Direttorio liturgico-pastorale

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Diocesi di Teggiano-Policastro

Amen. Vieni, Signore Gesù! Direttorio liturgico-pastorale



DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO Ufficio Liturgico

Amen. Vieni, Signore Gesù! (Ap 22,20) Direttorio liturgico-pastorale


SIGLE E ABBREVIAZIONI AAS = Acta Apostolicae Sedis CCC = Catechismo della Chiesa Cattolica CE = Caerimoniale Episcoporum CJC = Codex Iuris Canonici DG = Decreto generale sul matrimonio canonico DS = Denzinger-Schönmetzer ECEI = Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana EV = Enchiridion Vaticanum MM = Matrimonia mixta (Paolo VI) OGMR = Ordinamento Generale del Messale Romano OLM = Ordinamento delle Letture della Messa RBB = Rito del Battesimo dei Bambini RC = Rito della Confermazione RCE = Rito del Culto eucaristico fuori della Messa e Culto Eucaristico RE = Rito delle Esequie RICA = Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti RM = Rito del Matrimonio RP = Rito della Penitenza SUCPI = Sacramento dell’Unzione e Cura Pastorale degli Infermi

In copertina: Maestranze lucane, Agnus Dei, particolare di Architrave di Portale, 1307 Teggiano, Chiesa di S. Francesco

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PRESENTAZIONE «Dum omni modo Christus adnuntietur» (Fil 1,18), anche e soprattutto mediante la celebrazione dei Misteri della Redenzione! È con viva gioia, perciò, che eleviamo il nostro cantico di lode alla Santissima Trinità per la nostra fede in Cristo Gesù, il Risorto, celebrata “in spirito e verità” (Gv 4, 24) ed annunciata al mondo per testimoniare l’amore del Redentore. Tale missione è oggi resa più semplice, grazie anche a questo prezioso strumento che offriamo gioiosi ai fratelli e alle sorelle della nostra amata Chiesa di Teggiano-Policastro, “eletti secondo la prescienza di Dio Padre mediante la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo Sangue” (1Pt 1,1-2). Il Direttorio, infatti, non vuole essere uno sterile insieme di regole che finiscono per appiattire il nostro agire liturgico e pastorale, bensì una guida che possa aiutarci a pregare vivendo e a vivere pregando con “un cuor solo ed un’anima sola” (At 4, 32). Lo scopo del nostro Direttorio, dunque, è quello di offrire delle linee comuni per le celebrazioni, in modo tale che tutte le comunità della nostra Diocesi possano compiere insieme il cammino di santificazione, attingendo dal mistero pasquale culmine e fonte della vita della Chiesa (cfr SC 10) la forza e la gioia della fede. Consegniamo queste norme alle comunità parrocchiali della Diocesi, auspicando che siano osservate con fedeltà ed in spirito di obbedienza, come atto di amore a Cristo e alla sua Sposa, la Chiesa. Supplicando l’intercessione dei Santi Patroni Cono e Pietro vescovo, sotto la protezione materna di Maria Santissima affidiamo il cammino della nostra Chiesa di Teggiano-Policastro, affinché, divenuti uno in Cristo Gesù, dal quale gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente impariamo a dare, per annunciare in ogni circostanza Colui che nei santi segni è significato, immolato e ricevuto (cfr Orazione sulle offerte, Epifania del Signore), al quale sia lode, onore e benedizione nei secoli eterni. Amen. Teggiano, 29 novembre 2015 I Domenica di Avvento + Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro 3


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Diocesi di Teggiano‐Policastro Ufficio Liturgico INTRODUZIONE La Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium del Concilio Ecumenico Vaticano II, dopo 50 anni dalla sua promulgazione, resta ancora oggi un imprescindibile punto di riferimento per comprendere il vero senso teologico della liturgia. Infatti vi leggiamo: «Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria»1. Il desiderio di celebrare è proprio dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, perché la celebrazione lo inserisce in un contesto del tutto differente da quello ordinario, in cui egli sperimenta la fatica della quotidianità, con tutte le responsabilità, le attese e le pretese della società in cui vive ed agisce. La festa, perciò, diventa per l’uomo il momento in cui si interrompe il ritmo giornaliero, evitando di lasciarsi soggiogare dal lavoro e dal tempo. Attraverso la festa l’uomo è capace di entrare nello spazio del gratuito, dove è possibile affrancarsi dalla schiavitù del tempo definito e scandito dai ritmi quotidiani, dove scopre la sua libertà e si riappropria della sua dignità di essere umano. 1 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963) 8.

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Il cristiano scopre questa possibilità di festa e la dimensione del gratuito nella liturgia, che Romano Guardini definiva «gioco», proprio perché come il gioco dei bambini la liturgia non ha uno scopo definito, ma esiste per se stessa e basta. «La liturgia non ha “scopo”, o almeno non può essere ridotta soltanto sotto l’angolo visuale della sola finalità pratica. […] La liturgia non può avere “scopo” alcuno anche per questo motivo: perché essa, presa in senso proprio, ha la sua ragione d’essere non nell’uomo, ma in Dio. Nella liturgia l’uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto lo sguardo. In essa l’uomo non deve tanto educarsi, quanto contemplare la gloria di Dio. Il senso della liturgia è pertanto questo: che l’anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella sua vita, nel mondo santo delle realtà, verità, misteri, segni divini, e così si assicuri la vera e reale vita sua propria»2. La liturgia si serve del linguaggio dei segni, che interpellano non soltanto l’intelligenza, ma anche e soprattutto la corporeità umana con i suoi sensi. «Nella liturgia persone, oggetti, addobbi, arredi e gesti non sono semplicemente realtà funzionali e decorative; essi sono simboli, cioè segni che conducono all’incontro con Dio. I segni liturgici non si accontentano di dare informazioni, ma conducono il cristiano oltre il senso e il sentimento mettendolo “in contatto” con Dio»3. Attraverso i segni liturgici, attraverso il rito, non solo comprendiamo e conosciamo l’agire di Dio nella storia della salvezza, ma siamo noi stessi inseriti pienamente in questa storia, siamo raggiunti e salvati dalla grazia di Dio. La liturgia è l’attualizzazione dell’opera della salvezza mediante il sacerdozio di Cristo, attraverso il quale «con segni sensibili viene significata e realizzata la santificazione dell’uomo e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra, il culto pubblico e integrale»4. Per molto tempo la liturgia è stata considerata come l’espressione di un sentimento, di una devozione, di una emozione religiosa; oggi, invece, si riscopre la liturgia non tanto o non solo come “e2 R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 112007, 75-76. 3 F. RAMPAZZO – M. CANOVA – G. DURIGHELLO, Cantare la liturgia. Profilo storico-

teologico e indicazioni pastorali, Padova 2002, 62-63. 4 Cfr Sacrosanctum Concilium 7.

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spressione”, quanto come “impressione”, cioè accoglienza di una Parola che convoca l’assemblea liturgica, la raduna con una forza unificante e la invia in seguito a diffondere quello che ha ricevuto nella celebrazione. Prima ancora dell’espressione umana, prima della risposta dell’uomo a Dio, vi è l’intervento della Trinità che interpella l’uomo, lo chiama, lo raduna in assemblea (ekklesia è la comunità dei “chiamati”), gli comunica la sua vita divina. Soltanto perché Dio ha amato l’uomo per primo, che questi può a sua volta amare Dio, imparando, tra l’altro, a farlo da Lui. Allora si comprende come la liturgia non è semplice manifestazione dei sentimenti umani verso un essere superiore, ma è risposta ad una chiamata, è un dialogo; quasi potremmo dire che la liturgia è una “conversazione” tra Dio e l’uomo, come avveniva con Mosè, colui che parlava a Dio come si fa ad un amico. La liturgia, quindi, è impressione di Dio sull’uomo più che espressione del sentimento dell’uomo verso Dio. Possiamo, inoltre, dire che la liturgia cristiana è la “santificazione” di Dio da parte degli uomini e la “santificazione” degli uomini da parte di Dio, nel senso che con la liturgia il cristiano proclama la santità di Dio e gli rende gloria e Dio, a sua volta, santifica il cristiano rendendolo partecipe della grazia. La liturgia è contemporaneamente teocentrica, orientata verso il Padre da cui viene ogni dono perfetto, come scrive l’apostolo Giacomo5, e verso il quale sale l’adorazione e l’azione di grazie; cristocentrica, poiché il Figlio è il sommo sacerdote e l’unico mediatore della nuova alleanza; carismatica, nel senso di essere ispirata dallo Spirito Santo “che ci fa dire Abbà, Padre”6. Inoltre la liturgia è evangelica, cioè annuncio gioioso della buona notizia, proclamazione della rivelazione; eucaristica, cioè risposta, anch’essa gioiosa, a questa buona notizia e adesione al suo messaggio nell’azione di grazie; infine, escatologica, cioè attesa, sempre nella gioia, del ritorno di Cristo, che viene discretamente in ogni assemblea cristiana radunata nel suo nome e che invoca con fervore: “Maranathà!” – “Vieni Signore Gesù” (Ap 22, 20). Siccome le azioni liturgiche non sono opera di alcuni privilegiati, ma di tutta la Chiesa, è necessario che tutti i battezzati (pastori e laici) comprendano il significato teologico della liturgia e vivano le 5 Cfr Gc 1, 17. 6 Rm 8, 15.

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azioni liturgiche con autenticità. A tale scopo viene offerto questo Direttorio liturgico pastorale, il quale presenta, per ogni argomento, alcune parti più teologiche e altre più pratiche. Il Direttorio si articola in diverse parti: i sacramenti (dell’iniziazione cristiana, di guarigione, a servizio della comunione e della missione); i sacramentali (benedizioni, esorcismi, esequie); i ministeri istituiti (lettore, accolito, ministro straordinario della Comunione); la liturgia delle ore; la pietà popolare; il canto e la musica nella liturgia; lo spazio e l’arredo liturgico. Alla fine del testo sono riportati in appendice documenti e altri utili indicazioni normative: il documento normativo dei Vescovi della Campania sulle feste religiose; la normativa canonica per la preparazione e la celebrazione dei matrimoni; l’istruzioni circa il servizio dei fotografi e dei fioristi nelle celebrazioni liturgiche; la normativa per regolare il suono delle campane; le indicazioni per la pastorale del turismo; le indicazioni da parte dell’Ufficio Tecnico Diocesano e dell’Ufficio per i Beni Culturali circa gli interventi su edifici storici e restauri di opere artistiche; le recenti precisazioni da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sullo scambio della pace; infine, viene proposto uno studio curato dall’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice sui gesti e i movimenti dei sacerdoti e dei fedeli laici durante la liturgia. Queste indicazioni e norme comprendono necessariamente riferimenti, oltre che alla liturgia, anche ad altre dimensioni della vita cristiana. Le disposizioni del Direttorio, che tutti sono tenuti a seguire, indicano la strada da percorrere e sono affidate alla saggezza e all’impegno pastorale delle singole parrocchie, dei fedeli e dei parroci.

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Peccheneda Nicola, Gesù Cristo redentore, fine XVIII sec. Petina, Chiesa parrocchiale S. Nicola di Bari


CAPITOLO I LITURGIA E SACRAMENTI «Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l’opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica»7. «Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche»8. «Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra»9. Nella liturgia la Chiesa celebra il mistero pasquale per mezzo del quale Cristo ha compiuto la salvezza di tutti gli uomini. I fedeli devono vivere il mistero pasquale all’interno della liturgia, e ne devono dare testimonianza al mondo. La liturgia rende visibile la Chiesa come segno di comunione degli uomini con Dio, per mezzo di Cristo. I fedeli non sono semplici spettatori che assistono alla liturgia quasi fosse uno spettacolo. Tutti i credenti sono chiamati ad impegnarsi, a prendere parte attiva nella vita della comunità in modo consapevole, attivo e fruttuoso10. Tuttavia la liturgia non è l’unica azione della Chiesa: essa deve essere preceduta dalla evangelizzazione, dalla fede e dalla conversione di ogni credente. È a questo punto che la liturgia può portare i suoi frutti nella vita dei fedeli.

7 Sacrosanctum Concilium 6. 8 Sacrosanctum Concilium 7. 9 Sacrosanctum Concilium 7. 10 Cfr Sacrosanctum Concilium 11.

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I sacramenti La liturgia celebra i sacramenti credendo che essi sono voluti ed istituiti da Gesù Cristo e che in essi Lui stesso è donato; essi sono “Grazia di Cristo”, “Opera di Cristo”11. Sant’Ambrogio osa dire: «Hai la presenza della Trinità in questo Battesimo con il quale Cristo battezza nella Chiesa»12. Il rapporto con la grazia di Dio, spezzato dal peccato, ma da Dio mai abbandonato, trova nell’umanità di Cristo la pienezza della Rivelazione, e l’incontro definitivo con il Padre, che fa dire a Gesù: «Chi vede me vede il Padre» (Gv 14, 9), che equivale a dire: chi tocca me tocca Dio. In Cristo la Grazia è donata visibilmente. Egli, Capo del Corpo che è la Chiesa, realizza l’incontro sacramentale con il Padre nella sua umanità, assunta da Maria e compiuta nei giorni della sua passione, morte, sepoltura, risurrezione e ascensione. Gesù è Dio che vive ed opera in maniera umana; tutto ciò che Egli come uomo fa è atto della sua umanità e della sua Persona Divina. Chi incontra l’umanità di Gesù, vede il suo corpo umano, sente la sua voce umana, è guardato attraverso gli occhi umani dell’uomo di Nazaret; ma quella umanità benedetta è il canale straordinario scelto da Dio perché l’Infinito, l’Invisibile, l’Ineffabile, diventi incontrabile, accessibile. In altre parole: «Il Verbo si è fatto carne» (Gv 1, 14). La carne è quindi Sacramento dell’incontro con Dio. Gesù è il Sommo e unico Sacramento. I gesti salvifici di Gesù, uomo e Dio, donano la Grazia. I sette sacramenti, celebrati dalla Chiesa, non sono altro che segni umani, terrestri che, per volontà dell’unico Sacramento, diventano segni efficaci di Lui, cioè riti, gesti, parole, segni che lo fanno presente nel suo amore salvifico. Tramite acqua, pane, vino, olio, ecc., si incontra Colui che è il Sacramento di Dio, Gesù nella sua Pasqua, e si entra così in comunione con la Trinità.

11 Cfr S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae III, 64, 10, 3m. 12 S. AMBROGIO, I sacramenti, II, 3, 9.

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Bottega campana, Battesimo di Gesù Cristo, inizio XIX sec. Castelcivita, Chiesa parrocchiale S. Nicola di Bari


CAPITOLO II I SACRAMENTI DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA La Chiesa ha stabilito riti particolari che segnano l’ingresso ufficiale e solenne del credente all’interno della Chiesa e questi sono i sacramenti dell’iniziazione cristiana: il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia. «La partecipazione alla natura divina, che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia di Cristo, rivela una certa analogia con l’origine, lo sviluppo e l’accrescimento della vita naturale. Difatti i fedeli, rinati nel santo Battesimo, sono corroborati dal sacramento della Confermazione e, quindi, sono nutriti con il cibo della vita eterna nell’Eucaristia, sicché, per effetto di questi sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono in grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità»13.

1. Il sacramento del Battesimo «Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito (“vitae spiritualis ianua”), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione»14. «Incorporato a Cristo per mezzo del Battesimo, il battezzato viene conformato a Cristo. Il Battesimo segna il cristiano con un sigillo spirituale indelebile (“carattere”) della sua appartenenza a Cristo. Questo sigillo non viene cancellato da alcun peccato, sebbene il peccato impedisca al Battesimo di portare frutti di salvezza. Conferito una volta per sempre, il Battesimo non può essere ripetuto»15.

13 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1212. 14 CCC, 1213. 15 CCC, 1272.

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Indicazioni liturgico-pastorali 1.1 Il battesimo dei bambini Bambini sono coloro che non sono ancora giunti all’età di ragione e quindi non sono in grado di avere né di professare personalmente la fede. Ad essi sono assimilati anche coloro che non sono capaci di emettere atti responsabili16. I bambini vengono battezzati nella fede della Chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dagli altri presenti al rito: questi rappresentano sia la Chiesa locale sia la società universale dei santi e dei fedeli, la Chiesa madre, che tutta intera genera tutti e ciascuno17. Eccetto il caso di pericolo di morte, per battezzare lecitamente un bambino è necessario che i genitori o chi tiene legittimamente il loro posto, o almeno uno di essi sia consenziente e vi sia la fondata speranza che il bambino sarà educato nella religione18. I genitori sono tenuti all’obbligo di provvedere che i bambini siano battezzati entro le prime settimane. Al più presto dopo la nascita, anzi anche prima di essa, si rechino dal parroco per chiedere il sacramento per il loro figlio e per concordare la data di celebrazione e la relativa preparazione19. Nelle riunioni preparatorie per i genitori dei battezzandi, è importante che la catechesi si sviluppi a partire dai testi e dai riti del Rito del Battesimo dei Bambini (RBB). Utili a riguardo sono soprattutto i vari elementi previsti nel rito per la celebrazione della Parola di Dio Questi incontri di preparazione prevedano non solo momenti di catechesi, ma anche momenti di preghiera20. Al battezzando sia dato un padrino, o una madrina, o un padrino e una madrina, che hanno il compito di presentare al battesimo con i genitori il bambino e di cooperare con essi affinché il battezzato giunga alla professione personale della fede e la esprima nella vita21. 16 Cfr Rituale Romano, Rito del Battesimo dei Bambini, Introduzione 1; Codex Juris Canonici, can. 852, §2. 17 Cfr RBB, 2. 18 Cfr CJC, can. 868, §1. 19 Cfr CJC, can. 867, §1; RBB, 8. 20 Cfr RBB, 5; CJC, can. 851, §2. 21 Cfr CJC, cann. 872-873; Rituale Romano, Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, 8; RBB, 6.

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«Padrino e madrina devono essere dei cristiani solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto»22. Essi siano resi consapevoli di assumersi specificamente il compito di accompagnare e guidare i neobattezzati nel cammino di fede. Pertanto, si educhino le famiglie a non sceglierli in base a criteri estranei al loro ruolo di collaboratori nella formazione cristiana23. Il padrino deve avere almeno 16 anni, essere già cresimato, aver ricevuto l’Eucaristia e vivere cristianamente. È bene che il padrino sia lo stesso per il Battesimo e per la Cresima24. Non possono fare da padrino/madrina i genitori, perché essi, già per diritto naturale e per gli impegni assunti anche con la celebrazione del sacramento del Matrimonio, sono i primi educatori dei loro figli25. Poiché il padrino «amplia, in senso spirituale, la famiglia del battezzando e rappresenta la Chiesa nel suo compito di madre»26, è preferibile evitare che anche nonni e fratelli svolgano questo compito. Non possono essere ammessi a questo ufficio divorziati risposati, conviventi e/o sposati solo civilmente; né coloro che hanno procurato il divorzio. È bene che anche i padrini partecipino agli incontri di preparazione. Per meglio porre in luce il carattere pasquale del Battesimo, si raccomanda di celebrarlo durante la Veglia Pasquale o di Domenica, giorno in cui la Chiesa commemora la risurrezione del Signore27. Si eviti di celebrarlo durante il tempo di Quaresima, poiché, avendo carattere penitenziale, non è periodo liturgico consono alla festa; inoltre è da evitare anche il battesimo nella Notte di Natale. Si faccia in modo che la celebrazione sia sempre comunitaria e non si favoriscano Battesimi singoli28. Quando il Battesimo viene celebrato durante la messa, si faccia il ricordo proprio nella Preghiera eucaristica. II luogo proprio del Battesimo è la chiesa parrocchiale del battezzando, nella quale non deve mancare il fonte battesimale. Si fa divieto, pertanto, di celebrare il Battesimo in cappelle “private”, nelle chiese 22 CCC, 1255. 23 CCC, 1255. 24 Pontificale Romano, Rito della Confermazione, 5-6; CJC, can. 893. 25 Cfr CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964) 11. 26 RBB, 8. 27 RBB, 9; CJC, can. 856. 28 Cfr RBB, 9-10.

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non parrocchiali, negli oratori anche se pubblici, nei santuari che non sono eretti a parrocchia. Il battistero, cioè l’ambiente nel quale è collocato il fonte battesimale, sia riservato al sacramento del Battesimo e sia veramente decoroso. Il fonte battesimale può essere collocato in una cappella, situata in chiesa o fuori di essa, o anche in altra parte della chiesa visibile ai fedeli; in ogni caso deve essere disposto in modo da consentire la partecipazione comunitaria. Lì dove è presente, si utilizzi il fonte battesimale fisso, evitando l’utilizzo di recipienti mobili adattati a tale scopo. Finito il tempo pasquale, accanto al fonte battesimale, si conserva il Cero pasquale, che viene acceso durante il rito battesimale29. Il Battesimo avviene per infusione. È consentito il ricorso al rito per immersione solo con l’autorizzazione del Vescovo (cfr. CEI, Delibera 29 del 18 aprile 1985). Per celebrare il rito del battesimo si osservino le seguenti indicazioni. I riti di accoglienza si facciano all’ingresso della chiesa, prima della celebrazione eucaristica. Terminati i riti di accoglienza ci si reca all’altare dando inizio alla celebrazione eucaristica con il canto del Gloria (quando previsto) e l’orazione colletta. Terminata l’omelia e la preghiera dei fedeli, si cantino le litanie dei santi, mentre ci si reca processionalmente al fonte battesimale. Qui viene pronunziata l’orazione di esorcismo e fatta l’unzione prebattesimale; si benedice l’acqua o si fa il rendimento di grazie, qualora si usi l’acqua già benedetta; si procede con la rinunzia a satana, la professione di fede e il battesimo (per immersione o infusione). Si conclude con l’unzione crismale, la consegna della veste bianca, la consegna della luce e il rito dell’effetà. Terminata la liturgia battesimale, la celebrazione prosegue more solito con la presentazione dei doni. L’acqua del Battesimo deve essere naturale e pulita e, secondo l’opportunità, la si può riscaldare30. Durante il tempo pasquale è bene usare l’acqua benedetta durante la Veglia di Pasqua. Negli altri tempi è preferibile benedirla di volta in volta31. Si badi, inoltre, al decoro e all’autenticità dei segni per quanto ri29 Cfr RICA, 25. 30 Cfr RICA, 18-20. 31 Cfr RICA, 21.

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guarda l’unzione prebattesimale e i riti esplicativi. È possibile, e in certi casi opportuno, che i riti preliminari (riti di accoglienza con dialogo introduttivo e segno di croce sulla fronte; orazione di esorcismo e unzione prebattesimale) vengano celebrati qualche domenica precedente a quella del Battesimo, con presentazione alla comunità cristiana. Per i bambini da battezzarsi nella Veglia pasquale tali riti siano collocati preferibilmente nelle domeniche terza, quarta o quinta di Quaresima. Durante la Settimana Santa, prima del Triduo Pasquale, si abbia cura di bruciare l’olio dell’anno precedente, astergendo i rispettivi e appositi contenitori, nei quali si riporrà l’olio nuovo della santa Messa crismale, che verrà presentato alla comunità parrocchiale durante la Messa in Coena Domini. Gli olii santi siano custoditi in un luogo dignitoso. Per quanto riguarda il Cero pasquale, si utilizzi quello in vera cera, evitando quello finto in plastica. 1.2 Il battesimo degli adulti Adulti sono coloro che, usciti dall’infanzia, hanno raggiunto l’uso di ragione e, quindi, mossi dalla grazia dello Spirito Santo, possono conoscere il mistero di Cristo e consapevolmente e liberamente iniziare il loro cammino di fede e di conversione32. Per la preparazione degli adulti e la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione, bisogna seguire le indicazioni del Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA). È conveniente rivolgersi all’Ufficio Liturgico Diocesano. Per il battesimo di coloro che hanno superato i 14 anni bisogna informare il vescovo, perché, qualora lo ritenga opportuno, possa compiere di persona la celebrazione33. 2. Il sacramento della Confermazione «Con il sacramento della Confermazione i battezzati vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede co-

32 Cfr CJC, can. 852, §2; RICA, 1. 33 Cfr CJC, can. 863.

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me veri testimoni di Cristo»34. «Come il Battesimo, di cui costituisce il compimento, la Confermazione è conferita una sola volta. Essa infatti imprime nell’anima un marchio spirituale indelebile, il “carattere”; esso è il segno che Gesù Cristo ha impresso sul cristiano il sigillo del suo Spirito rivestendolo di potenza dall’alto perché sia suo testimone. Il “carattere” perfeziona il sacerdozio comune dei fedeli, ricevuto nel Battesimo, e il cresimato riceve il potere di professare pubblicamente la fede cristiana, quasi per un incarico ufficiale»35. *** Indicazioni liturgico-pastorali In ogni comunità parrocchiale si celebri ogni anno (oppure ogni due anni, per le piccole parrocchie) il sacramento della Cresima. A questo scopo, ogni parrocchia abbia il Rito della Confermazione. Tale celebrazione non sia abbinata ad altre celebrazioni (ad esempio, nel giorno delle feste patronali, Quarantore, ecc.), che ne possono oscurare e ridurre l’importanza. Ci si può anche accordare a rotazione tra le parrocchie a livello foraniale o cittadino. La Cresima non venga celebrata in Quaresima. La celebrazione della Cresima, sia per i fanciulli che per gli adulti, deve avvenire nella propria parrocchia. In casi eccezionali - sempre con la dovuta preparazione e Confessione - si può ricevere la Cresima in altra parrocchia. La Confermazione sia conferita ai fanciulli che abbiano l’età di 12 anni circa e abbiano frequentato due anni di catechesi36. La richiesta di celebrazione della Cresima da parte di giovani e adulti è, comunque, un’occasione da valorizzare per sviluppare una catechesi complessiva. Si preveda un cammino di preparazione articolato in non meno di 20 incontri, ben distribuiti nel tempo, in modo da po34 Lumen gentium 11. 35 CCC, 1304-1305. 36 Cfr CJC, can. 889, §2; can. 891; Cfr CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Delibera

n. 8 del 23 dicembre 1983; CCC, 1307-1309.

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ter sviluppare una catechesi organica sul sacramento. Durante il cammino di preparazione, si stabilisca, a livello foraniale o parrocchiale, una data in cui si celebri una Liturgia della Parola in cui venga consegnato il Vangelo ai cresimandi. Il certificato di ammissione alla Cresima venga sempre rilasciato unicamente dal parroco del domicilio del cresimando, come anche l’attestato di idoneità del padrino deve essere rilasciato dal parroco dove ha il domicilio. La Confermazione si conferisce normalmente durante la celebrazione eucaristica, perché risalti meglio l’intimo nesso di questo sacramento con tutta l’iniziazione cristiana, che raggiunge il suo culmine nella partecipazione conviviale al sacrificio del Corpo e Sangue di Cristo. Quando le norme liturgiche lo permettono, si usi l’apposito formulario della Messa rituale37. Si curi bene la celebrazione, dando il dovuto rilievo ai vari elementi che compongono il rito. Si dedichi più di un incontro nel cammino di preparazione per svolgere una catechesi che si sviluppi a partire dai testi del Rito della Confermazione e dai brani biblici proposti nel rituale stesso per la Liturgia della Parola. Nella celebrazione, poi, si ponga in onore il sacro Crisma (che può essere portato nella processione d’ingresso e collocato presso l’altare, ma mai venga portato nella processione dei doni) e si accenda il Cero Pasquale. È bene che la lettura della Parola di Dio non venga affidata ai cresimandi. Sarebbe opportunamente significativo affidarla a qualche genitore o padrino, nonché al catechista. Nella preghiera eucaristica, anche quando non si usa la Messa Rituale, si inserisca il ricordo proprio. Per una buona celebrazione della Confermazione, i cresimandi si preparino con la preghiera e la confessione sacramentale, che i parroci avranno premura di organizzare in apposite liturgie penitenziali. Il confermando sia assistito, per quanto è possibile, dal padrino, il cui compito è provvedere che il confermato si comporti come vero te37 Cfr RC, 13; CJC, can. 881. Per quanto riguarda la possibilità di usare la messa

rituale, Cfr Messale Romano, Ordinamento Generale del Messale Romano, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, 368-372.

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stimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti lo stesso sacramento38. Per i requisiti dei padrini si veda quanto è stato detto sopra, in occasione del Battesimo. È raccomandabile che il padrino della Cresima sia lo stesso del Battesimo39. Non è opportuno che i fidanzati facciano da padrino o madrina al rispettivo partner; così anche è da evitare che il neo-cresimato faccia da padrino nella stessa celebrazione. Per celebrare il rito della confermazione si osservino le seguenti indicazioni. Terminata la proclamazione del Vangelo, tutti siedono; il parroco, o il catechista che ha curato la formazione, presenti al Vescovo e alla comunità coloro che devono ricevere la Confermazione. I cresimandi verranno chiamati per nome, si alzeranno in piedi, rispondendo: Eccomi. La presentazione si concluda con un rendimento di grazie (es. Benediciamo il Signore, Rendiamo grazie a Dio), dopodiché tutti siedono ed il Vescovo tiene l’omelia. Terminata l’omelia, dopo qualche istante di silenzio, i padrini e le madrine accendano dal cero pasquale, che sarà stato collocato nel presbiterio in un luogo ben visibile, la candela che consegneranno ai rispettivi cresimandi. A questo punto si rinnovano le promesse battesimali con la professione di fede. Dopo l’imposizione delle mani40 e la preghiera del Vescovo, avviene la crismazione. I cresimandi si dispongano in fila nella navata centrale, di fronte al presbiterio, accompagnati dai rispettivi padrini/madrine, i quali si pongano alla sinistra del cresimando, appoggiando la mano destra sulla spalla destra. Giunti davanti al Vescovo, il padrino o la madrina presenti il cresimando pronunziando il suo nome.

38 Cfr CJC, can. 892; cfr RC, 5; CCC, 1311. 39 Cfr RC, 5. 40 Insieme con il Vescovo, ma stando in silenzio, anche i sacerdoti che lo aiutano

impongono le mani sui cresimandi: cfr RC, 29.

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3. Il sacramento dell’Eucaristia «La santa Eucaristia completa l’iniziazione cristiana. Coloro che sono stati elevati alla dignità del sacerdozio regale per mezzo del Battesimo e sono stati conformati più profondamente a Cristo mediante la Confermazione, attraverso l’Eucaristia partecipano con tutta la comunità allo stesso sacrificio del Signore»41. ***

Indicazioni liturgico-pastorali 3.1 Celebrazione Eucaristica La comunità, radunata nel giorno del Signore, abbia un carattere festoso, come si addice ai figli che si apprestano a sedere intorno alla mensa del Padre, mensa della Parola e mensa Eucaristica, congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto42, da cui i fedeli ricevono istruzioni e ristoro43. La celebrazione della Messa costituisce il centro di tutta la vita cristiana, nella quale ogni attività è da porsi in stretta correlazione con essa. Andrà sempre meglio favorita la partecipazione attiva dei fedeli, sia nella preparazione che nella celebrazione dell’Eucaristia, attraverso l’utilizzo attento delle molteplici possibilità offerte dal Messale: l’attenzione a vivere in pienezza i momenti di silenzio previsti dalla celebrazione (specialmente dopo l’omelia e la comunione); la proclamazione chiara e intelligibile delle letture; un’omelia che sappia tradurre per la comunità il messaggio di salvezza offerto dalla Parola di Dio; la preghiera universale o dei fedeli che, in linea con quanto proclamato, scaturisca dalle necessità dei tempi liturgici e della comunità; la processione offertoriale che rechi alla mensa solo ciò che è dono per la celebrazione eucaristica, per la Chiesa e per i bisognosi. La Liturgia dell’Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamen41 CCC, 1322. 42 Sacrosanctum Concilium 56. 43 OGMR, 28.

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tale che si articola in due grandi momenti, che rivelano la natura della Chiesa come comunità convocata intorno alla mensa della Parola di Dio e alla mensa eucaristica44. 3.1.1 Liturgia della Parola Il radunarsi nel giorno del Signore, il convenire in unum (l Cor 11, 18 ss.), il partecipare all’Eucaristia sono esigenze interiori radicate nell’essere stesso della comunità convocata dal Padre intorno a Cristo, Verbo incarnato e pane di vita. Nella Parola di Dio proclamata nella celebrazione liturgica è presente Cristo che, attuando il suo mistero di salvezza, santifica gli uomini e rende al Padre un culto perfetto. Nel proclamare sia l’Antico che il Nuovo Testamento, la Chiesa annunzia l’unico e identico mistero di Cristo, centro e pienezza di tutta la celebrazione liturgica45. Alla Parola di Dio e al Mistero Eucaristico la Chiesa ha tributato sempre la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto. Essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere “in tutte le Scritture ciò che a Lui (Cristo) si riferiva” (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i Sacramenti, l’opera della salvezza. Nella Parola di Dio si annuncia la divina Alleanza, mentre nell’Eucaristia si attualizza l’Alleanza stessa, nuova ed eterna. Lì la storia della salvezza viene rievocata nel suono delle parole, qui la stessa storia viene ripresentata nei segni sacramentali della liturgia. Quindi, di per se stessa, la proclamazione della Parola di Dio porta naturalmente al sacrificio dell’Alleanza e al convito della grazia, che è l’Eucaristia46. Per nutrire la fede dei credenti, devono essere valorizzati i segni della Parola di Dio: il libro della Parola (lezionario ed evangeliario), la sua venerazione (processione, incenso, candele), il luogo da cui viene annunziata (ambone), la sua proclamazione udibile e comprensibile, l’omelia del ministro che ne prolunga la proclamazione, le risposte dell’assemblea (acclamazioni, salmi di meditazione, litanie, confessione di fede). 44 Cfr CCC, 1346. 45 Cfr Messale Romano, Ordinamento delle Letture della Messa, 4; cfr CCC, 1101-

1102; 1154-1155; 1373. 46 Cfr OLM, 10; cfr CCC, 103.

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La Liturgia della Parola venga svolta nella dovuta dignità e con decoro. I lettori non siano improvvisati né scelti al momento dal celebrante, ma abbiano buona capacità di lettura e di espressione, nonché un’adeguata conoscenza del testo sacro. I lettori, perciò, abbiano cura di prepararsi, prima delle celebrazione, alla proclamazione della Parola di Dio. Il compito di proclamare le letture non sia affidato a bambini e a ragazzi non idonei. I brani tratti dall’Antico Testamento possono essere proclamati anche da coloro che non hanno ancora ricevuto la Cresima, mentre le altre letture del Nuovo Testamento (eccetto il Vangelo) devono essere affidate sempre a fedeli cresimati. Il salmo interlezionale sia possibilmente cantato (in tutto o in parte) ed affidato ad un cantore o ad un lettore. Si favorisca l’atteggiamento di religioso ascolto, evitando assolutamente quanto può distrarre (via vai, concitato preoccuparsi del prosieguo della celebrazione o di altre cose, azione di fotografi e cineoperatori, ecc.). Si ponga in rilievo l’ambone. Normalmente sia fisso, elevato, ben curato e decoroso. Architettonicamente e spazialmente sia in armonia con l’altare. Soprattutto in occasione di giorni solenni, venga sobriamente ornato47. Anche i Libri, essendo nell’azione liturgica segni e simboli di realtà superiori, siano davvero degni, decorosi e belli. Non si legga mai la Parola di Dio da messalini, o peggio ancora, da foglietti48. Nella celebrazione della Messa le letture bibliche non si possono né tralasciare, né ridurre né - il che sarebbe cosa più grave - sostituire con letture non bibliche49. Nelle Domeniche e nelle solennità è obbligatoria la proclamazione di tutte e tre le letture50. Nei giorni feriali si preferisca la lectio continua, evitando di sostituire le letture del giorno con quelle proposte dal lezionario per le celebrazioni dei santi, a meno che non venga esplicitamente indicato dal 47 Cfr OLM, 32; cfr OGMR, 292. 48 Cfr OLM, 35. 49 Cfr OLM, 12; GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicae cenae (24 febbraio 1980) 10. 50 Cfr OLM, 79.

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calendario liturgico ufficiale (solennità, feste, alcune memorie con letture proprie indicate nel lezionario)51. Nelle domeniche e nelle feste di precetto (comprese le celebrazioni vigiliari) è obbligatoria l’omelia, che serva come aiuto all’assemblea per l’assimilazione interiore della Parola di Dio e conduca alla celebrazione eucaristica. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del Tempo Pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa52. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non concelebra53. Nelle Domeniche e nelle solennità è obbligatoria la Professione di fede, memoria del Battesimo. Si tenga conto della possibilità di usare l’uno o l’altro Simbolo. Nel tempo di Quaresima e di Pasqua, si può rinnovare la Professione di fede con il Simbolo degli Apostoli. Il celebrante avviserà per tempo l’assemblea di questa scelta. In queste occasioni va fatta anche la Preghiera dei fedeli. Non la si sciupi con formulari generici e anonimi. Si tenga conto non solo delle necessità della Chiesa universale e del mondo intero, ma anche quelle della comunità locale, alla luce della Parola di Dio ascoltata, alla quale la Preghiera dei fedeli risponde. Si propongano intenzioni sobrie e accuratamente preparate, che vengano lette dall’ambone dal diacono, o da un ministro, o da fedeli. 3.1.2 Liturgia Eucaristica Luogo proprio su cui si svolge la liturgia eucaristica è l’altare. Esso, «sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la Messa; l’altare è il 51 Cfr OLM, 82. 52 OGMR, 66. 53 OGMR, 66.

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centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia. […] Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il Corpo e il Sangue di Cristo, si distenda sopra l’altare sul quale si celebra almeno una tovaglia di colore bianco, che sia adatta alla struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento. […] Nell’ornare l’altare si agisca con moderazione. […] Sopra la mensa dell’altare possono disporsi solo le cose richieste per la celebrazione della Messa: l’Evangeliario dall’inizio della celebrazione fino alla proclamazione del Vangelo; il calice con la patena, la pisside, se è necessaria, il corporale, il purificatoio, la palla e il Messale siano disposti sulla mensa solo dal momento della presentazione dei doni fino alla purificazione dei vasi. Si collochi pure in modo discreto ciò che può essere necessario per amplificare la voce del sacerdote. I candelabri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione festiva, siano collocati o sopra l’altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia dell’altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’ altare. Inoltre vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato. Conviene che questa croce rimanga vicino all’altare anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, per ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore»54. Terminata la celebrazione eucaristica, l’altare non deve rimanere spoglio, per essere nuovamente ricoperto della tovaglia al momento della preparazione dei doni durante la Messa. Attualmente la vestizione solenne dell’altare, portandovi la tovaglia, i candelieri e la croce, è ritualmente prevista nel rito della Dedicazione dell’altare, quando il medesimo deve prima essere asperso con l’acqua benedetta, unto col Crisma e poi rivestito e inaugurato. All’inizio della Liturgia Eucaristica si portano all’altare i doni che diventeranno il Corpo e il Sangue del Signore È lodevole, soprattutto nei giorni di Domenica e di festa, che siano i fedeli a presentare i doni55. 54 OGMR, 296; 304; 305; 306-308. 55 Cfr OGMR, 73.

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Con questi doni, come la Chiesa sin dagli inizi ha fatto, si possono presentare altri doni per i poveri e per la Chiesa stessa. È questo anche il significato della raccolta delle offerte. I doni vanno collocati in luogo adatto, fuori della mensa. Si mantenga la verità del segno e non si carichi questo momento di inutili simbolismi, portando all’altare oggetti non pertinenti e talvolta stravaganti (palloni, magliette, mattoni, chiavi, statue, quadri, libri, etc.). Ugualmente non è corretto presentare tra i doni la Bibbia, in quanto la Parola di Dio è il dono del Signore all’umanità. La Preghiera Eucaristica, preghiera di azione di grazie e di santificazione, è il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione. Essa va proclamata con la calma e la solennità che le si addice. Sarebbe utile farla precedere almeno da un attimo di silenzio, che faccia percepire lo stacco dal momento precedente. Mai si inizi il dialogo, mentre si è ancora alla ricerca del prefazio. La preghiera del Signore è espressione di tutta l’assemblea liturgica. Può essere pregata tenendo le braccia allargate (antico gesto che, nella Bibbia e nella prima comunità cristiana, caratterizzava l’atteggiamento dell’orante) oppure a mani giunte. Si eviti di pregare il Padre nostro tenendosi per mano. La Frazione del Pane è accompagnata dal canto o dalla recita della litania Agnello di Dio. Prima di dare inizio alla fractio panis, si attenda la conclusione dello scambio del segno di pace, che non va enfatizzato tanto da sopraffare il momento della Frazione, che deve avere un rilievo maggiore56. Per quanto riguarda lo scambio del segno della pace, si veda l’Appendice n. 9 di questo Direttorio (pag. 187). La piena partecipazione alla Messa si attua e si manifesta con la comunione sacramentale. Chi pertanto, pur essendosi già accostato alla mensa eucaristica, parteciperà nello stesso giorno ad un’altra Messa, potrà, anche nel corso di essa, ricevere nuovamente, cioè una seconda volta la Comunione57. 56 Cfr OGMR, 83. 57 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Precisazioni su Principi e norme per l’uso

del Messale Romano, 9, in Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II promulgato da Paolo VI e rivisto da Giovanni Paolo II, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983.

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3.2 Iterazione della messa «L’unità della Chiesa esige, tra l’altro, molta attenzione per non dividere o disperdere la comunità che celebra l’Eucaristia. Si eviti pertanto la moltiplicazione immotivata e inopportuna delle Messe, che spesso comporta l’uso non giustificato della “binazione” o della “trinazione”, e che finisce per convocare assemblee frazionate e frettolose in orari troppo ravvicinati. Non si consente così ai fedeli di condividere consapevolmente gli impegni apostolici di tutta la comunità cristiana»58. Per favorire una viva partecipazione dei fedeli alla Messa e una dignitosa celebrazione da parte del sacerdote, fra l’inizio di una celebrazione eucaristica e quella seguente, nel giorno del Signore, intercorra un lasso di tempo non inferiore a un’ora e mezza. La dimensione comunitaria della Messa richiede che sia accessibile a tutti i fedeli, specie in giorno festivo. È questo il motivo per cui la Chiesa concede l’iterazione della Messa. Tale iterazione non trova ovviamente una causa sufficiente nella devozione del sacerdote, o nell’abbondanza delle intenzioni; nemmeno è giustificata dalla richiesta particolaristica di un fedele o di un piccolo gruppo di fedeli, tanto meno dal motivo di facilitare ad ogni costo l’adempimento del precetto festivo. Il precetto della Messa ha come obiettivo quello di raccogliere in assemblea, la Domenica e nelle feste, la comunità di una Chiesa locale perché renda culto al Signore e cammini sulla via della santità. Questa finalità comunitaria giustifica la richiesta e la concessione, soprattutto nelle Domeniche, della iterazione delle Messe. A norma del Codice il permesso di iterare la Messa nel territorio della diocesi può essere concesso solo dall’Ordinario del luogo, salvi i casi in cui tale concessione è data per tutta la Chiesa dal diritto universale. Nessun altro sacerdote quindi, né diocesano né religioso, a meno di una delega concessa dal diritto universale o particolare oppure data personalmente per iscritto dalla competente autorità, può permettersi o permettere di iterare la Messa. Oltre ai casi fissati dal diritto universale il Vescovo concede, in modo generale, di binare solo per la celebrazione della Messa nei fune58 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Eucaristia, comunione e comunità (22 mag-

gio 1983) 81.

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rali e nei matrimoni. In ossequio al Codice59 che richiede la “giusta causa” perché l’Ordinario possa concedere la binazione e la trinazione, si stabilisce quanto segue: - le “iterazioni abituali”, cioè quelle che si prevedono ricorrenti nei giorni feriali o nei giorni di precetto per costanti bisogni pastorali: a) sono concesse non alla persona del sacerdote, ma alla parrocchia, alla rettoria o alla cappellania, nella persona del parroco, del rettore o del cappellano; b) devono essere concordate ogni anno, entro il mese di novembre, tra il parroco, il rettore o il cappellano interessato e il vicario generale; c) per i giorni di precetto le iterazioni sono concesse alla luce del principio pastorale che la Messa festiva non deve essere subordinata a comodità individuali o private, ma deve raccogliere in modo comunitario l’assemblea dei fedeli partecipanti, anche se non si trascureranno le legittime consuetudini e si terrà presente, in misura opportuna, l’utilità dei fedeli per l’adempimento del precetto festivo; d) per i giorni feriali si deve evitare di chiedere la binazione per venire incontro a domande individuali o privatistiche, come sarebbero quelle di soddisfare le applicazioni offerte dai fedeli, di continuare una consuetudine legata alla presenza di più preti, ecc. Il motivo per richiedere la binazione nei giorni feriali è quello del bene pastorale dell’intera comunità, tenuto presente anche il numero dei fedeli. Non basta, da sola, la motivazione di realizzare nella parrocchia, ogni giorno, due momenti di celebrazione eucaristica: a questa lodevole prassi pastorale si può venire incontro celebrando la Messa nell’orario più frequentato, e realizzando in un altro orario una celebrazione come potrebbe essere una liturgia della Parola del giorno o la Liturgia delle Ore con distribuzione della Comunione, secondo quanto indicato dal Rituale Romano. - Le iterazioni “non abituali”, cioè quelle che si impongono in alcune particolari circostanze o dal sopraggiungere di una improvvisa necessità, saranno richieste, sempre dal parroco, dal rettore o dal cappellano all’Ordinario oppure al vicario locale. Nei giorni feriali e festivi può essere concessa la binazione e solo in 59 Cfr CJC, can. 905.

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quelli festivi la trinazione. Va quindi riprovato e rimosso l’abuso di celebrare nei giorni feriali più di due Messe e nei giorni festivi più di tre Messe; abuso grave, perché va contro una esplicita disposizione del diritto e perché tale iterazione non è stata, ovviamente, concessa dall’autorità competente. Qualora un parroco preveda di non poter soddisfare nei giorni festivi alle necessità pastorali della sua comunità o delle sue comunità parrocchiali solo con la trinazione, e, data la penuria di sacerdoti, non possa ottenere l’aiuto permanente di un altro sacerdote, presenti all’Ordinario queste necessità pastorali. Il sacerdote che celebra più Messe nello stesso giorno può applicare ciascuna di esse secondo l’intenzione per la quale è stata data l’offerta; però non può trattenere per sé l’intera offerta per le Messe iterate: dovrà consegnare metà della quota diocesana alla Curia e l’altra metà può essere trattenuta dal sacerdote celebrante. L’importo superante l’offerta diocesana va destinato alla cassa parrocchiale. Nel caso in cui la parrocchia abbia un unico registro e provveda a raccogliere tutte le intenzioni per le Messe che i fedeli hanno richiesto di celebrare, al celebrante che assolve tale onere il parroco corrisponda almeno un’offerta pari alla quota diocesana. L’eventuale somma eccedente resti nella cassa parrocchiale. Le donazioni, le eredità e i legati intestati al “Vescovo” o al “Vescovo pro-tempore” o al “parroco” o al “parroco pro-tempore”, si intendano fatti, ai sensi del can. 1267 § 1, in favore rispettivamente dell’ente diocesi e dell’ente parrocchia. Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata dai sacerdoti, nelle loro ultime volontà, al seminario, all’istituto diocesano per il sostentamento del clero, nonché all’eventuale fondo diocesano di solidarietà per i sacerdoti anziani e malati. Poiché le iterazioni delle Messe sono concesse, nella nostra diocesi, alle parrocchie nella persona del parroco, e alle rettorie o cappellanie nella persona del rettore o del cappellano, l’obbligo di trasmettere alla curia la quota diocesana delle Messe iterate spetta al parroco, al rettore o al cappellano. La trasmissione di questa offerta verrà fatta ogni semestre e precisamente entro il 15 luglio per il primo semestre e il 15 gennaio per il secondo. È opportuno ricordare ai fedeli che: - il sacrificio di Cristo è di valore infinito e pertanto non può essere 31


esaurito da un’intenzione particolare, peraltro legittima e teologicamente fondata, purché sia vissuta nella consapevolezza dell’efficacia universale dell’opera redentrice di Cristo, che si ripresenta nella Messa; - il valore dell’intenzione particolare non è legato a fattori esterni e marginali, come il “dire il nome”, ma al fatto che il sacerdote celebrante porta con sé, nella sua preghiera e nella sua comunione con Cristo vittima, la persona per la quale applica la Messa. I parroci applichino ogni Domenica la messa pro populo, possibilmente quella principale, rendendone partecipi i fedeli. Per quanto riguarda le messe “plurintenzionali”, esse sono consentite, secondo le norme vigenti60, due volte la settimana a condizione che gli offerenti siano previamente ed esplicitamente avvertiti. Delle offerte cumulate, il sacerdote può trattenere per sé solo il corrispettivo dell’offerta diocesana, devolvendo il resto alla cassa parrocchiale. 3.2.1 Orario e numero delle messe È opportuno che non vengano celebrate altre Messe nella stessa chiesa, fuori dagli orari stabiliti. In occasioni di feste, raduni o circostanze straordinarie, possono essere celebrate altre messe, ma in via del tutto eccezionale, dopo opportuna valutazione. Si esortino i fedeli a celebrare i loro anniversari nelle Messe di orario, anche per evidenziare la partecipazione della comunità alle gioie e ai dolori di ciascuno. I parroci valutino piuttosto l’opportunità, in alcune ricorrenze, di fare celebrazioni della Parola o momenti di preghiera d’altro genere per non snaturare la celebrazione eucaristica. Nei giorni feriali, specialmente durante il mese di maggio, se si celebra nei quartieri o alle edicole mariane, si verifichi la dignità del luogo, affinché l’azione sacra avvenga sempre e comunque sopra una mensa conveniente. Nel programmare gli orari delle celebrazioni eucaristiche si cerchi l’accordo con i parroci vicini, specialmente in città e nei paesi ove sono presenti più chiese, per evitare la concentrazione di Messe negli stessi orari. Questa collaborazione permetterà un fraterno aiuto fra i sacerdoti della stessa forania, particolarmente in occasione di feste, 60 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Decreto circa le Messe plurintenzionali (22 febbraio 1991).

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di iniziative nel periodo estivo, di malattia di qualche confratello. In ogni forania si curi la stampa e l’affissione alle porte delle parrocchie di manifesti con gli orari estivi e invernali delle Messe festive celebrate nelle varie chiese della forania stessa. 3.3 La prima Comunione dei fanciulli Per ammettere i fanciulli alla comunione eucaristica «si richiede che essi posseggano una sufficiente conoscenza e una accurata preparazione, così da percepire, secondo la loro capacità, il mistero di Cristo ed essere in grado di assumere con fede e devozione il corpo del Signore»61. I corsi di preparazione alla prima comunione abbiano la durata di almeno due anni. Si colga l’occasione della prima comunione per tenere corsi di catechesi anche per i genitori dei bambini. Considerato il percorso catechistico e la maturazione di ciascuno, i fanciulli siano ammessi alla prima Confessione non prima degli otto anni e alla prima Comunione eucaristica non prima dei nove anni. La celebrazione della prima comunione: - sia fatta per gruppi e non per singoli, secondo turni non occasionali, ma programmati all’inizio dell’anno pastorale; - avvenga, di norma, nella Chiesa parrocchiale; in altre chiese o santuari solo per serie ragioni, riconosciute e attestate dal parroco, comunque sempre in forma comunitaria; - sia liturgicamente solenne e si svolga in un clima di festa, che deve esprimersi nella fraternità e nell’amicizia, senza scadere in una “festa della fanciullezza o dell’innocenza dei bambini”, in cui il contesto pasquale della Messa sarebbe quasi del tutto sommerso da una riduttiva e fuorviante interpretazione sentimentale; - sia vissuta come momento di condivisione, con un’attenzione particolare verso i poveri, che non può essere contraddetta da sperperi consumistici. Il tempo più opportuno per celebrare la Messa di Prima Comunione è quello pasquale. È importante che l’esperienza della Prima Comunione sia intimamente collegata al “Giorno del Signore” e all’impegno di abituale partecipazione all’assemblea domenicale. Pertanto, il giorno proprio della Messa di Prima Comunione è la Domenica, pa61 CJC, can. 913.

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squa settimanale della comunità cristiana, non il giovedì santo62, tantomeno una festa civile (25 aprile, 1° maggio, 2 giugno). La Messa di Prima Comunione si celebra all’altare consueto della chiesa: è espressamente vietato disporre “tavoli-altari” diversi63. Quanto alla veste, è preferibile che i bambini indossino un abito uniforme che richiami la veste battesimale, evitando ogni sfarzo e discriminazione. 3.4 La Concelebrazione «La Messa concelebrata, in qualunque forma si svolga, è ordinata secondo le norme che comunemente si devono osservare, tenute presenti le varianti qui sotto indicate. Nessuno mai vada o sia ammesso a concelebrare quando la Messa è già iniziata. Se non è presente il diacono, i compiti a lui propri sono svolti da alcuni concelebranti. Se non vi sono gli altri ministri, le parti loro proprie si possono affidare ad altri fedeli idonei, altrimenti vengono assolte da alcuni concelebranti. I concelebranti, in sagrestia o in altro luogo adatto, indossano le vesti sacre che abitualmente si utilizzano nella celebrazione individuale. Tuttavia per un ragionevole motivo, come ad esempio un numero notevole di concelebranti e la mancanza di paramenti, i concelebranti, fatta sempre eccezione per il celebrante principale, possono fare a meno della casula o pianeta e usare soltanto la stola sopra il camice»64. «È riprovato l’abuso di concelebrare solo con la stola sopra la “cocolla” monastica, o sopra la veste clericale ordinaria. È assolutamente proibito portare solo la stola sopra l’abito civile, per celebrare la Messa e compiere altre azioni sacre»65. Preparata ogni cosa in modo ordinato, si fa, come di consueto, la 62 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004) 87. 63 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, in Notitiae, vol. 38 (2002) 492. 64 OGMR, 205-209. 65 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Liturgicae instaurationes (5 settembre 1970) 8.

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processione attraverso la chiesa fino all’altare. I sacerdoti concelebranti precedono il celebrante principale. Giunti all’altare, i sacerdoti concelebranti e il sacerdote celebrante principale, fatto un profondo inchino, venerano l’altare con il bacio, quindi si recano al posto loro assegnato. Il sacerdote celebrante principale, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare; si reca poi alla sede. Durante la Liturgia della Parola, i sacerdoti concelebranti stanno al loro posto e nel sedersi e nell’alzarsi si uniformano al sacerdote celebrante principale. Iniziato il canto dell’Alleluia, tutti si alzano, tranne il Vescovo, che impone l’incenso senza nulla dire e benedice il diacono o, se questo è assente, il concelebrante che proclamerà il Vangelo. Tuttavia nella concelebrazione presieduta da un presbitero, il concelebrante che proclama il Vangelo in assenza del diacono né chiede né riceve la benedizione del celebrante principale. L’omelia è tenuta normalmente dal sacerdote celebrante principale o da uno dei concelebranti. La preparazione dei doni viene compiuta dal celebrante principale; gli altri concelebranti restano al loro posto. Dopo che il celebrante principale ha recitato l’orazione sulle offerte, i concelebranti si avvicinano all’altare disponendosi attorno ad esso, in modo però da non intralciare lo svolgimento dei riti, e da permettere ai fedeli di vedere bene l’azione sacra e al diacono di avvicinarsi facilmente all’altare per svolgere il suo ministero. Il diacono eserciti il suo ministero all’altare, servendo quando è necessario al calice e al Messale. Tuttavia, per quanto è possibile, egli sta abbastanza arretrato, un po’ indietro rispetto ai sacerdoti concelebranti che si dispongono attorno al celebrante principale. Il prefazio viene cantato o detto dal solo sacerdote celebrante principale; il Santo viene cantato o recitato da tutti i concelebranti insieme con il popolo e la schola. Terminato il Santo, i sacerdoti concelebranti proseguono la recita della Preghiera eucaristica, nel modo sotto indicato. Soltanto il celebrante principale compie i gesti, salvo indicazioni contrarie. Le parti che sono pronunciate da tutti i concelebranti, in modo particolare le parole della consacrazione, che tutti sono tenuti ad esprime35


re, si devono recitare sottovoce, in modo che venga udita chiaramente la voce del celebrante principale. In tal modo le parole sono più facilmente intese dal popolo. Le parti che devono essere dette insieme da tutti i concelebranti, se sul Messale sono musicate, è bene che vengano cantate»66. Il Vescovo ed i concelebranti tengono le mani stese sulle offerte all’epiclesi prima della consacrazione. Alla consacrazione, mentre il Vescovo tiene con le mani l’ostia o il calice e pronunzia le parole della consacrazione, i concelebranti pronunziano le parole del Signore e, se sembra opportuno, stendono la mano destra verso il pane ed il calice»67. Alla epiclesi prima della consacrazione, bisogna stendere le mani in modo che le palme siano aperte e rivolte sopra le offerte68. Alla consacrazione invece la palma della mano destra sia rivolta a lato69. «Tutti i concelebranti recitano insieme le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente»70. «La dossologia finale della Preghiera eucaristica viene recitata solamente dal sacerdote celebrante principale e, se sembra opportuno, insieme agli altri concelebranti, non invece dai fedeli»71. La Comunione al Sangue di Cristo si può fare o bevendo direttamente al calice o per intinzione72. Se la Comunione del concelebranti si fa per intinzione, il celebrante principale si comunica al Corpo e al Sangue del Signore nel modo consueto, facendo però attenzione a lasciare nel calice una quantità sufficiente per la Comunione dei concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei concelebranti, dispone opportunamente il calice o in mezzo all’altare o sul lato destro sopra un altro corporale, insieme con la patena che contiene le ostie. I concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano all’altare, si genuflettono, prendono l’ostia, la intingono nel 66 OGMR, 209-218. 67 Pontificale Romano, Caeremoniale Episcoporum, 106. 68 Cfr Missale Romanum (ed. 1962), Ritus servandus in celebratione Missae, VIII, 4. 69 Cfr Notitiae 1 (1965) 143. 70 OGMR, 222. 71 OGMR, 236. 72 Cfr OGMR, 245.

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calice e si comunicano; ritornano poi al loro posto, come all’inizio della Messa. Anche il diacono riceve la Comunione per intinzione dal celebrante principale, subito dopo che questi si è comunicato. Al termine della comunione dei concelebranti e dei fedeli, il diacono, all’altare, beve quanto è rimasto nel calice; poi lo porta alla credenza dove egli stesso o l’accolito compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto73. Al termine della celebrazione, «il celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo consueto, mentre i concelebranti rimangono al loro posto. I concelebranti, prima di allontanarsi dall’altare, fanno un profondo inchino. Il celebrante principale, invece, con il diacono venera l’altare con il bacio»74. 3.5 Messe e orazioni per diverse circostanze «Poiché la Liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale, e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di Messe e orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale. Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che delle Messe per diverse circostanze si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige l’opportunità pastorale. In tutte le Messe per diverse circostanze, salvo espresse indicazioni in contrario, si possono usare le letture feriali con i loro canti responsoriali, se si accordano con la celebrazione. Fra queste Messe vengono annoverate le Messe rituali, le Messe per le varie necessità, quelle per diverse circostanze e le votive. Le Messe rituali sono collegate con la celebrazione di alcuni Sacramenti o Sacramentali. Sono proibite nelle domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, nelle solennità, nei giorni fra l’ottava di Pasqua, nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nel Mercoledì delle Ceneri e nelle ferie della Settimana santa; si devono inoltre osservare le norme indicate nei libri rituali o nei formulari delle Messe stesse. 73 Cfr OGMR, 246-249. 74 OGMR, 250-251.

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Le Messe per varie necessità o per diverse circostanze si utilizzano in alcuni particolari momenti, in tempi stabiliti o anche di tanto in tanto. Tra queste, la competente autorità può scegliere Messe per eventuali suppliche pubbliche, stabilite dalla Conferenza Episcopale nel corso dell’anno. Nel caso di una necessità particolarmente grave o di una utilità pastorale, si può celebrare una Messa adatta, per ordine o con il consenso del Vescovo diocesano, in qualsiasi giorno, eccetto le solennità e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, i giorni fra l’ottava di Pasqua, la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, il Mercoledì delle Ceneri e le ferie della Settimana santa. Le Messe votive dei misteri del Signore o in onore della beata Vergine Maria o degli Angeli o di qualche Santo o di tutti i Santi, si possono celebrare per la pietà dei fedeli nelle ferie del tempo ordinario, anche se ricorre una memoria facoltativa. Tuttavia non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono ai misteri della vita del Signore o della beata Vergine Maria, eccetto la Messa della sua Immacolata Concezione, perché la loro celebrazione è in armonia con il corso dell’anno liturgico. Nei giorni in cui ricorre una memoria obbligatoria o una feria di Avvento fino al 16 dicembre, del tempo natalizio a cominciare dal 2 gennaio, e del tempo pasquale dopo l’ottava di Pasqua, sono per sé proibite le Messe per varie necessità e quelle votive. Se però lo richiede un’autentica necessità o un’utilità pastorale, nella Messa con partecipazione di popolo si può usare il formulario corrispondente a questa necessità o utilità, a giudizio del rettore della chiesa o dello stesso sacerdote celebrante. Nelle ferie del tempo ordinario nelle quali ricorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, si può celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione per diverse circostanze, fatta eccezione per le Messe rituali. Si raccomanda particolarmente la memoria di santa Maria in sabato, perché nella Liturgia della Chiesa viene venerata in modo speciale e prima di tutti i Santi la Madre del Redentore»75. Per quanto riguarda le cosiddette Messe “di guarigione”, è opportuno ricordare che la Chiesa, nella liturgia, chiede al Signore la salute de75 OGMR, 368-378.

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gli ammalati con il sacramento dell’Unzione degli infermi «destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia»76. Il Messale Romano contiene una Messa per gli infermi e in essa, oltre a grazie spirituali, si chiede la salute dei malati. Nel Benedizionale è previsto un rito della benedizione degli infermi, nel quale ci sono diversi testi eucologici che implorano la guarigione. Ad esse ci si attenga. Le celebrazioni “di guarigione” richiedono il permesso esplicito da parte del Vescovo diocesano anche se sono organizzate o vi partecipano Vescovi o Cardinali. Si celebrino come incontri di preghiera o lettura della Parola di Dio secondo il rito prescritto e con le vesti sacre indicate nel Benedizionale. Nella celebrazione della Santissima Eucaristia, dei sacramenti e della Liturgia delle Ore, non si devono introdurre altri elementi estranei al rito che si celebra. Le Messe per gruppi particolari si celebrino di norma non di Domenica ma, per quanto è possibile, nei giorni feriali, favorendo la loro partecipazione alla Messa comunitaria nel giorno del Signore. 3.6 Messe per i defunti «La Chiesa offre il sacrificio eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale e gli altri il conforto della speranza. Tra le Messe per i defunti ha il primo posto la Messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il Giovedì della Settimana santa, il Triduo pasquale e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, osservando inoltre tutto quello che prescrive il diritto. Quando la Messa esequiale non è permessa, si celebri la Messa del giorno. Nelle Domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, si può prendere una lettura tra quelle indicate nel lezionario dei defunti (cfr. Rescritto della S. Congregazione per il Culto divino, 18 settembre 1974 - Prot. n. 2036/74). La Messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia il Mercoledì delle Ce76 CCC, 1511.

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neri o una feria della Settimana santa. Le altre Messe per i defunti, o Messe “quotidiane”, si possono celebrare nelle ferie del tempo ordinario, nelle quali occorrono memorie facoltative o si fa l’Ufficio della feria, purché siano veramente applicate per i defunti»77. Sono proibite le Messe nelle cappelle private cimiteriali. Esse vanno celebrate solo nella cappella centrale, concordandone l’orario con il cappellano e dandone notizia ai fedeli che frequentano il cimitero, in modo da favorirne la partecipazione. Se non c’è il cappellano, la responsabilità del cimitero ricade sul parroco del territorio dov’è il cimitero. 3.7 Il culto eucaristico fuori della Messa 3.7.1 La presenza eucaristica Gesù è veramente presente nell’Eucaristia in modo assolutamente unico. Egli è presente in modo vero, reale e sostanziale, con Corpo, Sangue, Anima e Divinità78. Tutto intero Cristo (Uomo e Dio) si rende presente nel Pane e nel Vino consacrati dal sacerdote. «Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente»79. Quando la Chiesa parla di transustanziazione intende parla della conversione di tutta la sostanza che forma il pane nella sostanza del Corpo di Cristo e di tutta sostanza che forma il vino nel Sangue di Cristo. La transustanziazione si attua all’interno della preghiera eucaristica, ed è possibile per l’efficacia delle parole di Gesù e dell’azione dello Spirito Santo. L’aspetto del pane e del vino tuttavia non si modificano e rimangono inalterati. Quando il sacerdote fraziona la particola per poter distribuire l’Eucaristia a tutti, ciò non divide Cristo. In ogni piccolo pezzo del pane consacrato Gesù è presente per intero. La sua presenza è stabile sino a quando le specie eucaristiche sussistono.

77 OGMR, 379-381. 78 Cfr CONCILIO ECUMENICO

TRIDENTINO, sess. XIII, Decretum de SS. Eucaristia, can. 1, in DS 1651. 79 PAOLO VI, Lettera enciclica Mysterium fidei (3 settembre 1965).

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3.7.2 Il culto da prestare alle specie eucaristiche Le specie eucaristiche devono essere adorate. Solo a Dio è riservata l’adorazione e appunto per questo le specie si devono adorare perché sono realmente il Corpo e Sangue di Cristo che è Dio. Per questo motivo le particole consacrate devono essere trattate con particolare rispetto e devono essere custodite con cura. La Chiesa presenta l’Ostia consacrata ai fedeli affinché la possano adorare, la porta in processione per le vie delle città affinché tutti possono renderle onore, e invita i fedeli a fare frequenti visite al tabernacolo posto nella chiesa. La Chiesa, conscia dell’aiuto che l’Eucaristia può essere sia per la vita fisica sia per la vita spirituale, porta le particole consacrate a quei fedeli che si trovano in difficoltà fisica a causa della malattia affinché, impossibilitati a partecipare al sacrificio eucaristico, possano comunque riceverle. 3.7.3 Adorazione eucaristica prolungata (Quarantore) È opportuno che annualmente in ogni parrocchia si vivano dei giorni dedicati all’adorazione prolungata del Santissimo Sacramento dell’altare (Quarantore). Tale adorazione può essere fatta nei giorni immediatamente precedenti il tempo di Quaresima, oppure in preparazione alla Settimana Santa, nel tempo di Pasqua, oppure in altri tempi dell’anno in preparazione a solennità del Signore. Durante le Quarantore, si celebra la Messa al mattino, nella quale viene consacrata l’Ostia per l’adorazione, in maniera tale che risulti evidente la relazione tra la celebrazione eucaristica e l’adorazione come suo naturale prolungamento. Terminata l’orazione dopo la comunione, il sacerdote espone l’Eucaristia e la incensa tre volte, omettendo la benedizione finale ed il congedo, in quanto verrà impartita con il Santissimo Sacramento la sera al termine dell’adorazione. Si abbia cura che durante la giornata vi siano sempre dei fedeli, provvedendo a disporre un turno con gli orari di presenza per l’adorazione continua. Qualora non fosse possibile una presenza continua, ci si preoccupi di riporre l’Eucaristia nel tabernacolo, riprendendo l’adorazione nelle ore pomeridiane, avvisando i fedeli. La giornata di adorazione si conclude con il canto dei vespri; mai con un’altra Messa. Se si celebrano i vespri della Santissima Eucaristia, dopo il Padre nostro e prima dell’orazione finale, si canta il Tantum 41


ergo o un altro canto adatto, durante il quale si incensa tre volte l’Eucaristia. Segue l’orazione propria, che il sacerdote o il diacono canta o dice stando in piedi. Dopo aver indossato il velo omerale, viene impartita la benedizione con il Santissimo Sacramento, tracciando un unico segno di croce, senza nulla dire. Dopo la benedizione, tolto il vero omerale, seguono le acclamazioni ed il salmo Laudate Dominum, durante il quale si ripone il Santissimo Sacramento. Segue un canto finale, che per antica tradizione può essere il Salve Regina. 3.7.4 Adorazione eucaristica Per le esposizioni brevi della Santissima Eucaristia, si abbia cura che venga riservato un tempo congruo all’adorazione personale silenziosa, che preveda anche l’ascolto della Parola di Dio, canti e preghiere. È vietata l’esposizione fatta unicamente per impartire la benedizione80. Durante l’adorazione eucaristica sono vietate altre azioni liturgiche che possano distogliere i fedeli dall’adorazione, come ad esempio la via crucis itinerante oppure novene e altre preghiere in onore della Beata Vergine Maria e dei Santi. L’adorazione si conclude con la benedizione eucaristica, osservando quanto è stabilito dal Rito del Culto eucaristico fuori della Messa. 3.7.5 Processioni eucaristiche Non si trascuri, soprattutto nella Solennità del Corpus Domini, la processione del Santissimo Sacramento per le vie del paese. È preferibile che si faccia immediatamente dopo la Messa, nella quale viene consacrata l’Ostia da portare in processione; nulla vieta però che la processione si svolga a coronamento di un’adorazione pubblica e prolungata, fatta dopo la Messa81. La processione si apre, come di consueto, con la croce, che però non viene preceduta dall’incenso. Nelle processioni eucaristiche, infatti, è consuetudine usare due turiboli fumiganti che si posizionano subito davanti al Santissimo Sacramento. «Nella processione del Corpus Domini sia un ministrante dell’altare 80 Rituale Romano, Rito del Culto eucaristico fuori della Messa e Culto Eucaristico, 97. 81 Cfr RCE, 103; CJC, can. 944 § 1.

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ad assistere il sacerdote nel portare l’ombrello vicino al Santissimo Sacramento»82. Alla processione, se sono presenti più sacerdoti, tutti indosseranno la stola bianca. È bene programmare, a seconda dei luoghi, delle soste durante le quali proporre una lettura del brano del Vangelo, un breve commento, una pausa di riflessione, preghiere varie, evitando la benedizione ad ogni sosta. Durante il percorso si possono eseguire dei canti adatti intervallati da invocazioni e preghiere. La processione si conclude in chiesa con la solenne benedizione eucaristica. 3.8 Statio Quaresimale Nel tempo di Quaresima, in ogni parrocchia o a livello foraniale, si abbia cura di celebrare la Statio Quaresimale, possibilmente nel giorno di Domenica. All’orario stabilito, i fedeli si radunano in una chiesa secondaria (o altro luogo adatto) per un breve momento di preghiera, che prevede il segno di croce, il saluto del celebrante, una breve monizione in cui si esplicita il senso della celebrazione, un’orazione, un breve brano biblico. Si conclude con l’invito: “Avviamoci in pace”, dando inizio alla processione verso la chiesa parrocchiale dove sarà celebrata l’Eucaristia. Durante la processione si cantano le litanie dei santi, che possono essere prese dal Benedizionale. La Statio può consistere anche nella celebrazione di una parte della liturgia delle ore. 3.9 Triduo pasquale Il 16 gennaio 1988 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per meglio aiutarci a preparare e celebrare il Triduo pasquale, inviò una lettera circolare dal titolo Paschalis Sollemnitatis. Con questo documento la Congregazione ha voluto richiamare la centralità del Mistero Pasquale e la necessità che lo si viva nella veri82 A. SPINILLO, Norme per la celebrazione delle feste religiose proprie delle parrocchie, in Bollettino Diocesano. Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia, 1 (2010) 95.

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tà dei segni in spirito di piena comunione. La celebrazione del Triduo Pasquale va fatta solo nella Chiesa Parrocchiale. Le celebrazioni non potranno essere distribuite in diverse chiese, contraddirebbe l’unità del mistero che si celebra. Pertanto sono vietate le celebrazioni in rettorie, cappelle, istituti religiosi e quant’altro. Eventuali deroghe vanno esplicitamente richieste al Vescovo che ne valuterà caso per caso l’opportunità. La Messa della Cena del Signore si celebra all’altare consueto della Chiesa; è espressamente vietato disporre “tavoli-altari” diversi83. Non si disponga né accanto all’altare, né in presbiterio tantomeno in mezzo alla chiesa, una tavola su cui disporre il pane e il vino o altri elementi dell’ultima cena; ciò rappresenta una distrazione e una inutile ripetizione della centralità della mensa eucaristica. Inoltre, l’altare della reposizione sia un altare, nel cui tabernacolo conservare la Santissima Eucaristia; pertanto non è corretto portare l’Eucaristia in un apparato scenografico che, pur essendo ricco di simbolismi con significato più o meno religioso, si discosta dal senso autentico di questo momento. 3.10 Celebrazioni in lingua latina È data la possibilità, consultato l’Ordinario diocesano tramite l’Ufficio Liturgico, di celebrare in lingua latina con il Messale Romano84, terza edizione tipica del 2002. Qualora un congruo gruppo di fedeli richieda al parroco la celebrazione della Messa secondo il Messale di Pio V, nella edizione del 1962 rivista da San Giovanni XXIII, questi si rivolga all’Ufficio Liturgico Diocesano, che verificherà la congruità delle motivazioni alle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Il parroco che ha presentato la richiesta si atterrà alle indicazioni ricevute.

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Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, in Notitiae, vol. 38 (2002) 492. 84 Missale Romanum, ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica tertia emendata, Città del Vaticano 2008.

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Bottega Campana, Noli me tangere, inizio XVI sec. Teggiano, Chiesa della SS. Pietà


CAPITOLO III I SACRAMENTI DI GUARIGIONE Con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, la persona riceve la vita nuova in Cristo; tuttavia gli uomini sono deboli, simili a “vasi di creta” (2 Cor 4,7). Sino a quando l’uomo rimane sulla terra è ancora sottomesso alla malattia, alla sofferenza e anche alla morte e, a causa del peccato, l’uomo può giungere al punto di perdere la vita nuova di figlio di Dio. Per questo Gesù, che è medico dell’anima e del corpo, ha istituito i sacramenti della Penitenza e dell’Unzione degli infermi. 1. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione «Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come “la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta” (cfr. Tertulliano, De paenitentia, 4, 2)» (CCC 1446). ***

Indicazioni liturgico-pastorali Il sacerdote, accogliendo il penitente con fraterna carità e invitandolo alla fiducia in Dio, svolge un compito paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre e impersona l’immagine di Cristo, buon Pastore e medico delle nostre anime ed esercita con saggezza il compito di giudice. Bisogna ricordare che tutto ciò viene manifestato non solo con le parole, ma anche con gli atteggiamenti e soprattutto con una dignitosa celebrazione del sacramento, evitando frettolosità e superficialità85. 85 Cfr Rituale Romano, Rito della Penitenza, 10.16; cfr CCC, 1461-1467.

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Il Sacramento della Riconciliazione deve prendere l’avvio dalla Parola di Dio, la quale illumina il fedele per conoscere i suoi peccati, lo chiama alla conversione e gli infonde fiducia nella misericordia di Dio86. Anche nel rito della Riconciliazione di singoli penitenti non deve mai mancare la lettura della Parola di Dio, o nella celebrazione stessa del Sacramento, o - da parte del penitente - nel momento della preparazione. Attraverso i gesti e il dialogo tra penitente e sacerdote, poi, si deve manifestare la dimensione ecclesiale del Sacramento. Per evidenziare l’aspetto ecclesiale del peccato e della riconciliazione, vengano predisposte celebrazioni comunitarie della Penitenza con confessioni ed assoluzioni individuali, a scadenze ordinarie, soprattutto in Avvento e Quaresima e in occasione di feste patronali, e in altre occasioni significative. Per tali celebrazioni ci si attenga alle norme definite dal Rito della Penitenza. La confessione individuale è un bisogno e un diritto dei fedeli. I sacerdoti, pertanto, siano sempre disponibili per le confessioni individuali e celebrino questo sacramento in modo «diligente, regolare, paziente e fervoroso»87. Per garantire maggiore serenità e libertà dei penitenti, i parroci invitino anche altri sacerdoti a confessare nelle loro chiese, soprattutto in Quaresima e in occasione di Quarantore e feste patronali. Si abbia cura di celebrare questo sacramento attenendosi fedelmente alle norme del Rito della Penitenza, osservando in particolare il gesto dell’imposizione delle mani sul capo del penitente e la completa formula di assoluzione. Trattandosi di una celebrazione sacramentale, è opportuno che il sacerdote indossi gli abiti liturgici propri (camice o cotta e stola viola). In ogni chiesa ci sia un luogo riservato all’ascolto delle confessioni individuali. È da preferire il confessionale. Ove non fosse possibile l’utilizzo di quest’ultimo, si provveda a predisporre un luogo adatto, riservato, silenzioso, in cui accogliere i penitenti. Durante la celebrazione delle messe, non sia celebrato il sacramento della Riconciliazione, per il quale devono essere stabiliti altri e op86 Cfr RP, 17.22.24; cfr CCC, 1454, 1780. 87 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984) 31.

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portuni tempi. Dove esigenze pastorali lo richiedano, tuttavia è consentito che dei sacerdoti non concelebranti ascoltino le confessioni dei fedeli che lo desiderino, anche mentre si celebra la Messa nello stesso luogo, per venire incontro alle necessità dei fedeli. Ciò tuttavia si svolga nella maniera opportuna88. Il confessore che ritenga di porre domande al penitente, lo faccia “con prudenza e discrezione”89, preoccupandosi maggiormente di suscitare il pentimento con l’annuncio del Vangelo della misericordia. Nelle valutazioni teologico-morali il confessore si attenga fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme date dalla competente autorità: egli parla come ministro della Chiesa e non a nome proprio90. I fedeli che abbiano procurato o consigliato l’aborto e quelli che hanno scritto e diffuso lettere anonime ledendo l’onorabilità e la dignità altrui, incorrono nella scomunica latae sententiae. L’assoluzione di tali peccati è riservata al Vescovo91. 1.1 La Prima Confessione Nell’anno che precede la Prima Comunione, i bambini celebrino per la prima volta il Sacramento della Confessione nel tempo di Quaresima, in una liturgia penitenziale possibilmente interparrocchiale. Tale celebrazione sia debitamente curata, anche per il riflesso psicologico che può avere su tutta la vita religiosa dei fanciulli, perché la sentano propria e possano parteciparvi con gioioso impegno, senza ansietà e indebiti timori. 1.2 Le indulgenze Il dono dell’indulgenza manifesta la pienezza della misericordia di Dio, che viene espressa in primo luogo nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione. Questa antica pratica, circa la quale non sono mancate incomprensioni storiche, va bene compresa ed accolta. La riconciliazione con Dio, pur essendo dono della misericordia di Dio, implica un processo in cui l’uomo è coinvolto nel suo impegno 88 Cfr Redemptionis Sacramentum, 76. 89 Cfr CJC can. 979. 90 Cfr CJC can. 978. 91 Cfr A. SPINILLO, Provvedimenti canonici, in Bollettino Diocesano. Organo uffi-

ciale per gli atti del Vescovo e della Curia, 1 (2000), 74.

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personale e la Chiesa nel suo compito sacramentale. Il cammino di riconciliazione ha il suo centro nel sacramento della Penitenza, ma anche dopo il perdono del peccato, ottenuto mediante tale sacramento, l’essere umano rimane segnato da quei “residui” che non lo rendono totalmente aperto alla grazia ed ha bisogno di purificazione e di quel rinnovamento totale dell’uomo in virtù della grazia di Cristo, per ottenere il quale, il dono dell’indulgenza gli è grandemente di aiuto. Per indulgenza si intende «la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi»92. «L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Ogni fedele può lucrare per se stesso o applicare ai defunti a modo di suffragio indulgenze sia parziali sia plenarie»93. Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera indulgenziata94 e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica, preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice. Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale. Se manca la piena disposizione o non sono poste le tre condizioni, l’indulgenza è solo parziale.

92 PAOLO VI, Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina (1 gennaio 1967),

Normae 1; cfr CCC, 1471; cfr CJC, can. 992. 93 CJC, cann. 993-994. 94 Per conoscere le opere indulgenziate, consultare Enchiridion indulgentiarum, Libreria Editrice Vaticana, 1999.

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2. Il sacramento dell’Unzione degli infermi «Con la sacra Unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio» (LG 11). ***

Indicazioni liturgico-pastorali Tale sacramento è per la vita e la guarigione, non è, quindi, da intendersi come “estrema” unzione, quasi come rito preparatorio alla morte. Si esortino i fedeli ad avvisare in tempo opportuno il parroco, affinché possa amministrare il sacramento dell’unzione ad un ammalato che ne abbia bisogno (possibilmente ancora cosciente), per pregare per la sua salute. Ministro proprio dell’Unzione degli infermi è il sacerdote soltanto. I vescovi, i parroci e i loro cooperatori, i cappellani di ospedali o di case di riposo e i superiori delle comunità religiose clericali, esercitano in via ordinaria questo ministero. È loro compito e loro dovere, con la cooperazione di religiosi e di laici, preparare al sacramento i malati e coloro che li assistono, e conferire poi ai malati stessi l’Unzione. Spetta all’Ordinario del luogo regolare eventuali celebrazioni comunitarie per il conferimento dell’Unzione a malati provenienti da varie parrocchie o da ospedali diversi. Gli altri sacerdoti possono conferire l’Unzione con l’assenso del parroco o del cappellano. In caso di necessità, basta l’assenso presunto, con l’obbligo però di informarli95. Per la celebrazione del sacramento, i parroci usino il rituale proprio del Sacramento dell’unzione e la cura pastorale degli infermi, con l’olio benedetto dal Vescovo durante la Messa crismale, indossando 95 Cfr Rituale Romano, Sacramento dell’Unzione e Cura Pastorale degli Infermi, 16-18.

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la stola bianca. Il rito non sia celebrato in modo approssimativo, ma in un contesto di preghiera con l’attiva partecipazione dei familiari e di quanti si prendono cura dell’ammalato. Il celebrante osservi con attenzione soprattutto i tre gesti che caratterizzano questo sacramento: l’imposizione delle mani sul capo dell’ammalato fatta in silenzio, per invocare la forza e la consolazione dello Spirito Santi; l’unzione con l’olio benedetto sulla fronte e sulle palme delle mani (ai sacerdoti sul dorso delle mani); la preghiera di intercessione della Chiesa per chiedere sollievo corporale e spirituale dell’ammalato. In occasioni particolari, quali ad esempio Giornate dell’ammalato, Missioni popolari, Feste patronali, ecc., si consigliano celebrazioni comunitarie del sacramento dell’Unzione degli infermi. In tali circostanze, il parroco è tenuto a valutare in precedenza l’opportunità di ammettere al Sacramento quanti ne facciano richiesta, preparando i fedeli alla celebrazione con un’accurata catechesi. Il parroco faccia attenzione affinché non divenga una mera celebrazione per anziani.

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Bottega Napoletana, Porticina di Tabernacolo con Pellicano, prima metà XX sec. Policastro Bussentino, Museo Diocesano


CAPITOLO IV I SACRAMENTI A SERVIZIO DELLA COMUNIONE E DELLA MISSIONE I sacramenti al servizio della comunione e della missione sono il sacramento dell’Ordine e quello del Matrimonio. Essi conferiscono una grazia speciale affinché chi la riceve possa dedicarsi a una missione particolare nella Chiesa contribuendo in modo singolare alla comunione della Chiesa e alla salvezza degli altri. 1. Il sacramento dell’Ordine «L’Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l’Episcopato, il presbiterato e il diaconato» (CCC 1536). «Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale – vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito –, il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. È uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell’Ordine» (CCC 1547). *** Indicazioni liturgico-pastorali La celebrazione del sacramento dell’Ordine, presieduta dal Vescovo, si compia normalmente nella Chiesa Cattedrale, come segno dell’unità della chiesa locale. A giudizio del Vescovo, si può scegliere anche altro luogo idoneo, come ad esempio la parrocchia di provenienza del candidato. Il Vescovo, in accordo con i candidati all’ordinazione ed i loro parroci, l’Ufficio Liturgico e il Collegio dei consultori, stabilisca la data dell’Ordinazione in giorno festivo, in modo da favorire la partecipa55


zione delle comunità di provenienza dei candidati e della comunità diocesana. Si eviti la celebrazione nel tempo di Quaresima. La liturgia risplenda per sobrietà e decoro e si eviti ogni spettacolarizzazione. Così è da osservare la massima sobrietà anche nella prima Celebrazione Eucaristica presieduta dai novelli sacerdoti. 1.1 I compiti del diacono durante la liturgia Il diacono porta il libro dei Vangeli. Assiste il sacerdote nella infusione dell’incenso nel turibolo e nella incensazione dell’altare. Durante la Liturgia della Parola proclama il Vangelo e propone le intenzioni della preghiera dei fedeli. Durante la Liturgia Eucaristica prepara l’altare con l’aiuto degli altri ministri. Sta accanto al sacerdote, aiuta a ricevere i doni del popolo, versa l’acqua nel calice e lo presenta al celebrante. Alla dossologia finale della Preghiera Eucaristica, tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la patena con l’ostia, finché il popolo non abbia acclamato l’Amen. Il diacono invita a darsi scambievolmente la pace. Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la comunione sotto le due specie; quindi aiuta il sacerdote a distribuire la comunione al popolo. Se la comunione viene data sotto le due specie, porge la pisside con le particole. Compiuta la distribuzione della comunione, il diacono compie la purificazione dei vasi sacri alla credenza. Dopo la benedizione del presidente, il diacono congeda il popolo con le parole rituali. Quindi, insieme col sacerdote, bacia l’altare in segno di venerazione e, fatta la debita riverenza, ritorna con lui in sacrestia. 1.2 I diaconi permanenti Al diaconato permanente possono essere chiamati uomini sposati oppure celibi. Il candidato al diaconato permanente, che non è sposato, non vi sia ammesso se non dopo aver compiuto almeno i venticinque anni di età e l’impegno di rimanere celibe per tutta la vita; colui che è sposato, se non dopo aver compiuto i trentacinque anni di età, e con il consenso della moglie. In caso di vedovanza non può passare a nuove nozze96, se non in presenza di alcune condizioni straordina96 Cfr CJC can. 1031 §2; can. 1087.

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rie97. Il candidato al diaconato permanente venga presentato dal proprio parroco al Vescovo, il quale, attraverso gli organismi diocesani, ne cura la formazione spirituale e culturale e - dopo l’ordinazione - ne determina il servizio nella pastorale diocesana.

97 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Lettera

circolare n. 26397 (6 giugno 1997).

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2. Il sacramento del Matrimonio «“L’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale [...]. Dio stesso è l’autore del matrimonio” (GS 48). La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore» (CCC 1603). Il Matrimonio è segno dell’amore di Dio per gli uomini manifestato nell’Incarnazione e dell’amore profondo che lega i due sposi. Come ogni scelta di vita, anche il Matrimonio ha come scopo principale la realizzazione nella santità degli uomini e delle donne che scelgono di vivere in questo stato. Per questo gli sposi devono maturare e santificarsi insieme. Le persone nel Matrimonio sono unite, ma non confuse. Esse, infatti, pur aiutandosi vicendevolmente devono comunque mantenere integra la loro libertà. *** Indicazioni liturgico-pastorali La preparazione al sacramento del Matrimonio avviene mediante incontri foraniali, coordinati dai vicari foranei ed i parroci, ai quali i fidanzati, che intendono contrarre matrimonio entro l’anno corrente, sono tenuti a partecipare. Gli incontri di preparazione al matrimonio non si riducano a un ciclo di lezioni o di conferenze, ma siano momenti di evangelizzazione e di catechesi e partano dalla realtà umana vissuta dai fidanzati, illuminandola e interpretandola con l’annuncio del Vangelo. Gli itinerari siano condotti con serietà di impostazione, di contenuto e di metodo; da parte dei presbiteri e delle coppie animatrici si creino le condizioni e un clima favorevole e si diffonda la testimonianza di quanti hanno già fatto questa esperienza. Durante gli incontri si presentino ai futuri sposi le indicazioni circa gli addobbi floreali e il servizio fotografico (vedi appendice n. 5, pag. 161). II parroco interessato conduca l’istruttoria matrimoniale secondo le prescrizioni canoniche. Particolare cura sia riservata all’esame dei 58


nubendi, il quale, di norma, suppone la conclusione dell’itinerario o corso per i fidanzati98. Il processetto matrimoniale deve essere istruito dal parroco o da un altro sacerdote della parrocchia (con colloquio separato tra i nubendi), mai da laici, trattandosi non di un atto puramente burocratico, ma di un atto proprio del ministero, occasione di incontro, di dialogo e di comunione pastorale. Accanto agli itinerari comunitari, restano sempre necessari e insostituibili i colloqui con il proprio parroco, con il quale si avrà cura di preparare la celebrazione del Matrimonio. Il matrimonio sia celebrato nella parrocchia di appartenenza di uno dei nubendi. È espressamente proibita la celebrazione del matrimonio negli Oratori, nelle Cappelle private, gentilizie e nei locali di alberghi e ristoranti, e nei giardini. Quando si tratta di matrimonio concordatario (cioè che produce anche effetti civili), il sacerdote che accoglie il consenso degli sposi deve essere cittadino italiano99. Si eviti di celebrarlo nel giorno di Domenica. Il matrimonio che si voglia celebrare nel giorno di Domenica sia inserito nella messa principale della comunità, avendo cura che venga rispettata la puntualità dell’orario. Al di fuori della messa domenicale principale, il matrimonio sarà celebrato senza la messa. Per la celebrazione del Matrimonio ci si attiene al nuovo Rituale e al nuovo Lezionario. Si fa divieto di proporre in diocesi il rito dell’incoronazione e della velazione, non appartenendo alla nostra tradizione. È obbligatoria invece la memoria del battesimo che sostituisce l’atto penitenziale e la benedizione sugli sposi. Ordinariamente il Matrimonio avvenga durante la Celebrazione Eucaristica, per l’intimo legame che esiste tra i due sacramenti. Tuttavia, quando la scelta cristiana dei nubendi appare ancora incerta, o quando uno dei nubendi non è disposto ad accostarsi alla Comunione, si celebra il Rito del Matrimonio nella Liturgia della Parola. Se il matrimonio è celebrato tra un cattolico e un battezzato non cattolico, 98 Per l’istruttoria matrimoniale e la documentazione necessaria per la preparazione

del matrimonio, si rimanda all’appendice n. 2, pag. 122, di questo Direttorio. 99 Cfr Accordo di revisione del Concordato Lateranense (18 febbraio 1984), art. 3, § 3.

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o tra un cattolico e un non battezzato, si deve scegliere il rito della celebrazione del Matrimonio nella Liturgia della Parola100. Quando il matrimonio viene celebrato di Domenica, o in altre solennità dell’anno liturgico, si proclamano le letture proprie del giorno, usando anche il formulario della messa del giorno. Nella liturgia della Parola, le letture non devono essere proclamate dagli sposi stessi, in quanto sono proprio loro i primi destinatari a cui si rivolge la Parola di Dio. Non è consentita la lettura dialogata delle letture. È assolutamente vietato sostituire le letture con testi diversi dalle Sacre Scritture. Durante la liturgia, gli sposi restino al proprio posto: non è consentito che salgano all’altare accanto al sacerdote e che si comunichino da soli. Quando la celebrazione del Matrimonio avviene nella Messa, colui che presiede riceve il consenso e benedice gli sposi. Questo non è consentito ad altro sacerdote presente al sacro rito. Il diacono presiede solo il rito celebrato con la Liturgia della Parola. Prima dei riti di conclusione si leggono gli articoli del Codice Civile e, dopo la celebrazione, si dà lettura dell’Atto di matrimonio. Quindi gli sposi, i testimoni e il sacerdote o il diacono lo sottoscrivono: le firme possono essere apposte sia davanti al popolo, predisponendo un piccolo tavolo, sia in sacrestia; mai però sull’altare101. Si inviteranno i nubendi, specie le spose, nel giorno delle nozze ad un abbigliamento decoroso e sobrio. Tale invito va esteso anche agli invitati. II parroco abbia cura di notificare l’avvenuta celebrazione del matrimonio alla parrocchia di battesimo degli sposi. Gli inginocchiatoi degli sposi siano collocati fuori dal presbiterio in prossimità dell’assemblea liturgica. È sempre proibito addobbare con elementi scenografici che non richiamino la celebrazione e il senso del sacramento. Il parroco vigili perché l’addobbo resti nei limiti della sobrietà e del decoro, attenendosi a quanto previsto nel documento “Il servizio dei fotografi e dei fioristi nelle Celebrazioni Liturgiche” (vedi appendice n. 5, pag. 161). Le musiche e i canti siano di aiuto a vivere il mistero che viene cele100 Cfr Rituale Romano, Rito del Matrimonio, 29. 101 Cfr RM 94.

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brato e favoriscano la preghiera e la partecipazione di tutti. Non siano occasione di distrazione o di esibizionismo per singole persone. I brani musicali siano scelti dal vasto repertorio della musica sacra e concordati con il parroco. Il suono e il canto devono aver luogo soltanto nei momenti consentiti dalla celebrazione. Sono ammessi i canti della comunità orante ispirati al mistero celebrato. La musica riprodotta, non essendo espressione viva della comunità orante, non può essere ammessa. Si evitino di introdurre nella celebrazione elementi di carattere profano. Pertanto musiche o canti non composte per la celebrazione liturgica, se proprio sono richieste, siano collocate solo dopo i riti di conclusione. Per il resto ci si attenga al Repertorio nazionale: Canti per la Liturgia. Durante la Preghiera eucaristica non si sovrapponga il canto o la musica. Le riprese foto-cinematografiche sono consentite solo all’entrata in Chiesa degli sposi, durante la memoria del battesimo, al momento del consenso, dello scambio degli anelli, durante la benedizione nuziale, alla Comunione, alla firma dell’atto di matrimonio e all’uscita dalla Chiesa. Sono, invece, assolutamente vietate al momento della proclamazione della Parola di Dio, della Consacrazione, del dopo Comunione. Si evitino luci fisse di alto potenziale, camere fisse per riprese o altri strumenti analoghi. In particolar modo non è assolutamente consentito l’uso di droni all’interno della chiesa. Questo ingenera infatti non poco disagio e confusione nei fedeli e la riduzione della celebrazione ad una sorta di “spettacolo”. Il posizionamento e l’utilizzo di attrezzature tecniche andranno comunque concordate preventivamente. Ci si attenga sempre a quanto previsto nel documento “Il servizio dei fotografi e dei fioristi nelle Celebrazioni Liturgiche” (vedi appendice n. 5, pag. 161). Si educhino gli sposi nel giorno del matrimonio a rispondere generosamente alle varie necessità della comunità cristiana (in tal senso sia vissuta anche la consuetudine di dare una libera offerta alla parrocchia) e a fare delle loro nozze un’occasione di carità verso i più bisognosi, mediante gesti di attenzione e di condivisione con i fratelli più poveri, per qualche ammalato, per chi è più abbandonato.

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Peccheneda Nicola, Transito di S. Giuseppe, 1760, Polla, Chiesa Parrocchiale S. Nicola dei latini


CAPITOLO V I SACRAMENTALI Accanto ai sacramenti, «la santa madre Chiesa ha inoltre istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, ad imitazione dei sacramenti, sono significati, e vengono ottenuti per intercessione della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita»102. 1. Benedizioni «Origine e fonte di ogni benedizione è Dio, benedetto nei secoli, che è al di sopra di tutte le cose, lui solo è buono e ha fatto bene ogni cosa, per colmare di benedizioni tutte le sue creature, e sempre, anche dopo la caduta dell’uomo, ha continuato a effonderle in segno del suo amore misericordioso»103. «Tutte le benedizioni sono anzitutto e principalmente rivolte a Dio, di cui esaltano la grandezza e la bontà, ma poiché comunicano i benefici divini, si riferiscono anche agli uomini, che Dio sostiene e protegge con la sua provvidenza; e non escludono nemmeno le cose create, perché la loro molteplice varietà costituisce per l’uomo una benedizione di Dio»104. Quando Dio benedice, viene assicurato il suo aiuto, annunziata la sua grazia, proclamata la sua fedeltà. Quando sono gli uomini a benedire, essi lodano Dio, gli rendono grazie e proclamano la sua bontà e misericordia. Quando, infine, gli uomini benedicono gli altri, invocano l’aiuto di Dio sui singoli e su coloro che sono riuniti in assemblea105. La Chiesa vuole che la celebrazione delle Benedizioni torni veramente a lode ed esaltazione di Dio, sia ordinata al profitto spirituale del suo popolo e contribuisca a santificare le varie circostanze della vita106. Pertanto, di fronte alla richiesta di Benedizioni, si abbia cura di vagliarne le motivazioni e le modalità in base a criteri pastoral102 Sacrosanctum Concilum 60. 103 Rituale Romano, Benedizionale, 1. 104 Benedizionale, 7. 105 Cfr Benedizionale, 6. 106 Cfr Benedizionale, 8-11.

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mente validi. Talvolta la Chiesa benedice anche le cose ed i luoghi che si riferiscono all’attività umana, alla vita liturgica, alla pietà e alla devozione, sempre però tenendo presenti gli uomini che usano quelle determinate cose ed operano in quei determinati luoghi107. Le Benedizioni sono azioni liturgiche della Chiesa; pertanto la loro celebrazione, per quanto è possibile, avvenga in ambito comunitario. Nella celebrazione delle Benedizioni si valorizzino e si rispettino i vari ministeri, ricordando che il ministro della benedizione può essere il Vescovo, il presbitero o il diacono ma, in alcuni casi e nelle modalità previste dal rito, anche un laico108. Tutte le benedizioni devono risultare composte di questi due irrinunciabili elementi strutturali109: a. la Parola di Dio, da cui attinge senso ed efficacia la benedizione; b. la preghiera di lode per la bontà di Dio e l’implorazione del suo aiuto. «I segni visibili che spesso accompagnano le orazioni hanno specialmente lo scopo di richiamare alla mente le azioni salvifiche del Signore, di mettere in rilievo una specifica connessione con i più importanti Sacramenti della Chiesa, di alimentare quindi la fede dei presenti e suscitare in loro una attenta partecipazione al rito»110. «I segni più usuali sono quelli di estendere o innalzare o congiungere o imporre le mani; il segno di croce; l’aspersione dell’acqua benedetta e l’incensazione»111. «Di norma non è lecito impartire una benedizione di cose e di luoghi con il solo segno esterno, senza ricorso alcuno alla parola di Dio o a una formula di preghiera: questo per rendere più attiva la partecipazione ed evitare il pericolo di superstizione»112. Un’intelligente e sensibile rivalutazione delle Benedizioni lascia agevolmente intravedere le circostanze nelle quali si possono celebrare. Laddove è richiesto un intervento religioso non tale da giusti107 Cfr Benedizionale, 12. 108 Cfr Benedizionale, 18.24. 109 Cfr Benedizionale, 20-24. 110 Benedizionale, 25. 111 Benedizionale, 26. 112 Benedizionale, 27.

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ficare la celebrazione di sacramenti è ragionevole prendere in considerazione l’opportunità della Benedizione; anche per non cadere in un uso inflazionato di celebrazioni eucaristiche. Tuttavia, non è consentito impartire una benedizione a situazioni irregolari, come ad esempio coppie di fatto, conviventi, sposati o risposati civilmente, che sovente chiedono la benedizione degli anelli. Per ogni forma di benedizione si segua unicamente il rito proposto dal Benedizionale.

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2. Gli esorcismi Tra i sacramentali va annoverato anche l’esorcismo. Il Catechismo della Chiesa cattolica113 distingue una forma semplice di esorcismo, praticato durante la celebrazione del Battesimo, e l’esorcismo solenne o “grande esorcismo” che, a norma del diritto, può essere praticato solo dal presbitero che «che per la sua pietà, scienza, prudenza e integrità di vita sia ritenuto dall’Ordinario idoneo a tale ministero e da lui espressamente autorizzato ad esercitarlo»114. Connesso con la prassi degli esorcismi c’è il problema del fenomeno sempre più diffuso del ricorso a pratiche superstiziose, magiche e demonologiche, la cui soluzione deve essere affrontata con atteggiamenti di equilibrio e serenità ispirati ad una fede adulta e matura. Al riguardo si tengano presenti le seguenti indicazioni teologicopastorali: - Gesù Cristo ha vinto il peccato e il demonio; - la forza salvifica di Cristo presente e operante nella Chiesa trova il suo vertice nei Sacramenti; - l’influsso più deleterio esercitato dal demonio sull’uomo si ha nel peccato, non nella possessione, la quale, quand’ anche reale, non tocca la libertà interiore della persona; - contro l’influsso demoniaco l’esorcismo non è il primo, ancor meno il più valido rimedio, che va ricercato invece nella serenità della vita spirituale, nella fraternità della comunità ecclesiale, nell’assiduità della vita sacramentale; - le persone che ritengono di essere possedute dal demonio vanno accolte con amore e aiutate pazientemente a riprendere fiducia nella forza di Cristo risorto e vittorioso, dal cui amore niente e nessuno le può separare, se non la loro volontà; - eventuali esorcisti incaricati dal Vescovo devono evitare ogni spettacolarità e tutto ciò che può favorire la suggestione ed altre insidie di ordine psichico. «Il sacerdote esorcista procederà alla celebrazione dell’esorcismo nella forma imperativa solo dopo aver raggiunto la certezza morale sulla reale possessione diabolica del soggetto. Nel discernimento si 113 Cfr CCC, 1673. 114 Rituale Romano, Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari, 11; Cfr CJC, can. 1172.

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servirà innanzitutto di criteri tradizionalmente seguiti per individuare i casi di possessione diabolica e potrà avvalersi del confronto con sacerdoti esorcisti di consolidata esperienza e, in alcuni casi, della consulenza di persone esperte di medicina e di psichiatria. Di fronte a disturbi psichici o fisici di difficile interpretazione il sacerdote non procederà al Rito dell’esorcismo maggiore, ma accoglierà ugualmente le persone sofferenti con carità, le raccomanderà al Signore e le inviterà a servirsi delle preghiere previste dal «Rito degli esorcismi» per l’uso privato»115. 2.1 Attenzioni pastorali «L’attuale diffusione delle manifestazioni superstiziose, della magia e del satanismo richiede una certa sollecitudine pastorale, a tener desta la quale può contribuire la pubblicazione e l’uso adeguato del Rito stesso. A questo riguardo è necessario da parte dei pastori d’anime: - richiamare, con sapienza e prudenza, i fedeli a non ricercare il sensazionale e ad evitare sia la stolta credulità che vede interventi diabolici in ogni anomalia e difficoltà, sia il razionalismo preconcetto che esclude a priori qualsiasi forma di intervento del Maligno nel mondo; - mettere in guardia i fedeli nei confronti di libri, programmi televisivi, informazioni dei mezzi di comunicazione che a scopo di lucro sfruttano il diffuso interesse per fenomeni insoliti o malsani; - esortare i fedeli a non ricorrere mai a coloro che praticano la magia o si professano detentori di poteri occulti o medianici o presumono di aver ricevuto poteri particolari. Nel dubbio circa la presenza di un influsso diabolico è necessario rivolgersi prima di tutto al discernimento dei sacerdoti esorcisti e ai sostegni di grazia offerti dalla Chiesa soprattutto nei Sacramenti; - presentare il significato autentico del linguaggio usato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione e far maturare nei cristiani un atteggiamento corretto riguardo alla presenza e all’azione di Satana nel mondo; - ricordare nella catechesi e nella predicazione che la superstizio115 Rito degli esorcismi, 12.

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ne, la magia e, a maggior ragione, il satanismo sono contrari alla dignità e razionalità dell’uomo e alla fede in Dio Padre onnipotente e in Gesù Cristo nostro Salvatore»116.

116 Rito degli esorcismi, 8.

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3. Esequie Per celebrare le esequie si segua il nuovo Rito117, sfruttandone l’arricchimento eucologico e biblico. In particolare, si curi la visita alle famiglie in lutto e la veglia di preghiera in casa del defunto, dando anche a parenti e amici la possibilità di confessarsi. Per uno stile di semplicità e di uniformità, non vengano apposti drappi funebri né all’ingresso né all’interno della chiesa. La Messa esequiale «è proibita soltanto nel Triduo sacro, nelle solennità di precetto e nelle domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua»118. Quando la Messa esequiale non è permessa, si celebri la Messa del giorno. Nelle Domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, si può prendere una lettura tra quelle indicate nel lezionario dei defunti (cfr. Rescritto della S. Congregazione per il Culto divino, 18 settembre 1974 - Prot. n. 2036/74). Quando si celebrano le esequie in una Domenica del Tempo Ordinario, è consigliabile mantenere le letture della liturgia festiva, specie quando il loro contenuto illumina il mistero della sofferenza e del dolore e fa risaltare la luce pasquale della morte e risurrezione del Signore. Dal Giovedì Santo e per tutto il Triduo pasquale è proibita la Messa esequiale. In questi giorni va usato il rito della celebrazione esequiale senza la Messa. Il Venerdì Santo e il Sabato Santo eventuali liturgie esequiali si tengano senza alcuna solennità, senza canto, senza suono dell’organo e delle campane, in un’ora che non si sovrapponga alle celebrazioni del Triduo. Si celebri una liturgia della Parola con omelia e preghiera dei fedeli cui seguirà il rito del Commiato. Le vesti liturgiche (in questo caso piviale e stola o solamente la stola) sono di colore violaceo. In nessuno di questi giorni si può distribuire la Comunione nella celebrazione esequiale. Si fa divieto di utilizzare carrelli o catafalchi per poggiarvi la cassa contenente la salma del defunto che verrà poggiata sulla nuda terra o su un tappeto dignitosamente predisposto con a fianco il cero pasquale. Sopra il feretro si può posare il Vangelo, o la Bibbia, o una croce. È vietato apporre fotografie del defunto sulla bara, sugli scalini del 117 Rituale Romano, Rito delle esequie, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria

Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. 118 RE, Premesse generali, 6.

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presbiterio e soprattutto sull’altare. Lo stesso valga per altri oggetti non consoni alla liturgia. Si eviti di far sostare le salme in chiesa durante la notte. Nel caso che la salma provenga da fuori parrocchia, è consentito farla giungere in chiesa qualche ora prima della celebrazione esequiale. L’orario delle esequie sia concordato con il parroco. Per l’annuncio della morte attraverso i manifesti, è bene educare i cristiani ad usare espressioni rispondenti alla nostra fede: parole capaci di mettere in evidenza, insieme al dolore, anche la speranza cristiana nella resurrezione. Inoltre, non vengano stampate sui manifesti le immagini della Madonna o dei Santi, preferendo quella del Cristo, per sottolineare la nostra fede in Colui che salva dalla morte. Viene ribadita la raccomandazione di tenere l’omelia sul mistero pasquale. Infatti, «le esequie cristiane costituiscono una situazione particolarmente favorevole per annunciare la morte e la risurrezione del Signore non solo ai credenti, ma anche a coloro che non credono»119. Pertanto, «si eviti la forma e lo stile dell’elogio funebre»120. Non è consentito sostituire l’omelia con pensieri o scritti del defunto. Durante la celebrazione siano raccolte le offerte, in suffragio del defunto, per sostenere la carità in favore dei poveri. Tale gesto significa la partecipazione concreta dei fedeli, i quali sono chiamati, in questo modo, a trasformare la loro preghiera in carità, suffragando con l’elemosina l’anima del defunto121. La celebrazione funebre sia con il canto. La salma venga non solo aspersa, ma anche incensata. Al termine della celebrazione, ma non dall’ambone (che è riservato alla proclamazione della Parola di Dio e anche all’omelia e alla preghiera dei fedeli), si potrà consentire la lettura di un testo con «brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto»122, opportunamente concordato col parroco prima della celebrazione in modo che corrisponda al senso cristiano della celebrazione esequiale. Ogni altra commemorazione civile si terrà fuori della chiesa. «Si eviti il ricorso a immagini o a testi registrati, come pure l’esecu119 RE, Presentazione, 6. 120 RE, 70. 76. 121 Cfr 2 Mac 12, 43-46.

122

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RE, Precisazioni, pag. 30.


zione di musiche o canti estranei alla liturgia»123. La celebrazione si conclude sempre con la benedizione. Il rito funebre si conclude in chiesa e non prevede il corteo al cimitero con l’accompagnamento del sacerdote. Nel caso di esequie dei bambini battezzati, il colore liturgico sia bianco e il suono delle campane a festa. Per la celebrazione si segua il Rito delle Esequie (nuova edizione in uso dal 2012). Si educhino i fedeli a non fare spreco di fiori, ma piuttosto a coltivare la pia e meritevole pratica di offrire la celebrazione della Santa Messa in suffragio dei defunti. 3.1 Esequie di un sacerdote In caso di malattia, il sacerdote, offrendo esempio al proprio popolo, riceva i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, e, nel caso che la malattia sia grave, anche il sacramento dell’Unzione degli infermi. Quando poi sia vicino alla morte e ne sia consapevole, chieda e riceva il santo viatico. Stia a cuore al presbiterio e ai fedeli prestare assistenza spirituale al sacerdote durante l’agonia, soprattutto pregando per lui. Non appena il sacerdote è spirato, si dicano le preghiere prescritte. Si dia tempestivamente notizia del decesso a tutti i sacerdoti della diocesi, attraverso il Vicario Generale ed i Vicari foranei. Il defunto venga rivestito degli abiti sacerdotali: la veste talare, l’amitto, il camice, il cingolo, stola e casula. Può essere rivestito anche soltanto con l’abito talare, la cotta e la stola. Si può mantenere la consuetudine di porre tra le mani del defunto un calice, che potrà essere tolto alla chiusura della bara. Per permettere ai fedeli di visitare il sacerdote defunto e pregare per lui, il feretro sia trasferito nella chiesa dove saranno celebrate le esequie. Il defunto sia collocato davanti all’altare, nella posizione che gli era abituale nell’assemblea liturgica, quindi rivolto verso il popolo. Sopra il feretro si può posare il Vangelo e una stola. Accanto ad esso sia acceso il cero pasquale. Le esequie siano presiedute dal Vescovo o dal Vicario Generale, e concelebrate dai confratelli sacerdoti. Coloro i quali saranno impediti ad essere presenti, hanno l’obbligo di celebrare per il confratello de123 Ibid.

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funto una santa Messa in suffragio, dandone comunicazione alla Curia.

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Valitutti M. (1633-1707), Madonna Assunta, Sant’Angelo a Fasanella, Chiesa Parrocchiale S. Maria Maggiore


CAPITOLO VI MINISTERI ISTITUITI I ministeri istituiti non nascono dal sacramento dell’Ordine, ma sono appunto istituiti dalla Chiesa sulla base dell’attitudine che i fedeli hanno, in forza del Battesimo, a farsi carico di speciali compiti e mansioni nella comunità124. I ministeri istituiti costituiscono una grazia, ossia un dono che lo Spirito Santo concede per il bene della Chiesa; e comportano pure, per quanti li assumono, una grazia, non sacramentale, ma invocata e meritata dall’intercessione e dalla benedizione della Chiesa125. I ministeri attualmente istituiti dopo il Concilio, sono due: il lettorato e l’accolitato. Fanno riferimento al testo sacro e all’altare, ossia alla proclamazione della Parola di Dio e al servizio alla mensa eucaristica e di conseguenza alla carità. L’istituzione del lettore e dell’accolito, secondo la veneranda tradizione della Chiesa, è riservata agli uomini126. Il discernimento circa l’attitudine e l’avvenuta preparazione spirituale e qualificazione pastorale sarà compito del Vescovo; infatti, ogni candidato che intende accedere ai ministeri ne farà domanda al Vescovo, cui spetta l’accettazione. L’età conveniente per l’assunzione di questi due ministeri viene stabilita a ventuno anni. 1. Il lettore Il lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di proclamare la Parola di Dio nell’assemblea liturgica (ma non il Vangelo). Suo compito è istruire i fedeli a ricevere degnamente i Sacramenti; curare la preparazione di coloro che, per incarico temporaneo, devono proclamare la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche; impegnarsi nell’organizzazione dell’attività evangelizzatrice e catechetica. Nei riti iniziali il lettore può, in assenza del diacono, portare il libro dei Vangeli; in tal caso, procede davanti al sacerdote, altrimenti in124 Cfr CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Documento pastorale Evangelizzazione e

ministeri (15 agosto 1977), 62. 125 Cfr Evangelizzazione e ministeri, 62. 126 Cfr CJC can. 230, §1.

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cede con gli altri ministri. Giunto all’altare, fa con il sacerdote la riverenza o la genuflessione, depone il libro dei Vangeli sulla mensa e occupa il posto a lui riservato in presbiterio con gli altri ministri. Durante la liturgia della Parola, proclama all’ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza del salmista, può anche proclamare il salmo responsoriale dopo la prima lettura. In assenza del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote, il lettore può suggerire le intenzioni della preghiera universale. 2. L’accolito L’accolito è istituito per aiutare il diacono e per fare da ministro al sacerdote nelle azioni liturgiche. È suo compito curare il servizio dell’altare, specialmente nella celebrazione della S. Messa; distribuire, come ministro straordinario, la Santa Comunione tutte le volte che non vi siano sufficienti ministri ordinati; nelle medesime circostanze straordinarie, esporre pubblicamente all’adorazione dei fedeli il sacramento della SS.ma Eucaristia e poi riporlo, ma senza benedire il popolo; fuori della liturgia l’accolito deve essere il promotore dello spirito e della vita liturgica e, quindi, il responsabile della formazione liturgica della comunità (gruppo liturgico, ministranti). Nel rito di ingresso, l’accolito può portare la croce, affiancato da due ministranti con i ceri accesi (se, ovviamente, vi sono più accoliti, saranno essi a portare anche i candelabri con i ceri). Giunto all’altare, depone la croce accanto ad esso e prende posto in presbiterio. Durante lo svolgimento di tutta la celebrazione, compete all’accolito di presentare al sacerdote o al diacono il libro (Messale, Orazionale, ecc.) onde aiutarli in tutto ciò che è necessario. Durante la Liturgia Eucaristica, in assenza del diacono, terminata la preghiera universale, mentre il sacerdote rimane alla sede, l’accolito dispone sull’altare il corporale, il purificatoio ed il messale. Quindi aiuta il sacerdote nel ricevere i doni del popolo e, secondo l’opportunità, porta all’altare il pane ed il vino presentandoli al sacerdote. Se si usa l’incenso, presenta il turibolo al sacerdote, e lo assiste poi nell’incensazione delle offerte e dell’altare. Può, come ministro straordinario, aiutare il sacerdote nella distribuzione della comunione al popolo. Terminata la distribuzione della 78


comunione, aiuta il sacerdote o il diacono a purificare e riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono, porta i vasi alla credenza ed ivi li purifica e li riordina. 3. I ministri straordinari della comunione Nel contesto del rinnovamento biblico, liturgico e pastorale riguardante l’Eucaristia si inserisce anche il ministero straordinario della comunione e di conseguenza il suo esercizio nella Chiesa del nostro tempo. Questo esercizio, infatti, è un’ulteriore prova della sollecitudine della Chiesa nei confronti di tutti i fedeli, e soprattutto dei malati, degli anziani e di quanti sono impediti a partecipare alla Messa, per consentire più facilmente, anche ad essi, di prendere parte pienamente al sacrificio di Cristo e ai suoi frutti salvifici con la comunione127. Il servizio di ministro straordinario della comunione può essere esercitato: - durante la Messa, a motivo di grande affollamento dei fedeli, o per qualche particolare difficoltà in cui venga a trovarsi il celebrante; - fuori della Messa, allorché sia difficile, per la distanza, recare la comunione, soprattutto in forma di viatico, a malati in pericolo di morte, o quando il numero stesso dei malati, specialmente negli ospedali o nelle case di cura, esige la presenza di un certo numero di ministri128. È necessario comprendere che tale ministero ha un carattere specificamente eccezionale o straordinario e che si può esercitare solo quando si verifichi una effettiva carenza di ministri ordinati; sarebbe illogico e contro lo spirito della sollecitudine pastorale della Chiesa lasciare distribuire la comunione durante la Messa mentre sono presenti in chiesa o in sacrestia sacerdoti che non sono pastoralmente impegnati e neppure impediti. La cura pastorale degli ammalati è compito dell’intera comunità cristiana, anche se essa si compie ordinariamente attraverso il parroco o uno dei suoi collaboratori, anche laici. È quindi ottima cosa che tutti i battezzati partecipino a questo mutuo servizio di carità tra le membra 127 Cfr CJC cann. 177-178; cfr SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensae caritatis (29 gennaio 1973). 128 Cfr Immensae Caritatis, 1.

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del Corpo di Cristo, sia nella lotta contro la malattia e nell’amore premuroso verso i malati, sia nella celebrazione del Sacramento degli infermi129. Dove è possibile è assai opportuno che la comunione agli ammalati sia recata nel giorno del Signore, di Domenica, dopo una delle messe parrocchiali; infatti, l’istituzione dei ministri straordinari e il loro ministero consente di intensificare il rapporto tra la comunità cristiana e gli infermi, rapporto che è incentrato sull’Eucaristia, e di riportarlo nel suo alveo originario e più caratteristico, quello appunto del giorno del Signore, che è anche il giorno della Chiesa e della carità fraterna. Prima dei riti conclusivi, quindi, il sacerdote consegnerà ai ministri straordinari le teche con le sacre specie. Questa prassi servirà a collegare anche in modo visibile la celebrazione eucaristica di tutta la comunità con la partecipazione al mistero pasquale, attraverso la comunione di quei membri che sono impossibilitati a parteciparvi. Sarà altresì un modo idoneo di tenere informati i malati delle iniziative pastorali della parrocchia e coinvolgerli in esse, almeno con la preghiera e con l’offerta al Signore di sofferenze e sacrifici. Occasione propizia per una catechesi che illumina, con la luce della fede, la situazione di chi è malato e soffre, è la breve liturgia della Parola, premessa alla distribuzione della santa comunione. Spesso con il servizio della Parola e del Sacramento è richiesto al ministro straordinario anche il “ministero della carità”, di quella carità che è conforto e consolazione, ma che si esprime anche in gesti di sollievo, di aiuto materiale, di fraternità. Chi esercita tale ministero, affinché questo sia significativo ed efficace sotto il profilo ecclesiale, agisca in comunione con la comunità parrocchiale e specialmente con i suoi responsabili; infatti, tenga costantemente informato il parroco del suo lavoro, preparando i malati e sollecitando il sacerdote a celebrare il sacramento della riconciliazione. In mancanza del diacono o del sacerdote, o in caso di un loro legittimo impedimento, i ministri straordinari possono esporre pubblicamente all’adorazione dei fedeli la SS. Eucaristia e poi riporla, natu129 Cfr SUCPI, 32-33.

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ralmente senza dare la benedizione. Tale possibilità, demandata di volta in volta dal parroco, può essere presente soprattutto nelle comunità religiose dove non c’è un cappellano stabile o non è facile avere a disposizione un ministro; in tal caso la comunità religiosa richieda esplicitamente e per iscritto il permesso al Vescovo tramite l’Ufficio Liturgico. Il ministro straordinario della comunione tenga sempre presente che il suo servizio non è finalizzato a sé e alla propria utilità, ma al bene della Chiesa e alla comune edificazione; in ultima analisi, quindi, agli altri. Quando saranno chiamati a distribuire la comunione durante la Messa, non possono comunicarsi da soli, ma devono riceverla dal sacerdote o dal diacono. È necessario che i parroci, unici responsabili della pastorale per la cura degli ammalati, vigilino attentamente affinché il servizio dei ministri straordinari della comunione sia espletato con cura e con amore, avvenga secondo le loro direttive e non vada oltre le norme della Chiesa e le direttive che il Vescovo emana attraverso l’Ufficio Liturgico. È utile ricordare che è assolutamente proibito portare a casa propria la Santa Comunione. In casi particolari (impossibilità di comunicare l’ammalato), l’Eucaristia va riportata nella chiesa parrocchiale o consumata dal ministro o da un familiare dell’ammalato che è nelle condizioni spirituali di riceverla; l’esame di eventuali situazioni particolari viene affidato all’Ufficio Liturgico diocesano. Il mandato ai ministri straordinari della comunione dura un anno, al termine del quale il parroco abbia premura di chiedere al Vescovo, tramite l’Ufficio Liturgico, l’eventuale rinnovo. I ministri straordinari possono esercitare il ministero solo nel territorio della propria parrocchia. Per portare la comunione ad ammalati di altra parrocchia, il ministro avviserà il parroco e prenderà la comunione dalla parrocchia dell’ammalato. 3.1 Requisiti per l’ammissione al ministero straordinario della comunione Il parroco inoltrerà richiesta scritta al Vescovo. L’Ufficio Liturgico diocesano verificherà la reale necessità di istituire nuovi ministri straordinari per le singole parrocchie. I requisiti richiesti per l’am81


missione al ministero sono: a. Partecipazione ai momenti formativi proposti dall’Ufficio Liturgico; b. l’età minima richiesta per accedere al ministero è di anni 21; l’età massima è di anni 75. Per l’ammissione dei religiosi e delle religiose al ministero straordinario, si prevede di istituire, previo consenso dei superiori, per le comunità che ospitano suore anziane, ammalate, o anziani in genere (case di cura, ospizi, ospedali) solo un membro della comunità. Altri religiosi e religiose potranno essere istituiti solo se il ministero sarà esercitato in parrocchia, previa richiesta del parroco e dei superiori locali. I religiosi e le religiose provenienti da altre diocesi e già ministri straordinari, potranno esercitare il loro ministero nella nostra diocesi solo con l’autorizzazione del Vescovo, su richiesta dei superiori locali, in mancanza di altri ministri già istituiti. Per l’istituzione e l’esercizio del ministero negli ospedali, i cappellani avranno cura di segnalare all’Ufficio Liturgico diocesano la domanda, secondo i requisiti descritti. Poiché è necessaria una previa, accurata e coinvolgente preparazione al conferimento del mandato di ministro straordinario della comunione, è indispensabile frequentare, in seguito a specifica designazione e presentazione del proprio parroco, al quale spetta il compito di proporre tale ministero per il bene pastorale della comunità parrocchiale, due anni della Scuola di formazione diocesana. La celebrazione dell’istituzione dei nuovi ministri straordinari sarà presieduta dal Vescovo in un’unica data. È solo l’Ordinario diocesano, quindi, che conferisce il mandato ai ministri straordinari; tuttavia, il parroco può incaricare di volta in volta, in via eccezionale, qualche fedele laico per la distribuzione della comunione, soltanto in caso di vera necessità130. Il ministro straordinario si avvalga dell’apposito Vademecum (2010), preparato dall’Ufficio Liturgico diocesano, in cui sono riportati i riti della comunione e il viatico agli infermi, della comunione fuori della Messa e dell’esposizione eucaristica.

130 Cfr Messale Romano, Rito per incaricare volta per volta un fedele per la distri-

buzione dell’Eucaristia, 1046.

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Bottega napoletana, Porticina di Tabernacolo con SS. Trinità, 1758, Castelcivita, Chiesa Parrocchiale S. Nicola di Bari


CAPITOLO VII LA LITURGIA DELLE ORE La liturgia delle Ore è la preghiera ufficiale della Chiesa Cattolica. Consiste nel canto di salmi, cantici e inni, con l’aggiunta di preghiere e letture dalla Sacra Scrittura. Essa, secondo la stessa Chiesa, è partecipazione sacramentale alla preghiera personale di Gesù Cristo: egli continua incessantemente a pregare e lodare il Padre nella preghiera della Chiesa. 1. Articolazione Le preghiere sono previste in diverse ore della giornata, articolata nelle ore canoniche. Le due ore principali sono: le Lodi Mattutine, che si celebrano all’inizio della giornata; i Vespri, che si celebrano alla sera, solitamente all’imbrunire o prima di cena. Comprende anche altre ore minori: - l’Ufficio delle Letture (un tempo detto Mattutino), che non è legato ad un’ora prestabilita, ma può essere celebrato in qualunque ora della giornata, e che è caratterizzato da una lettura biblica lunga e da un’altra lettura tratta dai Padri della Chiesa; - l’Ora media (Terza, Sesta e Nona che corrispondono alle 9, alle 12 e alle 15); - la Compieta (prima di andare a dormire). La Liturgia delle Ore è articolata in un ciclo di quattro settimane (il Salterio), nel quale si recitano quasi tutti i salmi. Lo schema della Compieta è invece articolato su una sola settimana. 2. Struttura La prima ora che si recita nella giornata (sia essa l’Ufficio delle Letture o le Lodi Mattutine) è preceduta dalla recita del salmo invitatorio con la sua antifona, che si ripete tra le strofe. A parte ciò, ogni ora si apre con un versetto (“O Dio, vieni a salvarmi” - “Signore, vieni presto in mio aiuto”, tratto dal salmo 69), a cui segue il Gloria al Padre. Viene poi un inno, tratto dalle composizioni poetiche di origine ecclesiale. Si continua quindi con la recita di tre salmi: 85


- nelle ore maggiori i salmi sono scelti in maniera che si adattino al corrispondente momento della giornata; - nelle Lodi Mattutine al secondo posto c’è un cantico dell’Antico Testamento, mentre nei Vespri al terzo posto c’è un cantico del Nuovo Testamento; - nell’Ufficio delle Letture si recita spesso un solo salmo più lungo ripartito in tre parti; - nell’Ora Media al primo posto c’è in molti giorni una sezione alfabetica del Salmo 118. Inoltre sono situati in questa ora i cosiddetti salmi processionali; - nella Compieta c’è un solo salmo (due nello schema del sabato e in quello del mercoledì). Ogni salmo o parte di salmo è introdotto da un’antifona, che ha la funzione di orientare la preghiera al contenuto del salmo; al termine del salmo, salvo ove diversamente indicato, si recita la dossologia Gloria al Padre. L’antifona si recita di nuovo dopo il Gloria al Padre o comunque alla fine dello stesso salmo. Ai Salmi segue una lettura biblica breve (nella maggioranza delle ore) o lunga (nell’Ufficio delle Letture) con il suo responsorio. Nelle ore maggiori (lodi e vespri) appare poi un cantico tratto dal Vangelo: - il Benedictus o Cantico di Zaccaria nelle Lodi; - il Magnificat o Cantico della Beata Vergine Maria nei Vespri. Nell’ora di Compieta è inserito inoltre il Nunc dimittis o Cantico di Simeone. Il cantico è introdotto e seguito dalla sua antifona. Infine, le Lodi si concludono con un gruppo di invocazioni, e i Vespri con le corrispondenti intercessioni, a cui fa seguito il Padre nostro. Tutte le ore terminano con l’orazione finale.

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Maestranze locali, Madonna di Pietrasanta, XIII sec., san Giovanni a Piro, Santuario di Maria SS. di Pietrasanta


CAPITOLO VIII PIETÀ POPOLARE Con l’espressione “pietà popolare” si intendono «le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura. La pietà popolare, ritenuta giustamente un “vero tesoro del popolo di Dio”131, “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione”132. La realtà indicata con la locuzione “religiosità popolare” riguarda un’esperienza universale: nel cuore di ogni persona, come nella cultura di ogni popolo e nelle sue manifestazioni collettive, è sempre presente una dimensione religiosa. Ogni popolo infatti tende ad esprimere la sua visione totalizzante della trascendenza e la sua concezione della natura, della società e della storia attraverso mediazioni cultuali, in una sintesi caratteristica di grande significato umano e spirituale. La religiosità popolare non si rapporta necessariamente alla rivelazione cristiana. Ma in molte regioni, esprimendosi in una società impregnata in vario modo di elementi cristiani, dà luogo ad una sorta di “cattolicesimo popolare”, in cui coesistono, più o meno armonicamente, elementi provenienti dal senso religioso della vita, dalla cultura propria di un popolo, dalla rivelazione cristiana»133. Per le indicazioni sui vari pii esercizi che possono svolgersi durante l’anno liturgico nelle comunità cristiane, si consulti il Direttorio su pietà popolare e liturgia della Congregazione per il Culto Divino e la 131 GIOVANNI PAOLO II, Omelia pronunziata durante la Celebrazione della Parola a

La Serena – Chile (5 aprile 1987) 2. 132 PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) 48. 133 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Diretto-

rio su pietà popolare e liturgia, Città del Vaticano 2002, 9-10.

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Disciplina dei Sacramenti, edito nel 2002. Per quanto riguarda l’ordinamento delle feste patronali, si rimanda al documento della Conferenza Episcopale Campana Evangelizzare la pietà popolare. Norme per le feste religiose (vedi appendice n. 1, pag. 113). Si abbia cura di preparare la comunità alla festa religiosa con un periodo di catechesi e preghiere (novene, tridui, ecc.), facendo attenzione ad utilizzare testi con un linguaggio comprensibile e non arcaico. Qualora si renda necessario aggiornare i testi delle preghiere, si faccia riferimento all’Ufficio Liturgico Diocesano. 1. Processioni della Beata Vergine Maria e dei Santi Le processioni si aprono con la croce, che può essere preceduta dall’incenso. Seguono due file ordinate a destra e a sinistra di fedeli, per favorire la preghiera. Davanti all’immagine della Vergine o del Santo procedono i ministranti ed il clero, mentre seguono dietro la santa effigie le autorità civili e militari eventualmente presenti. Se si tratta del Santo Patrono, viene portato anche il labaro del Comune ed il sindaco indosserà la fascia tricolore134. Quando è presente, la banda musicale, collocata generalmente dietro le immagini sacre e le autorità, può eseguire brani musicali (soprattutto religiosi) da intervallare con i momenti di preghiera, ma non deve mai sovrapporsi ad essa. Non è consentito l’esecuzione di brani musicali, anche religiosi, da parte della banda musicale, all’interno delle chiese. Quando vengono portate in processione più immagini sacre, si riservi il posto principale, cioè dietro le altre statue, al simulacro della Beata Vergine Maria o al Santo Patrono. Chi presiede la processione indossa talare, cotta e stola del colore liturgico appropriato: bianco quando la processione si svolge in onore della Vergine Maria e dei santi non martiri; rossa quando si tratta di santi martiri e degli Apostoli. 134 «Dove è tradizione, si conservi la partecipazione della rappresentanza ufficiale

del Comune soltanto alle processioni del Corpus Domini e del Santo patrono. Altri momenti di celebrazioni restano come manifestazione della sola devozione dei fedeli e non coinvolgono necessariamente la partecipazione pubblica delle autorità»: A. SPINILLO, Norme per la celebrazione delle feste religiose proprie delle parrocchie, in Bollettino Diocesano. Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia, 1 (2010), 94-95.

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Se sono presenti più sacerdoti, la stola è indossata soltanto dal sacerdote che presiede la processione, mentre tutti gli altri indosseranno il proprio abito corale. Per le processioni non è consentito l’uso del baldacchino come decoro onorifico alle statue o, peggio, alle persone. L’uso del baldacchino, invero, è riservato esclusivamente al Santissimo Sacramento, quando viene portato in processione. Al termine della processione, la sacra immagine non venga assolutamente posizionata sull’altare o davanti ad esso, soprattutto se presente anche il tabernacolo; si prepari per tempo un luogo adatto, lontano dall’altare, dove opportunamente collocarla per la venerazione dei fedeli. Non è consentito, al termine delle processioni della B.V. Maria e dei Santi, impartire la benedizione eucaristica, se non dopo un adeguato tempo di ascolto della Parola di Dio, di adorazione e preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Quando la processione si conclude con l’adorazione e la benedizione eucaristica, le immagini dei santi o della Vergine Maria vengano collocate al loro posto abituale in chiesa prima dell’esposizione eucaristica, in modo tale da non distogliere l’attenzione dei fedeli dalla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. 2. Via Crucis «Tra i pii esercizi con cui i fedeli venerano la Passione del Signore pochi sono tanto amati quanto la Via Crucis. Attraverso il pio esercizio i fedeli ripercorrono con partecipe affetto il tratto ultimo del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: dal Monte degli Ulivi, dove nel “podere chiamato Getsemani” (Mc 14, 32) il Signore fu “in preda all’angoscia” (Lc 22, 44), fino al Monte Calvario dove fu crocifisso tra due malfattori (cf. Lc 23, 33), al giardino dove fu deposto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia (cf. Gv 19, 4042)»135. Chi presiede la preghiera della Via Crucis indossi gli abiti corali con la stola o anche il piviale di colore rosso. Si abbia cura che nel periodo quaresimale, venga preparata una Via Crucis cittadina o foraniale animata dai giovani. 135 Direttorio su pietà popolare e liturgia, 131.

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3. Mese di maggio Durante il mese di maggio, tradizionalmente dedicato alla pietà mariana, in molte comunità si suole fare la Peregrinatio Mariae per le famiglie. Sia il sacerdote ad accompagnare il cammino dell’immagine della Madonna, cosicché non si riduca ad un’iniziativa privata dei fedeli. In tali occasioni si eviti di celebrare la Santa Messa nelle case, optando per altre forme di preghiera, come il Santo Rosario o celebrazioni della Parola di Dio o della Liturgia delle ore, senza trascurare un’opportuna catechesi. Qualora, in via straordinaria, dovesse essere opportuna la celebrazione dell’Eucaristia, si verifichi la dignità del luogo, affinché l’azione sacra avvenga sempre e comunque sopra una mensa conveniente.

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Bottega Italia meridionale, Organo, prima metà XX sec., Marina di Camerota, Chiesa Parrocchiale S. Alfonso


CAPITOLO IX IL CANTO E LA MUSICA NELLA LITURGIA I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del Signore, sono esortati dall’Apostolo a “cantare salmi, inni e cantici spirituali” (Col 3, 16), poiché il canto è segno della gioia del cuore. L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni ordine e grado che svolgono il proprio ufficio e con la partecipazione del popolo136. Inoltre il canto e la musica sono “parte integrante e necessaria”137 della liturgia; non sono un elemento decorativo, ma, strettamente uniti all’azione liturgica, esprimono più soavemente la preghiera, favoriscono l’unanime partecipazione dell’assemblea, arricchiscono di maggiore solennità la celebrazione. 1. Orientamenti pastorali Occorre tener presenti alcuni principi generali, a cui possa ispirarsi una adeguata prassi celebrativa: a) ci sono parti dell’Ordinario della Messa (Signore pietà, Gloria, acclamazione al Vangelo, Santo, Anamnesi, Dossologia. Agnello di Dio) del Proprio (canto d’ingresso, Salmo responsoriale, canto di Comunione) ed elementi di altre celebrazioni (Exultet e Litanie dei Santi nella Veglia pasquale, canto di commiato nella Liturgia delle Esequie, Salmi e Cantici della Liturgia delle Ore, solenni preghiere di Benedizioni nella Messa Crismale, di Dedicazione di una Chiesa, nelle Ordinazioni, nel sacramento del Matrimonio) che richiedono di per sé stesse il canto da parte di ministri e dell’assemblea; b) I ministri della celebrazione (presidente, diacono, salmista, cantore) devono apprendere l’arte del recitativo nel cantare dialoghi, orazioni, prefazi, dossologie, Vangelo, salmi responsoriali; c) L ‘assemblea non può delegare ad altri o esimersi dal cantare parti che le sono proprie (dialoghi, acclamazioni, brevi ritornelli al salmo e ad altri canti del proprio, parti dell’ordinario); d) Tenendo conto della differente rilevanza liturgica delle singole celebrazioni e del tipo di assemblea, occorre saggiamente scegliere tra 136 Cfr SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram (5 marzo 1967), 5. 137 Sacrosanctum Concilium 112.

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un minimo ed un massimo circa le parti da eseguire in canto. La presenza dei cori nelle liturgie va valorizzata e rilanciata, nella consapevolezza che i cantori, perché battezzati, mentre sono parte dell’assemblea celebrante, all’interno di essa svolgono un vero e proprio ministero liturgico, aiutando a pregare e coinvolgendo l’assemblea stessa ad una più attiva partecipazione. Pertanto, i membri della schola cantorum abbiano anche un’adeguata formazione liturgica e musicale. È necessario suscitare il ministero della guida del canto liturgico: un cantore che diriga il canto dell’assemblea, facilitando così la partecipazione di essa al canto per quanto le spetta. Nella scelta dei canti occorre tener presente la struttura del rito, il tempo liturgico, il momento celebrativo, l’assemblea. I canti devono essere adatti alla liturgia sia per il loro contenuto, sia per la loro forma musicale. È bene fare riferimento al Repertorio Nazionale dei Canti. Non si introduca alcun testo senza previa approvazione del Vescovo, mediante l’Ufficio Liturgico diocesano. Nella celebrazione dei sacramenti, si abbia cura che sia il coro operante stabilmente nella comunità ad animare la liturgia, con la scelta di canti appropriati; ciò al fine di «evitare che, sotto le apparenze della solennità, si introduca alcunché di puramente profano o di meno conveniente al culto divino: ciò si applica specialmente alla celebrazione del matrimonio»138. Per quanto riguarda il sostegno strumentale, si usi preferibilmente l’organo a canne o altri strumenti adatti ad accompagnare e a sostenere il canto liturgico, a discrezione, comunque, della competente autorità139. «La musica registrata, sia strumentale che vocale, non può essere usata durante la celebrazione liturgica, ma solo fuori di essa per la preparazione dell’assemblea»140. 138 Musicam Sacram, 43. 139 Cfr Musicam Sacram, 62-67. 140 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Precisazioni su Principi e norme per l’uso

del Messale Romano, 13, in Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II promulgato da Paolo VI e rivisto da Giovanni Paolo II, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983.

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2. Concerti nelle chiese Il patrimonio musicale della Chiesa merita di essere valorizzato anche al di fuori dell’ambito liturgico, per il valore artistico, culturale, storico e spirituale che esso racchiude. Il Concilio Vaticano II, infatti, così si esprime: «La tradizione umana di tutta la Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della Liturgia solenne»141. «La musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e di bontà di forme»142; essa comprende: «Il canto gregoriano, la polifonia sacra e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso»143. La Chiesa, però, tiene in grande considerazione anche il patrimonio musicale tradizionale e accoglie con rispetto le composizioni contemporanee, espressioni artistiche di questo nostro tempo. Pertanto, si favoriscano i “concerti spirituali” che aiutano la preghiera e la meditazione; l’autorizzazione di concerti e di altra utilizzazione diversa dalla nativa destinazione della Chiesa è riservata all’Ordinario e regolata secondo le norme stabilite dalla Congregazione per il Culto Divino144. Prima di concordare il concerto, almeno quindici giorni prima della data prevista per l’esecuzione, va richiesto il consenso all’Ordinario diocesano, tramite l’Ufficio Liturgico (vedi modulo a pag. Nella domanda controfirmata dal parroco o dal rettore della Chiesa in cui si desidera tenere il concerto occorre: - motivare la ragione per cui si desidera eseguire il concerto nella Chiesa; - specificare la Chiesa, la data e l’ora del concerto; - presentare il programma dettagliato dei brani musicali con il nome degli autori e l’indicazione degli esecutori; 141 Sacrosanctum Concilium 112. 142 Musicam Sacram, 4. 143 Musicam Sacram, 4. 144 Cfr CJC, can. 1210; cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Lettera circolare sui concerti nelle chiese (5 novembre 1987).

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- rispettare lo spazio presbiterale e l’ambone; - aver cura che i concertisti e il pubblico abbiano un abbigliamento adeguato al luogo sacro; - l’accesso al concerto dovrà essere libero e gratuito. Sarà premura del parroco o del rettore della Chiesa custodire, durante l’esecuzione del concerto, la Santissima Eucaristia in una cappella o in un altro luogo sicuro e decoroso. Non sono consentite in Chiesa manifestazioni profane (concerti di musica non religiosa, recite, spettacoli teatrali, convegni etc.). Motivare l’utilizzo delle chiese per tali eventi con la mancanza di altri spazi idonei, non è una giustificazione sufficiente.

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Melchiorre di Montalbano, Pulpito, 1271, Teggiano, Chiesa Cattedrale Santa Maria Maggiore


CAPITOLO X SPAZIO E ARREDO LITURGICO «Per la celebrazione dell’Eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di solito nella chiesa oppure, se questa manca o è insufficiente, in un altro luogo decoroso che sia tuttavia degno di un così grande mistero. Le chiese, o gli altri luoghi, siano adatte alla celebrazione delle azioni sacre e all’attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e gli oggetti che servono al culto siano davvero degni, belli, segni e simboli di realtà celesti»145. 1. Lo spazio sacro «L’arredamento della chiesa si ispiri a una nobile semplicità, piuttosto che al fasto. Nella scelta degli elementi per l’arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro»146. I fedeli siano istruiti, con opportune catechesi, circa il valore ed il significato dei vari spazi liturgici (altare, ambone, sede del presidente, fonte battesimale, luoghi per la celebrazione del sacramento della penitenza, per la custodia della Eucaristia, posti per i fedeli, per la schola cantorum e per l’organo). Questi luoghi siano custoditi con pulizia e decoro. Si abbia cura che la chiesa non sia aperta solo durante le celebrazioni. Pur con gli impianti e tutte le necessarie precauzioni per ovviare a furti o ad atti di vandalismo, i fedeli abbiano la possibilità di pregare e di sostare in adorazione in chiesa lungo la giornata oltre che di prepararsi nel silenzio e nel raccoglimento alle diverse celebrazioni liturgiche. In caso ciò non sia possibile, la parrocchia offra la possibilità che la chiesa sia aperta almeno alcune ore durante la giornata. Secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, negli edifici sacri sono esposte alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della Beata Vergine Maria e dei Santi; esse siano disposte in modo che conducano i fedeli verso i Misteri della fede che vi si celebrano. Si presti attenzione che il loro numero non cresca in modo eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l’attenzione dei fedeli dalla ce145 OGMR, 288. 146 OGMR, 292.

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lebrazione. Di un medesimo Santo poi non si abbia abitualmente che una sola immagine. In generale, nell’ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto riguarda le immagini, si cerchi di favorire la pietà di tutta la comunità oltre che la bellezza e la dignità delle immagini. 1.1 Gli altari laterali Gli altari laterali delle chiese cattoliche hanno certamente una storia gloriosa e costituiscono un patrimonio di immenso valore teologico, spirituale e artistico. Essi hanno origine fin dall’antichità, quando si trattò di ospitare nelle basiliche dell’Urbe i corpi dei Martiri, tolti dalle catacombe durante le razzie barbariche. Fu allora che la statio ai loro sepolcri per celebrarvi il divino Sacrificio avvenne dentro la basilica stessa, lì dove il Martire aveva trovato la sua nuova e protetta tumulazione. Nel Medioevo poi, soprattutto nelle grandi Abbazie, l’erezione di molti altari laterali era richiesta per la celebrazione della Messa dei numerosi monaci, che, anche per la scomparsa della concelebrazione, dovevano celebrare individualmente. Tuttavia in questo sviluppo secolare la Chiesa non perse mai, né l’unicità dell’altare, mediante il primato e la dignità sempre riconosciuti all’altare maggiore; né l’ideale unicità del divino Sacrificio, mediante la Messa solenne domenicale nelle parrocchie e la Messa conventuale nei monasteri. Alla luce della storia, quindi, dobbiamo riconoscere senza indugi l’identità e il valore degli altari laterali. Essi, infatti, si devono considerare sotto tre importanti aspetti: liturgico, spirituale, storicoartistico. L’altare laterale mantiene intatta la sua funzione liturgica ed è alquanto dannoso trasmettere ai fedeli l’idea che l’insorgere degli altari laterali sia il segno di una fase decadente e scorretta dello sviluppo liturgico. Gli altari laterali celebrano con le splendide espressioni dell’arte i mirabili frutti dell’unico Sacrificio di Cristo: i Santi e le loro opere. La loro memoria eretta in connessione con l’altare afferma che dal Sacrificio di Cristo essi attinsero la grazia della loro santità e l’efficacia della loro testimonianza. Voler privare della mensa dell’altare tali monumenti è scardinarli teologicamente dalla loro sorgente divina. La molteplicità degli altari laterali è la manifestazione visiva del prisma infinito dei frutti dell’unico Altare e dell’unico 102


Sacrificio, Cristo Gesù. Per questo gli altari laterali non possono essere “museificati”, ma devono restare vivi con tutte le insegne loro proprie. Recarsi processionalmente presso l’altare del Santo di cui si celebra la festa è un uso liturgico del tutto ammesso. Può essere sempre opportuno recarsi in processione per un atto di venerazione a conclusione della Messa celebrata sull’altare maggiore. In tal modo si vede come il ruolo liturgico degli altari laterali non sia abrogato, ma possibile e arricchente. Certo in tutto ciò occorre sempre intelligenza, misura e buon gusto, per non decadere in forme devozionali eccessive, che minerebbero l’equilibrio della fede e della liturgia, non raramente condannate dalla Chiesa lungo i secoli. L’altare laterale è luogo di orazione e di contemplazione. Presso di esso i fedeli entrano in comunione spirituale con la Vergine e i Santi. Per questo gli altari non possono essere lasciati desolati, senza calore e senza vita. Essi devono portare i segni della devozione: coprialtare (tovaglia più ridotta che copre soltanto la mensa), croce, candelieri, ceri, fiori, ecc. Certo senza indulgere al cattivo gusto, che si ritorcerebbe contro una buona educazione alla vera devozione. Infine gli altari laterali sono spesso dei capolavori d’arte. Essi vanno rispettati e tutelati. Sono un patrimonio non solo della Chiesa, ma dell’intera società. Si devono evitare abusi gravissimi, ben conosciuti in un recente passato: rimozione degli altari laterali in nome dell’unicità dell’altare maggiore; privazione della loro mensa o della predella marmorea, rendendoli mutili e inaccessibili; alienazioni delle loro croci e dei loro candelabri e di altri arredi talvolta veramente artistici e preziosi, ecc. 2. Le opere d’arte La Chiesa, ispiratrice e promotrice di opere d’arte, custodisce gelosamente i suoi beni culturali storico-artistici. Essa ha il diritto e il dovere di tutelare questi beni, di valorizzarli e di provvedere alla loro conservazione. Diventa necessario, pertanto, che le chiese che custodiscono opere di notevole interesse storico-artistico, abbiano un vero e proprio impianto antifurto. Qualora mancassero i requisiti di sicurezza, si provveda a trasferire tali beni nel Museo Diocesano. In caso di furto, si sporga immediata denunzia alle competenti autorità di pubblica sicurezza e se ne dia contemporaneamente segnalazio103


ne alla Curia Vescovile comunicando la notizia al Vescovo. In nessun caso è consentito alienare oggetti di valore artistico o storico appartenenti al patrimonio culturale della diocesi, fossero anche oggetti deteriorati o fuori uso per la recente riforma liturgica. Trattandosi tuttavia di beni, il cui valore eccede la somma massima stabilita, oppure di ex voto donati alla Chiesa o di oggetti preziosi di valore artistico, per la valida alienazione si richiede inoltre la licenza della Santa Sede. Il parroco provveda ad un controllo periodico dell’intera struttura dell’edificio sacro (copertura, canali, grondaie, impianto elettrico, cornicioni, stucchi, intonaci). Per il restauro di opere d’arte, di suppellettili, dell’aula liturgica e di altri ambienti si proceda solo dopo aver consultato e ottenuto le opportune indicazioni dall’Ufficio Tecnico che interesserà l’Ufficio Liturgico Diocesano e l’Ufficio dei Beni Culturali. Pertanto non è consentito ad alcuno procedere di propria iniziativa, apportare modifiche anche lievi all’edificio di culto o rimuovere opere d’arte senza le autorizzazioni degli Organismi competenti religiosi e civili. Qualora si dovesse procedere ad un adeguamento delle chiese, il parroco deve presentare, a tale scopo, un progetto da sottoporre, per le necessarie autorizzazioni, al Servizio Diocesano per l’Edilizia di Culto e all’Ufficio Liturgico Diocesano. Per tutti i lavori di manutenzione, adeguamento, ristrutturazione degli edifici di culto e locali annessi, il parroco deve attenersi alle norme vigenti canoniche e civili. In ogni caso deve avvalersi della consulenza dei competenti Uffici di Curia. 3. Il suono delle campane147 L’utilizzo del suono delle campane è disciplinato secondo le seguenti indicazioni: nei soli orari diurni (comunque, non prima delle ore otto); i rintocchi abbiano una breve durata; il suono sia di moderata intensità148. 147 Si veda il Decreto Vescovile prot. 01/2015, riportato in questo Direttorio all’ap-

pendice n. 6, pag. 179. 148 Cfr. CEI - Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici, Circolare n. 33: La regolamentazione del suono delle campane (10/05/2002).

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4. L’uso dei fiori nelle chiese I fiori all’interno di una celebrazione sono segno della vita nuova che Dio offre all’uomo; esprimono la festa, la gioia, la bellezza, la ricchezza di ciò che si celebra; indicano l’offerta, proprio perché vengono recisi e donati a Dio. Previo accordo con il parroco, i fioristi preparino un addobbo sobrio e non ingombrante, limitato alla zona del presbiterio perché sia messa meglio in evidenza la centralità dell’altare, fulcro della celebrazione, verso il quale deve convergere spontaneamente l’attenzione di tutta l’assemblea. Si eviti di trasformare la chiesa in una serra o in giardino fiorito, a scapito della partecipazione dei fedeli, con ostentazione di lusso e di sfarzo. La decorazione floreale non può e non deve in alcun modo ostacolare il corretto svolgimento del rito. I vari elementi: altare, ambone, tabernacolo, croce, devono essere messi in evidenza, e non soffocati, dai fiori. Vengano utilizzati fiori recisi per il loro alto valore simbolico della donazione totale che si coniuga bene nell’offerta tra Dio e l’uomo vissuta nel sacramento dell’altare. Nella Celebrazione del Matrimonio, il posto degli sposi va debitamente curato e adornato ma non deve in nessun modo mettere in ombra l’altare. Non è consentito porre drappi, nastri e fiori alla porta della chiesa, come anche rivestire con drappi i banchi o ornarli con nastri, fiori e candele. Lo stesso valga per il corridoio della navata nel quale non sono consentiti fiori, nastri, candele, colonne, piante, cesti di fiori e di frutta, archi di verde. Si eviti pure di porre petali, sia veri che finti, sul tappeto. Non si appoggino composizioni floreali sul tabernacolo e non si sposti la suppellettile propria della chiesa. Non sono permesse composizioni miste di fiori e frutta, con vernici che rendono inutilizzabile la frutta destinandola al macero ed offendendo la povertà e Dio creatore che ci dona la frutta, non come elemento decorativo, ma come sostentamento dell’uomo. Alla fine della celebrazione lascino la chiesa pulita e in ordine. L’addobbo floreale viene donato ed è per il Signore non è semplice scenografia; perciò i fiori usati per le celebrazioni devono restare in chiesa. Non potranno in nessun caso essere portate via al termine della celebrazione. 105


I fioristi agiscano con discrezione e silenzio, tenendo conto che operano in un luogo sacro. «Nel tempo di Avvento l’altare sia ornato di fiori con quella misura che conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del Signore. Nel tempo di Quaresima è proibito ornare l’altare con fiori. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste. L’ornamento dei fiori sia sempre misurato e, piuttosto che sopra la mensa dell’altare, si disponga attorno ad esso»149. Si richiede ai fioristi e agli addobbatori in genere, la partecipazione agli incontri formativi che la Diocesi offrirà per garantire un servizio adeguato alla liturgia, al termine dei quali verrà rilasciato un attestato di idoneità per svolgere tale lavoro nelle chiese della diocesi (vedi appendice n. 5, pag. 161). 5. Corona d’Avvento, Presepe e Albero di Natale Essendo nelle nostre comunità ampiamente diffusa l’usanza di preparare la corona di Avvento, sembra utile fare alcune precisazioni per meglio comprenderne il significato e opportunamente valutarne l’utilizzo pastorale. «La disposizione di quattro ceri su una corona di rami sempre verdi, in uso soprattutto nei paesi germanici e nell’America del Nord, è divenuta simbolo dell’Avvento nelle case dei cristiani. La corona di Avvento, con il progressivo accendersi delle sue quattro luci, domenica dopo domenica, fino alla solennità del Natale, è memoria delle varie tappe della storia della salvezza prima di Cristo e simbolo della luce profetica che via via illuminava la notte dell’attesa fino al sorgere del Sole di giustizia (cfr Ml 3, 20; Lc 1, 78)»150. Dal Documento citato, appare chiaro che la corona d’Avvento non appartiene alla nostra tradizione e soprattutto non nasce per essere realizzata nelle chiese. L’Adventkranz è una tradizione popolare e familiare nata nelle comunità evangeliche del Nord Europa nella prima metà dell’Ottocento e successivamente entrata in tante famiglie cattoliche come manifestazione della pietà popolare. Sarebbe opportuno quindi valorizzare questo segno, anche attraverso 149 OGMR, 305. 150 Direttorio su pietà popolare e Liturgia, 98.

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la catechesi, incoraggiando i fanciulli, i ragazzi e gli adulti, a realizzare la corona d’Avvento nelle loro case per radunarsi attorno ad essa per un momento di preghiera (anche molto breve) durante i giorni di questo tempo santo che ci prepara ad accogliere il Signore che viene. Il luogo originario e anche oggi più opportuno continua ad essere l’ambiente familiare. Poiché in questi anni la tradizione si è diffusa anche in molte chiese, qualora si ritenga pastoralmente utile per una più attiva partecipazione, senza sopravvalutarne il significato e senza che questo elemento popolare sia circondato da una ritualità così amplificata da prendere il sopravvento sui riti liturgici, la corona di Avvento può diventare uno strumento valido per un rito lucernario rivolto a celebrare Cristo, luce del mondo, lo Sposo desiderato dalla Chiesa sua Sposa, nella gioia dei servi fedeli che lo attendono con la lampada accesa (cfr Lc 12,35‐40). Il simbolismo della corona richiama appunto il premio riservato a coloro che attendono con amore e fedeltà la manifestazione gloriosa di Cristo Signore (cfr 2Tm 4,8; Ap 2,10). La sua collocazione più opportuna è senz’altro presso l’Ambone, da dove la Parola di Dio qualifica le quattro domeniche che precedono e preparano al Natale. Nella realizzazione della corona, come più in generale dei fiori, si tenga sempre presente che non si deve mai coprire e nascondere lo spazio liturgico, nel caso specifico l’Ambone, che invece deve essere sempre ben visibile ai fedeli. La “nobile semplicità” di cui parla la Costituzione Sacrosanctum Concilium al n. 34 deve come sempre guidarci. Vale per analogia, anche qui, la regola che «i fiori nella liturgia non sono là perché li si contempli, ma per aiutare a contemplare ciò che onorano»151. Chiaramente non è sufficiente trovare la corona con la candela già accesa, ma è necessario ed eloquente compiere il gesto dell’accensione per significare la luce di Cristo che squarcia le nebbie del peccato. Per quanto riguarda il momento in cui accendere la candela, per il forte legame con l’ascolto della Parola, assumerebbe pienezza di senso se la candela fosse accesa per la Liturgia della Parola. Per l’accen151 CENTRO DI PASTORALE LITURGICA FRANCESE, Ars celebrandi. Guida pastorale

per un’arte del celebrare, Edizioni Qiqaion, Comunità di Bose‐Magnano (BI) 2008, 120‐121.

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sione è conveniente attingere la fiamma alle candele dell’altare evitando fiammiferi o accendini. La tradizione popolare prevede quattro candele in riferimento alle quattro domeniche di Avvento. Il Natale ha altri segni e aggiungere una quinta candela alla corona sarebbe una inutile sovrapposizione e una corruzione dell’identità originaria di questo elemento. Nulla vieta che si usino candele secondo il colore liturgico (3 viola e 1 rosa), tuttavia si tenga presente che la corona di Avvento non è un segno liturgico e la cosa importante non è il colore, ma la funzione delle candele, rispettando ed evidenziando il loro fondamentale significato simbolico che è la fiamma. Poiché è un segno dell’Avvento, non occorre lasciarla anche durante il tempo di Natale, perderebbe infatti la forza del suo significato. La corona di Avvento non sostituisce mai le candele dell’Altare che hanno un loro proprio e specifico significato152. Circa il Presepio e l’albero di Natale, il Direttorio su pietà popolare e liturgia dice: «Come è noto, oltre alle rappresentazioni del presepio betlemmita, esistenti fin dall’antichità nelle chiese, a partire dal secolo XIII si è diffusa la consuetudine, influenzata senza dubbio dal presepe allestito a Greccio da san Francesco d’Assisi nel 1223, di costruire piccoli presepi nelle abitazioni domestiche. La loro preparazione (in cui saranno coinvolti particolarmente i bambini) diviene occasione perché i vari membri della famiglia si pongano in contatto con il mistero del Natale, e si raccolgano talora per un momento di preghiera o di lettura delle pagine bibliche riguardanti la nascita di Gesù»153. «Infatti, a prescindere dalle sue origini storiche, l’albero di Natale è oggi un simbolo fortemente evocativo, assai diffuso negli ambienti cristiani; evoca sia l’albero della vita piantato al centro dell’Eden (cfr Gn 2, 9), sia l’albero della croce, ed assume quindi un significato cristologico: Cristo è il vero albero della vita, nato dalla nostra stirpe, dalla vergine terra santa Maria, albero sempre verde, fecondo di frutti. L’ornamentazione cristiana dell’albero, secondo gli evangelizzatori dei paesi nordici, consiste in mele e ostie sospese ai rami. Si possono aggiungere dei “doni”; tuttavia, tra i doni posti sotto l’albero di 152 Cfr OGMR, 117. 307. 153 Direttorio su pietà popolare e Liturgia, 104.

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Natale non dovrà mancare il dono per i poveri: essi fanno parte di ogni famiglia cristiana»154. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una progressiva eliminazione dei segni propri del Natale, in nome di un non meglio precisato rispetto per la multiculturalità, soprattutto dagli ambienti scolastici e lavorativi. È quanto mai necessario, anche attraverso i segni esteriori, recuperare gli elementi della nostra tradizione, primo fra tutti il Presepio. In esso contempliamo la somma umiltà del Figlio di Dio che si è fatto uomo per la nostra salvezza. Da questa contemplazione può sgorgare vera preghiera, accoglienza e solidarietà per gli altri! Si incoraggino perciò le famiglie a riprendere questa bella e cara tradizione, sollecitando soprattutto le giovani generazioni con opportune proposte, anche attraverso dei percorsi al catechismo o all’oratorio. Anche l’albero di Natale è entrato da anni nella nostra tradizione. È opportuno, anche attraverso la catechesi, ribadirne la simbologia e il significato. Come suggerito dal Direttorio sopracitato potrebbe essere l’occasione per una proposta di attenzione ai poveri con i quali condividere i “doni” che abitualmente vengono posti sotto l’albero. Per la sua connotazione specifica non è opportuno introdurre in chiesa questo elemento che non fa parte della liturgia e rischierebbe di distrarre e forse confondere i fedeli. Potrà opportunamente essere allestito sul sagrato o in altri ambienti parrocchiali. Il luogo dove invece trova la sua dimensione e massima espressività resta l’ambito familiare.

154 Direttorio su pietà popolare e Liturgia, 109.

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Ignoto, Scena del Paradiso, XVII sec., Policastro Bussentino, Chiesa Concattedrale Santa Maria Assunta


Appendice 1

ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 26/2013 DECRETO DI PROMULGAZIONE PER LA DIOCESI DI TEGGIANOPOLICASTRO DEL DOCUMENTO DEGLI ECCELLENTISSIMI ARCIVESCOVI E VESCOVI DELLA REGIONE ECCLESIASTICA CAMPANA: “EVANGELIZZARE LA PIETÀ POPOLARE” - NORME PER LE FESTE RELIGIOSE. Noi Antonio De Luca, Vescovo, - considerata la necessità di disciplinare il culto e la devozione a Maria SS.ma e ai Santi attraverso un’opera costante di purificazione di quanto attiene alla pietà popolare; - volendo continuare con determinazione e pazienza a percorrere la strada della purificazione e valorizzazione della pietà popolare e delle conseguenti feste religiose; - in virtù dell’autorità episcopale, con il presente decreto, STABILIAMO che nella nostra Chiesa diocesana le suddette disposizioni, promulgate il 18 febbraio 2013 dalla CEC, entrano nel pieno vigore e sono obbliganti per tutti, ai sensi del can. 8 del CIC, a partire dal prossimo 14 settembre 2013, Festa dell’Esaltazione della S. Croce. Imploro su tutti la benedizione della Vergine SS.ma e dei Santi Cono e Pietro Vescovo. Dato a Teggiano, dalla sede Vescovile, il giorno 10 giugno 2013. + Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA EVANGELIZZARE LA PIETÀ POPOLARE Norme per le feste religiose Ai Presbiteri e ai Diaconi della Conferenza Episcopale Campana Ai Religiosi e alle Religiose Ai Fedeli laici Introduzione Carissimi, Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, così si esprime parlando della pietà popolare: «Qui tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili. Vogliamo parlare di quella realtà che si designa spesso oggi col termine di religiosità popolare»155. Essa - continua il Papa - «ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi, di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni culturali senza impegnare una autentica adesione della fede. Può anche portare alla formazione di sette e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori»156. Manifesta, infatti, «una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono riconoscere; rende capaci di generosità e di sacrifici fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, noi la chiamiamo volentieri pietà popolare, religione del popolo, piuttosto che religiosità»157. Giovanni Paolo II ha sottolineato che la pietà popolare è un vero tesoro del Popolo di Dio e deve essere strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana. Il “Messaggio al Popolo di Dio”, a sua volta, al termine della XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione (7-28 ottobre 2012), dice: «Sentiamo di dover esortare le nostre parrocchie ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del Popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono 155 PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) 48. 156 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 48. 157 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 48.

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permeare anche le varie, importati espressioni della pietà popolare»158. 1. Pietà popolare L’espressione “pietà popolare” designa il complesso di manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprime non secondo i moduli e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi orientamenti spirituali di gruppi di fedeli. Essa fa riferimento esplicitamente alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto il genere umano e alla Chiesa, che è «in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»159. I fondamenti dottrinali sono la Sacra Scrittura e il “Credo” della Chiesa. L’aggettivo popolare richiede una puntualizzazione. Immediatamente esso suscita una reazione negativa: sembra indicare espressioni devozionali scadenti, implicitamente opposte a manifestazioni cultuali scelte, elitarie, velatamente aristocratiche. Ma nel nostro caso “popolare” non va inteso pregiudizialmente in senso negativo perché esprime relazione con il popolo, cioè con il “popolo di Dio”, al quale appartengono fedeli colti e illetterati, poveri e ricchi, chierici e laici. Esso indica, invece, positivamente, che la manifestazione cultuale trae origine dal popolo e, compiuta per il popolo, è portatrice di valori propri del popolo di Dio. Conseguentemente possiamo così definire la “pietà popolare”: «Il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità»160. Ma quali sono le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della pietà popolare? Come connotati e valori della pietà popolare sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i 158 SINODO DEI VESCOVI, XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi,

Messaggio al Popolo di Dio (7-28 ottobre 2012) 8. 159 Lumen gentium 1. 160 I. M. CALABUIG, “Pietà popolare”, in Dizionario di omiletica, ed. M. Sodi – A.

M. Triacca, ElleDiCi-Velar, Leumann (TO) 1998, 1141.

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grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra. Per quanto riguarda gli orientamenti possiamo dire che la pietà popolare, al di là della varietà di situazioni e di culture in cui si esprime, ha alcune caratteristiche comuni: l’adorazione alla Santissima Trinità e l’amore a Dio, padre buono e provvidente, signore onnipotente, giudice giusto e misericordioso; l’attenzione amorosa per l’umanità di Cristo, contemplato soprattutto nei misteri dell’infanzia (Gesù bambino), della passione (Gesù crocifisso, l’Ecce homo, il Volto Santo), del suo amore misericordioso (Sacro Cuore) e della sua presenza nascosta (il Santissimo Sacramento); la venerazione della Madonna; la devozione degli Angeli, il culto dei Santi visti dai fedeli come amici e intercessori del popolo di Dio; la preghiera per i defunti con la celebrazione di sante Messe di suffragio e le indulgenze per i defunti, nonché con la visita dei cimiteri. 2. La situazione attuale Le numerose feste popolari organizzate nella nostra Regione hanno spesso purtroppo la parvenza del sacro. Per questo motivo esse, svuotate del loro contenuto cristiano, non rendono credibile la fede da parte dei lontani, mentre i giovani le rifiutano perché prive di ogni valore di autentica testimonianza cristiana e i poveri le giudicano più una provocazione che un annuncio gioioso della salvezza. Le stesse processioni frequentemente si risolvono in estenuanti maratone di questuanti che offendono il decoro e il sacro e non sono certo segno di una Chiesa peregrinante. In tale contesto bisogna recepire con tempestività l’istanza di una religiosità essenziale che rifugga da forme colorate e rumorose e che tenda ad una interiorizzazione del culto. Perché le feste religiose siano autentiche celebrazioni di fede incentrate nel mistero di Cristo e siano purificate da infiltrazioni profane riteniamo indifferibile un’azione pastorale che si proponga di vivere le manifestazioni esterne del culto popolare in modo che siano espressioni autentiche e comu-

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nitarie di fede; di formare, con una seria e puntuale catechesi, una sana opinione pubblica sul significato cristiano di questi riti collettivi; di purificare il culto popolare, spesso decaduto a sagra mondana e a fatto di folclore, dalle incrostazioni superstiziose che si sono sovrapposte. A tale scopo noi vescovi della Regione Ecclesiastica Campana a quanto sopra detto aggiungiamo alcune direttive pastorali che devono diventare norme operative per le nostre comunità ecclesiali riguardanti le feste religiose e le processioni – che sono di esclusiva competenza e autorizzazione dell’Autorità ecclesiastica che coinvolge, in genere, la Forza Pubblica locale per il necessario servizio di vigilanza e di sicurezza - i pellegrinaggi e i santuari. Altra cosa, invece, sono le feste popolari che nulla hanno di religioso e non sono riferibili all’Autorità ecclesiastica, perché attengono ad appositi comitati, a fatti storici e consuetudini locali, a motivazioni culturali o folcloristiche o turistiche. 3. Evangelizzare la pietà popolare Per superare le carenze e i difetti della pietà popolare, e perché i suoi valori non vadano dispersi, il Magistero e gli studiosi di teologia pastorale offrono preziosi indicazioni: - Evangelizzare la pietà popolare con un rapporto continuo e fecondo con la Parola di Dio. - Orientare la pietà popolare verso la liturgia, che è il «culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana la sua virtù»161. Liturgia e pietà popolare sono due espressioni legittime del culto cristiano. Ambedue hanno lo stesso scopo: la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo. Non sono quindi da opporre ma neanche da equiparare «data la natura di gran lunga superiore della liturgia»162. Liturgia e pietà popolare perciò sono due espressioni cultuali da porre in mutuo e fecondo contatto. La liturgia dovrà costituire il punto di riferimento per incanalare con lucidità e prudenza gli aneliti di preghiera e di vita carismatica che si riscontrano nella pietà popolare mentre questa, con i suoi moduli simbolici ed espressivi, potrà fornire alla liturgia elementi e indicazioni per una valida inculturazione e stimoli per un efficace dinamismo creatore. - Superare il distacco tra culto e vita. Sia sulla liturgia sia sulla pietà popolare incombe il rischio di un distacco tra il momento cultuale e l’impegno di vita. Non sono rari i casi in cui persone che vivono notoriamente in situazioni gravemente lesive della giustizia e dei doveri familiari sono zelantissime nel partecipare a manifestazioni di pietà popolare: processioni, offerte votive, feste patronali, etc. La pietà popolare per comunicare con il sopran161 Sacrosanctum Concilium 10. 162 Sacrosanctum Concilium 13.

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naturale cerca spesso il contatto immediato attraverso fenomeni straordinari – apparizioni, visioni, etc. – piuttosto che attraverso la fede; predilige illusorie scorciatoie invece della via maestra della croce; appare viziata dalla vana credulità che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori e da una certa mentalità utilitaristica (lucrare indulgenze, ottenere grazie, assicurarsi l’ingresso in paradiso mediante l’osservanza di certe pratiche vissute peraltro al di fuori del loro contesto originario: i primi venerdì del mese, scapolare della Madonna del Carmine, medaglia miracolosa). 4. le feste religiose e le processioni Desiderosi di aiutare le nostre Chiese a purificare, consolidare, elevare le feste religiose, a partire dalla riscoperta delle loro radici, in continuità con i nostri predecessori che nel 1973 emanarono precise direttive sul problema, confortati in questo dai numerosi interventi dottrinali dei Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI STABILIAMO a.– Momento liturgico - celebrativo 1. Le feste sono momenti importanti della vita religiosa di una comunità. Il loro insieme costituisce il “santorale locale” che deve essere custodito con ogni cura e non può essere alterato nel suo equilibrio tradizionale. Ogni nuova festa necessita perciò di espressa autorizzazione dell’Ordinario. 2. La festa sia preparata con un “novenario” o “settenario” o “triduo” ben curati, dando ampio spazio all’ascolto della Parola di Dio per avvicinare con opportune catechesi anche i lontani al sacramento della Riconciliazione e all’adorazione eucaristica, secondo un programma preparato dal Consiglio Pastorale Parrocchiale. 3. Si concluda la preparazione con un gesto di solidarietà all’interno o anche fuori dei confini parrocchiali. b. Momento ludico – esterno Anche il momento ludico è un elemento importante della festa: non va trascurato! Non deve essere però prevalente e staccato dal momento religioso, al quale deve rimanere sempre subordinato. Non è concepibile infatti che una “festa religiosa”, che si qualifica quale pubblica manifestazione di fede, si riduca poi a manifestazione paganeggiante, con sperpero di denaro per il cantate famoso e per i fuochi artificiali. L’equilibrio dei due poli della festa - quello liturgico-celebrativo e quello ludico - è frutto di sapiente dosaggio, fatto “in loco” dal Consiglio Pastorale attingendo alle tradizioni culturali del luogo. 118


Nell’organizzazione concreta il Consiglio Parrocchiale può avvalersi di un Comitato esterno, di cui comunque devono far parte alcuni membri del Consiglio stesso. Ogni comitato va costituito secondo queste tassative norme: - sia sempre presieduto dal parroco che lo forma, chiamando a farne parte persone che si distinguono per impegno ecclesiale e onestà di vita; - non sia permanente, ma resti in carica per la sola celebrazione della festa, secondo il programma di massima preparato dal Consiglio Parrocchiale ed approvato dalla curia almeno un mese prima; - si impegni a rispettare le norme vigenti, sia canoniche che civili (SIAE secondo la convenzione stipulata dalla CEI ed altre tasse), e a redigere entro un mese il bilancio consuntivo della festa, che deve essere vistato dal Consiglio Affari Economici, il quale per l’occasione svolge il ruolo di Collegio dei Revisori dei conti; - le feste esterne siano celebrate nei giorni stabiliti dal calendario liturgico. E’ consentito conservare date tradizionali diverse, purché non coincidano con solennità che godono di assoluta precedenza (Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, SS. Trinità); - le Confraternite non possono organizzare feste, né possono costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese; - sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni tradizionali della vita del santo), di giochi popolari che coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai festeggiamenti. - La processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità. Pertanto:  Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di popolo.  Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera. 119


 Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la processione mentre si sparano fuochi artificiali.  I comitati non possono in nessun modo interferire nella processione.  Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore.  Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata a gesti di carità e a rendere più belle le nostre chiese. 5. pellegrinaggi e santuari Il pellegrinaggio, esperienza religiosa universale, è un’espressione tipica della pietà popolare, strettamente connessa con il santuario della cui vita costituisce una componente in dispensabile: il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino. Esso si configura come un cammino di conversione. La partenza sia opportunamente caratterizzata da un momento di preghiera nella chiesa parrocchiale oppure in un’altra più adatta. L’accoglienza dei pellegrini potrà dare luogo a una sorta di “liturgia della soglia” mentre la permanenza nel santuario costituirà il momento più intenso del pellegrinaggio e sarà caratterizzato dall’impegno di conversione, opportunamente ratificato dal sacramento della riconciliazione e dalla celebrazione eucaristica, culmine del pellegrinaggio stesso. Al termine i fedeli ringraziano Dio del dono del pellegrinaggio e chiederanno l’aiuto necessario per vivere con più generoso impegno, una volta tornati nelle loro case, la vocazione cristiana. Il santuario è un segno della presenza attiva, salvifica del Signore nella storia; è un luogo di sosta dove il popolo di Dio, pellegrinante nelle vie del mondo verso la Città futura, riprende vigore per proseguire il cammino. Pertanto: 1. I cortei diretti ai santuari che ostentano stendardi religiosi coperti di denaro o che trasportano, danzando, trofei votivi sono proibiti. Come proibite sono le manifestazioni di isterismo che profanano il luogo sacro e impediscono la devota e decorosa celebrazione della liturgia. 2. I punti vendita di “ricordi” non siano sistemati all’interno dell’aula liturgica e non abbiano l’apparenza di un mercato. 3. I santuari siano luoghi di evangelizzazione, di carità, di cultura e di impegno ecumenico, sensibile alla grave e urgente istanza dell’unità di tutti i credenti in Cristo, unico Signore e Salvatore.

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Conclusione Queste norme non vogliono essere una gabbia dove rinchiudervi la libertà e la spontaneità dei fedeli bensì qualificare la pastorale affinché sottolinei con forza la necessità che la nostra religione non può ridursi a qualche pratica esteriore ma deve incidere sul modo di pensare, di giudicare e di vivere dei cristiani. Infatti il pericolo più grave cui la pietà popolare va incontro è quella di restare un fatto esteriore e superficiale che non tocca l’uomo nel suo cuore e nella sua vita, un fatto legato cioè a particolari condizioni sociali e ambientali. Non a caso persone che nella propria parrocchia praticano la religione popolare, una volta fuori di tale ambiente per motivi di lavoro o di emigrazione, abbandonano ogni pratica religiosa. “La religione popolare può sopravvivere ai fenomeni dell’urbanesimo e dell’industrializzazione solo se, attraverso un’intensa opera di evangelizzazione, si correggono le deviazioni e si colmano le sue lacune”163. Mugnano del Cardinale, 18 febbraio 2013

I Vescovi

della Conferenza Episcopale Campana

163 G. DE ROSA, La religione popolare, Edizioni Paoline, Roma 1981, 114.

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Appendice 2

NORME PER LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO

ALCUNI CASI PARTICOLARI PER L’AMMISSIONE AL MATRIMONIO Nella situazione attuale possono presentarsi delle circostanze in cui, per motivi diversi, i fidanzati richiedono il matrimonio con urgenza, senza che sia possibile una preparazione regolare. Fermo restando che tali circostanze vanno considerate come fatti eccezionali, devono essere risolte caso per caso, tenendo simultaneamente presenti le esigenze di un sacramento che chiama in causa la fede, il bene attuale dei nubendi, la comprensione delle situazioni e soprattutto la stabilità del vincolo coniugale. Ciò che conta in questi casi è evitare la tentazione sia della facile accondiscendenza nel dispensare da ogni preparazione, sia dell’irrigidimento e dell’intransigenza con richieste impossibili; piuttosto occorre offrire forme e occasioni di incontro pastorale che permettano alle singole coppie di fidanzati di fare un passo avanti nella loro vita di fede, tenendo presente che l’evangelizzazione può e deve continuare anche dopo la celebrazione del sacramento. L’imminenza di una nascita non è sempre e comunque una causa sufficiente per giustificare l’omissione della preparazione, di fronte a una coppia che non è consapevole del passo che sta per compiere.

Matrimonio dei battezzati non credenti Una speciale attenzione va riservata ai battezzati non credenti e cioè a coloro che pur richiedendo il matrimonio canonico dimostrano di non essere pienamente disposti a celebrarlo con fede, o perché vi accedono per motivi che non derivano dalla fede o perché si tratta di nubendi totalmente indifferenti alla fede o che dichiarano esplicitamente di non credere o che si trovano in uno stato notorio di abbandono della fede164. La richiesta del sacramento è in questi casi una provvida occasione di evangelizzazione e di catechesi. «Il Parroco aiuti questi nubendi a riflettere sul significato della loro scelta e accerti, in ogni caso, che siano sinceramente 164 Cfr CJC, can. 1071, §4.

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disposti ad accettare la natura, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio cristiano»165. Qualora, nonostante tutti i tentativi per ottenere un segno di fede sia pure germinale, i nubendi mostrassero di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando celebra il matrimonio dei battezzati, si può giungere alla decisione di non ammetterli al sacramento. Tale decisione va presa con autentico spirito di discernimento, secondo i criteri condivisi con gli altri presbiteri nella comunione ecclesiale con il Vescovo, e soprattutto nei casi di dubbio dopo aver consultato l’Ordinario, nel rispetto della normativa per i casi specifici definita nel Decreto Generale sul matrimonio canonico, nn. 43 e 44. Matrimonio dei battezzati non cresimati I nubendi «che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione, lo ricevano prima di essere ammessi al matrimonio, se è possibile farlo senza grave incomodo»166. Pertanto le parrocchie o le zone pastorali istituiscano appositi itinerari annuali di preparazione da far conoscere per tempo ai fidanzati che intendano avvalersene. Si ricorda che l’amministrazione della confermazione a nubendi non cresimati che già vivono in situazione coniugale irregolare (conviventi o sposati civilmente) non può precedere la celebrazione del matrimonio167, «mancando quella fondamentale conversione che è condizione necessaria per ottenere la grazia del Signore»168. Matrimonio dei minorenni Con la pubblicazione nel 1975 del nuovo diritto di famiglia169, si pone un problema particolare a proposito dell’ammissione al sacramento del matrimonio di giovani minorenni, che implica sovente fondati dubbi sulla futura stabilità della nuova famiglia. In merito a ciò, secondo le indicazioni del Decreto Generale sul matrimonio canonico, si ritiene opportuno dare le seguenti direttive: -quando il matrimonio è richiesto da giovani di età inferiore ai 16 anni, i Pastori d’anime, in modo rispettoso ma fermo, rifiutino il sacramento, ricordando agli interessati e alle loro famiglie che «le ragioni di convivenza so165 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Decreto Generale sul matrimonio canonico

(5 novembre 1990) 43. 166 CJC, can. 1065. 167 Decreto Generale, 8. 168 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari o difficili (26 aprile 1979) 36. 169 Legge 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia.

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ciale o di prassi tradizionale non valgono da sé sole a configurare gli estremi della particolare gravità, e che anche gli aspetti etici eventualmente implicati dal caso debbono comporsi con la morale certezza circa la stabilità del matrimonio, anche considerando che nella fattispecie il matrimonio canonico non potrà conseguire gli effetti civili»170; -nel caso di giovani che hanno superato i 16 anni, ma non hanno ancora compiuto i 18 anni, il Parroco cerchi di dissuaderli dal contrarre il matrimonio, mettendo in risalto i gravi rischi che una decisione così impegnativa, presa a questa età, normalmente comporta. Se esistono circostanze particolarmente gravi, il Parroco esiga “l’ammissione” al matrimonio da parte del Tribunale dei minori, richiesta necessaria per l’ottenimento degli effetti civili al matrimonio del minore a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 1983. Se questo non fosse possibile, il Parroco può allora sottoporre il caso, corredandolo di un personale giudizio, all’Ordinario che, avvalendosi della collaborazione di un consultorio di ispirazione cristiana171 (art. 37 D.G.), darà una valutazione circa la libertà del consenso e la maturità psico-fisica del minore, per la celebrazione di un matrimonio solo canonico da celebrarsi nella Diocesi. Matrimonio canonico dei vedovi e dei militari La stessa prudente valutazione è lasciata all’Ordinario per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio da parte di alcune persone che si trovano in situazioni particolari: vedovi172 e militari. Per i militari si consulti anche l’ordinariato militare173. Divisione dei due riti Per i cattolici che richiedano la celebrazione del matrimonio in due momenti distinti, e cioè la celebrazione civile e quella religiosa, i Parroci ricordino loro che «i cattolici in Italia sono tenuti a celebrare il matrimonio secondo la forma canonica con l’obbligo di avvalersi del riconoscimento agli effetti civili assicurato dal Concordato»174. Solo nel caso che l’Ordinario, per motivi gravi, dispensi dall’obbligo di avvalersi della trascrizione agli effetti civili, i contraenti, consapevoli che per i cattolici il rito civile delle nozze, per difetto di forma, non ha valore costitutivo per il vincolo matrimoniale, procederanno distintamente alla celebrazione dei due riti. In tale caso, la celebrazione del sacramento preceda il rito 170 Decreto Generale, 36. 171 Cfr Decreto Generale 37. 172 Cfr Decreto Generale 40. 173 Cfr Decreto Generale 41. 174 Decreto Generale 1.

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civile da compiersi, possibilmente, nello stesso giorno. L’eventuale domanda presentata in proposito dai fidanzati dovrà essere accompagnata da una lettera del Parroco, nella quale si esprima un giudizio sul caso concreto. Matrimonio canonico dopo il civile Oggi sono sempre più frequenti i casi di cattolici che hanno già contratto tra loro matrimonio solo civile e che chiedono di celebrare il sacramento. I Pastori di anime accolgano la loro richiesta con atteggiamento positivo e incoraggiante. Aiutino tuttavia i nubendi a riflettere sulla loro precedente scelta e sui motivi che li spingono oggi a chiedere il sacramento. A tal fine alleghino una domanda scritta all’Ordinario per ottenerne la licenza175, usando il n. 7 del formulario C.E.I. Si ricorda ai Parroci lo strumento giuridico della sanatio in radice176, quando uno dei due coniugi, sposati civilmente, chiede il matrimonio canonico, mentre l’altro si rifiuta di rinnovare il consenso nella forma canonica177. Matrimonio canonico dei divorziati da un matrimonio civile178 Normalmente, salvo giusta causa da sottoporre all’Ordinario, occorre attendere la registrazione della sentenza di scioglimento del vincolo che abbia composto eventuali pendenze verso i figli o altre persone. A tal fine si chieda all’Ordinario la licenza per un matrimonio concordatario utilizzando il n. 8 del formulario C.E.I.179. Qualora si avesse soltanto la sentenza di divorzio senza la registrazione, il Parroco, per gravi motivi pastorali, può inoltrare la domanda all’Ordinario per ottenere il matrimonio solo canonico, utilizzando il n. 8 del formulario C.E.I., dopo aver verificato la sincerità della richiesta dei nubendi e l’impegno a regolarizzare successivamente la posizione matrimoniale con il matrimonio civile. Matrimoni misti Si intendono i matrimoni celebrati tra cattolici e battezzati180 di altre comu-

175 Cfr Decreto Generale 44, 1. 176 Cfr CJC, can. 1161. 177 Cfr Decreto Generale 44, 1. 178 Cfr Decreto Generale 44, 3. 179 Cfr Decreto Generale 44, 3. 180 Si intendono validi quei battesimi amministrati in nome della SS. Trinità: cfr SE-

GRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI, Ad totam Ecclesiam, Direttorio ecumenico per l’applicazione delle decisioni del Concilio Vaticano II, parte I, 13 a.

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nioni cristiane181. In questi casi è necessario che con particolare cura pastorale i contraenti siano resi consapevoli delle difficoltà che potranno sorgere in una vita coniugale tra persone che non vivono in perfetta comunione ecclesiale182. Si potrà procedere alla celebrazione del matrimonio, con la licenza dell’Ordinario183, dopo che la parte contraente cattolica abbia sottoscritto davanti al Parroco la dichiarazione di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e la promessa di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica. Di questo impegno deve essere informata la parte non cattolica, “in modo tale che risulti chiaro che questa è consapevole delle promesse e dell’obbligo della parte cattolica”184. Matrimoni interreligiosi o di disparità di culto Si intendono i matrimoni celebrati tra cattolici e appartenenti a religioni non cristiane, non battezzati185. A maggior ragione in questi casi «è doveroso richiamare i nubendi cattolici sulle difficoltà cui potrebbero andare incontro in ordine all’espressione della loro fede, al rispetto delle reciproche convinzioni, all’educazione dei figli»186. Oltre alla dichiarazione sottoscritta dalla parte cattolica per i matrimoni misti187, è necessario ottenere dall’Ordinario la dispensa dall’impedimento di disparità di culto188. Particolare attenzione va riservata ai matrimoni tra cattolici e persone appartenenti alla religione islamica. La celebrazione del matrimonio tra un musulmano e una cattolica esige sempre una previa autorizzazione dell’Ordinario. Pertanto i Parroci non possono istruire la pratica matrimoniale senza aver consultato previamente il Vescovo.

181 Cfr CJC, can. 1124-1125; cfr CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Direttorio di

Pastorale familiare (25 luglio 1993) 88. 182 Cfr Decreto Generale, 47-52. 183 Cfr CJC, can. 1126. 184 PAOLO VI, Lettera apostolica data “motu proprio” Matrimonia mixta (31 marzo

1970) 4-5. 185 Cfr CJC, can. 1086. 186 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Direttorio di Pastorale familiare, 89. 187 Cfr CJC, can. 1124. 188 Cfr CJC, can. 1086.

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ISTRUZIONE DI CARATTERE AMMINISTRATIVO IN APPLICAZIONE DELLE ISTRUZIONI E NORME PARTE I MODULI PER LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO La Conferenza Episcopale Italiana contestualmente alla promulgazione del Decreto generale189 sul matrimonio del 17 febbraio 1991, ha preparato e pubblicato un Formulario per l’istruzione della pratica matrimoniale, con 17 moduli, (più 3 moduli bis) e un Prontuario per le domande di licenza o di dispensa matrimoniale, con 14 tracce di domanda. Lo scopo della C.E.I. è di favorire così un comportamento uniforme fra tutte le Diocesi locali, lasciando la possibilità di modificare la grafica, ma non il testo. I moduli si possono acquistare in Curia e, insieme ai timbri, devono conservarsi in armadio chiuso nell’ufficio parrocchiale. Riportiamo di seguito l’elenco del Formulario, con breve spiegazione del documento. Mod. I: Posizione matrimoniale Contiene le domande da rivolgere ai fidanzati prima delle nozze per identificare la loro persona e garantire la validità e la liceità del matrimonio, verificando nei nubendi la libertà di stato, l’assenza di impedimenti e l’integrità del consenso190. Mod. II: Certificato di Battesimo La dichiarazione di Battesimo deve rilasciarsi per “uso matrimonio” e quindi con le eventuali annotazioni marginali o con la espressa indicazione: “nessuna nota in margine”. Per la validità, il documento non deve superare i sei mesi dall’emissione. Mod. III: Certificato di Cresima È una dichiarazione che rilascia il Parroco del luogo ove è stata amministrata la Cresima. Può essere apposta, come nota marginale nell’atto del Battesimo, qualora risulti trascritta nel relativo registro. Mod. IV: Certificato di morte Sulla base del registro dei defunti, conservato nell’ufficio parrocchiale, il 189 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Decreto generale sul matrimonio canonico

(5 novembre 1990), in Notiziario CEI 10 (1990), 259-279. 190 Cfr CJC, can. 1066.

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Parroco può rilasciare il certificato di morte per una pratica di matrimonio solo canonico. Mod. V: Prova testimoniale di stato libero È il documento che redige il Parroco che istruisce la pratica, quando il/la fidanzato/a, dopo il sedicesimo anno di età, ha dimorato per più di un anno in una Diocesi diversa da quella in cui ha il domicilio191. Mod. VI: Dichiarazione dei genitori di nubendi minorenni Il Parroco che istruisce la pratica, ai sensi del can. 1071, del C.J.C., deve allegare la presente dichiarazione dei genitori alla domanda rivolta al Vescovo per ottenere la licenza al matrimonio di un minore192. Mod. VII: Pubblicazioni canoniche Il modulo contiene le generalità dei fidanzati e l’avvertimento ai fedeli di denunciare gli eventuali impedimenti canonici. Le pubblicazioni devono rimanere affisse all’Albo della parrocchia per otto giorni consecutivi in modo da includere due domeniche. Nel caso del matrimonio concordatario (ossia del matrimonio canonico che produca anche effetti civili), le pubblicazioni devono essere affisse per otto giorni comprendenti due domeniche anche all’Albo pretorio dei comuni di residenza degli sposi e, se questa non dura da un anno, anche nel precedente comune di residenza. Mod. VIII-IX: Richiesta di pubblicazioni da farsi in altre Parrocchie È la domanda con cui il Parroco che istruisce la pratica chiede che vengano eseguite le pubblicazioni in altra Parrocchia. La parte sottostante il modulo IX è l’attestato con cui il Parroco comunica le avvenute pubblicazioni ed il loro esito. Le pubblicazioni devono effettuarsi nella Parrocchia del domicilio o del quasi domicilio o della dimora protratta per un mese di ciascuno dei nubendi. Mod. X: Richiesta di pubblicazioni da farsi alla casa comunale La domanda, firmata dal Parroco, fa richiesta alla casa comunale delle pubblicazioni dei contraenti. Il modulo, stampato dalla Curia, non può essere modificato nella grafica.

191 Cfr Decreto Generale, 9. 192 Cfr Decreto Generale, 36-37.

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Mod. XI: Dichiarazioni prescritte nei matrimoni misti193 È l’impegno sottoscritto dalla parte cattolica con cui promette di aderire pienamente alla fede cattolica e di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli vengano battezzati ed educati cattolicamente. La parte non cattolica viene informata di questo impegno, ma non è tenuta alla firma. Mod. XII: Dichiarazione previa alla celebrazione del matrimonio solo canonico La presente dichiarazione, sottoscritta dai contraenti davanti al Parroco e da lui controfirmata, si allega alla domanda rivolta al Vescovo per ottenere la licenza alla celebrazione di un matrimonio canonico. Mod. XIII: Licenza ad altro Parroco È l’autorizzazione che l’Ordinario del luogo o il Parroco proprio di uno dei due nubendi, concede ad un terzo Parroco perché l’istruttoria matrimoniale e la celebrazione delle nozze avvenga nella sua Parrocchia. Questa licenza può essere accordata solo in presenza di una seria motivazione pastorale (es. inserimento dei nubendi nei gruppi parrocchiali). Mod. XIV: Stato dei documenti Il documento riassume le notizie religiose e civili circa i nubendi. Riporta la data delle pubblicazioni canoniche e civili, contiene lo spazio per la licenza ad altro Parroco se il matrimonio si celebra fuori Parrocchia, la delega al sacerdote celebrante, la firma del Cancelliere della Curia e la firma del Cancelliere di Curia del luogo ove si celebra il matrimonio (fuori Diocesi). Il Parroco della celebrazione troverà nella quarta pagina dello stato dei documenti gli indirizzi del Parroco che ha dato licenza e delle Parrocchie di battesimo, ove trasmettere e annotare, a norma del can. 1122, §2 del CJC, la notizia dell’avvenuto matrimonio. Mod. XV: Atto di Matrimonio Contiene, oltre le generalità degli sposi e dei testimoni, le date delle pubblicazioni canoniche e civili, anche eventuali altri adempimenti, quali la separazione dei beni e il riconoscimento dei figli. Mod. XVI: Richiesta di trascrizione agli effetti civili È il foglio che accompagna l’atto di Matrimonio per la sua trascrizione nei registri di stato civile. Il tagliando sottostante vale come ricevuta. 193 Cfr CJC, cann. 1086. 1124-1125.

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Mod. XVII: Notifica di Matrimonio e dichiarazione di avvenuta registrazione È una cartolina di comunicazione del Matrimonio al Parroco del luogo dov’è avvenuto il Battesimo dei nubendi. Ad essa è unita la risposta per la notifica della eseguita registrazione della nota marginale.

PARTE II PRONTUARIO PER LE DOMANDE DI LICENZA O DISPENSA MATRIMONIALE Num. 1: Dispensa dalle pubblicazioni canoniche È una domanda rivolta dal Parroco all’Ordinario per ottenere la dispensa da una o più pubblicazioni. La richiesta è seguita dalla motivazione. L’estensione della dispensa dalle pubblicazioni può essere totale oppure limitata solo alla parrocchia di uno dei nubendi. L’unica autorità competente a concedere la dispensa dalle pubblicazione canoniche è l’Ordinario del luogo (Vescovo Diocesano, Vicario Generale) per una «giusta causa»194. L’individuazione della «giusta causa» si configura come un atto discrezionale dell’Ordinario del luogo. Num. 2: Celebrazione del matrimonio prima del rilascio del Nulla osta civile Il Parroco chiede all’Ordinario la licenza per celebrare un matrimonio concordatario mentre sono in corso le pubblicazioni civili195. Ottenuta l’autorizzazione, i nubendi sono tenuti a celebrare il matrimonio nel territorio del Comune dove sono state iniziate le pratiche civili, per evitare difficoltà di trascrizione al civile. Num. 3: Celebrazione del Matrimonio senza la richiesta di pubblicazione civile Il Parroco chiede all’Ordinario la licenza di celebrare un matrimonio concordatario senza effettuare le pubblicazioni civili, per motivi ritenuti pastoralmente validi196. 194 Cfr Decreto Generale, 14. 195 Art. 12 della Legge 27 maggio 1929 n. 847. 196 Art. 13 della Legge 27 maggio 1929 n. 847.

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Num. 4: Domanda di Matrimonio solo canonico Questo schema di domanda riguarda il matrimonio canonico, che di diritto può essere trascritto in seguito dai contraenti197. Num. 5: Domanda per ottenere il visto dell’Ordinario ai fini della trascrizione del Matrimonio È il documento per la trascrizione tardiva del matrimonio concordatario198. Anche l’ordinamento civile all’art. 100 del Codice Civile, prevede la riduzione del termine e l’omissione delle pubblicazioni all’Albo pretorio, stabilite rispettivamente per «cause gravi» e per «cause gravissime», dal tribunale su istanza degli interessati, con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero. Num. 6: Domanda di matrimonio canonico non trascrivibile La richiesta riguarda quei casi in cui la legge canonica vieta il matrimonio, ma contestualmente prevede la possibilità della dispensa dall’impedimento199. Num. 7: Domanda di matrimonio dopo il civile La domanda vuol significare che la richiesta del Sacramento del Matrimonio non deve intendersi come una mera sistemazione di fatto, ma l’espressione di un cammino di fede. Num. 8: Domanda di Matrimonio dei divorziati Come nel Matrimonio dopo il civile, gli interessati espongono al Vescovo le motivazioni che li hanno spinti a compiere la prima scelta e a chiedere ora il matrimonio-sacramento. Contestualmente l’Ordinario verificherà se il precedente matrimonio sia stato celebrato solo civilmente, visionando la sentenza di divorzio allegata. Num. 9: Domanda di Matrimonio per chi è irretito da censura La richiesta è rivolta all’Ordinario solo se al Parroco risulta in foro esterno che una persona è incorsa nella censura (es. scomunica) e se non è stato possibile ottenere la riconciliazione. Num. 10: Domanda di Matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica Questo schema di domanda serve solo nel caso di matrimonio tra una per197 Art. 8 dell'accordo di revisione del Concordato Lateranense. 198 Art. 8 dell'accordo di revisione del Concordato Lateranense. 199 Cfr CJC, can. 1083.

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sona cattolica credente e un’altra battezzata nella Chiesa cattolica, ma che ha notoriamente abbandonato la fede. Num. 11: Domanda di Matrimonio di minorenne Questa traccia serve per ottenere la licenza nel caso di minorenne che abbia già compiuto il sedicesimo anno di età200. Num. 12: Licenza per un Matrimonio tra una parte cattolica, e una parte battezzata ma non Cattolica La domanda riguarda i matrimoni misti, tra cristiani201 (cfr Mod. XI). Num. 13: Domanda di dispensa da impedimento per Matrimonio tra una parte cattolica e una parte non battezzata La richiesta riguarda i matrimoni interreligiosi o di disparità di culto202. Num. 14: Domanda di dispensa dall’impedimento di consanguineità Questa traccia può essere usata anche per la domanda di dispensa da altri impedimenti (es. rapimento203, pubblica onestà204).

Parte III USO DEI MODULI E FORMULARI CEI IN RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI DEL DECRETO GENERALE SUL MATRIMONIO Articolo 1 Obbligo di celebrare il Matrimonio secondo la forma canonica (can. 1108), avvalendosi del riconoscimento agli effetti civili assicurato dal Concordato. Nel caso di sdoppiamento del rito canonico da quello civile, si richieda: 1) Domanda al Vescovo, con motivazione sottoscritta davanti al Parroco, che controfirma la loro deposizione. 2) Form. n. 4: domanda di Matrimonio solo canonico. 3) Mod. XII: dichiarazione previa al Matrimonio solo canonico.

200 Cfr Decreto Generale, 37; CJC, can. 1071, §1, §6. 201 Cfr CJC, cann. 1124-1125. 202 Cfr CJC, can. 1086. 203 Cfr CJC, can. 1089. 204 Cfr CJC, can. 1093.

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Articolo 14 Dispensa dalle Pubblicazioni canoniche, can. 1067. Form. n. 1. Articolo 30 Si riferisce alla richiesta della celebrazione del Matrimonio, mentre sono in corso le pubblicazioni civili. (Art. 12 della legge concordataria 27/5/1929, n. 847). 1) Form. n. 2. 2) Dichiarazione dell’ufficiale di Stato civile che attesta l’inizio delle pubblicazioni civili. Articolo 31 Domanda di Matrimonio concordatario, senza la richiesta di pubblicazioni civili (Art. 13 della legge 27/5/1929, n. 847). 1) Form. n. 3 2) Domanda al Vescovo, con motivazione scritta dei nubendi. Articoli 36-37 Matrimonio di minorenni. 1) Mod. VI: Dichiarazione dei genitori can. 1071, 1, n.6. 2) Form. n. 11: Domanda per ottenere la licenza al Matrimonio di minorenne 3) Relazione del consultorio. 4) Decreto del Tribunale dei minori. Articolo 40 Matrimonio canonico di persone vedove 1) Mod. XII: Dichiarazione previa al Matrimonio canonico. 2) Form. n. 4: Domanda di Matrimonio solo canonico. 3) Domanda al Vescovo con motivazione, firmata dai nubendi. Articolo 41 Matrimonio di militari che non hanno compiuto il 25° anno di età, o 4 anni di servizio 1) Che non manchi più di 1 anno per l’ottenimento degli effetti civili 2) Mod. XII: Dichiarazione previa al Matrimonio canonico. 3) Form. n. 4: Domanda di matrimonio solo canonico. 4) Certificato di servizio. 5) Si consiglia anche di coinvolgere l’Ordinariato militare.

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Articolo 43 Matrimonio di coloro che non sono pienamente disposti a celebrarlo con fede. 1) Form. nn. 9 e 10. 2) Esporre preventivamente il caso all’Ordinario, con domanda firmata dai nubendi e controfirmata dal Parroco. Articolo 44, l Matrimonio canonico di persone già sposate civilmente tra loro. 1) Domanda al Vescovo con motivazione. 2) Copia dell’avvenuto Matrimonio civile. 3) Form. 7: Matrimonio canonico dopo il civile. 4) Si può usufruire della sanatio in radice (can. 1161). Articolo 44, 2 Matrimonio solo canonico da parte di una persona canonicamente e civilmente libera, con persona cattolica già sposata civilmente, ma in attesa di divorzio. 1) È possibile concedere il Matrimonio solo canonico se c’è almeno la sentenza di divorzio, anche se questa non è stata ancora omologata civilmente. 2) Domanda al Vescovo, con motivazione. 3) Form. n.6: Domanda del Parroco all’Ordinario. Articolo 44, 3 Matrimonio da parte di una persona canonicamente e civilmente libera con persona cattolica, già sposata civilmente e divorziata. 1) Form. n. 8: Domanda di Matrimonio di divorziati. 2) Domanda al Vescovo, con motivazione. Articolo 44, 4 Matrimonio canonico di persone canonicamente libere, di cui una abbia ottenuto la sentenza di nullità, non ancora delibata al civile. 1) Mod. XII: Domanda al Vescovo, con motivazione. 2) Decreto di esecutività da parte del Tribunale ecclesiastico, con eventuali clausole. 3) Estremi della domanda inoltrata alla Corte di Appello. 4) Form. n. 4: Dichiarazione del Parroco all’Ordinario. Articolo 44, 5 Richiesta di Matrimonio dopo la dispensa su “rato e non consumato”. 1) Domanda al Vescovo con l’impegno di celebrare il Matrimonio anche

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con il rito civile. 2) Dispensa ecclesiastica, con eventuali clausole. 3) Sentenza di divorzio o di separazione. 4) Mod. XII: Dichiarazione dei nubendi. 5) Form. n. 6 : Domanda del Parroco all’Ordinario. Articolo 48 A) Matrimonio di persona cattolica con altra non battezzata (disparità di culto: can. 1086) 1) Mod. XI: Cauzioni. 2) Form. n. 13: Domanda di dispensa. 3) Stato libero dei contraenti. B) Matrimonio di persona cattolica con altra battezzata non cattolicamente (mista religione: cann. 1124- 1125). 1) Certificato di Battesimo della parte non cattolica. 2) Stato libero della parte non cattolica rilasciato dal Pastore o sostituito dalla testimonianza di un familiare. 3) Mod. XI: Cauzioni. 4) Form. n. 12: Domanda del Parroco all’Ordinario per la licenza. - Dispensa dall’impedimento di consanguineità (Can. 1091). 1) Form. n. 14.

PARTE IV DOCUMENTI PER IL MATRIMONIO CONCORDATARIO 1) Religiosi a) Certificato di Battesimo uso matrimonio; b) Certificato di Cresima; c) Certificato di stato libero (se occorre). 2) Civili Contestuale in carta semplice. (1) Questi documenti per un matrimonio concordatario valgono sia per una procedura normale sia nei casi eccezionali. Vogliamo ora soffermarci sui certificati richiesti per sottolinearne alcune peculiarità.

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Battesimo 1) Il certificato non deve superare i sei mesi dall’emissione. La scadenza si giustifica per la presenza di eventuali annotazioni marginali sull’atto di battesimo che possono alterare lo stato giuridico del/la nubendo/a. 2) Nell’impossibilità di esibire il certificato, perché battezzati all’estero, è sufficiente anche un documento con data anteriore ai sei mesi, purché ci sia la testimonianza giurata di persone degne di fede che confermino lo stato libero ecclesiastico del/la nubendo/a. 3) Se per vari motivi (es. chiesa distrutta) non è possibile reperire la certificazione di battesimo, è sufficiente la dichiarazione di un solo testimone al di sopra di ogni sospetto o il giuramento dello/a stesso/a battezzato/a, se ha ricevuto il battesimo in età adulta205. 4) Validità e riconoscimento. È valido il battesimo celebrato nelle Chiese e Comunità ecclesiali ortodossa, valdese, metodista, battista, luterana e anglicana, e in genere sono validi i battesimi amministrati in nome della SS. Trinità. Non sono riconosciuti validi i battesimi dei Testimoni di Geova e dei Mormoni, mancando nel loro rito l’indispensabile riferimento trinitario206. 5) Nel compilare l’atto di battesimo il Parroco trascriva anche le annotazioni marginali (adozioni, altro matrimonio celebrato, dichiarazione di nullità di matrimonio, divieto di passare a nuove nozze) trasmettendo il documento in busta chiusa al Parroco che istruisce la pratica. 6) La legalizzazione della firma del Parroco da parte della Curia non è più necessaria per le Diocesi che sono in Italia, ma è richiesta se il documento dovrà presentarsi all’estero. Cresima 1) I1 certificato non ha scadenza. 2) Occorre ricevere il Sacramento prima del matrimonio “se è possibile farlo senza grave incomodo”207. 3) Non si deve conferire la cresima prima del matrimonio a nubendi che vi205 Cfr CJC, can. 876. 206 Cfr SEGRETARIATO PER L'UNIONE DEI CRISTIANI,

Ad totam Ecclesiam, Direttorio Ecumenico per l'applicazione delle decisioni del Concilio Vaticano II sull'ecumenismo, parte I, 13 a. 207 CJC, can. 1065.

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vono in situazione coniugale irregolare (conviventi o sposati civilmente)208. Stato libero ecclesiastico 1) Il Parroco che istruisce la pratica redige anche la prova testimoniale di stato libero dei nubendi che dopo il sedicesimo anno di età hanno dimorato in una Diocesi diversa da quella in cui hanno il domicilio209. Se non è possibile avere la prova testimoniale di stato libero, le risposte date alla domanda n. 1 della posizione matrimoniale valgono come giuramento suppletorio, o si usi il modello V bis. 2) Per lo stato libero degli stranieri fanno fede l’annotazione negativa a margine del certificato di battesimo e lo stato giuridico espresso nel NULLA OSTA consolare. 3) Per lo stato libero dei non battezzati il Parroco deve richiedere alla parte non cattolica una dichiarazione scritta rilasciata da testimoni idonei che attesti che essa non ha contratto mai alcun matrimonio. «Questa richiesta non è segno di mancanza di fiducia nella persona non cattolica o di minor rispetto delle sue convinzioni religiose [...] più precisamente vuole accertare che non ci sia l’impedimento di un precedente vincolo matrimoniale a norma del can. 1085 CJC»210. Contestuale 1) È un documento cumulativo che contiene: - residenza; - cittadinanza; - stato libero. I sacerdoti incaricati non procedano all’istruzione della pratica matrimoniale senza la licenza dell’Ordinario nei casi di: - matrimonio canonico dopo il civile; - matrimonio di divorziati; - matrimonio concordatario con sospensione degli effetti civili; - matrimonio canonico dei vedovi; - matrimonio canonico dei minorenni; -matrimonio canonico dei militari; - matrimonio con celebrazione separata dei due riti. La pratica matrimoniale, a norma del can. 1115 C.J.C., si può svolgere indifferentemente nella parrocchia di uno dei due nubendi. In presenza di una 208 Cfr Decreto Generale, 8. 209 Cfr Decreto Generale, 9. 210 Decreto Generale, 49.

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seria motivazione pastorale dei fidanzati (es. inserimento nei gruppi parrocchiali) può essere un terzo sacerdote ad istruire la pratica matrimoniale e a celebrare il matrimonio, purché questi abbia la licenza scritta (mod. XIII) rilasciata da uno dei due Parroci. PARTE V LA PRATICA MATRIMONIALE IN GENERE211 1) Procedura ordinaria Dopo il corso prematrimoniale, possibilmente, con i documenti religiosi e il contestuale i nubendi si presenteranno al Parroco o al sacerdote incaricato per l’istruzione della pratica matrimoniale. Sia il sacerdote e non il laico la persona che riceve i nubendi. L’accoglienza sia calorosa e non burocratica, così da poter diventare offerta di catechesi. Usando la “posizione matrimoniale” (mod. I) il sacerdote interrogherà separatamente i nubendi invitandoli a rispondere alle domande sotto il vincolo del giuramento, e assicurandoli che esse sono tutelate dal segreto di ufficio. Le risposte non si riducano al “sì” e al “no” ma esprimano più significativamente l’intenzione dei nubendi; siano scritte a macchina o con grafia leggibile. Le domande n. 1 e 2 sullo stato libero non si tralascino mai; le risposte possono valere anche come giuramento suppletorio. La domanda n. 3 riguarda l’accettazione del matrimonio sacramento. Se il sacerdote ravvisa dei dubbi nei nubendi, avverta la Curia. Le domande nn. 4, 5, 6 e 7 vertono sull’intenzione dei nubendi di accettare le proprietà fondamentali del matrimonio quali: - l’unità; - la fedeltà; - l’indissolubilità; - la procreazione responsabile. La domanda n. 10 non è da sottovalutare. Nascondere qualcosa (es. AIDS, 211 Si tenga presente che tutta la documentazione ha validità di sei mesi dalla data di

emissione.

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malattie ereditarie, debiti) che potrà turbare la vita coniugale è causa di nullità. Per quanto concerne il contenuto della pag. 4 della posizione matrimoniale, occorre verificare se si ravvisano casi di impedimento o divieti di: 1) consanguineità (can. 1091 C.J.C.); 2) minore età (can. 1083 C.J.C.); 3) disparità di culto (can. 1086 C.J.C.); 4) ordine sacro (can. 1087 C.J.C.); 5) rapimento (can. 1089 C.J.C.); o divieti: 1) di Matrimonio misto (can. 1124, 1125 C.J.C.); 2) per chi ha abbandonato notoriamente la fede o è irretito da censura (can. 1071, § 1, nn. 4-5 C.J.C.); 3) di Matrimonio celebrato attraverso procuratore (can. 1071, § 1 n. 7 C.J. C.). Al termine della pratica matrimoniale il Parroco invierà in Comune i nubendi con la richiesta (mod. X) da farsi alla Casa comunale per le pubblicazioni civili. In via ordinaria il Parroco non richieda la pubblicazione all’Ufficiale di Stato civile se prima non ha istruito la pratica matrimoniale. Nel giorno stabilito i nubendi si presenteranno in Comune con due testimoni, che abbiano la maggiore età e siano cittadini italiani. Per due domeniche verranno affisse in Comune le pubblicazioni; dopo la seconda domenica i nubendi ritireranno in Comune il certificato delle avvenute pubblicazioni civili e lo consegneranno in Parrocchia. Contemporaneamente il Parroco effettuerà le pubblicazioni canoniche nella sua parrocchia (mod. VII) ed invierà richiesta di pubblicazioni canoniche anche nella parrocchia dell’altra parte (mod. VII o IX). Terminate le pubblicazioni canoniche e ottenuto il certificato di avvenute pubblicazioni civili, valido 180 giorni, il Parroco invierà in busta chiusa alla Curia, tramite i nubendi, la posizione matrimoniale e lo “stato dei documenti” (mod. XIV) debitamente compilato, con l’eventuale licenza di celebrazione di matrimonio ad altro Parroco, per farvi apporre il Protocollo e la firma di convalida dal Cancelliere di curia.

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Stato dei documenti (mod. XIV) La pagina 1 riassume le notizie religiose e civili circa i nubendi. In caso di differenza tra i dati anagrafici dell’atto civile di nascita e dell’atto di battesimo, si riportino entrambi dando la priorità a quelli che risultano dall’atto civile e specificando tra parentesi quanto risulta dall’atto di battesimo. Si indichi il Comune della residenza civile. L’eventuale differenza del domicilio canonico (dimora di fatto) venga annotata nelle righe successive riguardanti la Parrocchia. Nella pagina 2 si riportino le date delle pubblicazioni canoniche e civili. Si lasci all’ufficio il compito di compilare lo spazio riguardante la dispensa da impedimenti o la licenza. La pagina 3 contiene gli spazi per la licenza ad altro Parroco se il matrimonio si celebra fuori parrocchia; la delega al sacerdote celebrante; la firma del Cancelliere della Curia e la firma del Cancelliere di Curia del luogo ove si celebra il matrimonio (fuori Diocesi). Nella pagina 4 occorre trascrivere l’indirizzo del Parroco che ha dato licenza e delle parrocchie di battesimo dei nubendi ove comunicare e annotare la notizia del matrimonio celebrato. Dopo la celebrazione del matrimonio, il Parroco compilerà sullo Stato dei documenti la parte riguardante l’annotazione dell’avvenuto matrimonio che conserverà nell’archivio parrocchiale, insieme al Nulla Osta civile, al certificato di avvenuta trascrizione nei registri civili del Comune e all’eventuale ricevuta di trascrizione marginale sull’atto di battesimo da parte dei Parroci di provenienza. 2) Procedura straordinaria In caso di matrimonio da celebrarsi durante le pubblicazioni civili (art. 12 della legge concordataria 27 maggio 1929 n. 847) o con omissione delle pubblicazioni civili (art. 13) oppure con sospensione degli effetti civili (art. 8 del Concordato), il Parroco, prima di iniziare la pratica matrimoniale, presenti alla Curia gli interessati con una domanda da loro sottoscritta nella quale sia specificato il motivo per cui si chiede l’applicazione dei suddetti articoli. Il permesso rilasciato dalla Curia ha valore solo per la Diocesi. In caso di

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sospensione degli effetti civili il Parroco si attenga alle disposizioni specifiche della Curia. 3) Matrimonio di extradiocesani Coloro che, non appartenendo alla Diocesi, desiderano celebrare le nozze in Diocesi devono esibire alla Curia lo stato dei documenti (mod. XIV) vistato dalla Curia dove si è svolta la pratica matrimoniale, onde ottenere il visto della Curia per gli adempimenti fissati dal diritto particolare. Al nulla osta ecclesiastico si deve allegare il certificato delle avvenute pubblicazioni civili. 4) Adempimenti 1) I coniugi che scelgono il regime patrimoniale della separazione dei beni dovranno manifestare la loro intenzione. La firma sottostante degli sposi, dei testimoni e del celebrante confermerà anche la scelta della separazione dei beni. 2) È dovere del Parroco ove si celebra il matrimonio comunicare ai Parroci di battesimo degli sposi l’avvenuto matrimonio per farlo annotare nei registri, utilizzando il mod. XVII della C.E.I. 3) Entro cinque giorni il Parroco dove si è celebrato il matrimonio ha il dovere di trasmettere “l’atto di matrimonio” (mod. XV) al Comune, allegandovi la “richiesta di trascrizione agli effetti civili” (Mod. XVI). La richiesta di trascrizione può avvenire o per posta (Raccomanda A.R.) o consegnando l’atto di matrimonio all’ufficio protocollo del Comune. L’impiegato del Comune rilascerà il tagliando sottostante il mod. XVI come ricevuta, che verrà inserita nello stato dei documenti unitamente alla cartolina bianca che il Comune invierà a convalida dell’avvenuta trascrizione. 4) L’inadempienza derivante dalla mancata trascrizione del matrimonio entro i termini di legge comporta conseguenze civili e penali di cui si assume la totale responsabilità il Parroco competente. 5) Riconoscimento e adozione dei figli (confronta pagina 40). 6) Rettifica degli atti originali Per tutti questi casi il Parroco invierà alla Curia gli interessati con l’atto originale di battesimo, o di cresima o di matrimonio.

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Per poter procedere alla rettifica degli atti originali gli interessati dovranno esibire e rilasciare in Curia la copia integrale dell’atto di nascita, che potrà essere sostituita, a seconda dei casi, o con l’estratto dell’atto di nascita ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 2 maggio 1957 n. 432, o con uno stato di famiglia o con la sentenza del Tribunale dei minori che concede l’adozione. Il Cancelliere, per Decreto, autorizzerà la variazione che si richiede venga effettuata nei registri ecclesiastici.

PARTE VI LA PRATICA MATRIMONIALE NEI CASI PARTICOLARI A) CASI RIGUARDANTI LO STATO GIURIDICO DEI CONIUGI 1) Matrimonio tra parrocchiani che hanno la residenza civile in altro Comune Spesso avviene che due contraenti non abbiano più la residenza civile nel Comune dove si trova la loro Parrocchia, perché hanno dovuto acquisire la residenza del luogo dove andranno ad abitare (es. acquisto prima casa in prossimità del matrimonio). In questi casi, la pratica matrimoniale sarà istruita dal Parroco di residenza di uno dei nubendi. In caso di impossibilità da parte dei parroci di residenza o dei nubendi stessi, si darà licenza al Parroco del domicilio canonico dei nubendi di istruire la pratica matrimoniale e di celebrare il matrimonio. 2) Matrimonio di persone italiane che non risultano iscritte nei registri delle popolazioni di alcun Comune d ‘Italia, o abbiano i documenti civili errati In questi casi, l’Ufficiale di stato civile non potrà accettare la richiesta di pubblicazioni. Prima di procedere all’istruzione della pratica matrimoniale, il Parroco, consultata la Curia, inviterà subito gli interessati a regolarizzare la loro posizione civile e a rettificare i certificati. Per gravi ed urgenti casi, la Curia potrà concedere l’applicazione dell’articolo 13 della legge 27 maggio 1929, n. 847, ancora vigente, per un matrimonio da celebrarsi nella Diocesi. In questo caso si esigerà per lo stato libero civile del contraente, un atto di notorietà, redatto alla presenza di due testimoni, rilasciato dalla Pretura alla parte interessata. 142


3) Matrimonio dei girovaghi Sono considerati girovaghi tutti coloro che non hanno il domicilio né il quasi domicilio: così i venditori ambulanti, i nomadi, gli zingari, i fieranti, i circensi, gli artisti di teatro, ecc. Il Parroco proprio di tutti costoro è il Parroco del luogo ove essi dimorano di fatto212. L’istruttoria matrimoniale non deve iniziarsi senza la licenza dell’Ordinario213. Poiché la legge civile non contempla il caso dei girovaghi in quanto ritiene inconcepibile la coesistenza di un individuo nella nazione senza che questi abbia una residenza anagrafica, a costoro si potrà consigliare di chiedere al Tribunale la dispensa dalle pubblicazioni civili (art. 94 Codice Civile). Alla domanda di dispensa, oltre i documenti civili richiesti per il matrimonio, deve essere unito un atto di notorietà redatto davanti al Pretore e a due testimoni. Ottenuta la dispensa dalle pubblicazioni civili, non ci sarà difficoltà ad ottenere la trascrizione del matrimonio agli effetti civili. “Il Parroco che dà inizio all’istruttoria matrimoniale, qualora non abbia a sua disposizione il tempo sufficiente per giungere al termine dell’indagine, trasmetterà i documenti da lui raccolti, corredati da una relazione scritta, al Parroco del luogo della celebrazione, il quale completerà l’istruttoria”214. 4) Matrimonio dei carcerati Se uno dei contraenti è detenuto/a in carcere, la pratica di matrimonio ha lo svolgimento normale. Il Parroco che istruisce la pratica farà raccogliere dal Cappellano del carcere l’interrogatorio del detenuto/a, usando la posizione matrimoniale (mod. 1). Nell’impossibilità del detenuto/a di presentarsi in Comune per la richiesta dei documenti civili, il Parroco chiederà all’Ordinario l’applicazione dell’art.13 della Legge 27 maggio 1929 n. 847. 5) Matrimonio degli stranieri Gli stranieri che vogliono sposarsi in Italia, dal punto di vista canonico sono tenuti alle leggi generali; dal punto di vista civile possono celebrare il matrimonio secondo le norme vigenti in Italia o secondo quelle del proprio paese. Se si sposano secondo le leggi italiane sono tenuti al matrimonio concordatario215; se invece vogliono contrarre il matrimonio secondo le norme del 212 Cfr CJC, can. 107, § 3. 213 Cfr CJC, can. 1071, § 1. 214 Cfr Decreto Generale, 46. 215 Cfr Decreto Generale, 1.

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proprio paese (dove in genere vige la divisione dei due atti), dovranno contrarre distintamente le nozze civili da quelle religiose. Si tenga presente che al momento della celebrazione del matrimonio, sarà necessario indicare nell’atto di matrimonio (mod. XV) la scelta della legge patrimoniale. Per quanto riguarda la pratica matrimoniale distinguiamo due casi: a) Matrimonio concordatario I contraenti dovranno fare la regolare pratica con la consegna di tutti i documenti civili e religiosi. La parte straniera in sostituzione dei documenti civili, consegnerà il Nulla Osta consolare che dovrà contenere tutte le generalità (stato civile del contraente, il luogo e la data di nascita) con la legalizzazione della firma del Console da parte della Prefettura, se il paese che lo rilascia non appartiene alla Comunità Economica Europea (CEE). Qualora l’autorità straniera non volesse rilasciare il Nulla Osta (cfr. l’India), o l’interessato non potesse per motivi politici rivolgersi al proprio consolato, la parte straniera dovrà esibire un’attestazione comprovante la sua qualità di rifugiato politico (Legge 24/7/1954 n. 722). L’attestazione viene rilasciata dall’Alto Commissariato per i rifugiati politici. La documentazione verrà completata con l’atto notorio redatto davanti al Notaio o al Pretore con due testimoni. Sarà fatto il regolare esame degli sposi (mod. 1) e le pubblicazioni canoniche (mod. 7-8-9). I1 Parroco invierà poi i nubendi in Comune per la richiesta di pubblicazioni civili (mod. 10) ed attenderà il nulla osta dell’ufficiale di stato civile per chiedere successivamente il nulla osta della Curia. b) Matrimonio non concordatario (solo canonico) Se i contraenti hanno già celebrato il matrimonio civile o nel loro stato o nel consolato in Italia, dovranno esibire al Parroco, insieme ai documenti religiosi, il certificato di avvenuto matrimonio civile. Nel caso in cui la pratica sia stata istruita all’estero, per contrarre matrimonio in Diocesi, i nubendi consegneranno il nulla osta della Curia diocesana, con licenza ad altro Parroco, e il certificato di avvenuto matrimonio civile al Parroco dove sarà celebrato il matrimonio. I1 Parroco compilerà lo Stato dei documenti (mod. XIV bis) ed invierà la documentazione alla Curia per ottenere il visto per la celebrazione del matrimonio. 6) Matrimonio degli apolidi Apolidi sono coloro che non hanno la cittadinanza italiana, né quella di alcun paese estero. Per essere considerati tali è necessaria una dichiarazione della Magistratura. Ad essi si applica la legge del luogo dove risiedono216. 216

Cfr art. 29 delle Disposizioni sulla legge in generale approvato con R.D. 16/03/1942 n. 262.

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Per la pratica matrimoniale gli apolidi devono presentare i regolari documenti ecclesiastici e civili e svolgere la pratica matrimoniale in via ordinaria. In mancanza dell’atto di nascita e dello stato libero esibiranno un atto notorio e in sostituzione del certificato di cittadinanza il documento di apolidia. Senza la dichiarazione della Magistratura, l’apolide non potrà avere la trascrizione nei registri di stato civile di un suo matrimonio concordatario. Se si prevede che la dichiarazione della Magistratura non potrà facilmente ottenersi, l’Ordinario potrà permettere la celebrazione del matrimonio nella Città del Vaticano. 7) Matrimonio dei vedovi a) Matrimonio concordatario Per celebrare un ulteriore matrimonio i vedovi devono esibire nuovamente i certificati di battesimo, cresima, contestuale, certificato di morte del coniuge. Per il resto la pratica è regolare. È da notare che la donna, divenuta vedova, è soggetta secondo la legge civile al lutto vedovile, per cui non potrà contrarre matrimonio se non dopo trecento giorni dalla morte del coniuge217. Un’eventuale gravidanza, infatti, potrebbe attribuirsi al defunto marito. Se la morte del coniuge non può essere dimostrata con un documento autentico ecclesiastico o civile, non si consideri l’altro coniuge libero dal vincolo matrimoniale se non dopo la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal Vescovo diocesano218. La dichiarazione di cui al paragrafo precedente può essere fatta dal Vescovo diocesano soltanto dopo aver conseguito, fatte opportune indagini, la certezza morale del decesso del coniuge dalla deposizione di testimoni, per fama oppure da indizi. La sola assenza del coniuge, benché prolungata, non è sufficiente219. Nei casi incerti e complessi il Vescovo consulti la Sede Apostolica220. Nei casi di “morte presunta” per la trascrizione del matrimonio nei registri di stato civile è necessaria anche la sentenza di morte presunta del Tribunale civile, annotata sull’atto di matrimonio. Nell’impossibilità di avere questo documento la Curia potrà permettere la celebrazione del matrimonio nella Città del Vaticano.

217 Cfr Codice Civile, art. 89. 218 Cfr CJC, can. 1707, § 1. 219 Cfr CJC, can. 1707, § 2. 220 Cfr CJC, can. 1707, § 3.

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b) Matrimonio canonico “L’ammissione al matrimonio solo canonico di persone vedove può essere concessa dall’Ordinario del luogo per giusta causa, quando esse siano anziane e veramente bisognose “221. Le condizioni quindi per ottenere il matrimonio solo canonico sono l’età avanzata e lo stato di bisogno. I nubendi presenteranno in Curia una domanda indirizzata al Vescovo, dove esporranno i motivi della loro richiesta, firmata da ambedue davanti al Parroco e da questi controfirmata. Se l’Ordinario lo riterrà opportuno potrà concedere la licenza per il matrimonio solo canonico da celebrarsi nella Diocesi. Solo allora il Parroco potrà iniziare la pratica matrimoniale. Per i documenti occorrerà esibire oltre quelli religiosi, il contestuale e l’atto di morte del defunto coniuge. 8) Matrimonio canonico dei militari I sottufficiali e i militari di truppa dell’Arma dei Carabinieri, dei Corpi della Guardia di Finanza, dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, come pure gli Ufficiali in servizio permanente effettivo (SPE) (la Polizia di Stato è stata smilitarizzata), non possono contrarre matrimonio con gli effetti civili senza l’autorizzazione dell’autorità competente (Legge 23/3/1956 n.l85). Per il matrimonio solo canonico delle suddette categorie, è necessario inoltrare una domanda all’ordinariato militare per motivare le ragioni della richiesta. L’Ordinario valuterà “le ragioni addotte a sostegno del matrimonio solo canonico soprattutto quando la proibizione di legge non si prolunga nel tempo”222. Ottenuta la licenza il Parroco potrà istruire la pratica per un matrimonio canonico da celebrarsi nella Diocesi. 9) Matrimonio canonico dopo il civile Coloro che hanno già contratto tra loro il matrimonio civile, possono successivamente celebrare anche il matrimonio canonico223. A tal fine il Parroco presenterà la domanda n. 7 del formulario CEI al Vescovo per ottenere la licenza alla celebrazione del matrimonio solo canonico, unitamente a quella dei nubendi nella quale essi espongono le circostanze che hanno determinato la precedente scelta di matrimonio civile, e i motivi che ora li spingono a chiedere il matrimonio sacramento. Il Parroco sarà particolarmente attento con coloro che domandano il matri221 Decreto Generale, 40. 222 Decreto Generale, 41. 223 Cfr Decreto Generale, 44, 1.

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monio religioso unicamente per ragioni di convenienza sociale, estranee ad un cammino di fede. Rifiuterà, pertanto, di procedere in forma sbrigativa e quasi burocratica «come se si trattasse di una sistemazione di una situazione anormale»224. Ottenuta la licenza dell’Ordinario per un matrimonio canonico da celebrarsi nella Diocesi, il Parroco istruirà una regolare pratica; in sostituzione dei documenti civili richiederà il certificato del matrimonio civile. Se i nubendi, nell’ambiente in cui vivono, sono ritenuti sposati anche di fronte alla Chiesa, il Parroco richiederà la dispensa dalle pubblicazioni canoniche, inoltrando la domanda al Vescovo (n. 1 del formulario CEI). 10) La Sanatio in Radice «La sanatio in radice di un matrimonio nullo consiste nella sua convalidazione senza rinnovazione del consenso, concessa dalla competente autorità; essa comporta la dispensa dall’impedimento, se c’è, e dalla forma canonica se non fu osservata, nonché la retroazione al passato degli effetti canonici»225. La sanatio in radice suppone la validità e la perseveranza del consenso ed ottiene gli effetti per il passato o, come si dice, ex tunc, cioè dal momento della celebrazione del matrimonio civile. Nella pratica: il Parroco di fronte alla richiesta della sanatio in radice da parte di un coniuge o di ambedue, interroghi la parte interessata usando la posizione matrimoniale (mod. 1) per verificare che il consenso non sia mai stato interrotto dal momento della celebrazione, e che ci sia l’accettazione delle proprietà fondamentali del matrimonio. Richieda anche il certificato di battesimo uso matrimonio (mod. 2), della cresima (mod. 3), e il certificato di matrimonio civile. La parte interessata alla sanatio in radice esporrà in una domanda al Vescovo le motivazioni che l’hanno indotta alla scelta del matrimonio civile, e dichiarerà le ragioni che ora la spingono a chiedere la sanatio in radice. La documentazione verrà consegnata alla Curia che provvederà, a nome dell’Ordinario, a rilasciare la notificazione della sanatio in radice da inserire nei registri di matrimonio della Parrocchia in sostituzione dell’Atto di Matrimonio. Sarà premura del Parroco annotare nei registri dei battezzati, se ivi hanno ricevuto il battesimo, o di comunicare ad altro Parroco la notizia dell’avvenuta sanatio in radice specificando il giorno, il mese e l’anno.

224 Decreto Generale, 44. 225 CJC, can. 1161, § 1.

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11) Matrimonio dei divorziati Coloro che hanno celebrato il matrimonio civile ed hanno ottenuto lo scioglimento del vincolo (divorzio) possono contrarre un matrimonio concordatario con altra persona226. A tal fine il Parroco presenterà la domanda al Vescovo utilizzando il modello n. 8 del formulario CEI unitamente a quella dei nubendi dove spiegheranno i motivi della loro prima scelta. Solo dopo la licenza dell’Ordinario il Parroco istruirà una normale pratica matrimoniale allegando ai documenti religiosi il contestuale e copia della sentenza di divorzio. Se la sentenza di divorzio non fosse ancora registrata allo stato civile, il Parroco, per gravi motivi pastorali, potrà presentare al Vescovo la domanda, usando il modello n. 8 del formulario, unitamente a quella dei nubendi, nella quale spiegheranno i motivi della richiesta del matrimonio-sacramento, al fine di ottenere la licenza per un matrimonio solo canonico, da celebrarsi nella Diocesi. Ottenuta la licenza, il Parroco non procederà alla celebrazione del sacramento senza prima aver chiesto ed ottenuto dai nubendi l’impegno di regolarizzare non appena possibile la loro posizione matrimoniale agli effetti civili (mod. 12) e di consegnare successivamente in Curia il certificato di avvenuto matrimonio civile. Nella celebrazione del matrimonio il Parroco non leggerà gli articoli del codice civile, né compilerà il secondo atto originale da trasmettersi all’ufficiale di stato civile. 12) Matrimonio concordatario di persone che hanno ottenuto la dichiarazione di nullità del primo matrimonio, o la dispensa super rato e non consumato a) Coloro che hanno ottenuto la dichiarazione di nullità del precedente matrimonio, per contrarre un nuovo vincolo dovranno esibire, oltre ai regolari documenti, il certificato di battesimo, cresima e il contestuale. I nubendi dovranno anche presentare il “dispositivo” della dichiarazione di nullità per verificare l’esistenza o meno di divieti a passare a nuove nozze, ed ottenerne eventualmente la revoca da parte dell’Ordinario227. Qualora la sentenza ecclesiastica non fosse ancora delibata in Italia e non vi sia stato lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, gli sposi, per motivi gravi ed urgenti, potranno chiedere all’Ordinario l’autorizzazione per la celebrazione del matrimonio concordatario con trascrizione tardiva228 da celebrarsi nella Diocesi, usando per la pratica il mod. VIII bis. Ottenuta la licenza, i nubendi ricordino che la trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su 226 Cfr Decreto Generale, 44, 3. 227 Cfr Decreto Generale, 59. 228 Cfr Decreto Generale, 44, 4.

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richiesta dei due contraenti od anche di uno di essi con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, non mai post mortem229. b) Coloro invece che hanno ottenuto la dispensa pontificia super rato e non consumato dovranno esibire il rescritto della Congregazione dei Sacramenti e il permesso di passare a nuove nozze. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1983, la dispensa super rato e non consumato non potrà avere efficacia in Italia. Pertanto gli sposi dovranno celebrare distintamente il matrimonio canonico e il rito civile delle nozze, qualora avessero ottenuto lo scioglimento del vincolo da parte dello Stato. 13) Matrimonio dei minorenni «L’uomo prima dei 16 anni compiuti, la donna prima dei 14 pure compiuti non possono celebrare un valido matrimonio»230. Ma al paragrafo 2 del can. 1083 il legislatore conferisce alle Conferenze Episcopali il diritto di fissare un’età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio. Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale italiana, nella delibera n. 10, ha stabilito di elevare a 18 anni, sia per gli uomini che per le donne, l’età per la celebrazione del matrimonio in conformità alle leggi civili italiane. Pertanto minorenni sono coloro che non hanno compiuto i 18 anni di età. Quando il matrimonio è richiesto da giovani di età inferiore ai 16 anni, i pastori d’anime, in modo rispettoso ma fermo, rifiutino il Sacramento, ricordando agli interessati e alle loro famiglie che “le ragioni di convivenza sociale o di prassi tradizionale non valgono da sé sole a configurare gli estremi della particolare gravità, e che anche gli aspetti etici eventualmente implicati dal caso debbono comporsi con la morale certezza circa la stabilità del matrimonio, anche considerando che nella fattispecie il matrimonio canonico non potrà conseguire gli effetti civili”231. Nel caso di giovani che hanno superato i 16 anni ma non hanno ancora compiuto i 18 anni, il Parroco cerchi di dissuaderli dal contrarre matrimonio, mettendo in risalto i gravi rischi che una decisione così impegnativa, presa a questa età normalmente comporta. Se esistono circostanze particolarmente gravi, il Parroco esiga “l’ammissione” al matrimonio rilasciata dal Tribunale dei minori, richiesta necessaria per l’ottenimento degli effetti civili al matrimonio dei minori a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 1983. Se questo non fosse possibile, il Parroco può allora sottoporre il caso, corredandolo di un personale giudizio e della dichiarazione dei genitori del minore (mod.6), all’Ordinario che, avvalendosi della collaborazione di un consultorio di ispirazione cristia229 Cfr art. 8 di Revisione del Concordato; cfr DG, 44, 4. 230 CJC, can. 1083, § 1. 231 Decreto Generale, 36.

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na232, darà una valutazione circa la libertà del consenso e la maturità psicofisica del minore, per il matrimonio solo canonico da celebrarsi in Diocesi. Ottenuta la licenza dell’Ordinario233, il Parroco potrà allora istruire la pratica richiedendo ai nubendi i documenti necessari e l’ammissione del Tribunale dei minori. Se nella celebrazione del matrimonio i coniugi intendono usufruire della separazione dei beni possono farlo a norma dell’art. 165 del Codice Civile, purché il minore sia assistito dai genitori esercenti la patria potestà o dal tutore o dal curatore speciale e firmino a convalida della firma degli sposi. 14) Matrimonio di persone soggette ad impedimenti canonici a) Matrimoni misti Si intendono quei matrimoni celebrati tra cattolici e tra battezzati di altre confessioni cristiane234. La pratica matrimoniale si svolge per via ordinaria. Il Parroco prima di istruire la pratica dovrà ottenere la licenza dell’Ordinario235, dopo che la parte contraente cattolica avrà sottoscritto la dichiarazione di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e la promessa di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica (mod. XI). Di questo impegno deve essere informata la parte non cattolica236, «in modo tale che risulti che questa è consapevole delle promesse e dell’obbligo della parte cattolica»237. Non è consentita la celebrazione della S. Messa. Il matrimonio si celebri all’interno della Celebrazione della Parola. b) Matrimonio interreligioso o di disparità di culto Si intendono quei matrimoni celebrati tra cattolici e appartenenti a religioni non cristiane, non battezzati238. In questi casi è doveroso richiamare i nubendi cattolici alle difficoltà cui potrebbero andare incontro in ordine all’espressione della loro fede, al rispetto delle reciproche convinzioni e all’educazione dei figli. Per il matrimonio tra un musulmano e una cattolica si esige sempre una previa autorizzazione del Vescovo. È proibita la celebrazione della Santa 232 Cfr Decreto Generale, 37. 233 Cfr CJC, can. 1071, § 6. 234 Cfr CJC, can. 1125. 235 Cfr CJC, can. 1124. 236 Cfr CJC, can. 1125. 237 PAOLO VI, Matrimonia mixta, 5. 238 Cfr CJC, can. 1086.

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Messa. Pertanto i Parroci non possono istruire la pratica matrimoniale senza aver consultato previamente la Curia. Una sentenza del tribunale di Torino del 1990, permette alla parte straniera priva del nulla osta consolare, per motivi religiosi, di celebrare il matrimonio in Italia valido agli effetti civili senza il Nulla Osta consolare previsto dall’art.116 del Codice Civile. c) Matrimoni di consanguinei «Nella linea retta della consanguineità è nullo il matrimonio tra tutti gli ascendenti e i discendenti, sia legittimi sia naturali»239; non è quindi possibile la dispensa dall’impedimento. Senza la dispensa dell’Ordinario dall’impedimento, è nullo nella linea collaterale il matrimonio tra zio e nipote (III grado) e tra cugini carnali (IV grado)240. I1 Parroco prima di iniziare la pratica matrimoniale, nella domanda all’Ordinario con cui chiede la dispensa dall’impedimento di consanguineità, vi allegherà pure l’albero genealogico dei nubendi (n. 14 del formulario CEI). Sarà cura del Parroco esporre ai futuri sposi gli inconvenienti fisici e morali che derivano da tali unioni. B) CASI RIGUARDANTI IL LUOGO DELLA CELEBRAZIONE 1) Matrimonio fuori del territorio parrocchiale Per celebrare il matrimonio fuori della Parrocchia dove si è svolta la pratica matrimoniale, è necessaria la licenza ad altro Parroco (mod. XIV). Al termine della pratica matrimoniale, pertanto, il Parroco competente manderà, tramite i nubendi, tutti i documenti in busta chiusa alla Curia, per farvi apporre il protocollo e la firma del cancelliere vescovile. 2) Matrimonio fuori Diocesi Se i fidanzati desiderano contrarre le nozze fuori Diocesi, il Parroco invii in Curia, tramite i nubendi, tutta la documentazione, perché possa rilasciare il nulla osta per la celebrazione del matrimonio fuori Diocesi. 3) Matrimonio di residenti in Italia ma da celebrarsi all’estero Due cittadini italiani residenti in Italia, per contrarre matrimonio fuori del territorio nazionale, devono portare con sé il nulla osta ecclesiastico (stato dei documenti: mod. XIV) vistato dalla Curia con licenza ad altro Parroco. Lo stato dei documenti verrà rilasciato dal Parroco che istruisce la pratica 239 CJC, can. 1091, § 1. 240 Cfr CJC, can. 1091, § 2.

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dopo l’interrogatorio dei nubendi (mod. I), le pubblicazioni canoniche (mod. VII-VIII-IX) e la dovuta preparazione matrimoniale. Per gli effetti civili al matrimonio canonico, i nubendi dovranno consegnare al console italiano del paese dove celebreranno le nozze i certificati: estratto per riassunto dell’atto di nascita e il contestuale, per ottenere dopo le pubblicazioni civili nel luogo di residenza italiano il Nulla Osta consolare della nostra autorità all’estero. 4) Matrimoni di residenti all’estero ma da celebrarsi in Italia Due cittadini italiani residenti all’estero (A.I.R.E.: Anagrafe degli italiani residenti all’estero) per contrarre matrimonio dovranno svolgere la pratica matrimoniale presso la Parrocchia dove hanno il domicilio. Effettuate le pubblicazioni canoniche, la preparazione matrimoniale ed ottenuto il nulla osta dalla Curia vescovile con licenza ad altro Parroco, i nubendi consegneranno la documentazione al Parroco nel cui territorio sarà celebrato il matrimonio. Il Parroco redigerà il mod. XIV (stato dei documenti) che presenterà alla Curia per la vidimazione da parte del cancelliere vescovile. Per l’ottenimento degli effetti civili al matrimonio canonico, i nubendi dovranno consegnare i documenti civili richiesti per il matrimonio concordatario, chiedendo l’applicazione dell’art. 13 della Legge 27/5/1929 n. 847.

C) CASI D’URGENZA 1) Pericolo di morte Per pericolo di morte si intende il timore certo o altamente probabile della morte di anche uno solo dei due contraenti. In questo caso l’Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi dovunque dimoranti e tutti quelli che vivono di fatto nel proprio territorio241. Nell’impossibilità di adire l’Ordinario del luogo, gode della stessa potestà anche il Parroco242. Il Parroco o il sacerdote celebrante informi subito l’Ordinario del luogo della dispensa da essi concessa in foro esterno243. Il Parroco dovrà con prudenza verificare la capacità della persona inferma di emettere un valido consenso, unitamente all’oggettiva libertà e volontà di ambedue i nubendi, al fine di evitare eventuali violenze morali di un contraente nei confronti dell’altro o da parte di terze persone aventi diritto. 241 Cfr CJC, can. 1079, § 1. 242 Cfr CJC, can. 1079, § 2. 243 Cfr CJC, can. 1081.

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Per quanto riguarda l’istruttoria matrimoniale, il Parroco deve seguire l’iter normale. “Qualora non sia possibile avere altre prove né sussistano indizi contrari, è sufficiente l’affermazione dei contraenti anche giurata se il caso lo richiede, che essi sono battezzati e non trattenuti da impedimento244. Tralasciate quindi le pubblicazioni e la procedura ordinaria, il Parroco potrà ammettere i nubendi alla celebrazione. Celebrato il matrimonio, in casa o in ospedale245, quando non è possibile accedere alla chiesa parrocchiale, e dopo la lettura degli articoli del Codice Civile 143, 144, 147, il Parroco redigerà due atti originali, uno dei quali trasmetterà al Comune con l’annotazione dell’avvenuto matrimonio in pericolo di morte. Nell’impossibilità dei nubendi di esibire i documenti civili, il Parroco trasmetterà ugualmente entro cinque giorni l’atto di matrimonio al Comune, per ottenerne la trascrizione, riservandosi di consegnare successivamente i documenti richiesti. I documenti religiosi invece saranno depositati dal Parroco nell’archivio parrocchiale unitamente a una relazione che spieghi l’urgenza della celebrazione in pericolo di morte. 2) Imminenza delle nozze Può avvenire che quando tutto è preparato per le nozze (omnia parata sunt) si venga a conoscenza di qualche impedimento. Anche in questo caso l’Ordinario può dispensare dagli impedimenti tanto pubblici che occulti. Il Parroco ha la facoltà di dispensare soltanto nei casi occulti quando non vi è la possibilità di ricorrere all’Ordinario o quando il ricorso può far violare il segreto. La dispensa concessa in questi casi sarà registrata come nei matrimoni celebrati in pericolo di morte.

D) CASI RIGUARDANTI LA FORMA SOSTANZIALE O ACCIDENTALE DELLA CELEBRAZIONE 1) Matrimonio per procura Se esiste una giusta causa, quale potrebbe essere la distanza dei contraenti, la malattia, la detenzione in carcere etc., il matrimonio può essere celebrato per procura. A tal fine è preventivamente necessario il nulla osta della Curia. 244 Cfr CJC, can. 1068. 245 Cfr CJC, can. 1118, § 2.

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Il Parroco insieme ai documenti richiesti esigerà l’atto di procura che deve contenere, ad validitatem246, le seguenti modalità: a) un mandato speciale per contrarre matrimonio con una persona determinata; b) che il procuratore sia designato dallo stesso mandante e che egli adempia di persona il suo incarico; c) il mandato deve essere conferito per iscritto e firmato dal mandante, dal Parroco o dall’Ordinario del luogo in cui il mandato viene dato, o da un sacerdote delegato da uno di essi o da almeno due testimoni, oppure deve essere fatto con documento autentico a norma del diritto civile247. Per procedere ad liceitatem al matrimonio mediante procura occorre anche la licenza dell’Ordinario248. Per il matrimonio concordatario si richiede che nella procura sia espressa la volontà di contrarre un matrimonio valido agli effetti civili. L’atto originale della procura dovrà conservarsi nella posizione matrimoniale. Per la richiesta di pubblicazioni civili (mod. X) sarà inviata una copia della procura redatta su carta da bollo e legalizzata dalla Curia. Il procuratore nella celebrazione del matrimonio sarà interrogato con formula appropriata e al termine della celebrazione firmerà l’atto di matrimonio debitamente preparato. Alcune sottolineature: a) il matrimonio è contratto giuridicamente nel momento in cui il procuratore esprime il consenso in nome del mandante; b) il mandato di procura può essere revocato dal mandante in qualsiasi momento. È opportuno che la revoca sia fatta per iscritto notando l’anno, il mese, il giorno e l’ora. Restando privo di facoltà il procuratore celebra un matrimonio invalido; c) se il mandante cade in pazzia prima del matrimonio la celebrazione è invalida249. 2) Matrimonio a mezzo interprete Se il Parroco si trova nell’impossibilità di svolgere un dialogo con i contraenti perché ignaro della loro lingua, può servirsi di un interprete sia nella istruzione della pratica matrimoniale sia nella celebrazione del matrimonio. Il Parroco deve accertarsi della fedeltà dell’interprete250. 246 Cfr CJC, can. 1105. 247 Cfr CJC, can. 1105. 248 Cfr CJC, can. 1071, § 7. 249 Cfr CJC, can. 1105, § 4. 250 Cfr CJC, can. 1106.

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L’uso dell’interprete nella celebrazione delle nozze deve essere giustificato da gravi motivi e consentito dall’Ordinario. È opportuno, nell’atto di matrimonio, porre una speciale annotazione. Nei matrimoni dei sordomuti il Parroco nell’impossibilità di avere una persona che conosca il linguaggio dei contraenti, ottenuto il consenso con segni equivalenti251, potrà limitarsi a far leggere agli interessati gli articoli del Codice Civile 143, 144, 147 riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi. Dovrà esigere la presenza dell’interprete se il coniuge sordo non sapesse leggere. Nell’uno e nell’altro caso porrà una nota esplicativa sull’atto di matrimonio. 3) Matrimonio celebrato nell’errore comune o nel dubbio positivo e probabile circa la facoltà del sacerdote assistente Per quanto riguarda l’errore comune252 il Parroco si attenga alla seguente norma pratica. Se le nozze sono state celebrate da un sacerdote con facoltà ordinaria, Parroco253 - amministratore parrocchiale254 - vicario parrocchiale con facoltà generale delegata255, e il difetto che vizia tali facoltà è occulto, il matrimonio si ritenga valido, se invece si tratta di un sacerdote che assiste al matrimonio senza delega particolare si proceda alla convalidazione semplice256 rinnovando il consenso, o si chieda all’Ordinario la sanatio in radice, saltem sub conditione a norma dei canoni 1161 e 1165. Per quanto riguarda il matrimonio celebrato nel dubbio positivo e probabile (cioè in presenza di una motivazione grave e probabile in favore della facoltà) questi deve considerarsi valido (in dubio standum est pro valore matrimoni257), sia che il dubbio si riferisca alle disposizioni del diritto (dubium juris) sia che riguardi la situazione di fatto (dubium facti)258. Comunque solo per gravi e urgenti ragioni sarà lecito al sacerdote agire in tali circostanze.

251 Cfr CJC, can. 1104. 252 Cfr CJC, can. 144, § 1. 253 Cfr CJC, can. 1111. 254 Cfr CJC, can. 540. 255 Cfr CJC, cann. 137, § 3; 1111. 256 Cfr CJC, can. 1156. 257 CJC, can. 1060. 258 CJC, can. 144, § 1.

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E) PROVVEDIMENTI STRAORDINARI SUSSEGUENTI AL MATRIMONIO 1 ) Legittimazione Il matrimonio celebrato secondo la legge canonica e trascritto agli effetti civili rende legittimi i figli. Gli sposi però dovranno farne il riconoscimento davanti al sacerdote celebrante nel momento del consenso esibendo i relativi atti di nascita e di battesimo. Se la prole non è stata battezzata si dovrà battezzare prima del matrimonio. Nell’atto di battesimo dovrà poi risultare che il bambino/a è stato/a legittimato/a per successivo matrimonio. Il sacerdote celebrante che provvede alla legittimazione della prole stenderà l’atto di riconoscimento nell’atto di matrimonio. Nel trasmettere una delle due copie originali alla casa comunale, vi allegherà anche l’atto di nascita dei figli legittimati. Annoterà quindi la legittimazione nei registri di battesimo se la prole fu battezzata nella sua parrocchia, altrimenti invierà in Curia un terzo atto originale di matrimonio con l’atto di battesimo perché possa emettersi il decreto di correzione. Quando per impossibilità o inavvertenza non è stato fatto il riconoscimento nel momento della celebrazione del matrimonio ai fini della legittimazione, questa potrà compiersi successivamente presso la Curia. In tal caso i genitori dovranno esibire l’atto di nascita del battezzato/a ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 2 maggio 1957 n. 432 e l’atto di battesimo da correggersi. La Curia provvederà con un decreto a comunicare al Parroco dove la prole è stata battezzata l’avvenuta legittimazione. Analoga procedura si verifica nei casi di adozione decretata dal Tribunale dei minori. 2) Convalidazione e sanatio in radice La convalidazione è l’atto con il quale il matrimonio celebrato invalidamente diventa valido. Si distingue in convalidazione semplice e sanatio in radice. La convalidazione semplice consiste nella rinnovazione del consenso matrimoniale anche se entrambe le parti hanno dato il consenso all’inizio e non lo hanno revocato in seguito259, ed ottiene gli effetti per il futuro o, come si dice, ex nunc cioè dal momento della convalida. Della sanazione in radice si è trattato al n.10, parte VI, sezione A: Matrimonio canonico dopo il civile.

259 Cfr CJC, can. 1156, § 2.

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Appendice 3 Mod. XV “Atto di Matrimonio” in rapporto alla legge 10/12/2012 n. 219 e al d.l.vo 28 dicembre 2013 n. 154 [Nota della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana allegata alla lettera prot. n. 493/2014 del 25 luglio 2014 trasmessa agli E.mi Membri della CEI] 1. La legge 10 dicembre 2012 n. 219 - Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali (Gazz. Uff. 17 dicembre 2012, n. 293), entrata in vigore il 1° gennaio 2013, ha eliminato dall’ordinamento civile le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali, affermando il principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli, a prescindere dal fatto di essere nati in costanza o meno di matrimonio. Il decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154 (Gazz. Uff. 8 gennaio 2014 n. 5), entrato in vigore il 7 febbraio 2014, ha dato attuazione alla revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione260. Nella circolare del Ministero dell’Interno 24 dicembre 2012, n. 33, si evidenzia che «la ratio della riforma in esame si rinviene nella volontà del Legislatore di addivenire al superamento, nell’ordinamento nazionale, di ogni ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali, in virtù del principio della unicità dello status di “figlio”, con conseguenti, significativi riflessi giuridici nella materia dello stato civile». Nel perseguimento di questa ratio, i richiamati interventi legislativi riformano la materia della filiazione naturale e del relativo riconoscimento, superando ogni discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi, in particolare: a) attraverso una norma direttamente precettiva261 e la successiva attuazione della delega da parte del Governo, è stata realizzata la modificazione, 260 Art. 2, comma 1, l. n. 219/2012: «Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici

mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'articolo 30 della Costituzione, osservando, oltre ai principi di cui agli articoli 315 e 315-bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e introdotto dall'articolo 1 della presente legge, i seguenti principi e criteri direttivi: a) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai "figli legittimi" e ai "figli naturali" con riferimenti ai "figli", salvo l'utilizzo delle denominazioni di "figli nati nel matrimonio" o di "figli nati fuori del matrimonio" quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative». 261 Art. 1, comma 11, l. n. 219/2012: «Nel codice civile, le parole: "figli legittimi" e "figli naturali", ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: "figli"».

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in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai “figli legittimi” e ai “figli naturali”, attraverso la sostituzione di queste parole con la parola “figli”, salvo l’utilizzo delle denominazioni “figli nati nel matrimonio” o di “figli nati fuori del matrimonio” quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative; b) l’art. 1, comma 2, della l. n. 219/2012 modifica i cinque commi dell’art. 250 cod. civ. (Riconoscimento): il primo comma è sostituito con la previsione, per il figlio che viene riconosciuto, dell’espressione “nato fuori del matrimonio” in sostituzione dell’aggettivo “naturale”262; il secondo comma è modificato con la riduzione, da sedici a quattordici anni, dell’età richiesta perché il figlio debba prestare il proprio assenso al riconoscimento; il terzo comma è modificato con analoga riduzione, da sedici a quattordici anni, dell’età fino alla quale il figlio non può essere riconosciuto senza il consenso dell’altro genitore che lo abbia riconosciuto in precedenza; c) l’art. 1, comma 10, della l. n. 219/2012 dispone l’abrogazione della sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile riguardante le disposizioni relative alla legittimazione dei figli naturali; d) l’art. 25 del d.l.vo n. 154/2013 apporta la modifica al primo comma dell’art. 254 cod. civ., sostituendo la parola “naturale” con le parole “nato fuori del matrimonio”, e dispone la abrogazione del secondo comma del predetto articolo. 2. Alla luce di queste modifiche, è necessario che la dichiarazione relativa al “riconoscimento dei figli naturali” inserita nell’atto di matrimonio (mod. XV) vada modificata. Al riguardo occorre richiamare: - l’Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, che all’art. 7, comma 1, dispone che nell’atto di matrimonio “potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile”; - il Decreto generale sul matrimonio del 5 novembre 1990, approvato dalla XXXII Assemblea Generale della C.E.I. con conseguente recognitio della Santa Sede, laddove dispone che «l’atto di matrimonio deve conte262 Art. 1, comma 2, l. n. 219/2012: «All'articolo 250 del codice civile sono apporta-

te le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente: "Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente"».

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nere: [...] e) le eventuali dichiarazioni rese dagli sposi e consentite secondo la legge civile» (n. 26); - l’art. 64 (Contenuto dell’atto di matrimonio), comma 2, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) per il quale «quando contemporaneamente alla celebrazione del matrimonio gli sposi dichiarano di riconoscere figli naturali, la dichiarazione è inserita nell’atto stesso di matrimonio». Poiché le disposizioni concordatarie e canoniche relative al contenuto dell’atto di matrimonio canonico con effetti civili realizzano un rinvio alle dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile, si deve ritenere che le disposizioni della legge n. 219/2012 e del d.l.vo n. 154/2013 comportino la necessità di rivedere i moduli a suo tempo approvati dalla Commissione Episcopale per i Problemi Giuridici nel gennaio 1991, eliminando l’espressione «figlio naturale» e ogni riferimento all’istituto della legittimazione dei figli. Quindi: a) se il figlio non era stato riconosciuto dai genitori, i genitori stessi possono congiuntamente procedere al riconoscimento con dichiarazione da inserire nell’atto di matrimonio; b) se uno dei genitori aveva già provveduto al riconoscimento, l’altro genitore può riconoscere il figlio con dichiarazione da inserire nell’atto di matrimonio; se il figlio non ha compiuto i quattordici anni, il riconoscimento non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento; c) se il figlio era stato già riconosciuto da entrambi i genitori, non vi è più luogo alla istanza di legittimazione, essendo stato soppresso il relativo istituto civile, mentre la legittimazione per l’ordinamento canonico consegue automaticamente dal susseguente matrimonio (can. 1139 CIC: “I figli illegittimi sono legittimati per il susseguente matrimonio dei genitori, sia valido sia putativo, o per rescritto della Santa Sede”). Nel recepimento della novella civile, la terza dichiarazione in calce all’atto di matrimonio (recante evidenziate in corsivo le variazioni) dovrà essere così modificata: «3. RICONOSCIMENTO DEI FIGLI Lo sposo/la sposa , alla presenza degli stessi testimoni, dichiara altresì di riconoscere per proprio…………………, figlio, nato il ………………………., iscritto nei registri di nascita del Comune di ………………………, già riconosciuto dalla sposa/dallo sposo come figlio nato fuori del matrimonio. Non avendo il figlio compiuto i quattordici anni, la madre/il padre, che aveva già riconosciuto il figlio sopraindicato, dichiara il proprio consenso al suesteso riconoscimento». 159


Appendice 4 Matrimonio concordatario: modifica dell'art. 147 del codice civile Il 7 febbraio 2014 è entrata in vigore la nuova formulazione dell'art. 147 del codice civile disposta dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, pubblicato sulla G.U. n. 5 dell'8 gennaio 2014, che è uno degli articoli che devono essere letti durante la celebrazione del matrimonio concordatario, prima della conclusione del rito liturgico. La nuova formulazione dell'art. 147 del codice civile è la seguente: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis». L'art. 315-bis del codice civile (Diritti e doveri del figlio) così dispone: «Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa». Le modifiche conseguenti all'evoluzione così brevemente richiamata sono all'esame dei competenti uffici dell'amministrazione dello stato (Ministero dell'Interno) e della Chiesa (Santa Sede e CEI) per quanto di rispettiva competenza. Nel mentre maturano orientamenti e indicazioni "che sarà cura della Segreteria Generale trasmettere tempestivamente" si ritiene opportuno invitare tutti coloro che presiedono il rito del matrimonio concordatario a voler leggere, al termine della celebrazione il nuovo testo dell'art. 147 del codice civile e, ove si ritenga, anche il testo dell'art. 315-bis del codice civile. Roma, 21 febbraio 2014

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Il servizio dei fotografi e dei fioristi nelle Celebrazioni liturgiche

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 01/2015 DECRETO PER IL SUONO DELLE CAMPANE NELLA DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO Il significato del suono delle campane è delineato nel n. 1455 del Benedizionale: «Risale all’antichità l’uso di ricorrere a segni o a suoni particolari per convocare il popolo cristiano alla celebrazione liturgica comunitaria, per informarlo sugli avvenimenti più importanti della comunità locale, per richiamare nel corso della giornata a momenti di preghiera, specialmente al triplice saluto alla Vergine Maria. La voce delle campane esprime dunque in certo qual modo i sentimenti del popolo di Dio quando esulta e quando piange, quando rende grazie o eleva suppliche, e quando, riunendosi nello stesso luogo, manifesta il mistero della sua unità in Cristo Signore». Da tempo immemorabile l’uso delle campane è espressione cultuale della comunità ecclesiale, strumento di richiamo per le celebrazioni liturgiche e per altre manifestazioni della pietà popolare, nonché segno che caratterizza momenti significativi della vita della comunità cristiana e di singoli fedeli. Esso rientra nell’ambito della libertà religiosa, secondo la concezione propria della Chiesa cattolica e gli accordi da essa stipulati con la Repubblica italiana. Come tale, la Chiesa intende tutelarlo e disciplinarlo in modo esclusivo, con attenzione alle odierne condizioni sociali. Anche nella nostra diocesi si rende opportuna una regolamentazione del suono delle campane, che ne salvaguardi le caratteristiche tipicamente religiose nel rispetto delle attuali esigenze della popolazione. Pertanto, con il presente atto, DECRETIAMO che nella nostra diocesi si osservino le seguenti disposizioni: 1. Il suono delle campane è consentito unicamente per i seguenti scopi: - indicare le celebrazioni liturgiche e le altre manifestazioni di preghiera e di pietà popolare;

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- essere segno, in particolari circostanze, che accompagna le suddette celebrazioni; - scandire i momenti più importanti della vita della comunità cristiana (feste, lutti, ecc.); - richiamare al mattino, a mezzogiorno e alla sera il saluto a Maria. Altri utilizzi potranno essere richiesti e consentiti, in via eccezionale, da parte dell’Ordinario del luogo. 2. Il suono delle campane, per gli scopi sopra indicati, è consentito: - nei giorni feriali dalle ore 8.00 alle ore 20.00; - nei giorni festivi dalle ore 8.00 alle ore 20.00. Costituiscono eccezione la Veglia pasquale e la Notte di Natale; 3. Gli orari indicati nel n. 2 devono essere rispettati anche per gli eventuali rintocchi dell’orologio campanario, qualora il suo utilizzo sia di competenza della parrocchia o di altro ente ecclesiastico a cui spetta l’ufficiatura dell’edificio di culto. I rintocchi dovranno essere limitati alle ore o, al più, alle mezz’ore, e non essere ripetuti. Qualora l’orologio del campanile sia di proprietà del Comune, se ne dia debita informazione alla popolazione. 4. La durata del suono per l’avviso delle celebrazioni liturgiche feriali e festive non deve mai superare i tre minuti, con eccezione delle maggiori solennità (Pasqua, Natale, Santo Patrono) in cui non si dovrà comunque superare la durata massima di 5 minuti. L’avviso delle celebrazioni liturgiche sia soltanto uno, eventualmente potranno essere due per la Messa principale della Domenica e delle Solennità. La durata del suono per altri scopi (per l’Angelus o in occasione di particolari solennità, della festa patronale, della morte di un fedele, ecc.) non deve superare le indicazioni sopra date e comunque deve essere sempre ispirata a criteri di moderazione affinché non si arrechi disturbo o molestia. Per avvenimenti straordinari della vita della Chiesa sia universale sia particolare, ci riserbiamo di dare disposizioni all’occorrenza. 5. L’intensità del suono deve essere, se possibile (agendo per esempio sull’eventuale amplificazione), regolata in modo tale che, con attenzione al contesto ambientale in cui l’edificio di culto è inserito, le campane mantengano la funzione di segno (siano quindi percepibili da parte dei fedeli), ma non siano fonte di disturbo; le disposizioni si applicano anche quando il suono è riprodotto mediante strumenti meccanici o elettronici. 6. Nel suono delle campane i sacristi e tutti gli addetti al culto dipendono esclusivamente dall’autorità del Parroco o del legale rappresentante. Unici responsabili, di fronte al Vescovo e alla legge civile, sono i Parroci o i legali rappresentanti degli altri enti ecclesiastici a cui spetta l’ufficiatura dell’edificio di culto.

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7. Per qualsiasi controversia relativa al suono e all’uso delle campane, si ricorra tempestivamente all’Ordinario. Le presenti disposizioni vengano comunicate tempestivamente a tutti i parroci e rettori di chiese interessati. Esse entreranno in vigore il giorno 4 marzo 2015. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, il giorno 3 marzo 2015 + Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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Appendice 7 Attenzione pastorale per i turisti Attraverso la cosiddetta “pastorale del turismo”, significativa modalità di presenza cristiana in ambito turistico, la Chiesa ha qualcosa da “dire” al turismo, in modo del tutto originale, in quanto è portatrice di una “parola” di valore assoluto e di una tradizione di valori che non possono non arricchire di senso l’uomo del turismo, della vacanza e del viaggio. Il “dire” della Chiesa riguarda infatti il destino trascendente dell’uomo e il suo perenne camminare verso mete di soddisfazione e di compimento di sé. Questo “dire” risponde ad una istanza intrinseca alla natura stessa della Chiesa, quella di essere comunità della nuova alleanza costituita per comunicare la salvezza di Gesù Cristo all’intera umanità. Tale istanza rivela l’urgenza di “comunicare il vangelo” al mondo e alle culture che caratterizzano la vicenda attuale della civiltà occidentale, di cui il turismo è parte integrante nonostante la marginale valutazione della comunità cristiana e la scarsa attenzione riservata dall’opinione pubblica. Pertanto, i parroci abbiano cura di provvedere ad un’adeguata assistenza spirituale ai fedeli turisti che faranno permanenza più o meno prolungata nel territorio diocesano, concordando le modalità con gli altri parroci delle rispettive foranie di appartenenza e con l’ufficio liturgico e l’ufficio dello sport, del turismo e del tempo libero.

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Appendice 8 DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO UFFICIO TECNICO DIOCESANO UFFICIO PER I BENI CULTURALI Ai Rev.mi Parroci e Amministratori Parrocchiali Loro Sedi OGGETTO: Sollecito al rispetto delle Norme di Tutela dei Beni Culturali. Cari confratelli, da un po’ di tempo a questa parte le Soprintendenze di Salerno ci segnalano un comportamento dei nostri parroci non rispettoso delle norme vigenti in materia di custodia e tutela dei Beni Culturali. A tal proposito vi segnaliamo che le norme di tutela dei Beni culturali previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.) e dall’intesa firmata tra la CEI e il Ministero dei Beni e Attività Culturali del 26 gennaio 2005 prevedono che tutti gli interventi su edifici storici (chiese, conventi, cappelle, etc.) con più di 70 anni dalla costruzione debbano essere autorizzati, prima che gli interventi vengano eseguiti, dall’Ordinario Diocesano e dalla Soprintendenza competente. L’Autorizzazione Storico-Artistica va richiesta anche per il restauro dei beni mobili (statue, tele, altari, calici, parati, organi, etc.) che sono stati realizzati da più di 50 anni. Gli interventi eseguiti senza autorizzazione della Soprintendenza, sia per gli edifici storici che per i beni mobili sono punibili penalmente a norma di legge. I parroci e gli amministratori parrocchiali ne rispondono personalmente, in quanto legali rappresentanti dell’ente Parrocchia; la Diocesi, altro ente rispetto alla parrocchia, non può intervenire in quanto non proprietaria dei beni. Si invitano i Rev.mi Parroci e Amministratori Parrocchiali a fare richiesta di autorizzazione all’Ordinario Diocesano per ogni intervento di manutenzione, ristrutturazione e restauro sugli edifici storici e per gli interventi di restauro sui beni mobili. Tanto premesso al fine di evitare ammende pecuniarie e l’imputazione penale di reati contro il patrimonio Storico-Artistico punibili anche con l’arresto. Per ogni ulteriore informazione si può contattare il personale dell’Ufficio

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Beni Culturali e dell’Ufficio Tecnico. Gli uffici diocesani dopo aver verificato i requisiti previsti dalla normativa canonica e statale provvederanno a inviare richiesta alla Soprintendenza competente come previsto dall’intesa CEI- MIBAC del 26/01/2005. Nei prossimi mesi, durante i ritiri mensili, vi informeremo maggiormente sulle procedure da seguire in materia di Tutela e Conservazione dei Beni Culturali. In allegato trovate i modelli per fare richiesta di autorizzazione. Sicuri della massima attenzione, Vi salutiamo fraternamente. Teggiano, 10 gennaio 2014 Sac. Elia Guercio Direttore Ufficio Tecnico

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Sac. Fernando Barra Direttore Ufficio Beni Culturali


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Appendice 9 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

Lettera circolare L’ESPRESSIONE RITUALE DEL DONO DELLA PACE NELLA MESSA 1. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace»,263 sono le parole con le quali Gesù promette ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo, prima di affrontare la passione, il dono della pace, per infondere in loro la gioiosa certezza della sua permanente presenza. Dopo la sua risurrezione, il Signore attua la sua promessa presentandosi in mezzo a loro nel luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, dicendo: «Pace a voi!».264 Frutto della redenzione che Cristo ha portato nel mondo con la sua morte e risurrezione, la pace è il dono che il Risorto continua ancora oggi ad offrire alla sua Chiesa riunita per la celebrazione dell’Eucaristia per testimoniarla nella vita di tutti i giorni. 2. Nella tradizione liturgica romana lo scambio della pace è collocato prima della Comunione con un suo specifico significato teologico. Esso trova il suo punto di riferimento nella contemplazione eucaristica del mistero pasquale - diversamente da come fanno altre famiglie liturgiche che si ispirano al brano evangelico di Matteo (cf. Mt 5, 23) - presentandosi così come il “bacio pasquale” di Cristo risorto presente sull’altare.265 I riti che preparano alla comunione costituiscono un insieme ben articolato entro il quale ogni elemento ha la sua propria valenza e contribuisce al senso globale della sequenza rituale che converge verso la partecipazione sacramentale al mistero celebrato. Lo scambio della pace, dunque, trova il suo posto tra il Pater noster - al quale si unisce mediante l’embolismo che prepara al gesto della pace - e la frazione del pane - durante la quale si implora l’Agnello di Dio perché ci doni la sua pace Con questo gesto, che «ha la funzione di manifestare pace, comunione e carità»,266 la Chiesa «implora la pace e l’unità per se 263 Gv 14,27. 264 Cf. Gv 20, 19-23. 265 Cf. MISSALE ROMANUM ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum sum-

morum pontificum cura recognitum, Editio typica, 1962, Ritus servandus, X, 3. 266 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr., Redemptionis sacramentum, 25 marzo 2004, n. 71: AAS 96 (2004) 571.

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stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento»,267 cioè al Corpo di Cristo Signore. 3. Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis il Papa Benedetto XVI aveva affidato a questa Congregazione il compito di considerare la problematica concernente lo scambio della pace,268 affinché fosse salvaguardato il senso sacro della celebrazione eucaristica e il senso del mistero nel momento della Comunione sacramentale: «L’Eucaristia è per sua natura Sacramento della pace. Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica specifica espressione nel rito dello scambio della pace. Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cf. Gv 14,27). Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di implorare dal Signore il dono della pace e dell’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana. [...] Da tutto ciò si comprende l’intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella Celebrazione liturgica. A questo proposito, tuttavia, durante il Sinodo dei Vescovi è stata rilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea proprio prima della Comunione. È bene ricordare come non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino».269 4. Il Papa Benedetto XVI, oltre a mettere in luce il vero senso del rito e dello scambio della pace, ne evidenziava il grande valore come contributo dei cristiani, con la loro preghiera e testimonianza a colmare le angosce più profonde e inquietanti dell’umanità contemporanea. Dinanzi a tutto ciò egli rinnovava il suo invito a prendersi cura di questo rito e a compiere questo 267 MISSALE ROMANUM, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II

instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum, editio typica tertia, diei 20 aprilis 2000, Typis Vaticanis, reimpressio emendata 2008, Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 82. Cf. BENEDETTO XVI, Esort. Apost. post-sinod., Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 49: AAS 99 (2007) 143. 268 Cf. BENEDETTO XVI, Esort. Apost., Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 49, nota n. 150: AAS 99 (2007) 143. 269 BENEDETTO XVI, Esort. Apost., Sacramentum caritatis, n. 49: AAS 99 (2007) 143.

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gesto liturgico con senso religioso e sobrietà. 5. Il Dicastero, su disposizione del Papa Benedetto XVI, ha già interpellato le Conferenze dei Vescovi nel maggio del 2008 chiedendo un parere se mantenere lo scambio della pace prima della Comunione, dove si trova adesso, o se trasferirlo in un altro momento, al fine di migliorare la comprensione e lo svolgimento di tale gesto. Dopo approfondita riflessione, si è ritenuto conveniente conservare nella liturgia romana il rito della pace nel suo posto tradizionale e non introdurre cambiamenti strutturali nel Messale Romano. Si offrono di seguito alcune disposizioni pratiche per meglio esprimere il contenuto dello scambio della pace e per moderare le sue espressioni eccessive che suscitano confusione nell’assemblea liturgica proprio prima della Comunione. 6. Il tema trattato è importante. Se i fedeli non comprendono e non dimostrano di vivere, con i loro gesti rituali, il significato corretto del rito della pace, si indebolisce il concetto cristiano della pace e si pregiudica la loro fruttuosa partecipazione all’Eucaristia. Pertanto, accanto alle precedenti riflessioni che possono costituire il nucleo per una opportuna catechesi al riguardo, per la quale si forniranno alcune linee orientative, si offre alla saggia considerazione delle Conferenze dei Vescovi qualche suggerimento pratico: a) Va definitivamente chiarito che il rito della pace possiede già il suo profondo significato di preghiera e offerta della pace nel contesto dell’Eucaristia. Uno scambio della pace correttamente compiuto tra i partecipanti alla Messa arricchisce di significato e conferisce espressività al rito stesso. Pertanto, è del tutto legittimo asserire che non si tratta di invitare “meccanicamente” a scambiarsi il segno della pace. Se si prevede che esso non si svolgerà adeguatamente a motivo delle concrete circostanze o si ritiene pedagogicamente sensato non realizzarlo in determinate occasioni, si può omettere e talora deve essere omesso. Si ricorda che la rubrica del Messale recita: “Deinde, pro opportunitate, diaconus, vel sacerdos, subiungit: Offerte vobis pacem”.270 b) Sulla base delle presenti riflessioni, può essere consigliabile che, in occasione ad esempio della pubblicazione della traduzione della terza edizione tipica del Messale Romano nel proprio Paese o in futuro quando vi saranno nuove edizioni del medesimo Messale, le Conferenze dei Vescovi considerino se non sia il caso di cambiare il modo di darsi la pace stabilito a suo tempo. Per esempio, in quei luoghi dove si optò per gesti familiari e profani 270 MISSALE ROMANUM, Ordo Missae, n. 128.

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del saluto, dopo l’esperienza di questi armi, essi potrebbero essere sostituiti con altri gesti più specifici. c) Ad ogni modo, sarà necessario che nel momento dello scambio della pace si evitino definitivamente alcuni abusi come: - L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistente nel Rito romano.271 - Lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi il segno della pace tra loro. - L’allontanamento del sacerdote dall’altare per dare la pace a qualche fedele. - Che in alcune circostanze, come la solennità di Pasqua e di Natale, o durante le celebrazioni rituali, come il Battesimo, la Prima Comunione, la Confermazione, il Matrimonio, le sacre Ordinazioni, le Professioni religiose e le Esequie, lo scambio della pace sia occasione per esprimere congratulazioni, auguri o condoglianze tra i presenti.272 d) Si invitano ugualmente tutte le Conferenze dei Vescovi a preparare delle catechesi liturgiche sul significato del rito della pace nella liturgia romana e sul suo corretto svolgimento nella celebrazione della Santa Messa. A tal riguardo la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti allega alla presente Lettera circolare alcuni spunti orientativi. 7. La relazione intima tra la lex orandi e la lex credendi deve ovviamente estendersi alla lex vivendi. Raggiungere oggi un serio impegno dei cattolici nella costruzione di un mondo più giusto e più pacifico s’accompagna ad una comprensione più profonda del significato cristiano della pace e questo dipende in gran parte dalla serietà con la quale le nostre Chiese particolari accolgono e invocano il dono della pace e lo esprimono nella celebrazione liturgica. Si insiste e si invita a fare passi efficaci su tale questione perché da ciò dipende la qualità della nostra partecipazione eucaristica e l’efficacia 271 Nel Rito romano non è tradizionalmente previsto un canto per la pace perché si

prevede un tempo brevissimo per scambiare la pace solo a coloro che sono più vicini. Il canto per la pace suggerisce, invece, un tempo molto più ampio per lo scambio della pace. 272 Cf. Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 82: «Conviene che ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio»; n. 154: «Il Sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche motivo ragionevole, vuol dare la pace ad alcuni fedeli»; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr., Redemptionis sacramentum, 25 marzo 2004, n. 72: AAS 96 (2004) 572.

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del nostro inserimento, così come espresso nelle beatitudini, tra coloro che sono operatori e costruttori di pace.273 8. Al termine di queste considerazioni, si esortano, pertanto, i Vescovi e, sotto la loro guida, i sacerdoti a voler considerare e approfondire il significato spirituale del rito della pace nella celebrazione della Santa Messa, nella propria formazione liturgica e spirituale e nell’opportuna catechesi ai fedeli. Cristo è la nostra pace,274 quella pace divina, annunziata dai profeti e dagli angeli, e che Lui ha portato nel mondo con il suo mistero pasquale. Questa pace del Signore Risorto è invocata, annunziata e diffusa nella celebrazione, anche attraverso un gesto umano elevato all’ambito del sacro. Il Santo Padre Francesco, il 7 giugno 2014, ha approvato e confermato quanto è contenuto in questa Lettera circolare, preparata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e ne ha disposto la pubblicazione. Dalla sede della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 8 giugno 2014, nella Solennità di Pentecoste. Antonio Card. CAÑIZARES LLOVERA Prefetto + Arthur Roche Arcivescovo Segretario

273 Cf. Mt 5,9ss. 274 Cf. Ef 2,14.

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Appendice 10 UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE Gesti e movimenti del sacerdote durante la celebrazione La Sacrosanctum Concilium insegna che nella liturgia «la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi» (n. 7). Il fatto che il culto divino sia contrassegnato dalla presenza di segni percepibili coi sensi esterni si spiega in base alla natura dell’uomo, essere corporeo-spirituale. Così annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio» (n. 1146). In queste brevi note, vogliamo soffermarci sui segni liturgici della gestualità e del movimento, limitandoci a considerare il solo sacerdote celebrante. È noto che la forma straordinaria del Rito Romano fornisce indicazioni precise e di dettaglio sui gesti e i movimenti che il sacerdote deve compiere nella liturgia. L’Ordinamento del Messale di Paolo VI è al riguardo più sobrio, anche se non mancano numerose indicazioni. Proponiamo alcuni esempi (corsivi nostri): – «Se si usa l’incenso, prima di incamminarsi, il sacerdote pone l’incenso nel turibolo e lo benedice con un segno di croce senza dire nulla» (IGMR, n. 120). – «Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministri fanno un inchino profondo» (n. 122). – «Il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: “Preghiamo”. […] Poi il sacerdote, con le mani allargate, dice la colletta» (n. 127). – «Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa l’incenso, il sacerdote lo amministra e lo benedice. Quindi, a mani giunte, e inchinato profondamente davanti all’altare, dice sottovoce: “Purifica il mio cuore”» (n. 132). – «All’ambone il sacerdote apre il libro e, a mani giunte, dice: “Il Signore sia con voi”, mentre il popolo risponde: “E con il tuo spirito”; quindi: “Dal Vangelo secondo N.”, tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e su di sé, in fronte, sulla bocca e sul petto [...]. Il sacerdote bacia il libro, dicendo sottovoce: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”» (n. 134).

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– «Deposto il calice sull’altare, il sacerdote, inchinato profondamente, dice sottovoce: “Umili e pentiti”» (n. 143). – «Poi, rivolto all’altare, il sacerdote dice sottovoce: “Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna”, e con riverenza assume il Corpo di Cristo. Quindi prende il calice, dicendo sottovoce: “Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”, e con riverenza assume il Sangue di Cristo» (n. 158). – «Il sacerdote, allargando le mani, saluta il popolo, dicendo: “Il Signore sia con voi” […]. Il sacerdote, congiungendo di nuovo le mani subito, mettendo la mano sinistra sul petto e alzando la destra, soggiunge: “Vi benedica Dio onnipotente”, e, tracciando il segno di croce sopra il popolo, prosegue: “Padre e Figlio e Spirito Santo”» (n. 167). Tra i testi qui riportati, più d’uno fa riferimento al gesto di inchinarsi profondamente. In effetti, l’Ordinamento del Messale individua due tipi di inchino, quello fatto solo col capo e quello profondo di tutto il corpo: «a) L’inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone; al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del Santo in onore del quale si celebra la Messa. b) L’inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all’altare; mentre si dicono le preghiere “Purifica il mio cuore” e “Umili e pentiti”; nel Simbolo [Credo] alle parole: “E per opera dello Spirito Santo”; nel Canone Romano, alle parole: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente”. Il diacono compie lo stesso inchino mentre chiede la benedizione prima di proclamare il Vangelo. Inoltre il sacerdote si inchina leggermente, alla consacrazione, mentre proferisce le parole del Signore» (n. 275). Si trovano ulteriori precisazioni nel Cerimoniale dei Vescovi, che ad esempio indica il modo in cui si tengono le mani (leggermente elevate ed allargate) durante le orazioni (n. 104); o specifica il modo esatto di tenere le mani giunte (n. 107 nota 80). Si noti che i testi, sia del Messale che del Cerimoniale, parlano di «mani» e non di «braccia» allargate, quindi il gesto è compiuto dalle sole mani (con inevitabile movimento degli avambracci), mentre le braccia devono rimanere aderenti al corpo. Da questi pochissimi cenni, del tutto insufficienti a trattare un tema che è ben più importante di quanto non possa apparire, emerge quanto meno l’indicazione che il sacerdote non può muoversi e gesticolare a suo piacimento durante il rito liturgico, così come egli non può, ad esempio, vestirsi come vuole. Come egli si riveste di abiti sacerdotali fissati dalla Chiesa, che indicano il suo essere strumento di Cristo, il celebrare in persona Christi, così dovrà conformarsi alla gestualità fissata dalla Chiesa per lo svolgimento del rito. Quando il sacerdote celebra la sacra liturgia, non deve impersonare se stesso – quindi non può essere disinvolto e spontaneo nel portamento. Egli rappresenta al vivo Cristo e la Chiesa e deve perciò esprimere la loro gestualità più che la sua. Non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui.

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Ciò si rende visibile anche attraverso quei segni sensibili che sono i gesti e i movimenti compiuti nella liturgia. È altresì ovvio che l’attenzione alla corretta gestualità liturgica non deve scadere nell’estetismo o in una sorta di “fariseismo” liturgico. Ma questo non rappresenta un rischio ai nostri giorni, in cui molto più frequente è la tentazione di celebrare “come viene naturale”. Spesso non si seguono le indicazioni dei libri liturgici – anche perché non sono conosciute – e si fa strada una gestualità eccessiva, ridondante, in certi casi quasi teatrale. Insegna Benedetto XVI: «La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni posti nell’ordine e nei tempi previsti comunicano e coinvolgono di più che l’artificiosità di aggiunte inopportune» (Sacramentum Caritatis, n. 40). Di qui il dovere per ogni sacerdote di conoscere bene i praenotanda dei libri liturgici anche riguardo a questi aspetti, per nulla secondari. Compiere nel modo giusto i gesti e i movimenti della liturgia esprime visibilmente nel corpo – e al tempo stesso accompagna e sostiene – la lode e adorazione prestate dall’anima. Il buon esempio dei sacerdoti celebranti sarà di enorme aiuto a tutta l’assemblea radunata per il culto divino. Gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione I gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione della Santa Messa appartengono a quegli aspetti materiali del culto divino che non si possono trascurare. San Tommaso d’Aquino è molto chiaro nell’osservare che dobbiamo rendere onore a Dio non solo in spirito. Siccome gli uomini sono creature corporee, i sensi esterni sono sempre coinvolti. Nella sacra liturgia è necessario «servirsi di cose materiali come di segni, mediante i quali l’anima umana venga eccitata alle azioni spirituali che la uniscono a Dio» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7). Abbiamo quindi bisogno di segni sensibili per purificare il nostro cuore e nutrire il nostro desiderio di unione con il Dio invisibile. L’Aquinate riconosce che il fine della liturgia è l’offerta spirituale compiuta da coloro che partecipano ad essa. Ma la costituzione umana è tale, che l’espressione interna dell’anima cerca allo stesso tempo una manifestazione corporea. D’altro canto la vita interna è sostenuta dagli atti esterni. Per provvidenziale volontà di Dio, siamo chiamati ad offrirgli i segni visibili della nostra offerta spirituale, perché, in quanto creature corporee, comunichiamo con segni esterni. Il Doctor communis osserva: «Queste cose esterne non vengono offerte a Dio, come se Egli ne avesse bisogno […], ma come segni degli atti interni spirituali» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7 ad 2). In questa prospettiva, si mette in luce anche l’importanza dei gesti ed atteggiamenti nella liturgia. Tali consuetudini fanno parte della tradizione viva del popolo di Dio e sono trasmesse da una generazione all’altra insieme ai

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contenuti della fede. Dal canto suo, la Chiesa, come Madre e Maestra, interviene a volte, dando indicazioni più precise per educare i fedeli allo spirito della liturgia. La normativa per la forma ordinaria della Santa Messa di Rito Romano si trova nell’attuale Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43, dove viene spiegato che il giusto atteggiamento dei fedeli nelle varie parti della Celebrazione eucaristica è segno di unità e favorisce la partecipazione all’azione liturgica: I fedeli stiano in piedi dall’inizio della Messa fino alla conclusione dell’orazione colletta, durante l’Alleluia, la proclamazione del Vangelo, il Credo e la preghiera universale; si alzino all’invito Orate, fratres prima dell’orazione sulle offerte e rimangano in piedi fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito. I fedeli stiano seduti per le letture prima del Vangelo e il salmo responsoriale, all’omelia e durante l’offertorio; possono stare seduti anche durante il sacro silenzio dopo la Sacra Comunione, se viene osservato. I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus, si conservi lodevolmente tale uso. Secondo l’Ordinamento Generale, spetta alle Conferenze dei Vescovi, con la recognitio della Sede Apostolica, adattare queste norme secondo le sensibilità delle culture e tradizioni locali. Tuttavia, bisogna stare attenti che i gesti corrispondano sempre al vero senso di ciascuna parte della liturgia. Un gesto da rivalutare in non poche celebrazioni liturgiche odierne è l’inginocchiarsi. L’adorazione inizia dal riconoscimento di Dio e della sua sacra presenza, che sollecita l’uomo ad una risposta di riverenza e devozione. Nell’ambito biblico, il gesto più caratteristico dell’adorazione è quello di prostrarsi o di mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Dio (cf., ad esempio, 1Re 8,54-55; Lc 5,8; 8,41; 22,41; Gv 11,32; Atti 7,60; Ap 5,8 e 14; 19,4; 22,8). I primi cristiani hanno recepito questa prassi, come attestano Tertulliano e Origene nel terzo secolo. La ben nota prescrizione del canone ventesimo del primo Concilio di Nicea (325), di stare in piedi per la preghiera liturgica, ad imitazione del Risorto, si riferisce specificamente alle domeniche e al tempo pasquale, mentre nei giorni di digiuno e nei giorni stazionali si pregava in ginocchio, così come attestato riguardo alla preghiera personale quotidiana. D’altronde, già in una lettera scritta nel 400, sant’Agostino dichiarava di non sapere se la prescrizione di Nicea fosse una consuetudine propria a tutta la Chiesa (cf. Ep. 55 ad Ianuarium, XVII, 32).

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Durante i secoli, la Chiesa ha sempre ricercato espressioni rituali il più adeguate possibile, dando così una testimonianza visibile della sua fede e del suo amore verso il culto divino e in particolare l’Eucaristia. Così si è sviluppata in Occidente la consuetudine che i fedeli si inginocchino per il Canone della Messa, o almeno nelle sue parti centrali: la consacrazione. In tal modo, si è anche diffusa la prassi di ricevere la Sacra Comunione in ginocchio. Per fornire un esempio a tutta la Chiesa, il Santo Padre Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, ha cominciato a distribuire la Sacra Comunione direttamente sulla lingua ai fedeli che la ricevono inginocchiati. In risposta ad alcune difficoltà che sono emerse nella vita liturgica, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ribadisce che «la pratica di inginocchiarsi per la Sacra Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (Lettera This Congregation, 1 luglio 2002: trad. it. Enchiridion Vaticanum vol. XXI, p. 471 n. 666). Il Dicastero chiarisce che non è lecito rifiutare la Sacra Comunione per la semplice ragione che i comunicandi scelgono di riceverla in ginocchio (cf. Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 91).

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Appendice 11 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI NOTITIAE VOL. 38 (2002) 492 Quesito: È possibile predisporre una tavola con del pane e del vino in mezzo alla Chiesa vicino all’altare o nel presbiterio in occasione della Messa “Nella Cena del Signore” o della prima piena partecipazione all’Eucaristia, detta “prima Comunione”? Risposta: No. Le vigenti norme in materia affermano in modo chiaro l’importanza da attribuirsi all’altare, la cui posizione deve far sì che l’intera comunità rivolga lì la propria attenzione: «Conviene che in ogni chiesa ci sia l’altare fisso, che significa più chiaramente e permanentemente Gesù Cristo, pietra viva (1Pt 2,4; cf. Ef 2,20); negli altri luoghi, destinati alle celebrazioni sacre, l’altare può essere mobile. L’altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare» (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 298). Ne deriva dunque che è necessario un solo altare, parte più eccellente del presbiterio e dell’intera chiesa, in modo che la sua singolarità favorisca la partecipazione dei fedeli: «Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa. Nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l’attenzione dei fedeli dal nuovo altare» (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 303). L’usanza, dunque, di predisporre una tavola con il pane e il vino per la memoria dell’Ultima Cena di Gesù o per disporre i fanciulli durante la prima partecipazione eucaristica è simbolicamente una ripetizione, pedagogicamente una distrazione e pastoralmente qualcosa di inconsistente, poiché distrae il popolo dall’altare, turba la percezione dell’importanza dei singoli elementi dell’architettura della Chiesa e non favorisce affatto la partecipazione dei fedeli. 197


Appendice 12

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BIBLIOGRAFIA Fonti: S. AMBROGIO, I sacramenti, II, 3, 9. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae III, 64, 10, 3m Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. H. Denzinger – A. Schönmetzer, Edizioni Dehoniane, Bologna 1995. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), in AAS 56 (1964) 97-134. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), in AAS 57 (1965), 5-67. Codex Juris Canonici, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983. SANTA SEDE E REPUBBLICA ITALIANA, Accordo di revisione del Concordato Lateranense (18 febbraio 1984), in Notiziario CEI 3 (1984) 75-84. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992. Enchiridion indulgentiarum, ed. Penitenzieria Apostolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.

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199


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Rituale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da papa Paolo VI e riveduto da Giovanni Paolo II, Rito del Matrimonio, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004. Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da papa Paolo VI, Ordinamento delle Letture della Messa, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007. Missale Romanum, ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum Ioannis Pauli PP. II cura recognitum, editio typica tertia emendata, Città del Vaticano 2008. Rituale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da papa Paolo VI, Rito delle esequie, ed. Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010.

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SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram (5 marzo 1967), in AAS 59 (1967) 300-320. SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istruzione Liturgicae instaurationes (5 settembre 1970), in AAS 62 (1970) 692-704. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensae caritatis (29 gennaio 1973), in AAS 65 (1973) 264-271. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Lettera circolare sui concerti nelle chiese (5 novembre 1987), in Notitiae 24 (1988) 33-39. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Decreto circa le Messe plurintenzionali (22 febbraio 1991), in AAS 83 (1991) 443-446. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Lettera circolare Ce dicastère n. 263/97 (6 giugno 1997), in Enchiridion Vaticanum 16 (1997), Edizioni Dehoniane, Bologna 1997, 550-559. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e Liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), in AAS 96 (2004) 549-601. SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI, Ad totam Ecclesiam, Direttorio Ecumenico per l’applicazione delle decisioni del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo (14 maggio 1967), in AAS 59 (1967) 574-592. SINODO DEI VESCOVI, XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Messaggio al Popolo di Dio (7-28 ottobre 2012), in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20121 026_message-synod_it.html CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Documento pastorale Evangelizzazione e ministeri (15 agosto 1977), in Notiziario CEI 7 (1977) 109-143. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari o difficili (26 aprile 1979), in Notiziario CEI 5 (1979) 68-83. 202


CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Eucaristia, comunione e comunità (22 maggio 1983), in Notiziario CEI 4 (1983) 59-117. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Delibera n. 8 del 23 dicembre 1983, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana 3 (1980-1985), Edizioni Dehoniane, Bologna 1986, 1596. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Decreto Generale sul matrimonio canonico (5 novembre 1990), in Notiziario CEI 10 (1990) 258-279. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della famiglia” (25 luglio 1993), Fondazione di religione “Santi Francesco di Assisi e Caterina da Siena”, Roma 1993. DIOCESI DI TEGGIANO – POLICASTRO, Bollettino Diocesano. Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia. SPINILLO A., Provvedimenti canonici, in Bollettino Diocesano. Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia, 1 (2000) 74. SPINILLO A., Norme per la celebrazione delle feste religiose proprie delle parrocchie, in Bollettino Diocesano. Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia, 1 (2010) 91-99.

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203


CENTRO DI PASTORALE LITURGICA FRANCESE, Ars celebrandi. Guida pastorale per un’arte del celebrare, Edizioni Qiqaion, Comunità di Bose‐Magnano (BI) 2008. RATZINGER J., Opera omnia, vol. XI: Teologia della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. Symbolum. Percorsi e approfondimenti sul catechismo della Chiesa cattolica, ed. M. R. Poggio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013.

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INDICE

Sigle e abbreviazioni Presentazione Decreto Introduzione

2 3 4 5

I. LITURGIA E SACRAMENTI

11

II. I SACRAMENTI DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA

15

1. Il sacramento del Battesimo 1.1 Il battesimo dei bambini 1.2 Il battesimo degli adulti 2. Il sacramento della Confermazione 3. Il sacramento dell’Eucaristia 3.1 Celebrazione Eucaristica 3.2 Iterazione della messa 3.3 La prima Comunione dei fanciulli 3.4 La Concelebrazione 3.5 Messe e orazioni per diverse circostanze 3.6 Messe per i defunti 3.7 Il culto eucaristico fuori della Messa 3.8 Statio Quaresimale 3.9 Triduo pasquale 3.10 Celebrazioni in lingua latina

15 16 19 19 23 23 29 33 34 37 39 40 43 43 44

III. I SACRAMENTI DI GUARIGIONE

47

1. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione 1.1 La Prima Confessione 1.2 Le indulgenze 2. Il sacramento dell’Unzione degli infermi

47 49 49 51 205


IV. I SACRAMENTI A SERVIZIO DELLA COMUNIONE E DELLA MISSIONE

55

1. Il sacramento dell’Ordine 1.1 I compiti del diacono durante la liturgia 1.2 I diaconi permanenti 2. Il sacramento del Matrimonio

55 56 56 58

V. I SACRAMENTALI

65

1. Benedizioni 2. Gli esorcismi 2.1 Attenzioni pastorali 3. Esequie 3.1 Esequie di un sacerdote

65 68 69 71 73

VI. MINISTERI ISTITUITI

77

1. Il lettore 2. L’accolito 3. I ministri straordinari della comunione 3.1 Requisiti per l’ammissione al ministero straordinario della comunione

77 78 79 81 81

VII. LA LITURGIA DELLE ORE

85

1. Articolazione 2. Struttura

85 85

VIII. PIETÀ POPOLARE

89

1. Processioni della Beata Vergine Maria e dei Santi 2. Via Crucis 3. Mese di maggio

90 91 92

IX. IL CANTO E LA MUSICA NELLA LITURGIA

95

1. Orientamenti pastorali 2. Concerti nelle chiese

95 97

206


X. SPAZIO E ARREDO LITURGICO

101

1. Lo spazio sacro 1.1 Gli altari laterali 2. Le opere d’arte 3. Il suono delle campane 4. L’uso dei fiori nelle chiese 5. Corona d’Avvento, Presepe e Albero di Natale

101 102 103 104 105 106

APPENDICE Evangelizzare la pietà popolare Norme per la celebrazione del Matrimonio Mod. XV “Atto di Matrimonio” Modifica dell’art. 147 del codice civile Il servizio dei fotografi e dei fioristi nelle celebrazioni liturgiche Decreto per il suono delle campane Attenzione pastorale per i turisti Rispetto delle norme di tutela dei beni culturali L’espressione rituale del dono della pace nella messa Gesti e movimenti del sacerdote durante la celebrazione Gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione Quesito: Tavola in medio ecclesiae Richiesta dell’uso di una chiesa per concerto

114 122 157 160 161 179 182 183 187 192 194 197 197

BIBLIOGRAFIA

198

INDICE

205

207


Finito di stampare nel mese di dicembre 2015

Impaginazione e grafica Massimo La Corte

STAMPA Via Degli Edili, 101 - SAPRI (SA) Tel. 0973 603365 - E-mail: legatoria.cesare@alice.it




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