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All’ultimo papa
by Domenico
di Ilia Pedrina
La lettera è modo non solo letterario di comunicare con il destinatario in forma aperta, senza richiedere risposta, né pubblica né privata. Se poi i temi delle lettere sono di portata culturale e spirituale ad un tempo, di indubbia profondità consequenziale, allora la loro utilità offrirà crescita interiore, indurrà riflessioni anche retroattive, illuminerà il doveroso spazio che si prospetta sempre nel contatto indiretto della loro lettura.
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In questo terreno fertile e ben concimato si insinua una originale pubblicazione del prof.
MARCO VANNINI - ALL’ULTIMO PAPA - LETTERE SULL’AMORE, LA GRAZIA E LA LIBERTA’, Ed. Il Saggiatore, Milano, 2015, Euro 17,00
Nel Prologo (pp. 9-15) lo studioso fiorentino sceglie un gancio diretto con il filosofo Friedrich Nietzsche e con il suo Così parlò Zarathustra, poi, alla sua conclusione sostiene: “… Benedetto XVI si è trovato stretto nella contraddizione tra la necessità di difendere la credenza tradizionale, soprattutto per le masse popolari, e il doveroso rigetto di una religione ridotta a mitologia, cui è ignota l’esperienza dello spirito. Da una parte infatti, quando dirigeva la Congregazione della dottrina della fede, il 15 ottobre 1989 il cardinale Ratzinger emanò quella
Lettera ai vescovi su alcuni aspetti della meditazione cristiana che è, di fatto, una condanna non solo della meditazione di tipo buddhista, ma anche di ogni passaggio mistico per il distacco, per il vuoto, nel timore che esso comporti la fine del cristianesimo in quanto religione, come noi la conosciamo da secoli. Dall’altra, Benedetto XVI il 12 settembre 2006 pronunciò a Ratisbona quel discorso che difendeva appassionatamente l’eredità filosofica greca, il Logos, in un momento in cui il biblicismo sempre più predominante nella Chiesa annulla il cristianesimo come religione della ragione, riducendolo così a una variante dell’ebraismo…”(M.Vannini, ALL’ULTIMO PAPA, op. cit. pp. 14-15).
Il corpo vivo del testo apre importanti e validi scenari ben documentati, che rendono alla quotidianità la sua forza, sia di ricerca che di approfondimento, mostrando quante contraddizioni e dolenti tensioni la rendano durissima a sopportare. Ecco i temi che l’Autore apre alla confidente comunicazione con il Destinatario, il grande studioso e teologo tedesco cardinal Joseph Ratzinger, spiritualmente e ufficialmente consacrato a divenire Papa con il nome da lui scelto di Benedetto XVI: per ragioni di spazio solo il primo di essi sarà offerto in particolare sintesi onde far cogliere il clima vivo ed attuale delle riflessioni messe in luce, mentre per le altre Lettere saranno fornite solo poche righe.
Lettera Prima Sul tesoro nascosto (pp. 1746):“Caro papa Benedetto, il vangelo dice che il regno di Dio è simile a un tesoro nascosto in un campo… Il regno di Dio è dentro di noi, dice ancora il vangelo, dunque il tesoro è dentro di noi. Il tesoro, infatti, la perla più preziosa, come gli antichi vangeli gnostici sottolineano, è la conoscenza di noi stessi… (M. Vannini, op. cit. pag. 17).
In questa prima confidente missiva tanti sono i riferimenti per dare fondamento a quanto lo studioso fiorentino va presentando: Sebastian Franck, Plotino, il suo biografo Porfirio e la sua Lettera a Marcella - dalla quale tanta ispirazione ha tratto il Vannini per istituire una relazione ricca e dinamica con Benedetto XVI, considerato anche come suo Maestro, proprio in virtù della pratica con l’antica lingua tedesca, quella dei mistici d’Oltrealpe, contemporanei di Dante, come Taulero e Meister Eckhart-, giustamente considerata, come egli stesso ci avverte, ‘testamento morale dell’umanità’, in quanto con chiarezza fissa un parametro inderogabile nel farci scegliere il nostro percorso di vita con saggezza: ‘… chi ama il corpo, ama il denaro, e chi ama il denaro è fatalmente ingiusto…’ (M. V. op. cit. pag. 20). Tutta questa lettera illumina anche le problematiche del nostro tempo, quelle legate al corpo alla psiche, alla diffusione delle grandi confusioni che governano scelte, identità, convincimenti. E qui il Nostro ci avverte:
“… Nello scacco delle psicologie, si cerca talvolta rifugio nelle scienze della natura, frutto del pregiudizio positivistico che la realtà sia solo una realtà fisica, e che essa ci sia fatta conoscere dalla Scienza (con la S maiuscola) per cui l’eventuale conoscenza del mondo fisico sarebbe anche ipso facto, conoscenza di quello morale, spirituale.
Una sciocchezza, questa, su cui ironizzava già Wittgenstein…” (M.V. op. cit. pag. 22).
Oltre agli autori sopra citati tanti altri vengono chiamati a portare supporto al percorso scelto dal Vannini per dar forza e passione concreta alla ricerca che sta accompagnando da decenni il suo lavoro e che egli spontaneamente offre al suo destinatario: il Buddha, François de La Rochefoucauld, sant’Agostino e il maestro Patanjali, in in- consapevole concordanza con Niccolò Cusano fino al grande matematico contemporaneo Brouwer, Angelus Silesius, profondo poeta mistico tedesco del Seicento, Bernardo di Chiaravalle, Simone Weil, Caterina da Genova e Margherita Porete, l’evangelista Giovanni e il benedettino francese Henri Le Saux, R. M. Rilke e Etty Illesum: così egli ci introduce all’avventura dell’intimità intellettuale scoprendo con dottrina ed adesione spirituale assai intense la convergenza in ciascuno di loro di illuminate risorse onde cogliere la profondità dell’anima attraverso il distacco.
Lettera seconda Sull’amore (pp. 47-76), nella quale l’Autore sembra quasi abbracciare in guadioso sorriso, da lontano, il suo Maestro nella fede: “Caro papa Benedetto, il tuo documento più bello è l’enciclica Deus caritas est, Dio è amore, che prende il titolo dalla Prima lettera di Giovanni: ‘Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. Dio è amore e chi permane nell’amore permane in Dio, Dio permane in lui’
…Caritas, amore, chàris, grazia: tutto rimanda a chàra, a gioia: questo è davvero il vangelo, un lieto annuncio”. (M. V. op. cit. pp. 47 e 76).
E da queste pagine esce pure la Venere Pandemia e la Venere Urania, oltre alla schiera di altri autori che si aggiungono alla lunghissima lista: Goethe, Freud, il plagiatore di Nietzsche, santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, Madame Guyon, tanto ammirata da Schopenhauer, come il Vannini stesso ci informa, la fiorentina santa Maria Maddalena de’ Pazzi, Hegel e Paolo di Tarso, con la sua Seconda lettera ai Corinzi, onde portare luce su temi come la beatitudine, la felicità, la gioia dell’amore che ti porta a contemplare il volto di Dio.
Lettera terza Sulla verità della fede (pp. 77-102): “Caro papa Benedetto, dopo tanti anni di studi e di ricerche sulla vita di Gesù e sulla storia del cristianesimo degli inizi, tu sai perfettamente come stanno le cose, ovvero come il Gesù storico sia stato fin dall’inizio inghiottito dalle teologie…
Aver separato il Cristo dalla comune umanità, averlo inserito in un mito teologico, ha consegnato alla superstizione e alla retorica la sua figura, col tradimento più completo del suo insegnamento che si è salvato solo nella mistica…
Con la consueta profondità, Simone Weil scrive perciò che son detti beati coloro che non hanno bisogno della resurrezione per credere e ai quali sono sufficienti la perfezione e la croce…
Psicoanalisi e religione cercano di presentarsi entrambe con una funzione arcontica, talvolta in concorrenza e in opposizione tra loro, ma che sortisce comunque lo stesso effetto, quello degli scribi e dei farisei di evangelica memoria…” (M. V. op. cit. pp. 77, 81, 96, 102).
Lettera quarta Sulla grazia e la libertà (pp. 103-133). Date le solide basi di fede e d’intelletto, su cui ha poggiato finora il discorso del filosofo fiorentino, ora egli può viaggiare più spedito nel tracciare le sue riflessioni in confidenze sempre rispettosissime del loro interlocutore: “Caro papa Benedetto, … per comprendere il linguaggio mistico la prima cosa da tenere presente è che esso evoca sempre Dio, non perché pretenda di conoscere una realtà che per principio ci sfugge - -, ma perché vuole fare riferimento a quella esperienza di luce, beatitudine che si esprime comunemente col riferimento a Dio…
Allora, liberi una buona volta dal peso dell’egoità, che abbiamo riconosciuto in tutto il suo potere, si apre il regno della libertà. Ciò appare comunque un mistero, ovvero una sorta di miracolo…
Esercitando l’onestà, ovvero l’intelligenza distaccata, appare del tutto illusoria la libertà della coscienza… non è difficile rendersi conto che le nostre scelte, anche di pensiero, sono determinate e condizionate da un qualche fine, da un ‘perché’ che può essere di natura assai diversa, ma che risponde comunque alla volontà propria, personale. Tale ‘perché’ condiziona il nostro pensiero e le nostre scelte e le rende non libere…”
(M. V. op. cit. pp. 103, 111, 122).
In queste pagine le nuove citazioni ispirate ci fanno intercettare tratti delle Upanishad, pensieri di Schopenhauer e un canto in versi a lui dedicato di Jorge Luis Borges.
Lettera quinta Sulla giustizia e la vita eterna (pp. 135-164). Il tema si fa delicatissimo e tutto il percorso fin qui aperto al lettore e alla sua semplice e pura umanità viene intensificando fortemente prospettive illuminate:
“
Caro papa Benedetto… chi cerca il merito nelle opere è un uomo diabolico, dice giustamente l’induismo, in quanto sta nutrendo l’ego. La distanza del vangelo dall’ebraismo è sotto questo punto di vista totale - anzi, più che di distanza, si tratta di opposizione…
Essenziale è comprendere l’intimo legame tra distacco-libertà-giustizia da un lato e attaccamento-servitù-ingiustizia dall’altro… Là dove predomina il principio della ricerca della propria felicità - o addirittura ‘il diritto alla felicità’, come nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti - , non v’è dubbio che si abbia l’egoismo, la negazione della giustizia… Non è un caso che l’ispiratore di quella Dichiarazione d’Indipendenza, Thomas Jefferson, sia an- che l’ispiratore dell’Indian Removal Act con il quale i nativi americani furono deportati in massa dall’Est verso l’Ovest, in quello che per essi fu il ‘sentiero delle lacrime’, ma che doveva consentire il diritto alla felicità ai nuovi padroni – la ‘nazione sotto Dio’… Già, redenzione: un concetto che la Chiesa non predica più perché, senza esperienza di grazia e di spirito, tolto il mito del peccato di Adamo, non capisce più che bisogno ci sia di redenzione. E così è ridotta ad una agenzia psicologica. (M. V. op. cit. pp. 136, 137, 140, 165).
Lettera sesta Sulla fine delle menzogne (pp. 167-195), territorio nel quale l’Autore mette alla prova la nostra tenuta intellettuale ed opera una documentata serie di testimonianze che preludono al commiato con il ‘caro papa Benedetto’, e che tutte sarebbero da riportare: esse mettono le dita delle nostre due mani nelle piaghe della costruzione arbitraria di verità che antropologicamente serve, a guidare popoli e genti e loro comportamenti compromettendone l’autonomia e rendendone assai prevedibili le conseguenze sull’intelligere, sul comprendere consapevolmente sia la ragione che lo spirito delle creature che Dio ama.
Lettera settima Congedo (pp. 197-200). E qui credo che abbiano messo tutte le loro forze sia il cielo che la terra, perché il lettore è finalmente arrivato a comprendere come Marco Vannini, che ama ed apprezza Papa Benedetto, sia concretamente cristiano e viva la Chiesa come punto di riferimento ed obiettivo caldo verso il quale è stato in grado di tendere le considerazioni via via articolate sui tre temi scelti, l’amore, la grazia, la libertà; come egli argomenti intorno a quella Chiesa come ambito individuale, sociale, storico, culturale ed artistico, nella quale avviarsi a portare rivoluzione e alla quale dare nuovo volto ed energie; come egli arrivi a vivere intensamente ogni suo scritto, in vista di una Chiesa prima, durante e dopo l'ultimo papa, cuore pulsante delle osservazioni talora anche sofferte che l'autore disegna o fa intuire, per mettere in campo ed operare cambiamenti nella con- cretezza storica e nella qualità della vita spirituale.
Ancora Candore
Nessun azzurro mi rimane se non un velo di cielo soprano al mio canto ramingo, alle poche cose indecifrabili a cui ho affidato la presunta cognizione d’una memoria viva e dolente.
Mi consola un raggio sfilacciato di luce, il silenzioso ticchettìo del tempo.
In questo immaginario non è vano confidare a me stesso, persuaso finalmente, che il giorno è propizio al mio sguardo remoto nell’aia del candore bambino, nella rincorsa tremebonda dei giochi.
Lasciatemi solo a questo delirio, a questa tarda ventura di fanciullo che la rorida brina ha vestito d’argento ed ora, uomo, mi denuda sulla rupe del rimpianto, nella danza sfinita delle foglie d’autunno.
Di bianco s’è vestita la mia stagione ed un fremito d’inverno mi piega al camino, non ho più rose da donare, solo frammenti di tremula fiamma.
Graziano Giudetti
1985
Nessuno si accorge del contadino quando ara, ma tutti lo vedono quando raccoglie. Domenico Defelice
Da: L’orto del poeta, Ed. Le Petit Moineau, 1991