Messaggio ai Presbiteri 2013

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DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO

ANTONIO DE LUCA Vescovo di Teggiano-Policastro

Non temere... spendi la tua vita per l’Amore Messaggio ai Presbiteri



Carissimi Fratelli Sacerdoti, scelti con affetto di predilezione e resi partecipi del ministero di Salvezza da Cristo, Pontefice della nuova ed eterna alleanza, pace e gioia piena in Colui che ci chiama, nel suo nome, a rinnovare il sacrificio redentore1. Come le corde sono unite alla cetra2, così, mi sono sentito a voi legato, in questo anno in cui abbiamo camminato insieme. Ho sperimentato la vostra affettuosa vicinanza, la vostra preziosa collaborazione, la profonda comunione, che è sempre ‘dono dall’alto’. Lo scorso anno, nel Messaggio a voi presbiteri per la Messa Crismale, vi esortavo a non trascurare il dono che è in voi (cfr. 1Tm 4,14), invitandovi, così, ad abitare il tempo e anche e soprattutto a renderlo abitabile3. Attraverso una regola di vita, non come precetto esterno da osservare, ma come 1

MESSALE ROMANO, Prefazio della Messa Crismale, LEV 1984. Cfr. A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Messaggio ai Presbiteri, Messa Crismale 2012, p. 6. 3 Ibid. 2

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interiore convinzione da cui scaturiscono scelte 4 consapevoli , vi esortavo a dare forma alla vostra vita per il nostro essere sacerdoti, dispensatori dei santi misteri. In questa Pasqua dell’Anno della Fede, vorrei rivolgermi a ciascuno di voi per condividere alcune riflessioni su un modello di fede che potrà aiutare la nostra vita sacerdotale. Bisogna costruire la regola di vita con e dentro le nostre comunità .

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Ibid, pagg. 9-10

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Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te (2 Tm 1,6) L’esortazione di Paolo a Timoteo vale per ogni sacerdote. Nel testo greco il verbo ravvivare evoca l’immagine domestica del ‘rattizzare il fuoco’. Vale a dire che occorre alimentare il carisma ricevuto, un pò come quando si ravviva la brace nel caminetto ad evitare che la cenere faccia illanguidire la fiamma. Il dono del sacerdozio va dunque custodito e curato con amore: il grigiore della quotidianità, infatti, può diventare una sorta di cenere che spegne l’ardore degli inizi, di quando cioè ricevemmo il dono dell’Ordine sacro. Queste brevi note vogliono perciò essere una fraterna esortazione a ravvivare il dono di Dio, che è in noi perché possa risplendere sempre d’una luce viva, che scalda senza mai impallidire. Non dirò cose nuove; cercherò semmai di rinverdire quanto già sappiamo, imitando un predicatore che soleva iniziare il suo corso di esercizi, premettendo queste parole: «Non nova ut sciatis, sed vetera ut faciatis»: ciò che conta non è conoscere cose nuove, ma mettere in pratica quelle conosciute.

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Prese con sé la sua sposa (Mt 1,24) Mi piace riproporvi uno dei punti su cui abbiamo meditato durante gli esercizi spirituali a Scario: la figura di Giuseppe, provvido custode di Gesù e di Maria. Nonostante la straordinarietà del suo ruolo, egli vive senza alcuno sconto la missione di sposo e di padre. Gesù e Maria trovarono in lui reale protezione; il piccolo Gesù lo abbracciava col trasporto proprio d’un figlio. San Francesco di Sales esclama: «O grande san Giuseppe, sposo amatissimo della Madre del Diletto, quante volte hai tenuto tra le braccia l’amore del cielo e della terra; e infiammato dai dolci baci ed abbracci di quel divino Fanciullo, ti scioglievi di dolcezza, allorché ti sussurrava teneramente all’orecchio (o Dio quale soavità!) che tu eri il suo grande amico, il suo carissimo padre tanto amato»5. Al fianco di Giuseppe, Maria si sentiva sicura, amata, compresa. Perché nell’agire di Giuseppe non vi furono ombre: libero da possessività, egli conosceva le vie della tenerezza autentica; pudore, rispetto, silenzio sapiente sono elementi determinanti del suo essere. A fronte dell’eccezionale missione affidatagli, non si pensi però che l’umanità di Giuseppe ne uscì mortificata o, in qualche modo, diminuita. La santità, non v’è dubbio, è una via stretta, sempre in salita; però – sia chiaro – chi la percorre

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S. FRANCESCO DI SALES, Trattato dell’amor di Dio, Milano, Paoline 1996, p. 78.

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contempla nella gioia panorami ineffabili. Per questo, la vita di Giuseppe conobbe senz’altro il sudore e le lacrime, ma non la tristezza. Scrisse a riguardo don Giuseppe De Luca: «Fu una vita lieta. Certo, lietissima. La letizia non sta nello stordimento dei piaceri, nelle fanfare della fama, negl’incensi e negli inni delle dignità. La letizia fugge ed esula da tutto codesto. La letizia vera, che nulla al mondo eguaglia e nulla potrà mai vincere, è la compagna indivisibile della bontà. Si può stare nella sofferenza ed essere lieti, mentre è impossibile essere lieti di solo piacere: il piacere immalinconisce e prostra. Il piacere, quando è passato, ci lascia come l’amarezza di una trappola: è una forza naturale che ci ha piegato al servizio delle leggi di natura; la letizia invece è cosa dello spirito, libera e liberatrice. Non si riesce ad immaginare, soltanto per un attimo, san Giuseppe triste: addolorato sì, e sino all’estremo, non però mai triste»6. Papa Francesco nell’omelia pronunciata il 19 marzo, in occasione dell’inizio del Ministero Petrino, ha detto: «Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne al Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita»7. 6

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G. DE LUCA, L’Anno del Cristiano, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1981, p. 426. «L’Osservatore Romano», mercoledì 20 marzo 2013.

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Ora, il sacerdote vive un’esperienza molto simile a quella di Giuseppe. La Chiesa è la sua sposa, i fedeli la sua ricca e variegata figliolanza. Anche il sacerdote, come Giuseppe, è chiamato a spendersi per la sua sposa, ad amarla, difenderla, custodirla: si potrebbe dire che il sacerdote è chiamato a prendere con sé la sua sposa, usandole tutto il riguardo e l’amore che Giuseppe ebbe per Maria. Il cammino del sacerdote si snoda attraverso un percorso segnato dalla responsabilità, la quale tuttavia non tende all’autocompiacimento ma alla meta di ogni vocazione, cioè la carità. Ciò spiega perché il ministero sacerdotale riesce veramente fruttuoso, se vissuto nella fedeltà secondo lo spirito della vera libertà. Contento del grande dono ricevuto, il sacerdote non cede all’ambizione, al desiderio del possesso o dell’interesse, alla vanagloria, alla mania dell’emergere o del comparire a tutti i costi. Don Primo Mazzolari è lapidario a riguardo: «La nostra carriera finisce il giorno della Prima Messa e davanti al cancello del cimitero della nostra Parrocchia»8. Parole altissime: non contengono un monito minaccioso, ma un invito alla fedeltà a Cristo e ai fratelli. Il sacerdote che si immerge nel Mistero dell’Altare ha consapevolezza che non v’è meta più alta a cui aspirare. “Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa”9,

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P. MAZZOLARI, Ai Preti, Vicenza, La Locusta 1977, p. 11. MESSALE ROMANO, Prefazio della SS. Eucaristia I, LEV, 1984.

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così come pregheremo domani sera durante la Celebrazione della Cena del Signore. Come Giuseppe, il sacerdote autentico trova la sua gioia nel compiere il proprio dovere; non cerca applausi umani, perché ben più alta gratificazione lo attende: la benevolenza di Dio. Mette il massimo impegno nella cura pastorale, sentendosi forte non per capacità personali ma per essere inviato da Cristo stesso: è in Cristo infatti che attinge magnanimità, vigore, coraggio, perseveranza, serenità. Massimo impegno nella cura pastorale, dicevo, ma anche massimo rispetto e massimo pudore verso tutte le persone che incontra. Per un sacerdote cosiffatto la parrocchia non è una sorta di feudo di cui egli è il capo, come sostiene il parroco di Torcy nel Diario di un curato di campagna: «Ai miei tempi – egli afferma – si formavano uomini di Chiesa, sì, uomini di Chiesa, capi di parrocchia, padroni, insomma uomini di comando. Gente che teneva a bada il paese così, con una mossa del mento»10. Con buona pace del parroco di Torcy, occorre seguire una prospettiva radicalmente diversa. «Non dimentichiamo mai – ha ribadito Papa Francesco il 19 marzo – che il vero potere è il servizio». Giuseppe, figura del sacerdote, è l’uomo che sa andare controcorrente. E ciò vale, in maniera particolare, nella nostra epoca, la quale a volte come infatuata soltanto da ciò che "fa immagine". Giuseppe all’esterno non ha nulla di eclatante, e tut-

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G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna in ID., Romanzi, Milano, Mondadori, 2000, p. 542.

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tavia è grande agli occhi di Dio. Sia così ogni sacerdote: agli occhi del mondo appaia pure un essere di poco valore; ciò che conta è che valga agli occhi di Dio. Il Signore - infatti - non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell'uomo: l'uomo guarda all'apparenza, ma il Signore guarda al cuore (1 Sam 16,7).

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Quell’uomo aveva fede. San Giovanni Crisostomo, meditando sulla fuga in Egitto (Mt 2,13 e ss.), considera l’ammirevole obbedienza di Giuseppe di fronte al comando divino ricevuto in sogno: «Udito ciò, Giuseppe non si scandalizzò né disse: Questa cosa è un enigma; non avevi detto prima che avrebbe salvato il suo popolo? E ora non salva nemmeno se stesso, ma ci sono necessari la fuga, il viaggio, un lungo trasferimento; questi eventi sono contrari alla promessa. Ma non dice niente di questo, perché quell’uomo aveva fede… non si perse d’animo davanti a questa prospettiva, ma ubbidisce e crede, sopportando con gioia ogni prova. Difatti Dio, nella sua bontà, unì a queste sofferenze anche delle cose piacevoli, e agisce così con tutti i santi, senza disporre in modo continuativo i pericoli e i momenti di sollievo, ma intessendo la vita dei giusti con gli uni e con gli altri»11. Un sacerdote passa non di rado attraverso i duri tratti della prova. Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione (Sir 2,1). Si profilano due strade: la ribellione amara, e l’accettazione sofferta ma fiduciosa. Quest’ultima è possibile soltanto là dove vi sia una fede robusta, radicata. Se non avesse avuto fede, Giuseppe avrebbe mandato all’aria mille volte la sua impegnativa missione. Non dovrà dirsi la stessa cosa per il sacerdote?

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GIOVANNI CRISTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo, I, Roma, Città Nuova, 2003, p. 162.

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Nel corso di questo Anno della Fede è bene perciò meditare lungamente sul valore della prima virtù teologale, così necessaria ad ogni cristiano e, a maggior ragione, ad ogni sacerdote. Riguardo alla fede, sottolineo un punto, che mi pare particolarmente interessante all’interno del discorso fin qui svolto: sia le virtù umane che le virtù teologali sono fortemente legate tra di loro: non procedono mai separate. L’esercizio di una virtù umana conduce gradualmente all’acquisizione anche delle altre virtù cardinali. Allo stesso modo, nel dono della fede è contenuto anche quello della speranza e della carità. Unico, a proposito, è il magistero di Paolo e di Giacomo: non vi è fede senza le opere; non vi sono opere senza la fede (cfr. Ef 2, 8-9; Gc 2, 26). «Perché, – scrive san Gregorio di Nissa – come nel caso del corpo umano, il cristiano venga riconosciuto nella sua integrità, l’uomo fedele deve mostrare nella propria vita l’impronta di tutti i beni che si possono pensare conformi a Cristo»12. Nel dono della fede riceviamo pertanto anche gli altri «beni», che permettono una crescita armonica di tutta la persona. Inoltre, se le virtù cardinali elevano l’uomo rendendolo idoneo a ricevere il dono delle virtù teologali, queste, a loro volta, incidono profondamente nel potenziamento e nello sviluppo delle virtù umane. Un autentico cammino di fede, perciò, libera 12

GREGORIO DI NISSA, La perfezione cristiana, Roma, Città Nuova, 1996, pp. 83-84. Mutuato dalle dottrine platonico-stoiche, il concetto sull’intimo legame che lega le virtù (antacoluthía), viene tradotto da Gregorio di Nissa nella prospettiva cristiana.

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dalle schizofrenie, contribuendo a una maturazione sferica della persona. Di tutto questo la vita del sacerdote dev’essere una viva testimonianza per gli altri. «Sì, oggi, che non si fa più affidamento sulla funzione, ma sulla persona, l’autorevolezza del presbitero è ancora più necessaria ed è legata alla sua statura umana e spirituale. Davanti a Dio e agli uomini niente può sostituire una vita personale autentica!»13.

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E. BIANCHI, Ai Presbiteri, Magnano, Qiqajon, 2004, p. 70.

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Alcuni suggerimenti. In spirito di fraternità vi ripropongo alcune indicazioni operative che vi ho già affidato nella Lettera Pastorale per la Quaresima 201314. Anzitutto siamo chiamati a ridare vitalità ed entusiasmo alla comunione. Nella Scrittura vi è un monito: Vae soli (Qo 4,10)! Il presbiterio deve sempre più diventare luogo di fraternità, che aiuti e fortifichi ciascun presbitero. Non solo: quanto più cresce l’identità col presbiterio, tanto più si sviluppa la comunione coi laici, i quali vanno coinvolti maggiormente negli organismi di partecipazione e comunione. «Da questi familiari rapporti tra i laici e i pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa»15. È confortante apprendere che le riunioni mensili tra i presbiteri nelle diverse foranie stiano favorendo un clima di maggiore fraternità e amicizia. Va poi incoraggiata ed estesa l’iniziativa di animare queste riunioni con lo studio e la riflessione intorno ai Documenti del Concilio Vaticano II, al Catechismo della Chiesa Cattolica, alle fonti cristiane. Da ciò potrà trarre arricchimento in maniera particolare la predicazione, che, tenendosi distante da ogni improvvisazione, deve offrire contenuti solidi ed arricchenti. Una cosa non manchi mai in ciascuno di noi, e mai diminuisca: il contatto vivo con nostro Signore Gesù Cristo attraverso la preghiera, intensa e perse14

Cfr. A. DE LUCA, Questa è la nostra Fede. Lettera Pastorale per la Quaresima 2013, p. 24. 15 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen Gentium, n.37.

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verante. La preghiera, ci insegna Santa Teresa d’Avila, è «un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama»16 e, al suo Amore, niente dobbiamo anteporre17. Nulla potrà abbatterci, nulla potrà farci veramente paura, se lasceremo che la nostra amicizia con Cristo cresca di giorno in giorno. Sant’Ambrogio perciò ci insegna: Remedium taediorum omnium Christus et Scriptura.

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TERESA D’AVILA, Libro della vita, cap.8, par.5. (Opere complete, Milano, Paoline, 1998, p. 136). 17 Regola di San Benedetto, capo 4, 21.

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Grazie, cari Fratelli Sacerdoti. «Per il resto, fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi» (2 Cor 13,11).

Con voi desidero così pregare: Signore Gesù Cristo, Sacerdote del Padre, Unto dello Spirito Santo, per Grazia mi hai assimilato al tuo sacerdozio: rendimi uomo di fede robusta. Costituiscimi giusto per Te. Non tema di prendere con me quelli che Tu mi affidi. Stabiliscimi custode felice della tua Sposa, la Chiesa. Fa che la solitudine non mi sgomenti, i consensi non mi seducano, l'incomprensione non mi scoraggi, le differenze non mi impauriscano, la prova non mi inasprisca, gli insuccessi non mi indeboliscano! Adorna la mia povera vita con la bellezza dell'umiltà, con lo splendore della saggezza, il fulgore del silenzio, e la roccia della fedeltà. 14


Possa testimoniare il mistero di Nazaret: la vita spesa per amore, solo per amore! Maria, madre dei sacerdoti, prega per me. Amen.

Teggiano, 27 Marzo 2013 Santa Messa Crismale X Antonio, Vescovo

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