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I Fasci dei Lavoratori nei Paesi dell’Unione dei Comuni Platani-Quisquina-Magazzolo (1893-94) A cura di Eugenio Giannone
Comune di Cianciana Col patrocinio della Provincia Regionale di Agrigento 1
La Sicilia post-unitaria
Situazione socio-economica All'indomani dell'Unità d'Italia la Sicilia, secondo alcuni, possedeva tutti gli elementi necessari al suo decollo economico commerciale-industriale. In altre parole, era opinione diffusa1 che sarebbe bastato qualche decennio di buon governo sabaudo per fare della perla del Mediterraneo, ormai libera delle pastoie burocratiche borboniche, un'oasi felice di ricchezza ed il ponte naturale tra Europa ed Africa. Era realmente così? O fu veramente colpa dei piemontesi non essersi accorti delle reali condizioni dell'Isola e della sua arretratezza plurisecolare, della povertà endemica di una terra potenzialmente ricca ma appena svincolata dai lacci del feudalesimo? Forse molti la confondevano con l'eden, con la terra del mito, dell'eterna primavera di Demetra e Core, col granaio romano, con la leggenda degli Svevi; per taluni era sinonimo di fragranze, di mandorle grosse come noci, di frutti copiosi: un paese esotico cui sarebbe bastata una certa stabilità politicoamministrativa, soddisfare alcune esigenze per eliminare ogni problema. Quale italiano conosceva effettivamente la Sicilia, che più che da Torino, Milano o Firenze negli ultimi secoli era stata attratta dai salotti parigini? E la cui classe dirigente aveva avversato sistematicamente tutti i tentativi di ammodernamento dei suoi viceré?
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cfr. F. S. Nitti, "In Sicilia", in M.L. Salvadori, Il mito del buon governo, Torino, 1960 2
Di certo erano più informati i viaggiatori francesi, inglesi e tedeschi che l'avevano percorso in lungo e largo, tra questi G. De Maupassant. Quali tribolazioni nel 1870 dovette sopportare Placido Cerri, insegnante di ginnasio, per raggiungere dal capoluogo un paese dell'entroterra!2 La dittatura garibaldina aveva illuso tutti; ben presto, però, i siciliani poveri si accorsero che non ci sarebbe stata rivoluzione sociale e in alcuni casi reagirono d'impulso, come a Collesano e a Bronte3; mentre i nuovi e antichi signori potevano gongolare affermando: "Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai re; ora viene dal popolo…la differenza è più di nome che di fatto…dipendere dalla canaglia non è piacevole…gregge umano, numeroso ma per natura servile…il mutamento è più apparente che reale. La storia è una monotona ripetizione…le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del sessanta, ancora quasi feudale, e questa d'oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore"4. Era, nei fatti, una rivoluzione di facciata e le iene avevano preso il posto dei gattopardi!5 La spedizione dei Mille, che aveva unito la Sicilia all'Italia, aveva avuto anche il merito di portare alla ribalta della cronaca la realtà siciliana. Si trattava di una regione molto arretrata nelle sue strutture e con una popolazione divisa pressoché in compartimenti stagni. Da una parte i ricchi proprietari terrieri, arroccati nelle loro posizioni di privilegio, e i parvenu insensibili alle miserie e ai 2
P. Cerri, Le tribolazioni d'un insegnante di ginnasio, Palermo, 1988 3 Cfr. G. Verga, Libertà, in Vita de' campi, Milano, ed. del 1970 4 F. De Roberto, I viceré, Milano, ed. del 1995 5 Cfr. G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Milano, 1958 3
bisogni dei ceti bassi; dall'altra la gran massa di diseredati che dovevano fare salti mortali per sbarcare il lunario. Assai povera risultava l'agricoltura, a carattere estensivo più che intensivo, priva di un'efficace rete viaria di penetrazione e di un adeguato sistema d'irrigazione. Stagnanti i commerci, latente l'attività industriale; preclusa ai poveri l'istruzione, con punte di analfabetismo che toccavano spesso il 94% della popolazione; assistenza sanitaria ignorata, vaste zone incolte e infestate dalla malaria. Non era certo colpa dei nuovi governanti se Ferdinando II nel suo Regno aveva saputo costruire appena 28 km di strade ferrate ad esclusivo uso della sua corte; ma la storia della nuova Italia iniziava "sulla base di un contrasto sociale volutamente ignorato dal governo e vissuto soprattutto nelle campagne"6, dove i contadini e le popolazioni in genere imparavano a conoscere il nuovo assetto sociale attraverso la leva obbligatoria (cfr. I Malavoglia di G. Verga), il carabiniere e l'esattore delle tasse. Insofferente a sopportare il peso di tutti i suoi problemi che s'incancrenivano, la Sicilia, come tutto il Meridione, dovette sopportare quello che vide come un vero e proprio esercito invasore e forti contestazioni salutarono a Palermo, nel 1866, la visita di Sua Maestà Vittorio Emanuele II. L'autonomia amministrativa, più volte reclamata, poteva attendere. Di fatto e conformemente agli interessi della borghesia settentrionale al potere, non solo non si cercò di dare impulso a quelle che erano le possibilità di progresso meridionale o isolano, ma, per diversi motivi, come l'unione di debiti, vendita dei beni demaniali, privilegi a società commerciali etc, la ricchezza del Mezzogiorno, che poteva essere il volano del suo sviluppo economico, trasmigrò verso il Nord, svuotando il Sud delle sue non grandi risorse. 6
M. L. Salvadori, Il mito del buon governo, Torino, 1960 4
L'imposta sui fabbricati, faceva notare N. Colajanni, si risentiva maggiormente nel Sud, dato che qui prevaleva la popolazione agglomerata7. La tassa sul macinato diede allo Stato tra il 1868 e il 1884 solo nel Mezzogiorno qualcosa come 300-400 milioni ed ascese a più di 600 milioni il contributo per la vendita del demanio e dell'asse ecclesiastico. Demanio ed asse, che potevano servire ad esaudire il vecchio sogno contadino (possedere la terra lavorata), resero invece proprietari una gran massa di borghesi venuti su dalle professioni. Scrive il prof. S. Correnti che per ogni cento lire esatte "lo Stato spendeva lire 93 annue per ogni abitante del Lazio, e lire 71,15 per ogni abitante della Liguria e solamente lire 19,88 per ogni abitante dell'Isola"8. La Sinistra storica, che nel 1876 aveva sostituito il gruppo dirigente cavouriano (la Sicilia aveva votato compatta contro il governo uscente), promosse la riforma fiscale, che abolì la tassa sul macinato, ma aumentò le imposte di consumo, colpendo ancora una volta e pesantemente le classi meno abbienti; stimolò lo sviluppo industriale del Nord, favorendolo col protezionismo doganale, avallato anche dal siciliano Crispi che avrebbe dovuto sapere, come gli ascari, che il peso di tale sistema economico sarebbe ricaduto sui meridionali e sui suoi conterranei in particolare. Difficile, per motivi contingenti, risultò in Sicilia l'applicazione della legge Coppino sull'istruzione elementare obbligatoria e gratuita. Ignorati i risultati dell'inchiesta Jacini (1877) sulle condizioni dell'agricoltura; considerata interessante studio l'inchiesta della Rassegna Settimanale, che aveva dato risultati diversi da quella ufficiale del Governo, condotta dal Bonfadini.
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Cfr. N. Colajanni, In Sicilia, in M. L. Salvadori, cit. S. Correnti, Storia della Sicilia, Catania, 1995, pag. 260 5
L'inchiesta di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti (I contadini in Sicilia, Firenze, 1877) è soprattutto nota per le contraddizioni all'ottimismo ufficiale dei governanti, per i quali le ossa dei siciliani non erano rose, malgrado le avversità del passato, da una questione politica né da una questione sociale 9. Ben diverso era il quadro tracciato dai due amici, ai quali la società siciliana appariva ordinata ad esclusivo vantaggio della classe abbiente e dei galantuomini; fondata sul clientelismo e sulla mancanza totale del senso dello stato. Preoccupavano il Sonnino la mancanza di solidarietà tra le classi, la mentalità anacronistica dell'aristocrazia e della ricca borghesia. Quanto ai rimedi proponeva la riforma tributaria e quella dei patti agrari. Sorge spontanea la domanda: Quale regione del Paese aveva visitato il Bonfadini con la sua Commissione? L'analisi morale della Sicilia e dei Siciliani nei primi decenni dell'unità coincide con quella spietata che della stessa fa Luigi Pirandello nel romanzo I vecchi e i giovani. L'economia siciliana del secondo Ottocento si basava ancora su un'agricoltura di stampo latifondistico e le sue esportazioni erano ostacolate dalla carenza di strade e ferrovie, che si iniziarono a costruire all'indomani dell'Unità ma avanzarono molto a rilento, al punto che la Palermo-Messina venne inaugurata solo nel 1895. La costruzione di nuove strade, ora che erano scomparse le regie trazzere - larghe fino a 37 metri - perché usurpate dai grandi proprietari terrieri, era inesistente perché l'onere ricadeva esclusivamente sui dissestati Comuni isolani, che così perpetuarono il loro isolamento. L'agricoltura siciliana produceva vino, agrumi, ortaggi, mandorle, tabacco, sommacco e olio. Il suo principale problema era "l'incapacità a mantenere la produzione alimentare al passo con il rapido aumento della 9
Cfr. M. L. Salvadori, cit. 6
popolazione"10; e questo non faceva che riproporre il problema del latifondo, in cui i braccianti erano trattati come schiavi e non avevano contratti di lavoro stabili. "I contadini avevano un potere di contrattazione così basso che…tre quarti di ciò che producevano andava al gabellotto in cambio del privilegio di lavorare…nella sua terra"11. La polverizzazione dei piccoli appezzamenti faceva poi il resto, assieme ai periodi di siccità per i quali i contadini, non riuscendo a pagare debiti, interessi usurai e imposte, venivano espropriati. Fiorente era in qualche modo l'industria estrattiva (allo zolfo dedicheremo spazio più avanti), la metallurgia, l'arte della ceramica, l'industria tessile e del pellame, la vetreria, la pesca, la navigazione, in mano però a poche famiglie, qualcuna molto illuminata come i Florio. Tutte queste attività, che in qualche modo avevano potuto svilupparsi all'ombra del protezionismo borbonico, chiaramente non riuscirono a reggere, ad unità avvenuta, la concorrenza del Nord e per la Sicilia iniziò un lungo (permanente?) periodo di recessione e stagnazione economica. L'imposta statale sull'alcool aveva creato non poche difficoltà all'industria enologica e simile dannoso effetto aveva avuto la monopolizzazione del tabacco. "Centinaia di piccole fabbriche chiusero i battenti nei primi anni Settanta e migliaia di operai rimasero senza lavoro" 12. L'aumento della popolazione e l'incremento dei consumi alimentari rendeva antieconomica l'economia del latifondo, il reddito rimaneva basso e si rese necessaria l'importazione di
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D. Mack Smith, Storia della Sicilia, Bari, 1970, vol. III, pag. 635 11 D. Mack Smith, cit., pag. 634 12 ibidem 7
grandi quantità di cereali, che disturbava gli interessi degli agrari, che non avrebbero tardato a rifarsi. Subito dopo la situazione sembrò migliorare, soprattutto nel campo vitivinicolo perché la fillossera aveva iniziato a devastare le coltivazioni francesi. Aumentarono le esportazioni e vaste zone siciliane vennero impiantate a vigneti a discapito di oliveti e agrumeti. Il momento felice durò poco perché ben presto la fillossera raggiunse le terre siciliane con le conseguenze immaginabili. Anche le altre colture entrarono in crisi: il gelso, che richiedeva una manodopera molto costosa, subiva la concorrenza orientale ed era oberato da un onere fiscale gravoso; l'ulivo, su cui pesava l'imposta stabilita prima che il suo uso venisse soppiantato nell'illuminazione; gli agrumi, per la concorrenza americana. Alla pressione fiscale statale andava ad aggiungersi il balzello mafioso, che faceva lievitare i prezzi e danneggiava le esportazioni. La guerra delle tariffe doganali scatenata dal Crispi nel 1887 gettò benzina sul fuoco che stava impoverendo l'economia siciliana. Le esportazioni di vino e agrumi subirono un calo notevole perché, giustamente, i paesi stranieri risposero al nostro protezionismo gravando di imposte i nostri prodotti. "Molti contadini furono rovinati, i salari furono a volte dimezzati e le zone più avanzate dell'agricoltura siciliana (la Conca d'oro e la Piana di Catania, n. d. c.) soffrirono gravemente"13. L'handicap più grave era, sempre e comunque, costituito dalla carenza di strade che ostacolava il commercio. Andare da Bivona a Ribera, che pure distano tra loro 28 km, nel 1878, comportava un percorso di oltre 100 km e guadare più volte lo stesso fiume Magazzolo.
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ibidem, pag. 641 8
Il trasporto fino alla costa, in questi termini, faceva raddoppiare il prezzo del grano e dei fertilizzanti che venivano usati nei vasti latifondi dell'interno. La Sicilia produceva ed esportava zolfo ma non acido solforico; limoni ma non acido citrico; sommacco ma non tannino; vino ma non acido tartarico; lino ma non olio di lino; il suo vino era usato come vino da taglio altrove e per produrre liquori, fa notare con acume D. Mack Smith14. Molte industrie siciliane (enologica, zolfifera) erano in mano a stranieri, che difficilmente avrebbero reinvestito nell'Isola i proventi delle loro transazioni commerciali. I risparmi dei siciliani, invece, venivano depositati alla posta o investiti in titoli di stato, per cui, in ogni caso, prendevano la via del Continente. I Florio e altri imprenditori a poco a poco cominciarono a vendere a forestieri o a trasferire altrove le loro ricchezze. Ai siciliani ben presto non sarebbero rimasti che gli occhi per piangere - come in una espressione popolare - e una nave della nuova compagnia di navigazione, sorta dalla fusione FlorioRubattino, per andare in America. "Il peggioramento delle condizioni economiche non si limitò solo al contadiname. Anche i terrieri ebbero ragione di lamentarsi per l'eccessivo fiscalismo"15,per le aliquote fondiarie, le tasse sui terreni; l'introduzione della ricchezza mobile; di contro ad una scarsa politica di lavori pubblici per opere di carattere sociale e infrastrutturali che avrebbero potuto tamponare le sofferenze di non pochi. In verità , interventi simili avvennero ma furono gocce nel gran mare della povertà e arretratezza della Sicilia. Anche se in misura modesta lo
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ibidem, pag. 648 L. Natoli (W. Galt),Storia di Sicilia, Palermo, 1979. Pag. 317 15
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Stato faceva la sua parte, la mentalità feudale e precapitalistica degli eventuali imprenditori siciliani il resto, cioè niente. Gli anni fino al 1894 furono "particolarmente critici e difficili per l'economia siciliana… La massa di contadini affamati di terra è talmente considerevole che il proprietario, o il gabelloto si trova sempre, per larghezza dell'offerta e l'esiguità della domanda di lavoro, nella posizione di poter imporre le proprie onerose condizioni…"16. Anche la discesa del prezzo dello zolfo, iniziata nel 1873-75, colpì gravemente l'industria estrattiva, con conseguente riduzione dei salari. Ogni crisi, naturalmente, si rifletteva sulle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori d'opera, che si vedevano seriamente minacciati nella retribuzione e, quindi, nella sopravvivenza. Per fronteggiare tale situazione i lavoratori subalterni tra il 1880 e il 1890 cominciarono a costituire i primi circoli e società di mutuo soccorso, che divennero gli antesignani dei Fasci17. La mafia. La mafia è sempre stata la palla al piede per l'affrancamento culturale e socioeconomico della Sicilia; per la sua conformazione e mentalità conservatrice ne ha impedito uno sviluppo sostenibile e foriero di cambiamenti e benessere diffuso. E' un'organizzazione parassitaria, che partecipa solo agli utili, reali o virtuali, delle imprese e prospera nei periodi di grave debolezza del potere centrale o in sconvolgimenti sociali, imponendo con la violenza omertà, pizzo, tangenti e
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S. La Rosa, Trasformazioni fondiarie, cooperazione, patti agrari, in Storia della Sicilia, Napoli,1977, vol. IX, pag. 121 17 Cfr. V. Giura, L'industria solfifera siciliana nei secoli XIX e XX, in Storia della Sicilia cit. 10
amministrando la sua giustizia, fondata sulla lupara, oggi ammodernata in kalashnikov e autobombe. Esistendo una vasta trattatistica sulla materia è inutile insistervi, ma va sottolineato come essa abbia saputo sfruttare il latifondo, organizzandosi in maniera piramidale. Al vertice il proprietario, aristocratico ed assenteista, che, vivendo in città, cedeva le sue terre al gabelloto, che, suddiviso il podere in piccoli appezzamenti, lo subaffittava a contadini, assetati di terra e lavoro, riscuotendone canoni d'affitto e gabelle. Contadini e braccianti, gabelloto-dipendenti, nel timore di vedersi privati delle terre e della possibilità di lavoro, cedevano con rassegnazione ai ricatti di campieri e soprastanti che, ben presto, per resistere ai pericoli rappresentati dal nuovo stato unitario, cominciarono ad organizzarsi in cosche. Il mafioso dettava le condizioni della mezzadria, indicava in quale mulino o frantoio portare frumento, uva e olive, stabiliva il prezzo dei prodotti e quali giardini ed orti potevano usufruire dell'acqua irrigua dei pozzi. L'abuso di potere non riguardava solo le campagne ma, com'è ovvio, le altre attività produttive e tra queste la zolfara. Anzi in zolfara, molto spesso, trovavano rifugio i ricercati dalla legge, che nel frattempo avevano fatto il salto di qualità, dando vita ad un sodalizio, perverso col potere politico. Da questo connubio all'espansione in tutti i gangli vitali della società siciliana il passo è stato estremamente breve e le conseguenze sono ancora visibili: eliminazione cruenta dei servitori dello stato che la combattono, violenza e ricatti diffusi, intimidazioni, sottosviluppo e clientelismo cronici in una Sicilia votata alla povertà, ma non alla rassegnazione. La mafia - sosteneva Giovanni Falcone - è un fenomeno umano. Come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e, fatalmente, avrà una sua fine, ma occorre che ognuno di noi faccia la sua parte.
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Lo zolfo. Per tutto l'Ottocento la Sicilia fu il maggior produttore e fornitore mondiale di zolfo. L'estrazione razionale del minerale era iniziata attorno al 1830/40 quando, dopo studi inglesi, se ne scoprirono le applicazioni chimico-farmaceutiche ed agricole. All'inizio del XIX secolo erano attive nell'Isola sei miniere ma il numero era destinato ad ampliarsi notevolmente, anche in provincia di Girgenti. Nel 1860 le zolfare superavano le trecento unità con 16.000 addetti. Il prezzo aveva toccato il suo apice nel 1832 con 208 lire al cantàro (80 kg). La parabola discendente e irreversibile inizia nel 1905/6 quando in Louisiana si cominciò ad applicare il metodo Frasch, che portava in superficie zolfo direttamente fuso nelle viscere della terra, mentre da noi la produzione avveniva ancora con metodi patriarcali. Ma i segnali della crisi risalivano al 1876, quando i prezzi cominciarono ad oscillare vertiginosamente verso il basso, trascinando nella rovina parecchi produttori di zolfaia.La produzione ben presto cominciò a diminuire e si ridusse a un decimo di quella mondiale, con gravi ripercussione sull'occupazione e sui salari. L'industria estrattiva siciliana, al di là dei motivi contingenti che l'hanno condannata al declino, alla chiusura e della concorrenza americana, non poteva avere prospettive di sviluppo per carenza d'infrastrutture (strade rotabili, ferrovie), per l'insufficienza dei porti (caricare o scaricare una nave a Porto Empedocle richiedeva venti giorni, a Malta meno di una settimana), per carenza di capitali da investire, per mancanza di spirito associativo o imprenditoriale, per la pochezza dell'industria chimica (il minerale generalmente si esportava e non veniva lavorato in loco); inglesi e francesi, che detenevano il monopolio dell'esportazione, non avevano interesse a reinvestire in Sicilia parte dei guadagni nell'ammodernamento
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della struttura; per l'eccessivo sfruttamento degli addetti al lavoro in miniera. I proprietari delle zolfare erano aristocratici che, vivendo generalmente in città, non si prendevano cura delle loro terre e perciò, presero a cedere in affitto (gabella) le miniere in cambio di una percentuale del prodotto (estaglio) che poteva arrivare fino al 30%. Il gabelloto, nella fregola di arricchire, sfruttava gli operai, cedendo spesso a cottimo il lavoro (pagando a quantità di minerale estratto) e non aveva interesse ad investire. Ma, in fondo, anch'egli era uno sfruttato. Coglie bene Luigi Pirandello, che nella novella Il fumo così scrive: "Chi erano, infatti, per la maggior parte i produttori di zolfo? Poveri diavoli, senza il becco d'un quattrino, costretti a procacciarsi i mezzi, per coltivare la zolfara presa in affitto, dai mercanti di zolfo delle marine, che li assoggettavano ad altre usure ed altre soperchierie. Tirati i conti, che cosa restava, dunque, ai produttori? E come avrebbero potuto dare, essi, un men tristo salario a quei disgraziati che faticavano laggiù, esposti continuamente alla morte? Guerra, dunque, odio, fame, miseria per tutti, per i produttori, per i picconieri, per quei poveri ragazzi oppressi, schiacciati da un carico superiore alle loro forze…"18. Salari di fame, dunque, e sfruttamento: dei picconieri, degli spisalora, degli arditura, degli acqualora e, soprattutto, delle donne e dei carusi, che rappresentavano l'anello più debole della catena di lavoro in miniera. Dieci-dodici ore al giorno per dei salari di fame. Secondo i dati dell'Annuario Statistico Italiano, il salario medio di un picconiere (operaio scelto), che nel 1876 guadagnava lire 2,90, scese a lire 1,90 nel 188819. 18
L. Pirandello, Il fumo, in Novelle per un anno, Milano, ed. del 1993 19 V. Giura, cit., pag. 21 13
Nel 1881 un picconiere a Cianciana percepiva due lire, le donne lire 0,70 e un caruso da lire 0,35 a 1,30. Nel 1893 nello stesso paese il salario medio del picconiere era precipitato a lire 1,5020. Non meraviglia, quindi, che nella sola provincia di Girgenti tra il 1880 e il 1890 si svolgessero ben venticinque scioperi che interessarono circa ventimila operai. Le agitazioni diminuirono d'intensitĂ quando i salari ripresero a salire; ma fu una stagione effimera per la recessione che colpĂŹ gli stati importatori del biondo minerale. (eg)
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Cfr. E. Giannone, Zolfara, inferno dei vivi, Palermo, 1996, pagg. 13-14 14
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I Fasci dei Lavoratori
"I tempi nuovi reclamano provvedimenti d'indole sociale: se la borghesia perdurerà nel suo egoismo e nella sua ingordigia, nessuno potrà impedire una rivoluzione. Io non temo il risvegliarsi delle tendenze autonomistiche; temo della grande miseria dei contadini, degli operai, degli spostati, e della coscienza che costoro vanno acquistando di diritti, che la borghesia avara ha conculcato. Io passo molta parte della mia vita in campagna, e sono testimone delle immani sevizie che i borghesi padroni de' municipi commettono sopra la gente misera e senza difesa". Così scriveva da Messina il 23 dicembre 1893 Francesco Perroni Paladini21 al suo vecchio amico Francesco Crispi, che si affrettava a sciogliere manu militari i Fasci siciliani. In queste semplici e secche parole c'è l'origine, le cause e l'epopea dolorosa dei Fasci dei lavoratori, la cui ventata innovativa e non rivoluzionaria solo pochi erano stati in grado di cogliere. Lo avevano saputo fare il Perroni Paladini, che viveva in campagna tra i contadini, G. De Felice Giuffrida, catanese e quindi cittadino, Alessandro Tasca Principe di Cutò, Nicola Barbato, medico di Piana dei Greci e altri intellettuali piccoloborghesi e non certo la borghesia medio-alta, gli aristocratici, i gabelloti, i mafiosi, tutti arroccati nelle loro anacronistiche posizioni . I Fasci erano figli del malessere diffuso tra i siciliani e della grande crisi agricola e mineraria che investì l'Isola a più riprese dagli anni '70 ai primi anni '90 ( la produzione di grano scese dai 7.744.918 ettolitri del 1891 ai 4.363.696 del 1892). 21
F.Brancato, Francesco Perroni Paladini, garibaldino e uomo politico, Palermo, 1962, pag.107-08 16
Agli inizi degli anni Novanta scioperi spontanei si erano svolti un po' in tutta la Sicilia, ma si erano spenti come fuochi di paglia e ad essi erano seguite pause di rassegnazione e di silenzio. Era chiaro che le lotte degli operai delle città e quelle dei contadini e zolfatari delle campagne nulla avrebbero sortito senza un'organizzazione unitaria ben diversa dalle società di mutuo soccorso o leghe di resistenza che portavano avanti esigenze settoriali. Fu questa la grande intuizione di Rosario Garibaldi Bosco che il 29 giugno del 1892 inaugurò ufficialmente il Fascio di Palermo. Lo Statuto del Fascio palermitano prevedeva l'assistenza sanitaria gratuita per soci e familiari, istruzione per gli adulti, mutua assicurazione sulla vita, difesa gratuita per gli incriminati di reati politici, concorso sull'acquisto dei medicinali, cooperative di consumo e di lavoro. Essi saranno ripresi da quasi tutti i Fasci siciliani. In verità il primo Fascio operaio era nato a Bologna nel 1871, cui era seguito l'anno dopo quello di Firenze. Sullo sfondo della grande crisi agraria del 1888 viene fondato il Fascio di Messina da Niccolò Pétrina, che si circoscrisse alla sola città peloritana e rimase in embrione forse per i guai giudiziari del suo fondatore. Per questo motivo l'inizio dell'era dei Fasci viene fatto coincidere con la nascita, il 1° maggio 1891, del Fascio di Catania ad opera di Giuseppe De Felice Giuffrida, le cui idee fecero ben presto breccia in parecchi comuni del catanese e del siracusano. I Fasci si diffusero ovunque come funghi e molte società operaie di mutuo soccorso cambiarono nome aderendo alla nuova organizzazione. Fu però dagli inizi del 1893 che lo sviluppo del movimento assunse un ritmo travolgente, grazie anche alla politica liberale del governo Giolitti, che li lasciò organizzare. 17
Il dato più appariscente di tutta la vicenda fu la spontaneità. "Un fremito di attivismo, un desiderio di realizzazione percorsero, dunque, nel '93 le campagne siciliane"22. Per molti era arrivata l'epoca della giustizia sociale attesa da secoli e un fanatismo quasi religioso invase i cuori e le menti di contadini e zolfatari, che per la prima volta diventavano protagonisti della storia della Sicilia. Alla fine di ottobre il numero dei Fasci sale a 162 unità di cui 32 in provincia di Girgenti; mentre i soci ammontano a circa 300.000. "Il movimento dei Fasci si svolge lungo due fasi ben distinte: una di preparazione, che va dal maggio '91 all'agosto del '92, l'altra di maturazione e sviluppo…dal settembre '92 al dicembre '93"23,che in ogni caso sono gli anni peggiori della storia economica italiana. Il 22 maggio del 1893 si tenne a Palermo il primo Congresso regionale dei Fasci e fu subito scontro tra R. Garibaldi Bosco, appena tornato dal congresso socialista di Genova, che proponeva l'adesione per tutti i Fasci al Partito dei Lavoratori italiani in modo da fare di essi strumento non solo di lotta economica ma anche politica e dare loro un'organizzazione verticistica, e G. De Felice Giuffrida, che proponeva un'organizzazione orizzontale con una politica autonoma dal gruppo dirigente socialista milanese e un programma proprio. Prevalse il modello orizzontale, per cui i Fasci dei lavoratori si costituivano in sette federazioni provinciali e i Fasci di ciascuna federazione si riconoscevano sezioni del Fascio (artt.
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M. Ganci, Genesi e sviluppo dei Fasci, in Nuove Prospettive cit., pag. 24 23 F. Renda, I Fasci, la questione operaia e il Partito socialista, in AA.VV. I Fasci siciliani, vol. I, Bari,1975, pag.110 * Imposta, canone d’affitto del terreno, in natura, a prescindere dal raccolto. 18
1-2 dello Statuto). Ogni sezione dei fasci avrebbe aderito al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Sulla matrice socialista dei fasci diremo in seguito, perché al di là degli ideali delle figure più rappresentative e degli intellettuali, allevati alla scuola del Colajanni, schierati a fianco dei fascianti, le masse risultavano scarsamente politicizzate e lontane dall'ideologia marxista, mischiando aspettative millenaristiche, sete di giustizia, desiderio di terra, più equi contratti di lavoro, superstizione e sentimento religioso sincero, al punto che sfilavano con i ritratti del Re, di Garibaldi, Mazzini, Marx, le croci e i quadri della Madonna e del Nazareno. Operai e contadini, finalmente assieme per una causa comune, e sotto la guida di Bosco, Verro, Barbato, escono dalla loro rassegnazione e assieme agli zolfatari, danno vita ad una serie di scioperi incendiando tutta la Sicilia occidentale. Le richieste dei contadini trovano la loro sistemazione programmatica nel Congresso dei fasci agrari che si svolge a Corleone il 30-31 luglio 1893. I famosi Patti di Corleone prevedevano la sostituzione del vecchio odioso terraggio* con un contratto di mezzadria, aumento salariale ai braccianti, istituzione del credito agrario, equa distribuzione delle imposte e abolizione della tassa sugli animali da soma e tiro. Jurnatara (braccianti che lavoravano a giornata), burgisi (coloni), mitateri (mezzadri) incrociarono le braccia per mesi, costringendo i datori di lavoro ad accettare i patti. Sulle stesse posizioni di quello di Corleone sembrò muoversi il Congresso minerario che si svolse a Grotte (AG) il 12 ottobre 1893. Gli zolfatari agrigentini e nisseni chiedevano l'istituzione di magazzini generali, la demanialità del sottosuolo o, in subordine, la riduzione percentuale dell'estaglio, la riduzione
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dell'imposta fondiaria e l'apertura di banche di credito minerario, nonché mercedi più remunerative per gli operai. Addirittura, andando contro i loro egoistici interessi, i picconieri proposero la sostituzione del soccorso morto con un salario da corrispondere settimanalmente agli infelici carusi e di elevare a 14 anni l'età minima per lavorare in miniera. Come si vede, non c'era niente di sovversivo nelle richieste avanzate a Corleone e Grotte, né che si potesse definire socialistico o gravoso per i proprietari. Oggi definiremmo quel programma una piattaforma di rivendicazioni sindacali, che "miravano soltanto a liberare i patti agrari tradizionali dalle clausole angariche"24. La sostanza delle rivendicazioni era talmente blanda che non pochi piccoli proprietari o contadini benestanti, gabellotti e piccoli produttori di zolfaia aderirono ai Fasci; e tale da destare l'attenzione del Sonnino che pensò di recepirle in una legge dello Stato. Sostiene Carlo Villauri: "Non si tratta di una rivoluzione, tanto meno di una manifestazione criminale, bensì semplicemente di una rivendicazione di tipo normativosalariale che si inserisce in un modello riformistico, in quanto non vengono intaccati i diritti fondamentali della proprietà ma soltanto i limiti sociali entro i quali devono contenersi i rapporti contrattuali"25, mentre Luigi Pirandello, ne I vecchi e giovani, afferma che i proletari chiedevano cose che altrove si sarebbero meravigliati che non ci fossero già. La rapida espansione del movimento suscitò le "giustificate" preoccupazioni dello stato borghese, del ceto padronale siciliano che non poteva non considerare sovversivo il
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G. Manacorda, I Fasci e la classe dirigente liberale, in AA.VV., I Fasci cit., pag.73 25 C. Villauri, La crisi di fine secolo(1890-1900), in Storia del Socialismo italiano, Roma, 1980, vol. I, pag.249 20
risveglio delle masse proletarie che avrebbe significato un ridimensionamento delle sue posizioni di classe egemone. La risposta, dinanzi alle mistificazioni ufficiali, non poteva che essere violenta sia da parte dei proprietari che dei gabelloti e campieri mafiosi, sia da parte del governo Crispi, succeduto nel dicembre al Giolitti. Durante gli scontri con le forze dell'ordine i dimostranti lasciarono sul campo un centinaio di morti e numerosi feriti. S'era cominciato a sparare sugli inermi a Caltavuturo il 20 gennaio 1893, quando la truppa fece fuoco lasciando sul terreno 13 morti, per continuare a Serradifalco (due morti), Alcamo (1), Giardinello (13), Lercara Friddi (11; Natale di sangue), Pietraperzia (8), Gibellina (20), Belmonte Mezzagno (2), Marineo (18), e concludersi a Santa Caterina Villermosa (il 5 gennaio 1894, 14 morti), dove la popolazione non era stata avvisata della proclamazione dello stato d'assedio. Seguirono, a logica conclusione del colossale imbroglio ordito contro i lavoratori, la chiusura dei Fasci, gli arresti dei dirigenti, i processi e le conseguenti condanne. L'Italia era stata salvata dai nuovi barbari, che avevano osato reclamare pane, istruzione e dignitĂ di uomini e nel lavoro, ed era stato sventato il complotto ordito dalla Francia e dal Vaticano! " La funzione storica forse piĂš importante dei Fasci siciliani fu di educare per la prima volta all'organizzazione e all'azione organizzata, alla discussione democratica e alla coscienza dei diritti e dei doveri sociali , le masse popolari siciliane e specialmente i contadini"26. Essi sono importanti perchĂŠ si collocano in una fase di passaggio economico (industrializzazione-nascita della classe operaia, protezionismo-ripercussioni sull'agricoltura) anche 26
S. F. Romano, Storia dei fasci siciliani, Bari, 1959, pag. 545 21
recessiva e perché vedono il distacco della classe operaia dall'anarchismo a favore del socialismo. L'altra importante novità consiste proprio nel nome e nelle conseguenze connesse: a Bologna, a Firenze e in altre città erano sorti i fasci operai; in Sicilia nascono i fasci dei lavoratori, che presuppongono un'organizzazione e una sensibilizzazione di massa, non più settoriale, dovute alla capacità politico-organizzativa dei suoi esponenti maggiori che aderirono tutti al neonato Partito socialista , anche se non tutte le sezioni dei Fasci si considerarono socialiste. Il socialismo era, infatti, radicato tra i lavoratori dell'industria e aveva solo da poco iniziato a manifestare attenzione verso il mondo agricolo, soprattutto grazie a R. G. Bosco, che s'era reso conto che senza un'azione sinergica tra gli operai delle città siciliane, i lavoratori della terra, gli artigiani, gli zolfatari mai il socialismo avrebbe potuto trionfare. Il Partito Operaio italiano, contrariamente agli altri partiti fratelli europei, non aveva ancora una proposta operativa per il mondo contadino e da qui il suo oscillare logorroico nei confronti del movimento dei Fasci. Non era possibile che la funzione trainante del binomio operai-contadini fosse affidata a questi ultimi: non rientrava nella logica marxista. "Il socialismo padano ben poco sapeva della Sicilia" e le parole del Bosco vennero considerate "un ottimo espediente per far colpo e radunare proseliti al nuovo partito"27. "Il Partito socialista, sia in sede nazionale che regionale, dava prova d'immaturità tattica"28 e più volte negò il carattere socialista degli avvenimenti di Sicilia. "La prima obiezione fu che i contadini non erano in condizione di capire una sola parola di concetti generali come
27 28
M. Ganci, cit., pag.31 Ibidem 22
evoluzione sociale, collettivismo, nazionalizzazione del suolo e degli strumenti di lavoro29". "I socialisti predicavano una cosa, e i contadini ne intendevano un'altra. I primi predicavano la comunanza delle terre, e i secondi facevano la carta topografica della divisione delle terre"30.Non il socialismo ma i patti di Corleone e Grotte univano i lavoratori siciliani; non era il socialismo - sostiene F. Renda - ad andare verso i lavoratori ma viceversa e i dirigenti fungevano solo da trait d'union. E, ancora, secondo l'Hobsbawn i contadini optarono per il marxismo perché l'anarchismo era in fase decadente. Può essere vero anche il contrario: che l'anarchismo decadde perché i contadini siciliani o, meglio, i loro capi scelsero il socialismo31, quantunque contro questi ultimi Colajanni continuasse a ripetere che per i lavoratori siciliani il marxismo era incomprensibile. In ogni caso, si trattava di una lotta di classe atipica, dovuta all'anomalo sviluppo del capitalismo italiano, e i milanesi adottarono il movimento siciliano, pronti a prendere le distanze quando il generale inverno (del 1893) e il generale fame sfociarono in sanguinosi tumulti e sembrò che i Fasci fossero sfuggiti al controllo dei loro capi. I Fasci apparvero come jacquerie, causata dalla fame, una convulsione isterica, atti di vandalismo allo stato puro di una plebe diseducata, ancorata al feudalesimo, incapace di accettare le conquiste del riformismo e che non conosceva l'alienazione del lavoro e il plusvalore; un serio pericolo in grado di minare dalle fondamenta l'unità dello Stato e la civile convivenza. 29
F. Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 58 P. Villari, Dove andiamo? In Nuova Antologia, 1.11.1896, pag. 97 31 Cfr. E. J. Hobsbawn, I ribelli, Torino, 1966, pag.131 30
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Di fronte alla tragedia il Comitato Centrale dei Fasci abbandonò la linea del De Felice, ma era ormai troppo tardi. Lo Stato aveva scelto la via della repressione. Ai vari Bosco, Barbato, Verro, Montalto, De Felice, De Luca non rimaneva che accettare con tutta la dignità di cui furono capaci la loro sorte: "Le vittime sono più utili alla causa…di qualunque propaganda"32. " Era il testamento più valido che, in punto di morte il movimento dei fasci lasciava ai lavoratori della Sicilia. Ma era insieme l'atto di nascita di una coscienza civile e politica"33. I processi comminarono secoli di carcere e numerosi fascianti vennero spediti a soggiorno obbligato. Il 30 maggio 1894 De Felice venne condannato a 18 anni di carcere, Verro e Bosco a 12 anni ciascuno. Il Partito socialista fu accusato di avere lasciato soli i dirigenti dei Fasci e risarcimento tardivo apparve la candidatura nelle liste del partito e a loro elezione a deputati. Quello che accade in seguito fa parte di un'altra pagina della storia, che tuttavia fu macchiata dal sangue di parecchi ex-capi fascianti, martiri di un'idea, simbolo di una vita spesa al servizio degli altri e di sacrificio, mirabile esempio di virtù civili, morali e politiche. I Fasci si presentarono ovunque come una forte organizzazione di massa, nella quale erano confluiti operai, contadini, artigiani e zolfatari. Per la prima volta nella loro storia i proletari siciliani si scossero dal torpore e dalla rassegnazione che li avevano attanagliati per secoli e collaborarono in vista di un fine comune come mai avevano fatto in passato. Mancava ancora la figura del capopopolo, dell'eroe positivo per intenderci, ma i dirigenti seppero surrogarlo a dovere, 32
Dall'Autodifesa di G. De Felice Giuffrida, in Nuove Prospettive cit., pag.33 33 Cfr. Giornale di Sicilia, 11,12,13 febbraio 1975 24
anche se non addivennero mai a soluzioni univoche; e ciò era una novità se si considera l'anarchismo ingenito dei contadini meridionali, che si erano sempre mossi solo se spinti dal bisogno e dalla povertà, mentre ora lottavano per una società migliore, politicamente più equilibrata, dando prova di grande maturità. Per la prima volta gli interessi individuali cedevano il passo a quelli collettivi e questo è civismo. Ciò è considerevole ove si valuti l'arretratezza strutturale, gli squilibri della società isolana e l'analfabetismo delle masse. La legge Coppino era rimasta sulla carta per la povertà che costringeva i genitori ad avviare i loro fanciulli al lavoro. I Fascianti, capi come Bosco, Barbato e Panepinto capirono la portata rivoluzionaria dell'istruzione e la reclamarono per i figli del popolo, che assieme ai loro padri istruiti nelle sezioni dei Fasci, mostrarono di gradirla; d'altronde solo chi è sprovvisto di un particolare bene è in grado di apprezzarlo. Istruzione, libertà dal bisogno, acquisizione dei pieni diritti civili e politici sono obiettivi per cui gli uomini sono sempre stati pronti a sacrificare la vita. Se i Fasci fallirono fu perché forse i tempi non erano ancora maturi, perché il movimento era troppo debole per sconfiggere una borghesia fortemente spaventata e per farsi ascoltare da un governo che non tollerava che progetti politici partissero dal basso. Tempi nuovi occorrevano per il rinnovamento socio-politico della Sicilia, per una palingenesi che la liberasse dai residui medievali, dai troppi fardelli per incamminarla sulla strada della democrazia, calpestata da una classe dirigente e padronale miope, che trovò in Crispi il salvatore del momento e che trent'anni dopo s'illuse di ritrovarlo in un tizio che dei Fasci aveva usurpato il nome. I Fasci siciliani dimostrano che non si può a lungo affamare e schiavizzare un popolo che prima o poi, per fame, per 25
sensibilità nuova o maturazione, riesce ad esprimere forme efficaci di lotta, che se in un primo momento possono andare incontro a sconfitte, sono alla lunga vincenti. Attraverso i Fasci i siciliani, se non uscivano dalla povertà, si collegavano a livello nazionale ed internazionale con altre popolazioni legate da un destino comune di prossimo riscatto e capivano, pur restii a tutti gli estremismi, che era molto importante agire da popolo e non da plebe, ragionare piuttosto che agire d'impulso e che uniti si vince. Di fronte alla compattezza dell'agire delle masse, il siciliano Crispi, che più di altri avrebbe dovuto comprendere le spinte ideali che animavano i suoi conterranei, scegliendo la via della repressione e inasprendo gli animi, aggravò la frattura tra paese legale e paese reale, tra la classe dirigente e i ceti sociali più deboli, che continuarono a vedere nello stato un oppressore e nel carabiniere "carne venduta" (al nemico Stato, cui disobbedire era virtù). Il movimento dei Fasci non fu una rivolta di cafoni disperati e affamati, ma uno dei più riusciti, allora, dei tentativi di collegamento tra contadini e operai per un avvenire migliore e per contare di più sulla scena politica ed essere artefici del proprio destino. Un'epopea grandiosa seppure dolorosa, espressione del nuovo sentire subito interpretato dai socialisti isolani e non compreso adeguatamente dalle gerarchie ecclesiastiche che solo dopo avrebbero recuperato il terreno perduto tra le masse proletarie. Un movimento che, nonostante il carattere di spontaneità, agì con saggezza non proponendosi obiettivi rivoluzionari che rifuggivano al carattere delle masse siciliane, per natura paciose; nelle città gli operai desideravano cooperative di lavoro e di consumo, nelle campagne contadini e minatori reclamavano condizioni di vita più umane.
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A queste giuste, oneste rivendicazioni si rispose col piombo e con una miopia criminale. Giolitti avrebbe potuto, forse, fare da arbitro tra le classe sociali, Crispi ignorava cosa fosse la mediazione. A prescindere dall'incredibile e affrettata conclusione, i Fasci rappresentarono pur sempre una vittoria delle plebi siciliane, che scoprirono che è possibile diventare protagonisti della storia e non subirla. Per la prima volta i siciliani appresero il metodo democratico della partecipazione e della libera discussione e per la prima volta riuscirono a far valere i propri diritti senza ricorrere alla mafia o ai potenti di turno. Una grande lezione che ci viene dalla storia e che insegna che la mafia può essere isolata e, perciò, sconfitta (se lo stato si schiera dalla parte dei cittadini che combattono contro le prevaricazioni di ogni genere) e che con l'assistenzialismo e il pietismo non c'è avvenire per nessun popolo. La Chiesa e i Fasci. In tutta la vicenda dei Fasci la Chiesa, pur non avendo difficoltà a riconoscere le società di mutuo soccorso, mantenne un atteggiamento di basso profilo, oscillando tra curiosità, diffidenza e sospetto prima e apprensione, preoccupazione crescente e intenso studio per capire e risolvere, poi. L'Ottocento è stato un secolo di grandi mutamenti socioeconomici e culturali che hanno investito tutti gli aspetti della vita dell'uomo, mettendo in crisi la società agricola e patriarcale, segnando e complicando i rapporti tra le classi e gettando le basi di nuove tensioni sociali. Tra la classe operaia cominciò a far proselitismo il marxismo con il suo materialismo e il suo anticlericalismo, promettendo redenzione sociale con una più equa distribuzione della ricchezza e restringendo, di conseguenza, l'influenza della Chiesa che vedeva erigersi un solco tra sé e il mondo operaio.
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La Chiesa non poteva predicare la lotta di classe e bandire la proprietà privata, "restò legata ai soli principi cristiani dell'organizzazione autonoma dei lavoratori, ma non agì per spezzare le organizzazioni agrariste"34; ma le contingenze la indussero a prendere posizione, ad affermare una volontà di riforma con l'accettazione, com'era avvenuto nel nord Europa, della separazione tra stato e chiesa. "I cattolici più liberali pensavano che per una riuscita del cattolicesimo bisognasse andare incontro al mondo moderno e mostrare che la Chiesa era pronta ad incarnarsi in esso"35. Ma Pio IX continuava a considerarsi prigioniero dello stato italiano e per la maggioranza dei cattolici, pur così attenti al sociale, il non expedit equivaleva a non licet; e la proclamazione dell'infallibilità pontificia non agevolava di sicuro il colloquio con altre culture. Nel 1891 papa Leone XIII promulgò l'enciclica Rerum Novarum, annunciando il pensiero sociale della Chiesa e avallando l'azione dei cattolici nei confronti delle masse contadine e proletarie, vittime dell'ateismo e dei senza Cristo. La Rerum Novarum condannava sempre il modernismo, la lotta di classe e la collettivizzazione dei mezzi di produzione e ricchezza, ma difendeva la dignità delle masse lavoratrici, il lavoro e una giusta retribuzione. Con l'enciclica di Leone XIII la Chiesa recuperava il tempo perduto e gettava le basi di una presenza massiccia anella società. Ma, è inutile negarlo, "lenta fu tuttavia, e in molti casi tardiva, l'assimilazione del messaggio leoniano da parte del Movimento cattolico italiano"36. 34
F. S.Oliveri, I Fasci dei Lavoratori nei paesi della sottoprefettura di Bivona, in Nuove Prospettive Meridioanli,.a. III,n° 5-7, gennaiodicembre 1993, pag. 107 35 W. Castaldi Comitini, Dalla Rerum Novarum alla Sollecitudo rei Socialis, Catania, 1989, pag.14 36 Dizionario storico del Movimento Cattolica in Italia, 1860-1980, Torino, 1981, pag. 232 28
Fu ciò che accadde anche in provincia di Girgenti, dove le masse dei fascianti pure sfilavano in corteo con le immagini sacre accanto alle bandiere rosse. Qualche prete partecipò a riunioni dei Fasci, con cautela, forse solo per conoscere e riferire; ma episodi spiacevoli indussero la Chiesa a prendere le distanze da associazioni che "sotto l'apparenza di un fine onesto e civile, nascondono altri intendimenti non sempre lodevoli"37 e della cui cattolicità era seriamente da dubitare. Le società operaie non venivano condannate in quanto tali, ma perché considerate strumento nelle mani di massoni e anticlericali. Quindi la Chiesa, piuttosto che accettare la sfida dei tempi, si chiuse in un atteggiamento difensivo e d'attesa, favorendo solo le organizzazioni di sua emanazione, più controllabili. Tutti se ne mantennero alla larga e tutti continuarono a negare la matrice socialista degli eventi. La colpa della nascita dei Fasci fu addossata all'insensibilità del governo nazionale, che aveva venduto i beni ecclesiastici senza sollievo per i contadini; che li aveva lasciato fondare e protetto; ai politicanti piccini e miopi di paese che sfruttavano le aspettative popolari per le loro beghe elettorali; agli arruffoni che, pescando nel torbido e minacciando "i contadini che volevano rimanere fedeli ai loro padroni e non aderire allo sciopero, hanno alimentato il brigantaggio"38, lo sciopero, fomentato la sedizione e l'odio, promesso il paradiso in terra, seminando zizzania e arrivando "a dire che il Papa aveva benedetto segretamente l'opera dei fasci e li incoraggiava"39. Ammise candidamente F. De Luca: "Le plebi di Sicilia sono,…,in mano del prete, che le mena ove vuole. Il partito 37
In C. Naro, "Clero e cattolici della Diocesi di Caltanissetta di fronte ai fasci dei lavoratori", in Nuove Prospettive cit., pag.126 38 La Sicilia cattolica, i Fasci dei lavoratori, Palermo, 14-15. XI. 1893 39 La Sicilia cit., 13-14. XI. 1893 29
socialista non poteva quindi d'un tratto, attaccarne di fronte il sentimento religioso, ma doveva profittarne, illustrando la figura di Cristo come quella del primo socialista…il Cristo dei socialisti, umanizzato perciò reso tanto più grande, più vero e comprensibile del Cristo delle sacre leggende, serviva a porre in luce le colpe e la condotta anticristiana dei preti, che in più luoghi…venivano abbandonati dai contadini, per i quali il Fascio era divenuto la vera chiesa. E la propaganda socialista nel nome del Nazareno oltracciò il vantaggio d'infondere in quelle anime ingenue e religiose un entusiasmo e una passione che per altra via non si sarebbero facilmente ottenuti"40. E Pirandello, ne "I vecchi e i giovani" (pag.175), quasi a fargli eco: "Del resto per attirare i contadini, non vedeva male che il Fascio avesse quell'aria di chiesa; e su la tavola della presidenza aveva posto anche un Crocefisso". La "Sicilia Cattolica" negò sistematicamente il socialismo dei Fasci: "Alcuni giornali del continente credono che i fasci operai siano socialisti. I fasci nacquero e crebbero sotto gli auspici del governo… Il socialismo, nel senso rigoroso del termine, fortunatamente non esiste tra noi. Ma se continua a mancare il lavoro, se crescono le tasse, se non vi sono amichevoli relazioni con i padroni delle terre…è ben facile che i Fasci divengano socialisti e lo scoppio sarebbe fatale"41 . Secondo lo stesso giornale nell'Isola mancavano i presupposti per dare vita ad una classe operaia come veniva comunemente intesa nel resto dell'Italia e la crisi agraria che aveva colpito la Sicilia e aveva condannato alla miseria e all'emigrazione molti contadini non era dovuta all'ingordigia dei grandi proprietari ma al malgoverno. Dopo i primi torbidi, quando i Fasci sembrarono voler sovvertire l'ordine sociale e superare i limiti della legalità, i 40
La Sicilia cit., I Fasci operai e il socialismo in Sicilia, 8-9.XI. 1893 41 F. De Luca, Prigionie e processi, Agrigento, 1999 pag.124 30
cattolici isolani cominciarono a prendere le distanze, salutarono in Crispi, l'anticlericale Crispi, l'uomo che aveva avuto il merito d'aver pacificato la Sicilia, ma insistettero sull'apoliticità del movimento sottolineando che "il fuoco di rabbia" dei fascianti "era diretto contro le case e le tasse comunali, contro gli esattori daziali, non già contro le autorità politiche"42 e ribadendo "la totale assenza di socialismo e anarchismo in Sicilia"43, affermando che "la ribellione non era stata affatto né politica né rivoluzionaria" e ancora che era "…stoltezza credere che il popolo siciliano sia socialista ed anarchico"44 ; il movimento era stato solo di sdegno e di vendetta per gli abusi subiti da poveri e contadini. Le masse, comunque, non potevano essere criminalizzate, perché vittime, in nome della libertà, di falsi profeti, e abbandonate a se stesse; dinanzi al pericolo di una scristianizzazione di massa, la chiesa agrigentina, come quella di altre province, subì una forte "scossa che mise in moto un serio processo di rinnovamento pastorale"45 che le consentì di recuperare un ruolo tra la popolazione, guidarla secondo gli insegnamenti del Vangelo e le indicazioni della Rerum Novarum che finalmente cominciava a far breccia, comprenderne bisogni e aspirazioni verso un più lieto avvenire, come insegnava mons. Blandini, vescovo della Diocesi, che si fece promotore di numerose iniziative a favore delle classi meno agiate. (e.g.)
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La Sicilia cit., Le vere cause dei fatti dolorosi di Sicilia, 10-11. 01. 1894 43 Ibidem, 22-23.VIII.1894 44 Ibidem 45 C. Naro, cit, pag.133 31
Il Circondario di Bivona di Monica Giannone
Per i paesi del Circondario di Bivona vale quanto detto delle condizioni socio-economiche della Sicilia con l'aggravante di un territorio allevato nell'isolamento e nel più totale abbandono. Difficile si presentò sin dall'inizio il suo inserimento nel nuovo assetto statale unitario e tutto sembrò svolgersi ad esclusivo vantaggio dei "cappeddi" e dei vecchi e nuovi borghesi, che spadroneggiavano nei paesi che sono oggetto del presente lavoro e che ricadevano, assieme ad altri, nella XII Circoscrizione territoriale che aveva come capoluogo di Distretto Bivona, sede di Sottoprefettura. A far chiarezza sulla materia aiutano le relazioni dei vari sottoprefetti che, se svolsero con diligenza e abnegazione il loro mandato, non sono stati, tuttavia, prodighi nell'analisi socioeconomica dei paesi della Montagna, che sicuramente nella rivoluzione del Sessanta avevano confidato per un sovvertimento totale dello stato d'incuria e di abbandono in cui versavano. La zona, per mancanza di un adeguato sistema viario, era stata isola nell'isola e si vedeva ancora una volta mortificata nelle sue possibilità di sviluppo per mancanza di adeguate infrastrutture; forte fu, perciò, l'ostilità nei confronti dei piemontesi, venuti ad occupare i posti di più alta responsabilità. Il primo problema che gli ufficiali del governo dovettero affrontare riguardò l'ordine pubblico giacché le campagne erano infestate da bande di malviventi, renitenti alla leva e disertori; assai diffusi erano le grassazioni, gli abigeati, i furti, le rapine e una serie di ruberie connesse alle raccolte agricole dei mesi estivi. 32
Tra il 1870 e il 1880 il governo nazionale operò efficacemente per riportare ordine e tranquillità tra la popolazione, che altro non desiderava che "commercio, strade, incoraggiamenti dell'industria"46, e infondere il senso dello stato e del bene comune, anche se Bivona veniva considerata "la Caienna degli impiegati in disgrazia"47. Il ceto più esteso della popolazione era rappresentato dai contadini, che traevano insufficiente sostentamento da un'agricoltura di sussistenza, mentre gli affittuari e i concessionari degli ex-feudi, di proprietà nobiliare, "avevano ammassato dei patrimoni sovente volte più cospicui di quelli degli antichi proprietari"48, ma non avevano idea di bene pubblico e di umanità, mentre "i consigli comunali sono nella massima parte costituiti da uomini incapaci e poco zelanti del pubblico bene"49. Contadini e braccianti, spesso, lavoravano con sistemi arcaici in appezzamenti lontani dai centri abitati, per cui non era infrequente che, soprattutto d'inverno, dopo aver camminato ore a piedi o a dorso d'asino, dovessero tornare indietro perché avevano trovato il torrente ingrossato o il ponticello crollato. A complicare le cose, a prostrare gli animi e ad acuire il malcontento si aggiungevano spesso annate magre per cui i lavoratori, non potendo fare affidamento su sussidi municipali, erano costretti a ricorrere al credito usuraio o alle anticipazioni dei gabellotti, che li strozzavano.
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Relazione del sottoprefetto Barcellona Lo Iacono relativa al 2° semestre 1876, in ASA, 18, vol. 89 e in A. Marrone, Il Distretto, il Circondario ed il Collegio elettorale di Bivona (1812-1880), Bivona, 1996 47 Il Precursore di Palermo,, fasc. 159 del 1872, pag. 2, in A. Marrone cit., pag. 79 48 Relazione del sottoprefetto De Luca, 4° trimestre 1870, in ASA, 18, vol. 23 49 Ibidem 33
Le malannate, dovute a siccità o ad eccessive piogge, aumentavano la miseria della popolazione che dal 1876 diede vita ad un massiccio e doloroso esodo, che svuotò i paesi delle forze più laboriose e vivaci intellettivamente. Tristi erano anche le condizioni degli operai, dei giornalieri che dovevano contrastare col datore di lavoro per ottenere quanto pattuito; orribili quelle degli zolfatari. Inenarrabile la sorte dei carusi, che le famiglie, costrette dal bisogno, letteralmente vendevano ai picconieri in cambio del famigerato soccorso morto, sorta di anticipo in natura che il giovane sventurato avrebbe dovuto saldare col suo lavoro. Capitava, invece, che, per una serie di circostanze tutte predisposte, debito si sommasse a debito, anticipo ad anticipo, e il caruso rimanesse schiavo per lunghissimi anni, costretto ad un lavoro infame che ne minava irrimediabilmente il morale e il fisico, al punto che molti di essi venivano riformati alla visita di leva. Rachitismo, piedi piatti, anchilostomiasi erano malattie e malformazioni assai frequenti in zolfara. L'isolamento era il disagio maggiore della popolazione le cui aspettative si concentravano sulla strada nazionale, che avrebbe dovuto congiungere il Circondario a Palermo e a Girgenti, e sulla Bivona-Filaga-Lercara per il congiungimento con la linea ferroviaria. La costruzione delle suddette arterie e di altre, che avrebbero dovuto favorire il commercio, andava a rilento perché essa ricadeva sulle amministrazioni comunali, che "onde far fronte alle spese obbligatorie ed impegni già assunti…han dovuto ricorrere sino alla tassa sulle ortaglie e sulla frutta", risultando esse già sottomesse "alle tasse dirette e indirette dello Stato" e prendendo la Provincia "tutta per sé la sovrimposta"50. 50
Relazione del sottoprefetto Barcellona Lo Iacono, 1 semestre1878, in ASA, 18, vol. 89 34
Non servivano a lenire i bisogni nei periodi di maggiore incombenza le sporadiche deliberazioni dei Comuni "dirette a procurare del lavoro alla classe degli operai e a rendere accessibile alla classe indigente l'acquisto di pane confezionato…"51. Meritoria, in qualche modo, ma scarsa di risultati concreti l'azione di alcune congregazioni, come quelle di Bivona e S. Stefano Quisquina, che, quantunque affidate alla gestione di persone non sempre all'altezza del compito, tentarono d'interpretare i bisogni della popolazione che, negli anni in considerazione, versava in precarie condizioni igieniche, era ignorante e superstiziosa, non poteva contare su una pubblica illuminazione, su moderni cimiteri e nemmeno su levatrici di ruolo. Buoni risultati s'intravedevano nel campo dell'istruzione pubblica, che tuttavia era un privilegio di pochi benestanti. Era chiaro che non si sarebbero ottenute condizioni normali e durature, se prima non fossero avvenute trasformazioni radicali col progresso dell'istruzione, anche per i figli del popolo, "dello stato della viabilità e dell'agricoltura che in molte parti di questo Circondario è allo stato d'infanzia"52. Per la cronaca: il tratto di strada per Palermo fu completato nel 1875, quello per Lercara Friddi nel 1878 e quello per Girgenti nei primi anni Ottanta. Se difficile era la situazione dei comuni, più pesante appariva quella dei contribuenti che consideravano la tassa sul macinato e sul focatico una vera e propria taglia. Cominciarono così i primi malcontenti e le prime dimostrazioni e a San Biagio Platani si ebbe l'assalto ai casotti del dazio e all'ufficio tributi del comune. Accanto alle 51
Ibidem Relazione del sottoprefetto Piras-Lecca, 1 semestre 1875, in ASA,18, vol. 89 52
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numerose congregazioni ed opere pie sorsero nel 1877 quattro societĂ operaie di mutuo soccorso, di cui una a S. Stefano Q. e l'altra a Cianciana, in sostituzione della precedente, chiusa per le eccessive pretese del medico dott. Giuseppe Antinori. Un'altra societĂ sarebbe sorta a Bivona subito dopo e un'altra ancora San Biagio P. nei primi mesi del '92. Tali societĂ , tuttavia, si dovettero all'umanitarismo di alcuni borghesi che, seppure sinceramente preoccupati delle misere condizioni dei lavoratori, avevano ben altri interessi da difendere Chi tra la classe operaia e gli intellettuali progressisti reclamava migliori condizioni di vita e di lavoro veniva considerato un sovversivo, perseguitato, denunciato, processato, proposto per il soggiorno coatto. Le forze dell'ordine infiltravano nelle organizzazioni operaie dei sobillatori con lo scopo di fomentare disordini e giustificare il loro intervento, asservito alla classe dei galantuomini, che avevano "in mano le amministrazioni comunali e la gestione di tutto il denaro delle opere pie, dei monti frumentari e delle casse agrarie: tutto a danno dei contadini"53. Le campagne erano deserte, gli scioperi si susseguivano e gli zolfatari vi ricorrevano per reagire alle loro penose condizioni di vita in un disorientamento generale, che faceva intravedere come le classi subalterne difficilmente si sarebbero sottratte al fascino di organizzazioni che avessero promesso, con l'istruzione e la revisione dei patti agrari e minerari com'erano stati deliberati nei congressi di Corleone e Grotte, il riscatto dall'ignoranza e dal bisogno, retaggio di un feudalesimo che, scomparso un po' ovunque, qui si ostinava a sopravvivere. 53
F. S. Oliveri, I Fasci dei Lavoratori nei paesi della sottoprefettura di Bivona, in Nuove Prospettive cit.
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Nacquero da queste premesse i Fasci dei Lavoratori di S. Stefano Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cianciana, S. Biagio Platani.
Lorenzo Panepinto (S. Stefano Q., 1865-1911, ucciso dalla mafia)
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Il Fascio dei Lavoratori di Santo Stefano Quisquina di Anna Rita Franciamore* Lo spazio geografico in cui si muovono gli attori sociali di questa storia è una delle zone più povere e latifondistiche della Sicilia interna, un’area di intersezione tra le province di Agrigento, Caltanissetta e Palermo. Sotto il profilo amministrativo, il circondario di Bivona conta 13 comuni rurali (Bidona, Alessandria della Rocca, Bugio, Calamonaci, Cammarata, Casteltermini, Cianciana, Lucca Sicula, Ribera, San Biagio Platani, S.Giovanni Gemini, S. Stefano Quisquina, Villafranca Sicula) ed una superficie agraria di 85.000 ettari, di cui 55.000 al momento dell’Unità erano destinati a seminerio, in un territorio montuoso poco fertile, dove per la scarsa resa produttiva del grano si preferiva coltivare l’orzo; 20.000 erano lasciati al pascolo brado interrotto da qualche rado insediamento di viti, olivi e mandorli vicino ai centri abitati54. Un’economia cerealicolo-pastorale sopravviveva con i suoi secolari equilibri, ma anche con i suoi antichi contrasti: delle vaste foreste che avevano caratterizzato il paesaggio naturale del bivonese residuavano ancora 2.000 ha di bosco tra Cammarata, Burgio e S. Stefano Quisquina, mentre la transumanza primaverile-estiva delle greggi dalla marina verso le zone interne, provocava continui sconfinamenti delle mandrie che alimentavano un duro scontro tra i clan dei pastori e dei contadini, tra agricoltura nomade e colonizzazione stabile55. In tale quadro statico la favorevole congiuntura economica del trentennio 1850-1880 introduce alcuni elementi di dinamismo socio-economico.
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A. Marrone, Il Distretto, il Circondario ed il Collegio Elettorale di Bivona (1812-1880), 1996 55 A. Aloi, Monografia agraria della provincia di Girgenti, Celso, Girgenti, 1881 38
I dati più indicativi sono l’avanzata del grano, la riduzione del pascolo, l’impianto delle colture legnose56. Alla fine del XIX secolo, dunque, l’agricoltura stanziale è prevalsa su quella migrante dei pastori, tanto che si verificava una preoccupante scarsità di manodopera nelle fasi di punta dei lavori agricoli. Il censimento del 1881 registrava nel circondario una popolazione di 64.000 abitanti, con una densità media di 0,72 abitanti per ettaro ed un così basso indice demografico finiva per attirare correnti migratorie stagionali di calabresi ed abruzzesi, durante la semina ed il raccolto57. Anche dalla parte sud-orientale dell’isola si ebbero flussi pendolari di bracciantato, tuttavia il movimento migratorio non era solo in entrata, poiché nei mesi di aprile-maggio i contadini del bivonese preferivano abbandonare i campi per lavorare nelle zolfare di Cianciana e Casteltermini, dove percepivano salari più alti58. La più intensa mobilità demografica e le parziali trasformazioni delle vocazioni produttive del circondario restavano pesantemente condizionate dalla mancanza di vie di comunicazione. L’isolamento geografico penalizzava le opportunità dell’interscambio commerciale strozzando i circuiti dell’economia locale a livello di modesto autoconsumo. L’infelicità degli spazi e la carenza di infrastrutture erano all’origine degli squilibri sociali e delle drammatiche condizioni di vita dell’intero circondario. Fu a causa di tale situazione che nel 1893 i Fasci trovarono un terreno molto favorevole nella provincia di Girgenti. Il pubblicista Adolfo Rossi, che nell’autunno del’93 si recò in Sicilia, riferisce: «Trovai che nelle province di Palermo, 56
Ivi, pp. 164-165 Renda-Barone-Lupo-Bonetta-Centinaro-Guarrasi, Lorenzo Panepinto: democrazia e socialismo nella Sicilia del latifondo, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo, 1990 58 IVI, p. 33 57
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Girgenti e Caltanissetta, il movimento era realmente serio, specialmente, anzi quasi esclusivamente fra i contadini. In certe regioni si era diffuso come una specie di contagio; le turbe erano invasate dalla credenza che fosse imminente un nuovo regno di giustizia, si riunivano nelle rustiche sedi dei fasci col fervore con cui si dovevano raccogliere una volta i seguaci di Spartaco nei grandi boschi, e i primi cristiani nelle catacombe; quando si inaugurava in un paesello un nuovo fascio, ciò si faceva con lunghe processioni in cui invece delle croci si portavano in giro delle bandiere rosse e certe tabelle infisse sulla punta di pali, con iscrizioni socialiste59». Ancora il Rossi nota come non sempre i Fasci avevano un vero carattere socialista, nel senso moderno. Potevano anche essere «un’accozzaglia di poveri ignoranti organizzata da qualche ambizioso contro il partito dominante del municipio»; a volte erano «sorti per istinto di imitazione»; in altri a posto delle idee socialiste si trovava «una specie di mania religiosa, tanto è vero che nelle sedi di alcuni fasci vidi il crocifisso col lumino acceso davanti60». Le condizioni di S. Stefano Quisquina alla vigilia dei Fasci erano veramente critiche essendo legate quasi esclusivamente all’agricoltura. Il suo territorio apparteneva al Principe di Belmonte, tranne una piccola parte di proprietà privata gravata da censi61. Il feudatario cedeva le terre ai gabelloti, che costituivano una specie di borghesia rurale, e questa a sua volta affittava i terreni a mezzadria. Con questo sistema, alla fine, sul povero coltivatore gravavano numerosi canoni quali: il seme (prezzo della semenza), l’agio (interesse dello stesso prezzo), la cuccìa (regalia al padrone), la guardiania (imposta per pagare il campiere), il Santo (donativo al frate cercatore); e ciò faceva sì che al tempo del raccolto il gabelloto portasse con A. Rossi, L’agitazione in Sicilia, La Zisa, Monreale, 1988 A. Rossi, op. cit. 61 C. Messina, Il caso Panepinto, Herbita, Palermo, 1977, p. 30 59 60
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sé ogni cosa e il contadino se ne tornasse a casa sconfortato e deluso. Il 9 gennaio 1892 il corrispondente del «Giornale di Sicilia» da S. Stefano aveva scritto l’articolo, intitolato “ Note dolorose”: «Il presente, non è certo il secolo d’oro di queste nostre contrade, che altre risorse non hanno oltre l’agricoltura. Da noi il latifondo, l’ex feudo, tuttora regna e governa; e anche oggi, come ai tempi di Tacito, è causa di rovina e d’impoverimento. Appartenenti ai grandi signori delle città, che ne ignorano i confini, l’estensione, la produttività, gli ex feudi vengono dati in fitto ai gabelloti, che facendosi fra loro una concorrenza accanita quanto insana, hanno fatto enormemente rialzare il prezzo delle terre, non vedendo, ciechi che sono, che vanno incontro alla propria rovina! La breve durata di fitti, e l'esorbitanza dei pezzi delle terre costringono il gabelloto alla irrazionale cultura estensiva, all’abbandono della pastorizia, e delle logiche rotazioni agricole. E siccome è naturale che un siffatto sistema di cultura impoverisce e sfrutta la terra, ne consegue la scarsezza e cattiva qualità del prodotto, il fallimento continuo dei gabelloti. I quali alla loro volta cercano di rifarsi sui contadini coltivatori dell’ex feudo e costoro in conclusione, con un sistema di usure e di gravezze vengono a pagare le spese, le imposte, le sementi e quanto occorre all’industria del feudo. Quindi la miseria ed i due fenomeni che questa genera: l’emigrazione e la delinquenza. Difatti le condizioni della P.S. da noi sono ben tristi. I reati si succedono con una frequenza sconfortante; l’impunità accresce l’audacia dei delinquenti. In paese e fuori nessuno è più sicuro dei propri averi; speriamo che si provveda energicamente62». Un ruolo importante nel sostegno ai contadini ebbero gli enti religiosi di beneficenza e si comprende per questo la protesta contro la deliberazione del 10 novembre 1892 della
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«Giornale di Sicilia», 11-12 gennaio 1892 41
Congregazione di Carità, che intendeva sopprimere o trasformare le Opere pie63. Le avverse condizioni del tempo accrescevano i disagi; violentissimi temporali seminavano ogni tanto il deserto e anche la morte. Non era raro alla fine d'aprile l’imperversare del vento, della neve e della grandine, che rovinava la campagna nel momento in cui il contadino ne contemplava il frutto, che considerava la sua salvezza64. E la frana della Maddalena avanzava senza tregua fra le proteste generali tendenti ad ottenere un soccorso e un aiuto dal Governo e dalla Provincia, «che mai ha speso un saldo per questo disgraziato comune65», e nella sterile attesa essa ingoiava una chiesa e le case che incontrava66. A ciò si aggiungeva la difficoltà delle vie di comunicazione che spesso erano rappresentate ancora dalle mulattiere: «e fra Bivona e Sciacca capi luoghi dei due circondari della provincia, non c’è altra via, che quella descritta dall’arabo geografo dei Fatimidi. È il culto dell’antichità elevato a sistema amministrativo. Che importa se Sciacca è sede del tribunale del nostro distretto giudiziario? Per andarci si fa la stessa via battuta da Ruggero Normanno, il che è motivo di legittime soddisfazioni storiche, che la malaria estiva e la piena furiosa del Magazzolo, non bastano a menomare. Plaudite cives!»67. A S. Stefano nel 1890, il corpo elettorale composto di 632 unità, era diviso tra borgesato rurale e piccola borghesia locale. Le due parti si differenziavano negli schieramenti dei liberali moderati e dei democratici, secondo una divisione ideologica che contrapponeva le più importanti famiglie del paese nella 63
«Giornale di Sicilia», 25-26 novembre 1892 «Giornale di Sicilia», 22-23 aprile 1892 65 Ibidem 66 «Giornale di Sicilia», 2-3 febbraio 1892 67 «Giornale di Sicilia», 18-19 gennaio 1893 64
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gestione del potere municipale. I moderati fin dal 1881 avevano dato vita alla Società operaia di mutuo soccorso S. Giuseppe, presieduta dal Principe di Belmonte, che aveva come scopo la fratellanza e il reciproco aiuto fra i lavoratori della terra. Pagando una tassa d’entrata di 3 lire e un contributo mensile di 50 centesimi, l’iscrizione dava diritto ad un modesto sussidio in caso di malattia o di infortunio sul lavoro, alle spese del funerale e alle messe in suffragio dei soci deceduti; però gli iscritti dovevano condurre una vita sobria, onesta e pia, educare i figli nella morale e nella religione cattolica nonché rispettare le autorità costituite68. La storia del Fascio dei Lavoratori di S.Stefano Quisquina inizia il 28 maggio 1893 con la visita di una delegazione di contadini prizzesi69. Alla fine della visita, viene dato l’incarico di costituire il Fascio dei lavoratori ad un oscuro insegnante elementare, che non insegna e che vive con lo stipendio della moglie, anch’essa insegnante elementare70. Il capo del nuovo sodalizio fu allora quel Lorenzo Panepinto che assieme al Barbato e al Verro, andò nelle settimane successive in giro per i paesi agrigentini, assumendo la leadership del movimento contadino. Il 26 settembre dello stesso anno, il delegato informava il Sottoprefetto che il Panepinto, accettando l’invito, apriva una pubblica sottoscrizione per i soci del nascituro Fascio, ma, passati i primi entusiasmi, l’iniziativa era caduta nell’oblio, «come tutte le imprese del Panepinto, “il Balilla”
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Renda-Barone-Lupo-Bonetta-Centinaro-Guarrasi, op. cit., p.37 69 Rapporto del delegato di P. S. al Sottoprefetto, 30 maggio 1893, in Archivio di Stato di Agrigento (d’ora in poi A. S. A.), Atti della Sottoprefettura di Bivona (d’ora in poi A. S. B.), 1893-94, f. 107, inv. 19 70 F. Renda, op. cit., p. 74 43
compreso71». Il Balilla era stato un gazzettino del circondario di Bivona, che si pubblicava a S.Stefano, il cui primo numero era uscito il 21 maggio 1893. Esso si proponeva di studiare minutamente i criteri amministrativi di chi sta al potere; dimostrare alle autorità governative, in base alle deliberazioni, il poco senno degli amministratori e di determinare la venuta di un commissario che frughi, esamini e riferisca72. La pausa dopo l’iniziativa del Panepinto, di cui parla il delegato, fu dovuta al fatto che egli si era sposato ed era partito per il viaggio di nozze. Tanto è vero che appena ritornato si tuffò più di prima nell’opera iniziata73. Alla costituzione del Fascio il neopresidente aveva posto come condizione che il nuovo sodalizio doveva essere, assolutamente estraneo a qualsiasi concetto politico; informato al rispetto delle istituzioni, delle leggi, delle pubbliche autorità; un’associazione per il miglioramento morale e materiale dei lavoratori, allo scopo di ottenere pacificamente: l’abolizione dei molti ed incredibili soprusi che si esercitavano a loro danno negli ex feudi; una più umana ripartizione del prodotto delle cosiddette tenute; una più equa ricompensa del lavoro a giornata. Tutto questo con mezzi legali e pacifici, e con la sola forza della ragione, del buon senso, del numero74. Il 17 settembre il delegato informava la Sottoprefettura che 400 uomini, con a capo il Panepinto, circolavano per le vie del paese, gridando: Viva Umberto! Viva Margherita! Ma senza che accadesse nessun disordine75. A mio avviso quanto 71
Rapporto del delegato di P.S. al Sottoprefetto, 26 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 72 «La provincia di Girgenti», 26 aprile 1893 73 Su Panepinto cfr. C. Messina, Il Caso Panepinto ,Herbita, Palermo, 1977; Renda-Barone etc cit.; F. Renda, I fasci siciliani 1892-94,Einaudi, Torino, 1977 74 «Giornale di Sicilia», 29-30 maggio 1893 75 Telegramma del 17 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 44
riferisce il delegato, non è altro che la prova del legalitarismo di detto Fascio, il quale era ben attento a non uscire dall’ordine per evitare di dare inutili pretesti alla repressione. Dal gennaio del 1892 al luglio del 1893, a S. Stefano, non avvenne nessuno sciopero e l’ordine non fu minimamente turbato76. Ma il 21 settembre il Sindaco di Alessandria della Rocca, Cordova, informava il Sottoprefetto, che il giorno prima nelle ore antimeridiane, oltre 40 stefanesi a cavallo si erano recati nelle terre di Valparrino, proprietà del Principe di Belmonte, e avevano chiesto ai contadini a quali condizioni lavorassero; informati che le terre erano state date a «terra e mezza semenza»77, avrebbero imposto ai lavoratori di desistere dal lavoro, per ottenere l’intera semenza78. Dello stesso episodio diede una versione diversa il delegato di S.Stefano il quale, considerando la miseria dei poveri contadini e l’ingordigia dei proprietari, informava il Sottoprefetto che il gruppo di stefanesi, inermi e senza usar violenza, era composto da dodici persone e non da quaranta, e si era recato là bonariamente. Infatti, per questo, egli non aveva ritenuto opportuno prendere provvedimenti. Intanto con la costituzione del Fascio, i contadini di S.Stefano erano entrati in sciopero, come già era avvenuto a Corleone. Nel frattempo continuavano le indagini sui fatti di Valparrino, e il delegato di Alessandria della Rocca informava il Sottoprefetto che le minacce e le intimidazioni si erano 76
Rapporto del delegato di P.S. al Sottoprefetto, 27 luglio 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 77 «terra e mezza semenza» si riferisce al sistema di anticipi e soccorsi che intercorreva tra il proprietario e il contadino. Il concedente si obbligava ad anticipare al concessionario in alcuni casi la terra e le sementi, in altri la terra e metà delle sementi. 78 Lettera del Sindaco Cordova al Sottoprefetto, 21 sett. 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 45
ripetute e che sia i gabelloti sia i contadini interessati al lavoro delle terre reclamavano adeguati provvedimenti79. Inoltre ad Alessandria correva voce che domenica 1° ottobre si sarebbe recato nel paese una rappresentanza di S.Stefano per cercare di organizzare un nuovo Fascio: «A quanto sembra però dessa dovrebbe trovare fredda accoglienza, mancando gli elementi adatti»80. Allora il Sottoprefetto invitò il delegato di S.Stefano a svolgere oculate indagini per identificare i colpevoli e vedere se fosse il caso di procedere a carico del Panepinto, quale promotore di quelle azioni81. Come risposta all’invito il delegato fa notare che le deposizioni dei lavoratori non potevano rappresentare delle prove valide perché si trattava di interessati e non di estranei82. Ma al Sottoprefetto continuavano a pervenire reclami dai possidenti circa il contegno dei soci del Fascio di S.Stefano, che a gruppi di 4-5, si recavano ad imporre ai contadini di smettere di lavorare, e il funzionario di Bivona telegrafava al delegato di S. Stefano, rimproverandolo per aver trattato la questione con una certa freddezza83. Il delegato ribadiva ancora una volta la mancanza di elementi di prova, rassicurava il Sottoprefetto del suo interessamento, e circa la denunzia del sindaco di Bivona, Bullara «tanto abile nel far sfumare gravi reati di associazioni a delinquere», replicava che invece di lamentare gli inconvenienti che
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Rapporto del 23 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 80 Rapporto del 29 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 81 Risposta del delegato al Sottoprefetto, 3 ottobre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 82 Ibidem 83 Risposta del 7 ottobre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 46
colpivano i suoi personali interessi, avrebbe fatto bene a fornire gli elementi di prova accanto alla sua denunzia84. Il 30 settembre, Lorenzo Panepinto con un telegramma al Sottoprefetto, lo informava che si sarebbe recato ad Alessandria per la costituzione di un Fascio locale, garantendogli il rispetto dell’ordine pubblico e lo pregava per questo, di informare l'Autorità locale85. Puntualmente il delegato di Alessandria informava il Sottoprefetto, che verso il tocco, circa 40 stefanesi a cavallo e a piedi, guidati dal Panepinto, si erano recati ad Alessandria, ma trovata una fredda accoglienza, erano ripartiti86. Comunque a S. Stefano non mancava il da farsi, infatti, nella stessa giornata si riunì l’assemblea del Fascio, presieduta dal Panepinto e si approvò il seguente Statuto87: Costituzione e scopo del Fascio Art. 1. Allo scopo di migliorare le condizioni economiche morali ed intellettuali delle classi lavoratrici, è costituito in S. Stefano Quisquina un fascio di lavoratori. Art. 2. Per arrivare al suo fine, lavorando sempre legalmente e senza uscire dall’orbita delle istituzioni, esso si servirà : a) Dell’istruzione, per mezzo di scuole e di conferenze serali e domenicali; b) Del mutuo soccorso, che provvede gratuitamente al mantenimento nelle malattie;
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Ibidem Telegramma del 30 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 189394, f. 107, inv. 19 86 Telegramma del delegato di Alessandria della Rocca al Sottoprefetto, 30 settembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 87 Statuto del Fascio dei Lavoratori di S. Stefano Quisquina, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 85
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c) Dell’assicurazione collettiva, che, mediante una contribuzione individuale dei soci, darà diritto alla famiglia del socio defunto a quella somma che nel modo cennato sarà raccolta; Delle cooperative di consumo e di lavoro, che combattono le illecite speculazioni sui generi di prima necessità e sulla manodopera. Disponendo inoltre il fascio di tutte le forze dei lavoratori, stabilisce la misura del salario, e occorrendo, le ore del lavoro, in modo che il lavoratore abbia da vivere senza stenti e trovi il tempo necessario per educare se ed i suoi. Infine il fascio, quando le occasioni lo permetteranno, piglierà parte alle lotte elettorali politiche ed amministrative, con candidati propri. Dei Soci Art. 3. Possono far parte del Fascio gli operai di qualsiasi mestiere, e tutti coloro che, con opere o con la loro condotta, han mostrato, di avere a cuore il miglioramento delle classi lavoratrici. Art. 4. E’ vietato essere soci: A tutti coloro che hanno tradito lo scopo del Fascio, insinuando voci maligne fra il popolo, o che si siano resi in qualsiasi modo, indegni della pubblica stima, o che sono conosciuti come vagabondi, maffiosi ed uomini di mal affare. Art. 5. Per l’ammissione nel fascio bisogna farne domanda al Presidente Generale, il quale, insieme al Consiglio direttivo, esaminerà se chi vuole essere socio abbia le qualità richieste dallo statuto. In caso affermativo la domanda sarà trasmessa al Presidente della Sezione, nella quale, pel suo mestiere, dovrebbe essere inscritto il candidato. Il candidato sarà ammesso se riporterà la maggioranza dei voti dei presenti, secondo il disposto dell’articolo 14. 48
Art. 6. Tutti i socii indistintamente pagano una tassa d’entrata di £1, ed ogni mese una retta di £ 0,25. Art. 7. Il socio che non paga per tre mesi consecutivi sarà cancellato dallo elenco degli inscritti se, invitato a mettersi in regola, non lo fa entro otto giorni. Art. 8. Saranno soggetti ad una riprensione, fatta dal Presidente generale, quei socii i quali non tengono nei locali della società un contegno corretto. Se un socio terrà fuori dal sodalizio una condotta riprovevole per qualsiasi causa, gli verrà inflitta dal Consiglio generale una sospensione da 10 giorni a due mesi. La sospensione priva il socio del diritto di frequentare il locale del fascio, e lo fa decadere temporaneamente dai beneficii sociali. Art. 9. Saranno senz’altro espulsi dal Fascio tutti coloro che commetteranno una delle colpe previste dall’art. 4 e saranno denunziati all’autorità competente coloro che si macchieranno di colpe infamanti, o che in qualsiasi modo degraderanno la dignità umana. Consiglio Direttivo Art. 10. Il Fascio ha un Presidente generale, due Vice – Presidenti, un segretario, Vice – Segretario, un consiglio direttivo composto di 12 Consiglieri scelti fra le varie sezioni e che sono anche di diritto revisori dei conti. Essi dureranno in carica 2 anni e possono essere rieletti : la metà però del Consiglio direttivo sarà rinnovato ogni anno la prima domenica di settembre. Nel primo anno i membri da scadere saranno estratti a sorte. Art. 11. Il Consiglio generale decide quando vi è almeno la maggioranza dei suoi componenti a parità di voti quello del Presidente è preponderante.
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Art. 12. Il Fascio è rappresentato, amministrato e diretto dal Consiglio generale, il quale alla fine di ogni mese farà presentare dal Cassiere i conti all’Assemblea generale. Assemblea Generale Art. 13. Tutti i soci del Fascio formano l’Assemblea generale, la quale si riunisce in seduta ordinaria la prima domenica di ogni mese, e straordinariamente quando lo creda il Presidente o il Consiglio direttivo, o lo chiedano 10 socii. Art. 14. L’Assemblea generale si occupa degli interessi generali del Fascio e, nella prima convocazione le sue sedute non sono legali se non interviene la maggioranza dei soci inscritti, nella seconda almeno 40. Le deliberazioni si pigliano con la metà più uno dei voti dati presenti. Art. 15. L’assemblea non può discutere che su quelle quistioni che si trovano inscritte all’ordine del giorno; a meno che gli intervenuti, con apposita deliberazione, non ne riconoscono l’urgenza.. Sezioni Art. 16. Il fascio è diviso per arti e mestieri che ne costituiscono tante Sezioni. Art. 17. Per costituire una Sezione si richiedono almeno 20 socii dello stesso mestiere. Art. 18. Ogni Sezione elegge un Presidente. Esse si occupano unicamente degli interessi speciali e degli affari relativi al proprio mestiere. Art. 19. Il Presidente generale può intervenire alle sedute delle Sezioni e avervi voto consultivo. Art. 20. I soci che, per il loro numero, non potranno formare una sezione speciale, si aggregheranno tra loro in una sezione mista.
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Disposizioni generali Art. 21. Il fascio formerà quanto prima nel suo seno una fanfara. Art. 22. Ogni socio dovrà uniformarsi al presente statuto; difendere l’onore della società come il proprio; assistere ed aiutare i proprii compagni in qualsiasi occasione. Art. 23. Trascorso un anno dall’approvazione del presente statuto si formeranno dei regolamenti per le discussioni, per il mutuo soccorso, per le cooperative, per l’assicurazione collettiva, per le scuole e per la fanfara. Art. 24. Ogni socio sarà provvisto di un libretto personale dove si noteranno i pagamenti fatti dal socio stesso. I soci del Fascio furono presto 1028, erano quasi tutti contadini e pochi artigiani, alcuni giovani gabelloti e nonostante il divieto dello Statuto, qualche mafioso di quella mafia d’origine che nasce dalla ribellione ad ogni forma di prepotenza individuale, collettiva, sociale o governativa88. Accanto allo scopo dichiarato, di migliorare le condizioni economiche dei soci, le autorità vi videro quell’occulto di formare una maggioranza di opposizione all’amministrazione comunale. Quanto al presidente lo considerarono uomo» di principi tendenti al socialismo, un po’ esaltato nel propugnare i diritti dei lavoratori». Riferiscono che il presidente «non percepisce alcuna sovvenzione essendosi rifiutato di accettare la proposta fatta da taluni di pagargli ciascun socio una lira l'anno. Ha tenuto finora regolare condotta e malgrado non abbia sin qui dato motivi di disordini si ritiene potrebbe essere capace di trascendere in casi di perturbamenti dell’ordine pubblico».
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C. Messina, op. cit., p. 40 51
Vicepresidente fu Giuseppe Ferlita, borgese, ex pregiudicato, ritenuto «incapace di professare alcun principio politico»89; il segretario Salvatore Puleo, proprietario «di condotta regolare e di principi sovversivi»; cassiere G.Battista Scolaro «di dubbia condotta, ignorante, di nessun principio politico». Poiché non tutti i Fasci potevano considerarsi ispirati alle idee del socialismo ufficiale, anche l’iniziativa del Panepinto non convinse alcuni militanti del Partito Socialista. Egli era contro le polemiche inutili e gli sterili ragionamenti, avendo sempre presenti i gravi problemi della povera gente che attendevano un’urgente risposta. Tuttavia il Fascio di S. Stefano di lì a poco avrebbe aderito al Partito dei Lavoratori italiani90. Nel mese di ottobre i fascianti continuavano a scioperare chiedendo la revisione dei patti agrari. Un delegato, infatti, scriverà: «Vi fu un’epoca in cui buona parte di contadini si rifiutava ai lavori di campagna per la mercede ordinaria, perché il Panepinto aveva loro fatto capire, che così facendo, i proprietari avrebbero finito per pagare la giornata di lavoro non più 1 lira e 50 o 2 lire, ma bensì 4 o 5 lire»91. L’agitazione in ogni modo cominciò a preoccupare l’autorità e il Sindaco di Lercara, Sartorio, informava il Sottoprefetto che i suoi amministrati Bongiovanni e Petta, gabelloti del feudo Pietranera, in territorio di S. Stefano, erano stati minacciati di violenza da alcuni membri del Fascio di S. Stefano, qualora non avessero aderito alle loro richieste92. Il delegato di S. Stefano a sua volta, intervenendo sul fatto, comunicò al Sottoprefetto che gli autori di quelle minacce non 89
Prospetto del Fascio dei Lavoratori di S. Stefano Quisquina, 31 ottobre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 90 C. Messina, op. cit., pp. 42-44 91 Riservata del delegato di P.S. di S. Stefano Quisquina, 24 luglio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 92 Telegramma del 25 ottobre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 52
appartenevano al Fascio locale ma a quello di Alessandria della Rocca93. Il 16 novembre lo stesso delegato assieme al brigadiere dei carabinieri e ad alcuni di loro, avendo saputo che dei componenti del Fascio si erano spesso recati in diverse campagne per incitare i contadini allo sciopero e per renderli solidali a formare una lega di resistenza da opporre ai proprietari, in modo da indurli a cedere alle pretese del Fascio, esperirono delle indagini, le quali stabilirono che alla fine di settembre una squadriglia, comandata dal Panepinto, si era recata nel feudo Pietranera e aveva imposto ai lavoratori di smettere, ma poiché questi si erano rifiutati, erano state loro tolte le zappe. La stessa squadriglia si era poi recata nel feudo Molinazzo e aveva imposto a due contadini di smettere di lavorare e di non riprendere la loro opera se prima i proprietari non si fossero obbligati a cedere terra e semenza94. Anche questa volta i lavoratori si erano rifiutati ed erano state loro tolte le zappe, per essere portate alla sede del Fascio. Tali zappe furono consegnate solamente quando il gabelloto del Molinazzo, Ignazio Lo Presti, recatosi alla sede del Fascio, si era obbligato col Presidente a cedere terra e semenza. Di tali episodi si erano avuti in precedenza diversi esempi. Il 6 ottobre una squadriglia, composta dai soliti individui a cavallo e capitanata questa volta dallo stesso Panepinto, si era recata alla Misita, proprietà del sindaco di Bivona cav. Alfonso Bullara, e con le minacce avevano fatto desistere dal lavoro i contadini, dicendo loro di non riprenderlo se prima i proprietari non si fossero obbligati a cedere terra e semenza. Tutte queste azioni finirono per violare gli estremi dell’art.165 e seguenti dell’allora vigente Codice Penale, per i reati commessi contro la libertà del lavoro. I responsabili 93
Risposta del 31 ottobre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 94 Verbale n. 10, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 53
furono quindi denunciati per «eccitamento allo sciopero per avere con violenza e minacce impedito la libertà del lavoro (art.165) per imporre ai proprietari patti diversi da quelli precedentemente consentiti (art.166) ». Il Panepinto e il vicepresidente Ferlita vennero denunziati «ai sensi dell’art.167 Codice Penale quali capi e promotori dei reati di cui sopra»95. Nonostante tali avvenimenti il delegato di S.Stefano era ancora convinto che il Panepinto, in caso di movimento generale dei Fasci, non sarebbe stato secondo a nessuno ma nemmeno in grado di prendere qualsiasi iniziativa96. Intanto i contadini avevano ripreso i lavori, in seguito agli accordi con i proprietari, i quali erano stati costretti ad obbligarsi col presidente a cedere terra e semenza. In tutto ciò le Autorità, in particolar modo il Sottoprefetto, tenendo conto anche delle riunioni che si svolgevano al Fascio, vi vedevano «un modo di adescare le masse ignoranti per trascinarle un giorno in un campo diverso da quello in cui ora si tenevano, ossia un campo che poteva essere quello di sconvolgere l’ordine sociale attuale per mutare la forma di Governo»97. Il 17 dicembre il Panepinto ottenne dal delegato l’autorizzazione a rendere le onoranze funebri al socio Giuseppe Ippolito, senza però portare la bandiera. Per l’occasione fu mandata una pattuglia di carabinieri ed il Panepinto tenne un discorso d’occasione concludendo con le parole “Viva il socialismo”. Informato di tutto il delegato si recò sul luogo e procedette alla denunzia del presidente, ritenendo quelle parole finali sediziose, in quanto auspicanti ad una forma di governo
95
Ibidem Riservata del delegato al Sottoprefetto, 23 novembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 97 Relazione del Sottoprefetto, 25 novembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 96
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diversa da quella attuale98. Alcuni mesi dopo il delegato commentò che anche se quel grido non aveva avuto nessuno strascico, tuttavia per un paese quale S.Stefano «indicava già un passo di gigante nella via della rivolta ed il profondo lavorio per giungervi »99. Il 19 dicembre il delegato così scriveva al Sottoprefetto: «Pregiomi portare a conoscenza della S.V. Ill.ma che il presidente di questo Fascio dei lavoratori, Panepinto Lorenzo, dopo il ritorno dal congresso socialista che ebbe luogo in Girgenti il giorno 12 novembre ultimo, dove venne censurato il suo contegno piuttosto mite, ha deciso tenere altra condotta, specialmente che ormai è venuto a conoscenza che un processo pende a di lui carico, pur tenendo il Fascio, a suo dire, nei limiti della legge. In ciò venne incoraggiato dal Reina Paolo, il quale in seguito alla destituzione del V. Pretore non avendo più vincoli di sorta sarà uno dei fautori più avventati del Fascio, tanto più che a suo credere ha delle vendette da compiere per l’immediata destituzione. Infatti, in atto il presidente lavora alla sede del Fascio facendo nelle pareti pitture simboliche e con iscrizioni, è stato fatto un gonfalone rosso e si lavorano coccarde rosse da fregiarsene tutti i soci dovendo quanto prima farsi l’inaugurazione del nuovo indirizzo che prenderà il Fascio, e si vuole che interverranno delle rappresentanze di altri Fasci. Non mancherò di seguire ogni movimento di tale sodalizio, che pare voglia trasformarsi da una società operaia pel miglioramento economico della classe lavoratrice, come ha dato ad intendere il Panepinto, in una vera e propria associazione a scopo sovversivo…»100. 98
Risposta del delegato al Sottoprefetto, 11 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 99 Riservata del delegato al Sottoprefetto, 24 luglio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 100 Riservata del 19 dicembre 1893, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 55
Alla fine del ’93 a S. Stefano l’amministrazione risultava incapace di risolvere o almeno di ovviare ai problemi che tormentavano il paese. Contro di essa sorse dunque una viva reazione e il corrispondente del “Giornale di Sicilia “ da S. Stefano scriveva: «Lo spettacolo al quale ho assistito lunedì ultimo ha riaffermato la mia fede nell’avvenire dell’isola nostra, poiché fra le parziali dolorose reazioni di questi ultimi giorni, è bello il vedere una manifestazione collettiva importantissima per il numero dei convenuti e per le cose trattate, svolgersi con ordine perfetto, con calma ammirabile »101. Radunatasi la popolazione nella chiesa di S. Caterina, il Panepinto, «giovane egregio per buon senso e temperanza di spiriti, con parola calda e vibrata», spiegò al popolo lo scopo del comizio e si soffermò sulla cattiva amministrazione locale, sull’enormità della sovrimposta, sulla distribuzione delle tasse locali gravosa per i poveri, sui patti colonici, sugli abusi, sulle ingiustizie, che bisognava distruggere «non col sangue, gl’incendi, i vandalismi, come sperano i nemici del popolo, ma colle proteste legali suggellate dall’unanimità del volere. Bisogna essere uniti nella coscienza della forza e dei diritti comuni, ma non bisogna dimenticare i doveri che ha un popolo quando non vuole essere plebe. Fa d’uopo far conoscere i mali che affliggono le classi lavoratrici, mali d’indole locale e generale, attendere con calma e fiducia le riparazioni promesse da Francesco Crispi »102. Fra gli applausi generali si votò un ordine del giorno che chiedeva provvedimenti contro il cattivo indirizzo dell’amministrazione comunale, contro l’iniqua applicazione delle tasse e miglioramenti dei patti colonici. Perciò fu telegrafato a Crispi e al Prefetto della provincia. 101 102
«Giornale di Sicilia», 7-8 gennaio 1894 Ibidem 56
Intanto mentre il comizio si scioglieva con tranquillità, arrivava da Bivona un plotone comandato da un tenente, che constatò l’ordine e la calma103. Il popolo credeva molto in Crispi, tant’è che il Panepinto gli inviò un telegramma: «Il popolo di S. Stefano riunito in un solenne comizio nella chiesa di S. Caterina, considerando che le cattive e partigiane amministrazioni dei comuni sono state in gran parte causa del malcontento del popolo siciliano che è anche il nostro, è infondato in un partito che degli interessi del popolo, delle prescrizioni della legge e della moralità è negazione assoluta, che invece di mostrarsi pacificatrice la nostra amministrazione ha aizzato e fomentato le discordie tra contadini e proprietari, che le tasse locali colpiscono con parzialità e asprezza la povera gente ed il pubblico denaro non viene speso con utilità comune. Forte nella propria unione e fiducioso nelle promesse del siciliano Crispi dichiara di attendere con calma che sia provveduto ad una inchiesta su tutto l’indirizzo di questa amministrazione e che siano prese quelle misure reclamate dalle gravità dell’ora presente. L’ordine pubblico in tale circostanza non fu menomamente turbato»104. Questa fiducia nel nuovo governo Crispi va inquadrata nell’atmosfera di generale entusiasmo e di comune speranza che allora si diffuse in Sicilia e soprattutto nella provincia di Girgenti, ove il Crispi veniva considerato con orgoglio, un compaesano. Paradossalmente buona parte dei cosiddetti eversori dell’ordine si muove in un'orbita crispina, o se ne è distaccata da poco per la radicalizzazione della situazione dovuta alla crisi agraria che attizza la conflittualità sociale e porta gli elementi progressisti a costituire, paese per paese, quell’organizzazione politico-sindacale che viene denominata
103
Ibidem Rapporto del Tenente dei Carabinieri al Sottoprefetto, 3 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 104
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fascio, senza che la comunanza del nome implichi realmente un’omogeneità di fisionomia politica105. Con la proclamazione dello stato d’assedio e il fallito tentativo di mediazione da parte del Colajanni, le speranze suscitate dal Crispi andarono deluse e ciò preoccupava il delegato di S.Stefano, per i possibili disordini che tale delusione poteva provocare. Le riunioni alla sede del Fascio s'intensificavano ed i soci avevano preso un atteggiamento più minaccioso. Circolavano anche voci di possibili assalti al Municipio e ai pubblici uffici. Molto prudentemente il delegato sosteneva di non inasprire l’animo della popolazione e di non far credere ad essa che le Autorità garantiscono il ricco contro il povero. Pertanto invitava il Sindaco Giovenco a ridurre quanto più possibile le tasse106. L’11 gennaio in esecuzione agli ordini impartitegli dal Sottoprefetto, invitava il Panepinto a presentarsi nel suo ufficio e lo diffidava con verbale a non tenere riunioni affollate di lavoratori né alla sede del Fascio né altrove, «minacciandolo di essere tenuto in caso contrario responsabile di inosservanza di un divieto legalmente dato». Il Panepinto promise in tale occasione che avrebbe ordinato la chiusura del Fascio e anche il Circolo Operaio avrebbe chiuso il 12 gennaio «per non destare gelosie»107. Fra il 14 e il 15 gennaio cominciarono i primi arresti ed il terzo Battaglione dell’83° Reggimento Fanteria di Bivona iniziava subito le perquisizioni domiciliari108. Il Sottoprefetto 105
S. Lupo, Lorenzo Panepinto dirigente dei fasci siciliani, in Renda-Barone etc, op. cit. 106 Riservata del delegato al Sottoprefetto, 6 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 107 Lettera del delegato al Sottoprefetto, 11 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 108 Telegramma del Prefetto, 20 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 58
di Bivona poteva in questo modo, scrivere con soddisfazione, al tenente dei carabinieri locale e ai delegati distaccati: «ora che, mercè le energiche disposizioni impartite dal R. Governo e lo zelo usato dalle dipendenti Autorità, la calma si è ristabilita nell’isola, io non posso dispensarmi dal constatare, con compiacimento, come in questo circondario né luttuosi avvenimenti, né inconsiderate dimostrazioni abbiano alterato l’ordine pubblico. Dovere nostro è però di vegliare a ché la tranquillità dell’oggi nemmeno d’ora innanzi s’abbia a turbare; e dovere mio è di raccomandare una continua vigilanza che sotto l’odierna generale calma, potrebbero maturarsi dei malvagi propositi di disordini per l’avvenire. Tutti i Fasci del circondario sono stati disciolti, ed anzi qualcuno di essi si sciolse spontaneamente; ma a queste associazioni ciò che è veste pubblica, o meglio ciò che è apparenza, nulla assicura che con occulto lavorio non si tenti la preparazione di atti condannati dalla legge. Noi tutti dobbiamo premunirci di ogni possibile sorpresa… ed esercitare una incessante vigilanza sui componenti tutti e in ispecie sui capi delle disciolte associazioni…»109. Il Fascio ancora il 30 gennaio non si considerava formalmente chiuso e per ciò continuava la sua attività con le solite riunioni. Grazie ad un’ordinanza del Prefetto, il 2 febbraio arrivò a S.Stefano una truppa, al comando del tenente dei Bersaglieri Rodolfo Mariani ed assieme al delegato dichiararono sciolto il Fascio. All’atto dello scioglimento, vennero sequestrati un tavolo, «unico mobile che ivi trovavasi», l’insegna del Fascio e furono raschiate dalle pareti le iscrizioni e le pitture che il Panepinto vi aveva eseguite110. In casa del presidente furono sequestrati una bandiera tricolore 109
Rapporto del 28 gennaio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 110 Risposta del delegato al Sottoprefetto, 3 febbraio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 59
con la scritta “Fascio dei Lavoratori”, l’asta del gonfalone rosso, il cui drappo era stato già distrutto, alcune stampe riguardanti il Fascio, dei manoscritti e un po’ di corrispondenza di nessuna importanza: «sia dagli uni che dall’altra rilevansi i principii abbastanza spinti al Socialismo del Panepinto e la di costui relazione con altri socialisti, il che proverebbe che anche egli non è del tutto estraneo agli attuali movimenti »111. La corrispondenza e gli altri manoscritti sequestrati furono trasmessi al Sottoprefetto; il rimanente, compresa la chiave della sede del Fascio, fu consegnato al comandante la Stazione dei RR.CC112. Il 5 febbraio verranno arrestati gli ex appartenenti al Fascio: Giuseppe Pitisci, Filippo Tatano, Ignazio Zambito e Domenico Rizzo113. Si dissolvevano così le grandi speranze della gente. Gli appassionati organizzatori registravano una decisiva sconfitta e sarebbero stati ancora variamente perseguitati dalla classe che avevano colpita. Con la repressione militare si chiude traumaticamente ogni spazio politico all’iniziativa dei socialisti nell’isola e nello stesso tempo si apre un consistente spiraglio per l’azione dei cattolici nelle campagne. * Dalla tesi di laurea
111
Ibidem Verbale del 13 marzo 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 113 Telegramma del 6 febbraio 1894, in A.S.A., A.S.B., 1893-94, f. 107, inv. 19 112
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Il Fascio dei Lavoratori di Bivona * di Antonino Marrone Tra la fine del 1893 e l'inizio del 1894, si concludeva drammaticamente in Sicilia la breve ed intensa storia dei Fasci dei Lavoratori, il movimento che diede per la prima volta alle masse dei braccianti, dei contadini e degli zolfatari concrete speranze di riscatto sociale e politico. Nonostante l'orientamento ideologico dei maggiori dirigenti dei Fasci (alcuni dei quali, in seguito, avrebbero pagato con la vita la fedeltà ai loro ideali di giustizia sociale) e nonostante l'adesione degli stessi Fasci siciliani al Partito dei Lavoratori Italiani (cioè al Partito socialista)114 proclamata nel Congresso di Palermo del 21-23 maggio 1893, il movimento perseguì obiettivi circoscritti e per nulla rivoluzionari, tant'è che nei centri agricoli "i fascianti", conformemente a quanto stabilito nei cosiddetti "Patti di Corleone" (31 luglio 1893), si limitarono a lottare per l'aumento del salario bracciantile e per l'adozione del contratto di mezzadria (terra e semente a fondo perduto, e divisione del prodotto a metà) in sostituzione di quello del terraggio che era molto più gravoso per gli affittuari. Le classi dirigenti locali, tuttavia, preoccupate sia per l'uso massiccio e determinato dello sciopero, sia per il timore che quel movimento potesse essere strumentalizzato dal partito che era all’opposizione nei riguardi dell'amministrazione locale, e sia anche per le rivendicazioni di natura politica avanzate dai lavoratori (molti dei quali risultavano penalizzati dalle leggi elettorali allora in vigore), boicottarono i fasci e cercarono di screditarli, sostenendo, fra l’altro, che erano finanziati da 114
Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pagg.120-121. "..Ogni singolo fascio non era più un ente autonomo, ma diveniva una sezione della federazione provinciale, e ogni federazione provinciale avrebbe avuto un urico statuto. I presidenti delle sette federazioni provinciali costituivano il Comitato centrale (siciliano) dei Fasci dei lavoratori". 61
circoli anarchici stranieri, francesi in particolare. Curiosa e farneticante ad un tempo fu l’opinione espressa dal famoso criminologo Lombroso sulla pericolosità del movimento nato in Sicilia; “ciò che avviene in Sicilia –disse- conferma perfettamente la teoria, da me esposta nel Delitto politico, che le popolazioni dei paesi caldi e i popoli misti siano quelli che hanno più frequenti rivoluzioni… La Sicilia è quindi un paese dove la propaganda insurrezionale rappresenta un pericolo gravissimo perché le due condizioni si riuniscono in quelle masse”115. L'eccezionale compattezza degli scioperi che si diffusero in diverse decine di comuni nei mesi di agosto e settembre '93 fece sì che non pochi lavoratori ottenessero notevoli miglioramenti nei patti agrari; analoghi risultati non si ebbero però a Bivona, probabilmente per il minor peso che i braccianti avevano nella locale stratificazione sociale rispetto a quelli di molti altri centri dell'Isola. In quegli anni Bivona contava circa 5000 abitanti, vantava un'area borghese e un corpo elettorale relativamente ampi rispetto agli altri comuni della provincia (per la presenza di un buon numero di impiegati e piccoli proprietari) e presentava da un decennio una notevole stabilità amministrativa, della quale erano garanti il sindaco Alfonso Bullara (dal 1892 anche consigliere provinciale) ed il consigliere comunale Onofrio Guggino Sirretta, che, come annotava il sottoprefetto f. f. Buonocore, era ritenuto “sindaco di fatto” e “il vero dittatore del paese”116. L'orientamento politico degli elettori era quasi unanime e ormai da due lustri essi affidavano la loro rappresentanza
L’Amico del Popolo del 6.12.1893. Intervista a Lombroso, pag. 2. 116 ASA,19, vol. 106, lettera riservata del sottoprefetto f.f. al prefetto in data 11.1.1894. 115
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politica all'avvocato agrigentino Nicolò Gallo, cugino acquisito del Guggino Sirretta117. Fin dai primi anni ottanta esisteva a Bivona una Società operaia di mutuo soccorso118, alla quale nel 1894 risultavano iscritti una quarantina di soci119, e che, però, al pari delle consimili, era diretta da esponenti della borghesia locale che se ne servivano quasi esclusivamente come propria agenzia elettorale. Un altro sodalizio, il Circolo dei Civili, fondato negli anni trenta, annoverava fra i suoi soci la classe dirigente della cittadina compresi “il vicepretore, il segretario della sottoprefettura, il tenente dei carabinieri reali, il delegato di P.S., il direttore e dei professori del R. Ginnasio e altri impiegati, Parroco e degli Ecclesiastici”120. I cattivi raccolti del 1892 e del 1893 avevano aggravato le già misere condizioni dei braccianti agricoli e dei piccoli agricoltori bivonesi, e proprio in considerazione della “miseria economica della popolazione", che avrebbe potuto dare esca a disordini, il presidente del Consiglio Comunale di Bivona nell’agosto 1892 aveva chiesto al Governo121, e l’aveva presto ottenuto122, di ripristinare nel Capoluogo di Circondario “la 117
La moglie di Nicolò Gallo era Amalia Guggino, figlia di Carmelo Guggino, il quale era fratello di Francesco, a sua volta padre di Onofrio Guggino Sirretta. 118 La prima notizia sulla società operaia bivonese (come già esistente), è del 1885. IL Nuovo Precursore del 28.5.1885, pag. 3 119 ASA, 19, vol. 107, Elenco delle persone che fanno parte della Società di Mutuo Soccorso di Bivona. Stilata nel 1984 dalla Tenenza dei CC RR di Bivona. Direttore era Guggino cav. Francesco, presidente Domenico Di Salvo, segretario Giovan Battista Sedita. 120 Corriere dell’Isola, 3-4.2.1894, pag.2. 121 Municipio di Bivona. Registro delle Deliberazioni del Consiglio. 23.8.1892. 122 Giornale di Sicilia, 21-22.9.1892, corrispondenza da Bivona. Arrivo Truppe. "Come vi scrissi qui finalmente si è 63
sede di un battaglione di truppa o per lo meno di una compagnia”123. Nell'anno successivo, nel maggio 1893, il Consiglio espose al ministro dei Lavori Pubblici la necessità di portare a compimento la strada S. Stefano-Cammarata in considerazione che "pel cattivo raccolto del 1892 e per quello non men cattivo del corrente anno è necessario e giusto che si dia lavoro alla povera gente”124. L'idea di dar vita anche a Bivona ad un Fascio dei Lavoratori maturò fra i contadini della cittadina verso la fine dell'estate 1893, sull'onda di quanto era avvenuto e continuava ad avvenire in molti comuni del circondario dopo l’enunciazione dei Patti di Corleone ed i primi risultati positivi conseguiti con lo sciopero agricolo. Il fascio di Casteltermini, composto in buona parte di minatori, era stato fondato il 4.6.1893 in data anteriore ai Patti; in agosto si costituirono i fasci di Alessandria (7.8)125, Ribera (13.8), S. Biagio Platani (15.8) e Burgio (17.8), in settembre i fasci di Calamonaci (6.9), Bivona (17.9), S. Stefano (22.9) e Villafranca (24.9), in ottobre i fasci di Cammarata (1.10), Cianciana (15.10) e Lucca ripristinato il distaccamento che da due anni pur troppo era stato ritirato. Di ciò va fatta lode a questo egregio signor sottoprefetto cav. Papa il quale ebbe a fare un rapporto favorevolissimo, quanto dotto, e al Consiglio Comunale che nel proposito espresse opportuna deliberazione. Sebbene qui le condizioni di P.S. grazie alla solerzia del sullodato sig. sottoprefetto sono state sino ad ora eccellenti, pure avuto riguardo alla vicinanza dei circondari di Termini e Corleone, ove qualche brigante non manca, c'era sempre da temere una brutta sorpresa”. 123 Municipio di Bivona. Segreteria Comunale. Registro delle deliberazioni del Consiglio. 23.8.1892. 124 Municipio di Bivona. Segreteria Comunale. Registro delle deliberazioni del Consiglio. 19.5.1893. 125 Il Fascio di Alessandria della R. era presieduto da Pietro Amorelli e, dei 250 membri, 14 erano donne (Alessandria della R., Storia, Tradizioni, Immagini. a cura di Nino Raineri, 1991) 64
(29.10); a quest’ultima data tutti i comuni del circondario di Bivona (compreso S. Giovanni Gemini)126 si trovano coinvolti nel movimento. L'azione di proselitismo finalizzata alla fondazione del Fascio dei lavoratori bivonese risultò far breccia soprattutto fra i contadini, che da qualche anno seguivano con particolare interesse e molte aspettative la conclusione delle pratiche avviate dal Comune con la famiglia Saporito per la liquidazione degli usi civici. Dopo parecchi giorni di intenso lavoro di propaganda, che fruttò circa 300 adesioni, i promotori, intorno alla metà di settembre 1893, decisero di rompere gli indugi; presero in affitto un locale per la sede del sodalizio, fissarono la domenica 17 settembre come data di inaugurazione del nuovo fascio ed invitarono per l'occasione come oratore il presidente del fascio di Palazzo Adriano, Giacomo Luciano, il cui nome nelle settimane precedenti era corso sulla bocca di tutti i siciliani simpatizzanti dei Fasci giacché il 6 agosto da poco trascorso, alla conclusione di un discorso pronunziato da Bernardino Verro a Palazzo Adriano, sia il Luciano che il Verro erano stati arrestati, incatenati e tradotti prima al carcere di Prizzi, e poi al carcere di Palermo, per essere giudicati da quel tribunale127. Appena prosciolti e liberati, i loro simpatizzanti li avevano fatti segno di una trionfale accoglienza. Naturalmente l'iniziativa dei fascianti bivonesi veniva tenuta d'occhio dalle locali autorità governative e il 16 settembre, giorno precedente alla data prevista per la seduta inaugurale del fascio, il sottoprefetto di Bivona Oreste Bellei128 126
Cfr.: ASA, 19, vol. 106, relazione del sottoprefetto al prefetto sui fasci dei Comuni del Circondario di Bivona. 127 Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 158 128 Oreste Bellei si era insediato come sottoprefetto di Bivona il 18 aprile 1893 (G.d.S., 21-22.4.1893) e rimase nella cittadina fino alla metà di dicembre dello stesso anno (Cfr. 65
fu in grado di comunicare al prefetto di Girgenti, Piras Lecca129, non solo il numero delle adesioni e il programma del 17, ma anche i nomi dei bivonesi Francesco Cenere e Carmelo Lino come i due soci designati rispettivamente alle cariche di presidente e di vicepresidente130. Pur avendo segnalato al suo diretto superiore che un "ordine pubblico perfetto" regnava a Bivona, la mattina del 17 il sottoprefetto non mancò di premunirsi contro ogni possibile rischio connesso con l'evento, e invitò il sindaco di Bivona a mettere, per quel giorno, a disposizione della locale autorità di P. S. le quattro guardie campestri dipendenti dal Comune131. Così come era stato stabilito, la fondazione del Fascio dei Lavoratori di Bivona avvenne alle ore 10 del mattino del 17 settembre 1893, alla presenza del Luciano e di alcuni soci del Fascio di Palazzo Adriano. Il Luciano nel suo discorso inaugurale, tenendo conto delle aspettative dei presenti, indicò significativamente come obiettivi del sodalizio "l'equa ripartizione delle terre (comunali) e la giusta retribuzione del lavoro", ma non mancò di raccomandare prudenza ed unità. Atti della Giunta Comunale di Bivona in data 6.12.1893 e 21.12.93: in quest’ultima data sigla le delibere della giunta il sottoprefetto f.f. Bonocore). 129 Il prefetto Piras Lecca era stato sottoprefetto di Bivona dal febbraio 1874 al settembre 1875 (Marrone, 1996, pag. 90). Come prefetto fu molto malvisto dai fascianti, e quando il 21 novembre 1893 partì da Girgenti per Cremona, ove era stato trasferito, un corrispondente di Girgenti salutò con gioia il suo allontanamento: “Per il gran bene fatto alla nostra provincia gli diamo un addio da parte del più profondo del … fegato” (G.d.S., del 23-24.12.1893, corrispondenza da Girgenti a firma Castore). Il Piras Lecca fu sostituito dal prefetto Bertagnatti, in Girgenti già alla fine di novembre (G.d.S., 23.12.1893, cronaca agrigentina). 130 ASA, 19, vol. 106, telegramma del 16.9.1993, ore 11 a.m., del sottoprefetto di Bivona al prefetto di Girgenti. 131 ASA, 19, vol. 107, lettera del sindaco f.f. O. Guggino del 17.9.1893 al sottoprefetto. 66
Per il resto, la giornata, almeno secondo quanto fa intendere un rapporto del sottoprefetto, dovette in parte deludere le attese dei promotori poiché gli intervenuti furono 150 invece dei 300 che avevano assicurato la loro presenza, e, per giunta, furono solo una quarantina di essi a formalizzare la propria adesione "dopo aver saputo che bisognava pagarsi lire 1 per l'entrata e centesimi 25 al mese"; inoltre, "non fu possibile trovare una persona che accettasse l'incarico della presidenza” e fu provvisoriamente eletto presidente il contadino Carmelo Lino, uno dei più entusiasti fautori della fondazione di quel Fascio. Non abbiamo elementi tali da chiarirci i motivi di quello stentato avvio del fascio bivonese: probabilmente da parte di alcuni che avevano affermato la loro disponibilità si volle stare alla finestra per valutare gli sviluppi della situazione. Dimostrò comunque poca perspicacia il sottoprefetto di Bivona nel telegrafare al suo superiore che era "fallito" il tentativo di organizzare il fascio bivonese132 al quale egli, mostrando di non cogliere le istanze di riscatto sociale del movimento, ritenne di poter piuttosto attribuire "lo scopo di abbattere l'attuale amministrazione comunale"133. Non è peraltro escluso che i fascianti si ponessero in prospettiva anche questo obiettivo al fine di potere aver voce in capitolo al momento di stabilire destinazione ed assegnazione delle terre comuni; del resto, si sarebbe trattato di un legittimo obiettivo che rientrava nell'ordinaria dinamica politica di uno stato liberale, ben lontano dalle consuete lotte politiche ed amministrative in cui più che i programmi politici contavano gli interessi delle camarille e l’esercizio del potere. In realtà, nei giorni successivi al 17 settembre, il fermento locale in favore dei Fasci non si affievolì e il 25 settembre, a distanza di una settimana, il sottoprefetto Bellei dovette 132
ASA, 19, vol. 107, telegramma del 18.9.1893. ASA, 19, vol. 107, lettera del sottoprefetto al prefetto del 18.9.1893. 133
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informare il prefetto che gli iscritti al Fascio avevano eletto come loro presidente il calzolaio Vincenzo Barone, e, addirittura, che per iniziativa di Rosalia Galasso stava nascendo in Bivona “anche un fascio di donne, le quali invasate dalle teorie socialistiche e di uguaglianza e dell’equa ripartizione delle proprietà, si lusingano che riunite in fascio possono imporsi più facilmente ed ottenere anzitutto l’esenzione dalle tasse. E’ già stato trovato un locale vicino al fascio per la sede del nuovo sodalizio e fra qualche tempo avrà luogo l’inaugurazione”134. Non era la prima volta nell’Ottocento che le donne bivonesi si mostrassero sensibili ai temi politici del momento (nel 1821 vi erano state donne iscritte alla Carboneria), ma era certamente la prima volta che esse, ancorché prive del diritto di voto, rivendicavano in prima persona concrete istanze sociali ed economiche, ben consapevoli, al pari dei loro uomini, del loro personale diritto ad un inderogabile riscatto. Non conosciamo i motivi per cui Vincenzo Barone si sia dimesso qualche giorno dopo avere accettato la presidenza del sodalizio, ma resta il fatto che i promotori del fascio bivonese, presa coscienza della situazione di stallo in cui rischiava di rimanere l'associazione in mancanza di una dirigenza adeguata, ebbero l'accortezza e la perspicacia di cercarla al di fuori del loro ceto, che localmente, per il bassissimo livello di istruzione dell'epoca e per l’inesperienza di lotte politico-sindacali, non offriva elementi in grado di elaborare un appropriato indirizzo politico, di programmare tempi e modi di lotta, di confrontarsi efficacemente con le autorità preposte all'ordine pubblico, di collegarsi opportunamente con gli altri Fasci isolani. In breve tempo venne individuata la persona che avrebbe potuto ricoprire adeguatamente la carica di presidente nell’insegnante trentacinquenne di S. Stefano Quisquina Antonino 134
ASA, 19, vol. 107, lettera (in copia) del 25.9.1893 del sottoprefetto al prefetto. 68
Monteleone. Egli “di condotta regolare e di principi moderati” (per stessa ammissione delle forze dell'ordine) dopo aver insegnato per un anno (1892-93) come supplente nella sua cittadina, si era ritirato a vivere con la moglie in Bivona e si mostrava "caldo propugnatore dei diritti dei lavoratori”135. Si trattava, dunque, di un maestro elementare, come altri due validissimi esponenti dei fasci della provincia: Giuseppe Bivona, presidente del fascio di Casteltermini, e Lorenzo Panepinto, presidente del fascio di S. Stefano, e, al pari di essi, il Monteleone credeva fermamente nell'importanza che avrebbe avuto l'alfabetizzazione dei soci del fascio nel loro processo di emancipazione sociale e politica. Fu molto probabilmente il 1° ottobre136, che l'assemblea del fascio bivonese elesse come suo presidente il Monteleone, al quale fu assegnato un salario giornaliero di 2 lire137; contestualmente vennero svolte le elezioni per le altre cariche del sodalizio, e relativamente agli eletti riportiamo l'opinione della locale Tenenza dei Carabinieri: fu eletto vicepresidente il conciapelle Antonino Greco di 25 anni, "di condotta regolare e di principi moderati", segretario il calzolaio Domenico Valenti di 19 anni "di condotta regolare e di principi un po' spinti"; 135
ASA, 19, vol. 106. Prospetto del fascio dei lavoratori del Comune di Bivona del 25.10.1893 inviato al sottoprefetto dalla Tenenza di Bivona. 136 Il Monteleone ricopriva la carica di presidente del Fascio già il 5 ottobre (ASA, 19, vol. 106, lettera del Monteleone al Delegato di P. S. di Bivona), e vi era l’uso di tenere le riunioni del fascio nei giorni domenicali. 137 Il compenso giornaliero ricevuto dal Monteleone era ritenuto dagli organi informatori del sottoprefetto l'unico vero motivo che aveva spinto il maestro stefanese ad accettare la presidenza del Fascio di Bivona: "se trovasse qualsiasi altro impiego rinunzierebbe subito alla presidenza del Fascio. In una parola è uno spostato che incalzato dal bisogno si studia trarre profitto da ogni opportunità" (ASA, 19, vol. 107, prospetto del 25.10.1893. 69
cassiere il contadino Giuseppe Di Salvo, di 59 anni "di condotta regolare, senza principi politici". Come inserviente fu eletto il già noto Carmelo Lino "di mediocre condotta e un po' avventato". Pare, invece, che né allora né dopo sia stato stilato ed approvato uno statuto del Fascio dei Lavoratori di Bivona. L'attivismo e le iniziative del Monteleone rilanciarono ben presto le prospettive del fascio tanto che lo stesso sottoprefetto in una relazione del 24 ottobre era portato ad ammettere che il fascio “che a tutta prima sembrava non dovesse prendere alcuna importanza da qualche tempo a questa parte con la elezione del nuovo presidente maestro Monteleone Antonino, si (è) reso abbastanza forte, pel numero dei soci che lo compongono e non (è) da meno degli altri circa a principi e contegno"138. A quella data i soci erano già circa 500 (400 dei quali avevano corrisposto le quote mensili) e sebbene fossero in gran parte contadini, di "misera" condizione economica139, non mancavano fra di essi operai ed artigiani, come si può dedurre dall'attività lavorativa di alcuni dirigenti del fascio. Le linee guida d'azione del fascio bivonese erano state prese nell'assemblea dell'8 ottobre. Il Monteleone aveva cercato di far coincidere l'enunciazione del programma operativo del sodalizio con una "pacifica manifestazione di piazza", che avrebbe dato modo alla popolazione bivonese di saggiare la compattezza e la determinazione degli associati. Fin dal 5 ottobre ne aveva perciò richiesto l'autorizzazione al delegato di P.S. di Bivona, che era stato anche informato del fatto che in tale occasione i fascianti avrebbero manifestato portando la bandiera nazionale, dato che non avevano ancora un proprio gonfalone. Ma, poiché il sottoprefetto, appena 138
ASA, 19, vol. 107, relazione del sottoprefetto al prefetto del 24.10.1893. 139 ASA, 19, vol. 106. Prospetto del fascio dei lavoratori del Comune di Bivona del 25.10.1893 inviato al sottoprefetto dalla Tenenza di Bivona. 70
informato della richiesta, vietò la manifestazione140, il Monteleone, non rinunziando ad esporsi pubblicamente, nel pomeriggio dell’8 ottobre riunì gli associati “nel vestibolo della sede del fascio” e aprì i lavori dell'assemblea. Dopo una conferenza tenuta dal presidente, i presenti stabilirono "di formare delle squadre di quindici persone, comandate da singoli caposquadra eletti nell'assemblea stessa, con il mandato di girare nelle campagne ... e fare smettere di lavorare tutti quei pochi operai che si fossero accordati con i proprietari terrieri a condizioni diverse da quelle stabilite dall'assemblea”. La manifestazione, che si svolse senza che l’ordine pubblico fosse stato “menomamente turbato”, procurò al Monteleone un verbale di contravvenzione per aver tenuto “una conferenza in un luogo aperto al pubblico senza avere ottemperato al disposto dell’art. 1 della legge di P.S.”141, ma fu raggiunto in Il divieto della manifestazione fu disposto “in ottemperanza a quanto disposto dal prefetto di Girgenti con telegramma del 3.6.1893”. 141 ASA, 19, vol. 106, lettera del 9.10.1893 del sottoprefetto al prefetto. Il 30 ottobre il sottoprefetto comunicava al prefetto che quel giorno il dibattimento a carico del presidente del fascio era stato rimandato “ad epoca indeterminata, e ciò perché a causa dell’assenza del pretore titolare; questo vicepretore sig. Marciante, per ragioni sue speciali, non ha voluto trattare il relativo processo, ed il vicepretore sign. Reina, che era stato a ciò delegato, non poté prestarsi perché avvocato difensore dell’imputato” (ASA, 19, vol. 107, lettera del 30.10.1894). L'avv. Paolo Reina era, secondo il delegato di S. Stefano, "uno dei fautori più avventati del Fascio" di Stefano Q., nonché intimo antico di Lorenzo Panepinto (ASA, 19, vol. 107. riservata del 12.12.1893, in Messina C., Il Caso Panepinto, Palermo, 1977, pag, 47). Il 30 novembre il Monteleone fu condannato dal pretore di Bivona a 100 lire di ammenda e alle spese di giudizio, nonostante la brillante difesa degli avvocati Giuseppe Cosenza e Paolo Reina (Il Giornale di Sicilia, 3-4.12.1893, n.338, pag. 2 Cronaca di Bivona. La causa contro il presidente del Fascio. 140
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pieno l’obiettivo poiché i soci del fascio decisero di aderire allo sciopero dei lavoratori agricoli che era stato proclamato nei Patti di Corleone e che aveva avuto una capillare diffusione in tutte le campagne dei comuni siciliani dove erano sorti i fasci dei lavoratori. Cominciarono così le ronde delle "squadriglie" dei fascianti, composte secondo un rapporto del sottoprefetto, "di 40, 50 e financo 60 individui che recavansi di feudo in feudo per fare smettere dal lavoro i pochi bene intenzionati e tal fatto sebbene non costituiva reato per la semplice ragione che né violenze né minacce venivano usate, pure avea cominciato ad allarmare questi proprietari che vedevano lasciate incolte le terre con serio danno dell'industria agricola”142. La reazione dei proprietari143 non si fece attendere. Essi praticarono un ferreo boicottaggio nei confronti degli iscritti al Fascio, e la loro compattezza mise ben presto alle corde la capacità di resistenza delle famiglie dei braccianti agricoli, che "nessun'altra risorsa (avevano) se non quella che si aspetta(va)no dal sudore della loro fronte". Era appena trascorsa una diecina di giorni dalla decisione di intraprendere lo sciopero quando i 19 ottobre il Monteleone scrisse Corrispondenza da Bivona del 1 dicembre a firma N.D.). Come riferisce Francesco De Luca, "in qualunque più innocente passeggiata, senza grida, senza gonfalone, la polizia vedeva una "riunione politica", “una processione civile”; e subito chiedeva l’applicazione degli articoli 1 e 7 della nuova liberalissima legge di P.S. ai pretori, che non so quante migliaia di lire fecero incassare all’erario per ammende inflitte ai fasci” (De Luca F., Prigionie e processi ed altri scritti, Agrigento, 1999, pag. 132.). 142 ASA, 19, vol. 107, relazione del sottoprefetto al prefetto del 24.10.1893. 143 A dire del sottoprefetto, i proprietari, “qualcuno eccettuato, trattavano piuttosto bene questi lavoratori loro concedendo tutte quelle agevolazioni possibili” (ASA, 19, vol. 106, relazione del sottoprefetto al prefetto del 24.10.1893). 72
un'accorata lettera sia al sottoprefetto che al prefetto facendo presente l'estremo disagio dei lavoratori dacché "i signori proprietari di Bivona, lungi dal cedere alle giuste pretese di questi proletari, come hanno fatto quelli degli altri paesi, hanno invece bandita la crociata contro di essi, di essi che hanno avuto sempre il più grande rispetto al Re, alle Leggi costituite, di essi che nulla pretendevano che non sia ispirato alla equità e alla giustizia". Continuava ancora il presidente del fascio bivonese: "A tanta iattura, un altro guaio si aggiunge, che cioè questi signori, pensano, anzi minacciano addirittura questi lavoratori pacifici e di buonissima indole, li minacciano di doverli fare morire di fame e di pigliarli a mano ove essi si azzardassero a penetrare nelle loro terre, con intendimento di provocare anche con buone parole (come si è sempre fatto) uno sciopero da parte di quei poveri diavoli, che peranco non hanno avuto la forza di ribellarsi". Il Monteleone richiedeva infine "un santo ed energico provvedimento, per evitare dei possibili guai”144. Il sottoprefetto, invece, lo convocò nel suo ufficio e, dopo averlo richiamato "ad un miglior contegno" e averlo informato "che la condotta del fascio poteva condurre a spiacevoli inconvenienti", ottenne dal suo interlocutore la promessa di far "smettere il giro delle squadriglie per le campagne”145. 144
ASA, 19, vol. 106, lettera del 19.10.1893 del Monteleone e di altri fascianti al sottoprefetto. 145 ASA, 19, vol. 107, relazione del sottoprefetto al prefetto del 24.10.1893. Ma in una lettera spedita lo stesso 24 ottobre al presidente del fascio di S. Stefano Q., Lorenzo Panepinto, il Monteleone, facendo riferimento ai braccianti che si recavano a lavorare nell’ex feudo S. Filippo, scriveva: "... ad evitare che questo stato di cose possa portare come conseguenza degli inconvenienti, primo quello di dar ragione al sig. Dara che non ha voluto cedere per meno, la S.V. è pregato di far di tutto per evitare tanto scandalo che io da parte mia metterò su tutto il rigore possibile". (ASA, 19, vol. 107. Il brano è 73
Era una sconfitta per il fascio bivonese146, tanto più che in altri centri dell'Isola venivano conclusi accordi, più o meno vantaggiosi, "formalmente sottoscritti fra le parti, spesso anche in forma ufficiale presso i municipi, e ampiamente dibattuti nelle assemblee contadine”147. La battuta d'arresto nell'azione del fascio di Bivona fu interpretata ancora una volta dal sottoprefetto come preludio allo scioglimento del sodalizio, come si legge in un rapporto del 24 ottobre indirizzato al prefetto: "Son lieto intanto portare a conoscenza della S. V. Ill.ma che ormai questo fascio dei lavoratori accenna a sciogliersi e fra qualche tempo non se ne avrà più traccia. E ciò devesi alla coalizione dei proprietari i quali non accettano ai loro servizi persone inscritte al Fascio, accordando invece a coloro che non vi fanno parte grandi agevolazioni; gli artigiani … che facevano parte del sodalizio sono smessi per l'imposizione che facevasi a tutti di doversi servire esclusivamente degli operai appartenenti al Fascio. A ciò ha pure influito il fatto che, siccome nella comune credenza riportato nella lettera del sottoprefetto al prefetto di Girgenti del 6.2.1894) 146 Come conseguenza della ferma opposizione dei proprietari bivonesi “tutti i contadini ripresero i lavori ai consueti patti e condizioni” (ASA, 19, vol. 106, relazione sui fasci del circondario di Bivona del sottoprefetto al prefetto del 26.11.1893). 147 Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 1977, pag. 178. Particolarmente cocente era il raffronto con i risultati ottenuti dal Fascio del vicino Comune di S. Stefano, forte di più di 1000 associati. Nel mese di novembre, infatti, il delegato di P.S. di questo comune poteva scrivere al sottoprefetto che "i contadini (avevano) quasi tutti ripreso i consueti lavori. Ciò è avvenuto esclusivamente in seguito ad accordi, per mezzo del Fascio, tra contadini e proprietari, i quali ultimi sono stati costretti ad obbligarsi col presidente, Panepinto Lorenzo, a cedere terra e semenza” (ASA, 19, vol.107, lettera del delegato di P.S. di S. Stefano del 23.11.1893, in Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 178). 74
(dovevano) arrivare alla sede dei fondi, sia pel sostentamento dei suoi bisogni quanto per poter resistere senza lavorare finché i proprietari avranno ceduto alle loro pretese, ormai delusi in tale aspettativa ed immiseriti sempre più nelle condizioni economiche e per le spese sostenute e pel mantenimento del Presidente, costretti dalla necessità finiranno per accettare le condizioni che accorderanno i singoli proprietari abbandonando l'idea di restare uniti per fare resistenza”148. Ancora una volta il sottoprefetto dimostrò di far male i suoi calcoli. Il Monteleone, che non aveva mai smesso di perseguire concretamente gli obiettivi del sodalizio149, qualche giorno dopo cercò di rilanciare l’azione di propaganda e il 2 novembre chiese, ma invano, l’autorizzazione a tenere in piazza Matrice nella domenica successiva, una pubblica assemblea sulla “necessità del sodalizio fra le classi lavoratrici per conseguire il loro miglioramento economico, morale, intellettuale”150; contemporaneamente intensificò, al pari di quanto avveniva negli altri fasci del circondario, l'azione di indottrinamento dei soci: durante le riunioni serali nella sede del sodalizio leggeva e commentava il Giornale di Sicilia151, teneva dei corsi di 148
ASA, 19, vol. 107, relazione del sottoprefetto al prefetto del 24.10.1893. 149 Cfr. nota 34. 150 ASA, 19, vol. 107, lettera del sottoprefetto Bellei al prefetto del 2.11.1893. “Scopo di esso presidente –scrisse il sottoprefetto- con questa conferenza è di affermarsi pubblicamente, di estendere propaganda e di ravvivare fra gli stessi componenti sodalizio quel fuoco che ora va affievolendosi. Per ragioni di ordine pubblico io sono d’avviso che non sia da permettersi ed in esecuzione alle disposizioni impartitemi da V.S. Ill.ma io la vieterei senz’altro”. 151 Il G. di S., che non aveva mai fatto professione di socialismo, aveva però appoggiato i Fasci dei Lavoratori, fino a divenirne quasi il portavoce. "Il suo atteggiamento cambiò 75
alfabetizzazione al fine di fare acquisire ai soci il diritto all'iscrizione nelle liste elettorali amministrative, “svolgeva le teorie socialistiche”, e cercava di “tenere desta l’agitazione ravvivando nei soci, col miraggio di un non lontano migliore avvenire” lo spirito “di associazione e di resistenza”152. A testimoniare, ad ogni buon conto, la vitalità del fascio di Bivona resta il fatto che il 12 novembre 1893, durante i lavori del primo Congresso socialista della provincia di Girgenti (che, in sostanza, coincideva col primo congresso dei Fasci della stessa provincia)153, il Monteleone fu eletto fra i cinque membri componenti il Comitato provinciale; gli altri eletti furono De Luca, Rao, Tasca e Castelli. Durante i lavori del congresso, al quale parteciparono i rappresentanti di tutti i fasci della provincia, eccetto quelli di Sciacca, Menfi e Caltabellotta, “si stabilì uno statuto provinciale, un collegio di difesa e una cassa provinciale”; inoltre, relativamente ai patti colonici “vennero accolte le proposte di Verro e Rao per stabilire la mezzadria, lasciando però ai singoli fasci di attenersi per le condizioni alle esigenze locali”154. di colpo con l'apertura della crisi governativa. Da oppositore antigiolittiano il giornale divenne subito ministeriale" (Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 285).. 152 ASA, 19, vol. 106, relazione del sottoprefetto del 26.11.1893 al prefetto. 153 ASA, 19, vol. 107, telegramma del sottoprefetto al prefetto dell’11.11.1893. “Stanotte partito per costà prendere parte congresso Fasci indetto per domani presidente Fascio Bivona Monteleone Antonino di Giulio”. Nel telegramma e in altri due spediti il 12 si ha notizia delle delegazioni degli altri fasci del Circondario. Baldassare Castelli era il presidente del fascio di Ribera. 154 Cfr.: Giornale di Sicilia del 14-15.11.1893, corrispondenza da Girgenti del 13 novembre. Il congresso provinciale socialista (nostra corrispondenza); e, ancora, Renda (I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 277, nota 1): “Cfr. Il congresso dei Fasci della provincia di Girgenti, in “La Tribuna”, 17 novembre 1893, il più ampio resoconto disponibile. Bosco 76
Tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre il clima politico mutò: caduto il 24 novembre il governo Giolitti, la cui condotta “era stata di mediazione e di sintesi fra le pressioni tenaci di chi voleva lo scioglimento dei Fasci ad ogni costo, e di chi, al contrario, insisteva sulla necessità di essere aperti e fiduciosi nei loro confronti”155; fallito il tentativo di Zanardelli di formare un nuovo governo156; l’8 dicembre venne dato l’incarico a Crispi, che riuscì a coagulare una composita maggioranza che comprendeva non solo forze di sinistra non socialiste, ma anche la destra agraria guidata dal Di Rudinì157. Il sostegno dato a Crispi da Napoleone Colaianni, che era entrato in rotta di collisione con i dirigenti socialisti per l’indisponibilità di questi ultimi a stringere alleanze con i cosiddetti partiti affini, determinò una spaccatura fra i dirigenti annunziò che se i proprietari non fossero addivenuti a patti più umani, nel prossimo congresso regionale di Messina si sarebbe proclamato lo sciopero regionale dei contadini, ed invitò i presidenti dei Fasci a preparare la coscienza dei contadini allo sciopero”. Sulla polemica sostenuta da Lorenzo Panepinto sui contenuti di quel congresso, cfr. Messina C., Il Caso Panepinto, Palermo, 1977, pag. 147. 155 Renda, I Fasci cit., Torino, 1977, pag. 257. 156 Del costituendo ministero Zanardelli si conobbe la lista dei ministri e il 4 dicembre 1893 i bivonesi appresero che del Governo Crispi faceva parte, in qualità di ministro della P.I., l'on Nicolò Gallo, il deputato eletto nel collegio di Bivona. Le manifestazioni di giubilo che l’amministrazione, la popolazione, i docenti e gli studenti universitari inscenarono con musica e bandiere, sia al Palazzo Municipale che nelle strade cittadine (Giornale di Sicilia 4-5.12.1893, n.339, pag. 2 Una dimostrazione all'on. Gallo, corrispondenze da Bivona delle ore 11.5 e delle ore 13.15 a firma N.D.), risultarono imponenti. Il Consiglio Comunale, fra l’altro, decise di conferire a Nicolò Gallo la cittadinanza onoraria bivonese e di intitolargli la piazza fino ad allora denominata S. Giovanni (Municipio di Bivona, Atti del Consiglio comunale di Bivona, 1891-94, delibera del consiglio del 4.12.1893). 157 Renda, I Fasci cit., Torino, 1977, pagg. 280-282. 77
dei Fasci dei Lavoratori: ci fu chi, assecondando le idee del Colaianni e del suo nuovo giornale “il Siciliano”158, si collocò fra i fautori della convergenza; chi, invece, si riconobbe fra gli estremisti capeggiati da De Felice; e chi rimase fra i sostenitori della linea socialista, rappresentati da Bosco159. Ci sono validi motivi per ritenere che il Monteleone, fautore di un’azione politica tenace ma moderata, si sia orientato, al pari di Lorenzo Panepinto160, verso le posizioni del Colaianni; lo testimoniano la larga diffusione da lui data al giornale “il Siciliano”, la condanna dei metodi di lotta violenta, e la fiducia che, come si riscontra nelle sue lettere, egli ripose nell’azione riformatrice del governo Crispi. Purtuttavia, i consiglieri della maggioranza municipale di Bivona, convinti che quel Fascio fosse strumentalizzato dal locale partito d’opposizione, non fecero mistero della volontà di depennare dalle liste elettorali tutti coloro che erano ritenuti responsabili di quegli ipotetici maneggi161, e, per ridurre ulteriormente la possibilità di accesso a quelle liste, il 17 dicembre confermarono la loro decisione di chiudere le scuole serali, nonostante la protesta dei maestri interessati162.
Allorché l’on Colaianni nel dicembre 1893 ruppe con i socialisti, in quanto fautore di una convergenza coi partiti borghesi, in suo appoggio dal 1° gennaio 1894 uscì il quotidiano “Il Siciliano”, che venne poi soppresso dal generale Morra il 9.2.1894 (Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 296) 159 Renda, I Fasci siciliani, Torino, 1977, pag. 297. 160 C. Messina, Il Caso Panepinto, Palermo, 1977, pagg. 4243 161 IL Siciliano, 7.1.1894, corrispondenza da Bivona del 2.1.1894: "ora dopo tanto sbraitare queste anime di fango vanno dicendo che la lista elettorale, che conta circa 500 elettori, la ridurranno a 200 al massimo". 162 Municipio di Bivona, Atti del consiglio Comunale del 1891-94, 17.12.1893. 158
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Questi loro propositi rivelavano quel loro modo di gestire il potere locale163 e segnalavano l'avvenuta dilatazione dell'area del contenzioso dalla sfera socio-economica a quella politico-amministrativa, conformemente a quanto andava verificandosi in moltissimi centri dell'Isola, dove, però, le manifestazioni popolari avevano come obiettivi prioritari di lotta la fiscalità locale e in primo luogo l'imposta del dazio consumo che colpiva in maniera gravosa le classi più indigenti. Crispi, nell'attesa dell'approvazione di un'articolata manovra economica, che avrebbe richiesto tempi più lunghi, pensò di raffrenare la protesta inviando il 25 dicembre 1893 una circolare ministeriale con la quale si invitavano le amministrazioni comunali a ridurre il peso delle imposte. Molti furono i comuni che, sollecitati da manifestazioni di piazza, nell'arco della settimana successiva deliberarono o si pronunziarono per l'abolizione dei dazi consumo (fra questi non vi fu Bivona dove non era in vigore alcun dazio sulla pasta, sulla farina o sul pane)164; ma, contrariamente alle attese del Crispi, "molte delle manifestazioni popolari, prevedibili e senza dubbio previste, invece di risolversi in un attestato di consenso al governo e di forza dell'autorità e della legge, accentuarono il loro carattere antigovernativo”165. Fu in questo contesto che in Bivona il clima fra i contrapposti partiti, pur senza degenerare irreparabilmente, si 163
Lo stesso sottoprefetto di Bivona fa questo quadro sconsolato della classe dirigente bivonese di quel periodo: "A questi stessi pochi proprietari (una diecina) si può applicare il motto "son pochi e non uniti", avversari politicamente ed amministrativamente sono assolutamente irriconciliabili, e quindi è facile comprendere che anche qui il concetto della legge è frustrato non dandosi quartiere agli avversari perché le elezioni sono monopolio del partito che è al potere' (ASA, 19, vol. 106, lettera dell'11.1.1894). 164 F. Renda, I Fasci cit., Torino, 1977, pagg. 301-302. 165 F. Renda, I Fasci cit., Torino, 1977, pag. 303 79
arroventò a causa di un banalissimo incidente. La sera del primo gennaio 1894 l'assessore Onofrio Guggino Sirretta, inveendo contro un ragazzo che offriva in vendita una copia de "Il Siciliano", proferì "espressioni che suonavano insulto e provocazione a quelli del Fascio ed ai loro istigatori"; subito dopo, nei pressi del Circolo dei Civili ove si trovava il Guggino Sirretta, si radunarono gruppi di ragazzi gridando "abbasso don Onofrio", "abbasso il Casino dei Civili", "viva il Fascio". Gli animi si accesero e circolò la voce che i fascianti intendevano “bruciare la casa comunale, saccheggiare la casa del sindaco e quella del signor Guggino Sirretta”, mentre nei locali del Circolo gli avversari del fascio non facevano altro “che imprecare al Fascio e ai suoi istigatori e invocare truppe per annientarli”. Intanto, nelle ultime settimane gravissimi tumulti avevano insanguinato l’Isola con decina di morti, e Crispi, … decretò lo stato di assedio in tutta la Sicilia e nominò Commissario straordinario con pieni poteri il generale Roberto Morra di Lavriano, e dispose lo scioglimento dei Fasci e l'arresto dei suoi massimi dirigenti. L’atteggiamento dei dirigenti del fascio di Bivona fu improntato in questa occasione alla massima cautela, tant’è che la sede del fascio fu tenuta spontaneamente chiusa166 e lo stesso Monteleone in una lettera al quotidiano “Siciliano” giustificò in qualche misura lo stato d’assedio ed il disarmo, in quanto venivano a por fine “agli eccidi, alle rapine e agli incendi degni di popoli barbari e di tempi ancora più barbari”167. Appunto perché il fascio di Bivona continuava a mantenersi, come sempre, nel campo della legalità, il sottoprefetto f.f. Buonocore, convinto di non poter trovare
166
ASA,19, vol. 107, telegramma del 12.1.94 del sottoprefetto f.f. al prefetto. 167 IL Siciliano, del 28.1.1894, corrispondenza da Bivona del 25.1.1894 a firma A. M.. 80
nulla di compromettente nella sede del sodalizio168, si limitò il 9 gennaio 1894 ad emettere un’ordinanza di scioglimento del locale Fascio dei lavoratori per incompatibilità "con l'attuale stato di cose per ragioni di sicurezza pubblica"169. Nello stesso giorno, quel funzionario ritenne opportuno disporre la chiusura temporanea dei locali del Circolo dei Civili e del Circolo Operaio: quello del primo sodalizio, perché l’atteggiamento dei soci costituiva “una provocazione permanente a trascendere da parte di quelli del Fascio”, quello del secondo circolo, in quanto gli aderenti all’abolito fascio “avrebbero trovato subito asilo nelle sale del Casino degli Operai che è sostenuto appunto da coloro che aizzano i lavoratori contro l’attuale stato di cose onde farsene schermo per demolire il partito municipale al potere”170. L’ordinanza di chiusura del Fascio di Bivona fu seguita in rapida successione da altre che portarono entro il 17 gennaio alla chiusura della quasi totalità dei Fasci del circondario; buon ultimo venne chiuso il 2 febbraio il Fascio di S. Stefano Q.. Il 28 gennaio il nuovo sottoprefetto di Bivona, Riccardo Lualdi, da pochi giorni arrivato nella cittadina171, con una circolare riservatissima indirizzata al tenente dei Carabinieri di Bivona e 168
ASA,19, vol. 107, telegramma del 12.1.94 del sottoprefetto f.f. al prefetto. 169 ASA, 19, vol. 106. L'ordinanza fu spedita dal sottoprefetto per conoscenza al prefetto di Girgenti e al Comandante la Sottozona militare di Bivona. 170 ASA,19, vol. 106, lettera riservata del sottoprefetto al prefetto dell’11.1.1894. 171 Corriere dell'Isola, 26-27.1.1894, corrispondenza da Bivona del 25 gennaio a sigla R. e titolo: Nuovo funzionario. "L'egregio cav. dottor Riccardo Lualdi, già consigliere di Prefettura a Ravenna è stato come sapete designato a reggere la nostra sottoprefettura. Il cav. Lualdi ha già preso possesso del nuovo ufficio e francamente nei pochi giorni che egli trovasi fra noi, ha confermato le belle qualità di mente e di cuore che lo avevano preceduto…”. 81
ai delegati di P.S. del circondario costatava "con compiacimento come (nel) circondario né luttuosi avvenimenti, né inconsiderate dimostrazioni” avessero alterato l'ordine pubblico, ma raccomandava "di esercitare una incessante vigilanza sui componenti tutti ed in specie sui capi delle disciolte associazioni, studiandone atti e parole”172. Nel frattempo a Bivona, come negli altri comuni siciliani, veniva eseguito in forza del decreto del generale Morra di Lavriano il disarmo generale della popolazione (18-21 gennaio) che portò nella cittadina alla consegna di 265 armi173, e si procedeva, per ordine del prefetto, all'arresto dei membri del Fascio che si erano maggiormente esposti: il 15 gennaio in Bivona ne furono arrestati quattro (Carmelo Lino, Gaspare Spallino, Salvatore Perrone e Carmelo Vasile); altri due "fascianti" Rosario Adrignolo e Paolo Di Salvo furono arrestati il 5 febbraio174. Anche un bivonese domiciliato a Cianciana, Alfonso Cosenza, pastaio, incensurato, ma segretario del Fascio di quella cittadina fu coinvolto nella repressione: venne arrestato il 15 gennaio 1894 e, assieme ad altri fascianti, fu condannato al domicilio coatto a Lampedusa175. Nonostante la situazione fosse divenuta oltremodo critica, il Monteleone, non si limitò a scrivere lettere a “Il Siciliano” per difendere il suo operato e per chiedere le dimissioni del Consiglio Comunale, ma per qualche tempo cercò di ASA, 19, vol. 106, Circolare “riservatissima” del 28.1.1894. 173 Corriere dell'Isola, 24-25.1.1894. pag. 2-3. Il disarmo venne fatto in esecuzione del decreto 12 gennaio del generale Morra di Lavriano. 174 ASA, 19, vol. 107, Elenco dei componenti dei fasci che furono arrestati nel Circondario. Febbraio 1894. Bivona. Cfr. Giornale di Sicilia. 7-8.2.1894. Corrispondenza da Bivona del 5 febbraio da parte di N. D.. 175 E. Giannone, Il Fascio dei lavoratori di Cianciana, Cianciana, 1997, pag.10-11, 17, 18 172
82
mantenere le fila del movimento, tanto da suscitare qualche preoccupazione nel sottoprefetto Lualdi. Questi, in una sua relazione del 6 febbraio 1894, tracciava un profilo inquietante di quell’esponente dei fasci: sosteneva “che il fascio dei Lavoratori di Bivona, comunque sciolto in diritto, non può dirsi tale di fatto perché il presidente … cerca con ogni modo di mantenere viva l’agitazione nei soci, sia riunendoli a conciliaboli nella propria abitazione nelle ore di sera, sia recandosi in persona nella casa dei più influenti membri dell’associazione per prendere accordi il di cui scopo fino ad ora si ignora”; e addebitava, inoltre, al Monteleone, definito “individuo pericoloso” e “capo temibile”: il continuare a distribuire quotidianamente le 25 copie del giornale “Il Siciliano” che gli pervenivano; l’avere egli dichiarato che, tolto lo stato di assedio, il fascio di Bivona sarebbe “sorto a novella vita”; e, soprattutto, l’aver “preso viva parte”, lui che non era elettore iscritto nelle liste amministrative di Bivona, alla compilazione delle stesse liste, “assistendo in persona agli esperimenti grafici tenutisi il giorno 27 e quasi intimidendo con la sua presenza”, col proposito “di farvi includere i suoi compagni di principi”176. Le “misure di rigore” chieste dal sottoprefetto furono subito adottate dal prefetto che il 12 febbraio successivo inviò una puntuale diffida al Monteleone. Questi, poco tempo dopo, risolvette di emigrare in America177, 176
ASA, 19, vol. 107, lettera del 6.2.1894 del sottoprefetto al prefetto. 177 ASA, 19, vol. 107, lettera del sottoprefetto dell’1.4.1894 al prefetto di Girgenti. Nell'attesa della partenza per l'America il Monteleone aveva venduto "per tenue prezzo l'unica casetta che possedeva". Il sottoprefetto, a margine, della lettera, segnalava: "verrà rilasciato il passaporto". "Anche la nostra lista elettorale amministrativa è stata ben rimondata. Il Consiglio cancellò un centinaio circa di elettori- malgrado ciò il corpo elettorale rimane sempre forte" (Giornale di Sicilia, 6.3.1894, pag. 2 Corrispondenza da Bivona di N.D.). 83
come poi molti contadini e braccianti bivonesi che, perduta la speranza di una modifica degli arcaici rapporti di lavoro, seguirono le orme del presidente del fascio locale ed emigrarono, dapprima a decine, e poi, a partire dal 1897, a centinaia ogni anno. La Giunta comunale di Bivona, da parte sua, come è stato sopra accennato, non aveva perduto tempo a “rimondare” ben bene la lista elettorale: il 27 gennaio 1894, dopo avere avanzato il sospetto che diversi elettori non avessero la “capacità di saper leggere e scrivere ai sensi della legge sull’elettorato attivo”, aveva fissato per il 31 successivo l’esecuzione di una prova di lettura e scrittura, alla quale quel giorno vennero invitati un centinaio di elettori sui 494 di cui si componeva la lista. Compiuto “l’esperimento grafico”, nonostante la già ricordata presenza del Monteleone, la Giunta dispose la cencellazione dalla lista di ben 96 iscritti, 83 dei quali per “non avere la capacità di alfabetismo”, o perché “non si presentarono alla prova”178. Il Circolo dei Civili fu riaperto il primo febbraio179, "mercé i valevoli uffici dell'on. Gallo”180; il Circolo Operaio, nonostante le reiterate richieste volte ad ottenere la revoca del provvedimento che dichiarava chiuso il sodalizio181, poté 178
Municipio di Bivona, Registro delle Deliberazioni della Giunta 1891-94. 179 ASA, 19, vol. 107, Lettera del 31.1.1894 del sottoprefetto al tenente dei RR CC: “con odierno decreto ho autorizzato a far tempo da domani 1 febbraio la riapertura del Casino dei Civili di questo Capoluogo”. L’ordinanza del sottoprefetto era stata sollecitata da un telegramma del prefetto. 180 Giornale di Sicilia, 10-1 1.2.1894, pag. 2. Cronachetta. Corrispondenza da Bivona del 9 febbraio. 181 ASA, 19, vol. 107, lettera del sottoprefetto al prefetto del 20.2.1894: “Fra i componenti la società si contano taluni soci del disciolto fascio dei lavoratori. Evidentemente per questo la sala della società di Mutuo soccorso diventerebbe luogo di riunione o meglio una succursale del fascio…”. Per la verità 84
essere riaperto solo alla fine di agosto, grazie alla relazione del 23 dello stesso mese nella quale il tenente dei carabinieri esprimeva il relativo parere favorevole182. Nonostante la sconfitta del movimento, dovuta all’ostilità delle classi dominanti, alla rottura politica col Partito Socialista, al carattere eversivo assunto da taluni tumulti popolari, l’esperienza dei Fasci Siciliani sedimentò nelle coscienze delle classi subalterne della Sicilia, tornò a rivivere all'inizio del successivo decennio nella nuova organizzazione delle Leghe contadine e operaie e costituì uno stimolo potente alle stesse organizzazioni cattoliche acciocché “i principi, enunciati nella Rerum Novarum di Leone XIII, divenissero programma di impegno per recuperare il terreno che nel campo sociale era sfuggito alla Chiesa”183. Nella stessa Bivona i fatti del 1893-94 non solo contribuirono a scuotere la stantia situazione politicoamministrativa locale tant’è che le elezioni comunali del luglio 1895 furono vinte dal partito di opposizione184 fra i cui consiglieri eletti almeno uno, Giuseppe Cosenza, ci risulta erano solo quattro su 37 i soci della Società di M. S. già aderenti al fascio: il falegname Giuseppe Cosenza fu Luigi, il macellaio Sciabica Giuseppe fu Rocco, il contadino Pietro Spallino di Salvatore, ed il contadino Giuseppe Di Salvo di Pietrantonio, che era stato cassiere del fascio. 182 ASA, 19, vol. 107. Una prima istanza di riapertura, avanzata dai soci della Società Operaia dio Mutuo Soccorso, inoltrata al sottoprefetto alla fine della seconda decade di febbraio, era stata respinta per l’opposizione del Tenente dei Carabinieri della Tenenza di Bivona; una seconda istanza avanzata l’11.8.1894 da Domenico Di Salvo a nome della stessa Società, fu invece accolta (ASA, 19, vol. 106). 183 Hamel P.-Caponnetti L., Ripensando all’esperienza dei Fasci siciliani: dalla strage di Caltavuturo all’impegno politico di L. Sturzo. In Nuove prospettive meridionali, n.5-7, 1993, pag.144. 184 GdS, 31.7/1.8.1895 e 4-5.8.1895 85
essere stato membro della disciolta organizzazione, ma il patrimonio di idee e di solidarietĂ accumulato con l'esperienza del locale Fascio dei Lavoratori non venne disperso, come testimonia il fatto che taluni suoi dirigenti e associati figurano iscritti, nei primi anni del Novecento, alla locale Lega dei contadini185.
Mons. G.BLANDINI, vescovo di Agrigento
185
La Plebe, 5.1.1905, in C. Messina, In giro per la Sicilia con “La Plebe� (1902-1905), Palermo, 1985,pag. 216. 86
ELENCO DEGLI ISCRITTI AL FASCIO DEI LAVORATORI DI BIVONA Nome e Cognome Adrignola Francesco Adrignolo Rosario Barone Vincenzo Barone Vincenzo Bellomo Vincenzo Bellone Giacomo Carlino Gioacchino Cenere Francesco Ciccarello Onofrio Cirasa Gaspare Colletti Agostino Colombo Giuseppe Cosenza Giuseppe Costa Luigi Cutrò Giuseppe De Bono andrea Di Paola Ficarella Carmelo Di Salvo Giuseppe Di Salvo Paolo Dilio Vincenzo Filippello Antonino G…. Luciano Galasso Santo Giordano Salvatore Greco Antonino Greco Antonino Indaco Patrizio Lino Ruvolo Carmelo Maranese Gaspare Monteleone Antonino Mortellaro Carmelo Mortellaro Carmelo Mortellaro Gaspasre Mortellaro Vincenzo Palermo Vincenzo Parla Calogero Parla Onofrio Perconti Salvatore Perrone Salvatore Puccio Onofrio Restivo Salvatore Salemi Felice Sardegna Bernardo Sardegna Gaspare
Paternità
professione
carica
calzolaio
Presidente
nota
Pregiudicato, arres
Proposto preside
Falegname
Pietrantonio
Contadino contadino
Cassiere
conciapelle
v.presidente
contadino
inserviente
insegnante
Presidente
Pregiudicato, arres
Salvatore
Arrestato > 2
Arrestato 15
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Sciabica Giuseppe Sciabica Vincenzo Spallino Gaspare Spallino Pietro Spataro Mariano Valenti Domenico Valenti Domenico Valenti Onofrio Vasile Carmelo Vasile Francesco Vasile Giuseppe Vullo Giovanni
Fu Rocco
Macellaio
Salvatore
contadino
Arrestato 15
calzolaio
segretario
Arrestato 15
* Il saggio è stato pubblicato sulla rivista Rassegna Siciliana di storia e cultura, anno IV, n. 10 (agosto 2000), pp. 59-76, senza l’elenco degli iscritti bivonesi ai Fasci del Lavoratori.
88
“Scusi Sua Signoria che il tempo passato non è il presente!” I Fasci Siciliani a S. Biagio Platani di Alfonso Lentini* Operare una ricostruzione storica completa ed organica del fenomeno dei Fasci siciliani nella nostra provincia, è un lavoro estremamente difficoltoso per la carenza e la frammentarietà dei dati che si hanno a disposizione. La fonte principale sarebbe costituita dalle relazioni dei funzionari di P.S. e dagli atti della Prefettura di Girgenti e delle due Sottoprefetture di Sciacca e Bivona. Purtroppo fra gli atti della Prefettura di Girgenti mancano proprio le annate che vanno dal 1882 al 1901 perché andati smarriti o distrutti dall’umidità; mentre gli atti della Sottoprefettura di Sciacca risultano interamente smarriti. Così è possibile consultare soltanto gli atti della Sottoprefettura di Bivona, attualmente conservati nell’Archivio di Stato di Agrigento (ASA). Fra questi incartamenti si trovano notizie dei “Fasci dei lavoratori” dei seguenti comuni (allora appartenenti al circondario della Sottoprefettura di Bivona): S. Stefano di Quisquina, Cammarata, Ribera, Calamonaci, Burgio, Alessandria della Rocca, Cianciana, Bivona, Casteltermini, San Biagio Platani. Degli altri comuni si hanno solo notizie frammentarie reperibili principalmente nella stampa del tempo e in varie testimonianze tra cui quella di Francesco De Luca. Tramite queste altre fonti è possibile ricostruire le vicende di Fasci importanti come quello di Grotte, mentre pochissimo si sa di un Fascio come quello di Favara, che pure dovette essere notevole tra i fasci delle zone minerarie se è vero, come ci informa F. S. Romano186, che l’importante Congresso
186
Francesco S. Romano, Storia dei Fasci Siciliani, Bari, 1959, pag. 287. 89
minerario regionale tenutosi a Grotte, nell’ottobre del 1893, in un primo momento si era pensato di tenerlo a Favara. Il Fascio di S. Biagio Platani, le cui vicende tenteremo di ricostruire attraverso documenti inediti, costituisce invece un esempio tipico di come il movimento si sviluppò nelle zone agricole. Composizione e origini del Fascio di S. Biagio Platani. “Il Fascio è composto di pochissimi operai come barbieri, calzolai, falegnami, mentre i rimanenti sono tutti contadini; la loro condizione economica è misera. Lo scopo palese del Fascio è quello del miglioramento economico materiale dei proletari; lo scopo occulto, invece, è di provocare disordini, incitare all’odio contro le classi avverse e fare propaganda di socialismo”187. Con queste parole inizia il “prospetto” del Fascio dei lavoratori di S. Biagio Platani inviato dal Delegato di P.S. del Comune al Sottoprefetto di Bivona. Già da queste prime frasi possiamo notare che il Fascio si presentava agli occhi dei funzionari di P. S. come qualcosa di minaccioso. Lo stesso atteggiamento notiamo nella descrizione dei soci più rappresentativi del Fascio (sempre nel citato prospetto) indicati quasi sempre come individui turbolenti e pericolosi. “Il presidente del Fascio – leggiamo nel documento – è Testasecca Amodeo di Carmelo di anni 44, contadino del luogo, vicepresidente il medesimo, di principi avversi alle attuali istituzioni, promotore di disordini e poco osservante del lavoro, è nullatenente.
187
Archivio di Stato di Agrigento, Volume 107, inventario 19, Atti della sottoprefettura di Bivona, “Prospetto del Fascio dei lavoratori di S. Biagio Platani”. 90
“Il segretario del Fascio è Barbaro Carmelo di Francesco, di anni 19, calzolaio del luogo, nullatenente. Non ha precedenti, ma il suo carattere tende a promuovere disordini…”188. Presidente onorario del Fascio era il dottore Caratozzolo, possidente e medico condotto del paese. Dagli atti che abbiamo esaminato, il Caratozzolo appare in un certo senso dietro le quinte, come una specie di anima ideologica del Fascio. Originariamente a S. Biagio esisteva un circolo contadino e operaio fondato nel gennaio del 1892 e presieduto dal proprietario terriero Ignazio Clarenza. Tale circolo, che aveva preso il nome di “Francesco Crispi”, dovette chiudere i battenti un anno e mezzo dopo, a causa dell’allontanamento dei soci, una parte dei quali confluì nel nascente Fascio dei lavoratori. Il Fascio veniva inaugurato infatti nei primi giorni di settembre 1893. Legato alla più importante sezione di Casteltermini, contava da 200 a 300 soci. Era dotato di un locale composto di una scaletta e di una stanzetta al primo piano nella via Midulla. In questo locale sventolava “la bandiera rossa, simbolo del socialismo”189. Lo Statuto. Del Fascio di S. Biagio esiste anche uno Statuto. Ne troviamo traccia in un foglio privo di data e di altre indicazioni da noi rinvenuto fra gli atti della Sottoprefettura di Bivona. Si tratta probabilmente di una relazione sullo stato del Fascio. Trascriviamo gli articoli dello Statuto riferiti in tale documento: “1. Il salario per la giornata di lavoro per ogni contadino è stato fissato a lire 1,70 (mentre attualmente varia da L. 1 a L. 1,25).
188
Ivi. ASA (vol. cit., inv. cit), foglio privo di data e di ogni altra indicazione. 189
91
2. Nessun socio può recarsi a lavorare per mercede inferiore all’1,70 ed ogni lavoratore dovrà essere autorizzato dal Presidente o da chi ne fa le veci con apposito certificato. 3. I soci riceveranno soccorsi sia in denaro che in frumento dalla Cassa sociale. 4. Nell’assoluta mancanza di lavoro causato dal rifiuto del proprietario e per cause involontarie, i soci riceveranno sussidi. 5. Nelle malattie il socio avrà gratuitamente medico, medicine e sussidio. 6. Morendo un socio la vedova riceverà un forte sussidio per una sola volta. 7. In tutte le sventure, nella morte degli animali ed altro, il socio sarà gratuitamente agevolato dal sodalizio. 8. Tutti i soci dovranno servirsi dei professionisti, artisti, bottegai, mugnai, macellai ecc che fanno parte dello stesso Fascio. 9. Se qualcuno di questi si rifiuta ad essere socio e non vi sono in paese individui da poterlo supplire, allora la sezione è obbligata a far venire a spese proprie da altro Comune sia un professionista che un artista. 10. Nelle liti, persecuzioni, arresti ed altro, i soci saranno assistiti a spese della sezione dei Fasci oltre all’appoggio di tutti i Deputati al Parlamento del loro partito, però loro dovranno fare un’attivissima propaganda e tenersi pronti ad ogni evenienza per modo da potere mantenere alla Camera i rappresentanti del loro sodalizio e non gente inetta e corrotta”190. L’organizzazione e il collegamento con gli altri Fasci. Da quanto abbiamo visto viene fuori l’immagine di una struttura fortemente organizzata e capace di svolgere un ruolo importante tra le masse popolari del paese.
ASA (vol. cit., inv. cit), “Prospetto dei Fasci dei lavoratori di S. Biagio”. 190
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Da altre descrizioni, del resto, il Fascio appare ben collegato con le organizzazioni dei vicini comuni come Sant’Angelo o Aragona. I contatti col Fascio di Aragona e degli altri comuni, però, furono sporadici. Più organico fu invece il rapporto con il Fascio di Casteltermini dal quale il Fascio di S. Biagio dipendeva direttamente. Una delegazione di Casteltermini, guidata dal presidente di quella sezione, Giuseppe Bivona, era addirittura presente il giorno dell’inaugurazione dei locali quando, verso le 3 pomeridiane dell’9 settembre 1893, il presidente Testasecca aveva issato “la bandiera rossa alla finestra del locale fra le grida di ‘viva il Fascio!”191. In diverse carte, nelle relazioni da noi esaminate, si parla di varie visite a S. Biagio dei rappresentanti del Fascio di Casteltermini . Il sindaco di S. Biagio, informando il Sottoprefetto, afferma che in quelle occasioni vi erano “fondati timori di potere essere turbato l’ordine pubblico”192 e così descrive una di queste visite: “Il giorno 15, dopo l’inaugurazione del Fascio di S. Angelo, arrivarono quivi verso le ore 4 p.m. le rappresentanze di quest’ultimo Comune e quella di Casteltermini; appena giunte visitarono il locale destinato per questa sezione. Indi si aggirarono pel paese propagandando idee tendenti al comunismo ad oggetto di aizzare la popolazione per commettere disordini cogliendo il momento favorevole del fermento popolare causato dalla festività della Madonna del Carmelo, e vi sarebbero riusciti se le attive e continue disposizioni da me all’uopo date, riuscivano a reprimere tutto ciò che in loro si era ideato”193. (!)
191
ASA (vol. cit., inv. cit),Relazione del Sindaco di S. Biagio al Sottoprefetto di Bivona , 11 settembre 1893. 192 ASA (vol. cit., inv. cit),Relazione del Sindaco di S. Biagio, foglio privo di data e di ogni altra indicazione. 193 Ivi. 93
I contrasti fra padroni e contadini e gli scioperi nelle campagne. I membri del Fascio, in gran parte contadini, tentarono in vari modi di stabilire nuovi rapporti di lavoro con i proprietari terrieri del luogo. Lo stile con cui i contadini, coscienti della loro forza, si rivolgevano ai loro padroni è testimoniato da una lettera che il Fascio dei lavoratori di S. Biagio scrisse al possidente Giuseppe Calderone per conto di un certo Giuseppe Di Franco. La lettera, scritta in un italiano stentato, è riportata in una relazione del Delegato di P. S. al Sottoprefetto. Trascriviamo per intero l’interessante documento: “S. Biagio, 10 settembre 1893. Ha deliberato la società del Fascio che qualunque proprietario si presenta non possa fare più di quello che sia determinato. Io Giuseppe Di Franco mi dimetto dalla tenuta nell’ex-feudo di S. Biagio e dei patti stabiliti nella nostra società. Se il proprietario intervenisse a darlo con tutte le semenze, io seguito a coltivarlo, se no resto a conto proprio con l’obbligo che la concimazione la pagherà con denari, oppure io vengo ritirarla. Scusi Sua Signoria che il tempo passato non è il presente. Saluto, risposta alla società del Fascio”194. La parola d’ordine era dunque “terra e semenza” secondo quanto era stato deciso a livello regionale nel Congresso contadino organizzato dai Fasci di Corleone nel luglio del 1893. Su questa base a S. Biagio si era sviluppato un vasto sciopero contadino. Un’ulteriore relazione del sindaco ci informa che in data 20 settembre 1893 i contadini non si erano ancora decisi a riprendere i lavori campestri, “proibiti” da una parola d’ordine del fascio. Per ottenere ciò, secondo il Sindaco, i membri del Fascio si sarebbero recati in vari gruppi nelle campagne invitando o costringendo i contadini ad astenersi dal lavoro. 194
ASA (vol. cit., inv. cit), Rapporto del Delegato di P.S. al Sottoprefetto di Bivona, 20 settembre 1893. 94
Continuando lo sciopero il Fascio arrivò ad esigere per esempio che i signori Calderone cedessero al sodalizio i feudi di loro proprietà “con condizioni sfavorevoli ai membri medesimi”195. Autoriduzione nel 1893: le lotte contro le tasse. Il Fascio fu dunque il punto di riferimento di una vasta lotta che si sviluppò nelle classi popolari di S. Biagio e che investì principalmente, oltre al problema agricolo, la questione del pagamento delle tasse. Quest’ultimo tipo di mobilitazione riuscì a coinvolgere anche le donne. Si ha notizia di una manifestazione inscenata il 15 settembre 1893 da ben 500 donne che “schiamazzando e imprecando” contro le tasse, percossero le vie di S. Biagio recandosi presso il municipio per riconsegnare le cartelle di pagamento, minacciando i proprietari “non essere il tempo presente quello passato”196. Questa lotta fu molto dura ed ebbe anche momenti di una certa drammaticità che portarono all’arresto di alcuni membri del Fascio tra cui il presidente Testasecca. Una relazione del tenente comandante la tenenza di Bivona narra con molta efficacia la vicenda: “… Mentre i messi dell’Esattore e del Conciliatore procedevano a pignoramenti contro i morosi e distribuivano avvisi di pagamento delle imposte, venivano accolti con imprecazioni e risentimenti e si faceva intravedere come per opera del Fascio dei lavoratori non si dovevano più pagare imposte (…) Maldisposte quindi le masse del paese per opera degli affiliati al Fascio, il giorno 16 settembre, nel procedere a pignoramenti i messi Biondolillo Biagio e Graziano Giuseppe furono circondati da una moltitudine di persone che con contegno eccitato ed aggressivo 195
ASA (vol. cit., inv. cit), Relazione del Sindaco di S. Biagio al Sottoprefetto,20 novembre 1893. 196 ASA (vol. cit., inv. cit), Bozza di telegramma del Sottoprefetto di Bivona al Prefetto di Girgenti, 16 settembre 1893. 95
cercavano di tenere a bada ed impedire tale esecuzione; né questi atteggiamenti minacciosi cessarono coll’intervento dell’Arma della locale Stazione, cosicché si ritenne prudente di sospendere le cennate esecuzioni. “Contemporaneamente si verificarono al municipio un va e vieni di molti gruppi di donne restituendo circa 500 avvisi di pagamento per tasse d’acqua, focatico e bestiame, che avevano ricevuti negli scorsi giorni allo scopo di non pagare le tasse stesse”197. Vedendosi ormai sfuggire dalle mani la situazione, le autorità disposero un immediato “rinforzo di truppa” che riuscì a fatica, nei giorni successivi, ad avere la meglio contro le masse proletarie. “Fatte poi delle indagini – prosegue la relazione del Tenente – si constatò come coloro che più direttamente avevano incitato a non pagare le tasse e all’odio contro una classe di cittadini in modo pericoloso per la pubblica tranquillità, erano Testasecca Amodeo, Di Franco Giuseppe, Di Piazza Alfonso e Barbaro Francesco, tutti contadini, impregiudicati, del luogo, per cui la sera del 18 furono i medesimi arrestati e con circostanziato processo verbale deferiti al Pretore di Casteltermini per gli effetti di cui all’art. 247 del codice penale…”198. Ma la repressione e l’arresto di alcuni membri del Fascio non bastarono a sconfiggere la volontà di lotta delle masse popolari sambiagesi. Altre dimostrazioni di protesta si susseguirono sino alla fine di ottobre. “La sera del 28 [ottobre] – scrive il Sindaco – circa le ore 7 vi era un fermento insolito nei locali del Fascio dei lavoratori, parecchi gruppi di essi stazionavano avanti i loro locali e nel corpo della piazza. Il cameriere del Fascio Carlino Rosario 197
ASA (vol. cit., inv. cit), Relazione del tenente comandante la Tenenza di Bivona al Sottoprefetto, 21 settembre 1893. 198 Ivi. 96
correva a destra e a sinistra in cerca di soci perché in quella sede era indetta una grande riunione. Delle grida assordanti uscivano da quel sodalizio… Circa le ore 10 p.m. quasi 500 soci seguiti da un centinaio di donne uscivano in colonna serrata dal sodalizio percorrendo il corso principale del paese con contegno minaccioso. A quell’ora, benché tardissima per S. Biagio, purtuttavia il fragore era infernale, le porte si spalancavano come per incanto e per curiosare ed unirsi a quella massa imponente. Tutte le strade dovevano essere percorse dal Fascio se nel più bello dei loro sogni, un acquazzone fortissimo non li avesse disturbati e costretti a rientrare nei locali del sodalizio. La domenica 30, poi, come una sfida alle autorità ed ai proprietari, alle ore 3 e mezzo p.m. un’altra imponente passeggiata (allora le manifestazioni di protesta erano chiamate appunto “passeggiate”, n.d.r.) ebbe luogo dallo stesso Fascio, sempre lungo il corpo della piazza. In un batter d’occhio tutto il paese fu in grandissimo movimento, le strade riboccavano di adulti, donne e ragazzi. Dopo l’invito di sciogliersi fatto loro dal delegato di P. S. e dal Tenente dei RR. CC., continuarono altro giro per la strada senza menomamente curarsi della fatta avvertenza e poscia rientrarono nei loro locali, cosicché per tutta la sera la strada e il sodalizio si mantenevano affollatissimi…”199. Tale situazione aveva spinto il Delegato di P. S. a chiedere ulteriori rinforzi in relazione anche agli scioperi contadini. Lo stato d’assedio e la repressione. Ma solo lo stato d’assedio, proclamato dal Governo Crispi il 4 gennaio 1894, riuscì a reprimere il movimento dei Fasci. Già in una sua relazione del 3 gennaio 1894 il Sindaco di S. Biagio parla di “inaspettata comparsa” di una compagnia di soldati che avrebbe contribuito a reprimere una manifestazione contro le 199
ASA (vol. cit., inv. cit), Relazione del Sindaco di S. Biagio al Sottoprefetto, 31 ottobre 1893. 97
tasse organizzata dal Fascio. Nonostante ciò il Sindaco sembra estremamente impaurito e tenta di usare nei confronti del popolo la classica tattica del bastone e della carota. Infatti dopo avere accettato e lodato il ricorso alla forza per reprimere le manifestazioni di massa, nella stessa relazione al Sottoprefetto, egli aggiunge che “il Municipio non mancherà, all’epoca della compilazione dei ruoli tasse locali, di tenere presente e risparmiare la classe povera e di non dar loro adito a motivi e lagnanze di sorta”200. Quando lo stato d’assedio giunse anche a S. Biagio, però, il movimento si disgregò definitivamente: “Qui – scrive il delegato di P. S. il 10 gennaio ’94 – l’ordine pubblico non è stato turbato in nessuna guisa in seguito alla presenza della truppa e alle ripetute diffide fatte al Cammarata (il nuovo presidente del Fascio, succeduto al Testasecca, n.d. r.). La dichiarazione dello stato d’assedio ha messo gran panico nell’animo dei facinorosi assicurando viemmeglio la pace e la tranquillità”201. Di quale pace e di quale tranquillità si tratti lo si può intuire dalla violenza e dalla durezza con cui la repressione si abbatté in quei giorni su tutta la Sicilia. Anche a San Biagio il Fascio fu sciolto con la forza. Non si ha notizia delle vicende relative a questo definitivo atto di repressione. Esiste però una corrispondenza il cui oggetto è “il disciolto Fascio dei Lavoratori di S. Biagio Platani” in cui il Prefetto di Girgenti informa la Sottoprefettura di Bivona di essere a conoscenza di tentativi di ricostituzione del Fascio di S. Biagio (tramite misteriose riunioni notturne che si sarebbero
200
ASA (vol. cit., inv. cit), Relazione del Sindaco di S. Biagio al Sottoprefetto,3 gennaio 1894. 201 ASA (vol. cit., inv. cit), Rapporto del Delagato di P. S. al Sottoprefetto di Bivona, 10 gennaio 1894. 98
tenute in casa del dottor Caratozzolo) pregando il Sottoprefetto di “disporre indagini in proposito”202. La risposta proviene dalla Tenenza di Bivona e si assicura che “da informazioni assunte di persona in luogo, non verrebbe confermato…” quanto temuto dal Prefetto. “Questi – aggiunge il Tenente Comandante di Bivona – sono timori infondati del partito municipale al potere che vorrebbero arrestati detti individui (il Caratozzolo ed altri ex membri del Fascio, n. d. r.) per l’opposizione che gli prepararono nelle elezioni amministrative”203.
* Il saggio di A. Lentini è stato pubblicato su “Fogli agrigentini”, marzo 1977. Altre notizie aggiunte dal Curatore. Il 10 gennaio 1891 numerosi contadini si riuniscono nella sede del Consorzio Agricolo per prendere provvedimenti contro la fillossera. Il 6 luglio 1893 i soci del Circolo agrario operaio “F. Crispi” (fondato l’11.12.1892) occupano i casotti daziari e incendiano l’ufficio tributi del Comune; la manifestazione si conclude con un comizio del presidente Caratozzolo. Il prosindaco organizza accurata sorveglianza.
L’08 settembre 1893 Giuseppe Bivona tiene un discorso in casa di Cosimo Leto. Ne riferisce lo stesso Bivona al sottoprefetto: “Reputo mio dovere far conoscere alla S.V. Ill.ma che questi lavoratori cui ho testé tenuto una riunione privata, si sono costituiti in sezione, aggregandosi fin da ora al Fascio dei 202
ASA (vol. cit., inv. cit), Il Prefetto di Girgenti al Sottoprefetto di Bivona, 5 marzo 1894 203 ASA (vol. cit., inv. cit), Tenenza di Bivona al Prefetto di Girgenti, 13 aprile 1894. 99
lavoratori di Casteltermini. Le fo inoltre conoscere che hanno fatto piena adesione al gran Partito dei Lavoratori Italiani, confermandosi a quello Statuto, che si compendia nel miglioramento morale, economico, materiale dei lavoratori. Ecco gli schieramenti che in atto posso fornire alla S.V. Ill.ma, avvertendola che in seguitoavesse bisogno di altre delucidazioni, potrà direttamente chiederle al fascio dei Lavoratori di Casteltermini di cui questi non sono che una frazione formata di semplici soci”
Il 1° ottobre 1893 duecento soci del Fascio di S. Biagio Platani si recano a Casteltermini per aderire al Partito socialista. A S. Biagio Pl. Dopo il 3 gennaio 1894 si continua a far propaganda socialista.
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Il Fascio dei lavoratori di Cianciana di Eugenio Giannone* Cianciana, per l’esiguità del suo territorio, povero tra l’altro di sorgenti d’acqua, non ha mai avuto una vera vocazione agricola e le sue terre sono state coltivate dagli stessi proprietari. Diversa era la situazione del settore estrattivo, perché dagli anni ’40 erano state attivate delle miniere di zolfo nelle quali, attorno al 1890, erano occupati circa un migliaio di addetti, che spesso, per le gravi e ricorrenti crisi del settore, per il crollo dei prezzi e per le misere condizioni di vita e di lavoro, come già sottolineato, come tutti gli zolfatari della provincia di Girgenti, avevano dato vita a numerosi scioperi, come quello seguito alla serrata delle miniere il 15 settembre 1893, quando “un’imponente dimostrazione si organizzò al grido di pane e lavoro, percorrendo le vie del paese”, che suscitò la seria preoccupazione delle forze dell’ordine, che s’incontrarono al Municipio con i rappresentanti della classe padronale e dei lavoratori, convenendo di tornare al lavoro con i prezzi di estirpazione ribassati e, quindi, i salari decurtati. Non tutti i produttori riaprirono le zolfare e i “disordini [scioperi] continuarono fino al 21 dello stesso mese. Tuttavia, al di là di quel momento particolarmente contingente, mai i tutori dell’ordine, come si apprende dalle relazioni dei delegati di P. S. al Sottoprefetto di Bivona, eran dovuti intervenire per sedare incidenti tra la popolazione, né mai s’erano preoccupati di partiti politici in grado d’intorbidire la civile convivenza avendone spesso ignorato o negato l’esistenza. C’era stato in passato qualche “facinoroso”; c’era, è vero, qualche repubblicano convinto come Pietro Antinori e qualche radicale o papista, ma la maggioranza della popolazione era
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fedele all’istituzione monarchica e festeggiava i genetliaci di casa reale. Dei socialisti nemmeno l’ombra. Eppure l’elemento operaio e bracciantile ciancianese era tutt’altro che inerte. Anzi la prima società di mutuo soccorso nel XII distretto di Bivona, che comprendeva comuni che vanno da Lucca Sicula e Burgio a Casteltermini, era sorta proprio a Cianciana. Essa ebbe vita breve a causa delle esorbitanti pretese del medico dott. Giuseppe Antinori e a nulla valsero i tentativi del sindaco cav. Gaetano Di Giovanni di rivitalizzarla204. Sicuramente, più che la coscienza di classe e la formazione politica, era la consapevolezza dell’indigenza e del comune sfruttamento a spingere zolfatari e lavoratori delle campagne ad azioni unitarie. I socialisti, come d’incanto, si sarebbero materializzati al momento della costituzione del Fascio. Essi incisero poco sul comportamento degli associati perché, pressoché come in tutta la Sicilia, i proletari ciancianesi si mossero, autonomamente e spontaneamente, anche dietro il Crocefisso, mischiando e confondendo il messaggio evangelico e le più moderne teorie economico-rivoluzionarie di redenzione sociale, anche a livello inconscio. Nella sala del Fascio, come vedremo, facevano mostra ben tre quadri di Gesù Nazzareno. L’elemento meno politicizzato, in qualche modo, era il contadino, sia perché anarchico per natura, sia perché, come con acume rilevava il delegato di P. S., signor Gaetano Tarantino, il territorio di Cianciana è di estensione molto esiguo, e le terre per lo più vengono coltivate dagli stessi proprietari e quindi, dati i piccoli appezzamenti che richiedevano poca manodopera esterna, non potevano 204
Cfr. A. Marrone, Il Distretto, il Circondario e il Collegio elettorale di Bivona (1820-1880), Bivona, 1996, pag. 170 102
sussistere gli elementi per una lotta di classe tra bracciante e proprietario. Restavano gli addetti all’estirpazione dello zolfo, la cui condizione era alquanto misera, percependo gli zolfatari dei salari, solo nominali per la loro esiguità, che consentivano appena la sopravvivenza per continuare a lavorare. Nei 1883 un picconiere guadagnava due lire al giorno, un caruso fino a dieci anni lire 0,35 e un caruso più grande fino a lire 1,30. Nello stesso anno su 597 occupati in miniera ben 90 erano donne205 costrette ad umiliarsi in occupazioni che mai, in tempi normali, un marito o padre avrebbe consentito. Né dieci anni dopo la loro sorte sarebbe migliorata. La guerra delle tariffe doganali con la Francia, la crisi mondiale dello zolfo, la scarsità degli ultimi raccolti avevano aggravato la situazione delle campagne e delle miniere siciliane. La paga del minatore (picconiere) a Cianciana nel 1893 oscillava dalle 1,50 a 2 lire, mentre un agricoltore guadagnava poco più di lire 1,25. Era, dunque, chiaro che contadini e zolfatari non avrebbero tardato ad organizzarsi se avessero trovato una guida credibile (eccezionalmente credibili e di grande carisma furono B. Verro, R. Garibaldi Bosco, N. Barbato, G. De Felice Giuffrida e, nella nostra zona, G. Bivona a Casteltermini e Lorenzo Panepinto a Santo Stefano Quisquina, socialisti) o se li avesse indotti l’esempio di qualche altro paese, come in effetti avvenne. Testardamente, ancora in data 7 settembre 1893, il delegato Tarantino ribadiva che “in questo comune non esistono partiti politici di sorta “ e che, quindi, la situazione era sotto controllo. 205
V. Savorini, Condizioni economiche e morali dei lavoratori nelle miniere di zolfo, Girgenti, 1881 (ristampa anastatica del 1993, Tip. Sarcuto) pag. 11. 103
Il Fascio dei Lavoratori di Cianciana fu tra gli ultimi ad essere costituito in Sicilia. Ad accelerare la sua formazione avevano contribuito l’onda emotiva dell’eccidio di Caltavuturo, gli scioperi e il Congresso di Corleone (primavera-estate ’93), la nascita Reggio Emilia del Partito Socialista, il Congresso di Grotte dei Fasci zolfatari, allineatisi sulle stesse posizioni di quelli contadini, nonché il ministero Giolitti, autenticamente liberale per quei tempi. Gli scioperi – come accennato – avevano interessato anche i lavoratori di Cianciana, dove nel settembre del ’93 era stato dislocato un distaccamento militare che dal 19 avrebbe iniziato un servizio di pattuglia con i Reali Carabinieri “allo scopo di vigilare e impedire che i zolfatai invadino i fondi dei proprietari per danneggiarli”206 e per il mantenimento dell’ordine pubblico. In un clima di crescenti sospetti e tensioni e su sollecitazione del De Luca e del Bivona, il Fascio ciancianese venne fondato il 15 ottobre 1893 con uno Statuto che fu tra i più avanzati dell’Isola prevedendo, oltre al miglioramento delle condizioni morali ed economiche delle classi subalterne, anche un ruolo preciso e di primo piano dei “lavoratori della mente” e di “quanti han mostrato di avere a cuore la redenzione delle classi lavoratrici”207. Nella relazione del delegato di P. S. al sottoprefetto di Bivona si legge che suo scopo “occulto invece è di fare propaganda socialista”208.
206
Relazione del delegato di P. S. di Cianciana al Sottoprefetto di Bivona in data 18.09.1893, in Archivio di Stato di Agrigento (d’ora in poi ASA), inv. 19, vol. 107. 207 Relazione del delegato di P. S. di Cianciana al Sottoprefetto di Bivona in data 18.09.1893, in Archivio di Stato di Agrigento (d’ora in poi ASA), inv. 19, vol. 107. 208 N. Capria, “La sorprendente sconfitta”, in Cronache parlamentari siciliane, Palermo, giugno 1993, pag. 76. 104
Esso era costituito “per la maggior parte di zolfatai, alcuni calzolai, pochi barbieri, qualche sarto ed altri operai in genere”209 per un totale di duecento associati. Ne fu presidente provvisorio Domenico Di Rosa, minatore, sostituito subito dopo da Francesco Impallari, calzolaio senza precedenti penali e “di principi avanzati”; segretario Alfonso Cosenza, pastaio originario di Bivona, incensurato, che tenne i contatti con altri Fasci;cassiere Giuseppe Prazza, “agiato produttore di zolfaia”. Sul finire di settembre Ignazio Acquisto, zolfataro originario di Casteltermini, aveva chiesto oralmente l’autorizzazione, negata in mancanza dell’elenco ufficiale dei soci, per aprire un magazzino per l’inaugurazione del fascio alla cui costituzione lo aveva spinto un individuo di Menfi, probabilmente il presidente del Fascio della cittadina belicese. Nonostante la mancata autorizzazione, la sezione del Fascio venne inaugurata ugualmente – in Corso Nazionale – con la partecipazione di “quasi tutta la popolazione della classe operaia”210 e una rappresentanza del Fascio di Girgenti e il Prazza “rimase tra gli scritti tutta la giornata nella qualità di cassiere del sodalizio. Ciascun socio nell’atto dell’iscrizione deponeva sul tavolo lire 1,29”211. I festeggiamenti continuarono fino a tardi e nella sede del Fascio vennero suonati “La marcia reale e dei ballabili. Non procedettero grida di sorta … L’ordine si è mantenuto perfetto”212. Non mancarono gli ostruzionismi da parte delle pubbliche autorità, i “consigli” e gli ammonimenti velati. Il clima era così teso che – parecchi giorni prima – anche un gruppo di bambini innocenti che giocavano al “fascio” (se 209
Il Delegato, 30.10.1893, in ASA cit.. Ibidem 211 Il Delegato, 15.10.1893, ASA cit.. 212 ibidem 210
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n’era presentato uno in strada con una fascina di legna dalla quale pendeva un fazzoletto rosso) era riuscito ad innervosire il delegato che il 17 ottobre convocò in caserma il Di Rosa, presso cui avevano dormito il 14 sera gli amici del Fascio agrigentino, “invitandolo” a fargli pervenire l’elenco dei soci e “più specialmente per istruirlo di non fare conferenze, né passeggiate in pubbliche vie, a meno che non fosse stato legalmente autorizzato”213. Di Rosa, intuito il carattere provocatorio dell’”istruzione” del Tarantino, protestò per iscritto. Di ciò il delegato si lamentò col Sottoprefetto (consolandosi che “se i firmatari, che si propagano anche promotori, sono tutti pregiudicati, senza dubbio i soci devono esserlo con più ragione”214), allentò la presa ma non cessò di stuzzicare gli aderenti al Fascio e continuò la “massima sorveglianza”, quantunque, stando a quanto scriveva in data 18 novembre, nessuno sembrava voler attentare alla quiete pubblica: “Finora in questo Comune non sono deplorati scioperi da parte dei contadini, avvegnacchè la giornata di mercede che essi ritraggono ondeggia da lire 1,25 a 1,50 ch’è quanto si possa pretendere e si domanda dagli stessi agricoltori. Però vi è stato un numero sparuto di contadini che si sono ammutinati a non riprendere i lavori campestri, chiedendo terra e semenza dal proprietario o gabellato, pretesa che non venne accolta dai proprietari: né per questo vi furono scioperi e tumulti da destare l’attenzione delle autorità locali in tutela della p. s.. V. S. Ill.ma non ignora che il territorio di Cianciana è di una estensione molto esigua, e le terre per lo più vengono coltivate dagli stessi proprietari, e quindi la ragione precipua di non potersi accentuare la lotta tra proprietario e proletario.
213 214
ibidem Il Delegato, 19.10.1893, ASA cit.. 106
Resterebbero le industrie minerarie ove migliaia di operai non hanno di che sostentarsi. La loro condizione attuale è abbastanza misera, con la crisi solfifera che da più tempo imperversa alle aspirazioni dei produttori e dei lavoratori, giacché il prezzo degli zolfi è avvilito a dismisura, e il proprietario o conduttore di miniera limita la mercede al prezzo corrente in piazza; e quindi l’operaio in atto guadagna una giornata molto insufficiente per sé e per la famiglia. Ma se questa industria possa risolversi allora anche l’operaio ne risentirebbe i benefici effetti, dappoiché, se oggi guadagna la sua giornata da lire 1,50 a 2 lire, è giocoforza che in un avvenire migliore, detta mercede gli venga vantaggiata. E’ questa una circostanza che gli stessi operai non ignorano; e non ignorando, non dovrebbero irrompere in scioperi e disordini; a meno che non avessero l’intenzione riprovevole di turbare l’ordine pubblico. So con certezza che i promotori del Fascio imponevano a quei pochi contadini ammutinatisi al lavoro, di non andare a lavorare le terre, se non avessero ottenuto le concessioni desiderate; e che i giornatari per recarsi al lavoro dovevano presentarsi al fascio, allo scopo d’imporre una mercede in più di quella che in atto viene loro offerta. E infatti siffatto incidente persiste tuttavia, dappoiché chiesto a diversi proprietari informazioni opportune in riguardo venni assicurato che i contadini non si erano recati in quelle terre, rimaste finora incoltive. Le riunioni di questo Fascio, per suo principio autonomo, sono quotidiane e come sopra ho accennato tutt’altro che a scopi di beneficenza,o di miglioramento delle classi proletarie; desse hanno carattere sovversivo, e contro le istituzioni e la forma di governo. Anzi si discorre pubblicamente che allorquando si sarà istruito di tutto quanto gli è necessario 107
conoscere, propagherà la rivoluzione, in qual caso governo e proprietari ne risentiranno le conseguenze. Però per arrivare a questo attendono mosse generali in tutta l’isola di Sicilia”215. Potenza dell’istruzione, che turbava i sogni dei borghesi, depositari della sapienza (!), e dei socialisti, nati, cresciuti e moltiplicatisi in così breve tempo! Nella notte il delegato, nonostante il buio, comincia a vedere chiara l’occasione d’un movimento rivoluzionario che gli apre la mente sulla popolazione di Cianciana: “Il Fascio dei Lavoratori di questo Comune ha tenuto riunioni anche notturne, cioè due o tre ore prima di giorno. Veramente non andai mai all’idea che dette riunioni possano avere avuto qualche scopo settario; immaginavo soltanto che i promotori di detto Fascio per non far perdere la giornata ai lavoratori soci, approfittavano di quelle ore mattutine per procedere alle conferenze. Però attinte all’uopo accurate informazioni venni a conoscere che ogni qualvolta o per prevenzione d’arrivo di personaggi di verso loro, o per causa della misura graduata degli zolfi, si atteggiavano a pubbliche dimostrazioni, che non seguirono mai, perché non guidate da persone competenti. E’ inutile ripetere quanto con la mia nota odierna le sottomisi relativamente alle riunioni che si tengono permanentemente nel Fascio di carattere sovversivo. Il mio giudizio è fermo nell’idea di una non lontana sommossa che, per indole perversa di tutta questa popolazione – per istinto sanguinaria – potrebbe avere effetto. Da parte mia, d’accordo anche con questo sig. Capitano e Brigadiere comandante la Stazione dell’Arma, abbiamo disposto perché venga attivata la massima vigilanza nella sala del Fascio allo scopo di osservare le mosse dei socialisti”216. 215 216
Il Delegato, 18.11.1893, ASA cit.. Il Delegato, 19.11.1893, ASA cit.. 108
Venne intensificata la vigilanza sui “maneggi” dei socialisti217, perlustrate le campagne alla ricerca di armi e punzecchiati costantemente gli affiliati al Fascio. Il 2 dicembre Francesco Impallari e Francesco Oliveti furono avvertiti che ogni turbamento dell’ordine pubblico ad opera degli operai avrebbe comportato gravi responsabilità. L’Oliveri promise che avrebbe indotto alla calma i compagni, ma, data la “sordità” dell’Amministrazione Comunale, composta in gran parte da proprietari di zolfara, il risentimento operaio sarebbe stato di difficile ricomposizione. L’Oliveri lamentava soprattutto il fatto che “allorché lo zolfo si esitava a lire 5,15 diminuirono la mercede agli operai portando una cassa di zolfo greggio da lire 19 a 17, ora che gli stessi zolfi sono stai aumentati di 40 centesimi avrebbero sperato [gli operai] anch’essi un aumento di mercede”218. Nel mese torna alla guida del governo il Crispi. Sciolta una seduta del Consiglio Comunale per “propaganda sovversiva” (forse fu in quell’occasione che si dimise il sindaco F. Martorana), il 14 sera venne arrestato mentre tornava dal lavoro Vincenzo Acquisto, membro del fascio, perché in possesso d’arma di fuoco senza regolare licenza, e condotto in carcere. Durante il tragitto, Silvestro, fratello di Vincenzo, e un folto gruppo di persone imprecano all’arbitrio delle forze dell’ordine accusandole di privare del mezzo di lavoro [carretto] un onesto lavoratore che tornava dalla campagna. “Ladri” – gridava la gente. “Non potendo resistere all’audacia del Silvestro accompagnato da una massa d’individui, tutti pregiudicati, appartenenti …al sodalizio”219, il Tarantino ne dispose l’arresto immediato. 217
Il Delegato, 25.11.1893, ASA cit.. Il Delegato, 02.12.1893, ASA cit.. 219 Il Delegato, 15.12.1893, ASA cit 218
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L’ultima settimana dell’anno fu carica di tensione per l’insolito fermento tra la cittadinanza proletaria che popolò “oltre la consuetudine la strada principale” del paese ed affisse cartelli contro il dazio e il municipio, facendo “dubitare seri inconvenienti”, anche se poi “nulla si ebbe a deplorare”220. Evidentemente gli amministratori non avevano recepito le direttive governative di alleviare il carico fiscale. Il nuovo anno si aprì con la proclamazione (03.01.1994) dello stato d’assedio in Sicilia, dove era stato mandato come commissario straordinario, con pieni poteri, il tenente generale Roberto Morra di Lavriano. Lo sgomento tra la popolazione di Cianciana fu notevole. Il 6 gennaio l’Impallari si rivolse al delegato e al capitano chiedendo se era possibile cambiare “denominazione da Fascio a Circolo Operaio o Mutuo Soccorso”221. Ottenne una risposta evasiva. Prima ancora che venisse cambiato il nome del sodalizio, l’8 gennaio vennero chiusi il Circolo Operaio e il casino di Compagnia dei civili. Il 17, alle ore nove, venne sciolto ufficialmente il Fascio, mentre due giorni prima erano stati arrestati i capi agitatori: Martorana Nicola, Impallari Francesco, Cosenza Alfonso, Bellavia Antonino, Trafficante Giuseppe, Taormina Benedetto, Di Rosa Domenico, Ferrara Antonino, Barcellona Raffaele, Oliveri Antonino222. Altri arresti seguirono nel mese successivo nelle persone sospettate di volere ricostituire il Fascio. Il 5 marzo il Brigadiere comandante la Stazione di Cianciana, alla presenza del delegato di P. S. signor Tarantino,
220
Il Delegato, 02.02.1894, ASA cit.. Il Delegato, 06.01.1894, ASA cit.. 222 Elenco ufficiale degli arrestati. Il Delegato, 19.01.1894, ASA cit.. 221
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consegna, perché ingombrante, al sig. felice Riggio il materiale mobile sequestrato il 17 gennaio nella sala del Fascio: “Due tavoli d’abete con cassetti Due tavolini dello stesso legname rotti Una lavagna di tela Tre quadri di Gesù Nazzareno Un Crocifisso Un campanello di nichel Un lume con globo Un altro di latta Un fanale di sala con campana rotta Quattro latte di petrolio vuote Un cassettino contenente matite di gesso Otto cartelloni per classi elementari Tre bicchieri di vetro Due portalumi Otto panche Un telaio portalavagna Sedici sedie tra quali cinque vecchie rotte Diciannove tavoli d’abete colorato giallastro Una scaletta uso archivio”223. Il verbale è firmato dal consegnatario Br. Anselmo Tommaso, dal ricevente Felice Riggio e dal delegato di P. S. Tarantino, che ebbe consegnate bandiere, gonfalone e carte relative al sodalizio. Il 7 marzo il Sottoprefetto di Bivona autorizzava la riapertura del circolo dei Civili. Domenico Di Rosa, Alfonso Cosenza e Giuseppe Trafficante presero la via del domicilio coatto a Lampedusa. A tutti i proletari venne proibito di cantare l’inno dei lavoratori (“inno della canaglia”, “marcia dei ribelli”). Mai i soci del Fascio di Cianciana, che il delegato definisce spesso pregiudicati ma relazionando sui singoli scrive 223
Il Delegato, 30.10.1893, in ASA cit.. 111
“incensuarato” o “senza precedenti penali”, diedero vita con la loro condotta ad avvenimenti spiacevoli, accettando quasi con rassegnazione ogni inconveniente ed anche lo stato d’assedio e la chiusura della loro”casa”. L’unico episodio, marginale, che in qualche modo avvelenò l’atmosfera fasciante, è legato alla nomina a ministro dell’Istruzione pubblica dell’onorevole Nicolò Gallo. Avutasi notizia della carica del deputato agrigentino, il socialista e consigliere del fascio Gerlando D’Angelo si recò a casa del prof. L. Martorana, dove si festeggiava l’avvenimento e lo pregò di comporre un telegramma di congratulazioni al neo ministro a nome di tutti i soci del Fascio. Il testo, pubblicato su alcuni periodici, suscitò il risentimento dell’on. Napoleone Colajanni che pretese l’espulsione del D’Angelo, come in effetti avvenne. G. D’Angelo però non si rassegnò e sbraitò al punto di convincere il presidente Impallari ad iniziare pratiche per riammetterlo. Per il rapido epilogo degli eventi non sappiamo come si concluse la vicenda. Pare con soddisfazione del D’Angelo. Si concludeva così, nella maniera meno auspicata, con la frustrazione di contadini, commercianti, casalinghe, artigiani e zolfatari che avevano accarezzato la possibilità di realizzare un sogno di modernità, la parentesi fasciante, strozzata dall’inganno perpetrato dal potere centrale che, invischiato negli scandali della Banca Romana e della Borsa, gettò polvere negli occhi dell’opinione pubblica nazionale, agitando spettri rivoluzionari e secessionisti in una Sicilia che era ben lungi da simili intendimenti e reclamava, invece, diritti che altrove era impensabile credere non fossero già stati riconosciuti. Ma l’esperienza dei Fasci non fu vana perché le masse, vittime dell’inesperienza e di un’ignoranza plurisecolare, non avrebbero tardato a riorganizzarsi su basi nuove.
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Esse si convinsero che la causa prima del loro servaggio risiedeva proprio in quella forma di discriminazione (analfabetismo, ignoranza). Per questo motivo, grazie anche ai dirigenti, i Fasci si proposero come obiettivo l’educazione dei proletari, convinti che la cultura avrebbe reso ognuno più libero perché conscio dei propri diritti. Per lo stesso motivo la borghesia osteggiò l’istruzione: un contadino o un minatore ignorante sarebbe stato facile da raggirare e mai sarebbe stato in grado di riscattarsi, condannando a vivere nella stagnazione i suoi figli, costretti ancora a rompersi la schiena in zolfara o ad arrostirsi al sole dei campi con una falce in mano. I socialisti giocarono un ruolo importante ma non del tutto fondamentale nei Fasci; vero è che i personaggi più rappresentativi dell’organizzazione erano aderenti a tale partito, ma la maggioranza degli iscritti era scarsamente politicizzata. La borghesia sapeva, però, che le teorie di redenzione sociale propugnate da Carlo Marx avrebbero potuto facilmente attecchire tra quelle masse di diseredati e morti di fame. Né a Cianciana ci furono benestanti benpensanti o lungimiranti come altrove (es. Casteltermini), pronti a tendere la mano ai reietti della società o quanto meno a discutere. Fu torto dei socialisti avere usato un linguaggio virulento tale da spaventare qualche proprietario. I veri socialisti, che all’inizio non capirono la vera portata del movimento siciliano, erano al Nord; la borghesia fece finta di non saperlo e, arroccata su posizioni di retroguardia, arrivò addirittura ad accusare come eretico Crispi per il suo tentativo di una timida riforma agraria e a chiedere l’abrogazione della Legge Coppino sull’istruzione. Turati ebbe il merito di schierare tutto il partito, al momento della repressione, dall’unica parte dove esso, per natura costituzionale, doveva stare: con i più deboli. 113
Molti errori commisero le sezioni dei Fasci: parlare troppo, non avere una direzione che decidesse per tutti, agitare spettri rivoluzionari che mai si sarebbero potuti concretizzare. Fu colpa gravissima della borghesia imprenditoriale e terriera essere rimasta insensibile alle esigenze di miglioramento delle condizioni di vita e di rinnovamento della società italiana, e siciliana in particolare, che provenivano dalle classi subalterne e non rendersi conto che sconfiggere il proletariato non significava sanarne i bisogni o eliminare le cause del malcontento. Era chiaro che la classe padronale, perpetuando l’equivoco modale dell’unità nazionale, non sempre avrebbe trovato un Crispi disposto a difenderne i privilegi anacronistici; così trent’anni dopo si sarebbe prostituita ad un tizio che dei Fasci aveva usurpato il nome. I lavoratori per la prima volta si accorsero dell’importanza dell’istruzione, dell’etica del lavoro, della dignità umana e dell’azione unitaria. Più che di uno scontro tra le classi sociali c’era forse bisogno, come sottolinea Luigi Pirandello in quel grande affresco della società siciliana di fine Ottocento che è il romanzo I vecchi e i giovani, di una collaborazione (oggi concertazione) fra le stesse per il comune progresso contro le ipocrite convinzioni che volevano l’operaio sempre schiavo e il padrone sempre gaudente. I Fasci: una sfida alla sopraffazione, all’ingiustizia, alla rassegnazione e al fatalismo; il sogno di una società migliore, nuova, più giusta e moderna. I Fasci: un’occasione perduta da tutte le forze in campo: proletari, governo e soprattutto la borghesia che non si rese conto che la storia prendeva un’altra direzione.
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Lo Statuto del Fascio di Cianciana Costituzione e scopo Art.1. E’ costituito in Cianciana un fascio dei Lavoratori, che si propone il miglioramento delle classi bisognose, con la graduale e legittima attuazione di un nuovo sistema sociale, informato alle idee di vera libertà ed uguaglianza. Art.2. Per conseguire nell’attualità questo scopo, il Fascio tende alla riunione di tutti i lavoratori della città e della campagna, che, compatti in un vincolo di solidarietà, avranno: a) L’istruzione della mente, per mezzo di scuole e di conferenze; b) Il mutuo soccorso, che provvede gratuitamente al mantenimento e all’assistenza medica nelle malattie; c) L’assicurazione collettiva, che, mediante una contribuzione individuale dei soci, di 50 centesimi, darà diritto alla famiglia del socio defunto a quella somma che nel modo cennato sarà raccolta; d) Le cooperative di consumo e di lavoro che combattono le illecite speculazioni sui generi di prima necessità e sulla mano d’opera. Inoltre il fascio, disponendo di tutte le forze dei lavoratori, stabilisce la misura del salario e le ore del lavoro, in maniera che l’operaio abbia da vivere senza stenti e trovi il tempo di educare sé ed i suoi. In fine, il Fascio, quando le occasioni lo permetteranno, piglierà parte alle lotte elettorali con candidati propri. Art.3. Per lo scopo che si propone, il Fascio di Cianciana aderisce al Programma votato al Congresso di Palermo nel maggio 1893, e s’iscrive tra le Sezioni del Partito dei Lavoratori Italiani.
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Dei soci Art. 4. Possono far parte del fascio gli operai di qualsiasi mestiere e quanti hanno mostrato di avere a cuore la redenzione delle classi lavoratrici purché abbiano compiuto l’età di 16 anni e non superato quella di 65. Art. 5. E’ vietato essere soci: a) Agli impiegati governativi, provinciali, comunali, ed altre pubbliche amministrazioni; a meno che non siano fondatori del fascio; b) Agli appaltatori; c) Ai pregiudicati e ai condannati ad una pena infamante o restrittiva della libertà personale per oltre tre anni; beninteso che se siano stati riabilitati, tenendo una condotta irreprensibile, il divieto è tolto; d) A quei che hanno tradito lo scopo del Fascio, o del partito in cui il fascio è schierato, o che si siano resi, in qualsiasi modo, indegni della pubblica stima; Art. 6. Per l’ammissione nel fascio bisogna fare domanda al presidente Generale, il quale esaminerà insieme al Consiglio Direttivo se chi vuol essere socio abbia le qualità richieste dallo statuto. In caso affermativo la domanda sarà trasmessa al Presidente della sezione, nella quale dovrebbe essere iscritto pel suo mestiere il candidato. L’assemblea della sezione si potrà occupare della domanda di ammissione dopo otto giorni che è stata affissa nel locale Sociale, e il candidato sarà ammesso, se avrà riportato la maggioranza dei voti dei presenti, secondo il disposto dell’art. 15. Art. 7. Tutti i soci indistintamente pagano al cominciare di ogni mese una retta di centesimi cinquanta, oltre ad una tassa d’entrata che sarà per tutti di L.1.
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Art. 8. Il socio che non paga per tre mesi consecutivi sarà cancellato dall’elenco degli iscritti, se invitato a mettersi in regola, non lo farà entro otto giorni. Art. 9. Saranno soggetti ad una riprensione, fatta dal Presidente Generale, quei soci i quali non tengono nel locale della Società un contegno corretto. Se il socio terrà fuori il Sodalizio una condotta riprovevole, per qualsiasi causa, gli verrà inflitta dal Consiglio Generale una sospensione che dai quindici giorni potrà estendersi a due mesi. La sospensione consiste nel privare il socio del diritto di frequentare il locale del fascio, e nella temporanea decadenza dai benefici sociali. Art. 10. Saranno espulsi i soci i quali commetteranno quelle colpe, per cui, secondo l’art. 4 dello Statuto, è vietata l’ammissione. Consiglio Direttivo Art. 11. Il Fascio ha un Presidente Generale, due vicePresidenti, un Segretario, due vice-Segretarii, un Cassiere, un Ragioniere e dodici Consiglieri, in modo che ogni sezione abbia un rappresentante; e se le sezioni crescono,, si aumenterà il numero dei consiglieri. Costoro formano il Consiglio Direttivo ed i consiglieri sono di diritto revisori dei conti. I membri di esso durano in carica due anni e possono essere rieletti. Metà però del Consiglio Direttivo sarà rinnovata ogni anno a settembre. Nel primo anno i membri da scadere saranno estratti a sorte. Art. 12. Il Consiglio Generale decide quando v’è almeno la maggioranza dei suoi componenti. A parità di voti quello del Presidente è preponderante.
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Art. 13. Il fascio è rappresentato, amministrato e diretto dal Consiglio Generale, il quale alla fine di ogni mese farà presentare dal cassiere i conti all’Assemblea generale. Assemblea generale Art. 14. Tutti i soci del Fascio formano la Assemblea Generale, la quale si riunisce in seduta ordinaria una volta al mese e straordinaria quando lo creda il Presidente o il Consiglio Direttivo. O lo chiedano 40 soci. Art. 15. L’Assemblea generale si occupa degli interessi generali del Fascio e nella prima convocazione le sue sedute non sono legali se non v’è la maggioranza dei soci iscritti; nella seconda convocazione basta il terzo degli iscritti, nella terza almeno quaranta. Le deliberazioni si pigliano con la metà più uno dei voti dati presenti. Art. 16. L’Assemblea non può discutere che su quelle questioni che si trovano iscritte all’ordine del giorno; a meno che gli intervenuti, con apposita deliberazione, non ne riconoscano l’urgenza. Sezioni Art. 17. Il fascio è diviso per Arti e mestieri, che ne costituiscono tante sezioni. Art. 18. Per costituire una sezione si richiedono almeno 20 soci dello stesso mestiere. Art. 19. Ogni sezione elegge un Presidente, un vicePresidente, un Segretario e quattro Consiglieri, i quali non possono far parte del Consiglio Direttivo, e le sue assemblee, costituite nel modo detto per l’assemblea generale, si occupano esclusivamente degli interessi speciali e degli affari relativi al proprio mestiere. Art. 20. Il Presidente Generale può intervenire alle sedute delle sezioni e avervi voto consultivo.
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I soci delle altre sezioni possono assistere alle sedute, in cui interverrà senza alcun voto il Segretario od un vice-Segretario del Consiglio direttivo, nel caso manchi il segretario della sezione. Art. 21. I soci che non potranno formare una sezione speciale, per mancanza di numero, si aggregheranno tra loro in una sezione mista. Art. 22. Il fascio ha una fanfara. Art. 23. Ogni socio dovrà uniformarsi al presente Statuto, difendere l’onore sociale come il proprio, assistere ed aiutare i proprii compagni in qualsiasi occasione. Art. 24. Il presente Statuto non potrà essere modificato se non dopo un anno dalla sua approvazione; dopo la quale si faranno dei regolamenti per le discussioni, per il mutuo soccorso, per le cooperative, per l’assicurazione collettiva, per le scuole e per la fanfara. * Saggio pubblicato nel 1997 dalla Biblioteca Comunale di Cianciana col titolo Il Fascio dei Lavoratori di Cianciana (189394).Ora con l’aggiunta dello Statuto, pressoché identico a quello di S. Stefano Q...
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Cianciana, Monumento allo zolfataro (M째 V. Chiazza), Il caruso (particolare. Foto E. Giannone)
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Il Fascio di Alessandria della Rocca di Giuseppe Frisco*
Anche ad Alessandria della Rocca si costituì un Fascio dei lavoratori il cui presidente fu il Sig. Pietro Amorelli. L’otto ottobre 1893 il delegato di pubblica sicurezza di Alessandria della Rocca, Ariani, informava il sottoprefetto di Bivona di una riunione in un locale privato in cui vi furono circa 70 iscrizioni. Il 15 ottobre 1893 fu issata la bandiera nazionale nella sede del Fascio, sita nei locali di un certo Ferraro Ignazio e i soci erano più di 200. L’inaugurazione del 3 dicembre 1893, con la partecipazione di rappresentanti dei Fasci di Bivona e di Cianciana per una pubblica manifestazione, forse non ebbe luogo e la cosa si ridusse a una normale riunione. Tuttavia, per la circostanza, furono prese opportune misure di sicurezza, poiché ad Alessandria fu inviato un drappello di 30 soldati. Nel farne relazione al Prefetto di Agrigento, il sottoprefetto di Bivona scrive addirittura che, da informazioni assunte dal delegato di P.S. Ribera, l’inaugurazione fosse stata un’invenzione, “uno stratagemma” del Sindaco Cordova per avere un distaccamento permanente di soldati sia a scopo di “commercio”, sia a scopo intimidatorio verso il Fascio e il suo Presidente “accanito oppositore dell’Amministrazione comunale, la qual cosa ha formato l’unico e precipuo scopo (del Sig. Amorelli Pietro) a dirigere il Fascio sotto le sembianze della questione agricola”. Sempre nella stessa relazione si dice che “i comunisti (cioè gli abitanti del comune) sono contenti del sistema di mezzadria che già vi esisteva in modo che sono quasi tutti gli agricoltori tanti piccoli proprietari”. E conclude che “Il Fascio di Alessandria è alla vigilia del suo scioglimento”:
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Ma una più attendibile relazione che mette in luce il carattere di questo Fascio è quella del già citato delegato di P.S. Ariani, il quale, il 22 novembre 1893, al sottoprefetto di Bivona scrive: “Questo Fascio dei lavoratori, nel quale sono iscritti circa 250 persone tra contadini e artisti(cioè artigiani) nonché n. 14 donne, tiene la sera delle riunioni nel proprio locale fino a due ore di notte. Il Presidente Sig. Amorelli Pietro legge ai convenuti il Giornale di Sicilia, parla delle condizioni dell’agricoltura, dei patti più vantaggiosi ottenuti da alcuni proprietari nelle delle terre, e delle speranze di un migliore avvenire del contadino, generalizzandosi l’idea della mezzadria. L’opera di detto sodalizio fin ora si è svolta nell’orbita della legalità, accenna a desideri non a pretese da conseguire con la violenza”. E ancora il 26 novembre scrive:”Qui non si ha nessun sentore delle mene rivoluzionarie attivate per opera degli anarchici e socialisti del continente”. Ma il 3 gennaio 1894 il Crispi decretava lo stato d’assedio nell’isola, inviando un esercito al comando del generale Roberto Morra di Lariano. I dirigenti dei fasci siciliani respinsero l’ipotesi insurrezionale e approvarono un manifesto diretto ai lavoratori siciliani dove venivano espresse, per l’ultima volta, le rivendicazioni del movimento (abolizione dei dazi sulla farina, sanzioni dei patti colonici di Corleone, espropriazione dei latifondi ecc…). “Ma ormai si era scatenata la repressione generale. Furono sciolti i Fasci e tutte le organizzazioni dei lavoratori in Sicilia, furono operati circa 2000 arresti seguiti da numerose assegnazioni al domicilio coatto”. (G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Vol. Vi, pag. 437, U.E. Feltrinelli, Milano). Questa fu la risposta alle "speranze di un migliore avvenire" dei siciliani, da parte del siciliano F. Crispi, capo del governo. 122
Anche il Fascio di Alessandria si sciolse "volontariamente". Così riferì il delegato di P.S. il 14 gennaio 1894 al sottoprefetto. Tuttavia, la notte tra il 15 e il 16 gennaio furono arrestati sei alessandrini: La Barbera Giuseppe di Domenico di anni 43, Savarino Filippo di Domenico di anni 44, Perricone Santo di Filippo anni 42, Ferraro Fano Paolo fu Pasquale anni 41, Valenti Filippo fu Gioacchino anni 45, Castellano Salvatore Giuseppe anni 42, i quali vennero tradotti a Porto Empedocle. Gli arresti furono eseguiti solo per ubbidienza ad un ordine superiore, poichè il delegato Ariani ne avrebbe volentieri fatto a meno. Infatti, scrive: "Era mia opinione evitare in questo comune misure di rigore, che ritenevo inopportune, sia per la debolissima azione spiegata dal Fascio dei lavoratori, che per l'indole mite e il rispetto che i cittadini hanno dimostrato alle leggi". Infine il 12 luglio 1894, un altro (il nuovo) delegato di P.S. scriveva al sottoprefetto che "il disciolto Fascio dei lavoratori di Alessandria componevasi di individui di idee apparentemente monastiche, anziché socialiste ed anarchiche(...) e pare non avessero altro scopo che quello di migliorare e di proteggere gli interessi della cosa pubblica - a lor dire - non ben amministrata". Certamente le note informative riguardanti il fascio dei lavoratori di Alessandria sono attendibili. In questi documenti di P.S., ricavate dall'archivio di Stato di Agrigento, si fa menzione di un solo episodio di agitazione nelle campagne dei feudi alessandrini. Il sottoprefetto il 26 ottobre vuol sapere se è vero che il Sig. Amorelli Pietro, Filippo Savino (o Savarino) "ed altri appartenenti al sodalizio, con la violenza vogliono imporsi alla classe dei proprietari e sulla gente onesta, forzando con minacce contadini ad abbandonare il luogo di
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lavoro e non riprenderlo se non ai patti che il Fascio intende dettare". Ariani risponde che "il Presidente Amorelli Pietro ha idee pacifiche e non intende scostarsi dalla legalità. E' suo intendimento fare rispettare gli affitti in corso, ma per le nuove gabelle vorrebbe fare ottenere migliori patti con i proprietari, ed all'uopo si è messo in corrispondenza epistolare con il barone Sig. De Michele, con il Sig. Saporito e Bongiovanni da Lercara (...). "Nulla ho inteso di minacce, violenze e pressioni, anzi lunedì volgente, saputo che alcuni del Fascio avevano scorazzato pei feudi di Pietranera e Chinesi, suscitando i contadini a desistere dal lavoro, redarguii pubblicamente (Savarino) Filippo uno dei più caldi propugnatori del sodalizio, e poi feci lagnanze con lo stesso Presidente. Ebbi però a convincermi che non vi erano state violenze o minacce per ottenere la sospensione del lavoro, come poi me ne accertai interrogando gli stessi lavoratori Baldassare Scaglione fu Antonino, Leonardo Demmi fu Giovanni e Falletta Giuseppe, i quali mi assicurarono di avere volontariamente sospeso il lavoro, senza ricevere violenza o minacce da parte del fascio". Ecco quale connotazione emerge dai verbali di P.S. intorno al Fascio di Alessandria della Rocca. Certamente nasce sull'onda di quel vasto movimento, ma qui ebbe vita effimera e dispiegò "debolissima azione", quasi un riflesso di altri più solidi movimenti, quali quello di S. Stefano Quisquina dove a guidare il fascio era una personalità come quella di Lorenzo Panepinto. Ma ad ogni modo, non si può fare a meno di mettere in rilievo le idee e che animarono il Presidente Amorelli Pietro, o la carica emotiva di un Filippo Savarino arrestato con altri cinque, oppure l'umanità del delegato Ariani, così attento verso quel movimento, anche se di breve durata, che coinvolse centinaia di persone (circa 350), e non si può passare sotto silenzio la presenza di quelle donne. In conclusione, si può 124
affermare che anche nel nostro paese, pur se in diversa misura che altrove, furono vissute le ansie e le speranze di quel grande movimento popolare dei Fasci siciliani. *Il saggio è stato pubblicato su Alessandria ieri, (a cura di E. Scaglione e M. Nocito),Comune di Alessandria della Rocca, 1986
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Bibliografia essenziale
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Indice La Sicilia postunitaria I Fasci dei Lavoratori Il Circondario di Bivona Il Fascio dei Lavoratori di Santo Stefano Quisquina Il Fascio dei Lavoratori di Bivona Il Fascio dei Lavoratori di San Biagio Platani Il Fascio dei Lavoratori di Cianciana Il Fascio dei Lavoratori di Alessandria della Rocca Bibliografia
pag.
In copertina: G. Pellizza da Volpedo, Il quarto stato.
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