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Nicola Prebenna, Vive l’amore e canto, di Domenico Defelice, pag

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NICOLA PREBENNA VIVE L’AMORE E CANTO

di Domenico Defelice

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ISPIRAZIONE fervida, a tratti febbricitante; un canto che si spiega armonioso e intenso, come una cascatella leggera dai “mille/rivoli/di spuma” che non incontri sassi a frammentarla (“A te dal mare”: diciassette versi, appena cinque virgole e un punto e virgola; “Compagno di viaggio”: ventitré versi, quattro punti e una virgola); una gioia che esplode e si autorigenera in un crescendo accavallarsi di bricioli di passato e di presente (“quando mi affacciai per via”; “il presente mio dignitoso”); la natura, quasi sempre partecipativa e beneaugurale (il mare, le rose, le ginestre, i limoni), specie quando un altro essere umano viene su questo nostro scoglio che da millenni naviga nel profondo dell’universo (“…mi agganciai al suo bagliore/e insieme sprofondammo nel buco nero/di vita nuova ”).

È - come già accennato - un canto, un’armonia che si autoalimenta, che coinvolge e affascina con la sua soavità nostalgica, in cui passato e presente si fermentano e si amalgamano; l’uno lievita l’altro, cioè, e l’uomo vecchio di oggi rivede sé bambino nei figli e nei nipoti. La propria luce, che con gli anni inevitabilmente tende ad offuscarsi e a spegnersi, si riverbera e risplende in presenza delle nuove creature come quando una nuova batteria ridà forza e splendore a una lampadina affievolita.

Nella poesia di Nicola Prebenna si trovano moltissimi echi dei nostri classici, a volte interi lor versi (Dante, Petrarca, Leopardi, Foscolo, Pascoli), ma anche moderni (Saba) e attuali, non volutamente segnati, appositamente cercati, ma spontaneamente da mente e cuore richiamati e inseriti in contesti diversi e quotidiani, perché divenuti in lui, col tempo, parte della sua energia, sangue del suo sangue, retaggio di intenso studio e di amore per tutti loro. Questi poeti sono ormai la sua stessa vita e lui non lo nega, s’è vero che, spesso, ricorre a loro per intitolare le proprie opere: “Era il maggio odoroso” (Leopardi), “In una parte più e meno altrove” (Dante); e ciò avviene anche per la fede, col richiamo a testi sacri (“Non di solo pane” romanzo) e la più volte citata Stella cometa o Stella promessa, col riferimento a quella che ha guidato i Magi alla grotta di Betlemme.

La silloge Vive l’amore e canto, come precisa Iandiorio nella Postfazione, viene pubblicata in occasione del cinquantesimo dl matrimonio del poeta e si compone di cinquanta brani, “uno per ciascun anno”. Va considerata, allora, come un poemetto, legando brano a brano a partire dalla polvere di stelle dalla quale ciascun di noi è nato, per soffermarci sulle luci scaturite dalla venuta di nuove creature, senza dimenticare che ogni nuova stella, ogni nuovo sole, trova origine nella mamma, perché è sempre lei fonte e indirizzo di vita: “sei tu, oggi come allora, madre,/pur invisibile, il sole che conforta e guida”. Il padre e la madre continuano ad esser visti da poeta come delle “Grandi e solide querce disseminate/lungo i sentieri d’Irpinia”. Il padre è

andato, e anche lavorato, per mezzo mondo e al poeta ha trasmesso l’amore per il viaggio, tanto da autodefinirsi “non ancora vecchio,/lupo di terra” .

Tutti i versi hanno come tema fondante la famiglia. Per noi è ammirevole l’amore e la fedeltà di Prebenna a valori e principi che una Sinistra, a dir poco scriteriata, ha cercato e cerca in tutti i modi di scardinare e distruggere, basta pensare al cartellone che qualche anno addietro la scandalosa Monica Cirinnà ha portato in trionfo per le strade e le piazze di Roma durante una manifestazione per la donna: “Dio Patria Famiglia che vita da merda”. Sì, con gente del genere, non può essere diversamente! Dio Patria Famiglia sono stati principi cari al grande Mazzini, ora da anni derisi e mortificati, perché si vuole una società fluida e amorfa (magari anche incoraggiando i matrimoni fra gay), senza padre e senza madre (tacendo la Patria, perché basta solo accennarne per essere bollati a vita come fascisti).

Prebenna è profondamente innamorato della Famiglia e sinceramente credente in Dio. Giulio Nicola, Gabriele, Francesco, Simone, Luigi, Mario non è il caso di distinguerli in e tra figli o nipoti; l’amore è unico, possono essere intercambiabili, perché quello che a lui preme è l’uomo che si rinnova, “la famiglia (…) e la vita che si perpetua”. Lo ribadisce: “Sono pago della beatitudine/della famiglia”, della quale è orgoglioso di essere ancora “guida accorta/ e premurosa”. C’è fusione perfetta tra lui e gli altri (“è il mio,/il nostro presente”) e gode dello stato al quale è pervenuto, non anela ad altro: “la gioia di padre e nonno”, uno stato che in lui neppure il Covid ha potuto scalfire, che ha isolato, che ha fatto tanto soffrire, ma senza vincere, sicché “Riuniti ora alziamo beati i calici/a benedire il futuro”, canta trionfante il poeta.

Ma non è da credere che tutto sia stato e sia agevole nella vita di Prebenna e Vive l’amore e canto, infatti, ne reca diverse e reiterate testimonianze “lungo corsie d’ospedale”; per tutti, non solo per lui, “insidie ed agguati sono sempre/a portata di mano”. Il poeta non ama distendersi nel raccontare le tante frustate che gli ha riservato e gli riserva l’esistenza, ma gli accenni sono sufficienti a farci l’ida della crudezza dei drammi; per tutti, ricordiamo solo quello della sorella, che troviamo in “Oltre il vuoto”.

Il poeta ama descrivere spesso i suoi sentimenti gioiosi o dolorosi legandoli alla natura. Si legga, a proposito, “Benvenuto!”, brano che sembra composto direttamente in ospedale. Tutto è calato e vive in quel che lui contempla da una delle finestre: la collina verde, gli alberi, le rondini, lo spicchio di cielo, il mare, e tutto contribuisce ad intenerire il suo cuore. Nei figli, nei nipoti, nella madre, nel padre – ribadiamo – egli trova la fierezza: “Orgoglio mi prende/se guardo ai vostri successi”, sia a quelli passati, sia ai presenti e sia a quelli futuri; tutto è merito degli altri, secondo lui, tutti si son “fatti da soli”; nessuno ne dubita, ma è anche vero che dietro le vittorie di ciascuno ci sono stati sacrifici corali e molte rinunce sue e della sua compagna: “Ci siamo mancati;/il dolore che ci siamo regalati/ci ha fatto crescere più liberi” .

Un cenno ancora per almeno tre delle protagoniste: la madre, la moglie - autentiche divinità - e la suocera.

I brani dedicati alla madre son tanti. Quello iniziale si apre con l’immagine specchio del mare e con la stessa immagine si chiude. La madre rappresenta il tutto, “sei tu mare, terra, spazio interminato”, le testimonia il poeta, perché l’ha messo al mondo e l’ha allevato, così lei per lui rimane, anche dopo tanti anni, la stessa vita, l’elemento primordiale per eccellenza, nel quale, come nel mare, egli ancora si immerge e si esalta. Anche la casa è spesso personificata e non di rado la si può identificare con la madre stessa. In “Rivedendoti, casa un tempo mia”, non occorre forzare più di tanto per una tale identificazione in quel “si coltivava l’attesa di cucire panni/e pani per il futuro della famiglia”, lavori – cucire e impastare il pane – nel passato prettamente femminili. Sparse nel libro, le imma-

gini di lei son tante e lasciamo all’attento lettore accostarne i tasselli, ciò che invitiamo a fare anche per altri personaggi.

La moglie è accostata alla Madonna nella capanna di Betlemme: “sei tu, cara, stella e bambino,/l’amore che guida ed orienta, che incoraggia e sostiene,/che premia e diletta”. È lei che l’ha “provvisto di ali”, sicché, ora, egli può godere delle meraviglie e dello “splendore dell’habitat che (lo) circonda”. Ma è proprio la moglie? o la madre? L’amore della donna e verso la donna – di e verso ogni donna - si identifica nell’amore di Dio e verso Dio, è fusione dell’umano col divino, e questo amalgamare il tutto è tema assai presente nella poesia di Prebenna. In “Compagno di viaggio”, uno dei brani nel quale c’è uno dei richiami al Foscolo (“sulle miserie/umane” al posto di “su le sciagure umane”), leggiamo: “in un coro a due voci intoniamo il canto/di ringraziamento e di beatitudine./Uno scranno nel regno dell’ amore/ce lo stiamo preparando ed è già nostro”. Ma siamo sicuri che si sta rivolgendo alla moglie e non alla “santità”, alla “serenità”, a una divinità? Siamo al solito sottile miscuglio, al continuo amalgama. In “Comunione”, abbiamo il pensiero che, o prima o poi, uno dei due, o lei o lui, dovrà abbandonare l’altro per primo. Ma chi rimarrà solo, per poco, non dovrà disperare e far tesoro della medicina del ricordo, attraverso il quale deporre “sul cuore invisibile [dell’altro] che naviga/su onde sconosciute il fiore della preghiera”, fidando nella bontà – e qui chiama in soccorso Dante –“di colui che muove il sole e l’altre stelle”. Il fermento tra persone e cose (la già citata casa, per esempio), la moglie, la madre, la donna, è costante in Vive l’amor e canto; io e te, confessa, “siamo vita e amore”. Ma quel “te” per noi è spia ambigua: dà agio al poeta, ma anche a noi che giochiamo nell’interpretare, di portare temi contingenti sul piano dell’universalità. La poesia è bella anche per questo.

Domenico Defelice NICOLA PREBENNA: VIVE L’AMORE

E CANTO - Prefazione di Carlo Di Lieto, Postfazione di Virgilio Iandiorio, Edizioni Delta 3, 2022; pagg. 88, € 10,00.

LA TERRE EST MALADE DE SES HOMMES

La Terre est malade de ses hommes elle a de la fièvre aux pôles Sud et Nord elle tousse de la poussière elle a des ulcères partout avant qu’ils n’abattent ses arbres elle respirait calmement la pluie n’était pas acide mais c’était bien avant depuis le désert avance elle souffre de sécheresse tout en perdant du sang sa peau a des crevasses elle n’a plus de couleur soudain les hommes constatent qu’il faut l’avis d’un docteur si la Terre est malade si sa vie est en danger ils le sont eux aussi ne fût-ce que pour se nourrir à l’aide crient-ils faisons vite on n’a plus le droit de tarder il faut penser l’impensable notre mère peut mourir

Irène Clara

Francia

AALLELUIA! AALELUIA! ALLELUUIAAA!

22/8/2022 “L’emergenza Covid è finita. E con lei può dirsi archiviato il lockwn delle cartelle esattoriali”, scrive Andrea Bassi in prima pagina de Il Messaggero di oggi. Alleluia! Alleluia! Ma la grammatica (per esempio, di Aldo Duro, Volume Primo, pag. 134) non recita che “esso ed essa (…) si usino solo per accennare ad animali e cose” e il lei solo per le persone? Non bastano anglismi e francesismi ed altro ancora per massacrare la nostra lingua, ci mettiamo, adesso, pure la grammatica?

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