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Francesco Di Giorgio

Voci dalla siringe

testo di FRANCESCODIGIORGIO, foto G. MARSON

Il mondo degli uccelli ha sempre affascinato l’uomo, sin dalle origini. Anche il bambino, nel ritrarre il mondo circostante, sovente e con grande intensità raffigura uccelli. Gli Oscini o uccelli canori (che rappresentano circa l’80% dell’ordine dei Passeriformi) sono musicisti abili e pieni di talento. Comunque, ogni specie di uccelli ha il proprio canto: questo è dovuto a capacità innate, mentre la parte appresa si forma per fasi successive, con l’ascolto del canto di congeneri adulti più esperti, con una graduale acquisizione della necessaria “rifinitura”. Lo stato di competizione indotta, se non è esasperato, costituisce una sti-

Ogni cantore novizio è sempre un individuo distinto e non un clone

molante consapevolezza delle proprie capacità. I canti sono emessi con la siringe, che è un allargamento della trachea ed è provvista di membrane che vengono azionate da piccoli muscoli. Tale parte elastica, rilassata, lascia passare l’aria verso i polmoni senza produrre suoni. In seguito, distesa e per azione delle corde vocali, l’aria viene emessa procurando suoni che sono tanto più belli, forti e potenti quanto più è accentuata la capienza dei sacchi aerei, coadiuvati dall’esofago che fa da cassa di risonanza. Le note del tessuto canoro sono di notevole complessità e durata – abbiamo detto – nell’ambito dei Passeriformi. Una complessità che è spesso difficile da tradurre in parole. Si può ricorrere a sostantivi come “trillo”, “gorgheggio” ed aggettivi come “flautato”, “trillante”, “liquido”, ma nessuna combinazione di parole riuscirà ad evocare pienamente un canto. La capacità di abbellire i gorgheggi tipici – pure questo è già stato detto –è acquisita! Esperimenti effettuati in ambienti insonorizzati, dove agli uccelli non giungeva alcun suono emesso dai loro simili, hanno dimostrato che essi non erano in grado di articolare che in modo molto rudimentale alcune note. In considerazione di ciò, i cantori allevati per competere nelle gare canore vengono letteralmente mandati a scuola dai più anziani ed esperti membri della specie. Tra i canarini, selezionati per decenni, ci sono virtuosi del calibro del Malinois belga, dell’Harzer di Germania o del Timbrado spagnolo. Ogni cantore novizio è sempre un individuo distinto e non un clone; è “altro” da qualsiasi suo compagno. Non dobbiamo lasciare soli i soggetti educativi a districarsi in un mare di messaggi superficiali e contraddittori. Unificare ciò che è frammentario è un problema educativo e pedagogico di importanza decisiva. Una comunità di apprendimento non nasce di colpo: gli elementi che la compongono si specificano e maturano lentamente. All’inizio il cantore novizio costruisce spezzoni melodici molto scarni e poi, attraverso la ripetizione di suoni e ritmi sentiti dall’oralità adulta, si indirizza alla formulazione del proprio mondo interiore. Gli aspetti emotivo – vocazionali e temperamentali gio-

cano un ruolo cruciale nei percorsi di apprendimento. Il maestro cantore resta il garante degli allievi, affiancato dalla sagacia, dalla duttilità, dall’attenzione vigile dell’allevatore/preparatore. Sono formativi solo gli ascolti di canti acronici, cioè in sintonia con le potenzialità del canarino che deve imparare. Riescono bene solo i canti in assoluta concentrazione sistematicamente ripetuti. La fase guidata non va resa rigidamente sistematica, non va mai forzata. I fraseggi espressi dai modelli adulti, se non saranno recepiti subito, lo saranno in seguito, quando il piccolo amato pennuto sarà da solo e potrà metabolizzare quello che gli è stato comunicato. La misura in cui l’apprendimento recettivo è veramente attivo dipende in gran parte dal bisogno dell’allievo di integrare i contenuti e dalla forza della sua capacità autocritica. In generale, l’intelligenza diventa via via meno malleabile con l’aumentare dell’età. Il canarino diventa adulto col conseguimento dell’unicità canora. La reale esistenza di differenze tra soggetto e soggetto è certo un bene. Gli apprendimenti ben acquisiti sono quelli che durano nel tempo, cosa difficile da conseguire quando ci poniamo troppi obiettivi o quando questi devono essere raggiunti in modo affrettato. Il convogliatore di Malinois W. Belgi, all’indomani dell’ingabbio ad un certo Campionato Mondiale, dichiarò: “I toursdi canto primari (le note d’acqua) aborrono il pastoncino all’uovo, il quale poi non sarebbe altro che un doping, o perlomeno ne provocherebbe tutti gli effetti” (e parimenti, aggiungiamo noi, aborrono niger e canapa, oltre che un’illuminazione eccessiva). I suoni emessi con più facilità sono quelli insorgenti dalla parte alta della siringe (e da cui, di norma, arrivano note troppo alte o difettose). Dalla parte centrale arrivano i suoni di frequenza media, con vocali A e O, mentre (delizia per il cultore) i suoni magnifici a tono basso arrivano dal più profondo della siringe. Sono basilari le scintille paterne e materne che sono entrate nel corpo del discente e che agiscono entro la coscienza dell’ascoltatore. Così il canto “malinoista” può evolvere a stupenda orchestrazione. Eccolo poeticamente rappresentato: “Vi sente d’un ruscello il roco pianto, e il sospirar dell’aura infra le fronde, e di musico cigno il flebil canto, e l’usignol che plora e gli risponde, organi e cetre e voci umane in rime: tanti e siffatti suoni un suono esprime” (T. Tasso, “Gerusalemme liberata”, canto XVIII)

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