato ucciso per poi risorgere, Gesù a tutti diceva: “se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Quante parole forti e importanti concentrate in questo invito! Innanzitutto non parla solo ai dodici. Parla a tutti, nessuno escluso. E si rivolge, con la sua consueta 39


libertà e disponibilità, a quelli che lo vogliono. Gesù non costringe nessuno. Inoltre la proposta riguarda l'andargli dietro. Non è tanto importante conoscere la meta finale quanto piuttosto seguirlo, stargli vicino, percorrere i suoi passi, restare nella sua scia, aggrapparsi al suo mantello, farsi tirare, farsi guidare… in definitiva stare con lui! Gesù mette due condizioni al seguirlo: rinnegare se stessi e prendere la propria croce ogni giorno. Ma cosa vuol dire rinnegare? Rinnegare significa dire no, sconfessare, non riconoscere come proprio qualcuno a cui si è legati. Pietro ad esempio, per tre volte rinnega Gesù nella notte del processo che lo condannerà a morte. Credo che rinnegare se stessi possa essere interpretato come il dire di no a se stessi, alla propria individualità, alla propria solitudine, alla propria indipendenza, dire di no a tutto quello che ci isola dagli altri e dal Signore, al nostro orgoglioso egoismo, alle nostre ricchezze personali. Da questo “se stessi”, così pesante, così nostro, non ci possiamo liberare. Ma lo possiamo prendere, afferrare e metterlo sulle spalle. È la nostra croce! Ricorda il lettuccio che il paralitico, una volta guarito, deve prendere con sé e con il quale deve camminare (Gv 5,1-10). Il lettuccio è il segno tangibile della condizione di peccatore dalla quale è stato liberato, condizione nella quale può sempre ricadere. Gesù infatti ci dice che dobbiamo prendere la nostra propria croce ogni giorno. La vita cristiana, la vita insieme a lui è una vita penitenziale, di peccatori perdonati, di persone che devono ogni giorno ricevere il pane quotidiano (Lc 11,3) del perdono, che vogliono ogni giorno ascoltare i suoi insegnamenti (Lc 19,47), che vogliono ogni giorno, per tutto il giorno essere prevenuti dallo Spirito Santo per accogliere il mistero della sua comunione con noi. Sappiamo bene che l'innamoramento è una grande esperienza di rinnegamento. L'innamorato rende piccolissimo se stesso per lasciare tutto lo spazio all'amata. È tutto per lei. Ogni pensiero, ogni azione, ogni gesto è fatto per lei e per il suo bene. “Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. 40


Svuotare noi stessi nella carità è proprio perdere la nostra vita. È bellissimo che Gesù ci indichi la via dell'amore come la via per seguirlo. Una via difficile perché comporta il carico della croce, carico quotidiano di noi stessi che però ci rende così leggeri e agili da poterlo seguire con entusiasmo e passione fin a Gerusalemme, fin sul calvario per “morire con lui” e ricevere così il dono della vita eterna con lui. Riascoltiamo allora le parole di Gesù, custodiamole nel nostro cuore per rispondere con slancio alla sua proposta: “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”.

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Dalla tradizione religiosa universale Che Dio ci protegga, che Egli ci nutra, che possiamo lavorare insieme con energia. Che i nostri studi portino frutto. Che possiamo amarci a vivere in pace. O Signore, Dio onnipotente che ci sia pace nelle regioni celestiali. Ci sia pace sulla terra. L'acqua sia calma. L'erba sia sana, e gli alberi e le piante portino pace a tutti. Ci portino pace tutti gli esseri benefici. Che tutte le cose siano fonte di pace per noi, che la Tua stessa pace effonda pace a tutti e che quella stessa pace scenda anche su di me. Confermiamo la nostra fede comune nella costruzione della giustizia e della pace mediante l'impegno comune da parte di tutte le religioni del mondo. Preghiera hindu Padre nostro Orazione. Signore GesĂš, maestro di speranza, donaci di vivere questa virtĂš con la forza che viene dal tuo Spirito. Aiutaci a vedere la realtĂ con i tuoi occhi per scoprire il bene nascosto al di lĂ delle apparenze. Amen.

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Sabato 23 febbraio 2013 Dt 26,16-19; Sal 118; Mt 5,43-48

Venga davanti a te la mia supplica, liberami secondo la tua promessa. Sgorghi dalle mie labbra la tua lode, perché mi insegni i tuoi decreti. La mia lingua canti la tua promessa, perché tutti i tuoi comandi sono giustizia. Mi venga in aiuto la tua mano, perché ho scelto i tuoi precetti. Desidero la tua salvezza, Signore, e la tua legge è la mia delizia. Dal Salmo 118

Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Matteo 5,44-45.48 Ha qualcosa di così bello e di così grande, questo presepio di Betlemme, perchè contiene Cristo nella sua interezza, Dio e uomo insieme. E nel prolungamento di questa culla vi è la bottega di Nazareth e la passione e la croce e tutta la gloria della resurrezione e del cielo. Piccola Sorella Magdeleine 43


Domenica 24 febbraio 2013 II Domenica di Quaresima Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36

Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me si scatena una guerra, anche allora ho fiducia. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario. Dal Salmo 26

Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una 44


nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». Luca 9,28-31.33-35 Davanti al presepio di El Abiodh, vedendo la grande povertà dei nomadi, che soffrono la fame e si ammalano per la siccità che ha decimato i greggi, abbiamo capito meglio il piccolo Gesù sofferente. Piccola Sorella Magdeleine

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Incontro a Gesù Nel nostro cammino quaresimale e, in particolare, nella seconda domenica di Quaresima, la Chiesa ci offre il senso di tutto il cammino di fede, il raggiungimento della felicità possibile sulla terra. Non affanniamoci per ciò che non ci è concesso - la certezza del piacere - piuttosto orientiamo verso l'unica esperienza di bene a nostra portata. L'incontro la felicità terrena, data dall'incontro con un frammento della divinità di Gesù. Non facciamoci illudere dalla religione dell'economia: non si compra la felicità totale sulla terra, si può solo incontrarne frammenti, tanto in quanto non si costringe la vita a noi stessi, ma ci si lascia condurre da Dio in essa. Ecco l'esperienza del Tabor, da non lasciarsi mancare nella vita: un breve e intenso incontro con Cristo nel nostro vivere che ci apre al senso e sapore. Gesù prende l'iniziativa, portando solo tre dei suoi: ogni esperienza di autenticità suppone un rapporto di personalizzazione dell'esperienza, che la massa non produce. La felicità nelle relazioni è esperienza di una intimità che avvicina e non costringe l'altro ai nostri desideri. Gesù porta i suoi a salire sopra il quotidiano vivere per rileggerlo dall'alto del monte dove lo Spirito Santo diventa protagonista. Dentro il quotidiano vivere Gesù si svela come il Mosè concreto capace di leggere tutti i nostri bisogni, anche quelli meno raccontabili e con Elia di 46


rispondervi nel quotidiano vivere. La risposta di Dio ai nostri bisogni non si lascia attendere, ma va colta attraverso il suo stile di presenza: semplicità e moderazione sono la nuova legge del cuore che non opprime, ma libera i nostri desideri da impurità e esagerazioni frutti dell'umano pensare. La semplicità diventa allora l’ingrediente essenziale dell'incontro cristiano fraterno: è semplice colui che manifesta la verità di se stesso, come Pietro sul Tabor. Senza le mille pre-comprensioni di chi nella sua paura di affrontare la realtà la rende complessa e inaccessibile. La moderazione diventa legge del vivere: la misura concede di gustare, percepire e aver un compito di restituzione del ricevuto. Pietro vorrebbe tenere tutto per sé, evitando di sprecare a valle, ma il Signore di ogni esperienza di intimità ne fa una ragione di carità, di ulteriore incontro, non di possesso individualistico. Qui nasce la fraternità cristiana: rinascere a una qualità di relazione intima con Cristo, che trova nei fratelli condivisione e moltiplicazione nonostante le incoerenze e le incomprensioni nostre. Perché amati da Cristo riusciamo ad accettare l'amore incostante e poco coerente che riempie le nostre giornate dell'incontro con i fratelli, e imparare a nostra volta da Lui la pazienza della relazione e dell'incomprensione inscritta in essa.

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Una settimana con…

Shahbaz Bhatti Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani. I passi che più amo della Bibbia recitano: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarlo senza provare vergogna.

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Lunedì 25 febbraio 2013 Dn 9,4b-10; Sal 78; Lc 6,36-38

Siamo divenuti il disprezzo dei nostri vicini, lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno. Fino a quando sarai adirato, Signore: per sempre? Arderà come fuoco la tua gelosia? Non imputare a noi le colpe dei nostri antenati: presto ci venga incontro la tua misericordia, perché siamo così poveri! Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome; liberaci e perdona i nostri peccati a motivo del tuo nome. Dal Salmo 78

«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». Luca 6,36-38

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Credo che i cristiani del mondo abbiano costruito dei ponti di solidarietà , d'amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Shahbaz Bhatti

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Martedì 26 febbraio 2013 Is 1,10.16-20; Sal 49; Mt 23,1-12

«Su, venite e discutiamo» - dice il Signore - «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato». Isaia 1,18-20 Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste». Matteo 23,1-3.5-9 Considero questa la chiave della mia vita: vivere per dare voce a chi non ha voce, vivere per chi soffre, vivere per chi deve affrontare tanti problemi. Shahbaz Bhatti 52


Mercoledì 27 febbraio 2013 Ger 18,18-20; Sal 30; Mt 20,17-28

In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia. Tendi a me il tuo orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Dal Salmo 30

Mentre Gesù saliva a Gerusalemme, gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Matteo 20,20-23

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Viaggiammo in tutto il Paese, incontrammo uomini e donne, poveri, abitanti dei villaggi, contadini oppressi. Così, di villaggio in villaggio, di paese in paese, di città in città, abbiamo raccolto tutti i cristiani in un'unicità tale che potessimo diventare un'unica famiglia e condividere le sofferenze e il dolore di ciascuno. Durante quell'esperienza mi capitò in più di un istante di sentire come la paura del pericolo si impossessa di noi. Ma la forza dello spirito, la benedizione, il nostro potenziale spirituale ci sostengono e ci aiutano a sconfiggere la paura della morte. Shahbaz Bhatti

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Giovedì 28 febbraio 2013 Ger 17,5-10; Sal 1; Lc 16,19-31

Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell'anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti. Geremia 17,7-8

C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, 55


tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti”. Luca 16,19-25 Dobbiamo cambiare la vita di chi è nelle tenebre della persecuzione, nel buio della vittimizzazione. Questo è l'impegno che abbiamo preso: portare la giustizia a coloro che soffrono per le ingiustizie e le disuguaglianze, ovunque nel mondo. Shahbaz Bhatti

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Venerdì 1 marzo 2013 Gen 37,3-4.12-13a.17b-28; Sal 104; Mt 21,33-43.45-46

INNO Signore, fà tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua affinchè non troviamo condanna nella tua parola letta ma non accolta meditata ma non amata pregata ma non custodita contemplata ma non realizzata manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento dell'alleanza e comunione con Te e il Figlio e lo Spirito Santo Dio benedetto nei secoli dei secoli. 57


La Parola del Signore

È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell'alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco. L'ha stabilita per Giacobbe come decreto, per Israele come alleanza eterna, quando disse: «Ti darò il paese di Canaan come parte della vostra eredità». Alleluia. Dal Salmo 104

Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Matteo 21,33-35.37-41.43 58


Per la riflessione personale

La preghiera, avvenimento di comunione Gerusalemme è un luogo, forse unico al mondo, dove si vedono tante persone pregare. Guardare qualcuno pregare suscita sempre un po' di curiosità, ammirazione, coinvolgimento. Guardare qualcuno pregare interpella anche noi sul senso della nostra preghiera, sull'autenticità delle nostre parole, della nostra devozione, del nostro stare tra gli altri pregando. Quando penso ai luoghi di preghiera di Gerusalemme penso a quelli cari a noi cristiani, come il Santo Sepolcro o il Getsemani, dove tanti pellegrini sostano qualche minuto in raccoglimento. Oppure penso ai fedeli che percorrono la via dolorosa meditando le stazioni della via crucis. Ma non sono gli unici “oranti”. Non è difficile imbattersi in qualche ebreo o ebrea osservante immerso nella lettura del libro sacro, mentre cammina velocemente per strada o viaggia nell'autobus di linea. Senza troppe formalità i mussulmani interrompono il loro lavoro e si mettono a pregare, stendendo il piccolo tappeto per strada, inginocchiandosi e recitando le preghiere rituali. Anche Gesù ha camminato su questi colli, anche lui pregava e anche lui è stato visto dai suoi discepoli. E come pregava Gesù? È il vangelo di Luca che ci parla in modo particolare di Gesù che prega. Lo descrive sia nei momenti ordinari della sua vita sia e soprattutto nei momenti importanti. Uno dei più belli è quello del monte Tabor: “Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi 59


nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme”. (Lc 9,28-36). Possiamo ricavare da questi versetti qualche spunto per la nostra preghiera in questo tempo di quaresima. Notiamo innanzitutto che soltanto Luca incornicia la trasfigurazione di Gesù, nella preghiera. È durante la preghiera che il volto diventa “altro” e le sue vesti biancheggiano. Sembra quasi che il corpo di Gesù mostri all'esterno la sua intimità con Dio, la forza del suo legame con lui, la pienezza dello Spirito Santo che lo penetrava fin nelle fibre più profonde del suo essere e che esplode all'esterno con lampi di luce. Non è tanto una preghiera solitaria, ascetica, un elevarsi a Dio. È al contrario uno straordinario avvenimento di comunione. Gesù infatti ha vicino a sé i discepoli che sono stati presi da lui per salire sul monte. Benché non si dica che questi pregano con lui, tuttavia sono lì, lo osservano, lo vedono pregare e ne scoprono l'identità e la natura più profonda, più vera. Quando Gesù cambia d'aspetto, appaiono altri due personaggi: Mosè ed Elia che conversano con lui del suo esodo, del suo viaggio verso Gerusalemme. La preghiera è infatti una conversazione sulla Pasqua! Un dialogo con gli antichi profeti, che a loro volta hanno vissuto esodi e pasque, segno e profezia di questa Pasqua. E i discepoli? Hanno sonno. Non sanno cosa dire. Hanno paura. Ma non sono bloccati. Insita nella loro povertà e nel loro limite c'è già un'energia nuova che li rende vivi, attivi, partecipi di quello che sta accadendo. Infatti si svegliano dal sonno e vedono la Gloria. Non sanno cosa dire ma Pietro azzarda una proposta di accampamento a tre tende sul monte. Hanno paura ma entrano nella nube, nube che forse ricorda loro la nube terribile del deserto dove solo Mosè entrava per parlare con Dio. E tendono le orecchie per sentire la voce che parla nella nube. Come siamo ben descritti in questi versetti, nel nostro pregare quotidiano. È nella preghiera che ci risvegliamo e ci rivolgiamo a 60


Lui, alla sua Gloria. È nella preghiera che, anche se non sappiamo bene cosa dire o cosa domandare, possiamo fare proposte audaci al Signore di comunione tra noi e con lui, più belle e definitive. È nella preghiera che ci immergiamo nella nube, silenziosa e luminosa, dove solo la parola del Padre riecheggia al nostro orecchio: “Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!”. Fa impressione la conclusione dell'episodio narrato da Luca: “e quando la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero”. La scena che prima era ricca di persone, di immagini, di luce, di voce… si svuota. Resta solo Gesù. C'è solo lui. È lui che assume in sé tutta la ricchezza, l'interesse, la bellezza del Tabor. Tutto si concentra in lui. E, bella notizia per noi, i discepoli sono con lui! Solo lì davanti a lui, concentratissimi che lo guardano. Non possono far altro che ascoltare lui e lui solo. E tacciono. Un grande silenzio pervade il loro cuore. Abbiamo anche noi dunque l'opportunità di metterci alla sua sequela, alla scuola della sua preghiera, all'ascolto della sua parola e custodire questo incontro bellissimo nel silenzio sia esteriore sia interiore che è puro dono di Dio!

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Dalla tradizione religiosa universale Onnipotente Dio, sostegno del mio respiro vitale. Amico dei vedovi, amico dei poveri, liberami dalla pena e concedimi la pace. Sono caduto nella oscurità: aiutami tu mio Dio. Tu sei mio padre e mia madre, Dio mio, mio fratello, mio parente. Non rifiutarmi la tua grazia, Dio. Nessuno è nulla senza di Te, e soltanto Tu esisti nel posto che noi tutti amiamo e verso cui andiamo. In Te tutte le mie pene sono superate, o mio caro Dio. Preghiera sikh Padre nostro Orazione. Signore noi ti ringraziamo perché ci hai radunati ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome. Signore, tu ci metti davanti la tua Parola, quella che tu hai ispirato ai profeti: fà che ci accostiamo a questa Parola con riverenza, con attenzione, con umiltà, fa che non sia da noi sprecata, ma sia accolta in tutto ciò che essa dice. Noi sappiamo che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere la semplicità della tua Parola. Manda il tuo Spirito in noi perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità affinchè essa trasformi la nostra vita.

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Sabato 2 marzo 2013 Mi 7,14-15.18-20; Sal 102; Lc 15,1-3.11-32

Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi. Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. Dal Salmo 102 Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre». Luca 15.11-14.17-20 Portare un cambiamento nella vita di coloro che vivono nelle tenebre, di chi non ha una speranza, portare un sorriso sui volti di coloro che vivono nel terrore. Lavoreremo insieme per promuovere l'armonia, la tolleranza e riempiremo il vuoto che oggi esiste tra coloro che sono di religione diversa. Shahbaz Bhatti 63


Domenica 3 marzo 2013 III Domenica di Quaresima Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». Esodo 3,14-15

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Luca 13,1-5

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Ascoltai un sermone sulla vita di Gesù. Mi ritrovai a riflettere sull'amore di Gesù per noi e pensai di corrispondere a questo suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle. Io non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere.Voglio un solo posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Shahbaz Bhatti

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Restare nella storia Nel vangelo di oggi, l'evangelista Luca ci presenta la sua grande premura: trasmettere e non tradire ciò che anche lui ha ricevuto dono. È stata cura di Luca ricostruire più fedelmente possibile la storia dei fatti di Gesù, perché è proprio nella storia che Dio torna a manifestarsi nel segno di Gesù attraverso lo Spirito Santo. Da questo passo iniziale il vangelo salta al capitolo quattro, l'inizio della missione pubblica di Gesù. Gesù incomincia la sua missione, e coglie il compiersi della parola di Dio. Dio sta mantenendo le sue promesse proprio nell'esperienza che Gesù sta insieme scoprendo e quindi insegnando. La fede in Gesù è uno sguardo nuovo sulla vita. Di fede ha bisogno ogni uomo, ma l'uomo costruisce la sua fede o con l'assicurazione dei beni materiali, oppure attraverso la superstizione. La superstizione è ‘‘stare sopra’’ (super) la storia di fatiche e sofferenze, pensare di dover fare grandi sacrifici propiziatori ad una divinità cattiva affinché non capiti nessuna fatica o sofferenza non prevista. Gesù porta una regalità e una divinità diversa, non quella della superstizione, ma quella della comunione, della condivisione. Viene ad annunciare a chi sperimenta la fatica e la difficoltà di smettere di pensare ad una possibile distanza di Dio con loro. Al contrario. Dio, avendo bussato inutilmente 66


alle porte chiuse dei superstiziosi benestanti, bussa alla porta dei bisognosi aperti ad ogni incontro. Lui viene incontro ad ogni uomo, ma solo chi è nel bisogno ha la porta aperta. È lo Spirito del Signore che guida la storia, che ha costruito le leggi fisiche, e anche quelle del cuore. È lo Spirito che da sempre i profeti inseguono, lasciano parlare. Adesso ha trovato docilissima dimora in Gesù, che ne sente e comunica la forte attualità.Tocca ad ogni uomo accendere il suo “oggi” e scoprire questo Spirito che mostra la coerenza ad una legge eterna. E aprirgli la porta. Da qui nasce la salvezza che si manifesta nella visibilità della fraternità cristiana. La fraternità cristiana diviene un'esperienza di condivisione di ciò che di povero ognuno di noi ha, come porta di accesso dello Spirito in noi. Spesso chiudiamo le nostre porte ai fratelli per non essere invasi dai bisognosi che saccheggiano la nostra vita. La consapevolezza del bisogno di ciascuno può diventare non pretesa di ricevere, ma povertà di lasciarsi accogliere, vedendo come l'unità delle persone moltiplica le risposte alle necessità di cui c'è bisogno. Le nostre povertà riempite dallo Spirito, che avvicina gli uni agli altri facendo cogliere i doni ricevuti, permette di formare un corpo che compensa e aiuta a vicenda. Impariamo a restare anche noi nella nostra storia, con le nostre relazioni e faccende che a volte ci appaiono più pesanti che mai, ma che di fatto sono il tramite dello Spirito per arrivare a noi.

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Una settimana con…

Pavel Florenskij Non fate le cose in maniera confusa, non fate nulla in modo approssimativo, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo. Ricordate che nell'approssimazione si può perdere la propria vita! (…) Cari figli miei, guardatevi dal pensare in maniera disattenta. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che ci si prenda cura con tutte le forze del suo oggetto. (…) Quando proverete tristezza nel vostro animo guardate le stelle oppure il cielo di giorno. Quando siete tristi, offesi, sconsolati o sconvolti per un tormento dell'anima, uscite all'aria aperta e fermatevi in solitudine immersi nel cielo. Allora la vostra anima troverà quiete.

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Lunedì 4 marzo 2013 2Re 5,1-15a; Sal 41e 42; Lc 4,24-30

Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita. Dal Salmo 41

Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Luca 4,24.27-30 La mia ferma convinzione che al mondo niente si perde, né di bene né di male, e presto o tardi lascerà il suo segno. (…) La mia più intima persuasione è questa: nulla si perde completamente, nulla svanisce, ma si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo. Ciò che è immagine del bene e ha valore rimane, anche se non cessiamo di percepirlo (…) senza questa consapevolezza la vita si perderebbe nel vuoto e nel non senso. Pavel Florenskij 70


Martedì 5 marzo 2013 Dn 3,25.34-43; Sal 24; Mt 18,21-35

Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore. Dal Salmo 24

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Matteo 18,21-22 La vita vola via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti sfugga l'istante della sua pienezza. Per questo è fondamentale apprendere l'arte del vivere, tra tutte la più ardua ed essenziale: colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso non si ripeterà mai più come tale. Pavel Florenskij

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Mercoledì 6 marzo 2013 Dt 4,1.5-9; Sal 147; Mt 5,17-19

Vedete, io vi ho insegnato leggi e norme come il Signore, mio Dio, mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? Deuteronomio 4,5-7

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Matteo 5, 17-19 Il fragile vaso delle parole umane deve poter contenere il diamante infrangibile della divinità. Pavel Florenskij 72


Giovedì 7 marzo 2013 Ger 7,23-28; Sal 94; Lc 11,14-23

Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Perché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dèi. Dal Salmo 94

Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Luca 11,14-23 Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso sull'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all'aria aperta e intrattenetevi, da soli, col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete. Pavel Florenskij 73


VenerdĂŹ 8 marzo 2013 Os 14,2-10; Sal 80; Mc 12,28b-34

INNO Benedici Iddio, mia anima, uno ad uno, o visceri miei, benedite il nome suo santo. Egli sa come siamo plasmati; che ci ha fatti di fango ricorda. Sono erba i giorni dell'uomo, la sua vita un fiore dei campi ma l'amore di Dio è per sempre; è da sempre per quanti lo temono. Benedite il Signore, voi tutte creature del vasto suo regno: benedici il Signore, mia vita.

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La Parola del Signore

«Se il mio popolo mi ascoltasse! Se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici e contro i suoi avversari volgerei la mia mano; quelli che odiano il Signore gli sarebbero sottomessi e la loro sorte sarebbe segnata per sempre. Lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele dalla roccia». Dal Salmo 80

Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi». Marco 12,28-31

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Per la riflessione personale

Consegnato nelle mani degli uomini Nel cammino verso Gerusalemme, Gesù non smette di dare ai suoi discepoli occasioni di riflessione sulla strada che stanno facendo e soprattutto sulla verità di quello che stanno vivendo con lui. È per noi una grande opportunità poter ascoltare quelle parole e saperle indirizzate proprio a noi, oggi, che tentiamo di raccogliere il nostro cuore intorno al mistero della Pasqua. Racconta il vangelo di Luca: Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento. (9,43-45) L'ordine appare molto perentorio, soprattutto perché è dato subito dopo che i discepoli non erano riusciti, da soli, a guarire un bambino indemoniato. Gesù interviene e scaccia il demonio. Ma sull'onda di questo successo dice ai discepoli “incapaci”: “mettetevi bene in testa queste parole…”. Nella lingua originale suona ancora più forte: “ponete nelle vostre orecchie queste parole”. Gesù sembra prevedere l'incomprensione, la difficoltà a capire il senso di quella frase, a coglierne la portata profetica. Ma è importante che i discepoli l'abbiano ascoltata, l'abbiano ben presente, l'abbiano fissa nel cuore, se la ricordino. Si tratta del secondo annuncio della Passione. Questa volta però Gesù dice una sola frase, molto incisiva: “il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”. L'espressione Figlio dell'uomo, in questo contesto, raccoglie tutta l'intimità, 76


l'adesione, la partecipazione, il legame di Gesù con tutti gli altri esseri umani. È uno di noi! Anche il verbo consegnare è molto denso. Il latino usa tradere. Significa sia dare, consegnare, affidare, rimettere ma anche tradire, abbandonare. È in forma passiva, come spesso nel NT si suole indicare l'azione di Dio. E quelle mani degli uomini ci fanno immediatamente presagire che non saranno mani benevole, amichevoli, accoglienti, materne ma insensibili, violente, dure, brutali, selvagge. Perché questa consegna? Perché questo tradimento? Cosa ne sarà di lui? A chi verrà affidato? Quali mani lo prenderanno, lo toccheranno? Sarà come un oggetto da prendere e da buttare? E Lui non si ribellerà. Sarà mite, buono, silenzioso. Accetterà quello che di lui vorranno fare. Questa prospettiva urta profondamente la nostra sensibilità. Basta provare, per un momento, ad immaginare all'eventualità che persone a noi care, addirittura piccole ed inermi, possano subire la stessa consegna. Oppure pensare a noi stessi affidati ciecamente a mani sconosciute, abbandonati al volere di altri che non conosciamo, traditi a persone nemiche. La chiarezza con cui Gesù esprime quello che sta per subire, e il suo comando di metterci ben in testa queste parole, ci devono spingere a considerare questa “consegna nella mani degli uomini” come una buona notizia. Essa è la sintesi di tutta la vita del Figlio di Dio, del verbo fatto carne e della sua missione, della sua discesa in mezzo a noi. La buona notizia è questa: Gesù è messo - dal Padre - nelle mani degli uomini! È mandato, consegnato, affidato, regalato, senza vincoli, condizioni, limiti a tutti gli uomini e le donne. È un seme gettato nel terreno del mondo con larghezza, sperpero, abbondanza. I discepoli non capiscono quelle misteriose parole. Forse capiscono che per il loro maestro è finita. Non sarà più il loro maestro. Non sarà più con loro. La loro bella avventura con lui è finita, conclusa, terminata. Per questo discutono su chi di loro sia il più 77


grande (Lc 9,47), il migliore, quello che occuperà il posto di Gesù. Forse hanno il panico di abbandono e cercano un sostituto. E nei versetti successivi del Vangelo di Luca leggiamo come Gesù faccia la seconda, inaspettata sorpresa: prende un bambino vicino a sé e dice: “chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato” (Lc9,48). La consegna nelle mani degli uomini infatti non vuol dire la sua perdita. Tutto al contrario. Sarà finalmente per tutti, di tutti, con tutti! Sarà così piccolo, così indifeso, così “ultimo” da essere regalato ad ogni uomo e donna della terra, qualunque sia la sua condizione, la sua vita, la sua grandezza. Questo è infatti il segreto profondo della morte in croce del Figlio di Dio, del suo svuotamento completo, del suo annientamento, del suo donarsi tutto. Le ultime parole di Gesù in croce prima di morire sono proprio queste: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). L'evangelista Giovanni, usando lo stesso nostro verbo tradere, è ancora più essenziale: “chinato il capo consegnò lo spirito” (Gv 19,30). Gesù regala tutto se stesso, cioè il suo Spirito, morendo in croce.

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Dalla tradizione religiosa universale Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi sarĂ manifestato che tu sei Dio in Israele, e che io sono Tuo servo e che ho fatto tutte queste cose conformemente alle Tua parola. Rispondimi, Signore, rispondimi e sappia questo popolo che Tu, Signore, sei Dio e Tu avevi promesso che il loro cuore si ritirasse indietro. Preghiera ebraica Padre Nostro Orazione. Infondi a noi, o Signore, lo Spirito del tuo amore. Ăˆ questo Spirito che ha strappato GesĂš alla morte e ce lo ha restituito come compagno di viaggio nel nostro cammino verso Te. Fa' che arrichiti da questo Spirito siamo capaci di realizzare una vita nuova, portatrice di speranza e ricca di amore. Amen.

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Sabato 9 marzo 2013 Os 6,1-6; Sal 50; Lc 18,9-14

«Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora». Osea 6,1-3 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Luca 18,10-11.13-14 Ognuno ha il proprio dolore e la propria croce. Perciò non lamentarti della tua. In questo periodo attorno a me ho visto tanto dolore in tutte le sue forme e le sue cause, che ciò mi ha distolto completamente dal mio. Vivo di ricordi, mi rammento dei più piccoli dettagli di ciascuno di voi (…) Il passato non è passato, ma è custodito e rimane per sempre, ma noi lo dimentichiamo e ci allontaniamo da esso. Tuttavia, in seguito, lungo il susseguirsi imprevedibile delle circostanze, esso riappare di nuovo come un eterno presente. Pavel Florenskij, lettera alla moglie. 80


Domenica 10 marzo 2013 IV Domenica di Quaresima Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. 2Corinzi 5,21

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Luca 15, 20-24 Essere e non apparire, costruire una disposizione d'animo chiara e trasparente, una percezione del mondo integrale, e coltivare con attenzione e in modo disinteressato il pensiero. Non tradire mai le tue più profonde convinzioni interiori per nessuna ragione al mondo. Ricorda che ogni compromesso porta a un nuovo compromesso, e così all'infinito. Pavel Florenskij 81


La paternità di Dio L'immagine più bella della paternità di Dio che troviamo nella Bibbia è quella di un papà che aspetta la maturazione dei suoi figli. Proprio la libertà è la caratteristica con la quale Dio ci ha creati e proprio la libertà diventa un banco di prova per Dio. Fino a che punto Dio è disposto ad amarci nella nostra libertà? Dio ci ama punto e basta. Gesù ci mostra un'immagine di un Dio talmente buono e giusto, da donare tutto se stesso per avere una relazione corretta con noi. Corretta nel senso di giusta, pienamente libera, non soffocata o infreddolita da sensi del dovere che non spingano all'amore. Il primo figlio della parabola rappresenta l'uomo che vuole essere pienamente libero e fare verità con la sua esperienza. Il padre gli va stretto, è per lui una immagine di chi lo limita. Ma se noi, padri umani, effettivamente facciamo fatica a credere nei figli e cerchiamo appigli per limitare la libertà dei figli e legarli a noi, non è così per Dio. Dio si fida di noi, ed è disposto a darci tutta la parte che ci spetta per dimostrarcelo. E noi vogliamo metterlo alla prova con la nostra libertà che nasce infantile, intimorita da ciò che potrebbe limitarci, piuttosto che capace di vedere ciò che ci fa crescere. Dio ci invia nella vita a provare la sua fedeltà e la 82


verità di quello che ci dona. Il primo figlio infatti presto cade nelle conseguenze del libero arbitrio: trovarsi in un vicolo cieco. Spesso proprio i vicoli ciechi, i fallimenti della nostra vita, sono l'occasione nostra o della commiserazione umana, o della chiamata divina a convertirsi. Convertirsi da uno sguardo di solitudine, dove pensiamo di dover far tutto da soli, a uno sguardo di custodia di un padre che a colpi di stima e libertà ci vuole con sé. La pazienza di Dio è infinitamente più grande del peccato dell'uomo. Ma il tempo della conversione dell'uomo purtroppo finisce non appena l'uomo pensa di tornare a far da solo. Il secondo fratello seppur rimasto in casa, per invidia e gelosia della libertà e delle possibilità del fratello è anche lui escluso dal dono di sentire di avere un padre, destinato a non cercarlo e trovarlo nemmeno. L'esperienza di quaresima ci porti a diventare come il terzo fratello, quello non scritto in questa parabola, ma nel nuovo testamento: San Paolo, che da fratello maggiore rimasto in casa, persecutore dei fratelli minori, a un certo punto, capito l'amore ricevuto, fa della sua vita una missione di ricerca del fratello disperso per riportarlo all'amore del padre. Paolo porta nel cuore un padre non solo suo, ma di tutti.

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Una settimana con…

Madaleine Delbrêl C'è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n'è altra che egli lascia nella moltitudine, che non “ritira dal mondo”. È gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un'ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, e lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, e vestiti ordinari. È la gente della vita ordinaria. Gente che s'incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta che si è rinchiusa definitivamente sopra di essi. Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato. 85


Lunedì 11 marzo 2013 Is 65,17-21; Sal 29; Gv 4,43-54

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato, non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me. Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa. Dal Salmo 29

Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Giovanni 4,46-50 Ogni piccola azione è un avvenimento immenso nel quale ci viene dato il paradiso, nel quale possiamo dare il paradiso. Non importa che cosa dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una penna stilografica. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto ciò non è che la scorza della realtà 86


splendida, l'incontro dell'anima con Dio rinnovata ad ogni minuto, che ad ogni minuto si accresce in grazia, sempre più bella per il suo Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Un'informazione? ...eccola: è Dio che viene ad amarci. È l'ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare. Madaleine Delbrêl

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Martedì 12 marzo 2013 Ez 47,1-9.12; Sal 45; Gv 5,1-16

Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare. Fremano, si gonfino le sue acque, si scuotano i monti per i suoi flutti. Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio, la più santa delle dimore dell'Altissimo. Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare. Dio la soccorre allo spuntare dell'alba. Dal Salmo 45

A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». E all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Giovanni 5,2-9

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Facci vivere la nostra vita, non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l'universo d'amore. Signore, vieni ad invitarci. Madaleine Delbrêl

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Mercoledì 13 marzo 2013 Is 49,8-15; Sal 144; Gv 5,17-30

Giubilate, o cieli, rallégrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri. Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Isaia 49,13-15

Non meravigliatevi di questo: viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una resurrezione di vita e quanti fecero il male per una resurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. Giovanni 5,28-30 Signore, i miei occhi, le mie mani, la mia bocca sono tuoi. / Questa donna così triste davanti a me: ecco la mia bocca perché tu le sorrida. / Questo bambino quasi grigio, tanto è pallido: ecco i miei occhi perché tu lo guardi. / Quest'uomo così stanco: ecco tutto il mio corpo perché tu gli lasci il mio posto, ed ecco la mia bocca perché tu gli dica dolcemente: “Sedetevi”. / Questo ragazzo così fatuo, così sciocco, così duro, ecco il mio cuore perché tu lo ami, più di quanto non lo sia mai stato... Madaleine Delbrêl 90


Giovedì 14 marzo 2013 Es 32,7-14; Sal 105; Gv 5,31-47

Molte volte li aveva liberati, eppure si ostinarono nei loro progetti e furono abbattuti per le loro colpe; ma egli vide la loro angustia, quando udì il loro grido. Si ricordò della sua alleanza con loro e si mosse a compassione, per il suo grande amore. Dal Salmo 105

«Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio?» Giovanni 5,41-44 Si semina Dio all'interno del mondo, sicuri che germoglierà da qualche parte, perché: “Dove non c'è amore, mettete amore e raccoglierete amore”. Madaleine Delbrêl

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VenerdĂŹ 15 marzo 2013 Sap 2,1a.12-22; Sal 33; Gv 7,1-2.10.25-30

INNO Favorevole tempo è questo -lo proclama di Dio la parolaPer sanare un mondo malato, in preghiera e santo digiuno. Tu sai il mistero del tempo e quando finisce la storia, risveglia l'attesa dei cuori, fedeli all'oggi di Dio. Completa ogni nostro lavoro dà senso a ogni esistenza bellezza diffondi sul mondo Autore di tutto il creato.

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La Parola del Signore

Venite figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore. Chi è l'uomo che desidera la vita e ama i giorni in cui vedere il bene? Custodisci la lingua dal male, le labbra da parole di menzogna. Sta' lontano dal male e fa' il bene, cerca e persegui la pace. Gli occhi del Signore sui giusti, i suoi orecchi al loro grido di aiuto. Dal Salmo 33

Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Giovanni 7,28-29

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Per la riflessione personale

Non glielo impedite! Chi viene in Terra Santa e non si limita al percorso classico e lineare dei pellegrinaggi tradizionali, ma tocca con mano da vicino la condizione di vita quotidiana dei palestinesi che abitano nei territori occupati, entra in contatto con una delle realtà più difficili da accettare: il sistema di barriere, ostacoli, impedimenti, proibizioni a cui essi sono sottoposti. Non possono passare il muro, non possono muoversi liberamente, non possono costruire case, non possono percorrere certe strade, non possono lavorare, non possono sposarsi, non possono pensare al futuro… I casi di profonda ingiustizia sono un monito severo per la comunità umana che resta a guardare indifferente. Si potrebbe allargare il discorso dalle nostre realtà familiari, alle collettività locali dove siamo inseriti, al nostro paese fino al mondo intero fatto di nazioni e notare come il problema dell'impedire , proibire, ostacolare è vasto e ben presente, connesso con il principio di libertà dell'uomo, con il principio di giustizia nel suo realizzarsi. Continuando il nostro cammino quaresimale dietro a Gesù, verso la Pasqua, troviamo due casi interessanti nel vangelo di Luca. Essi hanno come protagonista l'apostolo Giovanni. Il primo è questo: “Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi» (Lc 9,49). Fa molta impressione questa motivazione: quell'uomo non seguiva, non camminava con loro. L'evangelista Marco 9,38 è ancora più forte: “perché non ci segue”. E per questo gli viene impedita un'azione buona e importante come scacciare i demoni in nome di 94


Gesù. Se ci pensiamo bene, tanti ostacoli e proibizioni che mettiamo al cammino dei fratelli, dei figli, ma anche delle persone sconosciute, vengono proprio da questo non sentirli del nostro gruppo, non vederli al nostro seguito. La risposta di Gesù spazza via il nostro egoismo e la nostra superbia, aprendoci gli occhi a vedere in altro modo il nostro prossimo: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».(Lc 9,50). Non dobbiamo più guardare gli altri in base al vederli con noi, dietro di noi, ma al loro essere per noi, a nostro favore, a nostro bene … sempre! Se li troviamo contro di noi, cioè ostili, avversi, nemici nell'agire, nel parlare, nel potere, il Signore ci invita alla pronta riconciliazione (Mt 5,23-24). In tutti gli altri casi i fratelli sono nel profondo, nella verità, per noi. Pochi versetti più avanti il secondo episodio. Giovanni e il fratello Giacomo si trovano davanti al rifiuto dei samaritani di accogliere Gesù nei loro villaggi perché era diretto verso Gerusalemme. I samaritani sembrano davvero contro! E per i due apostoli l'opposizione a Gesù è insopportabile: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Gesù si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. (Lc 9,5156). Ci fa quasi sorridere questa idea di far scendere un fuoco dal cielo. Ma forse non è così lontana dal nostro modo di vedere quelli che si mettono contro di noi, si rifiutano, si oppongono, quelli che secondo noi non hanno lo stesso nostro rapporto di apertura e di accoglienza verso il Signore. Gesù è severo con i due fratelli. Si volta indietro e li rimprovera. Arresta per un momento il suo cammino. Quelli che aveva inviato davanti a se come messaggeri, li ritrova dietro a sé, in affanno. Ma è un rimprovero salutare. Anche noi spesso abbiamo la grazia di ricevere rimproveri del genere, soprattutto quando leggiamo la Parola di Dio che “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello 95


spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4,12-13). Gesù è un uomo di pace. Certamente cammina deciso, ha il volto fermo verso la sua meta ma tutt'altro che intollerante, inflessibile e drastico. Gesù lascia a ciascuno la propria libertà, i propri tempi, le proprie scelte. Preferisce fermarsi a parlare con le persone, magari davanti ad un pozzo d'acqua (Gv 4,1-41) . Dialogando fa scoprire la loro sete, il loro bisogno di Lui. Dovrà allungare la strada, impiegare molto più tempo, e, senza bruciare nessuno, troverà molti nuovi discepoli che, ascoltandolo, sapranno che Lui è veramente il salvatore del mondo.

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Dalla tradizione religiosa universale Signore, essere in te come un albero dalle radici profonde che attinge alle sorgenti della vita, come un albero ben diritto e levato verso il cielo aperto al vento del tuo Spirito. Signore, essere in te come un albero che vive al ritmo delle stagioni, e che porta frutti al suo tempo e nuovi germogli dopo l'inverno. Essere in te come un albero che porta la vita. Comunità evangelica di Strasburgo Padre Nostro Orazione. Signore Dio nostro, nella sera dell'abbandono, della paura e dell'angoscia, il tuo GesÚ nella forza della fede, tiene vivo il sogno per l'uomo. O Cristo, che hai attraversato la morte, che sei il vivente per sempre, facci partecipi del tuo Spirito. Che esso ci faccia attraversare le nostre morti e i nostri deserti con la certezza che sei vicino a noi, con il cuore aperto a condividere i pesi della vita con i nostri fratelli sapendo che anche per noi è preparata la Resurrezione. Amen.

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Sabato 16 marzo 2013 Ger 11,18-20; Sal 7; Gv 7,40-53

Sorgi, Signore, nella tua ira, àlzati contro la furia dei miei avversari, svégliati, mio Dio, emetti un giudizio! Il Signore giudica i popoli. Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia, secondo l'innocenza che è in me. Cessi la cattiveria dei malvagi. Rendi saldo il giusto, tu che scruti mente e cuore, o Dio giusto. Dal salmo 7

Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Giovanni 7,45-49 Io voglio ciò che tu vuoi senza chiedermi se lo posso senza chiedermi se lo desidero senza chiedermi se lo voglio. Madeleine Delbrêl 98


Domenica 17 marzo 2013 V Domenica di Quaresima Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Isaia 43,18-19.21

Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si 99


alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno va' e d'ora in poi non peccare più». Giovanni 8,3-11 Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni: in essa, quel che tu permetti dà suoni strani nella serenità di quel che tu vuoi. Insegnaci a indossare ogni giorno la nostra condizione umana come un vestito da ballo, che ci farà amare di te tutti i particolari. Come indispensabili gioielli. Madaleine Delbrêl

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Perché perdonati possiamo perdonare, Da sempre l'uomo che non ha forza nei suoi legami cerca capri espiatori per creare complicità nel colpire qualcuno. Questa è la legge del branco che si crea in forma naturale ogni volta che persone, anche buone, non si lasciano guidare dallo Spirito ma dalla natura. Non si mette al centro il povero per aiutarlo, ma per colpirlo. La nostra società di massa e della comunicazione, non più cristiana, ogni giorno ostenta le povertà altrui per lanciare giudizi e cattiverie che facciano un comune villaggio di consensi vacui attorno all'interesse di qualcuno. Questa è la legge dell'attuale mercato libero. Ecco il vangelo della donna adultera. Secondo la legge di Mosè una donna così doveva essere lapidata, come esempio per tutti, in un contesto di grande disordine morale e sociale. I farisei e gli scribi vogliono quindi mettere alla prova Gesù per vedere se è dalla parte della legge oppure no. Hanno notato in Gesù una forte propensione per le persone fragili, deboli, ma come conciliare questo con la forza della legge? Forse è la volta buona che riescono a incastrare Gesù, che con la “sua leggerezza” sta allontanando la gente dai capi del popolo che sorvegliano con severità l'osservanza alla Legge. Gesù è un grande maestro, come Mosè e molto di più. Distingue tra legge e condanna. La Legge è stata fatta per rendere l'uomo libero, capace di raggiungere il bene. La condanna vera al non rispetto della legge ha le conseguenze sul 101


vivere, perciò la pena umana non deve diventare vendetta o repressione della libertà ma redenzione, salvezza. Gesù non sconfessa la legge e riconosce il peccato della donna, sa che se si scavalca la legge, si finisce nei burroni della vita. Ma quando si finisce nei burroni della vita, serve qualcuno che ci tiri su e ci faccia ripartire, non che ci sotterri. Chi è senza peccato scagli la prima pietra: chi non è in cammino nella legge? Chi non fa fatica in qualche dimensione dell'obbedienza alla legge? Ognuno, se proprio vuole, può giudicare se stesso e trovarsi la sua pena; non farsi giudice e carnefice degli altri. Allora il giudizio deve essere di salvezza, un modo per tirar fuori il fratello dal suo male, non per chiuderlo a chiave pensando di non essere contagiati. Il male sta nel cuore di ciascuno, non nelle strade abbandonate. “Va e non peccare più”: salvata la libertà della donna, ecco una nuova legge: non peccare più. Non farlo più per paura della legge, ma per l'amore ricevuto da Gesù, che ti considera non peccatrice, ma donna. Ecco la salvezza: sentirsi perdonati nel nostro profondo, in tutte le nostre miserie che siamo disposti a lasciare venire a galla alla luce di Gesù. L'esperienza di questa misericordia con se stessi, ha poi manifestazione nella misericordia verso gli altri. L'illusione che spesso abbiamo è quella di colpire le fragilità degli altri pensando di allontanare le nostre. Ecco un segno di fraternità autentica nelle nostre comunità cristiana: il perdono. Perché perdonati, possiamo perdonare. Ogni perdono viene accolto quando entra in noi il desiderio di conversione e di riparazione della pena provocata, e la misericordia verso gli errori altrui. 102


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Una settimana con…

don Tonino Bello Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte. Pasqua allora sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.

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Lunedì 18 marzo 2013 Dn 13,1-9.15-17.19-30.33-62; Sal 22; Gv 8,12

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia, mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Dal Salmo 22

Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita». Giovanni 8,12 La speranza è impegno robusto che non ha nulla da spartire con la fuga. Chi spera, cammina, non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena. costruisce il futuro, non lo attende con pigrizia. Don Tonino Bello

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Martedì 19 marzo 2013 2Sam 7,4-5a.12-14a.16; Sal 88; Rm 4,13.16-18.22; Mt 1,16.18-21.24a opp Lc 2,41-51a

«Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d'uomo e con percosse di figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre». 2Samuele 7,14-16

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Matteo 1,18-21

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La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del ÂŤterzo giornoÂť. Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d'ora le luci di un mondo nuovo. Don Tonino Bello

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Mercoledì 20 marzo 2013 Dn 3,14-20.46-50.91-92.95; Cant Dn 3,52-56; Gv 8,31-42

Nabucodònosor prese a dire: «Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all'infuori del loro Dio». Daniele 3,95

Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Giovanni 8,31-32 Chi sta alla tavola dell'eucaristia deve "deporre le vesti". Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell'interesse personale, per assumere la nudità della comunione. Deporre le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza. Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni. Don Tonino Bello

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Giovedì 21 marzo 2013 Gen 17,3-9; Sal 104; Gv 8,59

Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re». Genesi 17,3-6

In verità, in verità io vi dico: «Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete». Giovanni 8,51-52.54-55 A voi che non contate nulla agli occhi degli uomini, ma che davanti agli occhi di Dio siete grandi, coraggio! Dio non fa graduatorie. Non sempre si lascia incantare da chi sa parlare meglio. Non sempre, rispetto al sospiri dignitosi dei povero, dà la precedenza al canto gregoriano che risuona nelle chiese. Non sempre si fa sedurre dal profumo dell'incenso, più di quanto non si accorga del tanfo che sale dai sotterranei della storia. Don Tonino Bello 110


Venerdì 22 marzo 2013 Ger 20,10-13; Sal 17; Gv 10,31-42

INNO Segno di fede tu splendi, o croce, albero nobile come nessuno: mai una selva produsse fra tutte rami e fiori e frutta sì belli! Non più la tenebra avvolge il giorno Ormai è rotto il velo del tempio, scossa la terra, aperti i sepolcri, e per le strade i morti camminano. Un tempo nuovo è sorto sul mondo Questo suo giorno che è senza tramonto: i santi ora non danno più tregua, i giusti sanno di chi è la vittoria. A te Cristo, risorto e vivente, dolce amico che mai abbandoni, con il Padre e lo Spirito santo noi cantiamo la gloria per sempre.

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La Parola del Signore

Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre. Con te mi getterò nella mischia, con il mio Dio scavalcherò le mura. La via di Dio è perfetta, la parola del Signore è purificata nel fuoco; egli è scudo per chi in lui si rifugia. Dal Salmo 17

Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Giovanni 10,37-38

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Per la riflessione personale

Seguiamolo senza casa, lasciando i morti e il passato Lungo tutta questa Quaresima abbiamo camminato con Gesù, accompagnandolo nel suo viaggio verso Gerusalemme. Siamo ormai alla conclusione di un lungo itinerario. Dalla cima del monte degli ulivi anche oggi ci si commuove, vedendo la valle del Cedron e l'orto del Getsemani, le mura della città vecchia, la spianata del tempio, da secoli ben segnalata dalla cupola dorata della moschea, la via dolorosa… fino al Basilica del Santo Sepolcro, la meta finale di ogni pellegrinaggio. Le liturgie della settimana santa, celebrate in tutte le chiese del mondo, fanno riferimento a questi luoghi santi. L'essere discepoli innamorati al seguito di Gesù vuol dire seguirlo in ogni istante delle nostre giornate, con la prospettiva forte e consapevole della Pasqua, sua e nostra. Ma ci sono tre argomenti, presenti nel nostro animo che in un qualche modo frenano la nostra sequela: la casa, i morti e il passato. È ancora il vangelo di Luca alla fine del capitolo 9 che leggiamo per lasciarci guidare nella riflessione. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,57-58). L'entusiasmo di questo signore sembra il nostro! Innamorati di Gesù siamo disposti ad andare dovunque lui vada. Ma non potremo più fare affidamento su tane e nidi, luoghi sicuri, caldi, accoglienti, che ci ospitano e ci proteggono. Gesù non ha una sua casa da proporre. È sempre in cammino. Ma dove si riposa? E noi dove tireremo il fiato? Quale sarà il 113


luogo dell'affetto, della fraternità, dell'amore? Gesù appoggia il capo per dormire sui cuscini delle barche (Mc 4,38) o offre il suo petto ai discepoli che si protendono verso di lui (Gv 13,25) ! La piccola Santa Teresina di Gesù Bambino scrive a questo proposito a sua sorella Celina: «Nella barchetta della sua sposa diletta nostro Signore trova un altro guanciale molto più dolce: è il cuore di Celina, dove Egli dimentica tutto: è casa sua! Non è una pietra che sostiene il suo capo divino: è un cuore di bambina, è un cuore di sposa. Oh quanto è felice Gesù! » (Lettera 144). A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio» (Lc 9,59-60). Non siamo più morti. L'incontro con Gesù e il suo comando di seguirlo ci hanno restituito gioia, forza, vita. Non possiamo più fermarci a piangere la tristezza e la fine della speranza dei nostri mondi solitari. Dobbiamo partire e annunciare il regno di Dio con la spendita totale della nostra vita per gli altri. Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,61-62). Anche quest'ultimo nuovo discepolo suscita la nostra simpatia. Anche noi vogliamo di fissare le priorità, vogliamo dire qual è il nostro “prima” e quale il nostro “dopo”; abbiamo in testo il nostro ordine, le nostre doverosità. Siamo attaccati alla nostra casa, al nostro passato, alla nostra solitudine rassicurante. Anche in questo caso Gesù è esigente e liberante: non ci possiamo volgere indietro. Il Regno è oltre il nostro passato, è davanti a noi. È una forza che ci incalza, ci guida, ci precede e ci trascina. Esso ridimensiona nella giusta posizione le cose nostre, dà ad esse il giusto peso. E veniamo a sapere quasi con sorpresa che saremo utili, adatti per il Regno solo se accetteremo di correre per questa strada dietro a lui senza ritardi, rimandi, 114


ostacoli, blocchi, lasciando a lui la responsabilità del timone e della guida. Siamo a pochi giorni dalla festa di Pasqua. Gesù ci ha ormai conquistati. Il nostro cuore è pronto per il grande incontro con il mistero della resurrezione. Il lungo cammino della quaresima ci ha fatto gustare la bellezza di essere suoi discepoli, suoi compagni di cammino, pur nella durezza della prova della fede e nella fatica della nostra miseria e della nostra infedeltà. Il cammino non finirà affatto davanti alla tomba vuota custodita nella chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Questo è soltanto il punto di partenza. Ascoltato l'annuncio più sconvolgente e appassionante che mai nessuno abbia mai sentito «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato!» (Lc 24,5) non possiamo fare altro che ripartire per raccontarlo a tutti con la testimonianza semplice e forte della nostra vita dietro il Signore risorto.

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Dalla tradizione religiosa universale Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, il Clemente, il Misericordioso, il Padrone del dĂŹ del Giudizio! Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che coltivano il tuo amore! Preghiera musulmana Padre nostro Orazione. O Dio che conosci le nostre fragilitĂ e debolezze, sostienici nelle prove che la vita ci presenta. Facci sentire sempre la tua vicinanza e il tuo sostegno, cosĂŹ da non sentirci soli o sconfitti, ma pronti a camminare nella speranza. Per Cristo, nostro Signore. Amen.

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Sabato 23 marzo 2013 Ez 37,21-28; Cant. Ger 31,10-12b.13; Gv 11,45-56

Così dice il Signore Dio: Ecco, io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nella loro terra: farò di loro un solo popolo nella mia terra, sui monti d'Israele; un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli, né saranno più divisi in due regni.In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Ezechiele 37,21-28

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni.Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo». Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Giovanni 11,45-47.53-54

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Stare con GesĂš significa mettere il Vangelo al centro della nostra vita personale e comunitaria. Lasciarsi contaminare inguaribilmente dalla speranza della risurrezione. Affrontare le tribolazioni, il dolore e perfino la morte, sapendo che verranno giorni in cui "non ci sarĂ nĂŠ lutto nĂŠ pianto", e tutte le lacrime saranno asciugate dal volto degli uomini. Don Tonino Bello

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Domenica 24 marzo 2013 Domenica Delle Palme Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23-56

Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Filippesi 2,6-8

Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione». Luca 22,39-42.45-46 119


Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lÏ, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Don Tonino Bello

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Una settimana con…

Martin Luther King ... Ci troviamo ora di fronte al fatto che domani è già oggi. Ci confronta l'aspra urgenza dell'adesso. Nell'enigmatico svolgersi della vita e della storia c'è anche l'essere ‘‘troppo tardi”. Il procrastinare è sempre ladro del tempo. Dobbiamo procedere dall'indecisione all'azione. Dobbiamo trovare nuovi modi per parlare a favore della pace e a favore di una giustizia da realizzare in tutto il mondo: un mondo che confina con la nostra porta di casa. Se non scegliamo l'azione saremo certamente trascinati indietro lungo i corridoi oscuri e ignominiosi del tempo, riservati a coloro che hanno potere senza compassione, forza senza moralità, e vigore senza lungimiranza. Non indugiamo. Dedichiamoci un'altra volta al lungo ed amaro, ma bellissimo, impegno per realizzare un mondo nuovo. Questa è la chiamata di Dio ai suoi figli, e i nostri fratelli aspettano con ansia la nostra risposta. Diremo forse che le sorti erano troppo incerte? Diremo forse che la lotta era troppo dura? Oppure ci sarà invece un altro messaggio di generosità, di speranza, di solidarietà con i loro desideri, di impegno a lottare per la loro causa ad ogni costo? La speranza spetta a noi, e per quanto potremmo desiderare altrimenti, dobbiamo scegliere in questo momento cruciale della storia umana. 123 105


Lunedì 25 marzo 2013 Is 42,1-7; Sal 26; Gv 12,1.11

Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. Isaia 42,1-4

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo. Giovanni 12,1.3

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Non so ora che cosa accadrà. Abbiamo dei giorni difficili davanti a noi. Ma ora non importa. Perché sono stato sulla cima della montagna. E non mi interessa. Come tutti vorrei vivere una lunga vita. La longevità ha la sua importanza. Ma questo, adesso, non mi interessa.Voglio solo fare il volere di Dio. E Dio mi ha permesso di salire sulla montagna. E di là ho guardato. E ho visto la Terra Promessa. Forse non ci arriverò insieme a voi. Ma voglio che questa sera voi sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla Terra Promessa. E questa sera sono felice. Non ho paura di nulla. Non ho paura di alcun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore che viene. Martin Luther King Discorso pronunciato il 3 aprile 1968, vigilia del suo assassinio, nel Mason Temple, a Memphis.

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Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani, ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Etty Hillesum

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Martedì 26 marzo 2013 Is 49,1-6; Sal 70; Gv 13,21-33.36-38

Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Isaia 49,1-3

Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte». Giovanni 13,33.36-38 Io non ho paura della cattiveria dei malvagi. Io ho paura del silenzio degli onesti. Martin Luther King 127


Eppure io credo che per ogni evento l’essere umano possieda un organo che gli consente di superarlo. Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’essere umano di nuove prospettive. Se noi abbandoniamo al loro destino i fatti duri che dobbiamo affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori, per farli decantare e diventare fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale. Etty Hillesum

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Mercoledì 27 marzo 2013 Is 50,4-9a; Sal 68; Mt 26,14-25

Ma io rivolgo a te la mia preghiera, Liberami dal fango, perché io non affondi, che io sia liberato dai miei nemici e dalle acque profonde. Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo amore; volgiti a me nella tua grande tenerezza. Non nascondere il volto al tuo servo; sono nell'angoscia: presto, rispondimi! Dal Salmo 68

Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà». Matteo 26,20-23 Vi chiedo di essere disadattati come Gesù di Nazareth, che fece il sogno della paternità di Dio e della fratellanza dell'uomo.Voglia Dio che saremo così disadattati da essere in grado di uscire allo scoperto e cambiare questo nostro mondo e questa nostra civiltà. Ed allora saremo in grado di allontanarci dalla buia e desolata notte della crudeltà dell'uomo verso l'uomo, verso la luminosa e sfolgorante luce della libertà e della giustizia. Martin Luther King 129


Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. Eppure trovo bella la vita e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare a se stessi non è certo una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso. Etty Hillesum

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Giovedì 28 marzo 2013 Giovedì Santo - Cena del Signore Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. Esodo 12,13-14

Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Giovanni 13,12-15 Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo. Questa è la decisione. La più insistente ed urgente domanda della vita è: "Che cosa fate voi per gli altri?" Ignorare il male equivale ad esserne complici. Martin Luther King

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La miseria che c’è qui è davvero terribile, eppure la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e dal mio cuore si innalza sempre una voce - non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare - e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo contrapporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Etty Hillesum

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Venerdì 29 marzo 2013 Venerdì Santo: Passione del Signore Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno. Ebrei 4,14-16

Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Giovanni 18,4-9

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C’è un limite a tutte le sofferenze, forse a un essere umano non è dato sopportare più di quanto non possa - oltrepassato quel limite, muore da sé. Ogni tanto qui muore qualcuno perché il suo spirito è a pezzi e non riesce più a capire, in genere sono persone giovani. Le persone anziane sono piantate in un terreno più solido e accettano il loro destino con dignità e rassegnazione. Sì, qui si vede una gran varietà di persone, e si può osservare il loro atteggiamento verso le questioni più ardue, verso le questioni ultime. Proverò a descrivervi come mi sento, ma non so se questa metafora è giusta. Quando un ragno tesse la sua tela, non lancia forse i fili principali davanti a sé, e ci si arrampica poi sopra? La strada principale della mia vita è tracciata per un lungo tratto davanti a me. E già partecipo alla costruzione di una società futura. La vita qui non consuma troppo le mie forze più profonde fisicamente si va forse un po’ giù, e spesso si è immensamente tristi, ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte. Vorrei che fosse così anche per voi e per tutti i miei amici, è necessario, dobbiamo ancora condividere molte esperienze e molto lavoro tutti insieme. Perciò vi raccomando: rimanete al vostro posto di guardia, se ne avete già uno dentro di voi, e per favore non rattristatevi per me, non c’è motivo. Etty Hillesum 134


Don Angelo Casati

Una vita e una morte ‘‘fuori’’ È morto fuori. L'hanno ucciso fuori. Fuori dalla città. E l'hanno deposto in fretta dalla croce. Era vicina la festa, la più grande delle feste e non sarebbe stato un buon spettacolo vedere un uomo impalato alla croce. Una morte fuori e una sepoltura di nascosto, nella fretta. E che la città non venisse sporcata dalla visione, dall'eterodossia dell'uomo di Galilea. La notte, la notte e il suo silenzio avrebbero inghiottito tutto. Una grotta, una pietra, la notte. Notte del Venerdì Santo. Ora che ritorna fra noi la memoria di quella morte ‘‘fuori’’, mi viene spontaneo ricordare che anche la sua nascita avvenne fuori. ‘‘Fuori’’, un destino che avrebbe segnato la sua vita, fin dall’‘‘in principio’’. Fin da quando ancora era chiuso nell'ombra del grembo. Strana assonanza tra la nascita di Gesù e la sua morte. Anche nel suo venire alla luce, ‘‘fuori’’. Fuori dal suo paese, fuori dalla città delle origini, fuori dall'albergo dei pellegrini: non c'era posto. Una nascita trafugata come la sua morte. E ancora una grotta. E ancora il buio della notte. Rigato, ma per poco, da una luce e da un coro di angeli. Fuori. Lo cacciarono fuori dalla sinagoga. Eppure era il suo

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paese. Lo cacciarono fuori dal territorio: portava male, liberava l'ossesso ma a prezzo di migliaia di porci finiti nel lago. Lo cacciarono fuori dal tempio: presero le pietre per cacciarlo. Era troppo diverso: aveva la pretesa d'inaugurare non mostre, non chiese, non campi sportivi, ma di inaugurare un inizio di regno di Dio sulla terra, un inizio del sogno di Dio. E che ci potesse essere una speranza per tutti, anche per i peccatori e i disperati, per i poveri e per i gravati. E lo giudicarono ‘‘fuori’’, fuori di testa, anche quelli di casa, proprio i suoi, è scritto: ‘‘Uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: è fuori di sé’’ (Mc. 4, 21). Vallo a capire uno che non trova neanche il tempo per mangiare. E non per far soldi. Se fosse per far soldi lo capiresti. Ma per stare con la gente, dentro un'umanità dolente e in attesa. Così per tutta la vita. Fuori dal comune modo di sentire. Fuori testa anche per i suoi amici. E Pietro non glielo mandò a dire, lo tirò in disparte per dirgliene quattro il giorno in cui si azzardò a fare le previsioni, non del futuro del tempo, ma del suo futuro di Croce. E lui dovette sentirsi sempre un po' straniero, anche in mezzo ai suoi. Anche qualche giorno prima della morte di croce, quando nella sala del banchetto i suoi amici, proprio i suoi, fecero un gran chiacchierare sulla donna che gli aveva profumato, accarezzato il corpo e asciugato coi capelli i piedi. Alla vigilia, i piedi, del grande viaggio. E non fu l'unica

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donna che lo unse. Per loro non era fuori testa, era l'uomo dei sogni, del sogno di Dio. Così fuori, forse sempre. Straniero anche oggi, se metto la sua immagine, non quella artefatta dei nostri documenti, ma quella viva, precisa dei Vangeli, nella carrellata dei volti che dominano dai nostri schermi. È tornato straniero. E oggi, nel mese che odora di Pasqua, sento come una paura al cuore: che si senta straniero, ‘‘fuori’’, anche accanto a me. Come se dicesse cose che non capisco, come se osasse orizzonti che neppure in sogno oso sfiorare, terre non inghiottite dal vuoto, terre non lacerate dall'arroganza, dalla competizione, dal mercato. Oggi che tutto è mercato. E non ce ne rendiamo conto. Una notizia colta come di lontano alla televisione, e dunque non so quanto vera, parla di una regione di questo nostro paese, dove, se c'è un malato in un ospedale e sente il bisogno di un prete, d'ora in poi lo paghiamo, perché sì, anche quella è una ‘‘prestazione’’. C'è da essere indignati! È tornato straniero il Signore, il rabbi di Nazaret che cacciava i mercanti dal tempio. Ci guarda straniero nella terra del mercato. Il grande mercato. Sento - ti dirò - un bisogno di purificazione. E che a lavarmi sia lo ‘‘spettacolo’’ della Croce. Spettacolo, così lo chiama il Vangelo di Luca: ‘‘le folle che erano accorse a questo spettacolo’’ (Lc. 23, 48). Spettacolo di verità, spettacolo di un uomo fuori, uomo Dio, perciò fuori, fuori misura, il fuori misura dell'amore. Spettacolo che cancella lo spettacolo a non finire di salvatori del

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mondo che salvano solo se stessi. E starò presso la Croce, come le donne stanno. E guarderò in silenzio. Il Dio fuori. Lo guarderò con l'intenerimento delle donne, non con lo sguardo assente dell'uomo del mercato. Mi ritorna negli occhi uno schizzo, quasi prove di crocifissioni, che un ragazzo del mio liceo, il liceo artistico di Busto Arsizio in cui allora insegnavo, mi regalò un giorno. Dopo trent'anni ricordo il nome. Era un ragazzo non credente, mio amico: negli occhi gli era rimasto il brivido della crocifissione, un uomo - un Dio? - fuori misura. Sono ritornato oggi a guardare le prove di crocifissione di Roberto: un Gesù che porta la croce, ma un Gesù fatto di tutti poveri cristi della terra e la croce - come pesante! - fatta di tutta la gente per bene della terra. Sul foglio anche una crocifissione e non so dirti se più mi emozione il Signore abbandonato al legno o l'uomo pasciuto, le mani strette dietro la schiena, gli occhi lontani nel nulla. Per lui non succede nulla. Non è spettacolo. Ha ben altro da guardare. Non sarò io, Signore? Io, così poco ‘‘fuori di testa’’?

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Sabato 30 marzo 2013 Sabato Santo - Veglia Pasquale Rm 6,3-11; Salm 117; Mt 28,1-10

Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia. Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia. Dal Salmo 117

Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno». Matteo 28, 8-10 Se sono in grado di aiutare qualcuno al mio passaggio, se sono in grado di rallegrare qualcuno con una parola o un canto, se sono in grado di mostrare a qualcuno che non è sulla retta via, allora non sarò vissuto invano. Se sarò in grado di fare il mio dovere come lo deve fare un cristiano, se sarò in grado di portare la salvezza a qualcuno nel mondo, se sarò in grado di diffondere il messaggio insegnato dal Maestro, allora non sarò vissuto invano. Martin Luther King

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Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo.

Etty Hillesum

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La resurrezione dinanzi alla passione dei viventi Roberto Mancini Ha scritto Ernst Bloch che l'umanità, nel desiderio di una vita oltre la morte, ha espresso «l'innegabile dignità di non accontentarsi del cadavere». Ma dinnanzi all'annuncio della resurrezione di Gesù non l'angoscia, ma la speranza esita, temendo di illudersi. L'annuncio è spesso giudicato frutto di fantasia. O inglobato in uno schema giuridico - sacrale che intende la vita risorta come un premio per i meritevoli. Tanto che molti cristiani credono più all'inferno che alla resurrezione. Ma l'obiezione vera viene dalla sofferenza insensata dovuta alla malvagità, alle calamità naturali, ai lutti interminabili. Guardando le cose da questo fondo tragico dell'esperienza umana e di tutti i viventi cade la visione trionfalista della resurrezione e perde credibilità l'idea di una divinità onnipotente, cui si rimprovera di non essere intervenuta ad Auschwitz e in luoghi simili. Tuttavia, proprio nel patire possiamo considerare l'annuncio della resurrezione, invece di liquidarlo. Se riusciamo ad affinare la coscienza della nostra condizione di fragilità, perveniamo a due negazioni: il no alla rassegnazione e il no all'attesa di una soluzione magica. Può aprirsi allora il confronto con il senso della resurrezione, che chiede di risalire al 141


nucleo di ciò che siamo. L'umanità di ognuno giunge alla luce lì dove il male, anche solo in un punto, è vinto. È un confine definito non dall'assenza di sofferenza, ma da una risposta d'amore al patire e al male stesso. La resurrezione attraversa la morte perché esprime la specifica forza dell'amore, che genera la liberazione dal male, dunque da ogni situazione di morte, compresa la definitività della morte fisica. L'annuncio del ritorno di Gesù dal sepolcro è una luce per chiunque non accetti di collaborare alla distruzione, anche se essa intanto ci colpisce. Gesù ha mostrato che la resurrezione è dei ‘‘vivi’’, cioè di quanti aderiscono all'amore divino, che è l'amore secondo il bene, e lo ricomunicano. Ma la misericordia che egli rivela sulla croce è anche l'abbraccio di Dio per coloro che sono ‘‘morti’’ perché si sono estromessi da ogni corrente di bene. Dio apre, in Gesù, la resurrezione degli amati. Anche i non amabili sono amati e la loro vita è accolta da Dio, che ‘‘va in cerca di ciò che è perduto’’ (Qo, 3, 15). Vero Padre è infatti colui che non abbandona mai nessuno e ti viene a prendere quando sei perso in un pericolo mortale. Come suggerisce a suo modo Kafka: «Questa vita appare insopportabile, un'altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire, si prega di essere portati dalla vecchia cella, che si odia, in una nuova cella, che si imparerà a odiare. A determinare quella preghiera contribuisce un residuo di fede che durante il trasporto il Signore passi per caso nel corridoio,

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guardi il prigioniero e dica: “Questo non rinchiudetelo più. Viene da me” » . Più del codice genetico e della famiglia d'origine, non c'è che la resurrezione, in quanto avvento di una vita vera, che ci restituisca a noi stessi. Perché siamo davvero noi stessi lì dove il male non ha più il potere di conquistarci a sé. Lì dove ogni nucleo della persona - bisogni, emozioni, sentimenti, desideri, corpo, coscienza, anima, libertà, azioni - giunge a conformarsi al bene. È la trasformazione in amore di tutto ciò che è in noi e, insieme, è la trasfigurazione di ogni amore ambiguo in un amore secondo il bene. È la nuova nascita cui aderire ora, senza rinvii all'aldilà. Per questo, dice Bloch,“Gesù è il nostro volto disvelato” .

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Domenica 31 marzo 2013 Pasqua: Risurrezione del Signore At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 opp. 1 Cor 5,6-8; Gv 20,1-9 Io vorrei donare una cosa al Signore, ma non so che cosa. Andrò in giro per le strade e mi fermerò soprattutto coi bambini a giocare in periferia, e poi lascerò un fiore ad ogni finestra dei poveri e saluterò chiunque incontrerò per via. E poi suonerò con le mie mani le campane sulla torre. Andrò nel bosco questa notte e abbraccerò gli alberi e starò in ascolto dell'usignolo, quell'usignolo che canta sempre solo da mezzanotte all'alba. E poi andrò a lavarmi nel fiume e all'alba passerò sulle porte di tutti i miei fratelli e dirò a ogni casa: - Pace! Padre David Maria Turoldo 144


Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 1Corinzi 5,6-7 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Giovanni 20,1-9 Venga pure ciò che deve venire. Dio è potente! Se i nostri giorni sono oscuri, noi vogliamo pensare in ogni momento che nel mondo esiste una gran forza di benedizione, che si chiama Dio. Dio può indicare delle vie che ci portano fuori dai vicoli ciechi. Egli vuole trasformare l'oscuro ieri in un luminoso domani. Martin Luther King 145


Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi come ritratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma ti porto persino, in questa Domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Etty Hillesum

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Pasqua terra di pace Vorrei parlarvi di un concetto che da alcuni giorni mi affascina, il concetto cioè della Pasqua come terra di pace. È superfluo ricordare che le primissime parole pronunciate da Gesù davanti alla comunità il giorno di Pasqua furono queste: “Pace a voi”. Ora se le ultime parole di un morente vanno custodite con la venerazione che si deve avere per le reliquie, le prime parole di un risorto vanno accolte con tutta l'attenzione che si deve ai manifesti programmatici. Ecco perché la Chiesa ha questo compito da quel giorno di Pasqua: quello di annunciare la pace, questo il suo progetto politico, questa è la sua linea diplomatica, questo il suo indirizzo amministrativo,…la pace; non la sistemazione pacifica,…la pace; non il plauso dei potenti che sarebbero disposti a pagare prezzi da capogiro pur di comprare i silenzi della Chiesa sulla guerra. La pace: questo è il programma della Chiesa; non il consenso della gente che è sempre disposta a barattare la libertà con le cipolle d'Egitto. Ecco perché la Chiesa non dovrebbe scoraggiarsi, anche se il compito a casa che le ha assegnato il Risorto la sera di Pasqua è un compito difficile: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace…”. “ Pace a voi”: nel Vangelo di San Giovanni viene ripetuto tre volte; ogni volta che Gesù risorto compare, adopera questa espressione. Ecco, chi altro, quindi, se non la Chiesa ha il vantaggio di attingere a piene mani al fondo di quella riserva utopica che le ha dato il Signore. Don Tonino Bello

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LE FAMIGLIE DELLA VISITAZIONE. Un po’ di storia. Gli inizi delle Famiglie della Visitazione si riferiscono al periodo diaconale del fondatore, il presbitero bolognese don Giovanni Nicolini. Dopo la laurea in filosofia alla Cattolica di Milano, Nicolini (Mantova 1940) scopre la vocazione sacerdotale. Recatosi a Roma per frequentare gli studi teologici alla Gregoriana, ha modo di conoscere - sono gli anni del Vaticano II - mons. Ancel (primo vescovo operaio) e, soprattutto, il cardinal Lercaro, mons. Bettazzi e don Dossetti. Terminati gli studi, si incardina nella diocesi di Bologna, dove svolge, per scelta e sotto l’indirizzo pastorale di don G. Dossetti, provicario generale della diocesi in quegli anni, cinque anni di ministero diaconale (dal1967 al 1972), nella parrocchia di Corticella, alla periferia del capoluogo emiliano e quindi a S. Giovanni in Persiceto. Ordinato presbitero (settembre 1972), resta come vicario parrocchiale a San Giovanni in Persiceto fino al 1977 e, quindi, è inviato parroco in tre piccole (in tutto un migliaio di abitanti) comunità rurali vicino a Crevalcore, all’estrema periferia della diocesi bolognese: Sammartini, Ronchi e Caselle. Coll’avvento alla guida della diocesi del card. G. Biffi cresce la richiesta di impegno diocesano e ricopre in successione l’incarico di coordinatore diocesano dei movimenti e associazioni e di assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Dal novembre del 1998 è vicario episcopale per la Carità e direttore della Caritas diocesana. Nel novembre 1999 è stato inviato parroco di una grande parrocchia 148


della periferia bolognese nel cui territorio sta il carcere cittadino della Dozza. Don Giovanni, ancora durante il suo diaconato raduna nella parrocchia di Corticella, cui è assegnato per lo svolgimento del suo ministero, un gruppo di giovani, alcuni dei quali decidono di vivere con lui. Inviato successivamente vicario parrocchiale a San Giovanni in Persiceto, don Giovanni continuerà in altra forma la paternità spirituale con il gruppo che lo attorniava da alcuni anni. Nel frattempo Nicolini, conosciuta e apprezzata la comunità fondata da don Dossetti, fa professione formale di adesione alla Piccola Famiglia dell’Annunciata, ma lo stesso don Giuseppe - suo riferimento spirituale - lo aiuta nel discernimento avviandolo verso la fondazione di una comunità. Nominato parroco a Sammartini (1977), località nel comune di Crevalcore, Bologna, cominciano a radunarsi giovani - celibi e sposati, provenienti ora dall’antico gruppo bolognese, da San Giovanni e da Mantova - i quali cominciano a fare vita comune con don Giovanni. Nasce la comunità: arrivarono le prime vocazioni celibatarie, si sceglie un abito per costoro, i quali, in seguito, fanno professione; alcuni degli altri, ora uomini sposati, negli anni a venire, vengono ordinati diaconi permanenti. Proprio a costoro sono affidate le tre parrocchie - considerati i numerosi impegni di don Giovanni - nelle cui case canoniche abitano con le loro famiglie. Gli uomini e le donne che fanno vita monastica abiteranno invece preferibilmente in case coloniche discostate dalle chiese.

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I testimoni, biografie e approfondimenti

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Cardinal Carlo Maria Martini Il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, nasce a Torino il 15 febbraio 1927. Nel bellissimo Conversazioni notturne a Gerusalemme, scrive "I miei genitori mi hanno donato la fede in Dio, mia madre mi ha insegnato a pregare". A diciassette anni entra nella Compagnia di Gesù: la sua profonda cultura e la straordinaria capacità di riflettere su tutte le istanze interiori dell'uomo e di suscitare domande e risposte originali, ha riproposto e rappresentato in pieno nel mondo d'oggi la migliore tradizione intellettuale dei Gesuiti. Il 13 luglio 1952 viene ordinato sacerdote. Dopo gli studi in filosofia e teologia, insegna per alcuni anni nella facoltà teologica di Chieri. Quindi consegue una nuova laurea in Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico. Dello stesso istituto divenne rettore dal 1969 al 1978, nominato rettore magnifico della Pontificia Università Gregoriana. Il 29 dicembre 1979 Giovanni Paolo II lo elegge arcivescovo di Milano e lo consacra personalmente il 6 gennaio 1980. Da arcivescovo di Milano introduce nelle diocesi la "Scuola della parola", per aiutare il popolo di Dio ad accostarsi alla Scrittura secondo il metodo della "lectio divina". Al grande convegno diocesano "Farsi prossimo" lancia l'iniziativa delle Scuole di formazione all'impegno sociale e politico. Suscita vasto interesse con la serie di incontri della "Cattedra dei non credenti", occasione di confronto e di dialogo tra cristiani e non credenti, rivolta nelle intenzioni di Martini a tutti i "pensanti" senza distinzione di credo. Migliaia di iniziative, incontri, gesti da lui proposti hanno lasciato un'impronta indelebile nella città e nella diocesi. Massimo propulsore dell'ecumenismo tra le varie Chiese e confessioni cristiane da parte cattolica, sollecita a Milano la fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane. Nel 2002, desideroso di creare un luogo che accogliesse le persone in difficoltà, fonda la Casa della Carità e nomina come presidente Don Virginio Colmegna, direttore della Caritas Ambrosiana. Lascia 151


Milano come arcivescovo emerito nel 2002 per vivere gli ultimi anni a Gerusalemme riprendendo gli studi biblici. L'avanzare del morbo di Parkinson lo costringe a tornare in Italia, dove si spegne il 31 agosto 2012 a Gallarate. Ha scritto don Virginio Colmegna: ‘‘Ricordare Carlo Maria Martini significa, soprattutto, sentirsi raggiunti da una grande commozione ed esprimere un'immensa riconoscenza. Un credente, un vescovo, un prete, ma soprattutto (e questo negli anni del suo calvario di sofferenza è emerso ancora con più evidenza) un uomo carico di umanità che anche di fronte a difficoltà e contrasti ha speso tutto se stesso per il Vangelo, per l'incontro col Signore Gesù testimoniato in una logica di gratuita e di povertà interiore. La sua fede lo riportava sempre a una coscienza interrogata che parlava al cuore delle persone. La sua testimonianza ha raggiunto tutti, sorpreso anche i non credenti, partendo dalla profonda convinzione che la Parola di Dio delle Scritture ci immerge in interrogativi profondi che riguardano l'esistenza di ciascuno, la storia che viviamo, il rapporto con la natura e la bellezza del vivere”. Per approfondire Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Mondadori 2008. Carlo Maria Martini, Il coraggio della passione. L'uomo contemporaneo e il dilemma della scelta, Piemme 2009. Carlo Maria Martini, Il comune sentire, Rizzoli 2011. Carlo Maria Martini, Qualcosa in cui credere. Ritrovare la fiducia e superare l'angoscia del tempo presente, Piemme 2012.

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Piccola sorella Magdeleine Lunedì 3 giugno 2002, un momento emozionante ha riunito a San Giovanni Laterano prima, e poi alle Tre Fontane per l´Eucarestia, le Piccole Sorelle di Gesù, tanti amici, laici, religiosi e sacerdoti che hanno conosciuto ed amato Piccola Sorella Magdeleine di Gesù. La tappa diocesana del processo di beatificazione di Sorella Magdeleine, una donna del viaggio, profondamente nomade e profondamente radicata in Dio è terminata. Magdeleine (1898-1916) è la donna che ha fondato la fraternità delle Piccole sorelle di Gesù, sulle tracce di fratel Carlo (Charles De Foucauld), tra i nomadi più poveri del Sahara in Algeria: presenza discreta, piena di amore e di dialogo rispettoso nel mondo islamico. Ha percorso le strade del mondo intero con ogni mezzo, a piedi, a cavallo o sul dorso di un asino, su camion civili e militari, in treno, in auto, in aereo, in nave, in barca, in piroga, in carovana… Senza mai essere sola, camminando con Dio, con sorelle e amici, portando Gesù nel cuore e trasmettendo ovunque, soprattutto tra i più poveri ed emarginati, l´amore appassionato che la guidava. Voleva essere una "contemplativa" per le strade del mondo, tra la gente. Sorella Magdeleine nutriva un amore particolare per la gente del viaggio, per coloro che, per motivi di lavoro, di guerra, di etnia, imparavano dalla vita a contare solo su Dio. Amava i nomadi del deserto, i rifugiati, le tribù delle foreste dell´Africa o dell´Amazzonia, i pescatori delle palafitte della Papuasia, o dei villaggi su barca dell´Asia, gli esquimesi dell´Alaska, gli indios, gli aborigeni, i Sinti e i Rom, i circensi, i fieranti e i lunaparchisti. Scrive lei stessa: "Hai un modello unico: Gesù. Non cercarne altri. Come 153


Gesù, durante la sua vita umana, fatta tutta a tutti: araba in mezzo agli arabi, nomade in mezzo ai nomadi, operaia in mezzo agli operai, ...ma prima di tutto umana in mezzo agli esseri umani…". Nel percorrere il mondo intero lasciava sempre che restassero due o tre sorelle nei luoghi visitati, perché fossero presenti in questi mondi come una piccola famiglia tra le altre, come piccolo segno dell´amore di Dio per ogni persona umana: per i baraccati, per gli operai delle grandi città, per i nomadi delle tende e delle carovane, per gli esclusi. Amava ripetere alle sorelle: "Siate delle contemplative, restando molto vicine ai vostri fratelli, mischiandovi alla loro vita, condividendo le loro gioie e le loro sofferenze, facendovi tutte a tutti…una scintilla provoca incendi di boschi in Provenza. Perché non dovrebbe accendere fuochi nel mondo intero? - Siate un sorriso sul mondo, questo è il mio più grande augurio. Se voi foste solo questo: il piccolo raggio di sole, che entra in una camera oscura e gelida per illuminarla e riscaldarla, ciò basterebbe!”. Per approfondire A cura della Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù, Magdeleine di Gesù. Fondatrice delle Piccole Sorelle, Jaca Book 1999. Magdeleine di Gesù, Gesù per le strade. Lettere e scritti spirituali, Piemme 2000. A cura di Francesca de Lellis, Magdeleine di Gesù e le Piccole Sorelle nel mondo dell'Islam, EMI 2006.

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Shahbaz Bhatti Fece il giro del mondo la mattina del 2 marzo 2011 la notizia dell'assassinio di Shahbaz Bhatti, Ministro pakistano per le minoranze religiose, che ha dedicato tutta la vita alla lotta per l'uguaglianza umana, per la giustizia sociale e libertà religiosa di tutte le comunità di minoranze religiose. Uomo di dialogo, amico di tanti musulmani, persona limpida, di fede profonda. Era un cattolico innamorato del suo paese, il Pakistan, crocevia di significative minoranze religiose, accanito sostenitore della possibilità di una pacifica convivenza tra religioni e culture. «Ogni morte è un lutto per qualcuno, ma l'uccisione di Shahbaz Bhatti è una grave perdita per tutti coloro che nel mondo amano la pace» dichiarò Peter Jacob, Segretario generale del Consiglio di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale del Pakistan. Shahbaz Bhatti, nato a Lahore nel 1968, proveniva da una famiglia cattolica profondamente impegnata per la giustizia. Nel 1985 fonda il movimento All Pakistan Minorities Alliance, un'organizzazione rappresentativa delle comunità emarginate e delle minoranze religiose del Pakistan, impegnata su vari fronti a sostegno dei bisognosi, dei poveri, dei perseguitati. Terminati gli studi giuridici, Bhatti entra nel Partito Popolare Pakistano e ottiene un posto nel governo pakistano, ma viene rimosso dall'incarico nel novembre dello stesso anno. Nel 2008 sotto il presidente Asif Ali Zardari, viene nominato Ministro per le minoranze ed è l'unico cattolico presente nel governo. Accetta l'incarico per il bene degli emarginati del Pakistan, affermando il suo impegno a riformare la legge sulla blasfemia. Nel periodo del suo ministero, prese misure a sostegno delle minoranze religiose, indicendo una campagna per promuovere il dialogo interreligioso, sollecitando la proposta di una legislazione per vietare discorsi di incitamento all'odio e proponendo di assegnare seggi in parlamento per le minoranze religiose. Nel 2009 prende posizioni di difesa dei cristiani pakistani che avevano subito attacchi e violenze in diverse regioni del Paese, e per questo motivo inizia a ricevere numerose 155


minacce di morte. Minacce che si intensificano a seguito della sua difesa della cristiana Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia. La mattina del 2 marzo 2011, lasciata la casa della madre per recarsi al lavoro, il veicolo su cui viaggiava, privo di scorta, viene attaccato da un gruppo di uomini armati, che aprĂŹ il fuoco sul ministro. In seguito all'omicidio, il fratello di Shahbaz, Paul Bhatti, viene nominato “consigliere specialeâ€? del Primo ministro del Pakistan per le minoranze religiose per continuare l'opera di pace di Shahbaz. Per approfondire A cura di Roberto Zuccolini e Roberto Pietrolucci, Shahbaz Bhatti, Vita e martirio di un cristiano in Pakistan, Edizioni Paoline 2012. A cura di Francesca Milano, Morte di un blasfemo. Shahbaz Bhatti, un politico martire in Pakistan, Edizioni San Paolo 2012.

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Pavel A. Florenskij Pavel A. Florenskij (1882-1937) è una delle figure più significative e sorprendenti del pensiero religioso russo, oggi riscoperto in gran parte d'Europa (dopo oltre cinquant'anni di oblio) come uno dei maggiori pensatori del Novecento. Matematico, fisico, geologo, filosofo, teologo, filosofo, musicista. Sacerdote, scienziato, ma anche sposo e padre di cinque figli, martire della Chiesa ortodossa, ha saputo pensare, affermare e testimoniare la verità nel cuore della tragedia del Novecento. Vita e pensiero, fede e ragione, cristianesimo e cultura, invenzione scientifica e creazione artistica hanno sempre costituito un'unica indissolubile realtà, senza mai vedere nella conoscenza una forma di dominio, ma traendone lo stimolo per ritrovare Dio e per cercare nella comunione ecclesiale il fondamento della verità. Pur non avendo ricevuto da giovane un'educazione religiosa, matura un crescente interesse per la cultura cristiana che si concretizza nella scelta definitiva della sua fedele appartenenza ecclesiale fino alla scelta sacerdotale. Un'appartenenza che non conosce esitazioni, nonostante la persecuzione di quel periodo in Russia. La piena consapevolezza di vivere in un momento storico tanto difficile rafforza in Florenskij la fermezza interiore a non tradire mai e in nessun modo le proprie convinzioni, ma a viverle e testimoniarle fino in fondo nella libertà, con perfetta persuasione e responsabilità personale. Il suo cammino intellettuale e spirituale prende avvio da due sentimenti molto semplici: l'ammirazione della natura ("nelle cose più ordinarie è nascosto un vertiginoso senso dell'infinità e della trascendenza"), e il desiderio di vincere la solitudine ("il luogo nel quale incomincia la rivelazione della verità è l'amicizia, come nascita misteriosa del tu"). Malgrado sia guardato con ostilità per la sua professione di fede, le sue competenze tecnico scientifiche gli consentono inizialmente di essere tollerato dal regime e di poter esprimere la propria appartenenza alla Chiesa ortodossa. Ma dopo la rivoluzione del 1917 la situazione in 157


Russia si fa più drammatica. A differenza di molti altri intellettuali che scelgono la via dell'esilio, egli si convince della necessità di una ferma resistenza interna, al fianco della comunità che soffre soprusi e mistificazioni, nella speranza di far esplodere dal di dentro le contraddizioni esistenti. Durante la rivoluzione bolscevica viene deportato in un campo di concentramento nel Turkestan, ma a seguito dell'invenzione di un olio lubrificante per macchine non coagulante viene liberato e nominato membro del Comitato per l'edificazione della Russia sovietica Glavelektro. Arrestato nuovamente nel 1933 viene deportato prima a Solovki, un'isola del mare del Nord, e poi in Siberia. Solo recentemente, dopo più di cinquanta anni dalla sua morte, sono venuti alla luce gli atti che raccontano gli ultimi tragici eventi che portarono alla sua fucilazione avvenuta l'8 dicembre del 1937 in una località vicino a Leningrado, rimasta sconosciuta. Con lucidissima e tragica consapevolezza, poco prima di essere ucciso, padre Pavel scrive in una lettera alla famiglia: “Questa è la mia sensazione più profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da qualche parte. Ciò che ha valore rimane, anche se noi cessiamo di percepirlo. Così pure le grandi imprese, anche se tutti le avessero dimenticate, in qualche maniera rimangono e danno i loro frutti. Perciò, se anche ci dispiace per il passato, abbiamo però la viva sensazione della sua eternità… Mi sembra che tutti gli uomini, di qualunque convinzione siano, nel profondo dell'anima abbiano in realtà questa impressione. Senza questo, la vita diventerebbe insensata e vuota” Per approfondire A cura di N. Valentini e L. Zak, Ai miei figli. Memorie dei giorni passati, Mondadori, 2003. A cura di N. Valentini e L. Zak, , Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori 2006. A cura di N. Valentini, Pavel Florenskij. La mistica e l'anima russa, Edizioni San Paolo 2006.

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Madeleine Delbrêl Madeleine Delbrêl è una di quelle figure precorritrici, capace in tutta semplicità di gesti e parole profetiche, salda nell'umile consapevolezza di non cercare altro che la volontà di Dio nell'oggi della storia. “Una delle più grandi mistiche del XX secolo” così l'ha definita il cardinal Carlo Maria Martini. Figura conosciuta solo da una ristretta cerchia di persone al momento della sua morte nel 1964, la pubblicazione di tre libri postumi tra il 1966 e il 1973 ha segnato un progressivo dilatarsi di interesse nei suoi confronti, fino a raggiungere anche gli ambienti della Chiesa italiana negli anni dell'immediato “post-Concilio”. Una ventina d'anni fa il vescovo Créteil decide l'apertura del processo di beatificazione di Madeleine Delbrêl che condurrà a proclamarla «serva di Dio» nel 1996. Nata in Dordogna il 24 ottobre 1904, - dopo un'infanzia itinerante al seguito del padre ferroviere, infanzia contrassegnata da un'educazione cattolica di “routine”, ma anche dagli influssi delle frequentazioni paterne con “liberi pensatori” - a soli 17 anni Madeleine avrà come una “folgorazione” che apparentemente avrebbe dovuto segnare un punto di arrivo, ma che in realtà si rivelerà come una sorta di punto di non ritorno, a partire dal quale si dischiuderà un universo di ricerca e di lotta, di mistica e di politica, di umanità e di cristianesimo, di dialogo e di lavoro quotidiano: «Dio è morto, viva la morte! Poiché questo è vero, bisogna avere l'onestà di non vivere più come se egli vivesse. La questione è chiusa nei suo confronti: ora bisogna chiuderla nei nostri». La questione per Madeleine non si chiuderà mai, anzi procederà di apertura in apertura, verso orizzonti di fede sempre più ampi e profondi. Non a caso, quarant'anni dopo - quasi a commento di quella sua esclamazione giovanile - scriverà: «Vivere introduce la morte/ la morte introduce l'amore». Un amore più forte della morte, un amore vissuto nel quotidiano, nella compagnia degli uomini, sarà il segno che contraddistinguerà l'esistenza di questa donna di fede. Alla fede, Madeleine giungerà in modo imprevedibile: nella sua sete di andare 159


verso gli altri, nella sua ricerca di comunione, incontra, scopre l'Altro. Arriverà a dire «Dio è qualcuno...» e a mettersi a pregare prima ancora di iniziare a credere. Per un breve periodo la giovane pensò di entrare tra le Carmelitane, ma per motivi gravi (la cecità del padre) dovette rinunciarvi. Il suo direttore spirituale chiese a lei e ad altre giovani di vivere in comunità: nel celibato, nella preghiera, nel lavoro e nella testimonianza del Vangelo, ad Ivry. Sono gli anni della "scristianizzazione" della Francia e Madeleine si viene a trovare in questa "transumanza" dalla fede all'incredulità, al rifiuto di Dio. In quel clima e in quel luogo trascorrerà oltre trent'anni, senza altro desiderio che quello di farsi prossimo di quanti le stanno intorno, in un'incondizionata disponibilità alla volontà di Dio. In un contesto simile appare evidente che i modelli di santità riconosciuti - il martirio, il monachesimo, la diaconia - risultano "afoni" di fronte alla «gente della strada», la gente che conduce una vita quotidiana umile, oscura, anonima. L'uomo di oggi crede più ai testimoni che ai maestri, si fida più dell'esperienza che della dottrina, più del vissuto che delle teorie. Madeleine intuisce tutto questo e pone, in tutta semplicità, senza troppe “teorizzazioni”, un nuovo modo di annuncio del Vangelo, basato su una dimensione “domestica”, testimoniale della fede: una forma di presenza cristiana fraterna, “seminale”, lontana da ogni sforzo di aggregazione come da ogni tentazione di isolamento. Né fuga dal mondo, né costruzione di strutture che si pretendono cristiane, visibilmente imponenti nel contesto della vita sociale. Si prodi-ga instancabilmente fra i più poveri, come assistente sociale, battendosi per i diritti degli operai e dei minori sfruttati. Animatrice di movimenti e associazioni ecclesiali - fra cui la JOC (Jeunesse Ouvrière Catholique) e l'Azione Cattolica - frequenta attivamente anche il sindacato sostenendo l'attività missionaria di molti preti-operai. Letteralmente «plasmata dal Vangelo», intrisa di quella parola di vita con la quale ha un rapporto continuo, costante, ostinato, Madeleine saprà narrarla a ogni essere umano con autenticità e semplicità. Giorno per giorno, assieme alle poche compagne che ne condividono lotte e speranze, Madeleine farà riaffiorare le esigenze radicali del Vangelo, liberandole da schematismi e pesantezze. Affascinata da Dio, saprà trasformare questa sua luce interiore in un fuoco ardente di passione per combattere contro la miseria e l'ingiustizia: la sua fede cristiana si rinsalderà nel 160


contatto con l'ateismo, la sua conversione incessante diventerà appello all'universale compassione. Muore nel 1964, dopo un'esistenza spesa al servizio di Dio e degli uomini. L'eredità preziosa che ci ha lasciato la Delbrêl è contenuta negli scritti, pubblicati tutti postumi, frutto del paziente e fraterno lavoro di alcuni amici. Madeleine si era sempre limitata a stendere rapidi appunti, schemi di conferenze, riflessioni ad alta voce, note di diario, ma l'unità interiore e profonda di questi scritti così veri è impressionante, forse proprio perché non trattano di idee astratte ma di una Presenza, di una Persona che guida l'agire e il pensare, il cuore e la mano di Madeleine che sono una testimonianza vibrante di Vangelo vissuto: ‘‘Un'attività senza respiro nel mondo esige una preghiera senza respiro. La preghiera è qualcosa di vitale come mangiare, dormire, lavorare. Quante scuse accampano i cristiani impegnati, lamentando di avere poco tempo per la preghiera! È necessario trovare il tempo per pregare, liberi da ogni impegno, ma anche far filtrare in tutti i nostri atti la luce e la forza acquisite nella preghiera’’. Solo così il Vangelo diventa vita e la vita diventa Vangelo. Per approfondire A cura di Robert Masson, Madeleine Delbrêl. Basterebbe credere, Edizioni San Paolo 2008. Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Edizioni Gribaudi 1990. Madeleine Delbrêl, Abbagliata da Dio, Edizioni Gribaudi 2007.

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Martin Luther King Pacifista convinto e grande uomo del novecento, Martin Luther King nasce il 15 gennaio 1929 ad Atlanta (Georgia). A venticinque anni Martin Luther King diventò pastore a Montgomery, in una delle città nel profondo Sud dell'America dove la situazione razziale era tra le più dure. La scelta di perseguire una lotta non violenta, congiunta al bisogno di giustizia di un intero popolo, fu profondamente intrecciata alla realtà personale e sociale del suo tempo. La scintilla che dà inizio al Movimento per i Diritti Civili scocca proprio a Montgomery, quando, il pomeriggio del 10 dicembre 1955 un'impiegata nera, Rosa Parks, seduta dietro i posti riservati ai bianchi, rifiuta di alzarsi e cedere il posto quando salgono alcuni viaggiatori bianchi: viene arrestata e portata in carcere. La notizia si diffonde rapidamente, gli esponenti e i pastori della comunità nera s'incontrano e decidono subito di boicottare i mezzi pubblici di trasporto: propongono ai neri di non prendere più l'autobus e di recarsi al lavoro a piedi o con altro mezzo. Martin Luther King è votato all'unanimità capo del movimento. La mattina del 5 dicembre tutti i neri vanno a lavorare a piedi, a dorso di mulo, su carri. Il boicottaggio è totale fino al dicembre dell'anno successivo, quando il movimento ottiene la sua prima vittoria: l'abolizione della segregazione sui mezzi pubblici di trasporto. Nel periodo '55-'60, Martin Luther King diventa ispiratore e organizzatore delle iniziative per il diritto di voto ai neri e per la parità nei diritti civili e sociali, oltre che per l'abolizione, su un piano più generale, delle forme legali di discriminazione ancora attive negli Stati Uniti. Nel 1957 fonda la "Southern Christian Leadership Conference", un movimento che si batte per i diritti di tutte le minoranze e che si fonda su ferrei precetti legati alla nonviolenza. Il 28 agosto si svolge a Washington la marcia di 250 mila persone per chiedere l'approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. In questa occasione King pronuncia il suo discorso più famoso "I have a dream...". Nel 1964 riceve ad Oslo il premio Nobel per la pace. Durante gli anni della lotta, King 162


viene più volte arrestato e molte manifestazioni da lui organizzate finiscono con violenze e arresti di massa; egli continua a predicare la non violenza pur subendo minacce e attentati. Il 4 aprile dell'anno 1968 Martin Luther King si recò a Memphis per partecipare ad una marcia a favore di lavoratori bianchi e neri che erano in sciopero. Mentre, sulla veranda dell'albergo, s'intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, venne assassinato. Il giorno prima della sua morte, il 3 aprile, aveva dichiarato: ‘‘Ora noi, individualmente, siamo poveri. Ma non dimentichiamo che collettivamente, vale a dire tutti insieme, siamo ricchi. Dobbiamo impegnarci in questa lotta sino alla fine. Niente sarebbe più tragico che fermarsi a questo punto. Dovete interessarvi del vostro fratello. Non so ora che cosa accadrà. Abbiamo dei giorni difficili davanti a noi. Ma ora non importa. Perché sono sulla cima della montagna. Ma questo adesso non mi interessa. Come tutti vorrei una lunga vita. La longevità ha la sua importanza. Ma questo, adesso, non mi interessa. Voglio solo fare il volere di Dio. E Dio mi ha permesso di salire sulla montagna’’. La sua visione profetica e la sua lotta in difesa della parità di diritti hanno dato voce alle speranze e alle attese di migliaia di persone. Per approfondire A cura di Lerone Bennet, Martin Luther King. L'uomo di Atlanta, Claudiana 1998. A cura di Clayborn Carson, Martin Luther King, I have a dream, Mondadori 2001. A cura di Paolo Naso, L'altro Martin Luther King, Claudiana 1993.

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DonTonino Bello Nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, Antonio Bello rimarrà sempre, anche quando sarà Vescovo, ‘‘don Tonino”. La storia della sua vita è una storia d'amore verso il prossimo vissuta con passione e slancio. Un cammino che unisce fede, cittadinanza attiva, pedagogia, economia, politica e profezia. L'8 dicembre 1957 è ordinato Sacerdote e dopo un anno sarà nominato maestro dei piccoli seminaristi. Alla fine degli anni '70 è nominato parroco di Tricase: l'esperienza in parrocchia gli fa toccare con mano l'urgenza dei poveri, dei disadattati, degli ultimi. Nel 1985 venne indicato dalla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ad assumere il ruolo di guida di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace. Viene nominato primo vescovo della nuova circoscrizione ecclesiastica pugliese nel 1982. Comunione, evangelizzazione e scelta degli ultimi sono i perni su cui svilupperà la sua idea di Chiesa, la “Chiesa del Grembiule” per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell'emarginazione. Il suo episcopato fu caratterizzato da una costante attenzione agli ultimi. Rinuncia ai “segni di potere” e sceglie il “Potere dei Segni”: nascono così la Casa della Pace, la comunità per i tossicodipendenti Apulia, un centro di accoglienza per immigrati dove volle anche una piccola moschea per i fratelli Musulmani. Il 7 dicembre 1992, sebbene già malato, parte insieme a circa cinquecento volontari, credenti e non, di nazionalità diverse, da Ancona verso la costa dalmata in una marcia pacifica, di cui fu ispiratore e guida, che gli avrebbe condotti dentro la città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile. Sulla pace, concepita come impegno contro le logiche di morte e frutto di giustizia ha scritto: ‘‘La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale vita pacifica. Non elide i contrasti. Espone al rischio di ingenerosi ostracismi. Postula la radicale disponibilità a perdere la pace per poterla raggiungere. Quan164


do arriva ai primi tornanti del Calvario, non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica fino alla croce. Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, un cammino in salita’’. E ancora, pochi mesi prima di morire, (il 20 aprile 1993) scrive: “Attecchirà davvero la semente della non violenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? È possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati?”. Sono domande sofferte che rendono credibile e vera la sua testimonianza. Quella di è un sognatore con gli occhi aperti e con i piedi per terra, radicati nella storia degli uomini. Per approfondire Don Tonino Bello, Alla finestra della speranza, Ed. San Paolo 1988. Don Tonino Bello, Pietre di scarto, La Meridiana 1993. Don Tonino Bello, Stola e grembiule, Ed. Insieme 1993. A cura di Claudio Ragaini, Don Tonino, fratello vescovo, Ed. Paoline, Milano 1994.

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