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J’accuse

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Attività F.O.I.

Attività F.O.I.

di PASQUALE LEONE, foto PIXABY

Dal punto di vista pratico c’è stata molta confusione

J’accuse è un traslato per segnalare un abuso o un’ingiustizia

L’undici febbraio del 1992 è stata approvata la legge numero 157 che stabilisce una serie di norme a tutela della fauna selvatica e per il prelievo venatorio. In sintesi, viene vietata su tutto il territorio nazionale ogni forma di uccellagione o cattura di qualsiasi altro animale selvatico, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati. La legge parte dal principio che gli animali selvatici siano di proprietà dello Stato e pertanto nessun cittadino può disporne. Da tali regole sono esentati i cacciatori che godono di una specifica concessione denominata licenza di caccia. La stessa legge demanda alle Regioni di autorizzare e regolamentare le deroghe sull’allevamento a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale (art.17 ovviamente inerente la fauna selvatica).

Una legge giusta, per alcuni versi lungimirante se si considera che è stata emessa oltre trent’anni or sono, di sicuro in sintonia con l’attuale politica di sostenibilità che interessa non solo l’Europa ma il mondo intero.

Alla pubblicazione della legge, le premesse per noi ornicoltori erano altresì ottime. L’idea che fosse fermato il flusso di fauna selvatica, fenotipicamente identica a quella domestica, era una cosa eccellente. Non dimentichiamo che per noi ornicoltori sportivi/amatoriali, uno degli obbiettivi primari è quello di aprire metaforicamente lo scrigno che è rappresentato dal patrimonio genetico dei nostri uccelli e scoprirne i gioielli, che sono il complesso di meccanismi di trasmissione ereditaria. Infatti, affinché si possa raggiungere lo standard ideale che le varie commissioni tecniche hanno prefissato, in riferimento ai nostri soggetti noi parliamo di ceppo e non di gruppo, insieme o quant’altro. Da questo punto di vista, l’attuazione della legge ha sortito l’effetto sperato ma dal punto di vista pratico c’è stata molta confusione, mentre da quello burocratico ha creato notevoli problemi agli allevatori di avifauna autoctona. Le Regioni, come previsto, hanno regolamentato autonomamente senza usare gli stessi criteri. Peccato, però, che le Regioni siano delimitate con dei criteri che noi esseri umani ci siamo imposti, delimitazioni che non corrispondono a quelle degli habitat delle specie che si era intenzionati a tutelare. Sarebbe stato auspicabile prospettare un’armonizzazione delle stesse leggi regionali per evitare degli scenari surreali del tipo che un animale fosse protetto in un’area ma poi, ad un metro di distanza, superato il limite di una Regione e passati ad un’altra, divenisse cacciabile o prelevabile.

Comunque, i pochi parametri che le Regioni hanno mantenuto in comune sono stati l’utilizzo del nome scientifico per l’identificazione della specie selvatica ed il fatto che la detenzione degli uccelli fosse inserita nel calendario venatorio (anche se di quest’ultimo, non in tutte le Regioni).

Porre gli ornicoltori sullo stesso piano dei cacciatori è a dir poco paradossale. Con questo, non è mia intenzione entrare in una discussione etica sulla caccia, anche perché ritengo che questo argomento possa essere, oltre che complesso, alquanto articolato. Ciononostante è innegabile che detenere degli uccelli per poterli allevare e riprodurre sia un conto, detenere degli uccelli per poterli usare come richiamo per altri uccelli ed avere poi la facoltà di cacciarli sia tutta un’altra storia.

Fatto sta che, dall’entrata in vigore della legge, tanti uccelli domestici da generazioni si sono ritrovati ad essere considerati uccelli selvatici. Questa confusione, nel corso degli anni, ha creato delle vere e proprie stragi di uccelli do- mestici che sono stati reinseriti in natura proprio perché erroneamente considerati selvatici.

Questo perché non sono state prese nella dovuta considerazione le pubblicazioni scientifiche a riguardo. Studi di etologia hanno dimostrato che un uccello domestico immesso in natura senza un appropriato riadattamento viene predato nel giro di ventiquattrore al massimo.

I fatti hanno quindi dimostrato in maniera inconfutabile che l’utilizzo del nome scientifico non sia un parametro valido per riuscire a stabilire quali possano essere considerati uccelli selvatici e quali uccelli domestici.

La domanda che sorge è dunque: come si riesce a capire quale sia la differenza tra un uccello selvatico ed uno domestico affinché si possano palesemente distinguere?

Per chiarire questo punto, ci viene in aiuto la giurisprudenza che fuga ogni dubbio in proposito. Difatti, la Corte di Cassazione Penale sez. III, il 13/05/2011 (ud. 02/02/2011) sentenza numero 18893 ha stabilito che “…Gli esemplari di prima generazione nati in cattività non rientrano nella fauna selvatica”. In altre parole, se un uccello nasce in allevamento è per legge un animale domestico. La sentenza potrebbe avere ulteriore enfasi per noi ornicoltori se consideriamo che è stata emessa su degli uccelli aventi dei parentali selvatici. Volendo ulteriormente dibattere, ci si potrebbe domandare come stabilire, quando ci si trova di fronte a degli uccelli fenotipicamente identici, quale sia o meno quello nato in cattività. Anche in questo caso la giurisprudenza ci viene in aiuto. Vi sono svariate decine di sentenze passate in giudicato dove l’anellino inamovibile (mi riferisco proprio al nostro, quello fornito della FOI) è stato considerato quasi alla stregua di un sigillo di Stato atto proprio a garantire autenticità della origine domestica del soggetto preso in esame. Appare evidente che la risoluzione del problema sia solo una questione di volontà da parte degli enti deputati alla gestione della fauna autoctona. La famosa frase “J’accuse…!” con la quale Emile Zola apre la sua famosa lettera al presidente della Repubblica francese sul quotidiano L’Aurore viene spesso utilizzata per indicare una forte posizione contro un’ingiustizia, un sopruso. In quest’ottica, lanciare un j’accuse potrebbe sembrare eccessivo nei confronti di una legge che appare errata solo nella sua applicazione. Bisogna considerare però che, come dicevano i latini, Dura lex, sed lex, ovvero la legge è dura ma è la legge. Se da un punto di vista del diritto civile la violazione della legge sulla detenzione dell’avifauna indigena potrebbe portare ad una sanzione, dal punto di vista penale la violazione potrebbe avere delle conseguenze ben più gravi. In tutta onestà, bisogna dire che i giudici non rivestono quel ruolo per caso. Da tempo hanno ben capito che tra noi ornicoltori ed i bracconieri c’è una bella differenza. Tuttavia, pensare che per un hobby come il nostro si possa arrivare al punto di rischiare di sporcare la fedina penale dovrebbe farci riflettere un attimo.

In conclusione, continuando a parafrasare Emile Zola:

J’accuse… le autorità preposte di errata interpretazione della legge 157/92 nei confronti degli ornicoltori in quanto gli esemplari di quest’ultimi, muniti di anello inamovibile, non sono considerati, per le stesse leggi di questo Stato, avifauna selvatica e pertanto trattasi di uccelli non soggetti alla legge in oggetto. Ai posteri l’ardua sentenza.

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