Qualche tempo fa Dino Vaccaro mi contatta per invitarmi a visitare un sito da lui creato, Villachincana, un salotto culturale online. Avevo un ricordo sbiadito di Dino subito mi misi al computer per cercare una sua foto. L’immagine del ragazzo che conservavo veniva soppiantata dal viso dell’uomo che era diventato. Scrutavo i tratti del viso per ricordare e, a un tratto, mi sovvenì l’immagine del ragazzo sempre in prima linea per tutto quello che si sposa con l’arte Capii subito che il mio compaesano aveva conservato con gli anni quell’animo sensibile in continua ricerca di tutto ciò che potesse accrescere questo dono. Dino nasce in un paesino dell’entroterra siciliano tra le falde dei monti Sicani e la Valplatani, terra di zolfatari e di contadini, terre cantate e amate da Luigi Pirandello, Alessio Di Giovanni e Rosa Balistreri: CIANCIANA. Paese che, malgrado il trasferimento al Nord per lavoro, rimarrà sempre nel suo cuore, dove scappa appena possibile per rigenerarsi, sapendo bene che le proprie radici con il tempo, affondano sempre di più nella terra che lo ha generato. E che da lì come un’arrestabile linfa alimentano le sue passioni. Passioni e tradizioni che esporta al Nord per non dimenticarle facendole rivivere, e condividere con i suoi compaesani: allestisce la tavola di San Giuseppe, (la prima in Veneto), fa gustare dolci tipici siciliani e persino il panino con la milza. Il suo percorso artistico inizia con la Fotografia intorno agli anni Settanta.Sceglie l’immagine come linguaggio universale aperto a tutti. Una passione, quella della fotografia, che lo porta in giro a immortalare attimi di vita vissuta e luoghi a lui cari. Impressiona sulla pellicola tutte le immagini che gli suscitano emozioni, senza mai alterarle nei loro valori fondamentali, cercando sempre nuove angolazioni con cui osservare la realtà, per stupire, emozionare e raccontare. Per fermare, anche, lo scorrere inarrestabile del tempo che si porta via ogni istante vissuto, per poi un giorno -come lui stesso afferma- cullarsi in questo mare di ricordi, e nello stesso tempo condividerli e consegnarli alle generazioni future. Fotografare, per Dino, diventa un bisogno, come respirare. Bisogno che non si arresta solo all’immagine fotografica ma che con il tempo si trasferisce sulla tela. All'inizio del suo cammino da pittore Dino Vaccaro dipinge quadri di contenuto vagamente autobiografico, realizzati in atmosfere vive nella sua memoria. Artista di strada, autodidatta, introverso-conteplativo, che non vuole rimanere isolato, è sempre alla ricerca di un nuovo modo di esprimersi, fino a che entra in contatto con il vero mondo dei pittori: Pietro Arfeli e Beniamino Caramanna, in particolare, lo guidano alla scoperta di quel mondo pittorico verso
cui, nebulosamente, ma anche irresistibilmente, si era sempre sentito attratto.
………… MA RACCONTATO PITTORICAMENTE IN MODO ACCENNATO E NAIF (IDEALE) CIO' CHE FA SEMPRE PIACERE ALL'OCCHIO AFFAMANTO DI CULTURA E CURIOSITA'. DIREI CHE HAI FATTO CENTRO E DIREI CHE DOVRESTI, A MIO PARERE, CONTINUARE AFFETTIVAMENTE CON QUESTA STRADA E CIOE' "RACCONTARE" A MODO TUO E SEMPLIFICATO TUTTO CIO' CHE TI VIENE IN MENTE E DI CUI RIESCI A VEDERNE UN INTERESSE CON PIU CAMPI DA INSERIRE. (1)
Con l'incoraggiamento di questi amici, ma anche della moglie, e il confronto con il loro modo di pensare e il senso di libertà che la loro pittura gli comunica, riprende a dipingere con nuovo spirito e maggiore sicurezza. Nascono così le nuove opere dedicate a eventi storici che lo hanno profondamente turbato, come Tempesta devastante, dedicato a tutti gli ebrei morti per
mano nazista;Minatori, in ricordo degli emigranti che lavoravano nelle miniere; Sangue rosso aPortella delle Ginestre in memoria dei morti per mano mafiosa. E tele come Rosa di Sicilia Dedicato a Rosa Balistreri sua Musa per le scelte sociali e politiche.. Instancabile nel suo eclettismo, nel 2009, crea il portale Villachincana,. UnContenitore Culturale Pluridimensionale aperto alle continue iniziative culturali, proposte sia dalle redazione che dagli utenti, a tutti coloro che vogliono stare insieme, conoscersi, fare salotto, in questa villa virtuale, discutendo di arte e cultura. Dando voce all’arte di esprimersi in tutte le sue forme. (1) Pietro Arfeli in uno scambio di mail
ANGELA CHIAZZA
ROSA DI SICILIA
Quadro dedicato a Rosa Balisreri ( cantante di musica etnica siciliana) pittura acrilica su tela. -------------------------------------------------------Lo scopo di Dino, come lui stesso afferma è quello di conservare immutati attimi di vita, per poi un giorno ripescarli tra le onde della mente e navigarci. Uno di questi ricordi riguarda il periodo della sua crescita, quando l’affacciarsi alla vita era collegato con la ribellione, con la contestazione, con la ricerca del cambiamento e della giustizia. Ideali che l’artista condivise con una donna del popolo, a cui bastava un sorriso, una chitarra e un buon bicchiere di vino per trasformare in contenuto poetico, musicale e simbolico il significato politico e culturale di alcune tra le più vecchie canzoni d’amore siciliane: Rosa Balistreri.
Il quadro dedicato a ROSA è un’esplosione di colori vivaci, forti, pennellate precise come a sottolineare attraverso la pittura naif la personalità della donna, ritratta mentre con la sua immancabile chitarra canta la sua rabbia, il suo dolore , la sua solitudine ma anche la sua speranza. Carico di simboli questo quadro dedicato a Rosa ma anche alla sua terra. Alle spalle della donna, Dino dipinge i colori della sua Sicilia, non arida, come si conosce, il colore giallo è quasi assente, ma verde e rigogliosa come a sottolineare che il desiderio del cambiamento non deve morire e può cambiare il paesaggio non devastandone le caratteristiche. Sullo sfondo l’attenzione di chi guarda è catturata da un grande sole che sovrasta sulla luna quasi a voler ribadire che il sorgere di un nuovo giorno è speranza sulla rassegnazione, che la vita sovrasta la morte, che la luce squarcia le tenebre, qualsiasi esse siano. Ancora simboli: In primo piano Dino dipinge una rosa, un fiore che pur crescendo tra le spine conserva la sua bellezza, come a sottolineare quella che è stata la vita della Balistreri, che nonostante i tormenti che l’hanno caratterizzata è riuscita a conservare la sua bellezza interiore e la sua dolcezza che, ancora l’artista sottolinea con il fiore di mandorlo delicato e trasformarsi in un dolce frutto. ANGELA CHIAZZA
La Balistreri canta e suona tra la rosa rossa, suo fiore, e il ramo di mandorlo in fiore. Alle spalle sole e luna non si atteggiano come lotta tra bene e male, bensì come ciclicità degli elementi costanti e naturali, infatti si baciano. Dunque, colori, suoni, musica si compenetrano in una orchestrazione voluta dall'autore. FRANCESCO TAORMINA
La tua opera "Rosa di Sicilia", debbo esprimere la mia positività, infatti l'opera già dalla stessa intestazione evoca la Balistreri, la Sicilia, la rosa, le tre cose messe in un mortaio e ben amalgamate hanno dato il tuo bellisssimo quadro, infatti esprime quanto di meglio abbia dato la Sicilia in campo musicale, Rosa Balistreri, certo la bella ragazza che hai disegnato e che suona la chitarra non somiglia al viso pieno di passione, di rughe, di fatiche e pene, che è proprio della Balistreri, ma il quadro (ho scaricato l'immagine del quadro che ho messo nel mio archivio personale) risulta molto vivace, colorato, pieno di significati, in una parola esprime positività. Un plauso a te per il quadro ma anche per quanto fai per la cultura siciliana. Un caro saluto
NICOLO LA PERNA
DALLA PIRRERA A CHARLEROI
Le immagini del tuo ultimo lavoro che proponi vedono nella zona centrale due impronte: il piede nudo giallo dello zolfo e l'impronta dello scarpone di carbone di "marcinelle".Tra di esse il viaggio del minatore seguito da moglie e figli, con alle mani valige di cartone. A sinistra si ha una lavorazione arcaica, a destra radicata sulla modernità (motocompressore).Di notevole interesse è il cielo blu che emerge tra il minatore zolfo e quello carbone. Nondimeno il cielo blu delle due figure in basso a destra anonime, che camminano per un ritorno, fra tetti rossi.
Francesco Taormina
Dalla Pirrera a Charleroi
Non poteva mancare tra le opere di Dino, per la sua sensibilità al dolore sociale, una tela dedicata ai minatori. Con Dalla Pirrera a Charleroi, l’Artista tocca le note giuste per arrivare al cuore di tutti. La tinge con colori forti per marcarne tutta la sofferenza, attingendo il pennello nei propri ricordi e non solo. Cianciana: paese di solfatari e viddrani. Erano 196 le miniere di zolfo della zona che ben presto chiusero, con il conseguente aumento della disoccupazione che si tradusse, in poco tempo, in disperazione e valige legate con lo spago, appesantite da pochi indumenti e da moltissimi ricordi a cui aggrapparsi quando la solitudine diventava insormontabile.
L’emigrazione, è ricordata dall’artista con la raffigurazione del piede nudo di lu carusu, sporco dalla polvere gialla lasciata dallo zolfo, al centro del quadro, sostituita dalla polvere nera del carbone delle miniere di Charleroi. Polvere maledetta che rimane imprigionata oltre che nelle fessure della suola di gomma dello scarpone, anche nei polmoni, sulla pelle e nel cuore del minatore. Una nuova triste realtà, fatta ancora di crolli, incendi, allagamenti, labirinti e cunicoli caldissimi, carnai che continuano a seminare morte. Non c’era famiglia a Cianciana che non avesse un padre, un nonno, un fratello che in un gelido mattino avesse preso il binario che, tante volte era senza ritorno. Tanti i racconti sulla vita dell’emigrato. Uno, in particolare, mi ritorna alla mente, osservando questa tela. Una donna, alla Stazione di Marullo, che emigrava in Argentina, che al fischio del treno alla partenza, emise un urlo pieno di dolore, di angoscia di disperazione da coprire il rumore dello stesso treno. Si soffermerà a lungo il visitatore davanti il quadro Dalla Pirrera a Charleroi, perché molti saranno i ricordi che gli affioreranno alla mente; dai carusi che morivano schiacciati nelle viscere di quella terra che gli aveva negato l’infanzia; alle vedove bianche, che da sole restavano ad occuparsi della casa e dei figli, alla solitudine di chi viveva in terra straniera. Il blu del cielo lasciato ombrato da qualche nuvola, in alto nel quadro, alle spalle di chi parte, ritorna in basso, in piccolo ma terso e intenso, davanti da chi ritorna, come segno di una speranza, quella speranza che non manca mai nelle opere di Dino. Angela Chiazza
SANGUE ROSSO - 1° Maggio a Portella delle Ginestre Tutte le opere di Dino sono concatenate da un unico filo conduttore: la violenza verso il debole che, diventa disperazione, incredulità, richiesta di aiuto e nello stesso tempo speranza di cambiamento. In tutte le tele emerge il desiderio dell’artista di portare alla memoria i fatti che lo hanno colpito per non dimenticarli ma sigillarli come insegnamento nelle mente delle nuove generazioni. L’opera dedicata alla Strage di Portella della Ginestra ne è un’altra testimonianza. Una festa, quella dei lavoratori, il primo maggio, ma anche della vittoria che avevano avuto il pci e il psi alle regionali del 20 aprile del 1947, che finisce in tragedia da parte dei partiti conservatori di cui facevano parte i possidenti delle terre che avevano armato le mani dei mafiosi capeggiati da Salvatore Giuliano. Dino immortala l’episodio,ancora una volta, con colori brillanti, non spenti, “è difficile – dichiara l’artista - imprimere tragedie con colori vivaci, perchè mentre pensi ai colori da usare, ti vengono in mente solo tutte le tonalità dei grigi”, per sottolineare quell’aria di festa che si respirava tra i manifestanti e nella natura stessa, con l’esplosione della fioritura, che la stagione prevede, delle ginestre e del fichidindia. I sorrisi, le urla di gioia si trasformano in maschere di terrore ed incredulità per quello che stava accadendo che l’artista imprime sui visi in primo piano, sullo sfondo le bandiere rosse s’immischiano al sangue innocente versato, accentuato dall’uomo che nasconde il viso tra le mani per non vedere. La montagna minacciosa sullo sfondo non può nascondere al resto del mondo quello che stava accadendo anzi fa da eco per richiamarne l’attenzione e la zabbara fiorita sulla destra del dipinto rimarca ancora una volta la speranza per una Sicilia capace di rompere quella gabbia di miseria, di mafia, che la opprime da secoli. Terra che può, anzi che deve rinascere, così come l’Agave i cui fiori e i frutti per crescere necessitano di tutte le riserve della pianta stessa, che fiorendo, muore dando forza ad una nuova pianta.
ANGELA CHIAZZA
I MANISCALCHI Commento dell'autore: I maniscalchi di via Salerno, Nino Perzia e Nino Mamo, i due fabbri a suo tempo chiamati anche ferrascecchi, per noi ragazzi vedere forgiare il ferro e ferrare i muli e gli asini era uno spettacolo indescrivibile, ricordo che ci forgiavano la punta della strummula, appena forgiata ancora calda la infilavano nella sfera di legno (che era costruita dal falegname Vincenzo Schiurba) e nasceva la strummula... questo quadro e' dedicato ad Antonino Mamo e Antonino Perzia, persone a cui ero molto legato per la loro professione e il loro carattere e di amicizia tra le famiglie. Dino Vaccaro
Questo quadro dal titolo La Bottega dei Maniscalchi, apre la serie che l’artista Vaccaro dedicherà all’importanza dei mestieri di una volta. Con un approccio infantile, una rappresentazione favolistica della realtà, piena di dettagli e di elementi decorativi, con la mancanza di regole stilistiche e pittoriche, quale la pittura naif, Dino vuole, ancora una volta sottolineare l’importanza dell’attaccamento alle tradizioni. Al contrario però degli artisti autodidatti che dipingono per sé stessi, per il loro bisogno di esprimersi, Dino sente forte la necessità di far conoscere alle nuove generazioni i mestieri perduti. La Bottega dei maniscalchi si può paragonare a quella che oggi potrebbe essere un’autofficina e il blu delle tute dei ferracavaddri ricordano quelle dei meccanici di oggi. I colori forti ne rappresentano la fatica Angela Chiazza
Shoah - tempesta devastante - L'Olocausto
27 GENNAIO
Oggi è il giorno della Memoria, per Ricordare fino a che punto l’uomo può umiliare e annientare un altro uomo, suo fratello . Quello che non vorremmo ricordare oggi è l’indifferenza con la quale tutti quelli che sapevano ,ed erano in molti ….hanno lasciato che si consumasse la più grande vergogna dell’umanità nel cuore della civilissima Europa. Oggi è il giorno della memoria per tutti noi che sappiamo,e non dobbiamo stare in silenzio di fronte alle guerre ,alle sofferenze ,alle deportazioni dei popoli ,ogni Uomo è nato Libero e ha diritto a una vita dignitosa in pace, nella sua terra. I diritti di tutta l’umanità intera devono essere rispettati,senza differenza alcuna, al di là dei colori o delle religioni, il sangue che scorre nelle nostre vene è rosso per tutti. Siamo fratelli. rosamary
"Penso che sia una cosa complessa spiegare cosa mi spinge a dipingere, sarà una questione di stati d'animo". Ed è proprio questo stato d’animo, di dolore, di sofferenza, di angoscia, che in questa tela, Dino, vuole condividere con chi sofferma lo sguardo sul dipinto. Il patimento che emerge dal dipinto, colpisce all'improvviso come un colpo di frusta, il cui dolore rimane impresso sulla pelle con una cicatrice mai rimarginata, per sempre. Ancora tanti simboli si leggono dalle pennellate decise e cariche di colore. In primo piano, la scena è dominata da una donna il cui viso martoriato, che appena s’ intravede, è coperto da una folta chioma di capelli rossi, che in basso diventano rivoli che gocciolano sangue che a sua volta si sparge su due fascioni ai quali inerme, piegata su se stessa, si aggrappa . TEMPESTA DEVASTANTE il titolo dell’opera, questo è stato l olocausto per chi lo ha vissuto sulla propria pelle e per chi, ad oggi, ne vede le immagini e ne legge la triste storia. Ha piegato tutte le coscienze, non c è stato uomo che non ha sentito dentro di se un palpito di colpa, un uomo che non si è chiesto il perchè di tanto orrore che ha causato 15 milioni di morti tra le categorie ritenute "indesiderabili" (omosessuali-zingari-testimoni di geova-handicappati-dissidenti politici) oltre gli ebrei. Ci si chiede perchè Dino sceglie il corpo di una donna per rappresentare la shoa e non quello scheletrico e nudo di un uomo o il viso scavato e sofferente di un bambino. Guardando attentamente lo scenario nel suo complesso possiamo trovare le risposte. Il corpo raffigurato, marchiato allo sterminio, i numeri impressi nel braccio lo testimoniano,. non è emaciato, diafano ma vigoroso Il seno turgido ne da testimonianza. Sceglie la donna perchè in lei è racchiuso il mistero della procreazione, la vita che nasce, e con la vita la speranza, il domani, il futuro. Dino la dipinge si piegata su se stessa, a rimarcarne ancora una volta la sofferenza, ma nell'atto di rialzarsi come si vede dalle braccia che cercano un appiglio e la gamba pronta a dare slancio al resto del corpo.
Questo è l’auspicio di un mondo migliore che non manca mai nei quadri di Dino, l’augurio che l umanità reagisca e corra in aiuto a se stessa. Lo dipinge nudo questo corpo, che in arte ha due significati, talvolta il simbolo del bello, talvolta quello dell'osceno, in questo caso niente di più indecente è stato compiuto dall' uomo verso il proprio fratello, ha proporzioni fisiche asciutte e tornite che, come nell’arte greca che rappresentavano la correttezza e la moralità che l' artista continua a ricercare. Una riflessione va fatta anche sulla scelta del colore. Il rosso, questo colore primario che l’artista largamente usa per dipingere i capelli della donna, le fasce laterali, i tetti del lager . Sarà perché con il colore vuole ancora rimarcare gli stati d’animo, rosso è il colore del sangue, della vita che nasce e spesso della morte; ma anche dello spavento e del pudore che inietta le gote degli adolescenti ; della vergogna, è il contrario del nero e del lutto; è perché è sensuale, impudico, intrepido e ribelle. Il bello del rosso è che attraversa l'occhio, il cuore e la mente di tutti: dei poveri e dei ricchi, dei colti e degli incolti, degli ultimi e dei primi. E' un riferimento simbolico perenne dell'immaginario collettivo universale in grado di attraversare razze e culture, a prescindere dalle epoche storiche. Inoltre per sottolineare un tratto della personalità dell'artista possiamo dire che preferire il colore rosso rispecchia una persona con grande energia che ama agire e mettersi sempre in competizione con il prossimo e, soprattutto, con se stesso. Ha un carattere audace e desidera sempre colpire l’attenzione degli altri. Ritornando alla tela un accenno bisogna fare sul resto dei soggetti raffigurati: il binario che porta inesorabilmente verso la morte, rimarcando quel senso di rabbia e frustrazione Nello sfondo il lager, con la sua torretta di avvistamento che sorveglia come se fosse l’occhio dell’umanità intera che tiene sotto controllo il proprio cuore; una porta aperta sul mare, mare che sembra cielo, lo stesso colore a rappresentarlo come a significare che il senso della ragione di quel periodo funesto era confuso, scomparso come l azzurro che in alto sulla tela sbiadisce. In basso alla tela, Dino, vuole dare un omaggio all’opera dell’artista SHALECHET, dipingendo le maschere di ferro, (foglie morte) che coprono l’intero pavimento del museo di Berlino, il cui suono stridulo emesso dal calpestio del visitatore, simboleggia le urla di migliaia di uomini donne e bambini morti per mano nazista. A.C.
Scarpette rosse è un omaggio di Dino a tutte le donne. Donne a cui è stata tolta prematuramente la vita Donne che ogni giorno muoiono in solitudine, vittime di una violenza anche psicologica che, in molti casi rimane all’interno delle mura domestiche. Sulla tela esplode il colore rosso, usato dall’artista per attirare maggiormente l'attenzione dell’osservatore sulla piaga del femminicidio. Al centro un viso sorpreso su cui scende una lacrima di sangue, una bocca semiaperta come a chiedere il perché. Capelli arruffati ed insanguinati che si espandono sull’intera superficie del quadro come a sottolineare l’ampliamento del fenomeno.
Scarpette di bimba vezzose, allineate e pronte ad affrontare il sogno della vita. Scarpe di donna, vuote, inanimate e rovesciate, come il progetto di vita infranto. Angela Chiazza
Guardiamo questo quadro, quest’occhio che ci fissa e ci invita, anche, ad osservarci, a guardare dentro noi.
A.c.
Uno sguardo ravvicinato. Un occhio semplice. Poche pennellate, pochi i colori usati. L’attenzione di chi osserva il quadro viene captata dalla pupilla, vigile ed attenta; sembra uno sguardo di stupore, meravigliato. che a sua volta ricambia dando la netta impressione che ti osservi. Non è l’occhio di un uomo adulto, e si nota dalla pelle del viso fresca e rosea ma, l’occhio di un fanciullo o fanciulla non importa, che ancora ha tutto da scoprire, che conserva ancora la curiosità per la vita in genere, che è fonte di tutte le scoperte. Forse l’occhio del figlio al quale Dino vuole insegnare che la vita è sopratutto osservare e non guardare, perché, come lui stesso afferma, a guardare tutti sono capaci ma, osservare è riservato a pochi…..perchè chi sa osservare con occhio attento scopre la bellezza che ci sta attorno che a sua volta apre cuore e mente al sentimento e non alle sensazioni. Ma nello stesso tempo rappresenta anche l’occhio dell’artista, che da sempre ha cercato di fermare nella mente, attraverso gli occhi, attimi importanti della sua vita. Proprio per questo il quadro può essere il filo conduttore che collega tutte le sue opere.
Sguardo ravvicinato Tendo sempre ad essere semplice e diretto……” dichiara Dino, e cosa può esserci di più diretto di uno sguardo, cosa di più semplice dell’emozione trasmessa dagli occhi. In questo caso di un occhio solo, che cerca di concentrarsi su ciò che guarda. Come quando per meglio fissare una cosa ne chiudiamo uno, come quando si guarda dal buco di una serratura dove tutto quello che ci appare al di là è limitato ad un confine preciso: Quello che si fa vedere e che quello che voglio vedere
Dino Vaccaro è, per me, il maestro di una pittura intrisa di esistenza che, potremmo dire, corre sul passo stesso degli umori e dei sentimenti di ogni giorno, si formula sull'esperienza quotidiana di emozioni in rapporto con le cose e con i fatti individuali e sociali. Ma la pittura di Vaccaro può essere scissa nelle produzioni di due distinti periodi. I suoi primi lavori sembrano essere una rivisitazione emozionale della fanciullezza, il tentativo di personificarla, di catturane con il gesto del dipingere l’aspetto più puro: di comunicarne la meraviglia dell’innocenza. Tra questi dipinti ricordiamo “Tiro di fionda” (osservando questo dipinto il fruitore, non senza sorpresa e sconcerto, ha modo di trovarsi in una posizione atipica ad osservare un lancio di fionda e gli occhi di un bimbo colmi della gioia senza compromessi della gioventù). I suoi ultimi lavori comunicano invece l'esperienza della propria esistenza e il suo rapporto con eventi storici rilevanti nella storia della Sicilia e dell’Europa. Tra questi dipinti ricordiamo: Tempesta devastante (una personalissima riflessione sul genocidio degli ebrei per mano nazista); Dalla Pirrera a Charleroi (dedicato agli emigranti siciliani che lasciarono la propria terra e i propri affetti per andare a lavorare nelle miniere del nord dell’Europa); Sangue rosso (dove l’artista sembra porre, nel gesto della madre che fugge terrorizzata proteggendo il proprio pargolo, la sconfitta dell’innocenza per mano assassina); e, non certo ultima per significato e bellezza, la tela Rosa di Sicilia (dove il meraviglioso sole del Sud sembra compiacersi alla musica ed al canto di quella grande artista che fu Rosa Balistreri). Nelle sue più recenti opere, Dino Vaccaro ci regala una concezione della pittura come disamina e giudizio della realtà e, in quanto registro facilmente accessibile a tutti, strumento di riflessione e denuncia e quindi, in qualche modo, utile per cambiare le cose. Questa vocazione testimoniale del proprio tempo, dei suoi conflitti e delle sue passioni, nell’arte del ciancianese passa sempre attraverso il filtro di un solipsismo che incide sulla tela l’esperienza personale trasformandola in riflessione umana e umanistica. Prof. Giuseppe La Rosa
Si ringraziano: Angela Chiazza , prof. Giuseppe La Rosa e il Maestro Pietro Arfeli