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Vecchio e consolidato

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Attività F.O.I.

Attività F.O.I.

testo di GIOVANNI CANALI, foto ENZODEL POZZO eF.O.I.

Antico, non è un sinonimo perfetto di vecchio, frequentemente ha un sapore diverso

tura; certo le cose sono cambiate molto, tuttavia il concetto che si debba partire da una base solida e non dal tetto, è ovvio, consolidato e certo non modificabile. La base solida potrebbe essere parzialmente trascurabile solo in un luogo privo di forza di gravità.

Ebbene anche nell’allevamento degli uccelli vi sono concetti diciamo vecchi o superati, ma anche di consolidati. Più che altro, quelli superati sono errori di valutazione che vengono riconosciuti come tali. L’importante è che non si pretenda di cambiare concetti giusti e consolidati per la loro esattezza, magari in ossequio ad un malinteso senso di modernità o a mode irrazionali.

Prendo in considerazione alcune parole, nel loro significato parlato o comunque del loro uso comune. Di massima sappiamo tutti il significato della parola “vecchio”. Vale a dire con molti anni o comunque molto tempo, spesso anche in senso dispregiativo, come superato o decaduto. Tanto che parlando di persone, si preferisce il termine anziano, per non usare il termine vecchio che potrebbe essere considerato poco rispettoso. Antico, non è un sinonimo perfetto di vecchio, frequentemente ha un sapore diverso, potrebbe stare a significare non moderno ma di valore, magari storico o artistico, tuttavia non più attuale, come per ragioni di funzionalità. Consolidato significa un qualcosa che ha molto tempo, ma non superato e non superabile. Tanto per fare un esempio di consolidato, potrei parlare degli ultimi 4.000 anni e più di architet-

Ho più di una volta sottolineato il fatto che il “cambiamento”, tanto spesso invocato anche nei media ad ogni piè sospinto, non è un valore; infatti si può cambiare sia in meglio che in peggio. È il miglioramento un valore, non il cambiamento purché sia. Oggi noto, nel nostro ambiente, da più parti il tentativo di considerare superati principi che non sono affatto superati, bensì consolidati poiché esatti e talora fondamentali. Certi modernismi possono essere deleteri, fuorvianti e tali da compromettere aspetti importantissimi o basilari, con pessime conseguenze.

Nella selezione del canarino, come in altri fringillidi e non solo, ci sono linee selettive di base, talora contrapposte o divergenti, che non si possono scalfire, pena la produzione di soggetti atipici.

Nel canarino, ma non solo, si parla di tipo alludendo alle melanine, di varietà alludendo ai lipocromi o per meglio dire ai carotenoidi e di categoria alludendo alla distribuzione dei carotenoidi ed alla struttura delle produzioni cutanee, specialmente della penna.

Di regola si parte dal tipo, ma ora voglio fare una partenza diversa, poiché intendo soffermarmi maggiormente appunto sul tipo.

Nella varietà, il canarino si divide fra: fattori rossi e non. In effetti il canarino all’origine presenta carotenoidi gialli, colore di fondo. Mutazioni poi avvenute hanno generato: i bianchi, il giallo ridotto detto avorio e l’ibridazione con il cardinalino del Venezuela ha inserito i fattori rossi.

Ho detto fattori rossi e non fattore rosso come comunemente si dice poiché il rosso, o per meglio dire l’arancio, non è generato da un solo gene ma da diversi geni. Questa divisione antica è fondamentale e non c’è moda che possa scalfirla, poiché le linee selettive del giallo e del rosso sono opposte: nessuna traccia di rosso nei gialli, leggi giallo arancio, e la minore possibile presenza di giallo nei rossi, dico minore possibile, poiché il giallo non è del tutto eliminabile; del resto anche il cardinalino non è integralmente rosso. Da notare che i bianchi sono considerati a non fattori rossi anche quando provengono dai rossi e non sarebbe corretto dal punto di vista genetico. Quindi non ci si stupisca se accoppiando un bianco anche recessivo con un giallo dovesse nascere un giallo arancio; le mutazioni che generano i bianchi non distruggono, ma solo inibiscono il lipocromo cioè i carotenoidi. Appare evidente che le selezioni opposte fra gialli e rossi sono un fatto acquisito e consolidato non discutibile.

Le categorie sono: il brinato forma selvatica, l’intenso ed il mosaico. L’intenso può provenire indifferentemente da brinati o da mosaico. Si richiede senza brinature residue.

Il brinato dallo standard attuale è richiesto a brinatura fine ed uniforme. Un tempo più correttamente si richiedeva a brinatura media ed uniforme (cambiamento sbagliato).

Il mosaico è un super brinato e si richiede prevalentemente biancastro o bianco per forte brinatura (meccanismo ben diverso da quello che genera i bianchi di varietà), ma con zone di elezione intense che vengono evidenziate. Non mi dilungo avendone già parlato ampiamente in altre sedi alle quali rimando.

Appare tuttavia evidente che brinato e mosaico seguono linee selettive divergenti, uniformità nel brinato e contrasto nel mosaico.

Negli accoppiamenti non si accoppiano mai brinati e mosaico, poiché ne uscirebbero danneggiate entrambe le categorie. Talora si fa perfino fatica a distinguere pessimi brinati da pessimi mosaico. Siamo quindi di fronte ad un fatto consolidato non modificabile nella sostanza in riferimento alle selezioni divergenti. Sarebbero invece modificabili gli standard del brinato ove era preferibile la brinatura media e quelli del mosaico troppo utopistici, ma questo non inficia il concetto di linee divergenti fra brinato e mosaico.

Nel tipo sono evidentissime le selezioni divergenti fra ossidati e diluiti. Gli ossidati, cioè neri e bruni, richiedono massima espressione delle melanine.

Solo l’eumelanina nera nei neri, in seguito ad una decisione errata che intende penalizzare la feomelanina bruna, ed entrambe - eumelanina bruna e feomelanina bruna - nei bruni. Mentre nei diluiti, cioè agata ed isabella, si ricerca la massima diluizione.

La selezione a favore dell’eumelanina nera o bruna anche modificata da ulteriori mutazioni, comporta la selezione del disegno: lungo e largo, tranne poche eccezioni in interazioni successive particolari (come il pastello).

In agata ed isabella si cerca la diluizione massima, che però non va intesa come impoverimento generico. In effetti si cerca disegno apparentemente concentrato in sottili strie e massima riduzione della feomelanina bruna, il che, in condizione tipica, esprime la caratteristica “mandorla” (alone diluito periferico), anche qui poche eccezioni successive attinenti al disegno (come il pastello).

Questo dell’ossidato e del diluito è un concetto consolidato, anche se talora, non senza mio stupore, taluno cerca di metterlo in discussione.

Vi è poi l’aspetto dei 4 tipi base: nero, bruno, agata ed isabella. Sono detti tipi base poiché ulteriori mutazioni (pastello, opale ecc.), non vengono riconosciute solo su base selvatica (il nero) ma anche in interazione con i suddetti tipi base, anche se talora non tutti (come per il phaeo).

In effetti, alla comparsa di una mutazione, questa la si potrebbe accettare solo se autonoma, invece si è stabilito di accettarla, salvo eccezioni, anche in interazione con i tipi base. Mi spiego: alla comparsa poniamo del pastello, si sarebbe potuto riconoscere solo il nero pastello, anzi precisare nero sarebbe inutile, visto che è la forma selvatica e si potrebbe dire solo pastello. Invece si è optato per il riconoscimento anche delle interazioni con gli altri tipi base, vale a dire: bruno pastello, agata pastello ed isabella pastello. Non sono mai state riconosciute interazioni fra tipi aggiunti, ad esempio pastello + opale. Anche in presenza di mutazioni alleliche (avvenute sulla stessa coppia genica), gli intermedi non sono riconosciuti, ad esempio opale-onice, nonostante che, in questo caso, siano molto graziosi.

Dovrebbe essere di chiarezza adamantina che dovendo selezionare verso la tipicità, nelle interazioni, si dovrebbe cercare la migliore espressione sia del tipo base, prioritaria, sia del tipo aggiunto.

A volte il tipo aggiunto è ad espressi- vità costante e non richiede sforzi selettivi, ma altre volte le cose sono diverse.

Nel sopracitato pastello ci sono geni modificatori ad effetto additivo che devono essere selezionati, in senso positivo o perfino nell’altro, cioè negativo.

Nel nero pastello si selezionano 2 forme: quella tradizionale (minima espressione) e quella ali grigie (massima espressione). I geni modificatori del pastello agiscono sull’eumelanina (si badi solo sull’eumelanina) riducendola in un modo particolare; però non si dimentichi che il carattere prodotto dal gene maggiore pastello comporta la riduzione sia dell’eumelanina che della feomelanina.

Nel tipo diciamo tradizionale si seleziona contro i geni modificatori, quindi contro la migliore espressione pastello. In altri termini si ricerca solo il carattere generato dal gene maggiore. Nel nero pastello tradizionale si ricerca quindi il disegno lungo e largo, non più nero ma grigio antracite, con ossidazione di becco e zampe (cioè elevata presenza di eumelanina nera). Nel nero pastello ad ali grigie invece ricerchiamo anche la migliore espressione del pastello, cioè: strie, marcature e vergature, quindi tutto il disegno ridotto ulteriormente da grigio antracite a grigio alluminio; permangono grigio antracite la rachide ed il bordo scaglia, andando a formare la tipica bifora. Se si parla di ali grigie è solo perché le penne forti sono le prime a risentire di tale effetto. Il disegno non si mantiene lungo e largo, ma diventa a scaglie ad opera dell’effetto ali grigie. Non si pensi però che il tipo base venga annullato o peggio possa essere trascurato, niente affatto! Il tipo base esprime comunque un suo apporto basilare; infatti l’eumelanina di base si riduce ad opera del pastello con i suoi geni modificatori, ma non si impoverisce in quanto tale, altrimenti la bifora grigio antracite diventerebbe sbiadita ed il grigio alluminio diventerebbe quasi biancastro; inoltre si mantiene l’ossidazione di becco e zampe.

Nel bruno e nell’isabella pastello si seleziona solo per l’espressione massima, riducendo fino ad annullarlo o quasi il disegno, mentre nell’agata pastello si seleziona solo contro l’espressione massima, cioè per la minima, tale da mantenere il disegno di tipo agata, di tono grigio ferro.

Scelte che possono essere ineccepibili per bruno ed isabella, ma che stupiscono per l’agata, ove si potrebbe selezionare l’espressione massima verso l’ali grigie.

Si badi però che nel bruno pastello ed in misura minore nell’isabella pastello, spesso non si fa solo la selezione corretta a favore dei geni modificatori, ma anche contro il disegno in quanto tale, una selezione espediente non corretta. In teoria si dovrebbe poter avere pure nei ceppi di bruni ed isabella pastello la tipicità anche dei portatori classici, quindi disegnati, che invece spesso non sussiste per indebolimento del disegno in quanto tale e non solo per l’effetto dei geni modificatori del pastello, i quali non agiscono sui classici. Personalmente, in passato, ho avuto più di un ceppo di isabella pastello che non danneggiava i portatori classici; infatti ho avuto ottimi risultati anche con i portatori, specialmente agata. Non sono a conoscenza di analoghi risultati con i bruni pastello. Del resto, nei bruni pastello è più difficile ridurre il disegno rispetto agli isabella pastello.

Penso che questi esempi siano abbastanza eloquenti per spiegare la differenza ed importanza del tipo base e del tipo aggiunto. Adabundantiam, per spiegare ancora meglio, cito qualche differenza di difetto di tipo base ed aggiunto. Un isabella pastello molto diluito ma con disegno è ottimo come tipo base isabella ma difetta di tipo aggiunto pastello, al contrario un isabella pastello senza disegno, ma poco diluito, quindi con molto bruno, è ottimo come pastello, tipo aggiunto, ma pessimo come isabella tipo base; ovviamente un isabella pastello disegnato e con molto bruno difetta in entrambi gli aspetti ed uno senza disegno e molto diluito sarà ottimo in tutto. Si badi che le selezioni necessarie, sono diverse e bisogna farle coincidere.

Discorsi diversificati si possono fare in altre interazioni, ove talora non essendoci variazioni del tipo aggiunto, praticamente si seleziona solo il tipo base. In altri casi il tipo aggiunto richiede solo l’accoppiamento con portatori, senza ulteriori avvertenze, quindi la selezione vera è sempre del tipo base. In questo caso gli esempi sono: l’opale che perde l’azzurro se accoppiato in purezza (nei neri ed in misura minore agata) e il phaeo che, accoppiato in purezza, nei neri diventa a melanina centrale. Trattasi di fenomeni rarissimi, mai descritti in letteratura scientifica. Ne ho parlato ampiamente in altre sedi. Recentemente per l’isabella opale è stato commesso un grave errore, per assecondare richieste straniere, prevedendo un disegnino. Si badi però è una situazione del tutto diversa rispetto all’isabella pastello. L’opale non ha geni modificatori e la man- canza di disegno negli isabella opale tipici è solo dovuta al fatto che l’elevata diluizione dell’isabella tipico e la forte riduzione dell’opale interagenti finiscono con l’annullare il disegno e rimane solo il perlaceo delle penne forti, che è ciò che residua delle marcature. In soggetti poco diluiti come tipo base isabella, può mantenersi traccia di disegno. Vale a dire che isabella opale atipici, tendenti al bruno, manifestano un disegno che riecheggia quello del bruno opale, certo in forma minore o molto minore. Tanto maggiore è il disegno dell’isabella opale e tanto minore è la diluizione dell’isabella tipo base. Non a caso chi volesse avere anche portatori tipici dovrebbe rinunciare all’idea. Non vado oltre avendo trattato ampiamente la cosa in passato. Un altro caso ancora è una certa incompatibilità fra tipo base e tipo aggiunto. È il caso dell’onice e del cobalto, belle mutazioni, che con la loro diffusione sono pregevoli nei neri, accettabili nei bruni, ma in contrasto con i diluiti, visto che il tipo base diluito in gran parte vanifica a priori la diffusione. Per me sarebbe meglio rinunciare alle interazioni con i diluiti; in ogni caso la priorità è del tipo base.

Penso che, a questo punto, il discorso fra tipo base e tipo aggiunto dovrebbe essere chiaro. Certo non è concetto così facile da recepire, ma non è colpa mia se la natura è spesso complessa. Non ritengo di dover citare un gran numero di articoli, quindi rimando al mio testo “I colori nel Canarino” reperibile in FOI, che non è superato, anche se non molto recente, inoltre non credo che ce ne siano di migliori almeno per ora. Quanto agli articoli sono ampiamente presenti su Italia Ornitologica ed anche vi sono degli scritti sul sito della mia associazione: www.adopparma.com. Come si vede non ho perso tempo con la modestia, visto che le cose bisogna dirle chiare. Applico però l’umiltà e prima di scrivere consulto la letteratura sul tema trattato, almeno quella fondamentale. Inoltre spesso mi consulto con quella che chiamo scherzosamente la “pulita dozzina” cioè gli: ornitologi, genetisti e tecnici che stimo particolarmente. Consiglio a tutti di fare altrettanto.

Un ulteriore consiglio è quello di diffidare ed andare sempre in verifica, specialmente per quello che arriva dall’estero, visto che spesso ci hanno rifilato errori anche gravi; alcuni dei quali li ho indicati sopra. Inoltre anche noi italiani possiamo sbagliare, come capita a me, solo che non bisogna perseverare nell’errore e la diffidenza deve sempre esserci; io l’applico specialmente a me stesso. Di conseguenza anche vecchi errori, pure se sono diventati quasi dei dogmi, devono essere rilevati e corretti (mi capita di pensare al mosaico). Quindi bisogna conservare ciò che è legittimamente consolidato, ma rivedere ciò che sembrava soltanto essere consolidato. Il tutto alla luce di un vero approfondimento tecnico, senza nulla concedere alle dicerie o alle mode.

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