Seminario di studio per la presentazione della Lettera Pastorale di Mons. Antonio De Luca

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DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO

SEMINARIO DI STUDIO per la presentazione della Lettera Pastorale

CI SIAMO AFFATICATI E NON ABBIAMO PRESO NULLA di Mons. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro

RELAZIONI Prato Perillo, 24 settembre 2018



DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO

Seminario di studio per la presentazione della Lettera Pastorale

CI SIAMOAFFATICATI E NON ABBIAMO PRESO NULLA di Mons. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro

RELAZIONI

Prato Perillo, 24 Settembre 2018



Antonio Cetrangolo Introduzione “Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla”: è la Lettera Pastorale del nostro Vescovo Mons. Antonio De Luca in vista della visita pastorale nella Diocesi e per un rinnovato impegno di evangelizzazione nella Chiesa di Teggiano-Policastro. La presente pubblicazione è una rilettura del testo pastorale a partire da prospettive complementari, grazie all’apporto interdisciplinare di alcuni docenti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione di San Tommaso a Napoli. Se da una parte il Vescovo elogia e resta “ammirato di fronte alla mole di lavoro e di servizio che viene portato avanti con innegabile dedizione”1 da tutti gli operatori pastorali e dai presbiteri del territorio, dall’altra rileva come “non manchino i segnali di un’allarmante disaffezione e di un lento e progressivo sfilacciamento del tessuto sociale ed ecclesiale”2. Punto di partenza della Lettera è il testo evangelico di Lc 5,1-10 che, mettendo in guardia dallo scoraggiamento e dallo sconforto che non poche volte nascono dalla delusione di aver faticato a lungo, ma con risultati irrilevanti, invita gli evangelizzatori a riprendere il largo con un qualificante atteggiamento: “Duc in altum” (eis to bathos), verso il profondo. È in questione la profondità spirituale auspicata dalla Lettera in relazione a tutti i progetti, le strategie e i programmi pastorali che pur spingendosi lontani necessitano di una profondità e di una rifondazione spirituale. Così le tre focalizzazioni, Liturgico-pastorale, a cura del Prof. Salvatore Esposito docente presso la PFTIM; teologico-spirituale a cura del Prof. Francesco Asti, Decano e docente presso 1

A. DE LUCA, Lettera Pastorale: Abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri 2018, n. 3. 2 Ibid. 3


la PFTIM; antropologico-filosofico a cura del Prof. Carmine Matarazzo, docente presso la PFTIM, sono un prezioso contributo per “tentare di riaccendere l’ardore di un rinnovato Annunzio”3 e un nuovo impulso in tutta la Comunità ecclesiale. Il prof. Esposito coglie il desiderio del Pastore, che auspica il tentativo di elaborare nuovi percorsi di iniziazione cristiana fondati sulla Parola di Dio, aperti alla voce dello Spirito che rende la Parola ascoltata, meditata, pregata, conosciuta e annunciata, testimoniata e generativa di gioia: percorsi di catecumenato cristiano che generano ‘cristiani per scelta’. Il Prof. Esposito tenta di rispondere a questa istanza con la sua relazione: “Come fare i cristiani oggi?”. Se la secolarizzazione e il secolarismo, il costituirsi di una società multirazziale e multireligiosa, la presenza dei nuovi movimenti religiosi e dell’islamismo in occidente sono sfide odierne, il punto di partenza è la missione ad gentes. Un’impresa come questa suppone il superamento dell’individualismo e le improvvisazioni più o meno estemporanee e rimanda a un progetto organico di pastorale. La nuova evangelizzazione richiede, da parte delle nostre comunità, una profonda e attenta verifica dei modi di proclamazione del vangelo, una rinnovata familiarità con la Parola di Dio. “Conosciamo – scrive il Vescovo – l’importanza di avviare nuovi percorsi e nuove forme di annuncio. Non ci sfuggono come nel nostro contesto i sacramenti della Iniziazione cristiana vengono chiesti per consuetudine o per occasionali situazioni (richiesta di padrino/madrina)”. Il Liturgista si chiede “Come fare per uscire da questa situazione frustrante?”. Lavoriamo tanto, ma non facciamo i cristiani! Una ricetta magica non esiste. Una proposta si può suggerire: una rinnovata sequenza che – tenendo presente la prassi attuale del battesimo dei bambini – potrebbe seguire la seguente scansione: riconciliazione sacramentale come “secondo battesimo”. Rinnovo delle promesse battesimali; cresima come compimento del batte3

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Ivi, n. 50.


simo e rito di passaggio verso l’eucaristia, impegno nel servizio ecclesiale e nella testimonianza del vangelo e della carità. Segue, poi, la mistagogia, la comprensione di ciò che i sacramenti hanno operato nella vita tesa ormai coerentemente alla testimonianza del vangelo di Gesù Cristo. Il tutto coinvolgendo le famiglie nello stesso cammino, celebrando possibilmente i sacramenti unitamente e fondando gli incontri sulla Parola di Dio, senza tralasciare i catechismi della CEI. “La Lettera del Vescovo – dice Esposito – così coraggiosa, aperta e franca, attenta alle tradizioni di questa terra, ma fortemente proiettata verso il futuro che viene a grandi passi, mi pare che sposi il cambiamento e incoraggi ad intraprendere e percorrere nuove piste come cominciare a sperimentare un modello esplicitamente catecumenale ormai diffuso in modo significativo, nel quale emergono i criteri della gradualità, del non nozionismo, della dimensione esperienziale e del coinvolgimento della famiglia nell’Iniziazione cristiana dei ragazzi e la centralità della comunità ecclesiale” ispirandosi alla struttura del RICA. Resta un problema aperto: la formazione dei catechisti e degli animatori. Preparare cioè laici adulti, catechisti ed animatori in grado di guidare e condurre con competenza gli itinerari di fede: un lavoro sinergico, interparrocchiale, un centro di formazione che fornisca alle comunità parrocchiali i responsabili della iniziazione cristiana. Il Prof. Francesco Asti, con il suo contributo “Sotto il Governo dello Spirito Santo”, risponde all’appello di Mons. De Luca per un recupero di spiritualità dei presbiteri e degli operatori pastorali come cifra dell’azione ecclesiale feconda e come deterrente all’isolamento nelle relazioni interpersonali. Lo Spirito Santo con i suoi doni guida la Chiesa. Il credente, come tutta quanta la Chiesa, non può pensare di procedere verso il Regno senza la presenza operante dello Spirito che dona pensieri nuovi per rendere la Chiesa sempre più aderente al vangelo di Gesù Cristo. 5


San Giovanni Paolo II invita tutti a riprendere il largo, avendo come stella che guida il cammino la santità, perché è esperienza di vita e di comunione nella Chiesa che fa guardare lontano verso la mèta finale. Nella lettera apostolica a conclusione del Grande Giubileo Novo Millenio Ineunte indica che tutti sono chiamati alla santità, quella che rende possibile delle vite straordinarie nell’ordinarietà della propria esistenza. Il cammino di santità è rispettare i cammini personali che si articolano in maniera imprevedibile, perché sono retti da Dio: «i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone». Il programma delle Beatitudini è la magna charta della scuola, là dove la felicità del realizzarsi sta nell’andare contro corrente. Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate ripropone a tutti i credenti la via maestra delle Beatitudini, perché si possa vivere in comunione gli uni con gli altri. Afferma che la parola felice o beato corrisponde alla parola santo, perché è la persona fedele a Dio e che vive la sua parola, donando sé stesso senza compromessi e senza ricompense, ma solo per amore. Nel paragrafo “Il coraggio dei nuovi percorsi spirituali e pastorali”, il prof. Asti nota come spesso abbiamo separato la santità dall’azione pastorale, come se i santi sono solo quelli di altare e non uomini e donne che hanno fatto storia e che hanno dato impulso nuovo alle realtà terrestri. Si possono trasformare le strutture pastorali in vista della santità del popolo di Dio? La lettera pastorale di Mons. De Luca vuole accogliere le indicazioni magisteriali, proponendo percorsi possibili di vita interiore e spirituale, rispondendo alle varie esigenze presenti nella sua Diocesi. De Luca si lega alla grande tradizione spirituale cristiana affermando che la dimensione sociale è per i credenti esperienza della grazia di Dio che opera nell’uomo e nella società. La sfida della spiritualità è il pensare e lavorare insieme. 6


Per fare comunione c’è bisogno di pensare il bene della Chiesa nella piena comunione con la santa Trinità. Parlando de “le difficoltà interne alla Chiesa”, il teologo evidenzia come dinanzi all’ascolto dello Spirito si frappone una mentalità non certo ecclesiale che blocca il fiorire della primavera nella Chiesa. Per il Papa Francesco e per il Vescovo De Luca il problema è riscontrabile in un rinnovato gnosticismo e neopelagianesimo. La conseguenza è «un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo». Infine, per continuare a prendere il largo è necessaria una conversione a vari livelli che il professore sviluppa. Il terzo intervento del Prof. Matarazzo, dal titolo “Non Solo Proclami”, riguarda la responsabilità dei laici nella missione della Chiesa e l’attenzione alla vocazione e al discernimento dei giovani. Nel paragrafo “Per una evangelizzazione ‘autentica’”, il docente nota come evangelizzazione, catechesi e liturgia, a partire dal magistero di Papa Francesco, sono interrelate per dar vita ad una vera pastorale missionaria in grado di prospettare le novità ispirate dallo Spirito Santo senza tradire il messaggio del Vangelo. Se si vuole realmente attivare un processo di rinnovamento nella tradizione, nell’ambito dell’azione pastorale, bisogna evitare il pericolo assai insidioso di considerare la Tradizione e le norme come fissità, quasi un baluardo fisico inespugnabile, e perciò garante della cattolicità: rinnovamento nella tradizione e possibilità di incentivare “nuove forme” di annuncio “in chiave missionaria”, necessarie per comunicare il Vangelo in un mondo in continuo cambiamento e in rapida trasformazione: superamento del criterio pastorale del “si è fatto sempre così”, è la disponibilità alla conversione pastorale. Fondamentali per il Vescovo sono il discorso educativo, l’ambito della famiglia e l’attenzione per i giovani. Nello scenario inedito odierno, aumentano casi di genitori lontani o indiffe7


renti alla fede ricevuta dalla famiglia di appartenenza che si rifiutano o astengono dal loro compito di primi educatori della fede. Il nodo della corresponsabilità chiama in campo un’azione pensata e meditata all’intero della comunità ecclesiale, solo ed esclusivamente se fondata sulla Parola del Risorto. Bisognerà “schiodarsi” dalle comode certezze di maniera per cominciare un lavoro qualificato in tutte le direzioni: a cominciare dalle parrocchie, dalle scuole, dall’Università per arrivare ai circoli ricreativi, agli oratori, agli ambienti di lavoro, ai contesti di sofferenza e di abbandono (come possono essere le carceri), ai consultori familiari. Monsignor De Luca propone il criterio della verità nell’analisi e nella progettazione pastorale soprattutto a servizio del laicato, delle famiglie e dei giovani, invitando ogni operatore pastorale ed ogni comunità a cambiare strada se fosse necessario. Conclude la pubblicazione una riflessione di sintesi di Massimo La Corte che, partendo dalla centralità della Parola di Dio, propone brevemente una rilettura della Lettera Pastorale alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II, del Magistero dei Papi e degli scritti di alcuni autori, mettendo in risalto come nel comando di Gesù di andare “verso il profondo” e nella risposta di Pietro, che prende il largo sulla “Parola” del Signore, il Vescovo indica un metodo efficace da applicare a qualsiasi dimensione e contesto, che potrà tradursi concretamente in “un rinnovato impegno di evangelizzazione”.

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Salvatore Esposito COME FARE I CRISTIANI OGGI? Il Vescovo nella Lettera pastorale: “Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla”1, inviata come dono nuziale alla sua Sposa, la Chiesa del Crocifisso-Risorto che vive, spera e ama a Teggiano-Policastro, mentre fa esodo doloroso nel mondo, si chiede e ci chiede: come fare oggi i cristiani? La domanda non è oziosa, è urgente specie nelle nostre Diocesi e nei paesi di antica tradizione cristiana. Oggi la nuova evangelizzazione non è orientata soltanto a quanti ignorano il nome di Gesù, ma anche a rievangelizzare, quanti hanno già conosciuto e ascoltato il Vangelo del Signore. La ricerca di una risposta concreta, seria, intelligente, operativa, convinta, percorribile, rappresenta il cuore, oggi, di ogni progettazione pastorale. La nostra passione e il nostro chiodo fisso è proprio questo: dobbiamo fare i cristiani perché i cristiani facciano la Chiesa, dobbiamo insegnare agli uomini e alle donne di questo nostro tempo a diventare costruttori di comunità ecclesiali. Si devono curare non solo quelli che chiamiamo i lontani, nello stesso tempo dobbiamo domandarci come evangelizzare i vicini. Intanto resta il dilemma di come evangelizzeremo i lontani se le nostre comunità non ancora hanno maturato una scelta di fede matura e convinta, e forse, sono ancora incapaci e impreparate a testimoniare con parresia che il Signore Gesù è morto ed è risorto propter homines et propter nostram salutem. Come possiamo allora, generare cristiani adulti nella fede, se le nostre comunità non ancora sono pronte a testimoniare l’annuncio del vangelo nonostante il nostro grande lavoro di catechesi e di iniziazione cristiana che in un certo modo facciamo? 1 A. DE LUCA, Lettera Pastorale: Abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri 2018 [d’ora in poi LP seguito dal n.].

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Come possiamo far sì che le nostre comunità siano capaci di fare i cristiani, perché i cristiani siano capaci di formare comunità adulte nella fede? Il Vescovo lo chiede a sé e a noi. Conosciamo anche alcune cause di questo fenomeno: la secolarizzazione e il secolarismo, il costituirsi di una società multirazziale e multireligiosa, la crescita delle sette, la presenza dei nuovi movimenti religiosi e dell’islamismo in occidente, la crescita di una cultura sincretista2. La risposta che il Vescovo ci offre è che solo rifacendo il tessuto delle nostre comunità cristiane si può partire per la missione ad gentes e si è in grado di rispondere alle sfide che ci stanno dinanzi, le sfide del terzo millennio che ogni giorno ci interpellano e che sentiamo forte sulla nostra pelle3. La Lettera Pastorale invita tutte le comunità parrocchiali e tutti i membri della comunità diocesana a riscoprire con rinnovato entusiasmo lo spirito missionario, mettendo in moto tutte le risorse e accettando il confronto con le nuove realtà. Si tratta indubbiamente di un grande movimento ad gentes, e di profusione straordinarie di energie per la nuova evangelizzazione. Il vescovo nella Lettera ci invita ad un serio esame di coscienza: “Dobbiamo avere il coraggio di confessare di aver faticato tutta la notte senza prendere nulla. Ma come si fa a ripartire, a riguadagnare l’acqua profonda? Non c’è il rischio di un nuovo fallimento? Cosa ci assicura che la ripartenza sarà fruttuosa? Confessare il fallimento è condizione indispensabile per una ripartenza feconda”4. Confessare il fallimento, fuggendo la tentazione dell’autogiustificazione e del cinico fatalismo è segno di maturità umana, spirituale e pastorale. Il riconoscimento delle 2

Cfr. C. ROCCHETTA, “Fare” i cristiani oggi, EDB, Bologna 1996, pp. 15-34. 3 Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, nn.1-3. 4 LP, n. 4. 10


proprie povertà, segna sempre un nuovo inizio: stavolta dobbiamo gettare le reti non confidando sulle nostre forze, sulla nostra perizia di pescatori, sulle nostre capacità, ma unicamente sulla Parola di Gesù, con Lui desideriamo gettare le reti prendendolo come Maestro e Amico sulla nostra barca. Allora la pesca non solo sarà abbondante, ma anche di qualità, e i nostri occhi si riempiranno di stupore. “Lo stupore è la chiave di comprensione di tutto il dinamismo missionario con il quale la Chiesa apostolica diffuse il Vangelo, incontrando culture diverse, affrontando persecuzioni e martirio”5. Lo stesso stupore ci deve conquistare come pastori e fedeli ogni volta che spendiamo la nostra vita a servizio della nuova evangelizzazione con nel cuore il desiderio di fare i cristiani. La nuova evangelizzazione rappresenta, un’impresa complessa, che chiama a raccolta gli uomini e le donne di buona volontà che desiderano spendere la loro vita a favore del Vangelo nel servizio umile e nascosto per dilatare il Regno di Dio nel mondo. Un’impresa come questa suppone il superamento dell’individualismo e le improvvisazioni più o meno estemporanee e rimanda a un progetto organico di pastorale. La nuova evangelizzazione, inoltre, suppone uno sforzo di ripensamento degli strumenti e delle strategie pastorali, con la capacità di adattarsi ai mutamenti e, se necessario, inventare e creare forme più adeguate di annuncio6. Opportunamente il Vescovo scrive che: “Per tentare nuove vie di evangelizzazione bisogna lasciare parlare lo Spirito ed ascoltarlo. Soprattutto abbiamo una speranza affidabile, la Parola di Dio, che è il fondamento di ogni ricerca, generatrice di discernimento e di coraggio. Per operare la scelta dei nuovi tentativi pastorali è necessario familiarizzare con la Parola, pregarla, co5 6

LP, n. 29. Cfr. CEI, Annuncio e catechesi per la vita cristiana, n. 3. 11


noscerla, annunciarla e contagiare la gioia che essa promana, accanto a una visione sapienziale della vita di cui il contesto sociale ha necessariamente bisogno”7. La nuova evangelizzazione richiede, una profonda e attenta verifica dei modi di proclamazione del vangelo, una rinnovata familiarità con la Parola di Dio. Dalla scarsa conoscenza della Parola, scaturisce una profonda crisi, non solo di messaggio, ma anche delle forme di trasmissione del messaggio. Penso alle nostre omelie domenicali e feriali, veramente sono tali? La celebrazione dell’omelia è ancora celebrazione della Parola di Dio proclamata, pertanto non si dovrebbe ridurre a predica, panegirico, oppure a qualche variazione sul tema con tempi di durata biblica? L’omelia breve è il primo indice rivelatore che essa è stata preparata e non improvvisata. Forse è necessario rileggere il Capitolo Terzo della Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, e il Direttorio Omiletico (2015). Opportunamente il vescovo individua nella Iniziazione cristiana il primo ambito per verificare il nostro impegno nella evangelizzazione. È questo un ambito molto delicato, difatti, per operare la scelta della iniziazione cristiana necessita grande coraggio e determinazione, anche a costo di mettere in crisi abitudini consolidate e prassi tradizionali. Siamo incoraggiati dalla parola del Vescovo: “Conosciamo – dice – l’importanza di avviare nuovi percorsi e nuove forme di annuncio. Non ci sfuggono come nel nostro contesto i sacramenti della Iniziazione cristiana vengono chiesti per consuetudine o per occasionali situazioni (richiesta di padrino/madrina). In molti casi la conseguenza è l’abbandono e la distanza della comunità. Nuovi progetti di Iniziazione cristiana, non potranno essere attenti solo al metodo o alla tecnica risolutiva dei problemi pastorali ed educativi, ma appello a rivedere, a ripensarsi e rifon7

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LP, n. 19.


darsi come comunità di fede che continua a celebrare e annunziare il dono della salvezza alle nuove generazioni con una modalità svincolata dal modello formativo di tipo nozionistico”8. Tale scelta è in linea con gli Orientamenti della Chiesa italiana che in Educare alla vita buona del Vangelo, dice che: “Esperienza fondamentale dell’educazione alla vita della fede è l’iniziazione cristiana, che «non è quindi una delle tante attività della comunità cristiana, ma l’attività che qualifica l’esprimersi proprio della Chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e realizzare sé stessa come madre»”9. Questo richiede da parte nostra, un primo atto di coraggio, superare la mentalità attuale di preparare ai sacramenti, un tale criterio risulta riduttivo ed equivoco: difatti, noi non dovremmo preparare ai sacramenti, in sé e per sé, ma introdurre alla bellezza della vita cristiana che scaturisce dai sacramenti. In quest’ottica si comprende subito che il cammino formativo non si conclude con la celebrazione dei sacramenti, essi sono i momenti forti di un modo nuovo di essere inseriti nella vita di Cristo e della Chiesa, orientano all’incontro con il Signore e con i fratelli della comunità ecclesiale. Diversamente si corre il rischio di fare dei sacramenti dei riti magici, celebrati per consuetudine e per allontanare i mali, una specie di passaporto perché la vita possa scorrere serena. La Costituzione Liturgica Sacrosanctum Concilium ci ricorda che: “I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede”10. 8

LP, n. 29. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 40. 10 CONCILIO VATICANO II, Cost. Liturg. Sacrosanctum Concilium, n. 59. 9

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L’iniziazione è l’itinerario che introduce nella vita cristiana, supera i rigidi “parametri scolastici” per favorire nelle nostre comunità la presenza di cristiani convinti che hanno scelto Cristo e la Chiesa. Essa non è un tempo chiuso, predeterminato, è invece un tempo aperto per vivere insieme alcune esperienze forti di ascolto, di celebrazione e di testimonianza11. Si comprende allora, che l’iniziazione cristiana non è da confondere con la “scuola di catechismo” buona ma nozionistica, piuttosto è il cammino nella Chiesa, scandito dalle stagioni liturgiche e dalle tappe di maturazione di ogni persona, a prescindere dall’età. Forse, è questa mancata esperienza la spiegazione dell’assenza nelle nostre parrocchie dei fanciulli e dei giovani dopo la prima partecipazione alla mensa eucaristica e dopo la cresima, noi li rivedremo al matrimonio, al battesimo dei figli e con l’aiuto di Dio alle esequie. Ci accorgiamo allora che l’attuale prassi, ben descritta dal vescovo12, non realizza alcun senso di appartenenza alla comunità ecclesiale. Il paradosso però, sta nel fatto che noi abbiamo un cammino di “iniziazione” della Chiesa che non “inizia” alla Chiesa! Forse questo vuoto è dovuto anche alla mancanza di una comunità che faccia da testimone e da guida per i fanciulli e i giovani nel cammino dell’iniziazione cristiana. Come fare per uscire da questa situazione frustrante? Lavoriamo tanto, ma non facciamo i cristiani! Una ricetta magica non esiste. Una proposta si può suggerire. Il problema di fondo riguarda la necessità di rivedere l’attuale sequenza celebrativa dei sacramenti dell’iniziazione, con una rinnovata sequenza che – tenendo presente la prassi attuale del battesimo dei bambini – potrebbe seguire la seguente scansione: - riconciliazione sacramentale come “secondo battesimo”. Rinnovo delle promesse battesimali; 11 12

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Cfr. C. ROCCHETTA, pp. 35-55. LP, nn. 29-33.


- cresima come compimento del battesimo e rito di passaggio verso l’eucaristia, impegno nel servizio ecclesiale e nella testimonianza del vangelo e della carità. Un itinerario che apre il candidato alla pienezza della vita cristiana della durata di duetre anni (10/11anni); - prima partecipazione alla mensa eucaristica come culmine e fonte di tutta l’iniziazione cristiana e dell’intera vita cristiana. Tempo successivo alla cresima è per orientare a formare al senso dell’eucaristia, facendo partecipare alla celebrazione ma senza comunicarsi. Fase di un anno (12/13 anni o 14/15 anni)13. I tre momenti, ovviamente, vanno considerati all’interno di un itinerario catecumenale più ampio, che non prevede tappe prefissate ma che conduce alla maturazione dei candidati, un itinerario che vada oltre la sola celebrazione: più che un punto di arrivo, i sacramenti dell’iniziazione cristiana sono un punto di partenza. Segue, poi, la mistagogia, la comprensione di ciò che i sacramenti hanno operato nella vita tesa ormai coerentemente alla testimonianza del vangelo di Gesù Cristo14. La positività della scelta emerge da vari elementi, tra cui in particolare il superamento della logica “scolastica” dei sacramenti, l’affermazione in atto dell’unità teologica dei sacramenti della iniziazione, con l’eucaristia al vertice, e la possibilità di percorrere un itinerario organico che sviluppi il senso della comunità e che avvia ad una maturazione della fede15. Altra proposta è offerta dal Vescovo nella Lettera16 là dove presenta il Progetto Emmaus, (le schede sono edite dalla LDC). Il progetto è un percorso che risponde ai criteri e al modello del 13

Cfr. CEC, Iniziare alla vita cristiana nelle nostre comunità, n.1.4. G. DI NAPOLI, Tempo di mistagogia, tempo di approfondimento dei misteri celebrati, in Aparchè nn.8-9/2002, pp.60-66. 15 S. ESPOSITO, L’Iniziazione cristiana, ieri e oggi, in Aparchè nn. 89/2002, pp.13-36. 16 LP, n. 30. 14

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catecumenato e applicabile al catechismo parrocchiale, senza più scadenze precostituite e soprattutto coinvolgendo le famiglie nello stesso cammino, celebrando possibilmente i sacramenti unitamente e fondando gli incontri sulla Parola di Dio, senza tralasciare i catechismi della CEI. Pertanto in questo itinerario il termine ultimo non è la Prima Comunione né la Cresima, ma l’introduzione alla vita cristiana e l’inserimento nella comunità parrocchiale. Si possono prevedere obiezioni a queste proposte, ed è giusto: qualcuno giustamente dirà sono modelli studiati a tavolino, non possono funzionare! Altri, faranno notare che non è prudente cambiare abitudini inveterate nelle quali ci si è trovati sempre bene, e ormai sono sperimentati! Altri ancora si faranno eco delle obiezioni delle mamme dal momento che i loro figli non potrebbero più fare la comunione a 8/9 anni! Infine, si resta nella convinzione che niente cambierebbe con queste proposte, pertanto è meglio continuare come sempre si è fatto! È evidente che se ci mettiamo in atteggiamenti di difesa o di rifiuto, nulla potrà mai cambiare o nulla si potrà fare per migliorare. La Lettera del Vescovo così coraggiosa, aperta e franca, attenta alle tradizioni di questa terra, ma fortemente proiettata verso il futuro che viene a grandi passi, mi pare che sposi il cambiamento e incoraggi ad intraprendere e percorrere nuove piste. La Lettera ci dice: “Accanto al modello tradizionale è utile cominciare a sperimentare un modello esplicitamente catecumenale ormai diffuso in modo significativo, nel quale emergono i criteri della gradualità, del non nozionismo, della dimensione esperienziale e del coinvolgimento della famiglia nell’Iniziazione cristiana dei ragazzi e la centralità della comunità ecclesiale”17.

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LP, n. 30.


Il Vescovo ci indica anche dei sussidi indispensabili per rinnovarci, le tre note pastorali per l’Iniziazione cristiana della CEI: - 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, 30 marzo 1997; - 2. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, 23 maggio 1999; - 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento della iniziazione cristiana in età adulta, 8 giugno 2003. Desidero adesso, brevemente, mettere a fuoco il significato e il contenuto della iniziazione e del catecumenato. Il termine iniziazione non ci è più abituale. Esso ci rimanda inevitabilmente alle religioni misteriche dell’epoca ellenistica. Questo non significa che la chiesa di Roma abbia copiato dai riti pagani per introdurre nella prassi della formazione dei nuovi cristiani l’iniziazione. Certi riti e certi simbolismi sono propri di ogni cultura, si pensi al bagno con l’acqua per esprimere la purificazione del corpo e del cuore18. In realtà l’iniziazione cristiana fa riferimento alle tappe indispensabili per essere accolti nella comunità ecclesiale e nella partecipazione al culto “in spirito e verità”. Iniziazione significa anche inizio, ingresso in una vita nuova, la vita nuova che scaturisce dall’incontro con la Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti della iniziazione cristiana. È un ingresso a tappe, progressivo, proprio come la vita, tappe rappresentate appunto dai sacramenti della iniziazione cristiana, battesimo, cresima ed eucaristia. Ognuno di questi tre sacramenti non è mai chiuso in sé stesso, ma come un ventaglio l’uno si apre all’altro sino ad una più profonda partecipazione al mistero di Cristo che è l’eucaristia, vertice della iniziazione. Pertanto, non è possibile presentare nella 18 Cfr. AA.VV., Celebrare il mistero di Cristo. Vol. II. La celebrazione dei Sacramenti, CLV, Roma 1996, pp. 55-124.

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catechesi i tre sacramenti come scompartimenti stagno. Difatti, se il battesimo e la cresima si ricevono una volta sola, l’eucaristia invece che è stata donata per essere perennemente celebrata, rinnova ogni volta nei partecipanti quanto è stato donato con il battesimo e la cresima19. L’antica tradizione della Chiesa ha visto nella iniziazione ai tre sacramenti, l’iniziazione a tutti e tre insieme, difatti essi venivano donati insieme in un’unica celebrazione specie nella veglia pasquale, anche ai bambini. Ce ne parla ampiamente Tertulliano nel De resurrectione. Il Concilio Vaticano II, volendo attuare la sua riforma liturgica anche nel campo della iniziazione cristiana, si è trovata ad affrontare una profonda revisione che se da una parte poteva essere facilitata dalla pubblicazione di moltissime fonti liturgiche, dall’altra ha trovato non pochi ostacoli per certe prese di posizioni pastorali. È per rispondere a queste esigenze che la riforma liturgica postconciliare ha approntato il Rito della Iniziazione cristiana degli Adulti (RICA) e il nuovo rito del Battesimo dei bambini (RBB). La struttura del RICA presenta tre gradi. Il primo grado consiste nell’ammissione del candidato al catecumenato. Questo primo grado suppone un pre-catecumenato. Importante il rito dell’ammissione dei candidati al catecumenato. Il secondo grado abbraccia la preparazione immediata dei candidati alla celebrazione dei sacramenti della iniziazione cristiana, preparazione che si svolge nel tempo di Quaresima. Il terzo grado comporta la celebrazione dei tre sacramenti nella medesima celebrazione. Il Tempo pasquale, dopo la celebrazione dei sacramenti, è 19 A. DENTE, L’Iniziazione cristiana tra catechesi, liturgia e carità, in Aparchè nn. 8-9/2002, pp. 48-54.

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tempo di mistagogia20. Parte fondamentale della Iniziazione cristiana è il catecumenato, esso è parte integrante del processo iniziatico, fino al punto che l’iniziazione cristiana non si può considerare completa se ne è priva. In questa prospettiva si comprende, che più che essere iniziato ai sacramenti, il credente è iniziato mediante i sacramenti. In quest’ottica è Dio stesso che inizia il cristiano, che cioè lo introduce nel “mistero di Cristo” (Ef 3,4; Col 4,3). Pertanto dire che si è iniziati dai sacramenti è sottolineare che l’iniziativa dell’iniziazione, cioè la chiamata ad essere cristiani è azione di Dio. Per catecumenato, invece, si intende una istituzione di tipo iniziatico a carattere catechetico, liturgico e ascetico-penitenziale, prolungata nel tempo e riservata agli adulti che hanno accolto la parola del Vangelo, allo scopo di condurli gradualmente alla piena conversione e alla piena partecipazione del mistero pasquale di Cristo e della vita della Chiesa mediante i sacramenti. Pertanto il termine Iniziazione comprende anche tutti i riti del cammino catecumenale21. Pertanto quando si sceglie di dare un volto iniziatico alla comunità ecclesiale, come il vescovo desidera22, operando in tal senso un’autentica rivoluzione pastorale, che richiede a sua volta una conversione pastorale, non si può ignorare che il volto della comunità stessa è quello catecumenale. Dalle nostre parti la realtà catecumenale è ancora una realtà piccola, sono pochi gli 20

G. RUGGIERO, Il RICA: cammino privilegiato di evangelizzazione, in Aparchè nn. 8-9/2002, pp.37-47. 21 Cfr. C. SARNATARO, Il progetto di Iniziazione cristiana per l’Italia negli anni duemila, in Ufficio Catechistico Diocesano, Il catecumenato, una prospettiva pastorale per i fanciulli e i ragazzi, Napoli 2001, pp.15-35. 22 LP, n. 29. 19


adulti che chiedono di iniziare un cammino di fede per celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana. Ora parlare di catecumenato non lo si fa per piacere della novità, esso invece è un autentico kairòs, un segno dei tempi. I Vescovi italiani hanno richiamato l’attenzione su questo, quando già nel 1978, pubblicando il RICA hanno detto che: “l’itinerario, graduale e progressivo, di evangelizzazione, iniziazione, catechesi e mistagogia è presentato dal RICA con valore di forma tipica per la formazione cristiana” e si auspicava che esso divenisse “una feconda sorgente ispiratrice di iniziative di evangelizzazione, di catechesi e di esperienze comunitarie” (Premesse). A me sembra che dare un volto catecumenale alla Chiesa locale è un segno coraggioso, rivela la coscienza che la comunità ha compreso di essere anzitutto una comunità di evangelizzazione e di iniziazione e che tale scelta non è solo un programma, ma diventa uno stile di vita ecclesiale che si manifesta nell’attuare la propria originaria vocazione-missione di sacramentum Christi23. Allora “La scelta del catecumenato costituisce una singolare opportunità per il rinnovamento delle comunità cristiane. La messa in opera di una pastorale catecumenale permette alla Chiesa locale di aprirsi a un nuovo impegno missionario. Nello stesso tempo i nuovi credenti sono il segno della freschezza sempre nuova del Vangelo, sia per la Chiesa che per il mondo”24. Ciò che a noi interessa, però, non è tanto, anche se importante, la riscoperta unitaria della iniziazione cristiana, quanto il progetto di Chiesa che tale scelta vuole realizzare e proporre con forza a tutti gli operatori pastorali. Tale riscoperta rivela il desiderio di costituirsi come una comunità che cresce nella fede, adulti nella fede, capace di iniziare alla fede e condurre alla piena 23 24

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Cfr. CEI, Nota: L’Iniziazione cristiana, 3, nn. 1-4. Cfr. CEI, Nota: L’Iniziazione cristiana, 1, n. 40.


comunione con Cristo e con la Chiesa quanti iniziano un cammino di conversione e di vita nuova25. “Il catecumenato allora non è da considerare qualcosa di aggiuntivo ma momento fondamentale dell’attività delle nostre comunità ecclesiali, anche se al presente sono pochi gli adulti che domandano esplicitamente il battesimo”26. In tal modo gli adulti diventano protagonisti come chiede la Lettera pastorale a pag. 21. Il moderatore di tale scelta è il vescovo, pastore della “Chiesa particolare affidata alla sua cura, egli ha responsabilità diretta di tutto il cammino di iniziazione cristiana. A lui spetta stabilire i tempi del catecumenato e regolarne la disciplina, approvare il programma catechistico e formativo, dare la missione ai catechisti, presiedere al rito dell’ammissione dei candidati al catecumenato”27. Infatti si entra nella Chiesa per il ministero del vescovo. Essenziale per l’azione evangelizzatrice e di iniziazione è il primo annuncio, da questa urgenza bisogna ripartire. “La consapevolezza di tale urgenza porta ad affermare che anche nelle nostre comunità cristiane non possiamo più accontentarci di sola catechesi, dando per scontata l’adesione ad una fede piena e consapevole. Occorre ripartire dal primo annuncio, se non dallo stesso contenuto basilare del Kerigma. Si tratta di valorizzare quei momenti in cui le nostre comunità incontrano concretamente quei battezzati che non partecipano all’Eucaristia domenicale e alla vita parrocchiale: quando i genitori chiedono che i loro bambini siano ammessi ai sacramenti dell’iniziazione cristiana; quando una coppia di adulti domanda la celebrazione del matrimonio; in occasione della celebrazione delle esequie; nelle feste patronali specie nelle novene così radi25

LP, nn. 31-33. Cfr. CEI, Nota: L’Iniziazione cristiana, 1, n. 41. 27 Cfr. CEI, Nota: L’Iniziazione cristiana, 1, n. 44. 26

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cate in questa Diocesi, nelle processioni quando i non praticanti si affacciano alla porta della nostre chiese per motivi devozionali e tradizionali. Questi momenti che talvolta noi presbiteri sciupiamo con atteggiamenti di fretta o di freddezza o di indifferenza, devono diventare momenti preziosi di ascolto e di accoglienza. Tutti noi sappiamo per esperienza personale che solo a partire da una buona qualità dei rapporti umani sarà possibile far risuonare nel cuore di tanti la parola del Vangelo. Essi di certo l’hanno già ascoltata, adesso sonnecchia nel loro cuore, sarà la nostra carità pastorale a ravvivare il dono della Parola che hanno ricevuto nel giorno del loro battesimo. Il primo annuncio è anche per i fanciulli considerando le difficoltà che incontrano le famiglie nell’educazione cristiana dei loro figli”28. In quest’ottica la pastorale catecumenale dà un grande impulso alla nuova evangelizzazione, le comunità cristiane, infatti, anche quelle più vivaci, rimangono spesso concentrate su sé stesse, impegnate dalla gestione delle cose interne, e non riescono ad immaginare che altri bussano alla loro porta perché desiderano entrare nella comunità. In ogni caso oggi più che mai cresce l’impegno degli operatori pastorali per suscitare, accogliere e accompagnare i nuovi credenti. Allora è importante che le comunità non considerino il catecumenato come qualcosa di aggiuntivo, ma come qualcosa di fondamentale della loro attività apostolica. Modello unico per ogni processo di iniziazione è il catecumenato degli adulti. È certo che la pastorale catecumenale dà vigore all’azione evangelizzatrice e nello stesso tempo risponde ad una esigenza sempre più evidente di vita cristiana segnata dall’impegno nel sociale e dal servizio alla carità. Fondamentali per la vita cristia28

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Cfr. CEC, Lettera dei Vescovi campani sull’Iniziazione cristiana, n.13.


na sono gli obiettivi che si prefigge la pastorale catecumenale: - Maturazione della conversione e della fede. Che avvenga prima o dopo il battesimo, il catecumeno tende ad approfondire e a far maturare la conversione e la fede attraverso un itinerario che lo introduce nell’amicizia con il Signore; - Esperienza dello Spirito e immersione nel mistero. Il secondo obiettivo è far progredire nella partecipazione al mistero di Cristo, riscoprendone l’identità nella propria esperienza, nel dono dello Spirito. Il cammino deve formare l’homo liturgicus, il cristiano che fa del mistero pasquale la misura alta della sua vita; - Accettazione responsabile della missione. L’impegno per essere testimoni di Cristo e diffondere e difendere la fede con parole e opere per l’edificazione della Chiesa nel mondo; - Legame più stretto alla Chiesa ed esperienza della comunità. Vivere il catecumenato significa andare incontro alla Chiesa madre con la mediazione e la preghiera della comunità. Resta un problema aperto la formazione dei catechisti e degli animatori. Preparare cioè laici adulti, catechisti ed animatori in grado di guidare e condurre con competenza gli itinerari di fede, non solo per la formazione dottrinale (indispensabile), ma perché essi li hanno vissuti e sperimentati in prima persona. Il catechista dell’iniziazione è anzitutto un testimone di Cristo, mediatore della Parola di Dio, compagno di viaggio, educatore della vita di fede, uomo o donna pienamente inserito nella comunità cristiana e nel contesto culturale e vitale d’oggi. Lavora in sinergia con li altri catechisti, è persona trasformata dalla fede, ha con gli iniziati un rapporto di maternità/paternità dentro un’esperienza comune di fraternità. In sintesi è un testimone, un amico, un maestro, un educatore, un costruttore di comunione29. 29 Cfr. UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, La formazione dei catechisti per l’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, LDC, Torino 2006.

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Per favorire tale formazione è necessario programmare un lavoro sinergico, interparrocchiale, un centro di formazione che fornisca alle comunità parrocchiali i responsabili della iniziazione cristiana. Necessità, se il vescovo lo ritiene necessario, il servizio diocesano al catecumenato. Un organismo formato da sacerdoti, diaconi, religiosi e laici, con la finalità di promuover e coordinare in tutta la diocesi gli itinerari di iniziazione cristiana attivati dalle singole comunità alla luce delle loro esigenze e in comunione con quanto dettato dal vescovo. Questo servizio opera in sinergia con l’ufficio catechistico, l’ufficio liturgico e l’ufficio della pastorale della famiglia30. Dove si presenta la necessità il Servizio si collega anche con gli altri uffici della Curia: missionario, migranti, ecumenismo… In questo Servizio sono inoltre da valorizzare anche i sacerdoti di altre etnie presenti ormai nelle nostre diocesi. Per realizzare gradualmente queste scelte occorre mettere in atto un autentico spirito di profezia, con uno sguardo lungimirante capace di andare al di là delle urgenze immediate, proiettato verso il futuro dell’evangelizzazione e l’evangelizzazione del futuro. Luogo proprio per la realizzazione di questa pastorale è la parrocchia. Proprio nella parrocchia si farà l’esperienza della coesistenza del vecchio e del nuovo, ma la scelta poi sarà ineludibile31. Io penso che il futuro della pastorale si muoverà sempre più in una prospettiva di carattere catecumenale. Infine, quali possibilità di utilizzazione ci offre il RICA? 1. Basta un semplice sguardo per rendercene conto. Si può pensare, ad esempio, estendendone le applicazioni, all’itinerario proposto dal Cap. IV del Rito per gli adulti, battezzati da bambi30

P. TAGLIAFIERRO, Il servizio diocesano per il catecumenato, in Aparchè 8-9/2002, pp. 30-36. 31 LP, n. 32. 24


ni, che non hanno ricevuto alcuna catechesi e non ancora hanno ricevuto la cresima e forse l’eucaristia. Il RICA può essere valorizzato nella prospettiva di una pedagogia di recupero e di rifondazione della vita cristiana destinata ad adulti già battezzati, ma indifferenti o immaturi nell’accoglienza della loro fede. 2. Con il RICA possiamo adattare il Cap. V del Rito riguardante i fanciulli/ragazzi non ancora battezzati, estendendo la formazione anche a quelli già battezzati e in attesa della cresima e dell’eucaristia”32. 3. Si possono programmare itinerari di fede per i genitori che chiedono i sacramenti per i loro figli33. 4. Si può anche pensare a un adattamento del RICA nella prospettiva di itinerari penitenziali. 5. Ci si può orientare a strutturare itinerari di fede per la preparazione dei fidanzati al matrimonio sul modello del RICA34. 6. Si può utilizzare il RICA come modello tipico per l’organizzazione di itinerari di formazione alla ministerialità laicale. Concludo. L’intuizione del vescovo di rinnovare il volto della Chiesa di Teggiano-Policastro rinnovando l’iniziazione cristiana con lo stile della pastorale catecumenale, ci presenta una Chiesa che ha piena coscienza del suo essere comunità evangelizzata ed evangelizzante e la vuole realizzare, prima che come compito, come modo di essere, di manifestare e di attuare la propria vocazione di comunità che inizia alla vita del CrocifissoRisorto e accompagna i credenti in tutto il loro cammino di fede. Questa è una risposta forte alle esigenze della nuova evangeliz32

Cfr. C. ROCCHETTA, op. cit., pp.145-181. Sussidio: Iniziazione cristiana dei ragazzi: celebrazioni, in Rivista di Pastorale Liturgica, n. 231, marzo-aprile 2002. 34 Cfr. CEI, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, vedi indice voce: Preparazione. 33

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zazione. Tale scelta obbedisce alla consapevolezza che il processo di riscoperta della fede del singolo è inseparabilmente legato al processo di riscoperta della fede della comunità ecclesiale e viceversa. È a questo duplice livello che si suggerisce la riconquista di una prassi catecumenale che ponga le nostre parrocchie in uno stato di iniziazione permanente nell’attuazione di differenziati itinerari di fede e di formazione alla vita cristiana35. Dunque il futuro dell’evangelizzazione è catecumenale. Su questo non ci dovrebbero essere dubbi. Il RICA è il mezzo, la proposta, la via di attuazione di un tale tipo di evangelizzazione, di una Chiesa che si fa catecumena e che proprio in questo suo essere catecumena diventa capace di fare i cristiani, come cristiani adulti nella fede, cristiani capaci a loro volta di rigenerare e costruire le comunità come comunità adulte nella fede. Al vescovo gli auguri di ri-prendere il largo con i suoi presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, con quanti esercitano una ministerialità in questa santa Chiesa e con tutto il popolo, convinti che gettare le reti “sulla sua parola”, la Parola del Signore, porterà una pesca fruttuosa. Amen.

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Cfr. UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, Il catechismo per l’Iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi, 1991; Catechismi: Io sono con voi, 6-8 anni; Venite con me, 9-10 anni; Sarete miei testimoni, 11-12 anni; Vi ho chiamati amici, 12-14 anni. 26


Francesco Asti SOTTO IL GOVERNO DELLO SPIRITO SANTO Introdurrei la mia riflessione sulla lettera pastorale di Mons. De Luca con due suggestioni teologico-spirituali che illuminano il nostro modo di pensare l’evangelizzazione e la Chiesa. La prima è del Patriarca ortodosso Hignatios IV Hazim che nel 1968 pronunciò a Upsale un famosissimo discorso sull’importanza dell’azione ecumenica: «Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una semplice organizzazione, l’autorità è una dominazione, la missione una propaganda, il culto una evocazione, e l’agire dell’essere umano una morale da schiavi. Ma nello Spirito Santo: il cosmo è sollevato e geme nella gestazione del Regno, Cristo risorto è presente, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è un servizio liberatore, la missione è una Pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è divinizzato». Senza la presenza operante dello Spirito si cade nel rischio di pensare la Chiesa come una struttura manageriale che organizza e detta legge senza considerare la realtà dell’uomo e i cambiamenti che avvengono nel mondo. Il governo dello Spirito Santo rende nuove ogni cosa, la stessa faccia della terra, perché ha il compito di condurre l’uomo alla verità tutta intera, verso la piena conoscenza di Dio stesso; ha la missione di suscitare nel cuore del credente il desiderio della Patria Lontana. L’altra suggestione proviene dall’omelia che Papa Francesco tenne il 12 maggio 2014. Il Papa osserva come lo Spirito è quello che fa andare avanti la Chiesa: «Lo Spirito Santo è la presenza viva di Dio nella Chiesa. È quello che fa andare la Chiesa, quello che fa camminare la Chiesa. Sempre più, oltre i limiti, più avanti. Lo Spirito Santo con i suoi doni guida la Chiesa. Non si può 27


capire la Chiesa di Gesù senza questo Paraclito, che il Signore ci invia per questo. E fa queste scelte impensabili, ma impensabili! Per usare una parola di san Giovanni XXIII: è proprio lo Spirito Santo che aggiorna la Chiesa: veramente, proprio la aggiorna e la fa andare avanti. E noi cristiani - ha concluso - dobbiamo chiedere al Signore la grazia della docilità allo Spirito Santo. La docilità a questo Spirito, che ci parla nel cuore, ci parla nelle circostanze della vita, ci parla nella vita ecclesiale, nelle comunità cristiane, ci parla sempre»1. Il credente, come tutta quanta la Chiesa, non può pensare di procedere verso il Regno senza la presenza operante dello Spirito che dona pensieri nuovi per rendere la Chiesa sempre più aderente al vangelo di Gesù Cristo. L’elemento comune per cui la Chiesa è realtà viva, resta la docilità alla voce dello Spirito che ha bisogno di abitare i cuori e le menti dei credenti perché si possa comprendere dove Dio sta conducendo la sua Chiesa. Non vi può essere nessuna realtà della Chiesa e del singolo credente non governata dall’azione dello Spirito che è stato mandato dal Padre per mezzo del sacrificio vespertino di Cristo, perché l’uomo assuma sempre più l’immagine viva di Cristo nella sua vita. Essere sempre più appartenenti a Gesù Cristo; diventare una cosa sola con Lui. San Giovanni Paolo II invita tutti a riprendere il largo, avendo come stella che guida il cammino la santità, perché è esperienza di vita e di comunione nella Chiesa che fa guardare lontano verso la mèta finale. Nella lettera apostolica a conclusione del Grande Giubileo Novo Millenio Ineunte indica che tutti sono chiamati alla santità, quella che rende possibile delle vite straordinarie nell’ordinarietà della propria esistenza. Il cammino di santità è rispettare i cammini personali che si articolano in maniera imprevedibile, perché sono retti da Dio: «i percorsi della santità 1

FRANCESCO, meditazione mattutina nella cappella Domus Sanctae Marthae, 12 maggio 2014, da L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.107, Mart. 13/05/2014. 28


sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone»2. Riprendendo il Concilio Vaticano II sul tema della santità, ripropone a tutta la Chiesa, l’unico maestro e modello di ogni perfezione Gesù Cristo: «Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12)»3. Lo Spirito Santo ci insegna tutto ciò che Gesù ha insegnato; non solo aiuterà il credente a ricordare le parole di Gesù, ma li promuoverà ad essere veri discepoli di Gesù. La carità è il vincolo che condurrà il singolo come tutta quanta la Chiesa a realizzare progetti di vita, ad entrare nella vita degli altri per sanare e consolare con il dono dello Spirito. La carità è il vincolo che realizza la comunione in terra e in cielo. È l’amore che fa il santo unito alla Trinità e lo rende aperto e disponibile agli altri. Infatti «tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso, anche, nella società terrena, un tenore di vita più umano» (LG 40). Dipende dalla crescita nella carità che l’essere umano giunga alla perfezione in Cristo Gesù; è nell’orizzonte della carità che la società diventa a misura d’uomo, in quanto l’amore consolida i rapporti e favorisce i valori più alti per la comune convivenza. Senza la carità, vincolo di perfezione, l’uomo e la società si abbrutiscono fino a perdere di vista la propria natura. 2

GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, n. 31, in Acta Apostolicae Sedis 93 (2001) 287-288. 3 CONCILIO VATICANO II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 40. 29


La rivoluzione del samaritano In un libro di Mons. Guglielmo Giaquinta, fondatore del Movimento Pro sanctitate, edito nel 1977, l’idea di fondo, dopo il Concilio Vaticano II, era quella di riportare al centro della vita cristiana la santità a partire dal racconto del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37). Il titolo del libro era dirompente, perché riguardava la rivolta dei Samaritani. Il sottotitolo era «oltre la giustizia, alla ricerca della fraternità nuova dimensione sociale»4. La santità si sperimenta come fraternità senza la quale non vi può essere santo cristiano e santità di vita. Per il Presule il santo era una parola ed una risposta dello Spirito Santo dato alla Chiesa e alla società umana. La rivoluzione è proprio quella di considerare la fraternità e la santità come nuova dimensione della vita sociale. L’esperienza di santità è esperienza di comunione con ogni uomo e ogni donna che soffrono, combattono, amano e vivono in questo nostro mondo. Il santo non è l’estraneo, ma è l’altro che mi viene incontro per essere solidali nell’umanità. Il Concilio Vaticano II parla di santità che crea un tenore di vita migliore che interessa tutti. Il santo è un dono che Dio fa, perché possa essere il segno potente della sua presenza che guida verso la realizzazione completa dell’umanità. San Paolo scriveva agli Efesini che bisognava collaborare ognuno con i propri carismi per giungere alla piena maturità di Cristo: «È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 4-13). La piena umanizzazione dell’uomo è piena conformità agli insegnamenti di Gesù Cristo. La sua parola rende uomo più uomo; esalta la sua uma4 G. GIAQUINTA, La rivolta dei Samaritani. Oltre la giustizia, alla ricerca della fraternità nuova dimensione sociale. La Guglia Editrice, Roma 1977.

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nità; la divinizza; la santifica. La vera rivoluzione consiste nel salvaguardare l’umano dalla sua autodistruzione. Gesù salva l’uomo dalla sua distruzione; lo eleva; gli rende la dignità che gli viene tolta da altri uomini per il potere, il piacere o per denaro. Il Samaritano insegna che si può ridare vita a chi nelle periferie del cuore o della terra soffrono ingiustizia; è possibile chinarsi su chi sta a terra per essere solidale con lui. Gesù insegna che la fraternità è possibile in ogni stagione della vita e in ogni circostanza della vita, in ogni epoca e condizione sociale ed economica. Indica che la beatitudine non sta in ciò che hai, ma in chi ti sta accanto e ti sorregge nelle tue difficoltà. Il programma delle Beatitudini è la magna charta della scuola, là dove la felicità del realizzarsi sta nell’andare contro corrente; sovvertire quel ragionare umano che tutto pone sotto la forza del potere. Chi vuole realizzare la perfezione deve percorrere la via di Dio; una piccola via che ai più sembra stretta, quando non si lascia a Dio l’opera di salvezza. Coloro che sono miti, giusti, misericordiosi hanno come padre Dio, perché come bambini si sono affidati alla sua opera educativa che li ha guidati per sentirei imperscrutabili al ragionare umano. La qualità della vita sta nell’amare Dio e il prossimo con tutta la forza della mente, del cuore e della volontà (Mc. 12, 30). L’origine di tutto il programma educativo risiede nell’amore che trasforma, converte i cuori più induriti e le società più chiuse. Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate ripropone a tutti i credenti la via maestra delle Beatitudini, perché si possa vivere in comunione gli uni con gli altri5. Afferma che la parola felice o beato corrisponde alla parola santo, perché è la persona fedele a Dio e che vive la sua parola, donando sé stesso senza compromessi e senza ricompense, ma solo 5

FRANCESCO, Gaudete et exsultate. Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, Figlie di San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018. 31


per amore. Le Beatitudini sono parole di controcorrente perché non provengono dal mondo, ma dal cuore di Dio che si accompagna all’uomo nel so dolore e nella sua gioia, nella sua ricerca di giustizia e di pace, nel suo desiderio di vedere tutti concordi: «Nonostante le parole di Gesù possano sembrarci poetiche, tuttavia vanno molto controcorrente rispetto a quanto è abituale, a quanto si fa nella società; e, anche se questo messaggio di Gesù ci attrae, in realtà il mondo ci porta verso un altro stile di vita. Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio»6. Il coraggio dei nuovi percorsi spirituali e pastorali Spesso abbiamo separato la santità dall’azione pastorale, come se i santi sono solo quelli di altare e non uomini e donne che hanno fatto storia e che hanno dato impulso nuovo alle realtà terrestri. Si può fare una programmazione pastorale della santità? (NMI 31). Si possono trasformare le strutture pastorali in vista della santità del popolo di Dio? La lettera pastorale di Mons. De Luca vuole accogliere le indicazioni magisteriali, proponendo percorsi possibili di vita interiore e spirituale, rispondendo alle varie esigenze presenti nella sua Diocesi. Tentare nuovi itinerari non per il semplice gusto di fare qualcosa di nuovo e di diverso, ma per corrispondere alle esigenze del suo popolo, anzi per ascoltare la voce dello Spirito che suggerisce vie non pensabili per accrescere la sua Chiesa. La sfida è di centrare nuovamente l’obiettivo primario della fede, cioè annunciare Cristo non con parole convincenti, ma con la testimonianza di vita. I santi sono stati operatori di giustizia, di carità e di pace, per cui hanno costruito ponti; hanno realizzato opere perché l’uomo po6

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Ivi, n. 65.


tesse essere custodito ed elevato dalla sua grazia. La dimensione della carità non può essere slegata dai cammini di santità di ogni cristiano. È proprio l’amore che lega Dio agli uomini, ai più poveri a coloro che hanno bisogno della mano degli altri. Il Presule De Luca si lega alla grande tradizione spirituale cristiana affermando che la dimensione sociale è per i credenti esperienza della grazia di Dio che opera nell’uomo e nella società. Interessanti le sezioni della lettera che richiama il legame tra santità e vita sociale. Un nostro sociologo Don Luigi Sturzo dà una testimonianza di questo legame forte che vi è tra l’uomo trasformato dalla grazia di Dio e la sua società7. Durante l’esilio rilascia un’intervista al The Weekly Mail: «il primo insegnamento della mia vita e il più costante, è stato quello di essere ottimista, cioè di sempre aver fiducia nella bontà che è al fondo dello spirito umano. Anche nelle lotte più acute mantiene i contendenti in una sfera di equilibrio, serenità e giustizia, che rende più umana la lotta e più seri i contrasti; frena l’eccesso delle passioni; fa meglio rilevare i propri errori». Il rispetto per l’avversario politico implica la correzione fraterna. Il suo credere in Dio non è stato annullato dal suo impegno politico, anzi «ottimismo, cioè fiducia nell’umanità; tolleranza, cioè rispetto delle personalità degli altri uomini; misticismo, cioè unione di sentimenti spirituali con il Verbo eterno – Dio – mi sono stati confermati, sembra strano, da una vita fatta di fervore di lotte nel campo più aspro e più agitato, quello della politica». L’impegno per la società civile è impegno del credente che è testimone credibile della sua fede nelle azioni concrete. I percorsi possibili di fede sono esposti e promossi dal vescovo che intende aiutare il suo popolo a incontrare Gesù nelle diverse circostanze della propria vita. Ad ogni uomo e ad ogni donna nella loro diverse e comple7

L. STURZO, Quel che mi ha insegnato la vita, in The Weekly Mail, 25 settembre 1926. Il testo si può trovare in L. STURZO, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Vivere in, Roma 2006, pp. 206-207. 33


mentarie vocazioni offre delle indicazioni importanti, perché tutti si possano mettere in cammino sulla via della santità Lo stesso vescovo auspica per sé stesso un cammino di santità insieme a tutti per essere una Chiesa in comunione. La novità da perseguire sta nell’aprirsi allo Spirito che indica la via da seguire; sta nel recuperare la fraternità come segno eloquente dell’essere cristiani. All’inizio della predicazione ad Antiochia furono chiamati cristiani, perché si distinguevano per l’amore che nutrivano per coloro che stavano in difficoltà (At 11, 19-26). È vero, la vera sfida è la spiritualità: «in che rapporto si pone la nostra azione pastorale con il profilo della nostra spiritualità» (LP 34). I sacerdoti dovrebbero essere maestri di vita spirituali e le parrocchie vere scuole di preghiera, perché tutti possano incontrare il Dio che salva. La dimensione spirituale fonda e sostiene ogni azione pastorale. Il centro di ogni spiritualità veramente ecclesiale è la comunione che si vive tra i presbiteri e i presbiteri con il popolo di Dio. La Chiesa si manifesta come comunione e servizio. Senza queste caratteristiche si rischia di essere una delle tante associazioni che fanno del bene. Il lievito della fraternità non è solo il titolo di un documento CEI, ma è esperienza di Chiesa8. La sfida della spiritualità è il pensare e lavorare insieme. Per fare comunione c’è bisogno di pensare il bene della Chiesa nella piena comunione con la santa Trinità. Cogitare in Ecclesia e cum Ecclesia comporta la fatica di stare insieme e mettere insieme le proprie proposte, perché si possa fare discernimento comunitario insieme al vescovo. Nella preghiera comune l’invocazione allo Spirito guida l’intera Chiesa a realizzare il vangelo nelle diverse circostanze della vita. Sono cambiate le circostanze e le modalità culturali, ma il senso profondo del discernimento comunitario è ancora intatto perché riguarda l’unione di Cristo con la sua Sposa la Chiesa. 8

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CEI, Lievito di fraternità, Edizioni San Paolo, Milano 2017.


San Benedetto riuniva tutta la comunità, perché si potesse scrutare nei segni dei tempi la volontà di Dio che tutta la comunità deve seguire: «ogni volta che in monastero c’è da trattare qualcosa di importante, l’abate convochi tutta la comunità e dica lui stesso di cosa si tratta» ascoltare il parere dei fratelli rifletta dentro se stesso e ciò che avrà giudicato più giusto lo faccia i più giovani senno dei grandi parere con tutta sottomissione dell’umiltà né presunzione di difendere la propria opinione9. Il discernimento comunitario è l’incontro nella preghiera di tutta la comunità che giudica in piena coscienza e senza interessi personali qualcosa di importante per la stessa comunità. Il coraggio di pensare insieme manifesta l’amore di ciascun credente per la propria Chiesa; manifesta la responsabilità personale nel realizzare il vangelo nella propria vita. Le difficoltà interne alla Chiesa Dinanzi all’ascolto dello Spirito si frappone una mentalità non certo ecclesiale che blocca il fiorire della primavera nella Chiesa. Per il Papa Francesco e per il vescovo De Luca il problema è riscontrabile in un rinnovato gnosticismo e neo pelagianesimo. Infatti lo gnosticismo è «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti»10. Il neopelagianesimo è lo strapotere della volontà dinanzi alla grazia divina. Non vi è la potenza dello Spirito quanto 9

Regola Benedetto 3, in AA. VV., Regole monastiche d’occidente, Edizioni Qiqajon, Magnano (VC) 1989. 10 FRANCESCO, Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, n. 94, Figlie di San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013. 35


piuttosto la titanicità dell’uomo: esso è «autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico del passato»11. Concretamente queste due estremizzazioni intendono dominare lo spazio ecclesiale con l’ostentazione della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa senza interessarsi del reale inserimento del vangelo nei bisogni concreti dei fedeli. Anche la chiamata alla santità può essere minata da queste due espressioni del pensare teologico, per cui si può avere una errata visione della santità tale da bloccare il cammino spirituale dei fedeli. Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate il Papa osserva che tali derive falsificano il concetto di santità a favore di un immanentismo antropocentrico che abbassa l’orizzonte escatologico della fede a favore di una visione teologica schiacciata solo sul presente e sull’uomo12. Nel primo caso coloro che propugnano lo gnosticismo spirituale «concepiscono una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni». La conseguenza è «un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo»13. Tale riduzionismo implica una visione fredda e logica degli insegnamenti di Gesù, allontanandolo dalle reali esigenze della gente14. Di contro il neopelagianesimo spirituale si compiace delle proprie capacità, togliendo così al vangelo la freschezza e la semplicità. Per il Papa tale deriva raggruppa in sé stessa più anime, quali l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, 11

Ibid. FRANCESCO, Gaudete et exsultate. Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, n. 37. 13 Ibid. 14 Ivi, n. 39. 12

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l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina, del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazioni autoreferenziali15. I rischi presentati hanno prodotto solo divisioni interne alla Chiesa senza farla procedere nella via della santità. Il pensare teologico e l’agire pratico hanno bisogno di recuperare credibilità, ritornando alle loro fonti, rappresentate dall’ascolto del vangelo e alla semplicità della testimonianza di fede delineata dalla vita dei santi. la santità ha il compito di ridare dignità all’uomo nella sua integralità. Per continuare a prendere il largo Non è una questione di mezzi o strutture nuove, quanto piuttosto di convertire il cuore di ciascun credente ad avere coraggio nel vedere il futuro. Nella Chiesa si assiste in un piegarsi su sé stessa, fermandosi solo agli scandali e solo al passato senza vedere le possibilità che ha nel delineare percorsi per realizzare già qui ed ora il regno di Gesù Cristo. I santi insegnano il coraggio di vedere lontano, di non stare fermi aspettando una salvezza puramente umana o l’ultimo ritrovato pastorale. La conversione del cuore implica l’incontro personale, unico ed intimo con Gesù Cristo che fa cambiare la vita. La seconda conversione che spesso additano i santi è quella di una più profonda amicizia con Dio senza più essere legati ad interessi personali o a ritagliare spazi per il proprio potere. La seconda conversione richiama la maturità di chi è già cristiano e intende esserlo in maniera radicale. Essa implica una mentalità di fede, che non ha alcun legame con il carrierismo e la competitività pastorale dei più bravi; implica una ricerca del bene comune della Chiesa che non si esprime in ciò che impongo, ma in ciò che è ecclesiale. La seconda conversione è l’ottimismo della fede che si apre alla vita eterna. Il cristi15

Ivi, n. 57. 37


ano è ottimista per fede, perché crede in Gesù Risorto che verrà a consegnare tutto al Padre. Tutto è in vista del regno, per cui avverte nella sua vita la spinta sollecitante dello Spirito Santo. Chi si converte è uno che sa guardare in avanti, perché pensa insieme per il futuro della Chiesa. Ciò auguro alla Chiesa di Teggiano-Policastro insieme al suo vescovo. Saper guardare il futuro insieme, divenendo Chiesa profetica per le nuove generazioni di cristiani.

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Carmine Matarazzo NON SOLO PROCLAMI La responsabilità dei laici nella missione della Chiesa e l’attenzione alla vocazione e al discernimento dei giovani La recente Lettera pastorale, consegnata alla Chiesa che è in Teggiano-Policastro dal suo vescovo monsignor Antonio De Luca, ha un punto di riferimento saldo, un perno di inestimabile valore. Tale architrave è la Sacra Scrittura. Infatti, l’analisi e il messaggio del vescovo si rifanno prevalentemente al Vangelo secondo Luca capitolo 5, versetti 1-111. La Lettera, dopo una densa introduzione (cfr. n. 1), si divide in due parti: la prima (nn. 2-10) si propone di illustrare il “rinnovato impegno di evangelizzazione nella Chiesa di Teggiano-Policastro” a partire da alcune considerazioni ritenute cogenti dal vescovo diocesano e affronta specifiche tematiche sul ruolo missionario della chiesa “in uscita”; mentre la seconda parte (nn. 11-40), lasciandosi guidare più direttamente dal capitolo 5 del Vangelo di Luca, si propone di offrire specifiche considerazioni e indicare diversi impegni per il servizio di evangelizzazione di quelle persone che abitano il territorio diocesano, soprattutto sottolineando l’importanza dell’imminente visita pastorale – indetta dal vescovo – per conoscere, condividere, incoraggiare, correggere, spronare sulla via della missione e del consolidamento delle buone prassi pastorali. Monsignor De Luca non si esonera da una attenta e meticolosa lettura ed analisi della vita delle comunità della diocesi, soprattutto lasciando emergere i grandi temi dell’evangelizzazione 1

Cfr. A. DE LUCA, Lettera pastorale «Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla» (Lc 5, 1-11). Per un rinnovato impegno di evangelizzazione nella Chiesa di Teggiano-Policastro, 4 giugno 2018, Duminuco editore, Sapri (SA) 2018, n. 1 [d’ora in poi nel testo LP seguito dal n.]. 39


e della catechesi, ribadendo, quindi, l’essenziale della pastorale e della missione ecclesiale: gettare le reti sulla Sua Parola. In quest’ottica, occorre piena fiducia nel Signore, che non manda i suoi discepoli a conquistare terre e a fare proseliti, ma ci invia a essere testimoni del suo Amore. La missione dei cristiani non consiste nell’accumulare successi, ma nel servizio al prossimo in ogni condizione sociale, culturale, etnica, economica, morale e in ogni altra situazione si possa trovare. Se questo è il compito primario individuato, il modo con il quale i discepoli-missionari si devono relazionare alla realtà è il confronto fraterno e la fiducia nella Parola del Signore (cfr. LP, n. 40). Il lavoro dei cristiani non è quello di impegnare parole umane per convincere gli altri a seguire un modello di vita appagante. Lavorare sulla sua Parola significa abbandonare ogni certezza umana, o meglio lasciare che le certezze umane possano facilitare il riconoscimento della concretezza della Parola di Dio, che è via, verità, vita. 1. Per una evangelizzazione “autentica” Evangelizzazione, catechesi e liturgia, a partire dal magistero di Papa Francesco2, sono interrelate per dar vita ad una vera pastorale missionaria in grado di prospettare le novità ispirate dallo Spirito Santo senza tradire il messaggio del Vangelo3. Se si vuole realmente attivare un processo di rinnovamento nella tradizione, nell’ambito dell’azione pastorale, bisogna evitare il pericolo assai insidioso di considerare la Tradizione e le norme 2

Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 33, in Acta Apostolicae Sedis 105 (2013), 1019-1137. 3 In merito, mi permetto di rinviare a C. MATARAZZO, Dalla fine del mondo un nuovo umanesimo cristiano. L’eredità francescana della nuova evangelizzazione tra emergenze pastorali e questione educativa, Cantagalli, Siena 2014. 40


come fissità, quasi un baluardo fisico inespugnabile, e perciò garante della cattolicità. L’orientamento potrebbe prestare il fianco molto facilmente a chi, tra i cosiddetti tradizionalisti, vede un tradimento alla cattolicità già a partire dall’eventualità di una ermeneutica della Tradizione, vista in contrasto con la sua fissità garante. Papa Bergoglio coglie l’opportunità insita nel concetto rinnovamento nella tradizione, ma prospetta soprattutto la possibilità di incentivare “nuove forme” di annuncio, necessarie per comunicare il Vangelo in un mondo in continuo cambiamento e in rapida trasformazione. Francesco, a conclusione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, invita a cambiare angolo visuale a beneficio di una prospettiva dinamica dell’agire ecclesiale, oggi necessariamente pensato “in chiave missionaria”. Indispensabile condizione per un tale cambiamento e per lo smantellamento delle comodità da sacrestia, molto spesso adagiate sul criterio pastorale del “si è fatto sempre così”, è la disponibilità alla conversione pastorale. L’invito del Pontefice, pienamente accolto da monsignor De Luca nella sua Lettera pastorale, è fortemente impiantato sull’audacia e sulla creatività della “ricerca comunitaria”, per il ripensamento di obiettivi e criteri, strutture e stili dell’azione evangelizzatrice4. Infatti, quasi come eco di questo già limpido pensiero, Bergoglio ha aggiunto: «la Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico»5. Né la Tradizione, né la Sacra Scrittura possono essere conservate con la “naftalina”, al riparo da eventuali contaminazioni umane. La Parola di Dio, sottolinea con vigore il Papa, è dinamica e come tale rinnova, arricchisce, trasforma. 4

Cfr. FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 33. FRANCESCO, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 11 ottobre 2017. 5

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La tentazione di ingabbiare la Parola di Dio e di cristallizzare la Tradizione viene da un’alterazione del concetto di inculturazione, come già a suo modo indicava Pio XII e successivamente Giovanni XXIII poiché si sostiene la necessità di trovare quelle forme espositive che più si adattano al magistero, la cui indole è soprattutto pastorale6. La chiave teologico-pastorale dello stile e del magistero di papa Francesco ispira in qualche modo la Lettera pastorale «Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla!» (Lc 5,1-11), che ha tra i suoi obiettivi anche quello di ribadire gli elementi di principio di una corretta prassi ecclesiale, tale se fa esperienza reale delle periferie, sanata da un male astioso, chiamato autoreferenzialità. L’invito/constatazione alla creatività ecclesiale del vescovo De Luca è allora una chiara indicazione a lasciare la “pastorale di conservazione” a favore di nuove forme di comunicazione, di formazione, di annuncio7. Condividendo la preoccupazione di papa Bergoglio, l’attenzione di monsignor De Luca è rivolta essenzialmente a un processo di evangelizzazione autentica8, informato da un principio di realtà. I diversi contesti, almeno per quanto concerne i cosiddetti Paesi sviluppati, sono stati caratterizzati, negli ultimi due secoli, da «una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico»9. Se in modo lucido Francesco ammette la delusione di molti rispetto al cristianesimo e il rifiuto di altri di identificarsi con la tradizione cattolica, con altrettanta chiarezza il vescovo di Teggiano-Policastro non teme di proporre un bilancio dalle “mani vuote” perché l’intenzione dei di6

GIOVANNI XXIII, Discorso nella solenne apertura del Concilio Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962, n. 15, in Acta Apostolicae Sedis 54 (1962), 786-796. 7 Cfr. FRANCESCO, Evangelii gaudium, nn. 28, 134, 145. 8 Cfr. G. ALCAMO, Identità e compiti della catechesi nella Chiesa di oggi, in U.R. DEL GIUDICE-S. TANZARELLA (a cura di), La catechesi al tempo di papa Francesco, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pp. 17-55, qui 51. 9 FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 70. 42


scepoli in qualche caso è stata rivolta più al fare che all’essere. Sono fondamentali per il vescovo il discorso educativo, l’ambito della famiglia e l’attenzione per i giovani. Nello scenario inedito odierno, aumentano casi di genitori lontani o indifferenti alla fede ricevuta dalla famiglia di appartenenza e si rifiutano o si astengono dal loro compito di primi educatori della fede. Molte sono le cause della complessa situazione di rottura da inventariare e analizzate. Tra queste, «la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale»10. In tale ottica di verità, occorre ripercorrere con sincerità i fallimenti, riconoscerli senza temere la disfatta. In questo processo, è necessario inaugurare una cultura della valutazione per essere realmente chiesa in un contesto storico sempre più in crisi, dove la “fede” deve sempre di più essere intesa come un “travaglio”. «Dal punto di vista pastorale abbiamo bisogno di verifica che necessarie e di una leale assunzione di responsabilità. Abbiamo espresso nell’ambito dell’evangelizzazione, per decenni, una creatività ecclesiale e una forza persuasiva che ha contribuito notevolmente a costruire le identità, i percorsi, e le appartenenze, fatte di passione civile, e di vicinanza ai più deboli» (LP, n. 1). Valutare significa evitare il pericolo della autoreferenzialità per far spazio alla Parola del Signore che ci invita a gettare nuovamente le reti. Tuttavia, i veri discepoli che si sentono missionari si domanderanno: davvero abbiamo lavorato molto, ci siamo affaticati?

10

Ibid. 43


2. Il nodo della corresponsabilità Per evitare di lasciare inevasa la domanda, il vescovo De Luca propone alcune piste di analisi e di progettazione. Infatti nella sua ottica di pastore, progettare vuol dire portarsi avanti, ossia nutrire fiducia evangelica: un’azione pensata e meditata all’intero della comunità ecclesiale, solo ed esclusivamente se fondata sulla Parola del Risorto. Bisognerà “schiodarsi” dalle comode certezze di maniera per cominciare un lavoro qualificato in tutte le direzioni: a cominciare dalle parrocchie, dalle scuole, dall’Università per arrivare ai circoli ricreativi, agli oratori, agli ambienti di lavoro, ai contesti di sofferenza e di abbandono (come possono essere le carceri), ai consultori familiari… In ogni ambiente umano c’è bisogno di evangelizzatori perché la pastorale di conservazione/contenimento ha fatto il suo tempo ed occorre oggi passare ad una logica missionaria perfino in quelle terre abitualmente chiamate “cristiane” (cfr. LP, n. 2). Monsignor De Luca propone il criterio della verità nell’analisi e nella progettazione pastorale soprattutto a servizio del laicato, delle famiglie e dei giovani, invitando ogni operatore pastorale ed ogni comunità a cambiare strada se fosse necessario. In questo modo, è possibile leggere la realtà senza edulcorarla, senza usare filtri che allontanano dalla verità. Se si ammette, in un certo senso, la fine del cristianesimo come religione confessionale11 pure nei territori della diocesi di Teggiano-Policastro, questa presa di coscienza non deve foraggiare atteggiamenti di scoraggiamento. La comunità diocesana e le altre comunità locali dovranno studiare e operare scelte di campo innovativo, sotto la guida del vescovo, per preparare un nuovo e più coraggioso piano pastorale in grado di rispondere coerentemente alle sfide contemporanee del nostro tempo di crisi. La spinta a pren11 Cfr. L. DIOTALLEVI, Fine corsa. La crisi del cristianesimo come religione confessionale, Dehoniane, Bologna 2017.

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dere il largo, nonostante le criticità, deve prevalere sulla tentazione di riporre i remi in barca, lasciandola ormeggiare, nel frattempo i pescatori insoddisfatti ripongono le reti (cfr. LP, nn. 3 e 8). Questa è una tra le ipotesi evidentemente leggibili nella Lettera del vescovo De Luca che invita a prendere sul serio, in merito all’impegno dei laici, le criticità dei nuclei familiari e l’assenza dei giovani dalla vita cristiana, per proporre una nuova forma di evangelizzazione, capace di essere esperienza significativa di umanità e quindi esperienza del Dio-Amore rivelato in Cristo. Infatti, nella logica missionaria, l’annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede non possono rendersi indipendenti dalle istanze antropologiche del tempo contemporaneo, che vanno assunte totalmente. Ecco perché monsignor De Luca, sulla scia di papa Francesco, associa il Vangelo alla promozione umana: non è possibile annunciare Cristo e ignorare o tradire le attese delle persone. La rivoluzione della misericordia è il vero stile di un laicato che sa comunicare l’esperienza di amore condivisa in una comunità generante, accogliente ed educante. Ogni comunità se vive in vero spirito missionario, parla la lingua del popolo, vive le tradizioni, le culture del luogo, finanche di quelli eventualmente supposti già a conoscenza dalla tradizione cristiana. Il processo di inculturazione, quindi, non può essere una forzatura, oppure un automatismo. Anzi, esso oggi attende una più ampia valutazione in quelle aree geografiche dove effettivamente il cristianesimo si è espresso in tutte le dimensioni. Qui risiede il paradosso e il dramma in un certo senso, perché il cristianesimo è diventato estraneo, o addirittura un peso agli stessi cristiani. In alcuni casi, i battezzati, vivendo nell’indifferenza, potrebbero dichiararsi perfino ostili al Vangelo e alle proposte ecclesiali (cfr. LP, n. 11). Problema di comunicazione, ovvero problema di sostanza, perché comunicare, significa annunciare 45


con la vita il messaggio della salvezza e professare con le parole la coerenza dell’Amore di Dio e la sua tenerezza per l’umanità12. Il programma di “autentica” evangelizzazione, proposto da Francesco, non è finalizzato alla semplicistica rivoluzione delle strutture, ma alla conversione dei cuori, la sola capace di operare una autentica riforma nella prospettiva di una chiesa povera con i poveri. Quindi, da dove ripartire? Prima di tutto dalla fiducia, fondata stabilmente sulla Parola di Dio. Fiducia in Dio essenzialmente e nella sua azione di misericordia per la salvezza e la redenzione di tutto il genere umano e dell’intera creazione. Questo atteggiamento apre l’orizzonte e sprona i discepoli-missionari a prendere il largo, per andare “nel mondo”, ma attendendo operosamente, come pescatori intelligenti, che “la rete si riempia”. L’operosità dei discepoli di Cristo sta nell’annuncio del Vangelo che è Cristo e quello dell’Amore della famiglia trinitaria. Questo annuncio “sconvolge”, è perfino stoltezza per i pagani; è il Kerygma ad acquietare l’annosa ricerca del cuore umano e produce la vera conversione, quella di ricentrare ogni azione umana in Dio. La visione prospettica della Chiesa di Teggiano-Policastro si basa sul rinnovamento dell’azione pastorale e punta tutto sulla conversione pastorale, abbandonando sistemi o gabbie interpretative della realtà con rigidi ed obsoleti schemi legalistici. Per il vescovo De Luca, non esiste scoraggiamento tanto determinante da essere più forte della fiducia nel Dio unitrino, ovvero non può esistere tristezza maggiore rispetto al messaggio di affidamento nell’azione del buon seminatore. Quindi non è giustificabile un atteggiamento autoreferenziale a fronte dell’oblazione di amore compiuta dal Redentore. Alla luce del messaggio di fiducia e di 12 Cfr. W. KASPER, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, traduzione italiana di G. Francescini, Queriniana, Brescia 2015.

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amorevole consegna del discepolo-missionario, non si giustificano alcuni atteggiamenti che impediscono alla chiesa di crescere nella sua dimensione missionaria. Per questo occorre che la comunità investa in corresponsabilità, secondo la prospettiva del concilio Vaticano II. Tuttavia, la sola parola corresponsabilità non provoca ipso facto esistenze corresponsabili e proiettate verso la missione della chiesa. La corresponsabilità, a cominciare in primis dai vescovi, presbiteri e diaconi, va imparata con la condivisione e l’impegno sul campo dei fedeli laici che partecipano attivamente secondo il loro grado di responsabilità alla missione della Chiesa, affidata dal Signore a tutti (cfr. LP, n. 17). In questa dimensione non sarà possibile registrare ancora atteggiamenti di accidia pastorale, o peggio di ritualismo, o di fatalismo (cfr. LP, n. 3). I discepolimissionari si lasciano catturare prima di tutto e sopra ogni cosa dalla bellezza della sequela. Quindi non basta correre, ma bisogna correre bene, evitando di uscire di strada…, ricorda il vescovo quando cita Sant’Agostino: Bene curris, sed extra viam (cfr. LP, n. 4). In questo senso, ogni battezzato realmente reso corresponsabile della vita e della missione della Chiesa, si sente certamente indegno, ma non incredulo di fronte alla chiamata di Cristo. Ribadire il ruolo e la missione dei laici all’interno delle comunità ecclesiale vuol dire effettivamente riprendere il largo più speditamente non senza un’interpretazione della realtà socio-relazionali e delle nostre comunità umane, definite ormai post-cristiane. Infatti, scrive il vescovo, «la missione specifica dei laici è quella di esercitare la vocazione all’apostolato per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, nella Chiesa stessa e nel mondo, con la libertà dello Spirito Santo, il quale spira dove vuole; in particolare il loro campo è quello di “evangelizzare e santificare gli uomini animando e perfezionando con spirito evangelico l’ordine temporale”» (LP, n. 17; cfr. AA, n. 3). 47


3. Aiutare il cambiamento: identità e missione delle comunità cristiane Il successo dell’impegno corresponsabile del laicato certamente non si risolve solo con un semplice invito alla presenza o con l’esortazione alla buona condotta di vita, già obiettivi nobili se raggiunti e vissuti con coerenza. Tuttavia, l’impegno e la missione dei laici hanno a che fare oggi con le nuove grammatiche relazionali e soprattutto con i nuovi linguaggi di realtà non ancora raggiunte dalla chiesa o non abitate dalla comunità cristiana (penso al mondo dei giochi e delle comunicazioni virtuali di intrattenimento, oppure ai linguaggi delle nuove scienze). È facilmente intuibile che una tale prospettiva chiede di ridisegnare la specificità dell’impegno del laicato. Soprattutto è urgente da parte della comunità ecclesiale assicurare formazione adeguata e perciò continua e ricorrente, finalizzata soprattutto a sostenere e consolidare la motivazione a essere fedele cristiano, che significa porsi alla sequela del Maestro e sentirsi membro vivo del suo popolo, la Chiesa. Per far ciò è necessario non dimenticare in un certo senso il DNA storico delle comunità, la loro identità socio-culturale, gli aspetti tipici della pietà popolare, come opportunamente monsignor De Luca illustra nella sua Lettera pastorale. Dunque, «si avverte il bisogno di un radicale cambiamento del modello relazionale ancora troppo depositario, clericale e poco problematizzante. La ricchezza del patrimonio legato alla pietà popolare delle nostre comunità va salvaguardata» (LP, n. 20). In questa prospettiva si dà una pastorale d’insieme, integrata ed integrale, ovvero una pastorale d’ambiente – come preferisce il Vescovo – se si riscopre il ruolo primario della sinodalità nelle comunità particolari, grazie a forme incentivanti di formazione di famiglie e giovani, sempre più vulnerabili e obiettivi di attacco di culture relativistiche ed edonistiche (cfr. LP, n. 28). Le più recenti ricerche, contro le previsioni degli anni passati, 48


evidenziano una tenuta sostanziale del sentimento religioso, nonostante le ambiguità evidenti lamentate spesso sul piano della effettiva appartenenza e partecipazione alla vita ecclesiale. Il vescovo De Luca riconosce apertamente che «i giovani del nostro territorio, pur restando aperti, disponibili e generosi, manifestano un diffuso senso di incapacità ad affrontare il mondo reale in maniera attiva e costruttiva. Le nostre parrocchie, pur essendo ambienti familiari e sensibili, spesso trasformano la vita comunitaria in qualcosa di ripetitivo e devozionale» (LP, n.23). Pur se i dati continuano a descrivere l’Italia come un paese ancora cattolico, si deve registrare altresì una selezione forte dei nuclei fondamentali del credo cristiano, quasi una personalizzazione della fede e una riduzione del sentimento religioso ad una sorta di “religione fai da te”, tendenza registrata soprattutto tra i giovani, ormai “diversamente credenti”13. In altri termini, gli italiani si professano “religiosi”, anche “cristiani”, ma con la voglia di limitare al massimo la frequentazione alla vita della chiesa, vista quasi come un di più e un peso per la vita personale, familiare e sociale. Eppure si continua a parlare di “voglia di sacro”. Probabilmente la secolarizzazione ha provocato un effetto dolce, come suggerisce il sociologo Garelli, alla opzione per la fede, ovvero un “cattolicesimo su misura”, dal momento che non si registra quel tracollo epocale, pur paventato nei decenni passati14. Tra i fattori di crisi e di allontanamento si riscontra una crescente indifferenza molto spesso alimentata dalla incoerenza e dalla farraginosità dei singoli e delle comunità. Nonostante l’esplicito distacco, la questione dell’opzione religiosa non è affat13

Cfr. V. BOVA-D. TURCO, La stagion lieta dei diversamente credenti. Un’indagine sulla religiosità giovanile in un’area del Sud Italia, Quaderni di Parola di Vita 15, Cosenza 2018. 14 Cfr. F. GARELLI, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, il Mulino, Bologna 2016, pp. 86-104. 49


to una partita chiusa, un retaggio arcaico di altri tempi. Tra gli atteggiamenti contrastanti degli adulti, oppure di fronte a manifeste chiusure rispetto ad una possibile apertura alla fede, molto spesso si trova una propensione al dialogo, che apre effettivamente alla possibilità di passare dall’indifferenza, ovviamente comunicata e ragionata, all’ascolto delle ragioni dell’altro necessariamente comprensive delle difficoltà dell’interlocutore. A ben vedere, gran parte dell’attenzione della pastorale delle chiese particolari è rivolta alla formazione dei bambini e dei preadolescenti. Nella stagione della vita che conduce verso la giovinezza, la socializzazione religiosa subisce una chiara battuta di arresto e molto spesso, immediatamente dopo la prima eucaristia da parte dei preadolescenti, gli abbandoni sono evidenti, senza un reale desiderio delle famiglie e dei ragazzi della assiduità alle celebrazioni sacramentali. Ovviamente le differenze territoriali tra Nord, Centro e Sud sono evidenti rispetto alla frequentazione degli ambienti ecclesiali, ai gruppi e movimenti, alle catechesi e liturgie. La secolarizzazione dolce, quindi, potrebbe essere sinonimo di indifferenza da parte delle famiglie rispetto alla formazione religiosa degli adulti e delle altre fasce di età? L’indifferenza potrebbe essersi insinuata nelle comunità della Chiesa di TeggianoPolicastro e per questo motivo potrebbero magari essere restie ad incentrare la programmazione pastorale sui pilastri della formazione continua e ricorrente? L’insegnamento della catechesi è un progetto integrato per la vita cristiana con lo scopo di insegnare, ovvero di lasciare-un-segno? Aiutare le persone in formazione a fare una reale e significativa esperienza di vita cristiana significa orientarle a vivere la vita optando per i principi del Vangelo, quindi aperta all’operosità dell’azione verso Dio, il prossimo e la società per il consolidamento di sé e delle aspettative dell’altro. In questa dimensione l’annuncio del Vangelo è preceduto ed accompagnato da reali azioni di promozione della

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persona umana? L’uso delle indagini con i relativi indici di adesione, frequenza, credenza, come è stato più volte sottolineato, potrebbe frenare sia il processo ad extra di evangelizzazione sia la pastorale ad intra. Non a caso monsignor De Luca, sulla scia di papa Francesco, accetta la sfida con l’invito alla sua chiesa a riprendere la missione ed evangelizzare. Tuttavia, potrebbe essere utile una acquisizione di dati oggettivi, una rilevazione socio-religiosa circa l’appartenenza e l’impegno dei battezzati nella chiesa particolare di Teggiano-Policastro per valutare la situazione reale allo stato attuale. La teologia pastorale, infatti, non evita, ma cerca ed incontra volutamente i risultati della ricerca sociologica, ma per esercitare pienamente il suo compito profetico di aiutare il cambiamento e il rinnovamento constante della realtà. Dopo il social change, registrato negli anni passati e tutt’ora in fase di evoluzione, in questo inizio di secolo e di millennio, la famiglia e i giovani sono i due fuochi che hanno attirato in modo assai speciale l’attenzione del magistero ecclesiale e della ricerca teologica, una volta affrontata e discussa la grande categoria di secolarizzazione, definita recentemente dolce. Non a caso Giovanni Paolo II manifesta un atteggiamento di speciale premura nei confronti delle famiglie e dei giovani, linea seguita da papa Benedetto e particolarmente da Francesco, che ha indetto un Sinodo ordinario sui giovani, oltre ai due sulla famiglia. Due fuochi quindi intimamente connessi perché i giovani sono figli, come lo sono i genitori, legati a loro volta ai propri genitori. I nonni poi sono vere e proprie colonne di nuclei familiari sempre più in difficoltà e in affanno non solo dal punto di vista finanziario, ma soprattutto relazionale. Giovani, genitori, nonni, cambi generazionali e mutamenti della società non sono dati scontati per l’agire della chiesa nella società. Anche il vescovo De Luca con l’ultima Lettera pastorale 51


fa sua la lettura di Papa Bergoglio e invita non a caso le comunità a rinnovare l’azione pastorale in chiave missionaria, soprattutto lasciandosi sorprendere dalle novità, senza soffocarle con le letture stereotipate e ammuffite dal “consumismo sacramentale” che ha limitato l’azione delle parrocchie a semplice stazione di servizio religioso. Il vescovo offre questo chiaro indirizzo: «l’evangelizzazione deve rinnovarsi perché il mondo è cambiato! In questa nostra epoca, segnata per molti aspetti da una mentalità neopagana, per certi versi bisogna ricuperare l’antico “modello catecumenale”, che dava il primato assoluto all’evangelizzazione e alla fede» (LP, n. 16). Non è un caso se recentemente è stato proposto un nuovo modello di parrocchia puntando su una prassi pastorale kerygmatica a partire dall’Evangelii gaudium. Sarebbe così possibile uscire da schemi obsoleti che caratterizzano la quotidiana esistenza delle parrocchie. Il mandato missionario di Gesù ai discepoli non è un invito all’attivismo – ricorda a più riprese Papa Francesco – ma è esso stesso il principio cardine di “uscita” dall’isolamento, tentazione sempre insidiosa quando i gruppi cristiani non si rigenerano nella logica della donazione e della prossimità. La parrocchia, quindi, assume molto spesso i connotati della staticità e si equivoca non a caso la vita della comunità con l’edificio di culto, dentro e intorno al quale si svolgono attività di vario genere. Lo scopo della nuova evangelizzazione, lungi dal fare proselitismo, punta a suscitare la fede, alla crescita degli adulti, alla testimonianza di vita dei battezzati, magari riscoprendo e radicalizzando il rapporto kerygma-catechesi-liturgia nella logica della mistagogia cristiana da riscoprire e soprattutto da rilanciare15. Dunque, le comunità della diocesi di Teggiano-Policastro, su 15

Cfr. almeno A. RUCCIA, Annuncio e profezia. La svolta kerygmatica per una parrocchia di evangelizzazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017; ID., La parrocchia secondo l’Evangelii gaudium, EMP, Padova 2018. 52


invito del suo vescovo che prova a rileggere, tra gli altri aspetti, la storia del suo popolo (cfr. LP, nn. 12-19), hanno bisogno di imparare a progettare l’azione pastorale con l’entusiasmo dei discepoli-missionari, i quali si esercitano prima di tutto nella capacità di ascoltare la realtà per poi intervenire, nel rispetto dei gruppi umani, con percorsi terapeutici e promozionali ipotizzati dalle chiese locali per la loro vita ad intra e per la missione ad extra, non senza un’attenta diagnosi della situazione. Nei mutati scenari socio-culturali, la chiesa si interroga sulle modalità dell’azione evangelizzatrice e cerca nuovi modi per comunicare, testimoniare, trasmettere la fede avuta in dono. Il mandato missionario è finalizzato a suscitare la fede, ovvero a facilitare l’incontro con il Vivente, con il Cristo, sperimentato nella storia, grazie alla mediazione delle comunità ecclesiali, «capaci di articolare in modo stretto le opere fondamentali della vita di fede: carità, testimonianza, annuncio, celebrazione, ascolto, condivisione»16. Sarà cura delle chiese particolari, specie le parrocchie presenti ed operanti sul territorio diocesano, di rivedere per esempio i metodi della catechesi, senza dare per scontato nelle aree di antica tradizione cristiana il Kerygma e la sua ricezione da parte delle persone battezzate. 4. Incontro al Risorto con giovani e famiglie La comunità ecclesiale tutta è il soggetto della trasmissione della fede e il processo di evangelizzazione si accompagna ad un progetto pedagogico segnato da tappe motivazionali e di approfondimento, sperimentabili attraverso gli aspetti specifici della “pedagogia della fede”. Considerando le molteplici sfide, i contenuti della fede annunciata, celebrata e vissuta non posso oggi 16

SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI, Lineamenta La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, 2 febbraio 2011, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, n. 12. 53


più di sempre essere lasciati al caso, alla buona volontà di operatori mossi da semplice spirito di altruismo. Occorre investire nella formazione dei nuovi evangelizzatori, dei catechisti e di ogni altro operatore pastorale, laico o consacrato, per sostenere la consapevolezza del cammino dell’esperienza di fede, che inizia con l’iniziazione cristiana, restando lontani dalla malattia dell’autoreferenzialità17. I tre sacramenti (battesimo, confermazione, eucaristia), che definiscono il cammino di iniziazione, sono tappe fondamentali di un processo organico di “generazione alla vita cristiana adulta”. La loro celebrazione liturgica, nell’ottica del vescovo della diocesi di Teggiano-Policastro, non è certamente un semplice punto di arrivo, ma una tappa intermedia per una ulteriore ripartenza nella crescita e nell’approfondimento della vita di fede. Così l’iniziazione è vista come uno “strumento pastorale”, soprattutto nelle terre già cristiane, per rimettere al centro del processo l’età adulta, o meglio segna quelli che vogliono essere “cristiani per scelta”, come indica monsignor De Luca (cfr. LP, n. 1). A ben vedere, oggi è più che mai necessario ed urgente rinnovare il cammino dell’iniziazione cristiana. Infatti, «accanto al modello tradizionale è utile cominciare a sperimentare un modello a carattere esplicitamente catecumenale ormai diffuso in modo significativo, nel quale emergono i criteri della gradualità, del non nozionismo, della dimensione esperienziale e del coinvolgimento sociale dell’educazione, incentivando nuove forme di alleanze tra le diverse agenzie educative (cfr. LP, n. 26-27). Percorsi incentrati sul coinvolgimento della famiglia nell’Iniziazione Cristiana dei ragazzi e la centralità della comunità ecclesiale» (LP, n. 30). Così una riflessione più approfondita da parte 17

A solo titolo esemplificativo, mi permetto di rinviare a C. MATARAZZO, Salvarsi dall’autoreferenzialità. La rivoluzione della misericordia per un annuncio di liberazione, in Luca. Nuova traduzione ecumenica commentata, a cura di E. Borghi, Edizioni Terra Santa, Milano 2018, pp. 375-389. 54


delle comunità e della teologia pastorale può essere utile a proposito delle celebrazioni liturgiche in occasione dei sacramenti dell’iniziazione e in riferimento alla motivazione che sostiene il cammino degli adulti rispetto al processo di crescita dei propri figli concernente in particolare la fede. La preoccupazione delle comunità dovrebbe essere rivolta essenzialmente a un processo di evangelizzazione autentica, nata da un incontro autentico con il Risorto (cfr. LP, n. 3), informato da un principio di realtà, quindi attento magari alle conclusioni degli scienziati sociali in merito alla situazione giovanile nei confronti del cristianesimo e in rapporto alla famiglia18. I diversi contesti, almeno per quanto concerne i cosiddetti Paesi sviluppati, sono stati caratterizzati, negli ultimi due secoli, da «una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico»19. Le definizioni in riferimento ai giovani in rapporto alla loro posizione circa la credenza religiosa, o meglio alla non credenza sono diverse e insistono sull’aspetto di indifferenza dei giovani, definiti prima generazione incredula, oppure “atei in erba”, facili a costruire immagini di Dio a proprio uso e consumo, indipendentemente da qualsiasi indicazione strettamente religiosa20. Probabilmente non si sbaglia se si ammettere, nel territorio diocesano, la delusione di molti rispetto al cristianesimo e il rifiuto di altri di identificarsi con la tradizione cattolica. Nello scenario inedito odierno, aumentano casi di genitori lontani o indifferenti alla fede ricevuta dalla famiglia di appartenenza e si rifiu18

Cfr. ALCAMO, Identità e compiti della catechesi nella Chiesa di oggi,

p. 51. 19

FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 70. Cfr. almeno A. MATTEO, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010; R. BICHI-P. BIGNARDI (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015. 20

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tano o si astengono dal loro compito di primi educatori della fede. Molte sono le cause della complessa situazione di rottura da inventariare e analizzate. Tra queste, «la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale»21. Grazie anche alle indagini sociologiche, ai contributi storici e agli approfondimenti della teologia, la riflessione del vescovo De Luca può arricchire la vita e la prassi del popolo di Dio a lui affidato grazie alle sue conoscenze e affronta con maggiore consapevolezza l’analisi della realtà, concentrando gli sforzi sull’idea-azione chiamata pastorale integrata, che vuol dire integrazione delle pratiche formative nei contesti delle comunità cristiane22. Questo slogan vuole mettere in evidenza che «ogni azione pastorale deve presentare per sua natura tutte le dimensioni proprie della fede: parola-annuncio, celebrazione-rito, testimonianza-rito». Pastorale integrata, ma anche integrale – evitando il pericolo di equivocare l’aggettivo con l’uso promosso 21

FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 70. Cfr. L. MEDDI, La catechesi oltre il catechismo. Saggi di catechetica fondamentale, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2017. I più recenti sviluppi nella riflessione teologico pastorale hanno preferito parlare di “pastorale integrata”. L’episcopato italiano ha adottato l’espressione: «La Chiesa non si realizza se non nell’unità della missione. Questa unità deve farsi visibile anche in una pastorale comune. Ciò significa realizzare gesti di visibile convergenza, all’interno di percorsi costruiti insieme, poiché la Chiesa non è la scelta di singoli ma un dono dall’alto, in una pluralità di carismi e nell’unità della missione. La proposta di una “pastorale integrata” mette in luce che la parrocchia di oggi e di domani dovrà concepirsi come un tessuto di relazioni stabili» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota Pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio 2004, in Notiziario CEI 5-6/2004, n. 11). 22

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dalla teoria sociologica delle organizzazioni sociali –, ovvero «deve essere pensata come azione che interagisce organicamente con i destinatari. Deve interagire con la persona e il suo sviluppo, con la cultura che essa abita, con l’evoluzione sociale ed economica, coi sistemi di potere che la controllano»23. 5. Il rinnovamento dell’iniziazione cristiana e l’impegno dei giovani Dunque, la comunità ecclesiale che è a Teggiano-Policastro fa i conti con la realtà. Grazie alla mediazione salvifica dell’azione pastorale, sempre docile all’intervento trinitario, ad ogni chiesa particolare è possibile modificare la criticità persistenti, o può dare il proprio contributo al cambiamento in atto. La trasformazione socio-religiosa degli ultimi decenni è, a ben vedere, un’opportunità (chance) piuttosto che un pericolo e una minaccia. Infatti, essa provoca un cambiamento degli stili relazionali, delle finalità formative, dell’organizzazione, della comunicazione della chiesa e dei suoi membri. Tra adulti e giovani cresce un palese disinteresse per la religione intesa in senso classico, mentre aumenta in un certo modo una fede più intimistica che cerca soluzioni a quesiti personali, talvolta appagati da risposte diverse dai “canoni” cristiani, provenienti magari da religioni orientali, o da spiritualità alternative. Nonostante ancora si consideri l’Italia una nazione con un alto indice di adesione al cattolicesimo, si consolida soprattutto tra i giovani un atteggiamento culturale e relazionale più orientato a dare senso alla propria esistenza senza Dio, piuttosto che motivare l’ateismo con discorsi di distacco o di palese aggressione all’arretratezza delle religioni – pur lamentata dai giovani specialmente su alcuni aspetti della vita e delle relazioni umane –, e in particolare del cristianesimo, 23 L. MEDDI-A.M. D’ANGELO, I nostri ragazzi e la fede. L’iniziazione cristiana in prospettiva educativa, Cittadella, Assisi 2010, p. 11.

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opponendo per esempio le conquiste delle scienze alla grettezza delle risposte stantie offerte dalla inamovibilità dei credi religiosi. La non-credenza è lo zoccolo duro dell’azione pastorale, se con essa si intende un atteggiamento di apatia nei confronti della proposta religiosa. L’indifferenza in realtà è la realizzazione dell’ateismo in tutte le sue dimensioni, non solo sul piano teorico e pratico, ma esistenziale, poiché la singola persona non si prefigge lo scopo di contrastare il concetto di Dio o l’eventualità della sua esistenza ed opera nel mondo, ma semplicemente non si pone più il problema di Dio, addirittura lo reputa superfluo rispetto al proprio desiderio di felicità, o come orizzonte di riferimento per trovare un senso all’esistenza. Spesso sia genitori che giovani giustificano la loro lontananza indifferente dal cristianesimo con l’imposizione avuta da bambini sin con il battesimo24. Una imposizione ritenuta figlia del formalismo sociale che introduce i nuovi nati nelle diverse fasi della vita, anche grazie ai riti religiosi, generalmente collegati alle diverse tappe dalla vita (almeno nel Sud peninsulare, sfugge in un certo senso a questo meccanismo il sacramento della cresima, perché non è collegato direttamente con l’inizio di una stagione dell’esistenza, ma è connesso alla scelta del matrimonio, quasi una tappa previa obbligata per accedere a questo sacramento). “Religione imposta”, quindi, difficilmente comprensibile e con pochissima carica motivazionale rispetto alle altre proposte, pur presenti nella vasta “biodiversità religiosa”, ritenute più coinvolgenti e interessanti. Considerato l’evidente esito di de-ecclesiasticizzazione, frutto più avanzato della secolarizzazione, la fede cristiana è allo stato attuale sicuramente un’opzione tra le altre possibili e la missione della chiesa, di ogni chiesa locale oggi dovrebbe essere 24 Cfr. R. BICHI-P. BIGNARDI (a cura di), Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani, Vita e Pensiero, Milano 2018.

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maggiormente sensibile a raffinare l’approccio esistenziale e a offrire punti di riferimento ragionati e condivisi per un’adesione al cristianesimo coinvolgente e motivata25. Pur non essendo ispirata da modelli di marketing, la comunità cristiana sente come suo dovere essenziale quello di potersi presentare credibile a persone con diverse esigenze e richieste. Tale situazione potrebbe far equivocare il ruolo delle chiese locali, le parrocchie in primis, come stazioni di servizio religioso e socioassistenziale, o in qualche caso perfino di counselling. Le comunità cristiane, quindi, se pensano ad una pastorale integrata-integrale si ispirano evidentemente ad un principio di inclusione e di prossimità, che le porta ad uscire dal proprio recinto, ma ad accogliere tutti in modo personalizzato. Per raggiungere questa finalità, le comunità e i singoli operatori pastorali devono ormai percorrere la modalità di acquisizione di conoscenze specifiche nell’ambito della comunicazione della fede come in quello socio-antropologico, ma devono nello stesso tempo saper sviluppare competenze relazionali, comunicative ed organizzative tali da valorizzare ogni persona rispondendo in modo collaborativo alle esigenze della comunità nel suo insieme e di ciascuno. Alcune proposte possono aiutare la riflessione per un’azione più incisiva delle comunità a sostegno delle famiglie e dei giovani per la loro formazione religiosa e motivazione cristiana. La scelta, per così dire strategica, ricade, da parte dei vescovi italiani, ancora una volta sulla parrocchia, comunità generante e testimone della fede, famiglia di famiglie. Per orientare in modo opportuno l’azione ecclesiale delle chiese particolari, l’episcopato ha puntato tutto sul processo educativo e sui metodi di trasmis25

Cfr. GARELLI, Piccoli atei crescono, pagg. 7-54. Inoltre, C. MATAIl valore del dubbio. La ricerca della fede come «travaglio» tra crisi delle certezze e profezia di cambiamento, in C. MATARAZZO-I. SCHINELLA (a cura di), Il futuro della fede in un tempo di crisi, EDB, Bologna 2018, pp. 1137. RAZZO,

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sione dei valori umani e cristiani, appoggiando e incentivando muove modalità di formazione permanente26. Prima di tutto è necessario riorganizzare le attività per l’iniziazione cristiana, rendendo realmente significativo il percorso educativo e formativo della proposta delle comunità ecclesiali visibili nelle parrocchie, proprio perché la crisi pastorale è in un certo modo indice di una più ampia crisi valoriale e formativa27. Potrebbe essere proficuo anche per la chiesa di Teggiano-Policastro investire preferenzialmente sulla formazione degli operatori pastorali laici, destinando magari risorse (tra queste quelle finanziarie), fonti ed energie alla qualificazione dei catechisti in modo specifico, rivolgendo molta attenzione ai processi di rinnovamento dei percorsi formativi che accompagnano l’iniziazione cristiana. Tuttavia, la scelta preferenziale dovrebbe riguardare l’età adulta per rafforzare lo stile di testimonianza e di coerenza, necessario per tutte quelle persone in età evolutiva. «In questo modo l’esperienza di vita e di fede di Gesù diviene esemplare per ognuno di noi (GS 22.45; PO 14) e può essere proposto come cammino iniziatico (cfr. LG 9-11) da una comunità di iniziati. Di fatto iniziare significa integrare la cultura e la vita delle persone con la proposta di vita di Gesù. La iniziazione cristiana deve interagire con i processi di crescita delle persone, con i contesti culturali, con l’insieme degli interventi delle diverse agenzie formative»28. Se si punta sulla riforma dell’iniziazione cristiana, il primo 26

«Nella Chiesa particolare e specificamente nella parrocchia il luogo naturale in cui avviare il processo educativo» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicato finale della 59a Assemblea generale, in Notiziario CEI 4/2009, pp. 167-173, qui p. 168) 27 Cfr. COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (a cura di), La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione, Laterza, Roma-Bari 2009. 28 MEDDI-D’ANGELO, I nostri ragazzi e la fede, p. 11. 60


passo da riflettere sulla missione e sui compiti del catechista, il quale non può limitarsi al tempo-studio settimanale, ma dovrà essere messo in grado di approfondire e sviluppare la sua vocazione di formatore all’interno della comunità, destinando tempo prezioso alla sua formazione e alla interazione con l’intera comunità. Alcuni specialisti insistono sul fondamentale compito della catechesi, a patto che essa sappia rinnovarsi e proporre, grazie ad esperti qualificati, significative esperienze di fede e come tali integrate nella vita29. Tuttavia, si scrive e si parla di più rispetto a quanto in realtà si dovrebbe e si deve realizzare sul piano della progettazione e dell’operatività, lasciando cadere nel vuoto molto spesso le indicazioni del magistero e le buone intuizioni degli esperti, sempre attenti ai processi culturali, ai cambiamenti sociali, alla diversificazione dei ruoli nell’odierna società. Bisognerà piuttosto insistere sulla coerenza della vita, come segno testimoniale della sequela Christi, magari coltivando una spiritualità del distacco la sola capace di mostra la vera vita del discepolo-missionario, centrato su Cristo, mai su sé stesso (cfr. LP, nn. 36-39). Tuttavia, lo slancio missionario incentiva nel cristiano uno slancio di amore come fu per Maria quando, “gravida” dello sguardo di Dio, coraggiosamente, nonostante le difficoltà oggettive del suo stato, si mette in viaggio per andare da Elisabetta30. Allo stesso modo, monsignor Antonio De Luca, pur considerando le oggettive criticità del tempo attuale, con ottimismo evangelico, rivolge l’attenzione sull’atto di fiducia dei discepoli, i quali, malgrado la delusione, gettarono nuovamente le reti in 29

Cfr. almeno P. TRIANI, Il catechista e la sua formazione nel contesto di una comunità che educa nella sua molteplice ministerialità, in Annale dell’UCN (2011) 3, 61-70: 62-63; L. MEDDI, Catechesi e persona in prospettiva educativa, in Catechesi 81 (2011-2012) 3, 3-13; S. SORECA, La formazione di base per i catechisti. Criteri, competenze e cenni di metodologia, LAS, Roma 2014. 30 Cfr. MATARAZZO, Salvarsi dall’autoreferenzialità, pp. 376-381. 61


mare. «Essere e sentirsi discepoli amati non è solo un privilegio, ma responsabilità nel fare il primo passo, nell’indicare con chiarezza la direzione e di fare riaffiorare sulle nostre labbra il quotidiano riconoscimento di fede: “È il Signore!”. Anche laddove il mondo vede solo pessimismo ed incertezza, dove peccato e fragilità incombono, possiamo, come Giovanni, riconoscere il Risorto e a lui rivolgere la nostra resa e la nostra invocazione: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21, 17)»31.

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LP, n. 40.


Massimo La Corte SULLA PAROLA, VERSO IL PROFONDO Chi si trova per la prima volta a sfogliare la lettera Pastorale del Vescovo Padre Antonio, resterà certamente colpito dal titolo. Un titolo tratto dal testo evangelico di Luca che, a primo impatto, può suscitare un certo stupore: “Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla”1. Un titolo, quello scelto dal Vescovo, che racconta la fatica e il fallimento, la delusione e lo scoraggiamento di Pietro e dei compagni. La prospettiva non sembrerebbe allettante. Solitamente il titolo di uno scritto ne riassume il contenuto e dispone alla lettura. Come può, allora, coniugarsi questo titolo con il “rinnovato impegno di evangelizzazione” a cui il Vescovo chiama la Diocesi? Proprio a partire dal titolo, il Vescovo ci offre le coordinate per comprendere, alla luce della Parola, come affrontare una lettura cristiana della situazione attuale e come ripartire. “Eis to bathos” – “verso il profondo”, così il comando che Gesù rivolge a Pietro prima della pesca miracolosa diventa la chiave di lettura della Lettera Pastorale ed il metodo per un rinnovato impegno di evangelizzazione. “Verso il profondo” è lo stesso invito che il Vescovo fa alla Chiesa di Teggiano-Policastro. Andare in profondità, partendo dalla situazione difficile riassunta nel titolo, ma non fermandosi alla fatica e al fallimento. Questi, invece di costituire elementi negativi e bloccanti, diventano occasione di incontro con il Signore e inizio di un nuovo e più fruttuoso percorso. Il cristiano non può legarsi a rimpianti e 1 A. DE LUCA, Lettera pastorale: Ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri (SA) 2018.

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malinconie, né può indulgere su fumose nostalgie di un passato glorioso. L’incontro con Cristo innesca un dinamismo nuovo che riconosce, nella propria immensa e irriducibile debolezza, l’opportunità di un perdono risanante di cui farsi testimone con gli altri uomini. La Parola di Gesù è risolutiva, sblocca la situazione, rivela il volto di un Dio che prende l’iniziativa. Gesù non affida a Pietro e agli altri discepoli un lavoro semplice, di superficie. L’“eis to bathos” è uno stimolo ad imprese coraggiose, ma è soprattutto l’immagine di quella fiducia che Dio ha in ogni uomo, nonostante gli errori e i ritardi. Se è vero, infatti, come emerge chiaramente dal testo evangelico, che Pietro ripone piena fiducia nella parola di Gesù e va “verso il profondo”, è altrettanto vero che ancor prima il Signore si fida di Pietro. Questo vale sempre per ognuno di noi! Benedetto XVI, lo spiega bene: “L’iniziativa di Dio precede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede”2. Pietro non è uno sprovveduto, sa come e dove pescare, ha tanti anni di esperienza alle spalle, e conosce anche i numerosi rischi connessi al suo mestiere, non ultimo il pericolo di affondare3. Parallelamente all’esperienza di Pietro, anche noi possiamo vantare conoscenza e competenza, diremmo professionalità, che però possono diventare il nostro più grande limite. Il Vescovo scrive: “Abbiamo lavorato ma sulla ‘nostra parola’, su progetti, prospettive, strategie ispirate a quelle dell’efficienzariuscita mondana. Grande lavoro, ma terribilmente umano!”. Il 2 3

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BENEDETTO XVI, Udienza generale, 14 novembre 2012. Cfr. Mt 14, 24-32.


rischio, come lo chiama Papa Francesco, è quello di essere “esperti del sacro” e non “testimoni dell’amore che salva”4. Pietro, forte della sua esperienza, avrebbe potuto rispondere a Gesù di essere un pescatore navigato, di conoscere palmo a palmo il lago, di aver pescato “sempre così”, rimanendo sulla riva dove non ci sono onde e pericoli, dove non ci sono rischi, ricordando i risultati abbondanti di una volta e sperando almeno in qualcosa da mettere a tavola il giorno successivo. Le insidie non mancano, nemmeno per noi, e anzi facilmente si nascondono tra le pieghe di legittimi ragionamenti e calcoli umani. Spesso si confonde il proprio punto di vista con la volontà di Dio, costruendo una fede “su misura”, un “vangelo secondo me”, scegliendo di vivere solo quello che piace ed è più comodo. D’altra parte invece, quando si pensa “che tutto dipende dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali, complichiamo il Vangelo e diventiamo schiavi di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca”5. La presenza e la Parola di Gesù sono “il metodo scelto da Dio per rivelare l’uomo a sé stesso, per risvegliarlo a una definitiva chiarezza riguardo ai propri fattori costitutivi, per aprirlo al riconoscimento del suo destino e sostenerlo nel cammino ad esso, per renderlo nella storia soggetto adeguato di un’azione che porti il significato del mondo”6. L’incontro con Dio che parla e opera nella storia, converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta 4

Cfr. FRANCESCO, Omelia messa per la conclusione della XV assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 28 ottobre 2018. 5 FRANCESCO, Gaudete et exultate, n. 59. 6 L. GIUSSANI - S. ALBERTO - J. PRADES, Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli, Milano 1998, p. 12. 65


la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo7. A Pietro non è mancato il coraggio di lasciarsi sorprendere dalle novità dello Spirito Santo per rompere le rigidità del «si è sempre fatto così»8. Anche oggi nella Chiesa ci sono resistenze alle sorprese dello Spirito», ma lo Spirito stesso aiuta a vincerle e ad andare avanti9. La svolta decisiva da quella situazione infruttuosa e di fallimento, avviene quando Pietro incontra Gesù e ascolta la sua Parola. Papa Francesco ci ricorda che “obbedire viene dal latino, e significa ascoltare, sentire l’altro. Obbedire a Dio è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci fa liberi”10. Tonino Bello, con la chiarezza e l’immediatezza che caratterizzano i suoi scritti, ci offre, in una prospettiva illuminata dalla Parola di Dio, una stupenda sintesi del significato cristiano dell’ubbidienza: “Chi ubbidisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell’offerta. Non si avvilisce all’umiliante ruolo dell’automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell’ascolto e del dialogo”11. L’obbedienza è, come sottolineava Bonhoeffer, adesione libera «per intima convinzione, in piena consapevolezza e con animo lieto». «L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio»12. Per seguire Gesù – dice Papa Francesco – “bisogna avere una 7

Cfr. BENEDETTO XVI, Udienza generale, 14 novembre 2012. FRANCESCO, Dio delle sorprese, meditazione del 8 maggio 2017. 9 FRANCESCO, Novità e resistenze, meditazione del 28 aprile 2016. 10 FRANCESCO, L’obbedienza è ascolto che rende liberi, meditazione del 11 aprile 2013. 11 TONINO BELLO, Maria donna dei nostri giorni, tratto da Maria donna obbediente, Edizioni San Paolo, 1993. 12 DIETRICH BONHOEFFER, Etica, Bompiani, Milano 1969, p. 212. 8

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dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia”13. Il comando di Gesù di andare “verso il profondo” e la risposta di Pietro, che prende il largo sulla “Parola” del Signore, sono utilizzati dal Vescovo nella sua Lettera Pastorale per indicarci chiaramente modo e direzione “per un rinnovato impegno di evangelizzazione”. Un metodo efficace da applicare a qualsiasi dimensione e contesto, personale e comunitario, alla vita sociale e spirituale, ai rapporti interpersonali, alla politica e all’economia, alla cura del creato. In una società che punta sempre di più sull’efficientismo, nella quale l’apparire e l’avere diventano più importanti dell’essere, che alimenta il narcisismo digitale e la pigrizia intellettuale, che fomenta la paura dell’altro, contagiando non poche volte anche la Chiesa, “urge riscoprire il contatto con le Sacre Scritture” perché “la Parola di Dio è il fondamento di ogni ricerca, generatrice di discernimento e di coraggio”14. Accanto a questa primaria e fondamentale urgenza, è quantomai necessario riconsiderare e mettere al centro la missione dei laici che “si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa. Abbiamo bisogno della loro testimonianza sulla verità del Vangelo e del loro esempio nell’esprimere la fede con la pratica della solidarietà”15. Il Cardinale e teologo francese Congar, 13

FRANCESCO, Veglia di preghiera con i giovani GMG 2016, 30 luglio

2016. 14

A. DE LUCA, Lettera Pastorale: Abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri 2018, n. 19. 15 FRANCESCO, intenzione di preghiera per il mese di Maggio 2018. 67


scriveva: “i cristiani sono nel mondo una frontiera della Grazia”16. In virtù del Battesimo ricevuto – dice Papa Francesco – ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione17, rispondendo con generosità alla propria vocazione per portare la presenza del Signore e la sua Parola dentro i luoghi della vita e dell’esistenza degli uomini. Il Vescovo è il segno della presenza di Cristo Pastore nella Chiesa locale; a lui è affidata “la cura della chiesa particolare”18, la quale, però, “non è realmente costituita e non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico”19. Senza mai dimenticare che “non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa”20 e, ancora, che la sola conoscenza e intelligenza non può bastare a “rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo”21, bisogna puntare sempre di più sulla “crescita umana e culturale al fine di affrontare con un minimo di consapevolezza la sfida del rinnovato annuncio”22 e su una sana spiritualità cristiana, che “implica allo stesso tempo accogliere l’amore divino e adorare con fiducia il Signore per la 16

Y. CONGAR, in DS, LIX-LX, v. Laicato, Col 104. FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 120. 18 CONCILIO VATICANO II, Decreto Cristus Dominus, n. 11. 19 CONCILIO VATICANO II, Decreto Ad Gentes, n. 21. 20 FRANCESCO, Gaudete et exultate, n. 52. 21 Ivi, n. 39. 22 A. DE LUCA, Lettera Pastorale: Abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri 2018, n. 33. 17

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sua infinita potenza”23 e “propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”24. In questo tempo di forti contraddizioni e sfide, in cui “sembra che tutto collabori, che tutto sia connivente con una forza operosa che questa fede cerca di eliminare o di scardinare o di svuotare o di ricondurre a categorie puramente razionali, a categorie naturalistiche, fuori e dentro il mondo cristiano, dentro oltre che fuori, ora”25, la Chiesa ha tanto da dare e da dire al nostro territorio e al mondo, e potrà farlo nella misura in cui si lascerà evangelizzare dal suo Signore, per evangelizzare a sua volta26. Sarà tanto più efficace quanto sarà disposta a lasciarsi interpellare dal Vangelo e dal vissuto delle persone con cui si confronta, affrontando tutte le domande che questo porta con sé. La scelta consapevole di lasciarsi interpellare espone ad una continua messa in discussione per favorire un’intelligenza più autentica del Vangelo e del vissuto delle persone, ponendo un’attenzione particolare al loro rapporto27. È stato detto che Lettera Pastorale di Mons. De Luca è un testo coraggioso; direi piuttosto che ci stimola al coraggio, anzi, va ben oltre perché genera Speranza. Del resto è proprio una peculiarità del Vescovo essere “motivo di speranza”28 per il suo gregge. Egli stesso dice nella lettera: “Soprattutto prendere il 23

FRANCESCO, Laudato si’, n. 73. Ivi, n. 222. 25 L. GIUSSANI, Introduzione agli Esercizi spirituali del Centro culturale C. Péguy, 1 novembre 1968, in Pagina uno, supplemento al periodico Tracce - Litterae Communionis n. 9, ottobre 2018. 26 Cfr. PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 15. 27 ANDREA ADAMO, Sacro e Santo, Ermeneutica per l’evangelizzazione, Urbaniana University Press, Roma 2018, p. 7. 28 GIOVANNI PAOLO II, Pastores Gregis, n. 5. 24

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largo richiede la speranza, perché non sarà sempre così!”29. Come Comunità Diocesana riconosciamo nella voce del Vescovo la voce del Signore che ci invita a prendere il largo ed andare in profondità. Non possiamo non sentirci interpellati personalmente, non possiamo non rispondere all’invito e, insieme ai fratelli, salpare, fidandoci e affidandoci alla Parola del Signore, per giungere dove le acque sono più profonde. Solo così arriverà la gioia della rete piena tirata in barca.

29 A. DE LUCA, Lettera Pastorale: Abbiamo faticato e non abbiamo preso nulla, Duminuco editore, Sapri 2018, n. 16.

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INDICE

Antonio Cetrangolo Introduzione

3

Salvatore Esposito Come fare i cristiani oggi

9

Francesco Asti Sotto il governo dello Spirito Santo

27

Carmine Matarazzo Non solo proclami. La responsabilità dei laici nella missione della Chiesa e l’attenzione alla vocazione e al discernimento dei giovani

39

Massimo La Corte Sulla Parola, verso il profondo

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finito di stampare nel mese di Febbraio 2019

Impaginazione e grafica Massimo La Corte STAMPA Via Degli Edili, 101 - SAPRI (SA) Tel. 0973 603365 - E-mail: legatoria.cesare@alice.it




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